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Asma e rinite allergica spesso coesistono: si stima infatti che la rinite sia presente nel 75% dei pazienti con asma allergico e nell’80% di quelli con asma non allergico.

Le due patologie, inoltre, condividono gli stessi fattori scatenanti (allergeni) e la rinite deve essere in ogni caso trattata come un fattore di rischio per esacerbazione di asma.

A questo si aggiunge il fatto che le vie aeree superiori e inferiori hanno processi infiammatori comuni e forse collegati anche attraverso vie nervose riflesse.

L’infiammazione eosinofila caratterizza, a livello rispettivamente nasale e bronchiale, le due patologie, che per lungo tempo sono state considerate entità nosologiche distinte.

D’altra parte, la rinopatia presente nei soggetti asmatici tende a manifestarsi con una gravità maggiore rispetto a quella dei pazienti che non hanno asma.

In effetti, la suddivisione delle vie respiratorie in superiori, dal naso al laringe, e inferiori, dalla trachea agli alveoli, è puramente convenzionale.

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Essendo organi cavi e “condotti” che permettono all'aria di raggiungere gli alveoli polmonari, dove avviene lo scambio gassoso con il sangue, essi costituiscono in realtà un continuum anatomo-fisiologico funzionalmente strutturato.

Anche le cavità accessorie del cranio (seni paranasali, trombe di Eustachio e orecchio medio) che non prendono parte alla respirazione, in quanto comunicanti con le vie aeree, ne condividono caratteristiche e problematiche.

Poiché dunque le malattie allergiche respiratorie interessano più di un organo, sia in concomitanza sia in successione, è importante considerarle in termini globali.

È stato infatti osservato che il trattamento adeguato della flogosi nasale può contribuire a ridurre l’iper-reattività bronchiale che insorge frequentemente in questi soggetti.

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Ippocrate da Cos (460-377 aC), descrivendo le crisi di asma, sosteneva l’esistenza di componenti umorali che, originando nel cervello, discendevano poi nel naso e nei bronchi, ostruendo le vie aeree inferiori.

Questa teoria venne poi ripresa da Galeno (128-216 dC), il quale riteneva che la componente umorale descritta da Ippocrate fosse costituita da “umori densi e vischiosi” i quali, discendendo dal cervello prima nel naso e poi nei bronchi, ostruivano le vie aeree inferiori, per cui gli asmatici “vengono soffocati dall’asma, che si manifesta come fame d’aria, dilatazione toracica e dispnea prevalentemente espiratoria”.

Ben otto secoli dopo, questa spiegazione degli eventi asmatici veniva riproposta dal filosofo, mistico e medico Avicenna (980-1037) nel Canone della Medicina, il più famoso e diffuso testo di insegnamento e compendio di scienza medica in Medio Oriente e in Europa di quegli anni, nel quale si legge: “L’asma compare ogni volta che umori vischiosi colano dalla testa verso il basso, in particolare nei polmoni … quando è diventata cronica, l’asma non guarisce” (Tomo I, Libro IV, Capitolo 38). Nel XII secolo il Canone fu tradotto in latino, influenzando gli sviluppi della Scolastica filosofica e medica a Montpellier e nelle altre facoltà mediche medievali.

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Soltanto gli studi successivi consentirono di osservare che il cervello era anatomicamente separato dalle vie aeree superiori, cosicché non era possibile il passaggio dei suddetti umori.

Le mucosità possono invece originare nelle vie aeree superiori, migrando poi per gravità in quelle inferiori e andando a costituire, nel sistema di clearance mucociliare, il drenaggio retronasale di muco che, discendendo attraverso il laringe, può contribuire non solo a stimolare l’insorgenza della flogosi delle vie aeree inferiori, ma anche ad amplificarne gli effetti, dando luogo a ostruzione.

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Questa slide mostra come i sintomi della rinite allergica siano frutto dell’interazione tra vari processi, innescati dall’esposizione a un allergene e tali da coinvolgere più tipologie cellulari.

