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Corte Suprema di Cassazione Ufficio del Massimario e del Ruolo - Servizio Penale ______________________________________________________________________________________________ 224 CAPITOLO III LE SEZIONI UNITE E IL SISTEMA TABELLARE IN MATERIA DI STUPEFACENTI. L’OFFERTA DI SOSTANZA DROGANTE (Matilde Brancaccio) SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 e rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente alla sua entrata in vigore. 2.1. La questione sottoposta alle Sezioni unite ed i principi affermati: sintesi. 2.2. Le Sezioni unite si confrontano con la questione delle conseguenze sugli illeciti penali aventi ad oggetto le sostanze introdotte in tabella per la prima volta da una legge incostituzionale. 2.3. La soluzione adottata. 3. I presupposti per la configurabilità della condotta di offerta di sostanze stupefacenti: Sez. un. N. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar. 3.1. L’offerta di stupefacente e le condizioni per la sua configurabilità come reato. 1. Premessa. Nell’anno 2015 si sono manifestati in tutto il loro rilievo giuridico gli effetti della sentenza n. 32 del 2014, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle modifiche al testo unico sugli stupefacenti introdotte nel 2005-2006 dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito in legge 21 febbraio 2006, n. 49. E difatti, sono giunti alle Sezioni unite della Corte di cassazione i nodi più problematici postisi immediatamente dopo la pronuncia: da un lato, la questione dell’illegalità della pena derivante dalla dichiarazione di incostituzionalità di disposizione diversa da quella incriminatrice e disciplinante il trattamento sanzionatorio, risolta dal massimo collegio di legittimità con due sentenze da leggersi in sequenza logica, che hanno trattato, una, il tema generale dell’illegalità della sanzione penale derivante da dichiarazione di incostituzionalità ( Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli, Rv. 264205, 264206, 264207 ), e l’altra quello specifico delle conseguenze sul giudicato della rilevata illegalità, con riferimento alla pena emessa a seguito di patteggiamento (Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 37107, Marcon, Rv. 264857, 264858, 264859); dall’altro lato, la questione – che investe la dogmatica generale della struttura delle norme penali parzialmente in bianco e degli effetti su di esse della dichiarazione di incostituzionalità della disciplina integratrice del precetto riferita alla verifica della permanenza della stessa illiceità penale di una condotta di reato avente ad

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Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo - Servizio Penale

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CAPITOLO III

LE SEZIONI UNITE E IL SISTEMA TABELLARE IN MATERIA DI

STUPEFACENTI. L’OFFERTA DI SOSTANZA DROGANTE

(Matilde Brancaccio)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 e rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente alla sua entrata in vigore. – 2.1. La questione sottoposta alle Sezioni unite ed i principi affermati: sintesi. – 2.2. Le Sezioni unite si confrontano con la questione delle conseguenze sugli illeciti penali aventi ad oggetto le sostanze introdotte in tabella per la prima volta da una legge incostituzionale. – 2.3. La soluzione adottata. – 3. I presupposti per la configurabilità della condotta di offerta di sostanze stupefacenti: Sez. un. N. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar. – 3.1. L’offerta di stupefacente e le condizioni per la sua configurabilità come reato.

1. Premessa.

Nell’anno 2015 si sono manifestati in tutto il loro rilievo giuridico gli effetti della

sentenza n. 32 del 2014, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle

modifiche al testo unico sugli stupefacenti introdotte nel 2005-2006 dal d.l. 30 dicembre

2005, n. 272, convertito in legge 21 febbraio 2006, n. 49. E difatti, sono giunti alle Sezioni

unite della Corte di cassazione i nodi più problematici postisi immediatamente dopo la

pronuncia: da un lato, la questione dell’illegalità della pena derivante dalla dichiarazione di

incostituzionalità di disposizione diversa da quella incriminatrice e disciplinante il

trattamento sanzionatorio, risolta dal massimo collegio di legittimità con due sentenze da

leggersi in sequenza logica, che hanno trattato, una, il tema generale dell’illegalità della

sanzione penale derivante da dichiarazione di incostituzionalità (Sez. un., 26 febbraio

2015, n. 33040, Jazouli, Rv. 264205, 264206, 264207), e l’altra quello specifico delle

conseguenze sul giudicato della rilevata illegalità, con riferimento alla pena emessa a

seguito di patteggiamento (Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 37107, Marcon, Rv. 264857,

264858, 264859); dall’altro lato, la questione – che investe la dogmatica generale della

struttura delle norme penali parzialmente in bianco e degli effetti su di esse della

dichiarazione di incostituzionalità della disciplina integratrice del precetto – riferita alla

verifica della permanenza della stessa illiceità penale di una condotta di reato avente ad

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oggetto sostanze stupefacenti introdotte nel catalogo penale solo sulla base della legge

dichiarata incostituzionale (Sez. un., 26 febbraio 2015, n. 29316, De Costanzo, Rv. da

