Nel Ventre Del Mostro Di Angela Davis

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Nel ventre del mostro di Angela Davis mostro.htm[04/11/2014 19:35:29] Nel ventre del mostro di Angela davis Prefazione Dopo aver molto parlato di Angela Davis quando comparve sulla lista delle dieci persone più ricercate degli Stati Uniti e nei giorni che seguirono il suo arresto, la stampa del "sistema" delle due rive dell'Atlantico si è sforzata di passare tutto sotto silenzio. Solo la stampa di sinistra ha parlato di quest'affare dopo parecchi mesi e gli articoli non hanno sempre contribuito a chiarire i dati che si hanno di questo che può essere già definito il "caso Davis". Sono stati, a quanto mi risulta, proprio alcuni americani progressisti i primi che nei loro giornali hanno tracciato un paragone tra Angela Davis e il capitano Dreyfus. Angela Davis è perseguitata "in nome dell'ordine, contro la verità e la giustizia": secondo le parole di Léautaud, perseguitata da quell'America il cui ordine è quello dei razzisti che opprimono le minoranze nere, messicane, indiane, portoricane. Angela Davis è braccata anche perché, in quanto comunista, combatte questo "ordine" e propone altre scelte. I partigiani dell'ordine utilizzano per distruggerla il razzismo e l'anticomunismo viscerale, così come lo stato maggiore utilizzò l'antisemitismo e la xenofobia contro il capitano Dreyfus. Ma il parallelo finisce qui. Alcuni increduli hanno sostenuto che se Dreyfus non fosse stato Dreyfus, sarebbe stato antidreyfusardo. Ribaltando la frase si può dire che, se Angela Davis non fosse ciò che è, non vi sarebbe un "caso Davis". Per questo è lei stessa che conduce la sua difesa. Avocando a sé il diritto di difendersi, Angela rende manifesto il significato politico della lotta che conduce. Dappertutto nel mondo sono apparsi comitati per la difesa e la liberazione di Angela Davis e lei stessa coordina la azione di questi comitati. Infatti come ella spiega nell'intervista al Muhammad Speaks, riportata nel presente libro, Angela Davis è un'organizzatrice e vuol fare del suo processo un elemento d'organizzazione. Sotto tale aspetto, ella piuttosto ci rammenta Gheorghi Dimitrov che nel processo degli incendiari del Reichstag a Lipsia nel 1933, prendendo egli stesso la sua difesa, si trasformò da accusato in accusatore. Ed essere nella Germania nazista bulgaro e comunista non era pia favorevole all'accusato dell'essere "negra" e comunista nella California di Reagan. (1) Comunque, se la Germania nazista non ha impedito a Dimitrov di formulare da sé la sua difesa, non va allo stesso modo per Angela Davis. Accade che in California se un accusato vuoi difendersi da sé debba esserne autorizzato dal tribunale. Bobby Seale, dirigente del movimento delle Pantere nere, già una volta giudicato, non ottenne il diritto di difendersi e, avendo tentato di parlare, fu fatto incatenare ed imbavagliare dal presidente del tribunale, per insolenza. Dopo l'attentato ad Hitler del 20 luglio 1944 gli accusati comparvero davanti al sinistro Freisler senza cintura né bretelle né bottoni ai pantaloni. Un film dell'epoca ci permette di vedere Freisler che gesticola davanti agli accusati già condannati. Doveva spettare alla libera America di darci lo spettacolo di un accusato incatenato ed imbavagliato, che si sente condannare al carcere a vita. Per questo è importante la battaglia che Angela Davis conduce per avere il diritto di partecipare alla propria difesa: se un diritto così elementare le viene riconosciuto ciò sarà di grande aiuto per gli altri prigionieri politici neri d'America. Altrimenti l'America dell'"ordine" e di Reagan dovrà assumersi la vergogna di giudicare una donna incatenata ed imbavagliata. Ma chi è questa donna che minaccia la libera America, questa donna che fu sospesa dall'insegnamento all'università di California su richiesta di Reagan e riammessa dopo una sentenza che dichiarava incostituzionali i motivi addotti per rompere il suo contratto? Cercare di rispondere a tale domanda è ancora difficile. Poco dopo il

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Il "caso" estremamente attuale di Angela Davis, intellettuale, docente universitaria, militante comunista nera d'America, imprigionata sotto l'accusa di complicità nel sequestro e nell'uccisione del giudice Haley, ha assunto un valore emblematico della lotta violenta e manifesta all'interno della roccaforte dell'imperialismo americano.

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Nel ventre del mostro di Angela Davis

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Nel ventre del mostrodi Angela davis

Prefazione

Dopo aver molto parlato di Angela Davis quando comparve sulla lista delle dieci persone più ricercate degli Stati Uniti e nei giorni che seguirono il suo arresto, la stampa del "sistema" delle due rive dell'Atlantico si è sforzata di passare tutto sotto silenzio. Solo la stampa di sinistra ha parlato di quest'affare dopo parecchi mesi e gli articoli non hanno sempre contribuito a chiarire i dati che si hanno di questo che può essere già definito il "caso Davis". Sono stati, a quanto mi risulta, proprio alcuni americani progressisti i primi che nei loro giornali hanno tracciato un paragone tra Angela Davis e il capitano Dreyfus. Angela Davis è perseguitata "in nome dell'ordine, contro la verità e la giustizia": secondo le parole di Léautaud, perseguitata da quell'America il cui ordine è quello dei razzisti che opprimono le minoranze nere, messicane, indiane, portoricane. Angela Davis è braccata anche perché, in quanto comunista, combatte questo "ordine" e propone altre scelte. I partigiani dell'ordine utilizzano per distruggerla il razzismo e l'anticomunismo viscerale, così come lo stato maggiore utilizzò l'antisemitismo e la xenofobia contro il capitano Dreyfus. Ma il parallelo finisce qui. Alcuni increduli hanno sostenuto che se Dreyfus non fosse stato Dreyfus, sarebbe stato antidreyfusardo. Ribaltando la frase si può dire che, se Angela Davis non fosse ciò che è, non vi sarebbe un "caso Davis". Per questo è lei stessa che conduce la sua difesa. Avocando a sé il diritto di difendersi, Angela rende manifesto il significato politico della lotta che conduce. Dappertutto nel mondo sono apparsi comitati per la difesa e la liberazione di Angela Davis e lei stessa coordina la azione di questi comitati. Infatti come ella spiega nell'intervista al Muhammad Speaks, riportata nel presente libro, Angela Davis è un'organizzatrice e vuol fare del suo processo un elemento d'organizzazione. Sotto tale aspetto, ella piuttosto ci rammenta Gheorghi Dimitrov che nel processo degli incendiari del Reichstag a Lipsia nel 1933, prendendo egli stesso la sua difesa, si trasformò da accusato in accusatore. Ed essere nella Germania nazista bulgaro e comunista non era pia favorevole all'accusato dell'essere "negra" e comunista nella California di Reagan. (1) Comunque, se la Germania nazista non ha impedito a Dimitrov di formulare da sé la sua difesa, non va allo stesso modo per Angela Davis. Accade che in California se un accusato vuoi difendersi da sé debba esserne autorizzato dal tribunale. Bobby Seale, dirigente del movimento delle Pantere nere, già una volta giudicato, non ottenne il diritto di difendersi e, avendo tentato di parlare, fu fatto incatenare ed imbavagliare dal presidente del tribunale, per insolenza. Dopo l'attentato ad Hitler del 20 luglio 1944 gli accusati comparvero davanti al sinistro Freisler senza cintura né bretelle né bottoni ai pantaloni. Un film dell'epoca ci permette di vedere Freisler che gesticola davanti agli accusati già condannati. Doveva spettare alla libera America di darci lo spettacolo di un accusato incatenato ed imbavagliato, che si sente condannare al carcere a vita. Per questo è importante la battaglia che Angela Davis conduce per avere il diritto di partecipare alla propria difesa: se un diritto così elementare le viene riconosciuto ciò sarà di grande aiuto per gli altri prigionieri politici neri d'America. Altrimenti l'America dell'"ordine" e di Reagan dovrà assumersi la vergogna di giudicare una donna incatenata ed imbavagliata. Ma chi è questa donna che minaccia la libera America, questa donna che fu sospesa dall'insegnamento all'università di California su richiesta di Reagan e riammessa dopo una sentenza che dichiarava incostituzionali i motivi addotti per rompere il suo contratto? Cercare di rispondere a tale domanda è ancora difficile. Poco dopo il

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suo arresto la rivista Newsweek pubblicò un lungo articolo con le fotografie di Angela Davis adolescente e poi adulta, senza dare alcuna spiegazione di come la ragazzina dalle trecce ribelli fosse diventata ribelle all'ordine americano. È a lei stessa che bisogna porre la domanda: è l'esperienza del razzismo criminale che l'ha condotta a mettere sotto accusa la società in cui vive. Angela proveniva da un gruppo di popolazione che poteva vivere in modo relativamente agiato. Eldridge Cleaver le ha rimproverato di non essere nata nei ghetti, ma ciò non ha messo al riparo dall'assassinio alcuni suoi amici, uccisi con una bomba mentre erano in chiesa. Malgrado ciò, mentre molti intellettuali bianchi e neri si contentano di una critica lucida e violenta della società nella quale vivono, Angela Davis ha cercato delle soluzioni, cioè un metodo d'azione. Tale ricerca fu lunga e, sebbene non sia del tutto conosciuta, sembra che in parte fu discontinua. Resta il fatto che alla fine di questa ricerca Angela Davis ha aderito al Partito comunista degli Stati Uniti, mentre nello stesso tempo, come filosofo, praticava il metodo marxista. Le conferenze del primo corso universitario, che si trovano anch'esse nel presente volume, sono, malgrado il loro aspetto accademico ed austero, estremamente significative. Angela Davis afferma validamente la necessità dello studio dialettico della libertà, e per un altro verso quella di uno studio oggettivo dell'apporto dei neri alla civiltà americana. Questo secondo studio è ancora per ragioni razziali allo stato embrionale ma Angela Davis apre le porte, con quel suo primo corso, a ricerche nuove e feconde. Mi hanno raccontato (ma non l'ho potuto verificare) che alcuni poliziotti sono stati inviati a seguire i corsi di Angela Davis, per sapere se faceva propaganda comunista. Se l'aneddoto è vero, la polizia degli Stati Uniti ha potuto apprendere che esiste un contributo nero legato ad un movimento dialettico che si rifà ad Hegel che aveva tracciato lo schema del rapporto tra padrone e schiavo. Tutto ciò non corrisponde affatto agli stereotipi del "comunista", quali sono suggeriti al museo del FBI a Washington, e se il poliziotto di servizio è veramente esistito mi piace credere che le sue convinzioni ne siano uscite scosse. Noi dedichiamo le pagine che seguono all'immagine di un'intellettuale militante e di una americana nera. La sua lotta è un aspetto della lotta di tutti i neri e di tutti i progressisti americani che sono stati ridotti al silenzio dai Nixon, dai Reagan e dalla loro stampa. Oggi, grazie ad Angela Davis ed ai suoi amici, un'altra voce ci parla dagli Stati Uniti e questa voce non è quella della maggioranza silenziosa, di cui Nixon pretende di essere il portavoce; è la voce che sale dai ceppi e dalle catene e parla di un futuro in cui Bobby Seale, Ericka Ruggins, Ruchell Magee, i Fratelli di Soledad, i loro fratelli, le loro sorelle imprigionati e Angela Davis saranno liberi.

Jacques Hily

Ufahamu (2)

Ad Angela Davis che, per aver lottato con le sue idee contro l'ingiustizia, è accusata di azioni non commesse.

Pensiero

Trovate quanto la gente è pronta a sopportare e avrete trovato il limite esatto di tutte le ingiustizie.

Andando oltre, l'ingiustizia suscita

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crisi o azioni di rivolta, o entrambe le cose. I tiranni non conoscono altri limiti alla loro

tirannia che la sopportazione di coloro che opprimono.

(F. Douglass, 1849)

Biografia politica

Nella nostra epoca in cui la lotta per la difesa dei diritti umani è un atto rivoluzionario, va abbandonata la falsa distinzione tra "vita individuale" e "vita politica". Solo alla luce di questa constatazione si può completamente comprendere la vita di Angela Davis perché, come ella stessa ha detto, la lotta di un vero rivoluzionario si attua "nella fusione di ciò che è personale con ciò che è politico, quando non è possibile tracciare una separazione". L'aspetto più profondo si raggiunge soltanto "quando non si considera più la propria vita individuale come realmente importante", quando la vita stessa comincia ad assumere importanza politica per gli altri, nella lotta comune per la libertà. "Io ho dedicata la mia vita a questa battaglia, ma la mia vita ne è parte integrante." Per comprendere la sua vita è dunque necessario comprendere la sua lotta. Angela Davis, che è stata educata nel Sud, a Birmingham, nacque nel mezzo di questa lotta. Ella è cresciuta all'interno di una generazione di neri che avevano rischiato la loro vita all'estero combattendo contro il fascismo con il solo risultato, una volta rimpatriati, di ritrovarsi vittime dello stesso tipo di mentalità. Essi ritrovarono un Sud dove il razzismo era "la verità di Dio" e la segregazione "il modo di vita americano". E fu nel Sud che Angela come molti altri neri cominciò la sua presa di coscienza. Ella vide i simboli della legge e dell'ordine incarnati da uomini come George Wallace e Bull Connor; vide anche le croci di fuoco del vecchio Sud e le torture a base di scariche elettriche del moderno Sud. Contemporaneamente si andavano formando tra la gente della sua generazione i primi segni di una nuova resistenza. Ella si unì a questa resistenza, manifestando davanti ai luoghi pubblici interdetti ai neri, partecipando a campagne per l'iscrizione sulle liste elettorali, promuovendo gruppi di studio con i bianchi. Questi primi anni furono densi di nuove speranze e di vecchi timori. Angela abitava a Dynamite Hill (collina della dinamite) ove le famiglie dei neri vivevano nel continuo terrore di rappresaglie razziste. Ella ha scritto: "Ormai ogni notte sento i terroristi bianchi collocare le bombe vicino alla casa, tutte le volte c'è la possibilità che tocchi a noi". È l'atmosfera di Birmingnam della sua giovinezza che le ritornò brutalmente alla memoria durante quei giorni d'incubo del 1963 nei quali quattro bambine nere furono uccise in una chiesa di Birmingham. Angela conosceva le bambine e le loro famiglie e come altri a Birmingham sapeva chi erano gli assassini. Resta sottinteso che non ci furono arresti. Non meraviglia che ella abbia potuto scrivere ad un amico del nord alcuni anni dopo: "Poliziotti armati sorvegliano continuamente la nostra casa, può darsi che non lascerò Birmingham viva ".

A quindici anni lasciò Birmingham. Aveva vinto una borsa di studio di una fondazione quacquera per un liceo di New York. Malgrado la sua viva intelligenza dovette studiare molto più di tutti gli altri studenti per compensare le carenze dell'istruzione di secondo ordine che aveva ricevuto nel Sud nelle scuole riservate ai negri. Alla fine dell'ultimo anno aveva tanto progredito da ricevere una borsa di studio per l'università di Brandeis, dove Angela entrò per la prima volta nel mondo dei bianchi, nel quale in quanto nera si trovava messa in evidenza. L'"essere neri" non aveva nessuna importanza i per i suoi amici bianchi e liberali, ma il risvolto di questa verità non era meno pesante per lei. Se per i suoi amici essere neri non aveva nessuna importanza ne aveva invece enormemente per lei. A Brandeis si consacrò interamente agli studi, superando l'esame di diploma con il massimo dei voti e il "magna cum laude".