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Negli anni recenti si sono approfondite le conoscenze relative all’esistenza di correlazioni tra vie aeree superiori e inferiori relativamente ad affezioni come quelle allergiche che interessano, in concomitanza o in successione, i due tratti dell’apparato respiratorio.

Vari anni fa venne anzi coniato il termine di sindrome rino-bronchiale per etichettare quadri patologici con caratteristiche prevalentemente infettive, rappresentate in genere da rinosinusiti croniche associate o seguite da tracheobronchiti ricorrenti.

Numerosi dibattiti si sono poi succeduti nel tentativo di focalizzare tale problematica, su come cioè l’infiammazione nasale, semplice o con sovrapposta infezione batterica, potesse indurre eventi patologici sulle vie aeree inferiori, se cioè ci fosse dipendenza tra i due settori o non si trattasse piuttosto di un’unica patologia con espressioni flogistiche a vari livelli, illustrati dalla presente slide, che richiama il network di interazioni presentato dalla slide precedente.

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Le concezioni sulla sindrome rino-bronchiale sono state progressivamente modificate sulla base delle migliorate conoscenze, oltre che di fisiopatologia e di farmacologia clinica, anche di biochimica e di biologia molecolare, con studi effettuati su prelievi bioptici o sui reperti ottenuti con lavaggi endonasali e broncoalveolari.

Sono state così approfondite le conoscenze relative ai meccanismi di regolazione neurorecettoriale delle vie aeree e sono stati identificati numerosi mediatori chimici che agiscono su entrambi i settori delle vie aeree o prevalentemente su uno di essi.

Diversi studi hanno dimostrato che la rinite e l’asma frequentemente insorgono contemporaneamente e comunque sintomi nasali sono stati segnalati tra il 30% e l’80% dei pazienti asmatici, se paragonati con circa il 20% della frequenza osservata nella popolazione generale.

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È difficile stabilire se la rinite rappresenti la prima manifestazione di un’allergopatia respiratoria in un paziente che successivamente sviluppa asma o se la patologia nasale costituisca l’espressione di una sindrome che coinvolge sia le vie aeree superiori sia quelle inferiori.

Un paziente con ostruzione nasale derivante da una rinite allergica non curata adeguatamente è comunque obbligato a respirare per via orale e ciò potrebbe influenzare negativamente le basse vie aeree per il venir meno della funzione nasale di condizionamento e filtrazione dell’aria inspirata.

L’infiammazione nasale, come abbiamo già accennato in precedenza, potrebbe inoltre propagarsi nelle vie aeree inferiori.

È stato anche osservato che pazienti con rinite allergica senza evidenza clinica di asma manifestano iperreattività bronchiale non -specifica evidenziabile con test di provocazione bronchiale con metacolina: in altri termini essi sono a rischio di sviluppare asma

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È opportuno sottolineare che l’iper-reattività delle vie aeree nei riguardi di stimoli vari (allergeni solo nei soggetti atopici, stimoli aspecifici come, per esempio, gli irritanti chimici gassosi sia negli atopici sia negli intrinseci) è presente ed evidenziabile non solo a livello bronchiale ma anche a livello nasale.

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Anche l’inquinamento può indurre un aumento della risposta allergica.

La slide riepiloga i principali meccanismi sospettati.

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Nei pazienti asmatici che presentano anche rinite, la qualità della vita è notevolmente peggiorata dai sintomi nasali, costituiti da ostruzione nasale, starnutazione e rinorrea e da problemi connessi come la difficoltà nell’addormentamento, il peggioramento nella concentrazione e la conseguente limitata interazione sociale.

Lo studio della reattività bronchiale aspecifica (mediante test alla metacolina) è perciò di utile applicazione non solo in presenza di sintomi di sospetta origine dalle vie aeree inferiori ma anche nei casi di rinite, per valutare l’eventuale rischio di coinvolgimento delle vie aeree inferiori.

Va da sé che il trattamento della rinite mediante corticosteroidi migliora anche l’asma indotto da attività fisica.