264262 a 264266). In questa sede ci si occuperà della seconda pronuncia, essendo altra

parte della Rassegna dedicata al tema dell’illegalità della pena; deve segnalarsi, peraltro,

come opportunamente le Sezioni unite siano state chiamate a decidere complessivamente

su tali temi in un’unica udienza, che ha potuto evidentemente giovarsi di un’analisi sotto

diverse prospettive delle collegate questioni, offrendo oggi alcune linee guida che

orientano in modo sicuro l’interprete dinanzi ad un fenomeno di caducazione-successione

di leggi nel tempo in materia di sanzione penale, tanto complicato quanto non infrequente

nel suo verificarsi storico. Nella medesima udienza, inoltre, è stato affrontato lo stesso

tema dell’illegalità della pena conseguente alla citata dichiarazione di incostituzionalità

delle modifiche apportate alla disciplina sugli stupefacenti in relazione all’aumento relativo

ai reati satellite in caso di continuazione (Sez. un. 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar,

Rv. da 263714 a 263717): con tale pronuncia, peraltro, si è registrata anche una

significativa affermazione in tema di configurabilità della condotta di offerta di sostanze

stupefacenti, ritenuta sussistente in presenza della necessaria condizione della disponibilità

effettiva della droga; a tale questione sarà dedicata altra parte del presente capitolo.

2. Incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 e rilevanza penale delle condotte

aventi ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente

alla sua entrata in vigore.

All’indomani della dichiarazione di incostituzionalità delle modifiche al D.P.R. n. 309

del 1990 apportate dalla richiamata legge n. 49 del 2006 – che, in sede di conversione del

decreto legge n. 272 del 2005, aveva introdotto, con gli artt. 4 bis e 4 vicies-ter, significativi

mutamenti alla struttura del sistema punitivo in materia di stupefacenti – e della

conseguente reviviscenza della precedente disciplina normativa (legata al testo cd.

Iervolino-Vassalli), espressamente indicata come soluzione obbligata dalla Corte

costituzionale nella sentenza n. 32 del 2014, per evitare vuoti di tutela dei beni giuridici

alla base delle ragioni di previsione penale ed una “depenalizzazione” di fatto che avrebbe

portato il nostro ordinamento a violare gli impegni internazionali in tal senso da tempo

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assunti, tuttavia, numerose questioni di diritto intertemporale si sono poste all’interprete.

In particolare, deve rammentarsi, da un lato, la notevole differenza tra i due sistemi

normativi succedutisi per effetto del fenomeno “caducazione da incostituzionalità-

reviviscenza”: le modifiche del 2005/2006 avevano, infatti, comportato l’eliminazione

della tradizionale distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, con equiparazione del

trattamento sanzionatorio mediante l’inserimento di tutte le sostanze non farmacologiche

in un’unica tabella; una conseguente notevolissima semplificazione nel regime di

classificazione delle sostanze psicoattive, con le tabelle ridotte da sei a due (la prima,

appunto, contenente tutte le sostanze stupefacenti vietate, la seconda dedicata ai

medicinali registrati in Italia che contengono sostanze stupefacenti per uso terapeutico);

l’abbassamento del limite minimo edittale per le condotte di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre

1990, n. 309, non di lieve entità, previste dal comma primo (da otto a sei anni);

l’unificazione del trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e droghe pesanti per

l’ipotesi attenuata di cui al comma quinto dell’art. 73, conseguenza della più generale

eliminazione della distinzione sul piano punitivo. D’altra parte, la reviviscenza del sistema

pregresso al 2006 ha fatto sì che venisse ripristinato il doppio binario punitivo, distinto tra

droghe leggere e droghe pesanti, sia per l’ipotesi base che per quella di fatto di lieve entità;

che tornassero in vigore i “vecchi” limiti edittali (sostanzialmente più favorevoli per le

droghe leggere e quasi immutati, se non nel minimo inferiore con riferimento all’ipotesi

non lieve, per le droghe pesanti); ma soprattutto, ai fini che in questa sede interessano, la

reviviscenza della previgente disciplina del testo unico sugli stupefacenti ha determinato il

reingresso nel sistema normativo del precedente sistema tabellare con sei tabelle e la

caducazione di quello “binario” che distingueva solo tra sostanze stupefacenti (di qualsiasi

tipo fossero) e medicinali. Ciò ha posto problemi di non poco momento riferiti alla

discussa, perdurante rilevanza penale di condotte riferite a sostanze stupefacenti che,

destinate ad un continuo implemento via via che mutano i contesti storici e seguendo le

evoluzioni scientifiche con riferimento specifico alle droghe cd. Sintetiche, erano state

introdotte nel catalogo normativo legale, di volta in volta, nella vigenza del sistema

previsto dalla legislazione incostituzionale e solo ad opera di questo. Il quadro era stato

ulteriormente complicato dall’emanazione del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36,

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convertito poi in legge 16 maggio 2014, n. 79, con cui il legislatore aveva tentato di porre

rimedio alle conseguenze, di ordine penale ed amministrativo, della sentenza n. 32/2014

C.cost., che aveva ripristinato e riordinato il sistema prevedendo quattro tabelle per gli

stupefacenti, confermando la divisione tra sostanze “pesanti” e “leggere”, ed un’unica

tabella per i medicinali. Le Sezioni unite, con la citata pronuncia n. 29316 del 26

febbraio 2015, De Costanzo, intervengono a risolvere le questioni interpretative

collegate alla natura dogmatica della fattispecie di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990

– costruita come norma penale parzialmente in bianco, integrata nel precetto dalla

disposizione amministrativa che, sulla base degli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 309 del 1990,

inserisce una sostanza stupefacente nel catalogo legale richiamato dalla norma penale – ed

alla sostituzione del sistema tabellare, non soltanto per il ripristino, per un certo periodo,

di quello ante 2006 dichiarato incostituzionale, ma anche per il successivo, nuovo

intervento normativo del legislatore.

