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N.B. quest’opera rappresenta una rielaborazione dei temi trattati nel testo previsto dal programma di studio e va intesa come materiale integrativo per la rielaborazione, apprendimento e ripetizione della materia. Aver scartato alcune parti e sottolineato l’importanza di altre non fa dell'autore docente, in quanto l’elaborato è frutto di valutazioni soggettive di uno o più STUDENTI. E’ doveroso, precisare che ognuno di noi è portatore di una singolarità che gli permette di recepire le informazioni in maniera diversa, migliore o peggiore che sia. Ti invitiamo, pertanto, ad integrare gli argomenti trattati con l’analisi diretta del libro di testo, scritto da un docente e/o luminare in materia. Speriamo davvero che questa mini-opera Ti invitiamo, pertanto, ad integrare gli argomenti trattati con l’analisi diretta del libro di testo, scritto da un docente e/o luminare in materia. Speriamo davvero che questa mini-opera possa esservi d’aiuto. Vi auguro di prendere un buon voto all’esame!!!

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programma di studio e va intesa come materiale integrativo per la rielaborazione,

apprendimento e ripetizione della materia. Aver scartato alcune parti e sottolineato

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Microeconomia(Sloman,Garratt)

Introduzione: oggetto dell’economia

L’economia non si occupa solo del denaro, non è un mero studio

della moneta. Infatti

rientrano nello studio economico due temi principali:

-Produzione di beni e servizi: quanto viene prodotto, con quali

tecniche e in che misura;

-Consumo di beni e servizi: quanto viene consumato dalla

popolazione, la sua struttura e le categorie delle persone che

consumano.

Il primo problema da affrontare è la scarsità, in quanto le risorse

disponibili non sono infinite ma limitate: tali risorse sono

chiamate “fattori di produzione”, che si distinguono in tre tipi:

A) Risorse umane: lavoro

B)Risorse naturali: terra e materie prime

C)Risorse derivate: capitale

Il nucleo dell’economia è formato dalla interazione tra domanda e

offerta: la prima rappresenta i desideri dei consumatori, l’offerta

invece le risorse disponibili. Il problema della scarsità è proprio

connesso all’eccedenza della domanda sull’offerta. E’ compito

dell’economia provvedere ad eguagliare la combinazione delle

due per raggiungere l’eguaglianza effettiva.

Ciò induce a compiere delle scelte tra le alternative: la rinuncia

della migliore alternativa a favore di un’altra è chiamata “costo

opportunità”. Il presupposto da cui partono gli economisti è che

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gli individui compiano scelte razionali preferendo sempre la

decisione che comporti maggiori benefici rispetto ai costi.

Introduzione: i sistemi economici

La differenza principale tra i sistemi economici è data dal grado di

controllo pubblico sull’economia, quindi possiamo distinguere:

1)Economia pianificata: tipica del modello socialista, prevede un

intervento massiccio dello stato nella distribuzione delle risorse tra

presente e futuro, nonché le risorse e le tecniche usate(Input) e le

quantità da produrre(Output), da cui il nome di analisi input-

output; lo stato quindi ha il compito di far coincidere questi due

fattori in ogni industria in modo tale che domanda e offerta siano

uguali.

Vantaggi: maggiore attenzione agli obiettivi del paese e

all’esigenze di ognuno, evitando disoccupazione e distribuendo

equamente le risorse.

Svantaggi:difficoltà di soddisfare le esigenze di tutti con

il rischio di un uso inefficiente delle risorse; riduzione delle libertà

individuali; difficoltà di attuare cambiamenti nella produzione in

base ai desideri della popolazione.

2)Economia di mercato: tipica del sistema capitalistico, si basa

sulla libertà di compiere le proprie scelte secondo valutazioni

utilitaristiche. Il perseguimento dell’interesse individuale permette

di raggiungere il benessere collettivo, per cui i due interessi non

sono in contrasto ma in armonia; queste considerazioni

costruiscono il teorema della mano invisibile di Adam Smith.

(Questo modello è regolato dal meccanismo dei prezzi che

analizzeremo in seguito.)

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3)Economia mista: modello che contiene elementi del primo e

del secondo tipo.

CAPITOLO 1: Mercati, domanda e offerta

1.La domanda

La domanda è la quantità di beni desiderata dai consumatori.

Quando il prezzo di un bene aumenta, la domanda diminuisce:

questa è la legge della domanda,che prende in considerazione due

effetti.

1)Effetto reddito: in seguito all’aumento del prezzo gli indidui

non potranno più consumare la stessa quantità di beni con il

proprio reddito. Tale effetto è l’incidenza della variazione dei

prezzi sulla quantità domandata.

2)Effetto sostituzione: in seguito all’aumento del prezzo gli

individui sostuiranno il bene con altri beni meno costosi.

Invece chiamiamo quantità domandata quanto i consumatori sono

in grado di acquistare un bene ad un dato prezzo e in un

determinato periodo di tempo.

La domanda dipende da questi fattori:

-Preferenze

-Beni sostituti(beni che vengono consumati in alternativa ad altri

in seguito ad un aumento dei prezzi; es. tè e caffè.)

-Beni complementari(beni che vengono consumati insieme; es.

zucchero e caffè)

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-Reddito(al crescere del reddito aumenterà la domanda di beni

normali; può accadere che, essendo le persone più ricche,

destineranno un quota minore di reddito ai beni inferiori, es.

margarina, ed una maggiore ai beni di qualità superiore, es. burro.)

-Distribuzione del reddito

-Aspettative variazioni future dei prezzi.

1.2 Curva di domanda

Rappresenta la funzione della domanda di un determinato bene ad

un prezzo,essendo stabili le altre condizioni(ceteris paribus).

FIGURA 1.1

La figura rappresenta la curva di domanda di mercato del bene:

sull’asse orizzontale vi è la quantità,su quello verticale il prezzo.

Partendo da un punto A( ad un prezzo di 25,la quantità sarà

700)notiamo che all’aumentare del prezzo, diminuisce la quantità

determinando un movimento lungo la curva verso sinistra, come

in figura fino al punto E(al prezzo di 125,la quantità sarà 100):

questo spiega la pendenza negativa della curva di domanda

(viceversa al diminuire del prezzo, aumenta la quantità domandata

del bene determinando un movimento verso destra).

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FIGURA 1.2

Nella figura 1.2 si verifica uno spostamento della curva di

domanda a destra:questo accade quando cambia una delle altre

determinanti della domanda, diversa da quella precedentemente

considerata(cioè il prezzo), che provoca a prezzo costante P una

maggiore quantità domandata Q(da Q° a Q1).

2. L’offerta

L’ offerta è la quantità di beni prodotta. Quando il prezzo di un

bene aumenta, aumenta anche l’offerta; questa relazione è fondata

su tre effetti:

1)aumentando l’offerta, i costi delle imprese aumentano;per cui

solo se il prezzo aumenta alle imprese converrà aumentare la

produzione, dovendo sostenere costi elevati

2)aumentando il prezzo e la produzione, cresceranno i redditi delle

imprese che saranno incentivate a produrre di più.

3)se il prezzo di un bene rimane elevato per lungo periodo, nuovi

produttori saranno indotti ad entrare nel mercato.

I primi due effetti riguardano il breve periodo, il terzo riguarda il

lungo periodo.

L’offerta dipende da questi fattori:

-Costi di produzione(maggiori sono i costi, minore è il profitto; i

costi possono aumentare a causa di variazione del prezzo degli

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input, cambiamenti tecnologici e organizzativi e in presenza di

imposte, mentre diminuiranno in presenza di sussidi statali.)

-Redditività dei prodotti sostituti(se i beni sostituti es. carote sono

più redditizi, i produttori ridurranno la produzione di beni meno

redditizi es.patate in favore dei primi.)

-Redditività dei prodotti congiunti(es. petrolio e benzina)

-Eventi imprevedibili(es. alluvione)

-Obiettivi dei produttori

-Aspettative variazioni future dei prezzi

-Numero dei fornitori(se nuove imprese entrano nel mercato,

potrebbe aumentare l’offerta.)

2.2 Curva di offerta

La funzione di offerta può essere rappresentata graficamente da

una curva.

FIGURA 1.3

Vale qui lo stesso principio applicato alla curva di domanda. La

figura rappresenta la curva di offerta di mercato del bene: sull’asse

orizzontale vi è la quantità,su quello verticale il prezzo. Partendo

da un punto A( ad un prezzo di 25,la quantità sarà 100)notiamo

che all’aumentare del prezzo, aumenta la quantità determinando

un movimento lungo la curva verso destra, come in figura fino al

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punto E(al prezzo di 125,la quantità sarà 700): questo spiega la

pendenza positiva della curva di offerta (viceversa al diminuire del

prezzo, diminuisce la quantità domandata del bene

determinandolo invece verso sinistra).

FIGURA 1.4

Nella figura 1.4 si verifica uno spostamento della curva di offerta

a destra in caso di aumento(da S° a S1),e a sinistra in caso di

diminuzione(da S° a S2):questo accade quando cambia una delle

altre determinanti della offerta, diversa da quella precedentemente

considerata(cioè a prezzo costante P).

3. La determinazione del prezzo

Ora possiamo unire le nostre analisi della domanda e dell’offerta,

mostrando come vengono determinati il prezzo effettivo di un

bene e la quantità effettivamente acquistata e venduta in un

mercato concorrenziale. Infatti se il prezzo di un bene fosse troppo

basso, la domanda eccederebbe l’offerta; i consumatori non

potrebbero ottenere tutto quanto desiderano e sarebbero disposti a

pagare un prezzo maggiore. I produttori sarebbero contenti di

vendere ad un prezzo maggiore; l’effetto dell’eccesso di domanda

è quindi un aumento del prezzo. All’aumentare del prezzo però, la

quantità domandata diminuisce e la quantità offerta aumenta:

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l’eccesso di domanda viene eliminato progressivamente. Se invece

fosse troppo alto, l’offerta eccederebbe la domanda, questo

comporterebbe una riduzione del prezzo dovuta alla concorrenza

tra i produttori per vendere le loro scorte. L’unico prezzo

sostenibile è quello in cui la domanda eguaglia l’offerta ed è

chiamato prezzo di equilibrio, in tal caso cioè quando l’offerta

soddisfa la domanda, si dice che il mercato è in equilibrio: non c’è

né eccesso di domanda né di offerta.

La determinazione del prezzo e della quantità di equilibrio può

essere illustrata usando le curve di domanda e offerta. L’èquilibrio

è il punto di intersezione tra le due curve.

FIGURA 1.5

La figura 1.5 mostra le curve di domanda e offerta delle patate. Il

prezzo di equilibrio

è Pe(75 centesimi) e la quantità di equilibrio è Qe(350.000

tonnellate). In corrispondenza di prezzo superiori a 75 centesimi,

c’è un eccesso di offerta. In corrispondenza di prezzi inferiori a 75

centesimi, c’è un eccesso di domanda. Il punto CC’ è l’equilibrio,

dove la domanda eguaglia l’offerta.

3.1 Spostamento verso un nuovo equilibrio

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Nel caso in cui una delle due curve si sposti, verrà raggiunto un

nuovo equilibrio. Se una delle determinanti della domanda(non il

prezzo) cambia, si sposta l’intera curva di domanda causando un

movimento lungo la curva di offerta verso il nuovo punto di

intersezione.

Analogamente, se una delle determinanti dell’offerta(non il

prezzo) cambia, l’intera curva di offerta si sposta, determinando

un movimento lungo la curva di domanda fino al nuovo equilibrio.

FIGURA 1.6

Nella figura 1.6, se un aumento del reddito facesse spostare la

curva di domanda in D2, in corrispondenza del prezzo iniziale Pe,

ci sarebbe un eccesso di domanda pari ad H-G. Questo farebbe

aumentare il prezzo a Pe2 comportando un movimento lungo la

curva di offerta dal punto G ad I e lungo la curva di domanda(D2)

dal punto H al punto I. La quantità aumenterebbe da Qe1 a Qe. Il

punto di equilibrio si sposta dal punto G al punto I.

FIGURA 1.7

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Nella figura 1.7, se i costi di produzione aumentassero, la curva di

offerta si sposterebbe verso sinistra in S2. Al vecchio prezzo Pe1,

ci sarebbe un eccesso di domanda(G-J); il prezzo aumenterebbe da

Pe1 a Pe3 e la quantità scenderebbe da Qe1 a Qe3. Ci sarebbe un

movimento lungo la curva di domanda dal punto G al punto K e

lungo l’offerta(S2) dal punto J a K.

CAPITOLO 2: Domanda individuale e domanda di

mercato

2. L’insieme delle alternative Abbiamo già visto come le scelte dei consumatori siano scelte

razionali,che si dirigono verso la l’alternativa che rende più

benefici agli stessi: tale approccio è definito

“consequenzialista”,intendendo la considerazione,nel compiere

una scelta,delle sue conseguenze economiche.

L’insieme delle alternative tra cui il consumatore sceglie è

l’insieme di beni e servizi potenzialmente a sua disposizione;tale

insieme è finito, a causa del numero limitato delle risorse e dello

stato delle conoscenze tecnologiche.

Ciò è rappresentato nella figura 2.1, in cui sono posti sugli assi

due beni,libri e latte,mettendo in evidenza la combinazione tra i

due per ogni quantità desiderata dell’uno e dell’altro bene: tali

combinazioni sono chiamate “panieri”.