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Per due anni studiò poi a Parigi alla Sorbona dove incontrò studenti algerini che le parlarono della lotta del loro paese per la liberazione dai colonialismo francese. Ella poté vedere la polizia francese che costantemente arrestava, perquisiva e vessava gli studenti algerini o tutte le persone "dal colorito scuro" sospettate di essere algerine per il solo fatto che volevano l'indipendenza del loro paese. La Davis cominciò i suoi studi di filosofia con il professor Herbert Marcuse che era fuggito dalla Germania in seguito alla persecuzione nazista e attraverso il suo insegnamento scoprì nella filosofia marxista lo strumento metodologico per comprendere l'oppressione di cui sono vittime i neri. Cambiò allora d'orientamento, si preparò al dottorato in filosofia, continuando i suoi studi ad Amburgo all'università Goethe, grazie ad una borsa di studio del governo della Germania Ovest. Contemporaneamente militò nel SDS, gruppo socialista di studenti che organizzava manifestazioni contro la guerra nel Vietnam. Cominciò intanto a lavorare alla sua tesi: Il concetto filosofico di libertà in Kant ed i suoi rapporti con la lotta di liberazione dei neri. Dopo due anni di studi decise di lasciare la Germania, sia per fuggire dalla Germania razzista sia perché le sembrava di tenersi troppo in disparte nella battaglia dei suoi fratelli neri d'America. Ritornò per partecipare a questa battaglia. S'iscrisse all'università di San Diego in California per terminare il suo dottorato con il professor Marcuse. All'università Angela partecipò attivamente alla vita della comunità nera della California del Sud, organizzando la lotta contro la disoccupazione e le brutalità della polizia e lavorando parimenti nel "campus" per la creazione di un istituto popolare del terzo mondo. Ella si rese conto da quel momento che attività simili non restano a lungo impunite in una società razzista ed oppressiva. L'uccisione per opera della polizia di Los Angeles di Gregory Clark, di diciotto anni, le mostrò ancora una volta i metodi fascisti dei poliziotti dello Stato. Tali metodi divennero moneta corrente nel tentativo di impedire il progresso della lotta per l'uguaglianza e la libertà. In quell'anno, però, doveva ancora vedere tre dei suoi amici abbattuti sul "campus" di San Diego. Furono giorni di lotta e di pericolo. Partecipare alla lotta non era solo un semplice "impegno intellettuale", significava mettere in gioco la propria vita. Poco dopo Angela aderì al partito comunista e divenne un membro attivo del gruppo Che-Lumumba, collettivo del partito comunista di Los Angeles, composto interamente di neri. Certi professori si concedono il lusso di "distrarsi", di giocare con le idee, altri, che prendono il loro compito con serietà, si rifiutano di affermare cose a cui non credono. È il caso di Angela. Ella difese le idee di cui era convinta. Per tali ragioni, dopo essere stata nominata professore di filosofia a San Diego per i corsi del 1969, quando fu denunciata come comunista da un informatore del FBI, ella rispose al consiglio d'amministrazione dell'università della California: "Sì, sono comunista; e non mi servirò della procedura dei cinque emendamenti per proteggermi. Le mie convinzioni politiche non possono accusarmi, esse accusano i Nixon, gli Agnew e i Reagan". (3) E insistette a sottolineare che quegli uomini sono i veri criminali della società, uomini che hanno rubato al popolo le sue ricchezze con lo sfruttamento e l'oppressione. Angela sapeva che, allorché le masse popolari neg1i Stati Uniti e negli altri paesi mettono sotto processo, tale stato di cose, gli oppressori replicano con un'intensificazione della repressione; facendo di tutto per ridurre al silenzio e possibilmente per sopprimere quelli che prendono posizione e cercano di organizzarsi contro il loro sistema. Ma, a dispetto di ogni circostanza, ella si fece comprendere. L'esempio di questa donna nera, che riconosce con fierezza di essere comunista, rivoluzionaria, che sfida apertamente il capitalismo, ispirò e riempì di fierezza quelli che per troppo tempo avevano taciuto. Ella stava diventando il simbolo della libertà di parola e della resistenza aperta, ciò che Reagan ed i suoi complici non potevano più tollerare. Così cominciò il complotto per ridurla al silenzio, gli imbrogli legali, l'atmosfera di linciaggio, l'uso intimidatorio e palese della forza. Dapprima si tentò di escluderla dall'università perché era comunista, ma quando i tribunali decretarono che questo provvedimento era anticostituzionale, si dovettero cercare altri mezzi. Nel frattempo Angela continuò ad insegnare all'università. I suoi corsi sui temi filosofici della letteratura nera furono i più frequentati nella storia di quella università. Preparava i suoi corsi con la più grande cura dedicando ad essi il suo tempo ed il suo sapere senza risparmio. Quando alla fine de1l'anno i suoi corsi furono giudicati da centinaia di studenti, tutti senza eccezione formularono il giudizio di "eccellente". Fu anche invitata a tenere conferenze presso gli istituti di filosofia di Princeton, Vale, Swarthmore; ella rifiutò varie nomine presso istituti rinomati dell'est degli Stati Uniti, perché si sentiva parte integrante delle lotte che si svolgevano in California. All'inizio del 1970 Angela s'impegnò attivamente nella difesa dei fratelli di Soledad, tre prigionieri neri ingiustamente accusati di aver ucciso un guardiano della prigione. Nei suoi interventi sottolineava sempre il fatto che il 30% dei prigionieri era nero, mentre la gente di colore non rappresentava che il 15 per cento della

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popolazione, e ne deduceva come ciò indicasse chiaramente il razzismo del sistema giudiziario americano. Non poteva accettare che uno per uno i militanti politici, soprattutto i membri del partito delle Pantere nere, fossero uccisi ed imprigionati col pretesto del mantenimento dell'ordine e della difesa delle leggi. Ovunque ella prendesse la parola metteva in evidenza l'intensificarsi del terrore poliziesco e della repressione, ribadendo ininterrottamente che la perdita del lavoro che lei aveva subito non era molto rispetto alla perdita della vita da parte di tanti neri. Durante la lotta in favore dei fratelli di Soledad, Angela fece la conoscenza di Jonathan Jackson, fratello di uno degli avvocati degli accusati. La vita di Angela era seriamente minacciata: Jonathan Jackson ed i membri del gruppo Che-Lumumba la protessero impedendo che le minacce si potessero realizzare. Dato che ella si rifiutava di tacere e continuava a denunciare l'intensificarsi della repressione nello Stato della California, organizzando il popolo contro la minaccia dell'instaurazione del terrore poliziesco, Reagan cercò ancora una volta di toglierle il lavoro. Nel mese di giugno Angela fu di nuovo privata della cattedra dal consiglio d'amministrazione dominato da Reagan. Questa volta la ragione addotta era la sua opposizione attiva e la sua continua denuncia della politica di genocidio praticata dal governo. Coloro che avevano accettato che fosse esclusa dall'insegnamento per aver appartenuto al partito comunista cominciarono ad esitare. Poteva perdere il suo lavoro unicamente per aver utilizzato la libertà di parola garantita dalla Costituzione? Quale precedente poteva venirsi a creare? L'esclusione di Angela a opera di Reagan arrivava troppo tardi per arrestare una campagna di massa in sua difesa. Angela Davis era divenuta il simbolo della resistenza aperta e coraggiosa. Ella cristallizzava un sentimento di rivolta contro l'oppressione, contro la limitazione dei diritti civili e dei diritti dell'uomo. L'unico risultato della sua esclusione fu di demistificare la situazione. La Costituzione apparve come un documento trascurabile di fronte al volere dispotico dei capi che detengono il potere. Dato che togliere il lavoro ad Angela non era sufficiente per farla tacere, Reagan cercò un nuovo mezzo per eliminarla. Egli approfittò di ciò che era accaduto al tribunale di San Raphael per accusarla. Utilizzando la più vaga e la meno fondata delle accuse, cioè la partecipazione diretta non al fatto ma al "complotto", egli cercò di mettere fine alla vita di Angela. Ne seguì la caccia all'uomo più forsennata nella storia del paese. Una giovane nera, mai arrestata prima, mai accusata di aver commesso crimini diventava la terza donna della storia posta nella lista dei dieci criminali più ricercati. Porla su tale lista, ove la si descriveva come "armata pericolosa", equivaleva a dare a tutti coloro che erano accecati dal razzismo il diritto di spararle a vista, senza alcuna intimazione. Questa persecuzione servì come pretesto per perquisire le abitazioni dei militanti e i locali delle organizzazioni politiche, per cercare d'intimidire e vessare coloro che condividevano le convinzioni politiche di Angela. Mentre era detenuta nella prigione femminile di New York e lottava contro il tentativo di estradizione in California dove era accusata di rapimento, omicidio e complotto, Angela fu separata dalle altre detenute, isolata nella "infermeria speciale", sorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro. Secondo i metodi tradizionali usati verso i detenuti politici, i suoi guardiani l'avevano privata di ogni contatto con gli altri detenuti, perché temevano che anche in prigione potesse diffondere le sue idee, temevano la potenza delle sue convinzioni. E mentre era confinata in solitudine, i suoi accusatori tentavano costantemente di giudicarla e di dichiararla colpevole di fronte all'opinione pubblica, usando i grandi mezzi di informazione. Richard Nixon si congratulò con J. E. Hoover per la sua cattura in una trasmissione televisiva diffusa in tutto il paese, dichiarando che il suo arresto sarebbe servito da esempio "a tutti gli altri terroristi". Un processo intentato dalla National Conference of Black Lawyers (Associazione nazionale degli avvocati neri), manifestazioni di massa, migliaia di lettere e di telegrammi permisero di riportare una prima vittoria: un decreto del giudice Lasker permise ad Angela di avere dei contatti con gli altri detenuti. Così, una volta di più ci troviamo, secondo le parole di Angela, "davanti ad una scelta per la lotta di liberazione". Alcuni vogliono farci credere che la sua attività politica sia il frutto di una curiosità sviata o puramente intellettuale. Ma, come abbiamo visto, l'impegno politico di Angela trae le sue origini dal sangue che nella sua infanzia ha visto bagnare le terre del Sud, dall'alienazione che ha sofferto per il fatto di essere la sola nera utilizzata come un'attrazione, in un'università interamente composta di bianchi, dalle umiliazioni quotidiane dovute al fatto di essere una donna. Le sue convinzioni sono il risultato di una resistenza continua all'ineguaglianza, di una ricerca costante per una soluzione adeguata ai problemi della nostra società: il razzismo, lo sfruttamento, l'oppressione; il suo rifiuto di essere ridotta al silenzio dalla violenza e dalla intimidazione. Di cosa Angela Davis è colpevole? Di essere il prodotto naturale d'una società basata sul razzismo, lo sfruttamento, la disumanizzazione. Di lottare per il socialismo. I suoi accusatori l'hanno chiusa in prigione perché hanno paura di ciò che ella afferma, di ciò che dichiara coraggiosamente e a sua piena discrezione. Ma visto che anche in prigione non la possono ridurre al silenzio, visto che le sue parole travalicano facilmente quei muri, essi cercano con ogni mezzo di farla sparire.

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La soluzione finale: la morte.

Per lei la vita e la lotta costituiscono una entità inscindibile. Non soltanto nella dimensione delle idee, nella teoria astratta, ma nella brutale realtà dei fatti. Si accusa Angela per le sue convinzioni, per la sua esistenza. La sua vita è in gioco. Ma ella è innocente. Innocente dei crimini di omicidio e di rapimento. Il suo solo crimine è quello di amare l'umanità e di lottare a rischio della vita per 1a libertà di tutti. Liberate Angela! Liberate la nostra compagna! Liberate tutti i prigionieri politici.

Il Comitato newyorkese per la liberazione di Angela Davis

Bilancio giuridico di un processo politico (4)

...È notoriamente risaputo che Angela Davis non era presente il 7 agosto alla corte di giustizia della contea di Marin, al momento degli avvenimenti che causarono la morte del giudice Haley, della contea di Marin. Ed ella è nondimeno accusata di complicità nell'omicidio e nel rapimento. In California, come nella maggior parte degli Stati, la legge prevede che il complice sia considerato colpevole alla stessa stregua dell'autore o degli esecutori materiali del crimine. È considerato complice anche colui che sapendo di un crimine che sta per essere commesso ed avendo l'intenzione di parteciparvi non ha effettivamente preso parte al compimento effettivo del crimine. Ora, quando Angela comparve, tre settimane fa, davanti alla corte di Marin, il 5 gennaio, si alzò e fece la seguente dichiarazione: "Io dichiaro davanti a questo tribunale ed al mondo intero che sono innocente dei crimini di cui sono accusata". Alcuni di quelli che hanno conosciuto Angela, come l'ho conosciuta io, che sono tuttora suo amico, alcuni dì coloro che hanno studiato il resoconto ufficiale delle dichiarazioni fatte dai testimoni citati davanti alla grande giuria della contea di Marin, non possono dubitare un solo istante che questa dichiarazione di Angela non sia conforme a verità. Per ciò che concerne le dichiarazioni dei testimoni come sono riportate nel resoconto ufficiale mi permetto di fare il commento che segue. L'elemento indispensabile per stabilire la complicità è, non dimentichiamolo, il fatto di essere a conoscenza del crimine che si sta per effettuare e l'aver voluto prendere parte alla sua esecuzione. Ora la sola prova che lo Stato avanza per appoggiare l'accusa è che le armi, portate nel recinto del tribunale il 7 aprile da Jonathan Jackson, erano state comperate da Angela e ufficialmente registrate a suo nome, come vogliono la legge federale e la legge della California. Si è prodotta una sola prova del fatto che Angela fosse al corrente del crimine progettato e che avesse intenzione di parteciparvi? Neanche la minima prova. Piuttosto, dato che non si dovrebbe tener conto della sua personalità pubblica (ben conosciuta, dal momento che ella stessa ha dichiarato di essere membro del partito comunista e si è battuta per non perdere il suo posto), né della sua professione, né del fatto che le armi erano registrate a suo nome, resta solo che le armi furono portate ed utilizzate da Jonathan Jackson nel recinto del tribunale della contea di Marin; ora questo fatto, lungi dall'essere una prova di colpevolezza per Angela, è invece una prova della sua innocenza. La sola ipotesi plausibile, tenuto conto di tutti questi elementi, è che il giovane Jackson, spinto all'esasperazione dall'evidente futilità e dal carattere interminabile della procedura legale con cui si negava la libertà a suo fratello George (5), si sia impadronito delle armi di Angela a sua insaputa, per lanciarsi in quel tentativo

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rischioso e assurdo che conosciamo. Un'altra considerazione s'impone. Si accusa Angela di complicità nell'uccisione del giudice Haley e si accusa parimenti Ruchell Magee, solo sopravvissuto dei quattro prigionieri di cui si occupava il giudice, come colui che ha tirato il colpo che causò la morte di Haley. Ma il resoconto ufficiale delle deposizioni fatte davanti alla giuria è manchevole di una parte: quella del medico che fu citato a deporre. Egli dichiarò che il giudice Haley aveva sul corpo due ferite e che ambedue potevano essere state fatali o lo sarebbero potuto diventare. L'una fu prodotta da un fucile da caccia, l'altra da una carabina o da un revolver. Conviene sottolineare che lo Stato non ha tatto ricorso ad un esperto di balistica. Nessuna prova è stata fornita per identificare le armi che hanno sparato i due colpi in questione. Ora è provato che i responsabili del mantenimento di ciò che comunemente si chiama l'"ordine" erano armati non solo di carabine e di revolver ma anche di fucili da caccia. Per un principio giuridico fondamentale in tutti i casi criminali, se lo Stato, essendo in possesso di prove, omette di farle valere, si deve concludere che queste prove una volta rese pubbliche siano contro la tesi dell'accusa e favorevoli a quella della difesa. Ciò va da sé. Noi siamo dunque in diritto di concludere che se lo Stato non fa appello ad un esperto di balistica vuol dire che i colpi che hanno ucciso il giudice Haley non furono sparati da Magee o da uno dei prigionieri ma dai responsabili incaricati (sedicenti incaricati) di far rispettare l'ordine e la legge. Se si trattasse di un processo penale ordinario si potrebbe senza tema di sbagliare presumere che verrebbe emessa una sentenza di assoluzione per mancanza di prove, non permettendo le prove a disposizione di stabilire validamente l'accusa contro Angela. Una richiesta per la cessazione del procedimento penale a carico di Angela Davis sarà presentata e difesa davanti al tribunale californiano il 4 marzo prossimo. Sì, se si trattasse di un processo ordinario si potrebbe sperare con molta più certezza che una condanna sarebbe impossibile, dato che le prove addotte non permettono di stabilire la colpevolezza con una certezza ragionevole, così come vuole la legge. Ma non si tratta di un processo ordinario. Si tratta di un processo politico. Oggi Nixon persegue l'escalation nella guerra del Sud-Est asiatico; tale strategia ha come corollario l'escalation della guerra contro le libertà civili negli USA. La lotta per la liberazione di Angela è la lotta contro queste due forme di escalation. Lo Stato della California, lo Stato di New York, le autorità di questi due Stati e quelle del governo federale hanno fatto tutto il possibile per creare un'atmosfera pregiudizievole per Angela Davis. Recitando con brio il ruolo ben conosciuto di bonario furbacchione, Nixon si è mostrato alla televisione per felicitarsi pubblicamente con il FBI per il suo bel lavoro, per aver catturato quella criminale estremamente pericolosa di Angela Davis. Dopo di che, avendo fatto di tutto per rendere impossibile un processo equo, ha avuto la faccia tosta di invitare alcuni intellettuali sovietici (sapendo bene che non l'avrebbero mai fatto) a venire a costatare che ella beneficiava del piu giusto dei processi. A questa atmosfera pregiudizievole, isterica, che i circoli direttivi del nostro paese cercano di creare contro Angela, si contrappone un immenso movimento popolare. In tutta la mia esperienza di giurista non ho mai visto un sostegno così ampio, fornito ad una causa, come quello che si manifesta in tutto il nostro paese e nel mondo intero per la causa di Angela. Sostegno che va da quello delle giovani dell'Unione cristiana fino ai movimenti di estrema sinistra. Il compito pressante che dobbiamo svolgere è quello di organizzare questo movimento, di sostenerlo, di utilizzarlo per fame un pugno d'acciaio capace di spezzare le barriere della prigione di Angela. Una forza capace di liberarla, di liberare i fratelli Berrigan, Bobby Seale, Ericka Huggins, e tutti i prigionieri politici.