2.1. La questione sottoposta alle Sezioni unite ed i principi affermati: sintesi.

Le Sezioni unite, per quanto sinora esposto, sono state chiamate a risolvere – tra le

numerose prospettatesi dopo il travolgimento per incostituzionalità del sistema normativo

degli stupefacenti – la complessa questione riferita a se, a seguito della dichiarazione

d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4- vicies-ter del decreto-legge n. 272 del 2005, come

modificato dalla legge n. 49 del 2006 (pronunciata dalla Corte costituzionale con la

sentenza n. 32 del 2014), debbano ritenersi penalmente rilevanti le condotte che, poste in

essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-

legge n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle

solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato

dalla richiamata legge n. 49 del 2006. La sostanza per la quale il problema in concreto si è

posto è stata il nandrolone, ormone utilizzato nel doping e considerato stupefacente anche

per il testo unico n. 309/1990.

Il Supremo Collegio ha dato a tale interrogativo una risposta negativa, affermando

l’intervenuta abolitio criminis, con riferimento alle sostanze colpite dagli effetti della

caducazione per incostituzionalità nei termini sopradetti. E difatti, i principi affermati

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dalla pronuncia per risolvere tale dubbio interpretativo (secondo la sintesi riferibile alle

massime estratte dalla sentenza) chiariscono che:

-nell’attuale ordinamento penale vige una nozione legale di stupefacente per cui sono

soggette alla normativa che ne vieta la circolazione soltanto le sostanze specificamente

indicate negli elenchi appositamente predisposti, i quali, adottati con atti di natura

amministrativa in attuazione delle direttive espresse dalla disciplina legale, integrano il

precetto penale di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, costruito con struttura

di norma parzialmente in bianco. La Suprema Corte, con un’ampia e precisa motivazione,

ha affermato la piena aderenza al principio di legalità di tale disposizione, perché è la legge

che indica, con idonea specificazione, i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei

provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr. Rv. 264263);

-la caducazione, per effetto di dichiarazione di incostituzionalità, della legge che fissa le

direttive di carattere generale alle quali devono attenersi i decreti ministeriali di

inserimento delle singole sostanze stupefacenti nel catalogo legale comporta la

conseguente caducazione di tali atti amministrativi, integrativi del precetto di cui all’art. 73

d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, se adottati successivamente all’entrata in vigore della legge

incostituzionale e sulla base di essa e, dunque, nel caso di specie, del D.M. 11 giugno 2010

riferito al nandrolone (cfr. Rv. 264264);

-a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30

dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49,

pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve escludersi la

rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta

legge e fino all’entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, abbiano avuto ad oggetto

sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del

d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla citata legge n. 49 del 2006 (cfr. Rv.

264265) .

Tale ultima affermazione, peraltro, ha dovuto essere accompagnata da un corollario di

principio, necessariamente oggetto del ragionamento delle Sezioni unite: la verifica, cioè,

della volontà del legislatore di continuare a ritenere punibili le condotte afferenti a

medicinali inseriti nella quinta ed ultima tabella dedicata. Sul punto, all’esito di una

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disamina attenta e di sistema, le Sezioni unite, rilevando serie incongruenze nel risultato

normativo delineato dal legislatore del 2014, hanno risolto la questione nel senso di

ritenere che:

-“le modifiche normative apportate dal D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla

legge 16 maggio 2014, n. 79, non determinano l’irrilevanza penale delle condotte di

detenzione e cessione di medicinali di cui alla tabella V allegata al d.P.R. 9 ottobre 1990, n.

309, a condizione che tali preparati contengano uno dei principi attivi di cui alle tabelle da

I a IV allegate al T.U. sugli stupefacenti, per i quali vi è espresso richiamo della

disposizione penale di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990” (Rv. 264266). La Suprema

Corte, in motivazione, ha sottolineato che tale affermazione si impone per la mancanza,

nella disciplina legislativa attualmente in vigore, di qualsiasi esplicito riferimento alla

rilevanza penale dei medicinali in quanto tali: si è già detto, infatti, che è mancato il

richiamo nell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 alla tabella dei medicinali. Deve

sottolinearsi in proposito un’affermazione contenuta nella motivazione delle Sezioni unite

che dà il senso della difficoltà di orientamento per l’interprete nel far fronte a quanto

accaduto nel sistema delle fonti riferito alla disciplina degli stupefacenti nel 2014; ed

infatti, il massimo collegio di legittimità, chiamato a dare linee guida nel ginepraio

normativo formatosi, vi riesce con chiarezza, non senza prima affermare, in relazione in