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L’asma bronchiale è una malattia respiratoria caratterizzata da infiammazione con iper-reattività delle vie aeree e da ostruzione bronchiale di intensità e frequenza variabile da soggetto a soggetto e, nello stesso paziente, in occasioni diverse.

Il documento Progetto Mondiale Asma (GINA-Global Initiative for Asthma), prodotto da una commissione nominata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Istituto statunitense per le malattie polmonari, cardiache e del sangue (NLHBI) e approvato dalle più autorevoli società scientifiche del settore, fornisce una definizione della malattia sulla base dei concetti più aggiornati anatomo-patologici, funzionali e clinici dell’asma bronchiale, riportata nella slide.

In accordo con la posizione espressa dal gruppo GINA, l’infiammazione cronica delle vie aeree inferiori è ritenuta la causa principale della comparsa di iper-reattività bronchiale; i sintomi asmatici, determinati dall’ostruzione al flusso aereo, sono considerati le manifestazioni cliniche di questa infiammazione cronica e dell’iper-reattività bronchiale.

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Numerosi sono gli agenti in grado di indurre asma bronchiale, stimolando la comparsa di ostruzione bronchiale che, almeno inizialmente, è reversibile spontaneamente o con l’uso di farmaci.

Nel tentativo non semplice di definire l’asma bronchiale, occorre tener presente che in essa intervengono aspetti funzionali (iper-reattività bronchiale, ostruzione variabile delle vie aeree), morfologici (infiammazione cronica delle vie aeree con infiltrazione di cellule flogistiche, soprattutto eosinofili ma anche linfociti, mastociti e così via) e clinici (accessi dispnoici di intensità e frequenza variabile).

I fattori costituzionali, sia quelli genetici che controllano la sintesi di IgE, sia quelli che governano l’iper-reattività bronchiale, costituiscono un substrato indispensabile per l’insorgenza dell’asma bronchiale allergica.

I fattori ambientali agiscono facilitando da una parte l’insorgenza di asma in soggetti predisposti, con effetto cosiddetto inducente, e dall’altra favorendo riacutizzazioni di ostruzione bronchiale nei soggetti già asmatici, con effetto scatenante.

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La rinosinusite cronica nell’asma severo, cioè l’infiammazione dei seni paranasali, indicati nella slide, rappresenta un importante fattore di rischio, che determina esacerbazioni più frequenti, infiammazione delle vie aeree periferiche e un declino più rapido della funzione respiratoria.

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La slide mostra la sovrapposizione tra rinite, asma e relative complicanze.

Un paziente con asma incontrollato, nonostante la somministrazione di terapia antinfiammatoria con dosi elevate di steroidi oltre che di antileucotrienici, dovrebbe essere sottoposto a endoscopia nasale per valutare le condizioni delle mucose nasali e dei seni paranasali.

Se si valuta l’opportunità di un intervento chirurgico per la rimozione dei polipi, questo deve essere poi seguito dalla somministrazione protratta di steroidi endonasali per via inalatoria.

Talune osservazioni fanno ritenere che il trattamento della rinite induca invece miglioramenti non solo nasali ma anche dei sintomi asmatici.

Il meccanismo fisiopatologico delle reazioni allergiche e le conseguenti espressioni cliniche acute e croniche, favorite dal substrato infiammatorio nelle vie aeree nasali dei soggetti che soffrono di rinite allergica, sono simili a quelli delle basse vie aeree negli asmatici.

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Nella maggior parte dei casi l’aerosol rientra nelle prescrizioni, in quanto consente di veicolare i farmaci direttamente nella sede in cui devono esplicare la propria azione, annullando l’attesa dovuta al tempo di assorbimento ed eliminando numerosi effetti indesiderati dovuti proprio agli effetti sistemici di alcune molecole.

L’efficacia di tale modalità terapeutica, tuttavia, è strettamente subordinata a due fattori: la scelta di un apparecchio in grado di produrre particelle di dimensioni funzionali a raggiungere il distretto di interesse e l’osservanza delle indicazioni da parte del bambino.