Dichiarazione di Angela Davis davanti al tribunale

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Palazzo di giustizia della contea di Marin 5 gennaio 1971

Devo esporre alcune brevi considerazioni, ma, prima di ogni altra cosa, tengo a dichiarare davanti alla corte e agli abitanti di questo paese che io sono innocente di tutte le accuse presentate contro di me dallo Stato della California. Io sono innocente ed affermo che, di conseguenza, nessun atto criminale di qualunque tipo giustifica la mia presenza oggi davanti a questo tribunale. lo mi trovo qui vittima di una macchinazione politica che, lungi dal dimostrare la mia colpevolezza, accusa lo Stato della California come agente della repressione politica. Lo Stato della California rivela in effetti il ruolo che rappresenta utilizzando come prove contro di me la mia partecipazione alle lotte che conduce il mio popolo, il popolo nero, contro le molteplici ingiustizie sociali, utilizzando particolarmente la mia partecipazione al Comitato per la difesa dei fratelli di Soledad. Il popolo americano si era illuso nel credere fino ad ora che tale impegno fosse protetto dalla Costituzione. Per avere la certezza che queste questioni politiche non saranno distorte e snaturate, mi trovo costretta a prendere parte attiva alla mia difesa sia come accusata, sia come donna nera, sia come comunista. È mio preciso dovere aiutare coloro che sono direttamente implicati nel processo, come pure gli abitanti dello Stato della California, ed il popolo americano in generale, a capire quale è la base reale del problema. Ciò che si mette sotto accusa sono le mie convinzioni ed i miei interventi politici, la mia lotta quotidiana per combattere tutto ciò che concorre a paralizzare economicamente e politicamente l'America nera. Nessuno può parlare meglio di me delle mie convinzioni e delle mie attività politiche. Una giustizia che condanna virtualmente al silenzio la persona stessa che ha più da perdere sembra già contenere in sé i germi della propria distruzione. È decisivo ed importante per noialtri neri insorgere contro questa contraddizione del sistema giudiziario, poiché abbiamo accumulato una ricca esperienza storica che conferma come la bilancia della giustizia americana sia in grave squilibrio. Per aumentare le possibilità che mi si accordi un processo equo, cosa che per il momento non mi sembra si verifichi, è assolutamente necessario che io sia autorizzata a difendermi da me. Posso aggiungere che la mia richiesta non è senza precedenti sul piano giuridico. Se il tribunale non accoglie la mia richiesta e non mi include come co-difensore nel processo, si allineerà con le forze del razzismo e della reazione, che minacciano di far precipitare questo paese negli orrori del fascismo - e le numerose persone che hanno perduto gradualmente le proprie illusioni sul sistema giudiziario troveranno in tutto questo una ragione di più per rafforzare le loro opinioni e per pensare che non è più possibile essere giudicati equamente in America.

Tredici domande ad Angela Davis

Il Muhammad Speaks (6) raccoglie le risposte

Nel corso della sua prima intervista dopo l'arresto e l'incarcerazione, in seguito all'accusa di omicidio e complotto emanato in California. Angela Davis ha risposto alle domande che le sono state rivolte dalla popolazione di Harlem e che il Muhammad Speaks le ha trasmesso. Alcuni inviati del Muhammad Speaks hanno percorso le vie di Harlem e raccolto tra i neri, uomini, donne di tutti i

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ceti, studenti, disoccupati, le domande che avrebbero posto a Angela Davis se le avessero potuto parlare, per chiarirsi ciò che non comprendevano in tutta questa faccenda. Le domande che risultarono più frequenti furono presentate ad Angela dal suo avvocato, Margaret Burnham, che registrò le risposte in esclusiva per il Muhammad Speaks. Molte persone interpellate avevano espresso il desiderio di sentire Angela spiegare la situazione "nei suoi termini reali", in modo da contrapporli alle "conclusioni" della stampa ufficiale. Un gran numero di persone ha detto di non avere domande specifiche da rivolgere, visto che comprendeva perfettamente la natura della persecuzione che Angela subiva, ma voleva ugualmente inviarle auguri ed esprimere la propria solidarietà, il proprio incoraggiamento e la propria partecipazione. Gli stessi sentimenti furono ugualmente espressi da molti di quelli che hanno posto delle domande. Il corrispondente pensa che le domande raccolte nelle strade di Harlem siano le stesse che avrebbero posto la maggior parte dei neri, uomini e donne dell'intero paese. Le risposte di Angela Davis sono riprodotte qui in modo che possano essere conosciute per mezzo di un giornale nero e possano servire a demistificare le false impressioni suscitate dai servizi di Life, Newsweek, Time, New York Times, ecc. Ecco le domande rivolte dalla popolazione di Harlem ad Angela Davis, classificate per ordine di frequenza (la prima è quella più frequentemente posta, ecc.), e le sue risposte.

Perché è comunista? Prima di tutto io sono nera. Ho consacrato la mia vita alla lotta per la liberazione del popolo nero, il mio popolo asservito, imprigionato! Io sono comunista, perché il motivo per il quale noi siamo costretti con la violenza a vivere miseramente, ad avere il livello di vita più basso di tutta la società americana, è in stretto rapporto con la natura del capitalismo. Se noi riusciremo un giorno ad emergere dalla nostra oppressione, dalla nostra miseria, se riusciremo un giorno a non essere i bersagli di una mentalità razzista, di poliziotti razzisti, dovremo distruggere il sistema capitalistico americano. Bisognerà sopprimere un sistema nel quale si garantisce a qualche ricco capitalista il privilegio di continuare ad arricchirsi, mentre un intero popolo, costretto a lavorare per i ricchi, non può mai elevarsi in maniera sostanziale, e ciò vale soprattutto per i neri. Sono comunista perché credo che il popolo nero, il cui lavoro e il cui sangue hanno reso possibile edificare questo paese, ha diritto ad una gran parte delle ricchezze che hanno accumulato gli Hugh, i Rockefeller, i Kennedy, i Dupont, tutti gli strapotenti capitalisti bianchi d'America. Sono comunista perché penso che i neri non dovrebbero essere costretti a fare una guerra razzista e imperialista nel Sud-Est asiatico, dove il governo USA rifiuta con la violenza più inumana ad un popolo non bianco il diritto di autogovernarsi, esattamente allo stesso modo in cui, durante interi secoli, ha usato la violenza per sopprimerci. La mia decisione di iscrivermi al gruppo Che-Lumumba, collettivo nero militante del partito comunista, deriva direttamente dalla mia convinzione che la sola via per la liberazione di tutti i neri è quella del rovesciamento completo e totale della classe capitalista e di tutti i suoi mezzi di oppressione. Il compito del gruppo Che-Lumumba è di organizzare i neri in funzione dei loro bisogni immediati; ma, allo stesso tempo, di creare un'armata di combattenti per la libertà che rovesceranno i nostri nemici. Noi sappiamo che, per raggiungere questo scopo finale, dobbiamo unire le nostre forze a quelle degli elementi progressisti della popolazione bianca di America, che ha visto come noi la natura della bestia capitalista.

Perché non ha utilizzato l'organizzazione clandestina come R. Williams e E. Cleaver per sfuggire alla persecuzione?

All'inizio ero convinta che nel mio caso, d'accordo con Nixon e Reagan, J. E. Hoover avesse deciso di dare un esempio. Il FBI ha utilizzato per catturarmi delle considerevoli forze, molto più considerevoli di quanto non abbia l'abitudine di fare. Poiché si era talmente in. dirizzata l'attenzione del pubblico su di me e sulla mia presunta partecipazione agli avvenimenti di San Raphael, bisognava dimostrate all'opinione pubblica reazionaria di esser capaci di catturare i rivoluzionari neri. Nelle comunità nere di tutto il paese si arrestano centinaia di donne che mi rassomigliano. Hanno preso a sorvegliare in permanenza non soltanto la mia famiglia, i miei amici e compagni politici, ma anche conoscenti casuali, gente incontrata un giorno per caso e con cui non avevo più avuto alcuna relazione da più di dieci anni. Chiaramente mi si volevano sbarrare tutte le strade. Bisogna rendersi conto che io sono stata catturata all'improvviso. Non avevo alcun mezzo di prevedere che dovevo nascondermi per sfuggire alla cattura nell'agosto scorso. La mia fuga ha dovuto dunque essere completamente improvvisata. Non è stato certamente molto facile, dato che una mia foto era esposta in tutto il paese. Inoltre la stampa aiutava il FBI pubblicando ogni tipo di articoli e persino una cronaca. Non sono riuscita a non farmi catturare, ma bisogna tener presente una cosa: ci saranno altre storie fabbricate di sana pianta come la mia e noi saremo ancora obbligati a nasconderci. Il fatto che mi hanno catturata non significa

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però, assolutamente, che noi saremo tutti catturati. Essi hanno messo i loro cani alle mie costole; ma possono permettersi di farlo solo qualche volta: noi dobbiamo impedire di farci terrorizzare, perché tale è, chiaramente, il loro scopo. Inoltre, vista la repressione violenta che subiamo, dobbiamo programmare di mettere in piedi un'organizzazione efficiente, che permetta ai militanti neri ricercati dalla polizia di restare negli Stati Uniti e di continuare a lottare per la nostra liberazione.

Si dice spesso che lei è stata utilizzata dai comunisti, è possibile che sia cosi? Tutta la pubblicità più velenosa che tende a dire che io sono stata utilizzata dai comunisti non può essere che opera della fantasia dei nemici della nostra causa. Si dice che, poiché il partito comunista è venuto a difendermi, ciò significa che esso mi sfrutta e che addirittura il partito stesso abbia avuto qualcosa a che fare con il mio arresto. Coloro che credono a menzogne così evidenti sono stati terribilmente ingannati dalla cricca Nixon-Reagan, perché sono essi che utilizzano questi metodi così vili, per mettere in crisi la nostra lotta.Sono una comunista nera. Il governo corrotto di questo paese non può accettare una simile associazione. Per questo essi utilizzano gli avvenimenti di San Raphael per cercare di assassinarmi. Io sono membro del partito comunista, è compito dunque del partito venirmi a difendere. In più, servendosi del mio caso, il governo cerca di spingere più a fondo i suoi attacchi contro il popolo nero e di terrorizzarlo ancora di più, come ha già fatto nel caso di George Jackson, Huey Newton, Bobby Seale e Ericka Huggins, e in molti altri casi. Per questo il popolo nero deve mettere all'ordine del giorno il problema di organizzarsi, non solamente per la difesa dei prigionieri politici ma per la propria difesa.

A dispetto di tutto ciò che lei ha subito, le sue convinzioni per ciò che riguarda la causa del popolo nero sono rimaste immutate? Non vi è assolutamente nulla che mi possa impedire di lottare con tutte le mie forze per la libertà del mio popolo. Il fatto che sono stata arrestata non mi riduce a piangere, bensì mi fornisce ulteriori ragioni per essere forte e continuare la lotta. Mentre partecipavo alla lotta per liberare i fratelli di Soledad, mettevo i compagni in guardia dicendo che non aveva importanza quale di noi potesse diventare il prossimo bersaglio del governo, nella sua politica di repressione dei rivoluzionari neri. Molti di noi sono chiusi nelle prigioni, qui o negli altri Stati. Il 95 per cento delle detenute che sono qui nella prigione femminile (contea di New York) sono nere o portoricane. Io sono in mezzo al mio popolo e noi continueremo a lottare all'interno della prigione.

Come possono i non militanti aiutarla nella sua lotta? Sono stati creati dei comitati in tutti i paesi e nel mondo intero per costringere il governo a liberarmi. Hanno già avuto luogo manifestazioni, campagne di petizioni, movimenti di massa e campagne di stampa. Si sono intraprese tutte le azioni possibili. Suggerisco a tutti coloro che lo desiderano di mettersi in contatto con il Comitato newyorkese per la liberazione di Angela Davis, 29 W. 15 Str. N.Y. City o Donne nere per la liberazione di Angela Davis, 361 West 125 Str. N.Y. City o il Comitato di unione nazionale per liberare Angela Davis 4350 43 Str. Los Angeles California. Io penso che sia importante collegare la lotta per la mia liberazione alla lotta per liberare gli altri prigionieri politici neri. Affermo che la lotta che si conduce deve pretendere la liberazione di tutti i neri, uomini e donne, perché pochi di noi sono stati giudicati con giustizia. Non abbiamo certamente avuto dei giurati scelti tra di noi. Anche nel caso in cui fossi autorizzata a lasciare la prigione non mi considererei libera. La libertà diventerà una realtà quando noi, popolo nero, avremo soppresso i nostri nemici, quando avremo spezzato il giogo dell'oppressione e potremo liberamente costruire una società che rifletterà i nostri bisogni e le nostre aspirazioni. Io non sarò libera finché non sarà libero tutto il mio popolo.

Da quando lei è diventata comunista non ha mai dubitato che il partito possa aiutare il popolo nero? Il partito comunista dichiara che il popolo nero non solamente costituisce la parte più oppressa della popolazione degli Stati Uniti, ma anche che noi siamo in questo paese l'espressione della resistenza più combattiva. Noi siamo dunque, in quanto popolo nero, i leaders naturali di una rivoluzione il cui scopo finale è quello di rovesciare la classe dirigente americana e liberare tutte le masse del paese. I neri si devono liberare poggiando sulle proprie forze. Nella nostra lotta noi comprendiamo come il razzismo sia negativo in questo paese. Questa realtà l'abbiamo appresa al momento della lotta per i diritti civili, in cui molti bianchi dalle buone intenzioni perpetuavano il razzismo, adottando un atteggiamento di protezione, dicendo che essi dovevano "aiutare" noi altri neri, il che significava aiutarci nell'inutile impresa che consisteva nell'integrazione in una cultura destinata a morire.

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Il partito comunista riconosce la necessità per i bianchi, soprattutto per gli operai bianchi, di accettare il ruolo direttivo dei neri. Se essi dovranno un giorno liberarsi dalle loro catene capiranno che dovranno, prima di tutto, lottare contro ogni manifestazione di razzismo.

La maggior parte dei giornali dice che lei è fuggita dalla California perché era colpevole. Può chiarirci questo punto? Le voglio porre una domanda. Quando uno schiavo, che era riuscito a fuggire alla frusta e ai supplizi del suo padrone bianco, riparava in un altro Stato, era questa una prova della sua colpevolezza? Dopo che Ronand Reagan e le sue coorti fasciste ebbero lanciato una campagna per farmi rimuovere dal mio posto all'università di Los Angeles - non perché non avevo i titoli richiesti, ma perché semplicemente ero nera, comunista e mi ero dedicata alla lotta per la liberazione del mio popolo - come non avrei potuto comprendere che avevano deciso di assassinarmi? Dopo tutto avevano già fatto nascere un movimento reazionario contro di me per il posto che occupavo. L'anno scorso, non è passato un giorno senza che io non ricevessi minacce di morte sotto le forme più svariate. Il risultato dell'attività di Reagan fu che venni costantemente vessata dagli uomini da lui mandati a pattugliare la nostra comunità. Io fuggii perché ero convinta di avere pochissime possibilità di essere giudicata equamente in California. Aggiungerò che il Times di Los Ange1es, dopo aver interrogato la comunità nera della città, concluse che l'80 per cento di quelli che avevano interrogato trovavano giusto il fatto che io mi nascondessi. Perché il costituirmi significava mettermi direttamente nelle mani dei boia, dei boia del popolo nero in generale.

Se lei dovrà essere giudicata in California, pensa che sarà giudicata equamente? Il sistema giudiziario americano è corrotto. Per ciò che riguarda i neri, esso si manifesta come uno degli aspetti repressivi di un sistema che rende legale l'oppressione sistematica del nostro popolo. Noi siamo le vittime, non i protetti dalla giustizia. È chiaro che la democrazia in America è svilita e senza speranza, quando i tribunali, che presumibilmente dovrebbero garantire i diritti del popolo, sono stati coinvolti a partecipare attivamente alla guerra genocida contro il popolo nero. Noi dobbiamo respingere il presunto diritto dei tribunali di opprimerci ulteriormente. Il solo modo con cui possiamo ottenere giustizia è esigendola, e creando un movimento di massa che faccia intendere al nostro nemico che utilizzeremo tutti i mezzi a nostra disposizione per assicurare una vera giustizia al nostro popolo. È il solo modo con cui possiamo sperare di liberare tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle imprigionati nelle galere americane. È il solo modo con cui possiamo sperare di ottenere la liberazione finale.

Come è il suo morale? Con tutte le meravigliose sorelle che mi circondano e tutti i fratelli e le sorelle che lottano al di fuori, io non posso che sentirmi risoluta a continuare a lottare, cosi come lo ero quando fui arrestata. Ricevo ogni giorno centinaia e centinaia di lettere di simpatizzanti da tutto il mondo, che mi convincono dell'immensità dei consensi e degli appoggi che ho ricevuto dappertutto. La stampa non ha detto che, quando ho iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l'isolamento al quale mi avevano costretta, molti compagni lo hanno ugualmente iniziato, affiancandosi solidali alla mia protesta. Sono in prigione da più di due mesi, Huey fu incarcerato per due anni, Ericka Huggins, che conosco personalmente e che ammiro come una delle grandi figure del popolo nero di questo paese, è in prigione da due anni, come pure Bobby Seale. Quando provo ad immaginare ciò che George Jackson, uno dei fratelli di Soledad, ha dovuto sopportare in questi 11 anni, divenendo tuttavia un potente ed insigne dirigente del popolo, e quando penso a Jonathan Jackson ed a molti altri che hanno sacrificato la vita per la nostra lotta, mi sento riempire di tutta la forza necessaria per continuare a combattere.

Puo dirci come è trattata nel carcere femminile? Si tratta di una prigione e tutte le condizioni più spaventose che caratterizzano le galere americane sono presenti in questa. Piuttosto che parlare subito del trattamento particolare che subisco, vorrei raccontare quali sono 1e condizioni in cui siamo costrette a vivere. Tanto per incominciare, la prigione è immonda, infestata da scarafaggi e topi. Spesso troviamo nel cibo scarafaggi che sono stati cucinati con le vivande. Tempo fa una delle sorelle ha trovato nella minestra una coda di topo. Nei giorni scorsi capitò che mentre bevevo una tazza di caffè dovetti estrarre uno scarafaggio.