FIGURA 2.1

2.1 Il vincolo di bilancio

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L’insieme dei panieri disponibili per i consumatori è soggetto a

dei vincoli:

- Vincoli fisici: determinati direttamente dalla dotazione delle

risorse(es. : le ore di tempo)

- Vincoli economici: sono dipendenti dal mercato e dalla

possibilità di scambio dei beni con altri soggetti.

FIGURA 2.2

Consideriamo ad esempio un soggetto che disponga di 10 euro per

l’acquisto di due beni, pasta e latte, che costano rispettivamente

0,50 al kg e 1 euro al litro:in tale caso il reddito a disposizione del

consumatore è limitato,per cui egli dovrà combinare le due

quantità dei beni rispettando il vincolo economico(per cui se vuole

20 kg di pasta,non avrà niente per il latte, come nel punto B; se

invece desidera 5 litri di latte,otterrà 10 kg di pasta,come nel punto

C).

Tali punti individuano la retta di bilancio.

FIGURA 2.3

Tale retta di bilancio esprime il vincolo di bilancio,indicato da

questa espressione:

S = xp1 + xp2 ≤ m

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Cioè che la spesa S per i due beni x1 e x2 al loro prezzo P deve

essere minore o uguale al reddito m a disposizione del

consumatore.

FIGURA 2.4

Nella figura è

rappresentato l’effetto di

un aumento del reddito, che sposta il

vincolo di bilancio verso l’alto, essendo

possibile acquistare quantità maggiori

di

entrambi i beni.

FIGURA 2.5

Il rapporto tra i prezzi dei due beni indica la pendenza della

retta,per cui P1/P2. Come vediamo in figura, se il prezzo del bene

2 aumenta, aumenta anche l’inclinazione del vincolo, viceversa se

aumenta il prezzo del bene 1, si riduce l’inclinazione.

2.2 Le preferenze e la loro rappresentazione

Un modo per conoscere gli obiettivi dei consumatori è analizzare

le loro preferenze tra varie alternative. Considerando due beni A e

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B,può accadere che il consumatore preferisca A (A>B), che

preferisca B(B>A),o che gli sia indifferente.

Le preferenze dei consumatori però devono rispettare questi 3

assiomi:

1)Completezza:il consumatore deve essere in grado di ordinare

le alternative, per cui o preferisce A o preferisce B o A e B gli

sono indifferenti.

2)Transitività:il sistema deve essere coerente per cui

considerando tre alternative A, B e C, se A > B e B > C allora A >

C

3)Monotonicità: tra due panieri A e B, che contengono la stessa

quantità di alcuni beni e una quantità diversa di altri beni, in modo

tale che A contiene una quantità maggiore di ciascuno di questi

ultimi, il consumatore preferisce sempre A a B.

Ciò implica che il consumatore preferisce avere a disposizione una

maggiore quantità di beni.

FIGURA 2.6

Considerando due beni, latte e riso, rappresentiamo graficamente

le preferenze del consumatore: nel punto A la quantità dei beni

sarà rispettivamente di 4 kg e 3 kg. Partendo da questo punto, tutti

i punti in alto e a destra di A saranno preferiti ad A in quanto

contengono quantità maggiori di entrambi i beni rispetto ad A

(B,C); al contrario, tutti i punti in basso e a sinistra di A, non

saranno preferiti in quanto contengono quantità minori di entrambi

i beni rispetto ad A (D,E). Tutti gli altri punti non sono ordinabili

rispetto ad A poiché contengono una quantità maggiore di un

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bene ma minore dell’altro bene rispetto ad A: quindi sono

indifferenti rispetto ad A.

L’insieme dei panieri indifferenti rispetto ad A costituisce la

curva di indifferenza.

FIGURA 2.7 FIGURA

2.8

Tutti i panieri che corrispondono Curve

di indifferenza ai punti in alto e a destra sono preferiti

più in alto e a destra sono rispetto a quelli che si trovano sulla

preferite rispetto alla altre

curva, mentre tutti quelli in basso e (per

cui I4 è preferita

a sinistra della curva sono considerati

rispetto a I3, I2 e I1).

peggiori.

(Una caratteristica delle curve di indifferenza è che non possono

mai intersecarsi.)

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2.3 Saggio marginale di sostituzione (SMS) È la quantità di un bene a cui il consumatore è disposto a

rinunciare per ottenere una quantità maggiore dell’altro bene.

Ciò è rappresentato nella figura 2.9

FIGURA 2.9

Considerando il paniere A

che contiene otto unità del bene 1 e due unità del bene 2, notiamo

che per aumentare la quantità del bene 2 dovremo ridurre la

quantità del bene 1, passando dal punto A al punto B: tali

variazioni sono espresse da , che rappresenta la pendenza

della retta. I beni per i quali vale questa relazione sono detti

perfetti sostituti essendo in grado di soddisfare il medesimo

bisogno, ed è necessario che tale rapporto sia costante.

Un’eccezione è rappresentata dai beni perfetti complementi, cioè

quelli che sono consumati insieme (computer e mouse): il

consumatore ne trarrà beneficio solo se ne ha la disponibilità

contemporanea in una proporzione data, come in figura 2.10

FIGURA 2.10

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2.4 L’ottimo del consumatore È il paniere che soddisferà maggiormente le preferenze del

consumatore tra i due beni, ed è dato dal punto in cui si

intersecano la retta di bilancio e la curva di indifferenza più alta

tangente ad essa: il punto A nella figura 2.11

FIGURA 2.11

2.5 Effetti sulla quantità domandata di variazioni del

reddito Come abbiamo visto prima, un aumento del reddito comporta lo

spostamento della retta verso l’alto e una riduzione del reddito lo

comporta verso il basso.

Se in questi casi i prezzi rimangono costanti, le rette saranno

parallele.

FIGURA 2.12

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Vediamo l’effetto di un aumento del reddito: a seguito di un

aumento del reddito la retta si sposta verso l’alto e l’ottimo del

consumatore si sposta dal punto A al punto B poiché, essendo

aumentato il reddito, aumenterà la quantità domandata di entrambi

i beni. Questo nel caso di beni normali.

FIGURA 2.13

Se i beni sono inferiori

(ricordiamo che essi sono quelli per cui un aumento del reddito

comporta una riduzione del consumo in quanto il consumatore,

essendo più ricco, sceglierà beni migliori). Nella figura 2.13

rappresentiamo questo caso, in cui ad un aumento del reddito

segue un consumo minore del bene x2 con spostamento

dell’ottimo da A a B.

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2.6 Effetti sulla quantità domandata di variazioni dei

prezzi Le variazioni dei prezzi dei beni modificano l’insieme delle

alternative disponibili facendo variare il vincolo di bilancio. Tali

effetti sono, come abbiamo già anticipato prima, l’effetto reddito

e l’effetto sostituzione.

All’aumentare del prezzo di un bene il reddito reale del

consumatore si riduce, in quanto diminuisce la sua capacità di

acquisto del bene considerato; viceversa, se il prezzo si riduce, il

reddito reale aumenta.

La variazione del prezzo di un bene comporta una rotazione del

vincolo di bilancio verso l’esterno se il prezzo diminuisce, e verso

l’interno se il prezzo aumenta.

Se vogliamo isolare il puro effetto della variazione di prezzo vi

sono due possibilità:

- compensazione hicksiana: dopo aver fatto variare il prezzo

modifichiamo il reddito in modo che quest’ultima variazione

compensi perfettamente la prima (figura 2.14);

- compensazione di Slutsky: il vincolo di bilancio ruota attorno al

punto di ottimo determinando il nuovo punto di ottimo (figura

2.15).

FIGURA 2.14 FIGURA 2.15

In entrambi i grafici chiamiamo E1 l’ottimo prima della variazione

del prezzo ed E2 quello dopo la variazione del prezzo, mentre E’1

la posizione intermedia: l’effetto di sostituzione è graficamente

rappresentato dallo spostamento dal punto E1 al punto E’1;

l’effetto di reddito dallo spostamento dal punto E’1 al punto E2.

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L’effetto sostituzione ha sempre segno negativo, mentre il segno

dell’effetto reddito dipende dal bene: se è un bene normale è

positivo in quanto una riduzione del prezzo del bene, aumentando

il reddito reale, comporta un consumo maggiore del bene stesso.

Se i beni sono inferiori sarà negativo.

2.7 Domanda individuale, domanda di mercato La domanda individuale è la domanda del singolo consumatore

(figura 2.16).

FIGURA 2.16

L’insieme delle domande individuali di un certo bene dei

consumatori appartenenti a un territorio costituisce la domanda di

mercato.

Chiamiamo invece funzione di domanda inversa, costruita ad assi

cartesiani invertiti, quella che ci dice per ogni quantità del bene

considerato quale dovrebbe essere il prezzo affinché i consumatori

la domandino, cioè la loro disponibilità a pagare (figura 2.17).

FIGURA 2.17

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2.8 Surplus dei consumatori Il surplus del consumatore fornisce una misura del suo benessere

in un determinato scambio e permette di confrontare tale

benessere in varie situazioni di mercato. Se noi ipotizziamo che un

consumatore possa domandare soltanto un’unità di un bene, egli

sarà indifferente tra domandarlo o non domandarlo per un certo

livello di prezzo, chiamato prezzo di riserva (r1). Nella figura 2.18

vi è la rappresentazione dei vari prezzi di riserva dei consumatori

rappresentati dal più al più basso da rettangoli, rispetto alla linea

del prezzo di mercato P1.

FIGURA 2.18

Il surplus di ciascun consumatore è

dato dalla differenza tra il proprio prezzo di riserva e il prezzo di

mercato (r1- P1). Nel grafico rappresentato ciò sarà possibile per

coloro che hanno il proprio rettangolo al di sopra della linea del

prezzo di mercato P1.

La somma dei surplus individuali di tutti i consumatori è detta

surplus dei consumatori, ed indica il vantaggio collettivo.

Generalmente il surplus dei consumatori è rappresentato dall’area

che è situata tra la curva di domanda inversa e la linea del prezzo

di mercato, cioè l’area ombreggiata nella figura 2.19.

FIGURA 2.19

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CAPITOLO 3: Elasticità e aggiustamento dei mercati

3.1 Elasticità della domanda rispetto al prezzo La variazione della domanda in termini percentuali dovuta a una

variazione percentuale unitaria del prezzo è chiamata elasticità

della domanda rispettto al prezzo, o elasticità della domanda.

FIGURA 3.1

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La figura 3.1mostra

l’effetto di uno spostamento dell’offerta con due diverse curve di

domanda(D e D’).La curva D’ è più elastica della D, ciò significa

che la variazione percentuale della quantità domandata dovuta ad

una variazione del prezzo, sarà maggiore sulla D’ che sulla D.

Assumiamo che la curva di offerta sia inizialmente S1 e che

intersechi la curva di domanda in A, a un prezzo P1 e un quantità

Q1. Ora, se la curva di offerta si sposta in S2, nel caso della curva

meno elastica D, c’è un aumento relativamente elevato del

prezzo(p2) e un piccolo calo della quantità domandata(Q2):il

nuovo equilibrio è B. Nel caso della curva più elastica D1, si

verifica solo un leggero aumento del prezzo(p3), ma un grande

calo della quantità(Q3):l’equilibrio è in C. Per ottenere una misura

più precisa dell’elasticità bisogna confrontare l’ampiezza della

variazione della quantità domandata con l’ampiezza della

variazione del prezzo. Poichè queste sono misurate in unità

diverse, si utilizzano le variazioni percentuali. In questo modo

otteniamo la formula per l’elasticità della domanda rispetto al

prezzo(e):il rapporto tra la variazione percentuale della quantità

domandata e la variazione percentuale del prezzo. ε=

dove e è il simbolo usato per l’elasticità e rappresenta una

variazione finita.

Si utilizzano le misure percentuali perché consentono confronti tra

grandezze qualitativamente diverse ed è l’unico modo per decidere

quanto grande è una variazione.

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Abbiamo visto che le curve di domanda sono inclinate

negativamente, questo significa che le variazioni del prezzo e delle

quantità vanno in direzioni opposte,Un aumento del prezzo(segno

positivo) causerà un calo della quantità domandata(segno

negativo).Analogamente un calo del prezzo provocherà un

aumento della quantità domandata; ciò vuol dire che nel calcolo

dell’elasticità, dividendo sempre un valore positivo per uno

negativo o viceversa, avremo sempre un valore negativo. Per

questo motivo dobbiamo considerare il valore assoluto

dell’elasticità, ignorando il segno negativo.;tale valore ci dice se la

domanda è elastica oppure anelastica.

Elastica ( | ε | > 1) : una variazione percentuale del prezzo causa

una variazione percentuale più che proporzionale della quantità

domandata

Anelastica ( 0 ≤ | ε | < 1) : la variazione è meno che proporzionale

Elasticità unitaria ( | ε | = 1 ) : prezzo e quantità variano nella

stessa proporzione.

Ma cosa determina l’elasticità della domanda?