particolar modo al testo del decreto legge n. 36 del 2014 ed alla sua legge di conversione,

che il tentativo di comprendere il senso della nuova uro unita è “impresa difficile”, che “tenta

il limite della vocazione all’interpretazione delle Sezioni Unite”. L’intricato sovrapporsi di norme, di cui

non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall’ideale di chiarezza

del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti

dell’ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività,

prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per

cercare di cogliervi un’univoca indicazione di senso.” Come detto, la Corte riesce perfettamente

nell’intento, restituendo la chiarezza interpretativa necessaria ad un precetto penale e

consegnando all’interprete un sistema comunque molto mutato rispetto a quelli

precedenti, quanto alla punibilità degli illeciti aventi ad oggetto medicinali inseriti nella

tabella dedicata: essi saranno inquadrabili come reato soltanto se i principi attivi che

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contengono siano a loro volta inseriti in una delle (sole) quattro tabelle dedicate alle

sostanze stupefacenti in quanto tali, poiché il richiamo della disciplina penale prevista

dall’art. 73 del t.u. è unicamente ad esse e non include in alcun modo la tabella riferita ai

medicinali.

2.2. Le Sezioni unite si confrontano con la questione delle conseguenze sugli

illeciti penali aventi ad oggetto le sostanze introdotte in tabella per la prima volta

da una legge incostituzionale.

Dati in via preliminare gli arresti raggiunti dalle Sezioni unite, deve ora sintetizzarsi il

ragionamento seguito dal supremo collegio per potersi determinare nel senso riportato.

Esaminate le conseguenze e il testo della sentenza n. 32 del 2014, la pronuncia della

Cassazione si sofferma a stabilire ragioni ed effetti della disciplina normativa introdotta

con il citato d.l. n. 36 del 2014, emanato esplicitamente con l’intento di far fronte alle

criticità dovute al venir meno dalle innovazioni recate dalla legislazione sugli stupefacenti

del 2006 dichiarata incostituzionale. Una tra queste, la principale ai fini del

pronunciamento di legittimità, è quella afferente ai numerosi provvedimenti

amministrativi adottati in applicazione delle disposizioni caducate, relativi anche

all’inserimento di nuove sostanze, come il nandrolone, nelle tabelle già più volte evocate;

la nuova normativa, quindi, aveva l’intenzione di ridare coerenza alla disciplina,

riordinando anche il sistema tabellare, in sintonia con l’impianto sanzionatorio risultante

dalla sentenza costituzionale. Si è detto quanto tale intento non sia riuscito ad esprimersi

con chiarezza quanto meno con riferimento alla questione della sanzionabilità penale degli

illeciti aventi ad oggetto sostanze medicinali contenute nella quinta tabella dedicata e non

richiamata dall’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, particolarmente rilevante per le Sezioni unite

nell’economia della sentenza, poiché la contestazione oggetto del ricorso per cassazione

riguardava proprio una fattispecie ricompresa nel comma 1-bis dell’art. 73.

Le Sezioni unite sottolineano, nell’ordine, le seguenti innovazioni normative dovute al

d.l. n. 36 del 2014: a)la modifica degli artt. 13 e 14 del T.U., con la previsione del

richiamato nuovo sistema tabellare; b)l’inserimento nelle nuove tabelle anche delle

sostanze collocate nel novero dei principi stupefacenti illeciti (solo) per effetto di decreti

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adottati nelle vigore della caducata disciplina del 2006. Tale inserimento trova

giustificazione, come emerge dagli atti che hanno accompagnato l’introduzione della uro

unita, nella constatazione che la sentenza n. 32/2014 C.cost ha travolto anche i

provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che

hanno aggiornato le tabelle introducendovi nuove sostanze come il nandrolone.

Se queste sono le conclusioni alle quali sembra pervenire lo stesso legislatore circa

l’eliminazione dal sistema giuridico, per effetto della dichiarazione di illegittimità

costituzionale, degli atti amministrativi integrativi del precetto aventi ad oggetto le

sostanze stupefacenti introdotte sulla base della disciplina normativa del 2006 caducata dal

giudice delle leggi, tale soluzione non era stata data per scontata nelle prime

interpretazioni successive alla sentenza di incostituzionalità, sulle quali le Sezioni unite si

soffermano ricostruendo con completezza la questione. Peraltro, il supremo collegio di

legittimità aderisce a tale opzione, in coerenza anche con le affermazioni preparatorie al

d.l. n. 36 del 2014, negando la tesi cd. “sostanzialistica”, che predicava la perdurante

vigenza degli atti amministrativi di inserimento delle sostanze stupefacenti nel sistema

tabellare (qualsiasi esso fosse), perché adottati in presenza di disposizione – gli artt. 13 e

14 del testo di legge dichiarato incostituzionale – nel loro nucleo essenziale analoghe a

quelle poi rivissute a seguito della declaratoria di incostituzionalità e confermate, nei

caratteri principali e sostanziali, appunto, dal nuovo testo degli artt. 13 e 14 voluto dal

legislatore del decreto legge n. 36 del 2014. Alla conclusione, invece, opposta, prescelta

dalle Sezioni unite, conducono, secondo le motivazioni della sentenza, preminenti

considerazioni:

- anzitutto la vigenza, riaffermata con forza dalle Sezioni unite, della nozione legale di

stupefacente, in base alla quale sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione

tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente

predisposti (si richiamano Sez. un. 24 giugno 1998, n. 9973, Kremi, Rv. 211073 e la

“costante giurisprudenza successiva”);

- quindi, la definizione legislativa di sostanza stupefacente che configura una

qualificazione proveniente da fonte uro unitari integratrice del disposto penale, per

cui, a tale fonte integrativa vanno applicati i principi di cui all’art. 2 cod. pen., ed in

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specie quello di non retroattività della legge penale sostanziale: da tale

considerazione discende che l’utilizzazione di una sostanza contenente principi

stupefacenti, ma non inserita nella tabella, non costituisce reato prima del suo formale

inserimento nel catalogo: si richiama Sez. IV, 14 aprile 2011, n. 27771, Cardoni, Rv.

250693, sottolineando come le oscillazioni che si rinvengono in alcune pronunzie a

proposito della rilevanza penale di determinate sostanze non ancora inserite nel catalogo

legale non toccano l’indicato principio, ma attengono alle caratteristiche di particolari

formulazioni delle sostanze stesse o di derivati che costituiscono passaggi intermedi del

processo di trasformazione di sostanze tabellate: in tal senso si richiamano Sez. III, 7

febbraio 2013, n. 11853, Cassotta, Rv. 255026; Sez. VI, 1 aprile 2011, n. 14431, Qotbi, Rv.

249396 (si tratta – dicono le Sezioni unite – di incertezze scientifiche e d’impronta

applicativa che non incidono sulla pacifica affermazione del principio di definizione legale

di sostanza stupefacente attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle

cui si è fatto riferimento, che costituiscono esplicazione delle direttive di carattere

generale);

- la struttura dell’incriminazione, che dà luogo ad una fattispecie penale

parzialmente in bianco in cui la specificazione del precetto avviene per effetto di

fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute. Tale struttura

normativa, specialmente per ciò che attiene all’aggiornamento delle tabelle che

maggiormente interessa alle Sezioni unite nella questione da esaminare, non reca

violazione del principio di legalità espresso dall’art. 25 Cost., giacché corrisponde

all’esigenza di pronto adeguamento della normativa al divenire scientifico e criminologico,

cui la legge potrebbe non essere in grado di far fronte con la tempestività e puntualità

dovute. Si richiama, a sostegno di tale affermazione, la pacifica giurisprudenza

costituzionale: già C.cost. n. 26 del 1966 aveva affermato che l’indicato principio

costituzionale è rispettato quando sia una legge ad indicare con sufficiente specificazione i

presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non

legislativa; sul tema specifico degli stupefacenti ed il rispetto del principio di legalità, le

Sezioni unite richiamano poi le sentenze n. 333/1991, n. 9/1972 e n. 36/1964 della Corte

costituzionale;

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- le direttive legali per l’inserimento delle sostanze nel novero di quelle considerate

stupefacenti secondo la disciplina legale, lungi dall’essere rimaste nel corso degli interventi

normativi succedutisi nel tempo sempre eguali, sono invece risultate sensibilmente diverse

(cfr. il testo degli artt. 13 e 14 nei diversi contesti normativi prima del 2006, dal 2006 al

2014 e dopo l’intervento del d.l. n. 36 del 2014).

Alla luce di tali preminenti considerazioni, le Sezioni unite affermano l’inscindibile

e biunivoco legame che connette la legge agli atti amministrativi che ne

costituiscono espressione. L’atto amministrativo individua l’oggetto del reato in base al

divenire delle conoscenze, adeguandosi alle direttive di carattere generale espresse dalla

legge. In conseguenza, caduta la legge, ne segue con ineluttabile ed evidente

necessità il venir meno dei provvedimenti ministeriali che di quella legge

costituiscono attuazione. Nello specifico, alla Sezioni unite non resta che applicare tale

principio al D.M. 11 giugno 2010, che aveva collocato il nandrolone nelle Tabelle I e II,

lettera A, allegate alla novella del 2006, e, pertanto, risulta travolto dalla dichiarazione di

illegittimità costituzionale della legge di cui costituiva espressione.

Constatata l’ablazione della normativa concernente il nandrolone, la pronuncia in

commento individua due ulteriori interrogativi necessari alla risoluzione della questione

sottopostale e relativa alla perdurante rilevanza penale degli illeciti riferiti a sostanze

introdotte sulla base della legge dichiarata incostituzionale, nello specifico il nandrolone:

1) se l’illecito afferente a tale sostanza sia stato nuovamente introdotto dalla disciplina

del d.l. n. 36 del 2014, convertito in legge n. 79 del 2014;

2) in caso affermativo, se tale nuova uro unita possa applicarsi retroattivamente al caso

in esame (e, ovviamente, a tutti gli identici casi, dal punto di vista giuridico, riferiti a

sostanze inserite nel novero legale solo dalla legislazione incostituzionale): di tale

interrogativo si tratterà al par. 2.3.