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Gli scarafaggi coprono letteralmente i muri delle nostre celle, la sera, e ci camminano sul corpo mentre dormiamo. Tutte le notti si sentono grida di prigioniere che si svegliano sentendo i topi che corrono sui loro corpi. Tra l'altro ne ho trovato uno nel mio letto, la notte scorsa. L'assistenza medica è spaventosa. I dottori sono razzisti ed assolutamente insensibili ai bisogni delle donne. Una sorella, la cui cella è nel mio stesso braccio, si è lamentata con il dottore di avere degli atroci dolori al seno. Il medico le ha consigliato di trovarsi un'occupazione, senza sognarsi nemmeno di visitarla. In seguito le è stato riscontrato un tumore al petto e ha dovuto essere ricoverata immediatamente. Questo caso esemplifica il modo con cui siamo trattate qui. Passiamo la maggior parte del tempo in celle immonde di 5 piedi per 9, col pavimento di cemento; o fuori, in corridoi nudi. Non abbiamo neanche il diritto di mettere sul pavimento, su cui dobbiamo sederci, delle coperte per ripararci dal freddo e dalla sporcizia. A proposito della biblioteca, esiste una collezione di storie, di avventure e romanzi che viene chiamata biblioteca. Bisogna tener presente che la popolazione della prigione è al 95% formata da nere e portoricane; ebbene io non ho trovato che 5 o 6 testi su argomenti riguardanti i neri, mentre i libri in spagnolo sono estremamente rari. Potrei continuare su tali argomenti ma preferisco parlare del trattamento particolare che mi è riservato. Sono convinta che le autorità della prigione hanno ricevuto istruzioni precise per rendermi la vita più dura possibile, in modo che mi rassegni a cessare di lottare contro la mia estradizione. Naturalmente, dopo che il tribunale ha dato loro torto ed hanno dovuto porre fine alla mia segregazione, essi cercano di affermare il loro potere in altra forma. A differenza delle altre detenute, che sono in attesa di giudizio, sono obbligata ad indossare l'uniforme della prigione, per rendermi più difficile la possibilità d'evasione. Essi rifiutano il consenso ai miei avvocati di darmi il materiale giuridico prima di averlo i letto, mostrando di non avere il minimo rispetto per il carattere confidenziale e riservato dei rapporti tra l'avvocato ed il suo cliente. Potrei continuare ad enumerare centinaia di piccole vessazioni, con cui hanno cercato di spezzare la mia resistenza, ma non farei che ribadire che nulla di ciò che possono fare intaccherà la mia risoluzione di continuare la lottai La sola cosa che lo potrà sarà la perdita della vita, ma se arriveranno a questo dovranno affrontare la collera del popolo. La stessa cosa vale per Ericka, Bobby, George, i fratelli di Soledad.

Come sono i suoi rapporti con le altre prigioniere? Io non ho mai ricevuto un'accoglienza così appassionatamente calda e cordiale. Ogni volta che vado da un braccio all'altro della prigione, le sorelle sollevano il pugno chiuso e mi manifestano la loro solidarietà. Mentre ero in segregazione le sorelle del mio stesso piano presero l'iniziativa di intraprendere manifestazioni in mio favore. Quando incominciai lo sciopero della fame molte di loro si unirono a me. Dopo che fui trasferita con le altre, alcune delle sorelle del mio piano, con cui avevo passato molto tempo, mi aiutarono a rispondere alle lettere che ricevevo dal di fuori. Esse furono immediatamente trasferite in un altro piano, ma abbiamo trovato ugualmente modo di comunicare. Ho già accennato allo stato della cosiddetta biblioteca. Dopo parecchie domande e discussioni, ho appreso che, se i libri venivano inviati direttamente dall'editore, potevo riceverli. Ora mi si è permesso di mettere insieme 5 di questi libri alla settimana. Le sorelle sono estremamente interessate a tutta la letteratura che ricevo, a tutta: dalle lettere dal carcere di George Jackson alle opere di Lenin. I libri circolano per tutto il piano e sono l'occasione di intense discussioni. Dato che le autorità di qui sono del tutto insensibili ai desideri dei prigionieri, spero che i fratelli e le sorelle da fuori prendano l'iniziativa di far dono alla biblioteca d'una letteratura appropriata.

Quali furono i suoi sentimenti quando apprese che risultava sulla lista delle dieci persone più ricercate dal FBI? Ero già convinta che la cricca Nixon-Reagan avrebbe utilizzato tutti i mezzi possibili per sopprimere quelli che dissentono. Essi usano tutti i mezzi in loro potere per estirpare da questo paese ogni attività rivoluzionaria. Il FBI sta rapidamente cercando di diventare una forza analoga alla squadra della morte in Brasile, usata dalla reazione contro i combattenti della libertà brasiliana. Mettendomi nella lista delle dieci persone più ricercate, presentandomi come una criminale pericolosa e incallita, essi mi condannavano sia ad essere uccisa sul posto che ad essere legalmente assassinata dai mastini di Reagan.

I suoi partigiani la chiamano "prigioniera politica". Molti non capiscono bene che cosa ciò voglia dire. Può spiegarlo? Sempre più frequentemente i neri sono incarcerati non perché abbiano commesso un crimine, ma per le loro opinioni politiche e per le azioni che intraprendono per condurre il nostro popolo a lottare per la libertà. Essi inventano false accuse; i processi completamente montati diventano sempre più frequenti. George Jackson fu arrestato 11 anni fa all'età di diciotto anni e fu riconosciuto colpevole d'aver rubato settanta

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dollari ad un impiegato di un distributore di benzina. È stato condannato ad una pena variabile da un anno a tutta la vita. Poiché era divenuto rivoluzionario e si era messo ad organizzare i suoi compagni di prigione, gli fu rifiutata la libertà provvisoria sotto cauzione d'anno in anno, finché l'anno scorso è stato implicato in un affare completamente montato, con altri due fratelli, John Clutchette I e Fleeta Drumgo, che avevano manifestato un grande interesse per le sorti del nostro popolo. George Jackson, John Clutchette e Fleeta Drumgo sono dei prigionieri politici. I loro crimini reali sono il fatto di essersi consacrati totalmente alla liberazione del popolo nero. Bobby Seale è un prigioniero politico. Ericka Huggins è un prigioniero politico. Martin Sostre è un prigioniero politico. Io sono una prigioniera politica. Il governo vuole impormi il silenzio per impedirmi di organizzare il nostro popolo, di rivelare in piena luce come questo sistema sia corrotto e degenerato, condannandomi in base ad un crimine con il quale non ho nulla a che vedere. I prigionieri politici sono mostrati come esempio al resto del mondo. George, John e Fleeta furono mostrati come esempio al resto del1a popolazione di Soledad, esempio che indicava in modo eclatante la sorte di tutti i prigionieri che avessero seguito la loro strada. Ed è lo stesso per Ericka, Bobby, i fratelli di Soledad, Martin Sostre, le pantere e me stessa. Il governo vuole terrorizzare il nostro popolo indirizzandoci verso la sedia elettrica, la camera a gas, e la prigione a lungo termine. Non vi è che un modo di liberare i prigionieri politici: bisogna che milioni di persone facciano sapere al governo che hanno intenzione di utilizzare tutte le armi di cui possono disporre, per assicurare la liberazione dei loro combattenti imprigionati e di conseguenza la libertà del popolo nero.

Le condizioni dei carcerati in California

Un articolo del San Francisco Chronicle

Ciò che vi è di più terribile in California sono le prigioni, e tra le prigioni quella che si chiama "centro di riabilitazione", eufemismo applicato ad un insieme di celle che, da che mondo è mondo, i prigionieri hanno denominato "il buco". Tim Findley, reporter del San Francisco Chronicle, descrive oggi come vanno le cose in queste gabbie raccapriccianti. Questo testo fa parte di una serie di articoli scritti da Charles Howe e Findley sulla vita "dietro le sbarre".

Dietro le sbarre: uomini senza speranza Il giovane prigioniero d'origine messicana, dallo sguardo tardo e fosco si staccò dal muro e si avvicinò con precauzione. "Sono i tuoi binocoli?" Domandò, estraendo per metà gli occhiali da sole dalla tasca del reporter. "Perché non ti levi di torno, pezzo di stronzo. Ma che ti credi di essere allo zoo?" Ed infatti è impossibile fermarsi davanti alle gabbie brulicanti del centro di riabilitazione della divisione O di Soledad, senza provare la sensazione che si tratti d'uno zoo. Più d'una volta del resto a Soledad "O" e in altre prigioni gli "educatori" avevano adoperato il termine di "animali" parlando degli ospiti del centro di riabilitazione. Ed infatti è impossibile non avere costantemente in mente che le bestie feroci, in un vero zoo, sono state meglio favorite dalla sorte. In California i responsabili del servizio carcerario hanno la sporca abitudine di adoperare termini presuntuosi per designare i più abietti trucchi. Le prigioni sono delle "case di correzione" ed i carcerieri "educatori". E quello che il personale ed i prigionieri chiamano "il buco" porta ufficialmente il nome di "centro di riabilitazione". In California le prigioni fanno pensare ai gironi discendenti dell'inferno dantesco. Il centro di riadattamento è

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decisamente vicino al fondo. Per arrivarci bisogna aver infranto la legge o in prigione aver commesso delle infrazioni al regolamento. Su 13 penitenziari esistenti nello Stato della California, 7 hanno centri di riabilitazione. Il numero dei prigionieri oscilla costantemente, ma si può dire che su 24.000 prigionieri dello Stato ce ne sono più di 600 "parcheggiati" in questi centri. Tutti i centri di riabilitazione hanno due punti in comune: 1) I privilegi generalmente accordati ai prigionieri, come il diritto al posto di ristoro, alla biblioteca, alla televisione, sono limitati o addirittura soppressi; 2 ) Gli uomini sono chiusi nelle celle continuamente, nella maggior parte dei casi 23 ore su 24

Istituzioni In certi penitenziari come il centro professionale di Deuell e la divisione X di Soledad i prigionieri del centro di riabilitazione hanno diritto a qualche ora di "laboratorio" - ciò consiste tutt'al più nel fare del disegno o nel fabbricare dei posacenere, ma è pur sempre una attività in qualche modo terapeutica. In certe prigioni, come Folsom e Saint-Quentin, i prigionieri del centro hanno il diritto di uscire un'ora al giorno dalla loro cella per fare del movimento. "Cosa credi che si faccia qui, compare? - mi ha detto un prigioniero: - Lo vuoi sapere veramente? Ci si masturba e come!" Ed un altro: "Qui dentro tutto diviene peggiore che altrove, tutto. Tu hai una inezia di discussione da niente con un minchioncello, e l'indomani, questo zozzo si mette in testa di farti fuori. È una distrazione, compare. Non si ha nient'altro da fare".

L'odio La violenza, l'odio, trasudano dai muri stessi in questi "buchi". "Nella divisione O (di Soledad) tu senti che non potrai conservare dei sentimenti." "Quando sei imprigionato nel "buco", ritorni a tutto ciò che c'è di più basso. Ciò fa riemergere tutto quello che potresti provare a reprimere se fossi in condizioni normali. E quando esci dal centro di riabilitazione, niente è più terribile che cercare di riadattarti alla routine della prigione." A Soledad, quest'anno ci sono stati quattro guardiani e un prigioniero che sono stati pugnalati nel centro di riabilitazione. In generale le celle del centro di riabilitazione misurano un metro e 80 per 2 metri e 70. Esse non sono molto più piccole delle celle dell'ala centrale. Per chiudere il lato che dà sulla prigione, la maggior parte di esse sono dotate di sbarre, rinforzate con una rete d'acciaio, per impedire che il prigioniero si sporga di fuori. Dall'altra parte c'è una porta d'acciaio massiccio, su cui è aperta una piccola finestra quadrata e una feritoia.

Il tempo Ci sono uomini che hanno passato degli anni in questo genere di cella. La divisione B di Saint-Quentin, per esempio, non è tecnicamente parlando un centro di riabilitazione del penitenziario. Serve per tenere i prigionieri che per le loro infrazioni alla disciplina rappresentano dei problemi. Può ben essere considerata la peggiore unità del sistema carcerario della California. Il sinistro edificio di 4 piani fa pensare ad una gabbia di scimmie impazzite. Una rete di catene fissate all'esterno con travi corre per tutta l'altezza dell'edificio. A queste catene rimangono attaccati pezzi di materia fecale disseccata: gli escrementi che i prigionieri gettano al passaggio dei guardiani. Durante una manifestazione che ebbe luogo in seguito ad uno sciopero nella divisione B di Saint-Quentin, il 25 settembre scorso, molti WC e diversi accessori furono rotti. Molte celle del piano superiore non avevano ancora il WC né il lavandino, al momento in cui i reporter del San Francisco Chronicle arrivarono. La maggior parte degli uomini imprigionati nelle celle dormono su materassi stesi per terra. Ogni mattino ricevono per tutta la giornata due bottiglie di media grandezza, una vuota, e l'altra piena di acqua potabile. In seguito le celle sono state riparate, ma alcuni prigionieri sono stati costretti a vivere in queste condizioni quattro mesi almeno. Tali celle costituiscono una prigione nella prigione, i detenuti percorrono in breve tutte le varie tappe della criminalità per arrivare qui.

Infrazioni Un detenuto è ,accusato da un "educatore" di aver commesso un'infrazione. Egli passa davanti ad una giuria di responsabili del penitenziario ed è condannato la maggior parte delle volte ad una pena indeterminata. La stessa giuria che lo invia al "buco" deve decidere l'eventuale momento in cui dovrà uscirne. Nel corso di questi processi, il prigioniero affronta da solo i suoi accusatori. Non ha il diritto di avere un avvocato. I

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prigionieri lo chiamano il "tribunale canguro". Tuttavia ciò che c'è di più casuale ed arbitrario in tali centri di riabilitazione è ciò che questi "tribunali" mettono nel dossier del prigioniero. Un soggiorno al "buco" è considerato dalle autorità responsabili un segno di attitudine negativa, e ciò comporterà all'interessato un prolungamento della pena - anche di svariati anni - prima che sia giudicato degno di essere liberato sulla parola. "La prima cosa che si perde in questi centri di riabilitazione - m'ha detto un prigioniero - è la speranza."

Nel fondo Si può discendere ancora un gradino in questo inferno carcerario. Anche nel centro di riabilitazione esiste una segreta dotata di solidi catenacci, riservata ai prigionieri che non possono "adattarsi" alla riabilitazione. È un buco nero nel quale si rifornisce il prigioniero esclusivamente di pane e acqua. Il nome ufficiale è "l'isolamento". È una segreta chiusa da una doppia porta. Vi può essere accesa una luce accecante oppure vi può essere buio pesto: dipende dall'agente che controlla le luci del piano. I prigionieri condannati all'isolamento sono messi "a regime severo". Gli si danno vari ingredienti amalgamati e compresisi in una specie di pane compatto che ha il gusto della colla. Il trattamento è riservato ai prigionieri che abbiano più volte lanciato il piatto addosso ai guardiani. All'isolamento si dorme su un materasso spesso cinque centimetri, non infiammabile, posato su un basamento di cemento. Finché un decreto non le ha proibite (due anni fa), queste segrete di isolamento venivano chiamate "alla turca", perché avevano al posto del WC un buco per terra che un congegno azionato da fuori puliva una volta al giorno.

Illegalità Sebbene tali dispositivi siano considerati attualmente come illegali nelle prigioni di Stato (e la maggior parte delle celle sono dotate di catini in alluminio) ci sono ancora nel braccio di isolamento a Saint-Quentin due celle "alla turca". Fino allo scorso mese si poteva mandare un prigioniero all'isolamento per ventinove giorni; era così che certi prigionieri iniziavano il loro soggiorno al centro di riabilitazione. All'inizio di febbraio un decreto del direttore delle case di correzione, Raimond Procunier, limitava queste condanne ad un massimo di dieci giorni, e riservava la decisione di mettere un carcerato a regime severo soltanto al direttore generale. Pur essendo così sinistri quali sono, i centri di riabilitazione sono fatti per durare. " La questione non è di sapere se ci dovranno o no essere dei centri di riabilitazione, - diceva un prigioniero di Saint-Quentin. - Persino noi ne sentiamo il bisogno. Ma ciò che bisogna decidere è per quanto tempo bisogna punire per ottenere un qualche risultato, e per quanto tempo si possa privare un uomo della libertà prima di fame un animale."