- Il numero di beni sostituti e il loro grado di sostituibilità(

maggiori sono i beni e maggiore il loro grado, maggiore è

l’elasticità:

- La quota di reddito spesa nel bene( maggiore è essa,maggiore

è la riduzione del suo consumo all’aumentare del prezzo)

- L’orizzonte temporale(quando il prezzo aumenta,

l’aggiustamento delle scelte richiede tempo e maggiore è il

tempo, maggiore è l’elasticità)

3.2 Elasticità della domanda e spesa totale La spesa totale è data dal prodotto del prezzo P per la quantità q (

S = Pq) Se la domanda è elastica, p aumenta,Q diminuisce,quindi S

diminuisce;se invece p diminuisce,Q aumenta e S aumenta.

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Se la domanda è anelastica,p aumenta,Q diminuisce quindi S

aumenta; se invece p ΔΔdiminuisce,Q aumenta e S diminuisce.

Ci sono però 3 casi particolari:

1) Domanda perfettamente anelastica: è rappresentata da una

retta verticale,in cui la quantità domandata resta

invariata(quindi maggiore è il prezzo maggiore è la spesa);

2) Domanda perfettamente elastica: è una retta orizzontale,in cui

il prezzo è fisso, e ad ogni prezzo superiore di quello fissato,

la domanda è nulla;

3) Domanda ad elasticità unitaria: prezzo e quantità variano

nella stessa proporzione,quindi la spesa rimane invariata.

3.3 Elasticità dell’offerta rispetto al prezzo

FIGURA 3.2

La figura 3.2 mostra

due curve di offerta: la curva S2 è più elastica della curva S1, per

cui all’aumentare del prezzo da p1 a p2, si ha un maggiore

aumento della quantità ( da Q1 a Q3) in S2 che non in S1 (da Q1 a

Q2).

Tale elasticità è definita come il rapporto tra la variazione

percentuale della quantità offerta e la variazione percentuale del

prezzo.

η=

Ma quali sono le determinanti?

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- Minore è il costo,più le imprese saranno incentivate alla

produzione,più l’offerta sarà elastica

- Orizzonte temporale( nel brevissimo periodo è anelastica,nel

breve periodo comincia a cambiare e nel lungo periodo è

elastica).

3.4 Altri tipi di elasticità

- Elasticità della domanda rispetto al reddito è il rapporto tra la

variazione percentuale della domanda e la variazione percentuale

del reddito:

ε=

L’elasticità dipende dal grado di necessità del bene: più alto è il

grado di necessità più alta è l’elasticità.

- Elasticità incrociata della domanda è il rapporto tra la variazione

percentuale della domanda del bene 1 e la variazione percentuale

del prezzo del bene 2:

ε=

Se il bene 2 è un sostituto del bene 1, la domanda del bene 2

aumenta all’aumentare del prezzo del bene 1.

Se il bene 2 è complementare al bene 1, la domanda dell’uno

diminuisce all’aumentare del prezzo dell’altro.

Quindi, la determinante principale è il grado di sostituibilità o di

complementarità dei due beni.

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CAPITOLO 4: Produzione, costi, ricavi e profitti

4.1 Costi di breve periodo

Il minimo costo per produrre un certo livello di output dipende

dalla quantità e dal prezzo degli input necessari. Considerando due

fattori capitale(K) e lavoro(L), il costo totale dipende dai prezzi di

entrambi:CT=wL+rK(dove w e r sono i costi di lavoro e capitale).

Quindi per produrre una quantità q, è necessaria una quantità q di

K ed L, cioè q = q(K,L); questa è chiamata funzione di

produzione. Ciò significa che se si vuole aumentare la produzione,

bisogna aumentare gli input.

Un’importante distinzione è quella tra fattori di produzione

fissi(macchinari) e variabili(lavoro) in base alla possibilità di

aumento nel periodo considerato. Nel breve periodo almeno un

fattore è fisso,per cui la produzione può essere aumentata

solamente utilizzando più fattori variabili;invece nel lungo periodo

tutti i fattori sono variabili.

FIGURA 4.1

Nella figura è

rappresentata la funzione di produzione nel breve

periodo,utilizzando una quantità di lavoro L0,si ottiene una

quantità q0,q1,q2 ma solo la prima è quella efficiente,

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corrispondente al punto A,che consente una quantità di output

massima.

Chiamiamo produttività media il rapporto tra output e

input(PME = qL/L), che nella figura è il segmento diagonale che

va dall’origine fino al punto A.

Chiamiamo invece produttività marginale il rapporto tra

l’incremento di output ottenuto e l’incremento dell’input(PMG =

ΔqL/ΔL).

Nel breve periodo la produzione è soggetta alla legge della

produttività marginale decrescente , per cui impiegando quantità

crescenti di un fattore variabile con una data quantità di un fattore

fisso, avremo un punto in cui per ogni unità aggiuntiva di fattore

variabile si otterrà una quantità di output man mano inferiore,

come in figura 4.2.

FIGURA 4.2

In questa figura la curva della produttività marginale(PMG)è

prima crescente ma ad un certo punto comincerà a decrescere fino

a raggiungere 0.Invece la produttività media dipende da quella

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marginale, per cui è crescente finchè è al di sotto di

quest’ultima(fino ad L2) mentre è decrescente finchè è al di sopra.

FIGURA 4.3

Nel lungo periodo le curve prendono il nome di isoquanti e

rappresentano tutte le combinazioni possibili dei due input che

permettono di produrre la stessa quantità di output. Notiamo che a

curve più lontane dall’origine corrisponde un livello di produzione

maggiore,e che le curve sono decrescenti e convesse e non

possono mai intersecarsi.

Chiamiamo saggio marginale di sostituzione(STS) il rapporto

che ci dice di quanto deve aumentare un input,nel caso di

riduzione dell’altro, per mantenere costante la produzione: STS =

dK/dL. L’STS è uguale anche al rapporto tra le produttività

marginali di K ed L(STS = pmgL/pmgK).

4.2 Costi fissi,variabili, totali,medi e marginali Di regola i costi dipendono dalla produttività dei fattori(maggiore

è questa, minore è la quantità di input necessaria, minori sono i

costi) e dal prezzo dei fattori(maggiore è questo, maggiori sono i

costi).

Il costo fisso è quello che non dipende dalla quantità prodotta(es.

rendita terra), i costi variabili si(es. materie prime), la somma dei

due è il costo totale(CT=CF+CV).

FIGURA 4.4

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Poiché il costo fisso non

varia, la curva è una retta orizzontale; invece la curve CV E CT

seguono la legge della produttività marginale decrescente, per cui

sono decrescenti fino al punto M e poi diventano crescenti in

quanto comportano costi maggiori.

Chiamiamo costo medio il costo per unità di produzione: CME =

CT/q(ovviamente il costo medio è dato dalla somma del costo

medio fisso CFME e di quello variabile CVME).

Chiamiamo costo marginale l’incremento di costo per produrre

un unità in più:CMG=ΔCt/Δq.

FIGURA 4.5

Qui sono rappresentate le curve dei costi:

-CMG è decrescente fino al punto A per poi crescere

-CFME diminuisce all’aumentare dell’output, quindi è sempre

decrescente

-CME dipende da CMG, per cui quando CMG è minore di CME,

quest’ultimo è decrescente; quando invece CMG è maggiore di

CME, quest’ultimo è crescente(ciò avviene con l’intersezione

delle due curve nel punto C)

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-CVM è uguale alla curva CME in quanto vale lo stesso

principio(il punto di intersezione è B).

4.3 Costi di lungo periodo Riprendendo la funzione di produzione: CT=wL+rK), chiamiamo

isocosto la retta che rappresenta tutte le combinazioni di L e K che

comportano lo stesso costo(figura 4.6)e la sua pendenza non è

altro che il rapporto tra i prezzi(-w/r)

K=-(w/r)L+ CT/r

FIGURA 4.6 FIGURA

4.7

Ad ogni livello di costo CT corrisponde un diverso isocosto, per

cui maggiore sarà il costo, più lontana sarà l’isocosto dall’origine

(figura4.6).

Nella figura 4.7 è descritta la combinazione ottimale degli input,

data dal punto di tangenza E tra l’isocosto e l’isoquanto, nel quale

le loro pendenze corrispondono(STS=-w/r).Ma poiché STS è

anche uguale a pmgL/pmgK, allora questo sarà uguale a w/r.

Quindi la scelta della combinazione ottimale degli input è data

dall’uguaglianza tra le produttività marginali

ponderate:

=

.

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4.4. Scale di produzione

L’espressione di <scala> significa che tutti gli input aumentano

nella stessa proporzione. Possiamo avere

-Rendimenti costanti di scala quando un aumento degli input

produce lo stesso aumento di output

-Rendimenti crescenti di scala se l’aumento è più che

proporzionale

-Rendimenti decrescenti di scala se l’aumento è meno che

proporzionale

Il concetto di rendimenti crescenti di scala è connesso a quello di

economia di scala, cioè quando i costi medi di produzione

diminuiscono all’aumentare dell’output. Questa si verifica grazie a

fattori tecnologici, divisioni del lavoro, indivisibilità degli input,

maggiore efficienza dei grandi macchinari.

Ci possono essere economie di scala associate alle dimensioni di

impresa:

-economie di organizzazione: ogni impianto svolge funzioni

diverse;

-incidenza di costi comuni: es. spese per ricerca

-economie finanziarie: es. finanziamenti favorevoli

-economie di scopo o varietà: es. prodotti vari a costo minore.

Quando invece i costi aumentano all’aumentare della

produzione,avvengono diseconomie di scala,per le seguenti

ragioni:problemi gestionali,lavoratori alienai,relazioni industriali

peggiorate. Chiamiamo economie esterne di scala quei vantaggi

di cui un’impresa beneficia grazie alle dimensioni dell’intera

industria; chiamiamo invece diseconomie esterne di scala ad es.

le situazioni in cui scarseggiano materie prime a causa della

crescita delle dimensioni dell’industria.

4.5 Costi medi di lungo periodo Per rappresentare questi costi usiamo le curve di costo medio di

lungo periodo (CMELP). Spesso si ipotizza che quando

un’impresa aumenta le dimensioni ci siano economie di scala(con

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una curva CMELP decrescente). Dopo un certo punto però le

economie di scala si esauriscono e la curva diventa una retta

orizzontale; dopo ancora l’impresa affronterà diseconomie di scala

e quindi la curva diventerà crescente. L’ effetto complessivo sarò

una curva ad U(figura 4.8).

FIGURA 4.8

Sono tre le ipotesi alla base della costruzione della curva

rappresentata:

1)i prezzi dei fattori sono dati

2)lo stato della tecnologia e la qualità dei fattori sono dati

3)l’impresa sceglie sempre la combinazione di fattori che

minimizza i costi.

Mettendo in relazione la curva di costo medio di breve periodo e

di lungo periodo notiamo che la CMELP è costruita come

inviluppo inferiore delle curve di costo medio di breve

periodo(figura 4.9)

FIGURA 4.9

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Sintetizzando:

-brevissimo periodo: tutti i fattori sono fissi e la produzione è fissa

-breve periodo:almeno un fattore è fisso

-lungo periodo:tutti i fattori sono variabili ma sono di una data

qualità

-lunghissimo periodo:tutti i fattori sono variabili e anche la loro

qualità può essere variata.

4.6 Ricavi Il ricavo totale(RT) è dato dalle entrate dell’impresa in un dato

periodo per la vendita di una data quantità di prodotto: RT = pq.

Il ricavo medio(RME) è l’ammontare che l’impresa ottiene per

un’unità venduta:RME = RT/q,cioè il prezzo(RME = p).

Il ricavo marginale (RMG) è l’incremento di ricavo ottenuto

dalla vendita di un’unità aggiuntiva in un dato periodo di tempo:

RMG = ΔRT/Δq.

Quando le dimensioni dell’impresa non le consentono di

influenzare il prezzo , il’impresa fronteggia una curva di domanda

orizzontale(figura 4.10). La curva del ricavo medio deve quindi

coincidere con questa:in questo caso il ricavo marginale è uguale

al ricavo medio,in quanto la vendita di un’unità aggiuntiva a un

prezzo costante aggiungerà quell’ammontare al ricavo totale.

FIGURA 4.10

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Poiché il prezzo è costante, all’aumentare della quantità venduta il

ricavo totale aumenta ad un tasso costante. Quindi la curva RT è

una retta passante per l’origine ed il prezzo rappresenta sia il

ricavo medio sia il ricavo marginale (figura 4.11).

FIGURA 4.11

Quando invece l’impresa può influenzare il prezzo,quest’ultimo

varia al variare dell’output dell’impresa; quindi quest’ultima ha

una curva di domanda decrescente, il che vuol dire che se

l’impresa vuole vendere di più deve accettare la riduzione del

prezzo. Se invece vuole ottenere un aumento del prezzo deve

accettare una riduzioni della quantità venduta.

Nella figura 4.12, ricordando che il ricavo medio è uguale al

prezzo, notiamo che se quest’ultimo deve essere ridotto per

aumentare le vendite,anche il ricavo medio diminuisce. Il ricavo

marginale è inferiore al ricavo medio e può essere anche

negativo:quindi il ricavo marginale è dato dal prezzo al quale

viene venduta l’ultima unità di prodotto al netto della perdita

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dovuta alla riduzione del prezzo sull’unità che si sarebbero potute

vendere ad un prezzo maggiore.