Quanto al primo interrogativo, si è già detto della constatazione, da parte del supremo

collegio di legittimità, dell’incapacità del legislatore di offrire un contributo di chiarezza e

coerenza alla ricostruzione del sistema legale penale riferito ai medicinali inseriti in quinta

tabella: il mancato richiamo ad essa da parte della relativa disposizione penale del testo

unico (l’art. 73, che invece nel sistema della legislazione del 2006 faceva espresso

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riferimento alla tabella dei medicinali nella fattispecie prevista dai commi 1 bis e 4 di detta

disposizione); l’assenza di altri specifici elementi normativi dai quali desumere la volontà

legislativa di rendere (tout court o a determinate condizioni) punibili i medicinali inseriti

nella tabella quinta (la Corte sottolinea l’imprecisa tecnica normativa utilizzata per

riscrivere l’art. 75 t.u.s.: il comma 1 della disposizione, infatti, in simmetria con l’art. 73,

riguarda le condotte illecite finalizzate all’uso personale relative alle sostanze stupefacenti

e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV; ma il successivo comma 1-bis sembra voler

alludere a situazioni nelle quali il medicinale, prescritto per l’uso terapeutico che gli è

proprio, venga destinato ad uso personale non terapeutico. La disciplina, però, affermano

le Sezioni unite, è testualmente incoerente (facendo anche riferimento ai medicinali di cui

al comma 1 che, però, in tale comma non sono affatto menzionati). La soluzione,

pertanto, viene ritrovata nella ricostruzione di un sistema unico che guarda sia alle

sostanze in quanto principi attivi della composizione dei medicinali, sia ai medicinali in

quanto tali: constatata l’impossibilità logica di pervenire a risultati di abrogazione della

disciplina penale per intero riferita ai medicinali, che pure potrebbero essere indotti dal

mancato richiamo dell’art. 73 alla tabella quinta, la motivazione della sentenza ricostruisce

attraverso l’unica strada possibile la volontà legislativa, considerando la richiamata

ambiguità dell’art. 75 t.u.s. e l’irragionevolezza dell’esclusione di sostanze sicuramente di

estremo rilievo stupefacente (quali la codeina, la norcodeina, l’etilmorfina, il metadone),

contenute nella tabella V. Si perviene, pertanto, ad affermare che i medicinali rientrano

nell’area penale solo se e in quanto contengano principi attivi rientranti nelle quattro

tabelle dedicate alle sostanze stupefacenti (I, II, III e IV): tale soluzione interpretativa,

secondo le Sezioni unite, è “l’unica che consente di superare la vaghezza ed indeterminatezza della

disciplina legale, ancorando saldamente la repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle

tabelle oggetto della normativa sanzionatoria di cui all’art. 73”. Il nandrolone compare sia nella

tabella I che in quella dei medicinali e, pertanto, si conclude per la permanenza attuale

della sostanza medicinale nell’area penale, utilizzando il richiamo dell’art. 73 t.u.s..

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2.3. La soluzione adottata.

Svolti tali ragionamenti necessari e preliminari, riportati al paragrafo precedente, la

sentenza De Costanzo arriva ad enunciare la soluzione della questione sottopostale, di cui

già si è data ampia anticipazione, nel senso dell’intervento di una vera e propria abolitio

criminis per le condotte riferite a sostanze stupefacenti inserite nel catalogo legale da atti

amministrativi travolti dalla disciplina incostituzionale. Prodromica a tale affermazione è

la risposta al secondo dei due interrogativi posti in fine al par. 2.2.: quello cioè della

retroattività della affermata, attuale previsione normativa di rilevanza penale delle

condotte aventi ad oggetto il nandrolone (estendendo il ragionamento, anche di quelle

aventi ad oggetto tutte le sostanze inserite nel catalogo legale dalla disciplina

incostituzionale). Le Sezioni unite, dando atto dell’esistenza di una tesi dottrinaria che

afferma la possibilità di tale retroattività – facendo leva sulla presenza di un disposizione

transitoria nel d.l. n. 36 del 2014, in base alla quale gli atti amministrativi caducati per

effetto della sentenza di incostituzionalità “riprendono” (o “continuano”, secondo

l’espressione prima della conversione in legge utilizzata dal d.l. n. 36 del 2014) ad avere

effetto, ed iscrivendo la situazione venutasi a creare tra quelle per le quali al legislatore è

consentito di derogare al principio di retroattività della norma più favorevole, in presenza

del ragionevole bilanciamento tra diversi principi e valori costituzionali -, rifiutano tale

opzione e adottano invece la soluzione di irretroattività degli effetti “penalizzanti”

ricavabili dal d.l. n. 36 del 2014. E difatti, si dice, quel che viene in esame non è un

fenomeno di successione di leggi nel tempo, sia pure per intervento della dichiarazione di

incostituzionalità, bensì una caducazione per illegittimità costituzionale di fattispecie

penali, essendo venuto meno il loro oggetto materiale, e cioè il loro nucleo essenziale; in

tale ottica, è indifferente che tale venir meno sia frutto di un’abrogazione successiva da

parte del legislatore, ovvero di una dichiarazione di incostituzionalità, essendo le due

cause equiparate ai fini che rilevano, come dimostra la comune disciplina prevista dall’art.