3 marzo 1971

Lettera aperta a Eldridge Cleaverdi Charlene Mitchell, segretaria della Commissione per la liberazione dei neri del Partito comunista degli Stati Uniti

Eldridge Cleaver Ministro dell'informazione Algeri

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Caro Eldridge, ti scrivo questa lettera in seguito ai programmi che tu hai enunciato e che sono stati pubblicati recentemente sui giornali degli Stati Uniti; l'ultimo sul Black Panther del 23 gennaio 1971. Io considero queste proposte scoraggianti e tendenti anche alla divisione delle nostre forze. Ho adoperato la parola "scoraggianti" di proposito, benché sappia che tu formuli tali proposte non conoscendo la nostra posizione qui, di noi che siamo nel ventre stesso del mostro; ma è ugualmente dovere di coloro che sono alla testa del movimento di soffermarsi sui fatti che accadono. Mi sembra evidente che tu hai deliberatamente scelto di esprimerti senza avere la documentazione necessaria o almeno che tu non ti sia preso il compito di porre i problemi nella loro vera prospettiva. Così il tuo messaggio intitolato "Il caso di Angela Davis" (nel quale tu non chiedi la libertà per Angela), che accusa il partito comunista degli Stati Uniti di "collusione" con il nemico e minimizza il caso di Bobby Seale, sembra scritto con lo scopo preciso di portare la divisione nel movimento degli Stati Uniti. Il meno che io possa dire è che è una ingenuità. Eldridge, tu non sei poi così lontano da noi da aver dimenticato che l'anticomunismo e l'antisovietismo sono stati per mezzo secolo le armi principali dell'arsenale nemico, contro il popolo. Fare oggi il gioco del nemico butta a mare non solamente Angela Davis, ma anche Bobby, Ericka e tutti i prigionieri politici. E allo stesso modo questa strana tesi (strana perché proviene da te), questa tesi di divisione non può apportare un aiuto effettivo se non a quelli che vogliono far condannare a morte o all'ergastolo i nostri amici. Ciò non significa che non ci debba essere alcuna differenza tra il punto di vista del Partito comunista degli Stati Uniti e quello del movimento delle Pantere nere. È naturale che ci siano delle differenze di impostazione e ce ne saranno ancora per qualche tempo. Per menzionarne una, il nostro punto di vista differisce dal vostro sulla questione della difesa e della libertà per i prigionieri politici. Facciamo una ricapitolazione di queste divergenze, sulle quali abbiamo discusso quando sono stata a trovarti ad Algeri il giugno scorso. 1) Il mio partito ed io stessa pensiamo che anche se noi viviamo negli Stati Uniti, sotto un regime di repressione brutale - in particolare contro noialtri neri - non dobbiamo credere che questa repressione da sola farà nascere la resistenza. Sono necessarie l'educazione delle masse, la loro mobilitazione e la loro organizzazione per creare la resistenza: non ci sono altri mezzi né percorsi più brevi. 2) Sia la tattica che i metodi fascisti, sempre più spesso impiegati dal capitalismo americano, non determinano ancora il fatto che gli Stati Uniti siano già un paese fascista. Naturalmente il capitalismo farà ancora ricorso al fascismo per proteggere il suo denaro e reagirà con delle misure fasciste; ma non vi è ancora una situazione rivoluzionaria e il denaro del capitalismo non è ancora veramente in pericolo, malgrado le affermazioni pretenziose in proposito. Ed è possibile costruire un movimento popolare capace di impedire la stabilizzazione di uno Stato poliziesco. Ma tale movimento presuppone l'organizzazione di un milione di persone. È una necessità. 3) È impossibile - per ragioni di strategia e di tattica - essere d'accordo con la posizione assunta recentemente da Michael Tabor ed Aleine Brown, nei discorsi pronunciati nello scorso novembre, l'uno a New Haven l'altra a Los Angeles, e riprodotti sul Black Panther - discorsi che volevano dimostrare che l'organizzazione e la mobilitazione delle masse sono cose trascorse che non servirebbero a far liberare i prigionieri politici e che la sola alternativa attualmente possibile è il ricorso alle armi da fuoco. Bisogna essere intransigenti per quanto riguarda la rivendicazione del nostro diritto al ricorso alle armi da fuoco in caso di legittima difesa, ma sostituire questo diritto inalienabile a tutte le altre forme di combattimento è assurdo e pericoloso. Se ad un certo momento il popolo non si unirà in numero sufficiente per difendere le Pantere - cosa di cui ti sei, mi è sembrato, già lamentato durante la discussione riguardante la difesa di Angela - la causa può dipendere dalla posizione stessa delle Pantere nere che hanno denigrato i movimenti di difesa di massa. Quando si spinge la gente fuori della porta, la loro uscita è poi giustificata. 4) Non può esistere una situazione oggettivamente rivoluzionaria se non quando le masse - e nel nostro paese ciò presuppone milioni di persone - con alla testa la classe operaia arrivino alla conclusione che il capitalismo non è più una soluzione possibile sotto qualunque forma esso sia e che una nuova organizzazione, il socialismo, lo deve sostituire. Queste masse dovranno determinare il momento nel quale noi potremo impiegare nuove tattiche. Naturalmente ci vogliono dei capi per condurre le masse, ma spingerle alla lotta armata prima che esse vi siano preparate è una concezione individualista, anarchica, avventuristica: è la deificazione dell'élite e ciò conduce alla provocazione. Noi non abbiamo bisogno di martiri della rivoluzione; noi abbiamo bisogno che le masse si mettano in movimento e che da esse emergano gli eroi e le eroine. 5) Nel 1969 il partito delle Pantere nere ha reso un grande servizio al nostro popolo avvertendolo del pericolo del fascismo e auspicando la creazione di un fronte comune contro il fascismo stesso. Malgrado ciò parecchi mesi più tardi, nel marzo del 1970, alla conferenza improvvisata per la difesa del diritto di esistenza del partito delle Pantere nere, a Chicago, sono state le Pantere nere stesse che hanno tagliato le ali al fronte comune. Tu sai, spero che non l'abbia dimenticato, che Franklin Alexander, parlando a nome del gruppo Che-Lumumba del Partito comunista degli

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Stati Uniti della California del Sud, fece una mozione chiamando alla mobilitazione mezzo milione di persone a New Haven per l'apertura del processo di Bobby ed Ericka. Tu sai altrettanto bene, Eldridge, e io spero che non lo dimenticherai, che sono state le Pantere nere a respingere questa mozione, esigendo che si desse una adesione senza riserve al programma da loro imposto. Naturalmente noi sappiamo bene tutti e due che questa adesione non aveva niente a che vedere con l'idea di un fronte comune che necessariamente esige una unità di massima, specialmente sui punti meno importanti. Ed ora tu dichiari che c'è una collaborazione del partito comunista con il nemico, che vogliono entrambi sabotare gli aiuti a Bobby (tu non parli di Ericka); questo significa non soltanto ingannare il popolo, ma anche stornare dai suoi scopi il tuo stesso partito. Noi abbiamo già parlato di tutti questi equivoci ad Algeri. Ora tu ti sforzi di accentuare questi equivoci e di trame una possibilità di scissione. E in un modo poco dignitoso! Mettere nello stesso sacco l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti è troppo poco onesto da parte tua, Eldridge, e dimostra che hai appreso poco nel corso dei tuoi numerosi viaggi. Tu sai bene come me che l'Unione Sovietica è sempre stata e resta dalla parte dei popoli che lottano per la loro libertà. È scandaloso da parte tua suggerire che l'URSS, che aiuta in tutti i modi i popoli a liberarsi, si possa alleare con l'imperialismo americano, che si oppone con tutti i mezzi alla liberazione dei popoli stessi. La stampa riporta che durante il tuo esilio tu hai visitato la Corea rivoluzionaria, il Vietnam e altre regioni. Quale arroganza ti ha potuto suggerire che l'Unione Sovietica e lo imperialismo americano sono alleati, dopo che tu hai potuto costatare il loro ruolo effettivo, l'uno come principale difensore e l'altro come principale oppressore di questi popoli?

Domanda ai nostri fratelli e sorelle del fronte di liberazione d'Africa o del mondo arabo, domanda agli algerini chi sono coloro che gli danno le armi e chi sono quelli che invece procurano il napalm ai loro nemici. E devi sapere, se non lo sai già, che la stampa sovietica è stata la prima al mondo ad aver protestato per l'assassinio di Mark Clark e di Fred Hampton ed è quella che continua a domandare giustizia per Bobby ed Ericka come pure per Angela e per gli altri prigionieri politici del nostro paese. E, ancora, dovresti sapere, se non lo sai, che dopo l'arresto di Angela, quando il nostro partito pubblicò l'appello per la sua liberazione rivolto al popolo del nostro paese e a tutti i popoli del mondo, l'URSS reclamò nello stesso tempo la libertà per Bobby e per Ericka. Eldridge, il tuo "messaggio" mi obbliga a domandarti: "Da che parte stai?". La linea del partito comunista è e continua ad essere insieme con Angela, anche Bobby, Ericka, le 21 pantere, i fratelli di Soledad e tutti i prigionieri politici devono essere liberati. Tu ritroverai questo tema ripetuto in tutti i testi del partito ed espresso da tutti i compagni che lavorano nel Comitato per la liberazione di Angela Davis, e da Angela stessa. Eldridge, nello stesso numero del Black Panther che ha pubblicato il tuo articolo su Angela, il discorso riportato di Huey P. Newton comincia con queste parole: "Io sarei in questo momento in uno dei penitenziari speciali (chiamati di sicurezza) se non ci fosse stata l'azione del popolo - perché dopo tutto è il popolo che fa la storia, è il popolo che porta la grande responsabilità". Noi continuiamo a fare tutto ciò che è in nostro potere di fare per organizzare e mobilitare il nostro popolo, perché siamo in pieno accordo con i sentimenti espressi da Huey. In quanto il popolo ha giudicato Huey innocente e colpevoli i suoi accusatori, è stato possibile organizzare la protesta popolare. E in quanto pensiamo che Angela, Bobby ed Ericka sono innocenti noi possiamo mobilitare e organizzare la protesta che li libererà. Così, Eldridge, malgrado le nostre opinioni differenti e ciò che noi consideriamo (almeno!) come tue opinioni erronee, continueremo a lottare per liberare Angela, Bobby, Ericka, i fratelli di Soledad e tutti i prigionieri politici.

Tua nella lotta C. M.

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Primo corso all'università di California

Introduzione

Il lettore troverà qui di seguito il testo delle conferenze inaugurali della prof. Angela Davis per il suo primo corso all'università di California a Los Angeles, tenuto nel primo trimestre 1969, con il titolo: "Temi filosofici ricorrenti della letteratura nera". Nominata per due anni, Angela Davis aveva allora la funzione di professore assistente di filosofia, e la sua nomina, debitamente raccomandata dal dipartimento di filosofia, era stata largamente approvata dalla direzione dell'università. La prima delle due conferenze aveva attirato a Royce Halls più di millecinquecento studenti ed insegnanti. Terminata la sua conferenza, l'oratrice fu oggetto di una prolungata ovazione: il pubblico testimoniava il suo attaccamento alle libertà universitarie e ad una educazione democratica. Queste conferenze in effetti si articolano su di un duplice asse: da una parte, togliere l'interdizione sul processo storico che ha condotto i neri alla schiavitù e all'oppressione, dall'altra chiarire la storia del suo contesto filosofico. Questo lavoro porta il segno di una sensibilità, di uno spirito originale e penetrante, quello di un eccellente professore e di uno specialista degno di stima. Al posto di riconoscere o elogiare il suo talento, la sua onestà, i suoi sforzi per promuovere la comprensione e la risoluzione dei problemi sociali più scottanti - la dicotomia tra oppressori ed oppressi - la società ha messo in prigione la prof. Davis. I responsabili dell'università della California hanno tentato prima di escluderla dall'università, imputandole - contro ogni legalità - la sua appartenenza al Partito comunista. La più alta istanza giuridica di Los Angeles ha respinto la loro richiesta; i responsabili hanno allora negato ad Angela Davis il diritto di insegnare un secondo anno, come era stipulato nel suo contratto (malgrado che un gran numero di commissioni di controllo e di titolari dell'università stessa si fossero dichiarati favorevoli ad una seconda nomina). Nel corso estivo del 1970 accusata di rapimento, di omicidio e di tentativo di sottrarsi alla giustizia, Angela Davis è stata posta sulla lista delle persone più ricercate dal FBI. Quando è stata arrestata, prima l'enormità della cauzione richiesta, poi il rifiuto puro e semplice della cauzione, sono serviti a tenerla in prigione; in seguito è stata costretta a un regime particolare di isolamento. Come ha mostrato la prof. Davis nella sua prima conferenza, uno dei metodi essenziali dell'oppressione consiste nel mantenere nell'ignoranza la classe oppressa. Come Frederick Douglass (7), lo schiavo nero di cui ella rievoca la vita e l'opera, Angela Davis fa parte degli oppressi istruiti. Come lui, ella ha preso piena coscienza di ciò che l'oppressione significa ed ha suscitato questa coscienza tra i neri e gli altri. Non vi è dubbio che la sua lotta vittoriosa contro l'ignoranza, arma di oppressione, spieghi in gran parte la sua revoca dall'università della California e il trattamento di rigore che le è stato inflitto in seguito. Le conferenze che seguono trattano della fenomenologia dell'oppressione e della liberazione. Stabilire che milioni di esseri sono ancora oppressi in quella che si proclama la società più libera del mondo, è una dimostrazione elementare. È più complicato definire le cause di questa oppressione e le forme che assume per perpetuarsi, la sua significazione psicologica per l'oppressore e l'oppresso; infine il processo della presa di coscienza in quest'ultimo e le voci della sua liberazione. E' questo lo scopo che si è prefisso la prof. Angela Davis. Per raggiungerlo ella utilizza la sua solida formazione filosofica, lo spirito penetrante ed una conoscenza fondata sull'esperienza. La prof. Angela Davis è divenuta un simbolo di gruppi sociali e di cause opposti. Ciò doveva essere forse inevitabile. Ma ricordiamoci che questo simbolo nasconde un essere umano, il cui pensiero si esprime qui, ed inoltre che un tribunale sta per giudicare una vita umana e non solamente una causa umana. Aspettando, noi siamo fieri di presentare queste due conferenze di una valida collega - di una amica. Possano esse contribuire alla sconfitta dell'oppressione.

Matthew Skulicz, inglese; Peter Orleans, sociologia; David Gillman, matematica; Sterling Robbins, antropologia; Marie Brand, puericoltura; J. C. Ries, scienze politiche; Jerome Rabow, sociologia; Donald Kalish, filosofia; Evelyn Hatch, inglese; Kenneth Chapman, tedesco; Laurtnce Morissette, francese; Temma Kaptan, storia; Peter Ladefoged, linguistica; D. R. McCann, tedesco; Robert Singleton, gestione commerciale; Richard Ashcraft, scienze politiche; John Horton, sociologia; Paul Koosis, matematica; Patrick Story, inglese; Alan E. Flanigan, meccanica applicata; Roy L. Wolford, medicina; Albert Schwartz, storia; Wade Savage, filosofia; Tom Robiscon, pedagogia; Barbara Partee, inglese; Carlos Otero, spagnolo; Alex Norman, urbanistica; Henry McGee, istituzioni di diritto; E.

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V. Wolfenstein, scienze politiche.

Dialettica dell'oppressione e della liberazione

I

Nella storia del pensiero in occidente, la idea di libertà si è dimostrata uno dei temi dominanti. Ciò appare legittimo; si è spesso definito l'uomo partendo dalla sua inalienabile libertà. Tra gli altri paradossi, la storia della società occidentale testimonia in sommo grado quanto segue: mentre su un piano filosofico si definiva la libertà nel modo più nobile e più sublime, la realtà concreta rivelava incessantemente e sotto le forme più brutali l'assenza di libertà e l'asservimento. La Grecia antica, come noi sappiamo, ha visto nascere la democrazia, ma tutte le rivendicazioni della libertà umana, lo sviluppo dell'individuo attraverso l'esercizio delle libertà civili non faranno mai dimenticare il fatto che nella polis ateniese la maggioranza del popolo non fosse libera. Le donne non erano considerate cittadine, e la schiavitù era un'istituzione riconosciuta ed accettata. La società greca inoltre rimaneva legata ad una certa forma di razzismo; in effetti la libertà era un diritto esclusivo dei greci; tutti i non greci erano qualificati come barbari che si ritenevano indegni per natura - leggi incapaci - di godere dei benefici della libertà.

Con la loro stessa esistenza i neri hanno messo a nudo le debolezze della libertà, quelle della sua pratica ma anche quelle della sua formulazione teorica.