FIGURA 4.12

4.7 Massimizzazione del profitto

profitto π è dato dalla differenza tra ricavi e costi: RT - CT. Se

esso è negativo,allora l’impresa è in perdita. Per riuscire ad

individuarlo sono necessarie due fasi:

1) Usando le curve CMG e RMG,il profitto è massimo quando

le due curve sono uguali. Ciò è presente nella figura 4.13,in

cui per livelli di output inferiori a 3, RMG eccede CMG:

significa che la produzione di ulteriori unità comporta un

aumento dei ricavi rispetto ai costi,quindi il profitto totale

aumenta .Invece per livelli superiori a 3,CMG eccede RMG

,quindi vi è un aumento dei costi rispetto ai ricavi e il profitto

diminuisce.

FIGURA 4.13

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2) Trovare il profitto medio dato dalla differenza tra RME e

CME,utilizzando le curve medie; il profitto totale si ottiene

moltiplicando il profitto medio per l’output: π = (p – CME)

q.

FIGURA 4.14

Una componente dei costi è data dal costo-opportunità della

gestione dell’impresa: questo è chiamato” profitto normale” ed è

incluso tra i costi. In conseguenza di ciò qualsiasi profitto

rappresenta un profitto aggiuntivo rispetto a quello normale,per

cui prende il nome di extraprofitto o surplus del produttore.

CAPITOLO 5: Forme di mercato

5.1 La concorrenza perfetta

Il modello della concorrenza perfetta è una forma di mercato

abbastanza estrema e si basa su quattro ipotesi fondamentali:

-Esiste un numero elevato di imprese nell’industria, la singola

impresa quindi produce una quota trascurabile dell’offerta totale

-Tutte le imprese producono un prodotto identico; il prodotto è

omogeneo

-Acquirenti e venditori hanno una conoscenza perfetta del

mercato;tutte le informazioni sono di rilievo pubblico

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-Esiste completa libertà di entrata e uscita nell’industria da parte di

nuove imprese.

Le prime tre ipotesi se valgono insieme,implicano che nessuno

può influire sul prezzo di mercato; tutte le imprese e i loro clienti

sono quindi price -taker.

Nel breve periodo ipotizziamo che il numero di imprese nel

mercato non possa aumentare.

FIGURA 5.1

La figura mostra l’equilibrio di breve periodo i un’industria(parte

a) e di un’impresa(parte b) in concorrenza perfetta. Entrambe le

parti hanno il prezzo sull’asse orizzontale, mentre sull’asse

orizzontale di una (parte a)abbiamo la quantità scambiata

nell’industria(Q) e sull’altra(parte b) abbiamo quella della singola

impresa(q).La quantità scambiata nell’intera industria è data dalla

somma delle quantità scambiate dalle singole imprese.

Il prezzo(pe) è determinato dall’intersezione tra domanda e offerta

di mercato, essendo l’impresa price -taker, a questo prezzo ha una

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curva di domanda orizzontale,può vendere la quantità che vuole al

prezzo di mercato(pc) non ad un prezzo superiore, se lo facesse

potrebbe conquistare l’intera domanda di mercato ma ci sarebbe

una immediata reazione delle altre imprese per cui non ci sarebbe

nessun vantaggio. L’impresa massimizza il profitto quando il

costo marginale è uguale al ricavo marginale(CMG= RMG),

quindi ad un output pari a qe nella figura 5.1 parte b.

Poiché il prezzo non è influenzato dall’output dell’impresa, il

ricavi marginale è uguale al prezzo.

Se la curva di costo medio(CME) è al di sotto della curva del

ricavo medio(RME) , l’impresa otterrà extraprofitti, perché in

media guadagna più di quanto spende per produrre;l’extraprofitto

è quindi la differenza tra RME e CME,cioè il rettangolo

ombreggiato in figura 5.1b(profitti per quantità venduta). Il fatto

che non possano entrare nuove imprese nell’industria nel breve

periodo giustifica l’essenza di extraprofitti.

FIGURA 5.2

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La curva di offerta dell’impresa nel breve periodo coincide con il

tratto crescente della sua curva di costo marginale; questo perché

sappiamo che la curva di offerta mostra quanto output verrà

prodotto per ciascun prezzo,mette il prezzo in relazione con la

quantità.La curva di costo marginale invece mette la quantità in

relazione con il costo marginale, ma dato che in concorrenza

perfetta, p = RMG e RMG = CMG, p deve essere uguale a CMG

per massimizzare il profitto; per questo curva di offerta e curva di

costo marginale devono coincidere. Ciò significa che in

concorrenza perfetta la curva di offerta di un’impresa dipende dai

suoi costi di produzione.

FIGURA 5.3

Nel lungo periodo se le imprese ottengono extraprofitti, nuove

imprese saranno attirate nell’industria. L’effetto dell’ingresso di

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nuove imprese nel mercato è un aumento dell’offerta

dell’industria(figura 5.3a).Al prezzo p1 si ottengono

extraprofitti;la curva di offerta dell’industria, in seguito

all’ingresso di nuove imprese, si sposta verso destra. Ciò provoca

una riduzione del prezzo, l’offerta continua ad aumentare e il

prezzo a diminuire finchè le imprese non otterranno solo profitti

normali(non più extraprofitti); fino al punto in cui la curva di

domanda dell’impresa interseca il punto minimo della sua curva di

costo medio di lungo periodo, che è anche punto di intersezione

con la curva di costo marginale di lungo periodo: quindi q1 è

l’output di equilibrio di lungo periodo della singola impresa e p1 il

prezzo di equilibrio. Poichè la curva CMELP è ottenuta come

inviluppo inferiore di tutte le curve CMEBP, l’equilibrio di lungo

periodo soddisfa la seguente condizione:

CMELP=CMEBP=CMG=RMG=RME

FIGURA 5.4

Tale situazione è descritta nella figura 5.4

La concorrenza perfetta è rara nel mondo reale perché in molte

industrie le imprese devono essere sufficientemente grani per

sfruttare le economie di scale; ma la concorrenza perfetta implica

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l’esistenza di molte imprese che devono necessariamente essere

piccole. Quando una piccola impresa si espande fruendo di

economie di scala,è in grado di praticare prezzi più bassi rispetto

alle imprese più piccole costringendole ad uscire dal mercato. La

concorrenza perfetta viene meno.

Questa forma di mercato è un vantaggio per i consumatori in

quanto:

-il prezzo è uguale al costo marginale(p = CMG)

-le imprese (nel lungo periodo) producono al costo medio minimo

e ottengono profitti normali, quindi i prezzi sono sempre al livello

più basso possibile

-la concorrenza perfetta implica la sopravvivenza dei migliori.

5.2 Il monopolio

E’ il caso in cui è presente una sola impresa nell’industria.

Affinchè possa avvenire,vi devono essere delle barriere all’entrata

elevate che possono assumere diverse forme:

-economie di scala:caso in cui il costo medio si riduce

all’aumentare dell’offerta, per cui solo un’impresa riuscirà ad

ottenere profitto(è il cosiddetto “monopolio naturale”).

-economie di rete:maggiore beneficio in base alla più ampia rete di

utenti(per i nuovi entranti è difficile creare una rete alternativa)

-economie di varietà: un’impresa con una vasta gamma di prodotti

ha un costo medio inferiore a quello dei potenziali entranti-

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-differenziazione del prodotto e fedeltà alla marca

-costi inferiori per un’impresa già esistente

-proprietà o controllo di importanti fattori di produzione e delle

reti di vendita

-fusioni e acquisizioni

-tattiche aggressive

FIGURA 5.5

Poiché c’è una sola impresa, la sua curva di domanda coincide con

quella dell’intera industria. Se il monopolista aumenta il prezzo,i

consumatori non hanno alternative( o comprano comunque ad un

prezzo maggiore o rinunciano al prodotto) ,per cui la domanda

tende ad essere meno elastica. Ovviamente un aumento del prezzo

comporta una diminuzione della quantità domandata, per cui la

curva è decrescente. Il monopolista massimizza il profitto quando

RMG = CMG, quindi in figura quando l’output è qm e

l’extraprofitto è l’area ombreggiata.

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Confrontando tale modello con quello di concorrenza perfetta:

FIGURA 5.6

Vediamo che nel monopolio si produce la quantità Qm al pezzo

pm, in modo che RMG = CMG; in concorrenza perfetta invece si

produce Qc al prezzo pc(cioè una quantità maggiore a un prezzo

inferiore): è preferibile la concorrenza perfetta da parte dei

consumatori.

La libertà di entrata nella concorrenza perfetta azzera

l’extraprofitto e permette di mantenere i prezzi bassi nel lungo

periodo; nel monopolio invece le barriere all’entrata comportano

che i prezzi saranno più elevati nel lungo periodo e quindi la

quantità domandata diminuirà: per i consumatori è preferibile la

prima, per i produttori il secondo.

I costi sono maggiori in monopolio, in quanto essendo l’impresa

l’unica presente,non è incentivata a mantenere

l’efficienza,sostenendo quindi costi maggiori.

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D’altra parte però il monopolista può sfruttare economie di scala

che danno luogo a prezzi più bassi.

Si dice che un mercato è perfettamente contendibile quando i costi

di entrata e di uscita da parte di potenziali rivali(concorrenza

potenziale) con la stessa tecnologia sono nulli,quindi l’entrata

potrebbe avvenire molto rapidamente. In tali casi quando c’è la

possibilità di ottenere extraprofitti, le imprese entreranno nel

mercato facendo scendere il profitto del monopolista al suo livello

normale.

5.3 La concorrenza monopolistica

Si caratterizza per un alto numero di imprese concorrenti ognuna

delle quali nel breve periodo ha un certo potere di mercato. Tale

modello si basa sulle seguenti ipotesi:

-numero elevato di imprese con una piccola quota di mercato per

cui le loro azioni non influenzano le altre imprese in modo

rilevante: ciò significa che non c’è interazione strategica tra le

imprese;

-libertà di entrata nell’industria

-prodotti differenziati

-ciascuna opera come un monopolio locale

FIGURA 5.7

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Nel breve periodo la massimizzazione del profitto si ha quando

CMG=RMG e dipende dalla domanda,per cui meno è elastica e

più è spostata a destra rispetto alla curva del costo

medio,maggiore è il profitto.

Nel lungo periodo ciò incoraggerà nuove imprese ad entrare nel

mercato, distogliendo però clienti dalle altre facendo diminuire la

loro domanda. Tale processo continua e la curva si sposta verso

sinistra fino ad azzerare del tutto gli extraprofitti(in tal caso non ci

sarà più incentivo all’entrata o all’uscita delle imprese). Quindi la

curva si sposta in p1 che è tangente alla curva CMELP e la

quantità prodotta è q1,dove RMG = CMELP(per qualunque altro

livello di output CMELP è maggiore di p e quindi le imprese

subirebbero perdite).

Può esservi una 2concorrenza non di prezzo” riguardante lo

sviluppo del prodotto e la pubblicità: in tali casi lo scopo

principale è quello di offrire un bene facilmente vendibile

differenziato e quindi con una domanda anelastica dovuta

all’assenza di beni sostituti. Questo verrà fatto solo se

RMG>CMG facendo aumentare i profitti ed ulteriori investimenti

in pubblicità potrebbero far uguagliare i due valori (RMG =

CMG).

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Confrontando il modello di concorrenza monopolistica con gli

altri,ci accorgiamo che viene venduto un output minore ad un

prezzo maggiore rispetto alla concorrenza perfetta, e che inoltre le

imprese non minimizzano il costo medio di lungo periodo: per

farlo, vedrebbero ridursi il prezzo più del costo medio,subendo

dunque delle perdite(è l’eccesso di capacità produttiva).

Invece,rispetto al monopolio,quest’ultimo è maggiormente in

grado di sfruttare economie di scala e di ottenere maggiori fomdi

per spese in ricerca e sviluppo, ma la concorrenza monopolistica si

avvale di prezzi più bassi dovuti alla libertà di entrata di nuove

imprese e all’assenza di extraprofitti nel lungo periodo,con un

maggiore risparmio anche sui costi

5.4 Oligopolio

Si ha oligopolio quando poche imprese offrono un determinato

prodotto. Le caratteristiche sono due:

-l’interdipendenza strategica tra le imprese,cioè che il profitto di

ognuna dipende anche dalle scelte delle altre imprese:

-barriere all’entrata.

Solitamente gli oligopolisti possono essere mossi da due esigenze

contrastanti, e cioè o eliminare l’interdipendenza strategica

colludendo con i rivali per massimizzare il profitto congiunto e

comportandosi ognuno,quindi,da monopolista, oppure competere

con i rivali per ottenere maggiori quote di mercato e conseguire

profitti più elevati.

Il primo modello è definito oligopolio collusivo: esso si basa su

un accordo utile a ridurre le incertezze,chiamato “cartello”,con cui

si massimizzano i profitti congiunti,come evidenziato nella figura

5.8 .

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FIGURA 5.8

Qui la curva di domanda di mercato è disegnata insieme alla curva

RMG ; la curva CMG del cartello è la somma orizzontale delle

curve CMG delle imprese partecipanti al cartello. I profitti sono

massimi in q1,dove CMG = RMG. Il cartello quindi dovrà fissare

un prezzo p1 in corrispondenza del quale verrà domandato un

output q1.

E’ possibile poi che le imprese si accordino per dividersi il

mercato con l’assegnazione di quote:la somma delle quote deve

essere q1,in quanto se sono eccedenti o parte dell’output rimane

invenduta o il prezzo scende. La quota di ogni impresa viene

decisa proporzionalmente alla quota effettiva di mercato che ogni

impresa aveva prima dell’accordo.