673 cod. proc. pen.

Si conclude, pertanto, affermando che nella fattispecie riferita alla sostanza

“nandrolone” (ma, come detto, il ragionamento ha una valenza generale per tutti i casi e le

sostanze che si trovino in analoga situazione) la novella del 2014, reinserendo nelle tabelle

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le sostanze introdotte con la disciplina incostituzionale per rimediare all’intervenuta

caducazione “ex tunc” delle fattispecie aventi ad oggetto tali stupefacenti, ha creato nuove

incriminazioni alle quali deve applicarsi il principio di irretroattività della legge penale.

Deve escludersi, quindi, la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire

dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del d.l. 20 marzo 2014, n. 36,

abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente

all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla legge n. 49 del

2006.

3. I presupposti per la configurabilità della condotta di offerta di sostanze

stupefacenti: Sez. un. n. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar.

Si è già messo in risalto che l’udienza del 26 febbraio 2015 delle Sezioni unite ha

rappresentato un passaggio decisamente significativo nell’interpretazione della Corte di

legittimità con riferimento a numerose questioni interpretative che – occupandosi della

legislazione in materia di stupefacenti, dichiarata in larga parte incostituzionale, nella

novella di cui alla legge n. 49 del 2006, dalla sentenza n.32 del 2014 C.cost. e poi innovata

parzialmente dal legislatore – si sono sviluppate in termini generali, segnando un

momento di elevato valore nel perseguimento degli obiettivi di nomofilachia affidati alla

Cassazione. La nozione di pena illegale ha assunto nuove e più chiare dimensioni:

abbinata alla dichiarazione di incostituzionalità della norma disciplinante il trattamento

sanzionatorio, è stata, in tale ipotesi, distinta dall’illegalità ab origine e dal fenomeno della

successione di leggi più favorevoli e, calata nel giudizio in corso, ha determinato la

rimodulazione della quantificazione già in concreto inflitta, anche se contenuta nei limiti

edittali della disciplina legislativa rivissuta e più favorevole; la pena illegale per

incostituzionalità della disposizione diversa da quella incriminatrice e incidente sul

procedimento di commisurazione del trattamento sanzionatorio (perché indicativa dei

limiti edittali previsti per la fattispecie legale sui quali si basa l’individualizzazione della

sanzione in concreto inflitta) è stata, quindi, declinata nelle sue eventuali ricadute sul

giudicato e nei suoi riflessi sulla pena calcolata per il reato continuato. Per una

ricostruzione completa delle complesse e distinte questioni giuridiche e del panorama di

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problemi interpretativi che si sono presentati alle Sezioni unite, si segnala in particolare,

tra tutte, la sentenza Sez. un. n. 33040/2015, Jazouli, cit., che ha definito illegale la

sanzione penale determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione

che si sia basato, per le droghe cosiddette “leggere”, su limiti edittali poi dichiarati

incostituzionali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge n. 49 del 2006,

anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali

previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, “rivissuta” per effetto della

stessa sentenza di incostituzionalità n. 32 del 2014. Le singole, specifiche tematiche sono

state affrontate nelle diverse pronunce: tenendo da parte la questione non riferita alla pena

ma al destino – di abolitio criminis – delle condotte di reato aventi ad oggetto stupefacenti

inseriti solo sulla base ed in seguito alla disciplina poi dichiarata incostituzionale (di cui si

è già detto nei paragrafi precedenti), le Sezioni unite hanno affermato la rimodulabilità

della pena patteggiata anche se passata in giudicato qualora essa sia caratterizzata da

“illegalità” derivata da incostituzionalità della norma che disponeva il trattamento

sanzionatorio edittale utilizzato per determinarla in concreto (Sez. un., n. 37107/2015,

Marcon, cit.) e la necessità di rideterminare la pena dell’aumento a titolo di continuazione

per i reati satellite in relazione alle droghe leggere come conseguenza della sentenza n. 32

del 2014 C.cost., che ha fatto “rivivere” un trattamento sanzionatorio più favorevole

rispetto a quello dichiarato incostituzionale ed alla base della quantificazione

concretamente operata (Sez. un. n. 22471 del 2015, Sebbar, cit.). E’ di quest’ultima

pronuncia che si intende trattare nella presente analisi, avuto riguardo però ad

un’affermazione importante in essa svolta dal punto di vista del diritto penale sostanziale

e per la stessa configurabilità del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, e non già alle

questioni riferite all’illegalità della pena, lasciate ad altra parte dedicata della Rassegna. Se

ne è inteso offrire comunque in questa sede sinteticamente una breve panoramica, al fine

di inquadrare il contesto di intervento delle Sezioni unite in un determinato momento

storico, caratterizzato dalle numerose conseguenze di una dichiarazione di

incostituzionalità tanto preannunciata da molti quanto intricata nei suoi risvolti di

carattere interpretativo, alcuni dei quali non immaginati.

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3.1. L’offerta di stupefacente e le condizioni per la sua configurabilità come

reato.