In questo contesto come non evocare l'immagine di Thomas Jefferson e degli altri "padri fondatori" che formularono i nobili concetti della Costituzione degli Stati Uniti, mentre i loro schiavi vivevano nella sofferenza? Per non offuscare la bellezza della Costituzione, tesa a proteggere l'istituzione della schiavitù, essi usarono l'espressione "persone addette ad un servizio o ad un lavoro" - eufemismo per il termine "schiavi"; così appariva una categoria atipica di esseri umani, di persone indegne delle garanzie e dei diritti sanciti dalla Costituzione. È o non è l'uomo libero? Lo deve o non lo deve essere? La storia della letteratura nera a mio avviso permette di comprendere bene la natura della libertà, la sua estensione e i suoi limiti, meglio di tutti i discorsi filosofici su questo tema nella storia della società occidentale. E per varie ragioni. Intanto perché la letteratura nera degli Stati Uniti e del mondo riflette la coscienza di un popolo che è stato costretto a non accedere alla dimensione reale della libertà. Con la loro stessa esistenza i neri hanno messo a nudo le debolezze della libertà - quelle della sua pratica ma anche quelle della sua formulazione teorica. In effetti se la teoria sulla libertà rimane senza rapporto con la pratica della libertà o piuttosto è contraddetta dalla realtà, significa che c'è qualcosa di errato nel concetto stesso - se noi ragioniamo con il metodo dialettico. Questo corso dunque si organizzerà essenzialmente intorno all'idea di libertà vista attraverso la creazione letteraria del popolo nero. Incominciando con La vita e 1'epoca di Frederick Douglass noi studieremo l'esperienza della servitù fatta dallo schiavo stesso e quindi l'esperienza opposta della libertà. Sarà fondamentale comprendere bene, allora, un cambiamento sostanziale: il passaggio dal concetto di libertà, principio statico, al concetto di liberazione, lotta dinamica e attiva per la libertà. Poi noi studieremo W.E.B. Du Bois, Jean Toomer, Richard Wright e infine John A. Williams. Con l'occasione, affronteremo la poesia nei diversi periodi della storia nera americana e delle analisi teoriche come quelle di Fanon o di Du Bois (A.B.C. del Colore). Infine vorrei evocare qualche opera di scrittore africano, così come la poesia di Nicolas Guillén, Poeta nero cubano, e compararla alle opere dei neri degli Stati Uniti. Sottolineo che durante tutto il corso la nozione di libertà sarà l'asse essenziale intorno al quale si ordineranno gli

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altri concetti filosofici. Si affronteranno alcune nozioni metafisiche - identità, problema della conoscenza di sé, ecc. Le diverse filosofie della storia che emergeranno dalle opere studiate saranno di fondamentale importanza. Un altro problema che affronteremo sarà quello della morale degli oppressi. Via via che si svilupperà il tema della libertà nella letteratura nera si affronteranno un gran numero di argomenti collaterali, attinenti al tema centrale stesso. Prima di entrare nel vivo della questione, è necessario qualche ragguaglio sulla natura delle domande che dovremo porci nell'approfondire il problema della libertà umana. Innanzi tutto: la libertà è totalmente soggettiva, oppure totalmente oggetiva, o rappresenta invece una sintesi dei due atteggiamenti? Mi spiego: deve vedersi nella libertà una caratteristica inerente all'uomo; un dato che non esiste che nell'interiorità dello spirito umano e che si riduce ad un esperienza interiore? Oppure la libertà viene ad essere la capacità di muoversi a piacimento, di agire a proprio talento? La nostra domanda sulla soggettività o sulla oggettività della libertà può formulasi così: la libertà consiste nella libertà del pensiero o nella libertà d'azione? O, ciò che maggiormente importa, può sussistere l'una forma senza l'altra? Tutto ciò ci conduce rapidamente al seguente problema: esiste una possibilità di libertà all'interno della schiavitù materiale? Si può dire che lo schiavo può avere un qualunque tipo di libertà? Ci torna qui in mente un pensiero - divenuto classico - dell'esistenzialista francese J. P. Sartre, secondo il quale anche in catene l'uomo rimane libero per il fatto che gli resta la possibilità di por fine alla sua condizione di schiavo, al bisogno, con la morte. In altre parole, la sua libertà si definisce - in termini restrittivi - come la libertà di scegliere tra la schiavitù e la morte. Questo rappresenta già un caso limite. Ma bisogna decidere se adottare o no tale definizione del concetto di libertà. Senza dubbio ci appare incompatibile con la nozione di liberazione. Lo schiavo che sceglie la morte, piuttosto che abolire la sua condizione di asservimento, distrugge il fondamento stesso della sua libertà, la vita. Il problema investe un ulteriore aspetto: la decisione di morire si separa dal suo contesto astratto e si pone alla luce di una situazione e di un'evoluzione reale se lo schiavo trova la morte combattendo per una libertà concreta. In altri termini, la scelta tra la schiavi tu e la morte può significare due alternative: una tra la schiavitù e il suicidio, l'altra tra la schiavitù e la liberazione a qualunque prezzo. La differenza tra queste due alternative è essenziale. Da una coscienza autentica dell'oppressione nasce la necessità, chiaramente percepita dal popolo, d'abolire l'oppressione. Lo schiavo che cerca di avere chiara questa percezione scopre realmente il senso della libertà. Egli sa cosa significhi la scomparsa del rapporto schiavo-padrone. In questo senso la sua conoscenza della libertà va più lontano di quella del padrone. Perché il padrone si "sente" libero, e si sente libero in virtù del suo potere sulla vita degli altri. Egli è libero a spese della libertà di un altro. Lo schiavo vede la libertà del padrone sotto la sua vera luce. Egli comprende che la libertà del padrone è una libertà astratta che impedisce ad altri esseri di vivere normalmente. Lo schiavo comprende che si tratta di una falsa concezione di libertà; sotto questo aspetto egli vede più chiaramente del suo padrone: si rende conto che il padrone è lo schiavo dei suoi errori, dei suoi misfatti, delle sue violenze, della sua volontà d'oppressione. Entriamo ora nel vivo dell'argomento. La prima parte di La vita e l'epoca di Frederick Douglass, intitolata "Vita di uno schiavo", costituisce - nel senso fisico del termine - un viaggio dalla schiavitù alla libertà, termine e riflesso a sua volta di un viaggio dall'una all'altra nel senso filosofico dell'espressione. I due itinerari non si possono, come vedremo, concepire separati; essi si determinano reciprocamente. Il punto di partenza di questo viaggio è la domanda che si pose Frederick Douglass da bambino: "Perché sono uno schiavo? Perché alcuni sono schiavi ed altri padroni?". Avendo rigettato la risposta tradizionale - Dio ha creato i neri per farne degli schiavi ed i bianchi per fame dei padroni - la sua attitudine critica solleva un ostacolo essenziale, tolto il quale nello spirito dello schiavo la libertà diviene possibile. La storia della civiltà occidentale abbonda di giustificazioni della schiavitù. Per Platone, come per Aristotele, alcuni uomini nascevano schiavi ed erano destinati a non conoscere mai la libertà. Le giustificazioni propriamente religiose della schiavitù sono poi innumerevoli. Cerchiamo di sviluppare una definizione filosofica dello schiavo - già proposta essenzialmente: si tratta di un essere umano che per varie ragioni si vede rifiutare la libertà. Ma che cosa rappresenta la libertà se non la essenza stessa dell'essere umano? O lo schiavo non è più un uomo o la sua esistenza stessa è una contraddizione. Possiamo scartare la prima ipotesi, senza tuttavia dimenticare che l'ideologia dominante rifiutava al nero la qualità di essere umano. In questa ottica, in cui la natura contraddittoria della schiavitù non dovrebbe apparire, è manifesta la volontà di non tener conto del reale: lo schiavo non è un uomo perché se fosse tale sarebbe certamente libero. Nessuno ignora i tentativi deliberati di privare il nero della sua umanità. Sappiamo che, per mantenere l'istituzione della schiavitù, si sono tenuti i neri ad un livello di vita inferiore a quello delle bestie. I bianchi proprietari di schiavi erano ben decisi di fornire carne e sangue al mito del nero, sottospecie umana, foggiato da essi di sana pianta per giustificate i loro atti. Si forma così un circolo vizioso: il proprietario di schiavi perde coscienza di sé. Il circolo vizioso non è ancora sparito ma esiste per il nero una possibilità: la resistenza. Tale possibilità di libertà per lo schiavo è stata percepita per la prima volta da Frederick Douglass, vedendo uno schiavo opporsi al supplizio della frusta: "Se aveva il coraggio di non curvare la testa davanti al suo sorvegliante, lo schiavo doveva attendersi

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una pena immediata e crudele; tuttavia anche se restava legalmente uno schiavo, diveniva virtualmente un uomo libero. Voi mi potete far uccidere ma non mi farete frustare", disse uno schiavo a Rigby Hopkins. Egli non fu né abbattuto né frustato".

La prima condizione della libertà è l'atto di resistenza manifesto. In questo atto di resistenza, la libertà esiste già in forma elementare.

Lentamente, l'idea che lo schiavo si fa della libertà diviene più concreta. La prima condizione della libertà è l'atto di resistenza manifesto, di resistenza fisica, di resistenza con la forza. In questo atto di resistenza, la libertà esiste già in forma elementare. Rispondere con la violenza alla violenza, trascende il semplice fatto fisico; non è solamente il rifiuto a sottomettersi alla frusta, è il rifiuto soprattutto di accettare le definizioni del padrone, è una condanna implicita all'istituzione della schiavitù, dei suoi criteri, della sua morale - nella scala del microcosmo, un passo verso la liberazione. Lo schiavo acquista veramente coscienza che la libertà non esiste affatto, che essa non è un dato ma il risultato di una lotta, essa non può esistere che al prezzo di uno scontro. Il padrone invece percepisce la propria libertà come inalienabile e quindi come un fatto, non rendendosi conto di essere allo stesso modo ridotto in schiavitù dal suo sistema. Per iniziare a rispondere ad una domanda posta precedentemente - è possibile per un uomo essere in catene e nello stesso tempo essere libero? - noi possiamo dire con certezza che la prospettiva della libertà s'offre allo schiavo quando, e solo quando, egli rifiuta effettivamente le sue catene. La prima fase della liberazione consiste nel rifiutare l'immagine di sé presentata dal padrone, lo stato di fatto presentato dal padrone, il rifiuto della propria esistenza, il rifiuto di considerarsi come uno schiavo. A questo stadio il problema della libertà si identifica con quello della identità. La condizione servile è alienante: "È contrario alla natura dividere gli esseri umani in schiavi e padroni, tali categorie non possono che assumere un carattere preso in prestito da una struttura controllata, ostinata, rigida". La schiavitù è un'alienazione da uno stato naturale, una violenza fatta alla natura che deforma sia lo schiavo che il suo proprietario. L'alienazione è l'assenza d'identità vera; lo schiavo da parte sua è alienato dalla sua libertà. Questa non-identità può esistere a diversi livelli. Può essere inconsapevole - lo schiavo accetta allora la definizione del padrone, e diventa non-libero, dal momento che si considera inadatto a godere della libertà. La non-identità può essere consapevole e vulnerabile agli assalti della conoscenza. Questa ultima possibilità ci interessa maggiormente, perché rappresenta una tappa dell'itinerario verso la libertà. La forma suprema dell'alienazione umana consiste nell'abbassamento al livello di oggetto di proprietà. Qualcosa che si possiede, questa era la definizione dello schiavo. "La personalità? Inghiottita nel sentimento sordido della proprietà! La dignità umana? Abolita, divenuta cosa d'altri! Il nostro destino doveva essere determinato per tutta la nostra vita senza che potessimo influire su di esso più di quanto non influiscano sul loro le vacche o i buoi alla macina." Trattati come cose, i neri si definivano come oggetti. "Lo schiavo è un mobile", dice Frederick Douglass. La sua vita si inscrive nei limiti di questa qualità d'oggetto, nei limiti della definizione che l'uomo bianco dà dell'uomo nero. Ridotto a vivere come un mobile lo schiavo percepisce il mondo all'inverso. Vivendo come se non fosse che un oggetto egli deve forgiare fa sua umanità all'interno di questi limiti. "Egli non ha né una scelta né un fine, inchiodato in un luogo univoco, in questo luogo ed in nessun altro egli si deve fissare." Lo schiavo è privato di qualsiasi potere sulle circostanze esteriori della sua vita. Una donna che viveva nelle piantagioni poteva, dall'oggi al domani, trovarsi trasportata lontano, separata dai suoi figli e dal loro padre, dai suoi amici e dalla sua famiglia, senza la speranza di poterli mai più rivedere. In un simile viaggio non esisteva alcun sentimento d'avventura, di scoperta di un mondo sconosciuto. Il viaggio diveniva una discesa all'inferno; invece di sottrarsi al dominio delle cose, lo schiavo vedeva accentuarsi allora la disumanizzazione della sua esistenza esteriore. "Quando qualcuno parte per luoghi lontani è come se entrasse da vivo nella tomba, lo si seppellisce con gli occhi aperti senza che né la sposa né i figli né gli amici più cari lo possano vedere o sentire." Frederick Douglass descrive gli ultimi giorni di sua nonna con uno stile denso di commozione. Questa donna che aveva fedelmente servito il padrone durante tutta la vita, che aveva avuto due figli e due nipoti destinati ugualmente al suo servizio, fu trattata con estremo disprezzo dal nipote del vecchio padrone. Mandata nei boschi, vi morì in solitudine. Senza saperlo fu proprio il proprietario di Frederick Douglass a rivelargli il cammino verso la coscienza della sua alienazione: "Se uno dà un pollice ad un negro, lui si prenderà tutto li braccio. L'istruzione guasta anche il migliore dei negri. Se impara a leggere la Bibbia, non sarà mai più un buono schiavo. Egli non deve conoscere che la volontà del suo padrone, e obbedirgli". Nella misura in cui accetta la volontà del suo padrone come potere assoluto, lo schiavo è totalmente alienato. Egli non ha più né volontà né desideri, né essere proprio; la sua essenza, la sua esistenza stessa, dipendono obbligatoriamente e totalmente dalla volontà del suo padrone. Che significa ciò?

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Significa che il bianco può perpetuare la schiavitù in parte anche per il consenso dello schiavo, sebbene non si tratti di un consenso libero, quanto di un consenso strappato con la forza e la violenza più brutale. Nelle osservazioni del suo stesso proprietario Frederick Douglass trova l'arma che gli servirà per combattere la sua alienazione. "Bene, pensai. Il sapere rende dunque il bambino inadatto alla schiavitù. Questa proposizione risvegliò in me un'eco istintiva; avevo allora trovato la strada che conduceva dall'asservimento alla libertà." Ad un esame attento di queste parole il tema della resistenza affiora di nuovo. Per Frederick Douglass la libertà diviene una possibilità concreta all'interno stesso della schiavitù, quando vede uno schiavo rifiutarsi di sottostare alla pena della frusta. Tale atto di resistenza diviene per lui resistenza dello spirito, rifiuto di accettare la volontà del padrone, desiderio di non giudicare il mondo attraverso gli occhi altrui. Alla violenza del padrone lo schiavo oppone la sua, allo stesso modo Frederick Douglass utilizza il sapere del padrone, dato che l'istruzione rende l'uomo inadatto alla schiavitù, e lo rivolge contro di lui. Egli partirà alla conquista del sapere proprio perché questo rende l'uomo inadatto a servire. Su tutti i fronti, a tutti i livelli, il cammino verso la libertà implica resistenza e rifiuto. L'acquisizione del sapere rende l'alienazione cosciente. Combattendo la propria ignoranza, opponendosi alla volontà del padrone, Frederick Douglass comprende che tutti gli uomini devono essere liberi, approfondisce la sua conoscenza della schiavitù, considera in tutti i suoi aspetti cosa significhi essere schiavo, essere l'antitesi vivente della libertà. "Quando infine seppi leggere, verso l'età di tredici anni, tutte le nuove conoscenze soprattutto quelle che riguardavano gli Stati liberi (quelli dell'Unione dove la schiavitù era stata abolita) aumentavano il peso che gravava sui miei pensieri nel modo più intollerabile: sono schiavo per la vita. Non riuscivo a vedere alcun modo con cui porre fine alla mia servitù. Era una terribile realtà e non saprò mai esprimere fino, a che punto tale pensiero mi faceva soffrire, durante la mia giovinezza." La sua alienazione diviene reale, e si manifesta in piena luce; Frederick Douglass fa l'esperienza essenziale di come la soggezione coinvolga simultaneamente l'assenza di libertà materiale e la ricerca interiore della liberazione. La tensione tra realtà soggettiva ed oggettiva fornirà lo slancio necessario per la liberazione totale. Ma prima di raggiungere tale meta è necessario attraversare una serie di fasi intermedie. Attraverso un processo interiore lo schiavo Frederick Douglass supera la sua condizione ed accede alla libertà, alla consapevolezza della alienazione. La libertà gli appare concretamente come la negazione della propria condizione - pur esistendo nell'aria stessa che respira. "La libertà, dono inestimabile che ogni uomo possiede alla sua nascita, si rifletteva in ogni cosa, facendone un difensore di questo diritto. Io la intendevo in ogni più piccolo rumore, la intravedevo in ogni oggetto. Mentre prendevo coscienza della mia miseria, essa non cessava di torturarmi, accrescendo cosi l'orrore disperato della mia condizione. Non mi era possibile guardare nulla senza vederla, ascoltare nulla senza sentirla. Io non invento stati d'animo: sentivo il suo sguardo nelle stelle, il suo sorriso nel sereno, il suo respiro nel vento, il suo passo nella tempesta."