Fattori che favoriscono la collusione possono essere la presenza di

poche imprese che si conoscono a vicenda, assenza di segreti su

costi e tecniche di produzione,produzione di beni simili,presenza

di un’impresa dominante,stabilità del mercato,assenza di leggi

contrarie alla collusione.

La collusione può anche essere tacita,attraverso la fissazione del

prezzo adottato da un’impresa leader: leadership di prezzo

dell’impresa dominante. L’impresa leader fissa il prezzo in base

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alle possibili reazioni delle altre imprese,quindi massimizza i suoi

profitti uguagliando costi e ricavi marginali,come in figura 5.9.

FIGURA 5.9

Nella figura,se l’impresa leader sa di trovarsi nel punto

A,stimando la variazione di quantità domandata al variare del

prezzo, traccia la sua curva di domanda e la relativa curva RMG,

scegliendo di produrre q1 al prezzo p1(dove CMG = RMG). Le

imprese gregarie faranno altrettanto e la loro domanda è data dalla

differenza della domanda di mercato Dm e la domanda del leader

Dl, cioè q1-Ql.

Un’altra forma è quella della leadership di prezzo dell’impresa

barometro,che si ha quando la leadership viene assunta

dall’impresa che nel tempo si è dimostrata più affidabile e che

appunto svolge meglio la sua funzione di barometro del

mercato;l’impresa quindi cerca di stimare la sua domanda e quella

del ricavo marginale in cui CMG = RMG e fissa il prezzo e le

altre imprese faranno altrettanto.

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Il secondo modello è quello dell’oligopolio non collusivo, in cui

le imprese per immaginare le reazioni delle rivali dovranno usare

tutte le informazioni loro disposizione per selezionare la strategia

ottimale e massimizzare il profitto.

La prima forma è il modello di Cournot: considerando due

imprese che producono un bene identico,guardiamo la figura 5.10:

FIGURA 5.10

Se l’impresa A ipotizza che la rivale B produca qb,la sua curva di

domanda inversa Da1 è data dalla domanda di mercato Dm-

qb1,per cui la curva di ricavo marginale sarà RMGa1 e la quantità

di output che massimizza il profitto è qa1.

In tale modello i profitti sono inferiori rispetto a monopolio o

oligopolio collusivo in quanto il prezzo è più basso(ma le imprese

ottengono in ogni caso un profitto positivo).

Accanto a questo abbiamo il modello di Bertrand,nel caso in cui le

imprese concorrano sul prezzo: sempre considerando due imprese,

se una praticasse un prezzo superiore al costo marginale, dovrebbe

attendersi che la rivale adotti un prezzo leggermente più basso. Per

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evitare di perdere tutta la clientela la prima impresa deciderà di

abbassare ulteriormente il prezzo quasi pari al costo marginale: in

tal caso,procedendo con le riduzioni, le imprese si ripartiscono il

mercato in parti uguali ma senza realizzare alcun extraprofitto.

Questo equilibrio presente in entrambi i modelli è definito

equilibrio di Nash.

5.5 La teoria dei giochi

Attraverso tale teoria è possibile individuare la strategia migliore

per ogni impresa, che consiste nell’ottenere l’esito più

elevato(payoff): tale strategia prende il nome di maximin perché

massimizza il potenziale profitto minimo dell’impresa. Se

l’impresa è ottimista, sceglierà il profitto più alto possibile:

maximax. La strategia è quella di ridurre il prezzo

indipendentemente dalle decisioni del rivale e in tal modo si

realizzerà l’equilibrio di Nash.

:

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MACROECONOMIA (Blanchard)

Il contenuto riprende quello del libro ma è stata modificata la numerazione dei capitoli e dei

paragrafi.

CAPITOLO 1 : Il mercato dei beni

L’analisi di tale fenomeno dipende dalla nozione di produzione

aggregata,che gli economisti definiscono PIL (prodotto interno

lordo), che è da intendere sotto tre accezioni:

1)è il valore dei beni e dei servizi finali prodotti nell’economia in

un dato periodo di tempo: beni finali;

2) è la somma del valore aggiunto nell’economia in un dato

periodo di tempo(il valore aggiunto è il valore della produzione

dell’impresa meno il valore dei beni intermedi utilizzati nella

produzione stessa);

3)è la somma dei redditi dell’economia in un dato periodo di

tempo.

Distinguiamo un Pil nominale,inteso come somma delle quantità

dei beni finali valutati al loro prezzo corrente, da un Pil reale, cioè

la somma delle quantità dei beni finali valutati a prezzo costante.

Il Pil reale è diviso per la popolazione di un paese,da cui Pil reale

pro capite, che misura il tenore di vita di quel paese: la sua

valutazione è la crescita del Pil che,se aumenta, è espansione,se

diminuisce,è recessione.

1.1 La composizione del PIL e la determinazione

dell’equilibrio

A)La prima componente del PIL è il Consumo (C),cioè i beni

consumati dai consumatori.

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B) C’è poi l’Investimento (I),somma dell’investimento non

residenziale(acquisto di nuovi macchinari) e di quello

residenziale(acquisto di nuove case).

C) La Spesa pubblica (G) sono i beni e servizi acquistati dallo

Stato e dagli enti pubblici.

La somma di queste prime tre componenti rappresenta la spesa in

beni e servizi da parte dei residenti, e per ottenere la spesa

nazionale bisogna considerare altre due voci:

- Bisogna escludere le Importazioni (IM);

- Bisogna includere le Esportazioni (X).

La differenza tra le seconde e le prime (X – IM) rappresenta le

esportazioni nette o saldo commerciale. Se X eccede IM, si ha un

avanzo commerciale,se IM eccede X, si ha un disavanzo

commerciale.

Indicando la domanda totale di beni con Z, deriviamo la seguente

identità.

Z = C + I + G + (X – IM)

Questa è la domanda di beni, e assumendo che l’economia sia

chiusa,cioè con assenza di esportazioni e importazioni, la

domanda è Z = C + I + G.

Ora isoliamo le singole componenti:

A) CONSUMO : le decisioni sul consumo dipendono dal

reddito dei consumatori disponibile, dopo aver pagato le

imposte. Poiché se esso aumenta, aumenta anche il consumo,

c’è un rapporto di diretta proporzionalità, che possiamo

indicare nella seguente funzione del consumo : C = C (Yd).

Possiamo ulteriormente scomporre tale formula: C = c0 + c1

Yd, dove c0 è la propensione al consumo in seguito ad un

euro aggiuntivo sul reddito disponibile, e c1 è il consumo

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desiderato in corrispondenza di un reddito disponibile pari a

zero( per cui se c1=0,allora Yd=0, quindi C = c0: il consumo

quindi sarebbe in ogni caso positivo,quindi c0 è sicuramente

positivo, mentre si presume che c1 sia per natura negativo).Il

reddito disponibile Yd = Y – T, cioè il reddito meno le

imposte. Quindi ricapitolando, C = c0 + c1 (Y – T),e ciò ci

dice che il consumo C è una funzione del reddito Y e delle

imposte T, per cui un reddito maggiore fa aumentare il

consumo,ma imposte più elevate lo fanno diminuire.

B)INVESTIMENTO : è una variabile esogena,cioè presa

come data ( a differenza del consumo che è endogena,cioè

spiegata all’interno del modello).

I = I‾

C) SPESA PUBBLICA : descrive,insieme alle imposte,la

politica fiscale del governo e cioè le scelte relative alle

entrate e uscite del settore pubblico; anche esse sono esogene.

Riprendendo Z = c0 + c1 (Y – T), aggiungiamo anche

investimento e spesa pubblica, per cui Z = c0 + c1 (Y – T ) + I‾ +

G.

Se confrontiamo la produzione con le vendite, deduciamo che

quando la prima supera la seconda, si formano delle scorte:

investimento in scorte.

L’equazione di equilibrio nel mercato di beni richiede che la

produzione sia uguale alla domanda;indicando la produzione con

Y, abbiamo dunque: Y = Z, e cioè sostituendo: Y = c0 + c1 (Y –

T) + I‾ + G, cioè in equilibrio la produzione Y è uguale alla

domanda, la quale a sua volta dipende dal reddito Y che è uguale

alla produzione stessa Y.

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Graficamente:

FIGURA 1.1

Indichiamo la produzione Y sull’asse verticale e il reddito su

quello orizzontale, e la retta che le mette in relazione è inclinata e

parte dall’origine. La relazione tra domanda e reddito è data dalla

linea ZZ, con inclinazione c1 pari alla propensione al consumo: in

equilibrio la produzione è uguale alla domanda nel punto A, per

cui alla sua sinistra la domanda eccede la produzione, e viceversa

alla sua destra.

FIGURA 1.2

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Supponiamo che inizialmente vi sia equilibrio, e che c0 aumenti:

la spesa si incrementa, determinando uno spostamento verso l’alto

della domanda ZZ, in ZZ’, e il nuovo equilibrio sarà A’, essendo

aumentata la produzione da Y a Y. Analizzando più attentamente

notiamo che dal punto A a quello B c’è stato un aumento della

domanda: per soddisfare tale livello, le imprese aumentano la

produzione e quindi anche il reddito (essendo reddito =

produzione) con uno spostamento da B a C; ma l’aumento del

reddito produce un ulteriore aumento della domanda, muovendo

l’economia nel punto D, dove la produzione aumenta giungendo

proprio in A’.

Nella realtà tale aggiustamento non è possibile perché richiede

scelte complesse e non immediate.

1.2 Investimento = risparmio

Un modo alternativo di determinare l’equilibrio è esprimerlo in

termini di investimento e risparmio: il risparmio totale è la

somma di risparmio privato e pubblico.

-Risparmio privato (S) è il reddito disponibile dei

consumatori meno i consumi

S = Yd – C, cioè usando Yd = Y – T, abbiamo che S = Y – T

– C.

-Risparmio pubblico sono le imposte meno la spesa

pubblica: T – G. Se le imposte eccedono la spesa, si ha un

avanzo di bilancio e il risparmio pubblico è positivo ,

viceversa un disavanzo di bilancio e quindi il risparmio

pubblico negativo.

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Tornando all’equazione di equilibrio Y = C + I + G, sottraendo da

ambo i lati le imposte e spostando C a sinistra abbiamo: Y – T – C

= I + G – T, ma poiché Y – T – C = S, allora S = I + G – T oppure

all’inverso I = S + ( T – G) dove il lato sinistro rappresenta

l’investimento e quello destro il risparmio totale. Questa relazione

è chiamata curva IS.

CAPITOLO 2 : i mercati finanziari

2.1 La domanda di moneta

La moneta può essere usata per transazioni e non paga interessi:

distinguiamo la moneta circolante, cioè quella metallica e

cartacea, e i depositi bancari.

I titoli pagano un interesse positivo ma non possono essere usati

per transazioni.

Quindi è utile detenerli entrambi.

Indicando la domanda di moneta con Md, la definiamo come la

somma di tutte le domande di moneta individuali,per cui dipende

dal livello totale delle transazioni e dal tasso di interesse. In

formula: Md = €YL (i)

€Y è il reddito nominale e questa equazione ci dice che la

domanda di moneta Md è uguale al reddito nominale moltiplicato

per una funzione del tasso di interesse L(i), con segno negativo

perché il rapporto è inversamente proporzionale, per cui un

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aumento del tasso di interesse riduce la domanda di moneta poiché

gli individui detengono più ricchezza che titoli

FIGURA 2.1

In figura sull’asse

verticale è misurato il tasso di interesse, mentre la moneta M

sull’asse orizzontale:la relazione è la curva Md, per un dato livello

di reddito nominale €Y ed essa è inclinata negativamente in

quanto minore è il tasso di interesse (i), maggiore è la quantità di

moneta M che le persone vogliono detenere.

Un aumento del reddito nominale invece sposta la domanda di

moneta verso destra, da Md a Md’, corrispondente ad un invariato

livello di tasso di interesse ed un maggiore reddito nominale.

2.2 Offerta di moneta

Indicandola con Ms, abbiamo che M = Ms. Poiché M = Md, allora

Md = Ms (condizione di equilibrio dei mercati finanziari);

usando l’equazione per Md, allora M = €YL(i). Questa equazione

ci dice che il tasso di interesse deve essere tale da indurre gli

individui a detenere una quantità di moneta pari all’offerta di

moneta M, dato il loro reddito Y; questa relazione è chiamata

curva LM.

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2.3 Determinazione del tasso di interesse

Questa condizione di equilibrio è indicata nella figura 2.2

FIGURA 2.2

Usando gli stessi valori sugli assi della figura precedente,

tracciamo la curva di domanda inclinata negativamente Md, e

l’offerta di moneta rappresentata da una retta verticale Ms:

l’equilibrio è nel punto A.

Consideriamo adesso alcuni effetti:

FIGURA 2.3

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Aumento del reddito nominale sul tasso di interesse: abbiamo

l’equilibrio iniziale nel punto A: un incremento del reddito

nominale da €Y a €Y’ fa aumentare il livello delle transazioni e

quindi anche la domanda di moneta per ogni livello di tasso di

interesse; la curva di domanda si sposta verso destra ds Md a Md’

e l’equilibrio da A a A’ e il tasso di interesse da i a i’. Quindi un

aumento del reddito nominale produce un aumento del tasso di

interesse e la ragione è che in corrispondenza di i la domanda di

moneta eccede l’offerta di moneta, quindi per indurre gli individui

a detenerne una quantità minore è necessario che i aumenti.