Le Sezioni unite, chiamate a risolvere la questione riferita alla pena illegale “da

incostituzionalità” ed alle sue conseguenze in tema di continuazione criminosa, hanno

affermato che:

-la condotta criminosa di “offerta” di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento

in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente

dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata

ad una effettiva disponibilità, sia pure non attuale, della droga, per tale intendendosi la

possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con

modalità che “garantiscano” il cessionario (Rv. 263716).

Per arrivare a tali conclusioni, sintetizzate chiaramente nel principio formulato nella

massima sopra riportata, il supremo collegio di legittimità, respingendo il motivo

formulato con riferimento alla riqualificazione operata dal giudice d’appello di una

condotta di “cessione” di sostanza del tipo hashish in una condotta di “offerta” dello

stupefacente – offerta della quale si lamentava la mancanza del carattere di “effettività” e

l’insufficienza di quello di “credibilità” utilizzato nella sentenza di merito -, ha distinto

l’ipotesi di condotta integrata dall’offerta da quella della semplice promessa (in quanto

quest’ultima si caratterizza per essere incerta uro quando). Inoltre, si mette in risalto come

non possa pretendersi, al fine di ritenere sussistente la condotta individuata come

“offerta”, che l’offerente abbia presso di sé lo stupefacente, in quanto in tal caso,

evidentemente, si integrerebbe la condotta di detenzione. La “lunga e dettagliata”

elencazione di condotte dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 viene spiegata dalle Sezioni unite

con la volontà legislativa di “coprire” (ed equiparare) tutti quei comportamenti che,

direttamente o indirettamente, possano consentire, favorire, stimolare, permettere o

indurre il commercio e l’uso delle droghe. Tale ottica spiega e giustifica l’equiparazione di

condotte obiettivamente diverse e la “omologante anticipazione della soglia di punibilità”,

in base alla quale sono punite allo stesso modo attività obiettivamente preparatorie (si fa

l’esempio della coltivazione e della raffinazione) e attività che segnano tappe ben più

avanzate nell’iter criminis (vendita, cessione). Da tali considerazioni, la pronuncia Sebbar

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ricava il principio secondo cui non occorre, come invece ritenuto dal ricorrente, che

l’offerta sia “effettiva”, se con tale termine si vuole intendere – appunto – la possibilità di

consegnare illico et immediate “la merce”, essendo sufficiente che l’offerente ne abbia la

disponibilità (non necessariamente fisica), vale a dire possa procurarsela e smistarla o farla

smistare in tempi ragionevoli e con modalità che “garantiscano” il cessionario. Nel caso in

esame, le Sezioni unite richiamano la chiara prova (anche “sostanzialmente confessoria,

per avere il ricorrente ammesso di essere stato “intermediario” per l’acquisto di

stupefacenti in alcune delle occasioni contestate) che l’imputato fosse ben consapevole di

come, dove e quando procurarsi la sostanza che si impegnava a consegnare a terzi.

Val la pena rimarcare, infine, come le Sezioni unite confermino, con la loro

autorevolezza, un orientamento interpretativo abbastanza consolidato in tema di

condizioni per la configurabilità della condotta di offerta di stupefacenti prevista tra le

molteplici ed alternative dell’art. 73 t.u.s.: tra le più recenti, si richiamano Sez. VI, 16

settembre 2014, n. 39110, Bonanno, Rv. 260463; Sez. VI, 22 maggio 2012, n. 36818,

Amato, Rv. 253348; Sez. I, 25 marzo 2010, n. 29670, Buffardeci, Rv. 248606;

precedentemente, di interesse è la pronuncia conforme Sez. IV, 17 giugno 2003, n. 34926,

Carta, Rv. 226229, nonché Sez. VI, 16 marzo 1998, n. 5954, Casà, Rv. 211728, che aveva

segnalato come, per integrare l’ipotesi della “offerta” (o della “messa in vendita”) non si

richieda l’accettazione della offerta (altrimenti, essendo subentrato il consenso, si

ricadrebbe nella ipotesi della cessione), bensì, in tale ultimo caso, il reato si perfezioni a

carico del solo offerente al momento della semplice manifestazione della sua disponibilità

di procurare ad altri droga, a condizione che si tratti di un’offerta collegata a una effettiva

disponibilità, sia pure non immediata, della droga da parte dell’agente. Del resto, le Sezioni

unite rammentano che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il reato di

intermediazione nella cessione o di concorso nell’altrui offerta in vendita di sostanza

stupefacenti, nella forma consumata, l’accordo a fungere da depositario della sostanza da

smistare successivamente a terzi, risultando indifferente se materialmente la sostanza

stupefacente sia o meno pervenuta (così, Sez. I, 8 giugno 2011, n. 30288, Rexhepi, Rv.

250798; nello stesso senso, recentissima, Sez. III, 12 maggio 2015, n. 38535, Di

Martino, Rv. 264633).

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L’opzione interpretativa nella quale si iscrive la sentenza Sebbar, chiarendola con

ulteriori ed utili precisazioni, appare, peraltro, del tutto in linea con le ragioni

incriminatrici alla base della disposizione di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come

non hanno mancato di sottolineare le Sezioni unite.