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Anche la congiuntivite (detta anche oculorinite o rinocongiuntivite) allergica, parallelamente alle altre allergopatie, è una patologia in costante aumento.

La congiuntivite è tra i sintomi principali della rinite allergica, eppure normalmente i soggetti che ne soffrono non riportano al proprio medico il problema dell’occhio rosso.

Benché circa il 95% dei pazienti con rinite allergica abbia anche un interessamento oculare, la congiuntivite è abbondantemente sottovalutata nel self reporting dei pazienti.

L’interessamento della congiuntiva è particolarmente frequente soprattutto nei pazienti che presentano una polisensibilizzazione, che sono cioè sensibili sia agli allergeni perenni come gli acari, sia agli allergeni stagionali, vale a dire i pollini.

L’occhio rosso rappresenta senza alcun dubbio la manifestazione tipica di chi soffre di un’allergia oculare; si tratta però anche di un sintomo estremamente comune e tutto sommato non specifico, potendo rappresentare la conseguenza di una serie di cause differenti.

La presenza di un arrossamento significa infatti che vi è un’infiammazione della congiuntiva che può essere dovuta a fattori ambientali (esposizione al sole, inquinamento atmosferico, vento), ad agenti infettivi, a problemi di ridotta lacrimazione, all’esecuzione di terapie locali, alla presenza di malattie generali, in particolare malattie autoimmunitarie e, appunto, alle allergie.

È suggestiva di congiuntivite allergica la presenza per più di un’ora al giorno di una rinite concomitante, oltre al fatto che il paziente lamenti anche prurito oculare, lacrimazione e arrossamento; inoltre nella forma allergica i sintomi sono bilaterali.

Orienta invece verso una forma non allergica, in mancanza di rinite, la presenza di sintomi unilaterali, fotofobia, bruciore o dolore oculare e secchezza congiuntivale.

Uno studio condotto nel 1998 per verificare la prevalenza e la severità dei diversi sintomi manifestati dai pazienti con rinite allergica aveva documentato come i sintomi oculari fossero presenti da soli (nell’8% dei casi) o insieme a quelli nasali (nell’85,3% dei casi) addirittura più spesso dei sintomi nasali senza congiuntivite (6,7%).

Inoltre dalla stessa indagine emergeva come nel 70% dei casi la severità dei sintomi oculari fosse analoga se non superiore a quella delle manifestazioni rinitiche.

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Il primo obiettivo di fronte a un individuo con una congiuntivite allergica è cercare di capire di quale forma di allergia si tratta.

Non bisogna infatti dimenticare che esistono diverse forme allergiche e che accanto a quelle più semplici da curare, meno sintomatiche possono esservi forme più gravi.

Questo approccio diagnostico dell’oculista può rivelarsi quindi importante perché può svelare la presenza di allergie o porre una diagnosi di allergia anche in pazienti che magari non hanno altre manifestazioni allergiche concomitanti e possono non avere test specifici positivi per allergeni sensibilizzanti, contribuendo così a una loro diagnosi tempestiva.

L’obiettivo della terapia sarà quello di migliorare la sintomatologia che è sempre presente nelle forme allergiche oculari (prurito, bruciore, lacrimazione, arrossamento).

Diversi farmaci sono disponibili per fronteggiare questi segni e sintomi. Molti di questi però, pur essendo efficaci, comportano effetti collaterali che è bene tenere presente: è per esempio il caso degli steroidi, il cui impiego a lungo termine può determinare aumento della pressione oculare e quindi glaucoma, con danni molto più gravi di quelli conseguenti a una forma allergica.

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Oltre a sinusite, congiuntivite, faringite con scolo di muco retronasale e soprattutto asma bronchiale la rinite allergica può annoverare tra le proprie complicanze anche l’otite media secretiva.