FIGURA 2.4

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Aumento dell’offerta di moneta sul tasso di interesse: partendo

sempre dall’equilibrio iniziale nel punto A, con un tasso di

interesse pari a i, un aumento dell’offerta di moneta da Ms a Ms’

sposta la curva di offerta verso destra e l’equilibrio da A a A’ e il

tasso di interesse da i a i’. Quindi un aumento dell’offerta di

moneta produce una riduzione del tasso di interesse.

2.4 Politica monetaria e operazioni di mercato

Nelle economie moderne la banca centrale modifica l’offerta di

moneta attraverso l’acquisto e la vendita di titoli sul mercato dei

titoli. Se vuole aumentarla, compra titoli e non paga moneta

creando in tal modo nuova moneta; se invece vuole diminuirla,

vende titoli e rimuove dalla circolazione la moneta che riceve in

pagamento: queste sono le “operazioni di mercato aperto”, che

possono essere espansive nel primo caso, e restrittive nel secondo.

Tuttavia c’è un limite, e cioè che la banca centrale non può ridurre

il tasso di interesse al di sotto dello zero: quando le persone hanno

abbastanza contanti per effettuare le transazioni, a loro è

indifferente la detenzione in titoli o in contanti perché entrambi

pagano lo stesso tassodi interesse che nel frattempo è sceso a

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zero,e mai oltre. Questo è il fenomeno della trappola della

liquidità, ben individuato nella figura 2.5.

FIGURA 2.5

Quando il tasso di interesse diventa uguale a zero, le persone

vogliono detenere una quantità di moneta pari alla distanza OB,

ma sono disposti a detenete una quantità anche maggiore di

moneta( e quindi inferiore di titoli) poiché sono indifferenti tra

titoli e moneta: quindi,oltre il punto B la domanda di moneta

diventa orizzontale.

Ciò implica che se aumenta ulteriormente l’offerta di moneta, non

si avrà alcun effetto sul tasso di interesse poiché esso rimane

sempre uguale a zero.

In conclusione, un’espansione monetaria diventa inefficace, in

quanto l’aumento dell’offerta fa cadere l’economia in una trappola

della liquidità, in cui le persone sono disposte a detenere più

moneta(più liquidità) allo stesso tasso di interesse.

2.5 Il ruolo delle banche

Sono intermediari finanziari,ovvero istituzioni che ricevono fondi

dagli individui e dalle imprese e li usano per accordare prestiti ed

acquistare titoli. Le attività sono le azioni e le obbligazioni

possedute, le passività sono i fondi ricevuti sotto forma di riserve e

pari al valore dei depositi totali in conto corrente.

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Perché le banche detengono riserva di moneta?

- Per favorire l’uguaglianza tra entrate e uscite;

- Per fare transazioni e consentire di colmare la differenza tra

quanto deve e quanto riceve dalle altre banche mediante

assegni;

- Per la previsione europea di riserve obbligatorie,in relazione

alla composizione del suo bilancio.

Partendo dalla moneta emessa dalla banca centrale, per

determinare il tasso di interesse occorre che essa sia uguale alla

domanda di circolante da parte degli individui più la domanda di

riserve da parte delle banche;inoltre, che l’offerta di moneta

emessa dalla banca centrale sia sotto il suo diretto controllo e che

il tasso di interesse di equilibrio sia tale per cui domanda e offerta

siano uguali.

Gli individui devono decidere non solo quanta moneta detenere,

ma anche la ripartizione in circolante e depositi. Indichiamo il

circolante con c,e il deposito con (1 – c) la domanda di circolante

CId = cMd. La domanda di depositi Dd = (1 – c) Md.

Maggiore è l’ammontare dei depositi, maggiori saranno le riserve,

per cui abbiamo:

R = θD, dove R è l’ammontare delle riserve, θ è il coefficiente di

riserva e D l’ammontare dei depositi. Tale formula riferita ai

depositi è Rd = θ (1 – c)Md.

Invece per determinare la domanda di moneta emessa dalla banca

centrale,indicandola con Hd = CId + Rd e sostituendo : Hd = cMd

+ θ(1 – c) Md, e cioè [c + θ(1 – c)] Md.

Il tasso di interesse è H = Hd, come visto precedentemente (M =

Md),cioè H = [c + θ(1 – c)] Md. Dividendo entrambi i lati per [c

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+ θ(1 – c)] e essendo Md = €YL (i), possiamo determinare

l’equilibrio secondo un diverso approccio, e cioè in termini di

uguaglianza tra domanda aggregata e offerta aggregata di moneta

sia circolante sia in depositi bancari: €YL

(i), dove a sinistra c’è l’offera di moneta e a destra la domanda di

moneta. Il termine al denominatore è chiamato moltiplicatore

della moneta, in quanto essendo minore di 1 comporta che il suo

inverso sia maggiore di 1, pertanto l’offerta aggregata di moneta è

uguale alla moneta emessa dalla banca centrale per il

moltiplicatore della moneta.

CAPITOLO 3: Mercati dei beni e mercati finanziari:

modello IS-LM

3.1 Il mercato dei beni e la curva IS

Abbiamo delineato la condizione di equilibrio sul mercato dei

beni, che è data dall’eguaglianza tra produzione,Y e domanda,Z

cioè la relazione IS

Y=Z Y=C(Y-T)+I+G

In precedenza abbiamo considerato l’investimento costante, esso

in realtà dipende da due fattori:

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-Livello delle vendite(se un’impresa vuole aumentare le vendite,

deve aumentare la produzione, per farlo dovrà acquistare nuovi

macchinari, quindi dovrà investire).

-Tasso di interesse(supponiamo che per comprare il nuovo

macchinario, deve prendere a prestito del denaro,più è alto il tasso

di interesse, meno conveniente sarà comprare il macchinario e

quindi investire, perché dovrà restituire ciò che le è stato prestato

con interessi più alti. Ad un tasso di interesse elevato, i profitti

derivanti dall’acquisto del nuovo macchinario non bastano a

coprire gli interessi e l’investimento non conviene).

I=I(Y, i) (+, -)

L’equazione ci dice che l’investimento dipende dalla

produzione(Y) e il tasso d’interessse(i); il segno positivo di Y

indica che un aumento della produzione, aumenta l’investimento,

al contrario il segno negativo di i indica che un aumento del tasso

d’interesse provoca una riduzione degli investimenti.

Quindi la condizione di equilibrio nel mercto dei beni diventa:

Y=C(Y-T)+I(Y,i)+G

Questa equazione è la relazione IS estesa; ora analizziamo cosa

succede alla produzione se varia il tasso i interesse.

FIGURA 3.1

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Nella figura la domanda è sull’asse verticale e la produzione su

quella orizzontale, per un dato valore di i, la domanda è una

funzione crescente della produzione, per due ragioni:

-Un aumento della produzione fa aumentare il reddito e quindi

anche il reddito disponibile(c’è più possibilità di spendere,

aumenta consumo, aumenta domanda)

-Un aumento della produzione fa aumentare l’investimento,come

abbiamo detto prima

In sintesi un aumento della produzione fa aumentare la domanda

di beni, questa relazione tra domanda e produzione, è

rappresentata dalla curva ZZ inclinata positivamente.Quest’ultima

è più piatta della retta a 45° perché si assume che un aumento

della produzione porti ad un incremento meno che proporzionale

della domanda. L’equilibrio viene raggiunto quando la domanda è

uguale alla produzione cioè nel punto A.

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3.2 La curva IS

Vediamo ora cosa succede se il tasso i interesse cambia.

Figura 3.2

Nella figura 3.2a la curva di domanda è ZZ e l’equlibrio nel punto

A,se il tasso di interesse aumenta da i a i’,per ogni livello di

produzione il maggior livello di i riduce l’investimento e la

domanda.Quindi la curva di domanda ZZ si sposta in basso a

ZZ’,il nuovo equlibrio è nel punto A’, la produzione è Y’.

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Quindi un aumento del tasso di interesse riduce l’investimento, la

riduzione dell’investimento fa diminuire la produzione che a sua

volta riduce il consumo e l’investimento.Un maggior tasso di

interesse è associato a un livello di produzione inferiore, questa

relazione è la curva IS nella figura 5.2b.

Nella figura precedente abbiamo assunto che i valori delle

imposte(T) o della spesa pubblica(G) siano dati; variazioni di

questi determinano uno spostamento della curva IS.

FIGURA 3.3

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Come descritto nella figura 3.3, se si verifica un aumento delle

imposte da T a T’, il reddito disponibile diminuisce e diminuisce

anche il consumo causando quindi una riduzione della domanda e

anche della produzione, necessaria per mantenere l’equilibrio, il

livello di produzione si riduce da Y a Y’, la curva IS si sposta

verso sinistra.Qui abbiamo analizzato un aumento delle imposte

ma questo si verificherebbe in ogni caso di variazione di un altro

fattore; al contrario , ogni fattore che fa aumentare il livello di

produzione,per es. una riduzione delle imposte, fa spostare la

curva IS verso sinistra.

Riassumendo: se aumenta tasso di interesse, la produzione si

riduce; ogni fattore che riduce la domanda, sposta la IS verso

sinistra,ogni fattore che la aumenta, la sposta verso destra.

3.3 I mercati finanziari e la curva LM

Il tasso di interesse è determinato dall’eguaglianza tra domanda e

offerta di moneta:

M=€YL(i)

La variabile M sul lato sinistro rappresenta lo stock nominale di

moneta. Il lato destro si riferisce alla domanda di moneta, che è

una funzione del reddito nominale, €Y, e del tasso di interesse

nominale, i. Un aumento del reddito nominale aumenta la

domanda di moneta;un aumento del tesso di interesse invece la

riduce.L’equilibrio richiede che l’offerta di moneta(lato

sinistro)sia uguale alla domanda(lato destro).

Tuttavia è più conveniente riscrivere l’equazione precedente come

relazione tra moneta reale(moneta in termini di beni che si

possono acquistare) e reddito reale(reddito in termini di beni che si

possono acquistare). Il reddito nominale diviso per il livello dei

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prezzi è uguale al reddito reale,Y.Quindi dividendo entrambi i lati

dell’equazione per il livello dei prezzi P, si ottiene: = YL(i)

La condizione di equilibrio è l’eguaglianza tra offerta reale di

moneta(lato sinistro) e domanda reale di moneta che dipende dal

reddito reale e dal tasso di interesse(lato destro)

3.4 La curva LM

FIGURA 3.4

Per analizzare la relazione tra produzione e tasso di interesse

dell’equazione precedente, analizziamo la figura 3.4. Il tasso di

interesse è sull’asse verticale, la moneta su quello orizzontale.

L’offerta di moneta è data è data dalla retta verticale M/P, indicata

come M’;per un dato livello di reddito Y, la domanda di moneta è

una funzione decrescente del tasso di interesse, è una curva

inclinata negativamente indicata come Md.L’equilibrio è nel punto

A, dove l’offerta è uguale alla domanda e il tasso di interesse pari

a i. Se il reddito aumenta da Y a Y’, gli individui aumentano la

domanda di moneta per ogni livello di i, la domanda di moneta si

sposta verso l’alto Md’, l’euilibrio è in A’ con un tasso di interesse

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in i’che quindi aumenta. Perché aumenta i? Quando il reddito

aumenta, aumenta la domanda, ma l’offerta è data. Il tasso di

interesse deve aumentare finchè i due effetti opposti sulla

domanda di moneta, cioè aumento del reddito(che induce gli

individui a tenere più moneta invece di investire in titoli) e

aumento del tasso d’interesse(che deve aumentare perché così gli

individui saranno indotti a tenere meno moneta e investire in titoli)

si compensano esattamente. A questo punto la domanda di moneta

è uguale all’offerta e i mercati sono nuovamente in equilibrio.

Utilizzando la figura 3.4a troviamo il tasso di interesse associato

ad ogni valore di reddito, data l’offerta.La relazione è derivata

nella figura 5.4b, che mostra il tasso di interesse di equilibrio

sull’asse verticale e il reddito sull’orizzontale.L’equilibrio nei

mercati finanziari comporta che maggiore è la

produzione,maggiore sarà la domanda e maggiore sarà il tasso

d’interesse. Questa relazione è rappresentata dalla curva LM

positivamente inclinata nella figura 5.b

Nella figura 3.4 abbiamo considerato come dati sia M sia P;

variazioni di questi determineranno uno spostamento della curva

LM.

FIGURA 3.5

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Nella figura è analizzato un aumento dell’offerta nominale di

moneta da M a M’, allo stesso livello dei prezzi , l’offerta reale di

moneta aumenta da M/P a M’/P. Per ogni livello di reddito Y,il

tasso di interesse diminuisce da i a i’.La curva LM si sposta in

basso in LM’.Analogamente una riduzione della quantità di

moneta provoca un aumento del tasso di interesse, quindi una

riduzione della quantità di moneta sposta la LM verso l’alto.

Rissumendo:

-L’equilibrio nei mercati finanziari fa sì che per una data offerta

reale di moneta, un incremento di reddito che fa aumentare la

domanda di moneta, porti ad un aumento del tasso di interesse,

curva LM.