La situazione è senza scampo; la scoperta del reale non conduce né alla felicità, né alla libertà

Douglass ha veramente preso coscienza della sua condizione. Tale coscienza implica il rigetto di questa condizione. La coscienza dell'alienazione implica il rifiuto assoluto. Ma la condizione dello schiavo, in sé contraddittoria, è senza scampo; la scoperta del reale non conduce né alla felicità né alla libertà vera, conduce alla sofferenza e all'afflizione, fintanto che lo schiavo non trova il mezzo concreto di sfuggire all'asservimento. Frederick Douglass si esprime nel seguente modo, nei riguardi della moglie del suo padrone: "Ella mi voleva mantenere nell'ignoranza mentre io ero deciso a conoscere, anche se la conoscenza non faceva che aumentare la mia miseria". Lo schiavo del resto non rifiuta soltanto la sua condizione individuale, la sua miseria non deriva unicamente dalla privazione della libertà individuale, dalla alienazione individuale. La presa di coscienza più profonda è il rifiuto dell'istituzione stessa; e di tutto ciò che l'accompagna. "Era la schiavitù che odiavo, e non solo i suoi episodi." Noi intravediamo quello che sarà per Frederick Douglass il passaggio dalla schiavitù alla libertà, una volta conquistata la sua personale libertà non gli sembrerà ancora che lo scopo finale sia stato raggiunto. Solo l'abolizione totale della istituzione dello schiavismo farà sparire la sua miseria, la sua afflizione, la sua alienazione - ed ancora ci saranno dei postumi come oggi sussistono ancora i germi stessi della schiavitù. Nel suo cammino verso la libertà, Frederick Douglass trova nella religione nuove forze e nuove giustificazioni. La dottrina cristiana fonda, ai suoi occhi, l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio: se egli esiste è necessario concludere che i proprietari di schiavi operano contro la volontà di Dio opprimendo altri esseri umani, ed attirano su loro stessi la collera divina. Libertà, abolizione della schiavitù, liberazione, scomparsa dell'alienazione - a tutte queste nozioni la religione apporta nuove e vitali giustificazioni metafisiche. La abolizione della schiavitù è voluta da un essere soprannaturale; lo schiavo Frederick Douglass, che crede in Dio, deve adempiere la volontà divina

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cercando di liberarsi. Douglass non fu il solo a trarre simili deduzioni dal messaggio cristiano. Nat Turner deve una parte notevole della sua ispirazione alla fede cristiana, così come John Brown. Per la società bianca schiavista il cristianesimo era stato strumentalizzato a tutt'altri fini. L'evangelizzazione degli schiavi serviva essenzialmente a fornire giustificazioni metafisiche della schiavitù, piuttosto che della libertà. Secondo una classica formula di Karl Marx, la religione è l'oppio dei popoli. In altre parole la religione insegna agli uomini a rassegnarsi alla loro situazione attuale in questo mondo, ad accettare l'oppressione, ad orientare i loro desideri verso un mondo soprannaturale. Un numero ridotto di sofferenze terrestri non ha peso in vista della felicità eterna. Come Marcuse spesso rammenta, si dimentica talvolta il fatto che Marx ha aggiunto che la religione esprime i desideri utopistici delle creature oppresse. Ciò significa che i desideri si proiettano sotto forma di sogni in una sfera che sfugge al potere umano, come in un reame immaginario. Ma ciò pone subito un problema: la formulazione di Marx sui desideri utopistici delle creature oppresse non implica qualcosa d'altro? Riflettiamo. Con la spinta della religione, le aspirazioni, i bisogni, i desideri reali si trasformano in sogni utopistici - tanto il mondo sembra spoglio di ogni speranza, nella prospettiva d'un popolo oppresso. Ma ciò che è decisivo è che tali utopie sono sul punto di ritornare alla loro natura originaria - i bisogni e le aspirazioni reali di questo mondo. Esiste la possibilità di rivolgere questi desideri utopistici verso il mondo reale. Frederick Douglass ha ribaltato il corso di tali aspirazioni; Nat Turner le ha poste in un mondo reale. La religione può dunque svolgere un ruolo positivo dato che è nella sua natura tendere al soddisfacimento dei bisogni impellenti degli oppressi. (Noi parliamo qui unicamente del rapporto tra oppressi e religione, senza per ora analizzare la nozione propria di religione.) La religione può svolgere un ruolo positivo. È sufficiente dire: cominciamo a creare questa felicità eterna dell'uomo in questo mondo reale. Facciamo della storia la nostra eternità. Perché molti neri, cessando di guardare verso l'aldilà, non si orientano verso la realtà concreta, verso la storia? La società bianca schiavista ha sistematicamente teso a creare una religione particolare, sottomessa ai propri interessi, e destinata a perpetuare la schiavitù. Ha utilizzato il cristianesimo per istupidire, imprigionare in una dottrina, intorpidire. Nella sua opera L'istituzione particolare, Kenneth Stampp tratta lungamente del ruolo svolto dalla religione per mettere a punto metodi che permettessero di paralizzare i neri, di sopprimere i germi possibili di rivolta. All'inizio ci si è guardati dall'evangelizzare i neri nel timore di vedere gli schiavi reclamare la propria libertà. In seguito, secondo le leggi adottate dalle colonie schiaviste, si fece in modo che il battesimo non potesse servire ad affrancare automaticamente i cristiani neri. Stampp mostra perché alla fine le porte sacre della religione cristiana furono aperte agli schiavi: "Ricevendo un'istruzione religiosa lo schiavo apprendeva che la sua servitù svolgeva una funzione divina, che l'insolenza costituiva una offesa sia al padrone terreno che a Dio. Gli si inculcava il comandamento biblico sull'obbedienza dovuta al padrone parlandogli dei castighi promessi agli schiavi disubbidienti nell'aldilà. Apprendeva cosi che la salvezza eterna sarebbe stata la ricompensa per i suoi leali servizi e che nel giudizio finale Dio avrebbe trattato parimenti il povero ed il ricco, il nero ed il bianco".

Una versione edulcorata del cristianesimo era stata presentata all'attenzione degli schiavi. Una tale utilizzazione della religione è stata una delle peggiori violenze commesse ai danni dell'umanità

Così si presentavano allo schiavo, come l'essenza stessa del cristianesimo, i passi della Bibbia che valorizzavano l'obbedienza, l'umiltà, lo spirito di pace, la pazienza. E di contro, sempre nei sermoni destinati agli schiavi, sparivano i passi sull'uguaglianza e sulla libertà, quelli che Frederick Douglass seppe scoprire avendo appreso a leggere da solo, a differenza di molti altri schiavi. Una versione edulcorata e travisata del cristianesimo era stata presentata all'attenzione degli schiavi. Uno schiavo pio, di conseguenza, non picchiava mai un bianco, per lui il suo padrone aveva sempre ragione, anche se manifestamente era nell'errore. Una tale utilizzazione della religione è stata una delle peggiori violenze commesse ai danni dell'umanità. Fu strumentalizzata ai fini di inculcare negli uomini il sentimento che essi non fossero tali e ad abolire ciò che restava del principio di identità nello schiavo. Ma a lungo andare tali violenze fallirono lo scopo, come testimoniarono Frederick Douglass, Gabriel Posser, Denmark Vesey, Nat Turner e tanti altri che rivolsero il cristianesimo contro gli stessi missionari. L'Antico testamento era particolarmente utile a quelli che organizzavano le rivolte - Dio aveva ,liberato i figli di Israele dalla servitù d'Egitto - ed essi combattevano per ubbidire alla volontà divina. Resistere - questa era la lezione della Bibbia. La reazione di Frederick Douglass alla rivolta di Nat Turner è significativa: "L'insurrezione di Nat Turner era stata stroncata, ma la paura e il terrore che essa aveva provocato non erano diminuiti. C'era la minaccia del colera e io mi ricordo di aver pensato che Dio era adirato contro i bianchi a causa degli effetti corruttori che aveva esercitato su di essi la schiavitù e che il suo giudizio stava per abbattersi su questo paese. Mi era naturalmente impossibile non

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nutrire grandi speranze nella causa dell'abolizione: non la vedevo io favorita dall'Onnipotente e dotata da lui di armi mortali?". Per concludere, vorrei ridurre all'essenziale quello che cerco di esprimere. Sulla strada della libertà, sull'itinerario verso la liberazione, si trova resistenza ad ogni incrocio: resistenza spirituale, resistenza fisica, resistenza ad ogni tentativo, organizzata apposta per sbarrare il cammino. Noi possiamo, credo, cogliere notevoli insegnamenti dall'esperienza dello schiavo. Si deve spogliare di ogni prestigio il mito della docilità e della passività dei neri, e il mito ancora più mistificante divulgato - sia detto di passaggio - dai miei manuali di storia (quelli delle scuole secondarie di Birmingham, Alabama), secondo i quali i neri preferivano la schiavitù alla libertà. Cominciate a leggere La vita e l'epoca di Frederick Douglass; penetrate in questa lettura; noi potremo tentare, la volta prossima, nuove ricerche su temi filosofici.

II

Prima di riparlare di Frederick Douglass, vorrei fare alcune considerazioni sul corso nel suo insieme. Gli studi sul popolo nero sono stati per lungo tempo completamente trascurati nelle università. Noi cominciamo solamente ora a colmare questa lacuna. E dobbiamo risvegliarci, altrimenti la storia nera, la letteratura nera saranno relegate in una esistenza vegetativa, inoffensiva e abitudinaria - come oggi, mettiamo, la storia della rivoluzione americana. Io voglio parlare di Frederick Douglass come se avesse la stessa importanza della pretesa scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo. La storia e la letteratura non dovrebbero essere oggetti in un museo di antichità, specialmente quando esse sono indicative di problemi che continuano ad esistere oggi. Le ragioni che sottendono l'esigenza di "programmi di studi neri" sono numerose, ma la più importante è la necessità di stabilire una continuità tra il passato e il presente, di scoprire la genesi dei problemi che continuano a porsi oggi e di scoprire come i nostri antenati li hanno formulati. Noi possiamo trarre insegnamento dall'esperienza filosofica dello schiavo come dalla sua esperienza pratica. Noi possiamo apprendere quali forme di opposizione all'oppressione hanno avuto successo nella storia e quali metodi hanno invece fallito. I fallimenti sono di interesse fondamentale, perché noi non vogliamo essere i responsabili di una ripetizione di brutalità nella storia. Noi dobbiamo apprendere quali furono gli errori al fine di non riprodurli. Dobbiamo accostarci ai problemi di questo corso, non come a fatti cristallizzati, statici, non avendo essi senso se non rapportati al passato. Noi parleremo di temi filosofici, di temi filosofici ricorrenti. La filosofia ha come compito preciso di rendere generali gli aspetti dell'esperienza e non solamente per formulare delle generalizzazioni, per scoprire dei modelli, come credono certi colleghi della materia. La mia concezione della filosofia si articola nella seguente accezione: se essa non si riferisce ai problemi umani, non merita il nome di filosofia. Penso che se Socrate ha enunciato qualcosa di veramente profondo, lo ha fatto dicendo che la ragion d'essere della filosofia è di insegnarci il modo di vivere bene. Nella nostra epoca vivere bene significa liberarsi dai problemi urgenti della miseria, dalla necessità economica e conoscitiva, dall'oppressione dello spirito. Ora proseguiamo. Durante la precedente conferenza ho tentato di utilizzare la prima parte di La vita e l'epoca di Frederick Douglass come una occasione per delle digressioni sui temi filosofici caratteristici che noi incontriamo nell'esperienza dello schiavo. La trasformazione dell'idea di libertà in quella di lotta per la liberazione attraverso il concetto di resistenza: questa serie di temi interdipendenti - libertà, liberazione, resistenza - costituisce il fondamento di questo corso. All'interno di tale struttura noi abbiamo discusso la possibilità, la volta scorsa, di essere liberi nei limiti della schiavitù. Abbiamo determinato come l'esistenza stessa dello schiavo sia contraddittoria; è un uomo che non è un uomo, cioè un uomo che non possiede l'attributo essenziale dell'umanità: la libertà. La società bianca schiavista lo definisce come un oggetto, come un animale, come una proprietà. L'alienazione, prodotta da ciò, si evidenzia come realtà inerente all'esistenza dello schiavo - deve diventare cosciente per essere utilizzata a tracciare il cammino verso la liberazione. Il primo stadio è la presa di coscienza della natura contraddittoria della propria esistenza e da tale consapevolezza nasce il rifiuto. Abbiamo visto come la presa di coscienza diventa la premessa attiva del rifiuto, della resistenza. La religione può svolgere sia un ruolo positivo che un ruolo negativo in questa via della conoscenza del sé. La religione può frenare la liberazione - ed era lo scopo previsto della conversione dello schiavo - oppure può apportare una valido aiuto come nel caso della prima conversione di Frederick Douglass: Per cominciare, oggi vorrei continuare la discussione sulla religione. Scopriremo allora che l'interesse e l'entusiasmo di Douglass per la religione si affievolirono quando comprese l'ipocrisia che si accompagnava ad essa nei pensieri e

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nelle azioni dei proprietari di schiavi. È importante costatare come la transizione tra l'elevazione spirituale e il disincantamento è preceduta da un concreto cambiamento fisico nelle condizioni di vita dello schiavo Douglass. Nel periodo in cui egli manifestava fervide inclinazioni verso il cristianesimo( che derivarono dal fatto di avere imparato a leggere) egli visse in condizioni relativamente confortevoli, ammesso che vi possano essere condizioni favorevoli nella schiavitù. Il suo allontanamento si verificò quando fu obbligato a vivere in condizioni di vera carestia - quando fu venduto al capitano Thomas Auld. Una esperienza critica si produsse in lui quando osservò la conversione al cristianesimo del suo padrone, sadico e brutale: "Se egli è religioso, pensai, emanciperà i suoi schiavi. Facendo appello alla mia esperienza religiosa e giudicando il padrone rispetto a ciò che era stato vero per il mio caso, io non potevo considerarlo profondamente convertito se non vedevo tali buoni effetti seguire praticamente la sua conversione di fede". Queste deduzioni filosofiche formulate da Douglass riguardo all'essenza del cristianesimo (la concretizzazione del pensiero cristiano in atti cristiani) saranno confutate dalla condotta successiva del padrone. Per gli oppressi, per lo schiavo, la religione determina un effetto positivo: è un rimedio necessario che aiuta a sopportare le sofferenze e al tempo stesso determina una rappresentazione capovolta del mondo, proiezione dei bisogni reali e dei desideri reali in un regno soprannaturale. La conversione del proprietario di schiavi, così come appare nella condotta del capitano Auld, è di natura completamente differente. La religione per lui, è una semplice ideologia che può sussistere in piena contraddizione con la sua condotta reale e quotidiana. Egli deve lavorare incessantemente per mantenere in piedi tale contraddizione, la sua vita stessa è basata sulla rigida separazione tra vita reale e vita spirituale. Perché se prende i precetti del cristianesimo integralmente, se li applica alla sua vita quotidiana, egli arriva a negare la sua esistenza in quanto oppressore dell'umanità. Auld formula egli stesso tutto ciò molto chiaramente dicendo: "Tu capirai, ragazzo, che sebbene io mi sia disfatto dei miei peccati, non mi sono disfatto del mio buon senso. Io sorveglierò i miei schiavi e andrò ugualmente in paradiso". Almeno ad un livello inconscio egli deve avere una qualche consapevolezza di questa contraddizione nel suo spirito di proprietario di schiavi. Ciò è indicato dal fatto che Auld aggrava lui stesso le sue contraddizioni. Più si intensifica il suo impegno religioso e più la sua crudeltà infierisce contro gli schiavi: "Se la religione aveva qualche effetto su di lui, era di rendere lui più crudele e le sue azioni più spietate e più detestabili". La dicotomia tra la sua vita religiosa e la sua vita reale diventa prevedibilmente sempre più profonda. La sua pratica eccessiva della religione sembra essere una scusa e un'espiazione per le sofferenze più acute che infligge ai suoi schiavi. L'ardore e la lunghezza delle preghiere e degli inni giustificano l'ardore e la lunghezza della flagellazione, giustificano l'affamamento puro e semplice degli schiavi. Che cosa possiamo concludere da questa analisi del rapporto tra il proprietario di schiavi e la religione? Come io ho esposto nella prima conferenza, la società occidentale e particolarmente l'epoca del dominio della borghesia è stata caratterizzata da un divario tra la teoria e la pratica, particolarmente tra - la teoria della libertà sul piano concettuale e la mancanza di libertà nel mondo reale. Il fatto che nelle istituzioni fondamentali del paese sia dichiarato che tutti gli uomini sono creati uguali e il fatto che l'inuguaglianza politica non è mai stata estirpata non può essere considerato come indipendente dall'indifferenza relativa con la quale padron Auld discute del divario che separa le sue idee religiose dai suoi precetti quotidiani. I termini con cui si esprime il proprietario di schiavi ci rivelano la brutalità che è sottesa non solamente a questa situazione particolare ma a quella della società in generale. Noi dobbiamo ricorrere agli esempi estremi per mettere a nudo le significazioni nascoste anche negli esempi più sottili. La comprensione di Douglass delle contraddizioni tra le idee religiose e la condotta del suo padrone lo condusse ad adottare un atteggiamento critico verso la pertinenza della religione stessa. "Il capitano Auld poteva pregare. Io avrei ben voluto pregare; ma nascevano dei dubbi, in parte perché avevo dimenticato i mezzi della grazia, ed in parte a causa della religione ipocrita che prevaleva dappertutto; si svegliò allora nel mio spirito una sfiducia verso ogni tipo di religione e la convinzione che i preti erano vani e ingannatori." La volta scorsa, noi abbiamo citato la maniera con cui Marx interpreta il ruolo svolto dalla religione nella società. Io vorrei sottolineare altre osservazioni che concernono la religione espresse in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (Introduzione). Io penso che l'analisi marxista della religione ci aiuta a comprendere lo stato di Frederick Douglass quando egli inizia ad allontanarsi dalla fede. Cito un passo di quest'opera: "La miseria religiosa esprime tanto la miseria reale quanto la protesta contro questa miseria reale. La religione è il gemito dell'oppresso, il sentimento di un mondo senza cuore, e insieme lo spirito di una condizione priva di spiritualità. Essa è l'oppio del popolo." "La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni". Douglass fa l'esperienza, che Marx formula teoricamente, nella dimensione esistenziale. Egli vede attraverso il velo dell'illusione osservando la condotta piuttosto schizofrenica del suo padrone verso la religione e la vita quotidiana.