L’elemento patognomonico dell’otite media secretiva è rappresentato dalla persistenza di essudato all’interno dell’orecchio medio, con conseguente ipoacusia trasmissiva per ostacolo alla mobilità del timpano e degli ossicini.

Alla patogenesi dell’otite possono concorrere numerosi fattori, tra cui la disfunzione primitiva della tuba di Eustachio, le sequele di processi infettivi e non da ultimo le allergopatie respiratorie.

L’otite media acuta ha indubbiamente un gravoso impatto epidemiologico e al tempo stesso clinico-sociale: si stima infatti che il 75% dei bambini al di sotto dei tre anni vada incontro ad almeno un episodio e che, come evidenziato oltre 10 anni fa da una ricerca condotta dalla Federazione Italiana Medici Pediatri, in Italia l’incidenza nei primi 5 anni d’età sia nell’ordine di oltre 1 milione di casi ogni anno.

I lattanti sono più predisposti all’otite per ragioni anatomiche, in quanto la tuba di Eustachio, che mette in comunicazione l’orecchio medio con la gola, ha un decorso meno inclinato rispetto all’adulto (orecchio e gola si trovano quasi allineate), tale da non ostacolare sufficientemente l’eventuale risalita di secrezioni e quindi microrganismi dal faringe.

Si spiega così, tra l’altro, perché nei bambini, a maggior ragione se allergici, è più frequente un’otite bilaterale piuttosto che localizzata in un orecchio solo, come si osserva il più delle volte negli adulti.

Anche l’esposizione al fumo passivo e l’utilizzo del succhiotto favoriscono l’otite, che è invece meno frequente negli allattati al seno e in concomitanza di ripetuti e accurati lavaggi delle fosse nasali.

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Il dolore è un classico segno di otite: si accentua quando il bambino viene messo a letto e talvolta può essere così forte da essere scatenato da una semplice pressione sul padiglione auricolare.

A volte, però, il dolore manca, ma in compenso la presenza di febbre, tosse o abbondanti secrezioni nasali insinua comunque il sospetto di un’otite concomitante.

Altri disturbi sono la riduzione temporanea della capacità uditiva (ipoacusia) e la sensazione di vertigine e/o percezione di suoni (per esempio fischi) acuti fittizi (acufeni).

Nel lattante sono frequenti irritabilità, rifiuto dell’alimentazione, vomito o diarrea.

Va sottolineato che la malattia allergica non è tanto da considerare una causa diretta dell’otite ma piuttosto un fattore predisponente alla sua insorgenza o a sue successive riacutizzazioni.

In questo caso un tempestivo intervento terapeutico mirato a desensibilizzare il paziente può contribuire a limitare l’insorgenza di otite media secretiva nell’individuo allergico.

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Come affermano le linee guida della Società Italiana di Pediatria, il trattamento cardine dell’otalgia è rappresentato dalla somministrazione di antidolorifici a dosaggio adeguato per via sistemica (paracetamolo o ibuprofene, non acido acetilsalicilico per il rischio di sindrome di Reye).

Nei bambini oltre i 3 anni di vita è accettabile la somministrazione topica di soluzioni analgesiche (lidocaina 2%) in soluzione acquosa, in aggiunta alla terapia antalgica sistemica, nelle prime 24 ore dalla diagnosi di otite media con otalgia da moderata a severa, in assenza di perforazione timpanica.

Considerato il rapporto fra il beneficio in termini di riduzione del dolore e di febbre e il rischio di effetti collaterali, una terapia antibiotica immediata è sempre raccomandata nei soggetti con otite media acuta di età inferiore a 2 anni con otite bilaterale, nei soggetti con sintomatologia grave, in quelli con otorrea da perforazione spontanea e in quelli con storia di ricorrenza.

I principali requisiti farmacocinetici di un antibiotico ideale nelle infezioni in età pediatrica possono essere riassunti in biodisponibilità orale elevata, emivita di eliminazione sufficientemente lunga da garantire una o al massimo due somministrazioni giornaliere e buona diffusione tissutale.

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