-Un aumento dello stock di moneta sposta la LM verso il basso,

viceversa una riduzione la sposta verso l’alto.

3.5 Il modello IS-LM:equilibrio

La curva IS deriva dalla condizione che l’offerta di beni sia uguale

alla domanda, la curva LM deriva dalla condizione che l’offerta di

moneta sia uguale alla domanda; entrambe utilizzano il tasso di

interesse. In ogni momento devono valere le condizioni di

equilibrio in entrambi i mercati, dei beni e finanziario, quindi sia

la IS sia la LM devono valere simultaneamente.

Curva IS: Y=C(Y-T)+I(Y,i)+G

Curva LM : =YL(i)

FIGURA 3.6

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La figura mostra le curva IS e LM , la produzione o reddito su

asse orizzontale, il tasso di interesse su quello verticale.Ogni

punto della curva IS corrisponde all’equilibrio del mercato dei

beni, ogni punto della LM corrisponde a quello nel mercato

finanziario;solo nel punto A entrambe le condizioni di equilibrio

sono soddisfatte.Questo punto rappresenta l’equilibrio generale, in

cui si ha equilibrio in entrambi i mercati.

Se si introduce una politica di contrazione fiscale(aumento delle

imposte) invece di una espansione fiscale(riduzione delle

imposte), come descritto nella figura 3.7, la curva IS si sposta

verso sinistra da IS a IS’; questo perché un aumento delle imposte

provoca una riduzione del reddito e quindi della produzione.Per

quanto riguarda la curva LM invece, questa rimane ferma in

quanto le imposte non compaiono nella equazione di quest’ultima;

infatti una curva si sposta in seguito ad una variazione di una

variabile esogena solo se questa appare direttamente

nell’equazione rappresentata dalla curva stessa.Per determinare il

nuovo equilibrio, supponiamo che l’equilibrio iniziale sia nel

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punto A nella figura 3.7;dopo l’incremento delle imposte, la curva

IS si sposta verso sinistra in IS’, il nuovo equilibrio si trova

nell’intersezione della nuova curva IS con la curva LM invariata,

nel punto A’.

FIGURA 3.7

L’incremento delle imposte prova una riduzione del reddito che a

sua volta induce gli individui a consumare di meno, questo

comporta una diminuzione della produzione e del reddito. La

diminuzione del reddito riduce la domanda di moneta causando la

riduzione del tasso di interesse.Questa diminuzione mitiga ma non

compensa del tutto l’effetto delle maggiori imposte sulla domanda

dei beni.

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FIGURA 3.8

Invece un aumento dell’offerta di moneta(espansione monetaria)

provoca un incremento dello stesso ammontare nella quantità reale

di moneta M/P.Per quanto riguarda la curva IS, l’offerta di

moneta,non rientrando nell’equazione, non influenza direttamente

né la domanda né l’offerta di beni.Al contrario la LM si sposta

verso il basso da LM a LM’, per un dato livello di reddito,, un

incremento dell’offerta di moneta fa scendere il tasso d’interesse,

l’equilibrio si sposta da A ad A’, aumenta la produzione da Y a Y’

e il tasso di interesse diminuisce da i a i’. Un tasso di interesse

inferiore stimola gli investimenti e fa aumentare la domanda e la

produzione.

3.6 La trappola della liquidità

Se il reddito si riduce al di sotto di una determinata soglia la curva

LM è piatta in corrispondenza di un tasso di interesse pari a zero,

intuitivamente il tasso di interesse non può scendere al di sotto

dello zero.In presenza della trappola della liquidità c’è un limite

della politica monetaria di aumentare la produzione, infatti

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quest’ultima potrebbe non essere in grado di far tornare la

produzione al suo livello naturale.

FIGURA 3.9

CAPITOLO 4: Il modello IS-LM in economia aperta

4.1 I mercati dei beni in economia aperta

Il concetto di apertura ha tre dimensioni:

-Apertura dei mercati dei beni(consumatori e imprese possono

scegliere tra beni nazionali ed esteri)

-Apertura dei mercati finanziari(gli investitori possono scegliere

tra attività finanziarie nazionali o estere)

-Apertura dei mercati dei fattori(le imprese possono scegliere dove

localizzare attività produttiva e i lavoratori dove lavorare)

Per quanto riguarda i mercati dei beni,in economia aperta, i

consumatori devono scegliere se comprare beni nazionali o

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esteri:se decidono di acquistare più beni nazionali,aumenta la

domanda per tali beni e anche la produzione.Se invece scelgono i

beni esteri, aumenta la produzione estera.La variabile

fondamentale in questa scelta è il prezzo dei beni nazionali in

termini di beni esteri, questo è il tasso di cambio reale.Questo

però non è osservabile direttamente quindi si utilizzano i tassi di

cambio nominali.

I tassi di cambio nominali tra due valute, possono essere espressi

in due modi:

-Come il prezzo della valuta nazionale in termini di valuta estera.

-Come il prezzo della valuta estera in termini di valuta nazionale.

Utilizzeremo la prima impostazione e quindi intenderemo con

tasso di cambio nominale il prezzo della moneta nazionale in

termini di moneta estera.

I tassi di cambio variano ogni minuto e queste variazioni sono

chiamate apprezzamenti nominali o deprezzamenti nominali.

-Un apprezzamento della moneta nazionale è un aumento della

moneta nazionale in termini di valuta estera.

-Un deprezzamento della moneta nazionale è una riduzione del

prezzo della moneta nazionale in termini di valuta estera.

Se invece ci troviamo in regime di cambi fissi si parlerà di

rivalutazione o svalutazione.

Partendo da queste considerazioni possiamo calcolare il tasso di

cambio reale tra due paesi(per es. Regno Unito e area euro).Per

farlo utilizziamo due beni, uno inglese(Jaguar) e uno

europeo(Mercedes) esprimendo entrambi nella stessa valuta e

quindi calcolare il loro prezzo relativo.Supponiamo di esprimere il

prezzo di entrambi in sterline:

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-Il primo passaggio è considerare il prezzo in euro di una

Mercedes e convertirlo in sterline.

-Il secondo passaggio è calcolare il rapporto tra il prezzo di una

Mercedes in euro e il prezzo di una Jaguar in sterline.

Successivamente invece di usare il prezzo di solamente questi

beni, dovremo utilizzare un indice dei prezzi di tutti i beni prodotti

nel Regno Unito e un indice dei prezzi di quelli prodotti in area

euro;cioè il deflatore del pil. Sia P il deflatore del pil nel Regno

Unito, P* quello dell’area euro ed E il tasso di cambio nominale

sterlina/euro.

-Il prezzo dei beni britanni in sterline è P,moltiplicandolo per il

tasso di cambio nominale,E, otteniamo il prezzo dei beni

britannici in euro,EP.

-Il prezzo dei beni europei in euro è P*. Il tasso di cambio reale ε è

dato da:

ε=

Il tasso di cambio reale è costruito moltiplicando il prezzo

nazionale per il tasso di cambio nominale e dividendo per il livello

dei prezzi esteri.

Anche i tassi di cambio reali variano, infatti possiamo avere:

-Un apprezzamento reale, cioè un aumento del prezzo relativo dei

beni nazionali in termini di beni esteri,ossia un aumento del tasso

di cambio reale

-Un deprezzamento reale, cioè una riduzione del prezzo relativo

dei beni nazionali in termini di beni esteri.

4.2 I mercati finanziari in economia aperta

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L’apertura dei mercati finanziari consente agli investitori di

diversificare il proprio portafoglio inoltre permette al paese di

registrare avanzi o disavanzi commerciali.

Le transazioni di un paese con il resto del mondo sono riassunte in

una serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti .Questa è

composta dai seguenti elementi:

-Il conto corrente, che indica tutti i pagamenti da e verso il resto

del mondo,cioè le transazioni di conto corrente(importazioni ed

esportazioni di beni e servizi,redditi da investimento,trasferimenti

netti ricevuti). La somma dei pagamenti da e verso il resto del

mondo è chiamato saldo di conto corrente, grazie al quale si

verifica l’esistenza di un avanzo di conto corrente o di un

disavanzo di conto corrente.

-Il conto capitale, che indica le modalità mediante cui avvengono

i trasferimenti, si parla infatti di transazioni di conto capitale, di

flussi netti di capitale e di saldo del conto capitale.La differenza

tra il saldo del conto corrente e quello del conto capitale è detta

discrepanza statistica.

Come abbiamo detto in economia aperta gli investitori possono

scegliere tra attività finanziarie nazionali o estere; consideriamo

ora che le attività finanziarie siano titoli annuali.Per analizzare tale

scelta, per esempio tra titoli britannici a un anno e titoli

statunitensi a un anno,del punto di vista di un investitore

britannico:

FIGURA 4.1

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-Supponiamo di detenere titoli britannici, sia i il tasso di interesse

nominale ad un anno nell’anno t,per ogni sterlina investita in

questi titoli si otterranno (1+i t) sterline l’anno prossimo.

-diverso invece il discorso se si detengono titoli statunitensi;per

acquistarli bisogna innanzitutto comprare dollari, se E t è il tasso

di cambio nominale tra sterlina e dollaro nell’anno t,per ogni

sterlina si otterranno E t dollari.Sia i* t il tasso di interesse

nominale a un anno sui titoli statunitensi nell’anno t,l’anno

prossimo avremo E t(1+i*t)dollari, a quel punto bisogna

convertire i dollari in sterline.Se il tasso di cambio nominale atteso

è E e t+1(la e sta ad indicare che è un valore atteso) ogni dollaro

varrà 1/E e t+1 sterline, pertanto potremo aspettarci di ottenere E

t(1+i*t)(1/E e t+1) euro per ogni euro investito.

La decisione di investire all’estero o nel paese di residenza

dipende anche dalle variazioni attese future del tasso di

cambio;infine se gli investitori cercano unicamente il maggiore

profitto, affinché sia conveniente tenere titoli sia britannici sia

statunitensi,essi devono avere lo stesso rendimento atteso, cioè

deve valere la seguente condizione:

L’ultima equazione è chiamata parità scoperta dei tassi di

interesse o parità dei tassi di interesse.

Tuttavia questa ipotesi è restrittiva in quanto ignora i costi di

transazione e

l’esistenza del rischio.

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Questa equazione invece ci dice che il tasso di interesse

nazionale deve essere uguale al tasso di interesse estero meno

il tasso di deprezzamento atteso della moneta estera.

4.3 La curva IS in economia aperta

In un’ economia aperta la domanda di beni nazionali è data da:

Z=C+I+G –

La somma dei primi tre termini(consumo,investimento e spesa

pubblica,costituisce la domanda nazionale dei beni, in economia

aperta dobbiamo introdurre due aggiustamenti:

-Sottrarre le importazioni,cioè quella parte di domanda nazionale

rivolta ai beni esteri anziché a quelli nazionali, nel farlo non

possiamo semplicemente sottrarre le importazioni,IM dalla

domanda nazionale, dobbiamo esprimere il valore delle

importazioni in termini di beni nazionali, questo è il significato di

IM/e.

-Il secondo aggiustamento consiste nell’aggiungere le

esportazioni, cioè la domanda dei beni nazionali da parte del resto

del mondo, rappresentata del termine X.

Le importazioni dipendono da due fattori:

-Dal reddito nazionale(quanto maggiore è quest’ultimo, più

elevata sarà la domanda di tutti i beni,sia nazionali che esteri).

-Dal tasso di cambio reale,il prezzo dei beni nazionali in termini di

beni esteri(più alto è il prezzo dei beni nazionali rispetto a beni

esteri, maggiori saranno le importazioni.

IM=IM(Y,e)

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(+ , +)

Un aumento del reddito nazionale provoca un aumento delle

importazioni, le quali dipendono in positivo anche dal tasso di

cambio reale.

Le esportazioni invece dipendono da:

-Reddito atteso(un maggior reddito estero è associato ad una

maggiore domanda estera per tutti i beni,nazionali e stranieri).

-Tasso di cambio reale(maggiore è il prezzo dei beni nazionali

rispetto ai beni esteri, minore saranno le importazioni).

X=X(Y*,e)

(+, -)

Un aumento della produzione estera, Y* porta un incremento delle

esportazioni;un aumento del tasso di cambio reale e, provoca una

riduzione delle esportazioni.

Uniamo ora le varie componenti della domanda

FIGURA 4.2

Nella figura 4.2° la retta DD rappresenta la domanda

nazionale,C+I+G come funzione della produzione. Per ottenere la

domanda di beni nazionali dobbiamo innanzitutto sottrarre le

importazioni,lo facciamo nella figura 4.2b e questo ci porta sulla

retta AA, che rappresenta la domanda nazionale di beni

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nazionali:la distanza tra la DD e la AA è uguale al valore delle

importazioni,IM/e.La AA è più piatta della DD, all’aumentare del

reddito, parte dell’accresciuta domanda interna sarà rivolta ai beni

esteri piuttosto che ai beni nazionali, cioè quando il reddito

aumenta,la domanda interna di beni nazionali aumenta meno della

domanda interna totale.Fino a quando almeno una parte della

domanda aggiuntiva è rivolta ai beni nazionali, la AA è inclinata

positivamente, un aumento del reddito fa aumentare la domanda

interna di beni nazionali.Infine dobbiamo aggiungere le

esportazioni,come in figura 4.2c e otteniamo la retta ZZ,che sta

sopra la AA.La distanza tra la ZZ e la AA corrisponde alle

esportazioni; la distanza è costante perché entrambe non

dipendono dal reddito interno e la ZZ è più piatta della DD.La

figura 4.2c ci permette di analizzare le esportazioni nette in

funzione della produzione;nella figura 4.2d la relazione tra le

esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla retta indicata

con NX, queste sono una funzione decrescente della

produzione:all’aumentare della produzione,le importazioni

aumentano e le esportazioni rimangono invariate,per cui le

esportazioni nette diminuiscono(sono la differenza tra esportazioni

ed importazioni).