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Non è privo di significato il fatto che questa scoperta si palesa, come ho già indicato, nel momento in cui le sue sofferenze fisiche diventano praticamente insopportabili. Noi possiamo dedurne che vedendo con chiarezza l'ipocrisia del suo padrone egli raggiunge la coscienza del sé, la conoscenza del suo essere. Il padrone diventa uno specchio della sua passata evasione nella religione. Vivendo in un relativo conforto egli aveva il lusso di pensare con categorie metafisiche. Ma ora diviene necessario che egli affronti la necessità assoluta di combattere, di distruggere la sua sofferenza. "La religione - dice Marx - è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all'uomo, fino a che questi non si muove attorno a se stesso." Frederick Douglass trova il coraggio di resistere al domatore di schiavi presso cui viene mandato per essere addomesticato, fiaccato; domatore di schiavi che è infinitamente più brutale dei suoi padroni anteriori; egli trova questo coraggio quando si sente capace di liberarsi della sua fede religiosa. Egli dice in questa occasione: "Le mie mani non erano più legate dalla mia religione". Così costatiamo che il ruolo della religione - durante l'epoca della schiavitù non è omogeneo; è estremamente complesso. La sua funzione passa continuamente da un estremo all'altro. Una sola formula non è sufficiente. Abbiamo visto la volta precedente come la religione svolgesse un ruolo positivo; sveleremo ora i suoi aspetti nocivi, in quanto essa sopprimerà lo schiavo nella persona del proprietario di schiavi, fornirà una costrizione interiore e spesso sarà necessario superarla perché si possa produrre un capovolgimento reale. I dirigenti religiosi delle rivolte di schiavi trovarono l'ispirazione nella religione, in essa trovarono il coraggio. F. Douglass, in questo momento della sua esistenza, come innumerevoli altri, vede chiaramente la necessità di eliminare le illusioni al fine di trasformare il mondo reale, al fine di arrivare al suo completo impegno nella resistenza all'oppressione. Sono d'accordo con Marx sulla necessità del trionfo sulla religione per scoprirne le ragioni d'essere, cioè il fatto che il gemito dell'essere oppresso, per diventare una protesta efficace contro l'oppressione, deve essere articolato e operante in un contesto politico. Ciò non ostante non nego che in una certa misura la natura illusoria della religione non possa essere superata nell'ambito della religione stessa. Ho dato come esempi quelli di Nat Turner, Denmark Vesey, Gabriel Prosser. Al riguardo, qualcuno ha attirato la mia attenzione sul fatto che non ho nominato nessuna donna in questi esempi. Io non sono stata sufficientemente attenta. Ciò che Harriet Tubman, Sojourner Truth e numerose altre hanno realizzato non potrà mai essere sufficientemente considerato. Vorrei ora terminare la discussione sulla religione che riprenderemo, può darsi, in un altro momento; esaminando la vita di Douglass. Vorrei invece continuare a sviluppare la nozione di alienazione e la maniera in cui lo schiavo fa esperienza del mondo e della storia. Abbiamo detto che la formulazione estrema dell'alienazione di uno schiavo è la sua esistenza, considerata come capitale, denaro, proprietà. Vorrei avere il tempo di leggere una citazione relativamente lunga perché mi sembra che essa riassuma nel suo aspetto concreto la nozione di alienazione. "Io non sono, pensai, che lo zimbello di un potere che non tiene alcun conto del mio benessere o della mia felicità. Per una legge che io non so comprendere, ma alla quale non posso né sfuggire né resistere, io sono strappato senza pietà dal focolare di una tenera nonna e costretto ad andare nel dominio di un vecchio padrone misterioso; di nuovo mi si trasporta, di là, presso un padrone a Baltimore e al momento in cui mi sono formato dei nuovi legami e ho cominciato a sperare che nessun altro colpo così rude si sarebbe abbattuto su di me, una discussione tra due fratelli mi costringe ad essere mandato a St. Michaels; e ora, da questo ultimo posto, parto a piedi per arrivare alla casa di un altro padrone, dove, da quanto ho potuto capire, sarò domato come un giovane animale selvaggio, perché accetti il giogo di una schiavitù amara per tutta la vita." Per lo schiavo il mondo appare come una rete ostile di circostanze in cui si impiglia continuamente a suo completo svantaggio. La storia è percepita come un fascio di avvenimenti casuali, di fatti accidentali che molto al di là del suo potere agiscono in una direzione che è abitualmente nefasta alla sua vita personale. Una discussione banale tra due fratelli è sufficiente a rovinare e mutilare la vita dello schiavo - Frederick è condotto alla piantagione del suo vero padrone che è infinitamente più sadico del fratello con il quale aveva vissuto, e ciò in seguito ad un disaccordo futile. Ieri uno studente bianco è venuto nel mio Istituto e ha domandato delucidazioni sullo orientamento del corso. Ha domandato se intendevo o meno limitarlo alle esperienze filosofiche dello schiavo, dell'uomo nero nella società o se intendessi anche parlare delle "persone". A parte il fatto che gli schiavi e i neri sono persone, io penso a qualcosa di cui voi dovreste avere coscienza - e ciò non è senza collegamento con quanto dicevo precedentemente sull'argomento dell'alienazione. Gli oppressi sono costretti ad attaccarsi ogni giorno a problemi immediati, problemi che però hanno una formulazione filosofica e che riguardano tutti gli uomini. A mio avviso, la maggior parte delle persone che vivono oggi nella società occidentale sono alienate da sé stesse, e in rapporto alla società. Fornirne una dimostrazione oggettiva richiede una discussione lunga e, se voi volete, potremo riprendere il punto in un corso di discussioni (8). Ma il punto è che gli schiavi, i neri, i chicanos (9) e i bianchi oppressi sono più consapevoli dell'alienazione. Non tanto nella sua formulazione filosofica, quanto nella sua proiezione quotidiana. Lo schiavo per esempio fa esperienza di questa alienazione sotto la forma della ostilità continua che subisce dal suo ambiente

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quotidiano. Durante l'epoca della schiavitù penso che era generalmente ammesso che lo schiavo era asservito e che il bianco era libero, che lo schiavo era un non-umano o un sub-umano, e che l'uomo bianco era ciò che di più alto fosse apparso nell'umanità. Consideriamo di nuovo l'esempio estremo dell'uomo bianco nella società schiavista: il domatore di schiavi. C'è qualcosa che possiamo chiamare il concetto di domatore di schiavi e che possiamo definire seguendo il comportamento reale di Covey, il domatore, appunto, sotto la cui autorità F. Douglass visse per un anno. Ora, che rosa possiamo dire del concetto di domatore di schiavi? La sua esistenza è la condizione sine qua non della schiavitù, un fatto indispensabile alla perpetuazione della servitù. Nello stesso tempo, il domatore di schiavi si trova sull'orlo estremo dell'asservimento, sull'ultima barriera tra la schiavitù e la liberazione fisica. Egli possiede la funzione di fiaccare gli schiavi insolenti, coloro che rifiutano di accettare per loro stessi la definizione che la società vuole loro imporre. Egli deve rompere, distruggere, fa realtà umana nello schiavo prima che questi riesca a capovolgere l'equilibrio del sistema schiavista. Il suo strumento è la violenza. Egli fa violenza al corpo per spezzare la volontà. Non solamente l'uso continuato della frusta, ma il lavoro, la fatica, troppo dura persino per un animale da soma, erano le manifestazioni di questa violenza: "Io ero frustato, a colpi di verga o di nerbo di bue ogni settimana. Le ossa doloranti e la schiena piagata erano miei compagni ad ogni istante. La sferza così frequentemente impiegata era considerata da Mr. Covey meno efficace di un lavoro sfiancante e prolungato quale strumento per spezzare il mio coraggio. Mi faceva lavorare senza respiro fino al limite delle forze. Dall'alba alla notte inoltrata ero al lavoro nei campi o nei boschi". Uno degli insegnamenti che possiamo apprendere dal metodo dialettico è che nel processo di funzionamento del mondo l'uomo subisce dei cambiamenti che sono in rapporto con i suoi stessi atti. Cioè l'uomo non può compiere un qualsiasi compito nel mondo senza essere infettato da questo atto. Ora, cosa significa ciò per Covey, il domatore di schiavi? Il suo compito è di mutilare l'umanità dello schiavo. La questione che noi dobbiamo porci è di sapere se può compiere questa funzione senza mutilare parimenti la sua propria umanità. Noi dobbiamo dedurre dalla risposta a questa domanda a che punto sia arrivata l'umanità dell'uomo bianco in generale nel corso dell'epoca dello schiavismo. Non abbiamo bisogno di librarci in speculazioni metafisiche inutili per rispondere a questa domanda. Douglass lo dice chiaramente quando chiama il domatore di schiavi col suo nome: "Il suo atteggiamento abituale consisteva nel non avvicinarsi mai in una maniera aperta, diretta e virile nel luogo ove lavoravano i suoi uomini. Nessun ladro fu così abile nei suoi stratagemmi come Covey. Egli scivolava e saltava su fossati e rigagnoli, si nascondeva dietro tronchi e cespugli e usava tanto l'astuzia del serpente che io e Bill Smith tra di noi lo chiamavamo solo col nome di "serpente"". Chi è non umano qui? Chi si abbassa fino al fondo? Oltre all'immagine biblica del serpente, figurazione del male, l'immagine del serpente, la sua stessa abitudine di strisciare sul suolo è simbolo rivelatore. Allo scopo di condurre gli schiavi a 'lavorare,' il domatore stesso, mentre è costretto a mentire, è inumano ed è costretto ad essere inumano. Egli rappresenta tutte le connotazioni del lavoro stesso che sta svolgendo. Potrei dire che egli ne è più profondamente infettato dello schiavo stesso perché lo schiavo vede ciò che accade - si rende conto che esiste un potere esterno che agisce verso la soppressione dell'esistenza umana fondamentale dello schiavo. Egli lo vede, lo percepisce, lo intende in ogni azione del domatore di schiavi. Quest'ultimo, invece, non ha coscienza del cambiamento che sta subendo lui stesso in seguito alle sue azioni sadiche: "...in Mr. Covey, l'astuzia era naturale. Tutto ciò che egli possedeva in fatto di ideologia o di religione lo adattava a questa tendenza alla ambiguità. Egli non sembrava aver coscienza di ciò che questa abitudine comportava di indegno, di basso e di spregevole". Questa tendenza inconscia all 'annullamento del sé non si limitava al domatore di schiavi, a coloro che si tenevano sui confini della schiavitù per mantenerne i confini stessi. Queste caratteristiche risultano direttamente dal sistema stesso e potevano essere attribuite ai padroni di schiavi in generale. Ciò è indicato in questi due passi: "Per quanto vile e spregevole, tutto ciò è in armonia con il carattere proprio della vita di un proprietario di schiavi". Riferendosi al carattere naturale della furbizia di Mr. Covey e della sua inclinazione alla menzogna, F. Douglass scrive: "In lui ciò costituiva un elemento essenziale del sistema di relazioni tra padrone e schiavo". Continuiamo a discutere di questa relazione, tra padrone e schiavo, e dei suoi riflessi sul padrone. Come abbiamo detto, si crede che il padrone sia libero, che lo schiavo non lo sia, che sia dipendente. La libertà e l'indipendenza del padrone se la consideriamo filosoficamente, é un mito. È uno di quel miti che, come dicevo nella prima conferenza, dobbiamo smascheare per arrivare alla sostanza reale che ne é stata l'origine. Come poteva il padrone essere indipendente, dato che l'istituzione della schiavitù gli forniva la ricchezza, gli riforniva i mezzi della sua sussistenza? Il padrone dipendeva dallo schiavo, ne dipendeva per vivere. Nella Fenomenologia dello spirito, Hegel discute la relazione dialettica che esiste tra lo schiavo e il padrone. Egli enuncia tra le altre cose che il padrone, se prende coscienza della sua condizione, deve rendersi conto che la propria indipendenza è basata sulla sua

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dipendenza nei riguardi dello schiavo. Tale enunciato può sembrare contraddittorio, ma la dialettica è basata sulla scoperta delle contraddizioni dei fenomeni, contraddizioni che possono rendere conto della loro esistenza. La realtà è imbevuta di contraddizioni. Senza tali contraddizioni, non ci sarebbe dinamica, processo, attività. Non vorrei partire per una tangente teorica sull'argomento della dialettica, ritorniamo così allo schiavo ed al padrone e vediamone la relazione dialettica che esiste nella ,realtà. L'indipendenza del padrone è basata, diciamo, sulla dipendenza nei riguardi dello schiavo. Se lo schiavo non fosse lì a coltivare la terra, a costruirgli i suoi domini, a servirgli i pasti, il padrone non sarebbe libero dai bisogni della vita. Se esso dovesse fare tutte le cose che lo schiavo fa per lui, sarebbe nello stesso stato di servitù dello schiavo. Lo schiavo rappresenta la zona-tampone, ed in tale senso lo schiavo è in un certo qual modo un padrone - egli detiene un potere sui mezzi di sostentamento del padrone: se egli non lavora più, se cessa di obbedire agli ordini, il mezzo che ha il padrone di sopperire ai suoi bisogni viene a mancare. Così, a questo livello noi possiamo enunciare quanto segue, sperando che sia chiaro: il padrone è costantemente sul punto di diventare lo schiavo e lo schiavo possiede il modo concreto e reale di metterlo in questa posizione, di diventare lui il padrone. Io non vorrei che tutto ciò apparisse come un gioco di parole in campo filosofico. Talvolta leggendo Hegel si ha l'impressione che l'autore giochi con il nostro pensiero: le cose sono ciò che sono, ma sono costantemente sul punto di diventare altro da ciò che sono, sempre sul punto di diventare la propria contraddizione. Penso di poter dimostrare la veridicità dell'espressione: il padrone è costantemente sul punto di diventare lo schiavo, mentre lo schiavo è sul punto di diventare il padrone. Consideriamo il punto cruciale della Vita e l'epoca di F. Douglass. Si trova al capitolo XVII, "L'ultima flagellazione". F. Douglass arriva all'esperienza straziante di dover lavorare fino a crollare fisicamente. A quel punto egli è spezzato, sul piano morale, non ha più volontà. Covey, rifiutando di accettare la malattia come una scusa valida per l'astensione dal lavoro, lo batte fino a farlo giacere inerte al suolo. F. Douglass decide di ritornare dal suo padrone precedente, ma non trovando nemmeno in lui alcuna comprensione ritorna sui suoi passi. Fortunatamente è domenica quando arriva nella casa del domatore, e Covey, per via della sua devozione, non lo batte - o come Sandy, uno schiavo che ha aiutato F. Douglass, ci vorrebbe far credere, Covey non lo batte grazie ad un'erba che gli è stata data. In ogni caso Covey non riprende il ruolo di domatore prima della fine del giorno del Signore. Istintivamente, inconsciamente F. Douglass si difende quando il domatore di schiavi tenta di batterlo. "Io non so, ma in ogni caso ero deciso a lottare e, cosa ancora più importante, a lottare duro. La frenesia del combattimento si era impadronita di me, e mi ritrovai con le dita fortemente serrate alla gola del tiranno, incurante delle conseguenze, come se non avessimo potuto essere uguali davanti alla legge. Avevo dimenticato anche il colore della pelle." Quale è la reazione di Covey? Si potrebbe credere che, dato che dopo tutto è il padrone, ed è bianco, non avrà fatica ad avere la meglio su di un ragazzo di sedici anni. Il domatore di schiavi, che aveva la reputazione di essere capace di addomesticare gli schiavi ribelli di tutta la regione, trema e chiede aiuto. "Era terrorizzato, soffiava ed ansimava, sembrava incapace di reagire con parole o con atti. " Egli si rivolge invano ad uno schiavo su cui non ha autorità, chiedendogli di venirgli in aiuto. Tenta finalmente di ordinare alla sua schiava personale di vincere Frederick. Ella si rifiuta ed egli viene ridotto all'impotenza.

Dobbiamo chiederci cosa accade in questo passo. Covey è certamente abbastanza forte fisicamente per vincere Frederick. Perché non riesce a venire a capo di questa resistenza inattesa? Tale atto di resistenza manifesta mette in crisi la sua propria identità. Egli non è più riconosciuto come padrone, e lo schiavo non si riconosce più come tale. I ruoli sono invertiti. Ecco un esempio concreto della proposizione che ho precedentemente enunciato - il padrone è sempre sul punto di diventare lo schiavo e lo schiavo è sempre sul punto di diventare il padrone. Nel passo accade proprio questo. Covey riconosce implicitamente il fatto che dipende dallo schiavo non solo in senso materiale, per la produzione della ricchezza, ma anche per l'affermazione della propria identità. Il fatto che si rivolga a tutti gli schiavi presenti, per essere aiutato a vincere Frederick, indica che egli dipende da questa affermazione della sua autorità - essi la rifiutano tutti ed egli si trova abbandonato, nel vuoto, alienato da se stesso. Ciò ha per effetto di far franare tutta la forza fisica che gli era necessaria per vincere la battaglia. Dopo aver chiaramente perso la partita, privato della base sostanziale per la propria identità ed il proprio ruolo, egli si sforza di riaffermare la sua autorità con la seguente affermazione, impotente e falsa: "Ora, pezzo di canaglia, va' al lavoro; io non ti avrei frustato così forte se tu non mi avessi resistito". La verità era che non mi aveva battuto affatto. Nella mischia non aveva fatto colare nemmeno una goccia del mio sangue, io avevo versato il suo." Covey non tenterà mai più di frustarlo. F. Douglass descrive questo avvenimento come la svolta decisiva nella sua vita di schiavo.

La settimana prossima analizzeremo questo incidente dal punto di vista del cambiamento che si è prodotto in lui, nello schiavo. Egli non è più il "cattivo", la cui natura subisce un cambiamento in seguito agli atti compiuti.

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Occupandoci in questa sede della libertà e delle prospettive della liberazione, tenteremo di farne un'analisi approfondita nella prossima conferenza.

Note:

(1) Ronald Reagan, governatore della California.

(2) Rivista dell'Associazione degli attivisti africani, v. I, n. 2, 1970.

(3) I cinque emendamenti permettono di rifiutarsi di rispondere a una o più domande se l'accusato ritiene che tali domande gli possano nuocere (n.d.t.).

(4)Dichiarazione di John Abt, avvocato difensore.

(5) George Jackson è stato ucciso il 22 agosto 1971 dalle guardie del Carcere di Soledad con il pretesto di un "tentativo di ribellione".

(6) Giornale del Popolo nero di New York (n.d.t.).

(7) Frederick Douglass, nato nel 1817, nel Maryland, morto nel 1895. Schiavo, evase nel 1838. Completò la sua istruzione e partecipò attivamente alla campagna antischiavista.

(8) Esercitazioni

(9) Chicano: nomignolo dato agli oriundi messicani negli Stati Uniti.