Chiamiamo Y tb il livello di produzione in corrispondenza del

quale le importazioni sono uguali alle esportazioni,quindi

esportazioni nette uguali a zero,per livelli di produzione maggiori,

le importazioni sono più elevate e il paese registra un disavanzo

commerciale,per livelli di produzione inferiori, le importazioni

sono più basse e il paese registra un avanzo commerciale.

Affinché il mercato sia in equilibrio la produzione deve essere

uguale alla domanda di beni nazionali:

Y=C(Y-T)+I(Y,i)+G-IM(Y,e)/e+X(Y*,e)

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(+) (+,-) (+,+) (+,-)

Possiamo anche riscrivere l’equazione:

Y=C(Y-T)+I(Y,R)+G+NX(Y,Y*,e)

+ + - - + -

-Un aumento del tasso di interesse genera una riduzione della

spesa per investimenti e quindi della domanda di beni nazionali,

questo riduce produzione.

-Un aumento del tasso di cambio reale provoca uno spostamento

della domanda a favore dei beni esteri e quindi un calo delle

esportazioni nette, quindi riduce la produzione.

-Il tasso di cambio nominale e reale si muovono insieme.

Per analizzare la relazione tra tasso di cambio corrente, tasso

d’interesse interno,estero e tasso di cambio esteso utilizziamo

questa equazione:

Questa ci dice che:

-Un aumento del tasso di interesse interno provpoca un aumento

del tasso di cambio.

-Un aumento del tasso di interesse estero provoca una riduzione

del tasso di cambio

-Un aumento del tasso di cambio atteso porta un aumento del tasso

di cambio corrente.

CAPITOLO 5 : il mercato del lavoro

Definiamo occupazione il numero di persone che hanno un lavoro

e disoccupazione quello delle persone che lo stanno cercando;la

somma delle due è la forza lavoro :

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L = N + U. Il tasso di disoccupazione è il rapporto tra il numero

dei disoccupati e la forza lavoro : u = U/L . Il tasso di

partecipazione è il rapporto della forza lavoro sul totale della

popolazione in età lavorativa.

5.1 La determinazione dei salari

I salari possono essere fissati in vari modi: a volte dalle

contrattazioni collettive tra imprese e sindacati; la forza

contrattuale del lavoratore dipende da due fattori,cioè il costo che,

in caso di sue dimissioni, l’impresa dovrebbe pagare per

sostituirlo, e la difficoltà che egli incontrerebbe nel trovare un

altro lavoro;inoltre ciò dipende dalla natura del lavoro e dalle

condizioni del mercato.

Solitamente,più basso è il tasso di disoccupazione,maggiore è il

salario. I lavoratori percepiscono un salario superiore al loro

salario di riserva, cioè il salario che li rende indifferenti tra

lavorare ed essere disoccupati. Poiché le imprese vogliono che i

lavoratori siano produttivi,sono spinti a pagare salari superiori a

quelli di riserva,il che rende più conveniente per il lavoratore

rimanere nell’impresa: questo legame tra produttività e

l’efficienza è la teoria dei salari di efficienza.

Ecco l’equazione sui salari: W = Pe F (u , z)

Dove il salario aggregato W è uguale al livello atteso dei prezzi Pe

ed è inversamente proporzionale al tasso di disoccupazione u e

direttamente proporzionale ad una generica variabile z.

Analizziamo le singole componenti:

- Livello atteso dei prezzi influenza i salari perché i lavoratori

e le imprese sono interessati ai salari reali e non a quelli

nominali(salario reale W/P). Inoltre un aumento del livello

atteso dei prezzi provoca un aumento proporzionale del

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salario nominale. E’ importante il riferimento al livello atteso

dei prezzi in quanto i salari sono nominali per cui il livello di

prezzi a cui fare riferimento non è ancora noto.

- Il tasso di disoccupazione: se esso aumenta, si riduce il

salario nominale.

- Gli altri fattori: un aumento di z provoca un incremento del

salario. Possiamo individuare vari fattori: l’indennità di

disoccupazione(cioè un sussidio versato ai lavoratori che

hanno perso il proprio posto di lavoro) consente maggiori

livelli di salario; la protezione dei lavoratori rende più

costoso il licenziamento per le imprese per cui ciò aumenta il

potere contrattuale dei lavoratori, facendo a sua volta

aumentare il salario; l’esistenza di un salario minimo

garantito dalla legge impedisce alle imprese di imporre salari

al di sotto di quelli rigidamente previsti e quindi l’incremento

dei salari anche di poco superiori a quello minimo genera un

aumento del salario medio W.

5.2 La determinazione dei prezzi

I prezzi fissati dalle imprese dipendono dai costi,i quali dipendono

dalla natura della funzione di produzione,cioè la relazione tra

input ed output: Y = AN , dove Y è la produzione, N

l’occupazione e A la produttività. Ciò implica che la produttività

del lavoro è il rapporto tra produzione e numero degli impiegati ed

è costante ed uguale ad A. Se assumiamo che A sia uguale ad

1,poiché il lavoratore produce una unità di prodotto, abbiamo che

Y = N, che implica che il costo di realizzare un’unità aggiuntiva di

prodotto è uguale al costo di impiegare un lavoratore in più e

quindi è uguale al salario: P = ( 1 + m) W, dove m è il ricarico del

prezzo sul costo di produzione (markup).

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5.3 Il tasso naturale di disoccupazione

Se assumiamo che il livello atteso dei prezzi Pe sia uguale al

livello effettivo dei prezzi P, abbiamo che l’equazione dei salari è

W = PF(u,z). Dividendo entrambi i lati per P, abbiamo: W/P =

F(u,z) e quindi quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto

minore sarà il salario reale scelto da chi fissa i salari in quanto si

riduce la forza contrattuale dei lavoratori. Questa relazione tra

salario reale e tasso di disoccupazione è l’”equazione dei salari”,

rappresentata in figura 5.1.

FIGURA 5.1

Il salario reale è misurato sull’asse verticale , il tasso di

disoccupazione su quello orizzontale. L’equazione dei salari è una

curva decrescente WS.

Se dividiamo entrambi i lati dell’equazione P = (1 + m) W per

W,abbiamo P/W = 1+m,ed invertendola: W/P = 1/1 + m, cioè che

il salario reale fissato dalle imprese è una funzione delle decisioni

di prezzo e un aumento del markup m fa aumentare i prezzi a

parità di salari, facendo così diminuire il salario reale. Questa è

definita “equazione dei prezzi”.

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L’equilibrio nel mercato del lavoro richiede che il salario reale

risultante dalla determinazione dei salari sia uguale al salario reale

derivante dalla determinazione dei prezzi. Nella figura è il punto

A e il tasso di disoccupazione di equilibrio è u.

Algebricamente:

, u è il tasso naturale di

disoccupazione.

Consideriamo due casi:

FIGURA 5.2

In questo caso, un aumento dei sussidi di disoccupazione, che è

ricompreso in z, fa aumentare il salario reale scelto e quindi

l’equazione dei salari si sposta da WS a WS’, provocando un

aumento del tasso naturale di disoccupazione da u a u’ e

l’economia si muove lungo la PS da A a A’. A parole, in

corrispondenza di un dato tasso di disoccupazione, maggiori

sussidi di disoccupazione portano ad un salario reale più alto: è

necessario un tasso di disoccupazione superiore per riportare il

salario reale al livello che le imprese sono disposte a pagare.

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FIGURA 5.3

In questo secondo caso, una legislazione antitrust meno restrittiva

consente alle imprese di colludere ed aumentare il loro potere di

mercato e fa aumentare il markup, che a sua volta genera una

riduzione del salario reale e sposta verso il basso l’equazione dei

prezzi da PS a PS’,provocando un aumento del tasso naturale di

disoccupazione da u ad u’ e l’economia si sposta lungo la WS da

A a A’. A parole, consentendo alle imprese di aumentare i prezzi a

parità di salario, una legislazione del genere provoca una riduzione

del salario reale;è necessaria una disoccupazione più alta per

costringere i lavoratori ad accettare questo minor salario reale e

ciò fa aumentare il tasso naturale di disoccupazione.

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CAPITOLO 6 : Il tasso naturale di disoccupazione e la

curva di Phillips

Chiariamo il concetto di “inflazione”,intesa come un aumento del

livello generale dei prezzi,mentre chiamiamo tasso di inflazione il

tasso a cui livello dei prezzi aumenta nel tempo; la deflazione

invece è una significativa riduzione dei prezzi.

Il deflatore del PIL è il rapporto in un anno tra PIL nominale e PIL

reale.

Distinguiamo un’ inflazione attesa πe e un’inflazione effettiva π:

un aumento della prima provoca un aumento della seconda in

quanto un aumento del livello atteso dei prezzi Pe provoca un pari

aumento del livello dei prezzi effettivi P.

Tutto ciò partendo da questa equazione: P = Pe(1 + m)F(u,z), dove

ricordiamo m è il markup. Quindi un aumento dello stesso o un

aumento dei fattori z che influiscono sul salario comportano un

aumento dell’inflazione. Lo stesso vale quando aumenta il tasso di

disoccupazione u per cui l’inflazione si riduce.

Possiamo riscrivere la precedente equazione usando l’inflazione:

π = πe + ( m + z) - au

La curva di Phillips ha avuto una serie di formulazioni, ecco la

prima : se pensiamo ad un’economia con inflazione positiva e ad

una con inflazione negativa nel corso degli anni, in media essa

sarà nulla con valori vicini allo zero. Se in un anno t registriamo

un tasso di inflazione vicino allo zero, ci aspettiamo che esso sia

tale anche nell’anno successivo, per cui l’inflazione attesa πe sarà

uguale a 0, e l’equazione precedente diventerà π = (m + z) –

au : questa è proprio la relazione negativa tra disoccupazione e

inflazione poiché una minore disoccupazione comporta prezzi

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maggiori rispetto al passato in quanto crescono i salari dei

lavoratori(questa è la spirale prezzi-salari).

Negli anni 70 ci fu un forte aumento del petrolio che aumentò i

costi di produzione e costrinse le imprese ad aumentare i propri

prezzi rispetto ai salari e quindi il markup; poiché abbiamo visto

che l’aumento del markup fa aumentare l’inflazione,questa fu la

conseguenza. Ma la ragione principale della riformulazione della

curva fu che i lavoratori cambiarono il proprio modo di formare le

aspettative,che portò ad una persistente inflazione positiva e

dunque era sbagliato aspettarsi che il livello dei prezzi negli anni

successivi fosse sempre lo stesso. Per capire questa sua

evoluzione,è utile fare riferimento a questa relazione: πe = θ ,

dove θ(teta) descrive l’effetto del tasso di inflazione nell’anno

precedente (t-1) sul tasso atteso nell’anno corrente. Maggiore è

teta, più l’inflazione spinge lavoratori e imprese a rivedere le

proprie aspettative e quindi maggiore sarà l’inflazione attesa; il

parametro teta ha un valore pari a 1, per cui : π - = (m + z) –

au, cioè il tasso di disoccupazione non influenza il tasso di

inflazione ma piuttosto la sua variazione: una disoccupazione

elevata comporta un’inflazione decrescente, una disoccupazione

moderata un’inflazione crescente. Questa è chiamata curva di

Phillips modificata o accelerata.

La curva è strettamente legata al tasso naturale di disoccupazione:

infatti quando il tasso effettivo eccede quello naturale,l’inflazione

diminuisce; viceversa quando è inferiore,l’inflazione aumenta.

La disoccupazione in Europa si può spiegare sulla base di diversi

fattori,tra cui un generoso sistema di sussidi di disoccupazione tale

che gli individui sono disincentivati a cercare nuove occupazioni;

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un elevato livello di tutela del lavoro che fa aumentare il costo del

licenziamento dei lavoratori per le imprese, con l’attribuzione di

varie indennità;il minimo salariale e le regole di

contrattazione,come già visto nel capitolo precedente. Tutto ciò

spiega la cosiddetta rigidità del mercato del lavoro.

CAPITOLO 7: Il modello IS-LM-PC

Il tasso di interesse è il costo del credito o il rendimento del

risparmio. Se un individuo assume un prestito da una banca, il

tasso di interesse rappresenta il corrispettivo che egli versa. Se

invece deposita i propri risparmi presso una banca, gli interessi

sono il rendimento che ottiene.Gli economisti operano una

distinzione tra tassi di interesse “nominali” e “reali”:

-Il tasso di interesse nominale è quello concordato e pagato.

-Il tasso di interesse reale è il tasso di interesse al netto del tasso

di inflazione vigente in una data economia(cioè il tasso di

interesse nominale meno la perdita dovuta all’inflazione).

Nei capitoli precedenti abbiamo detto che la produzione è

determinata dalla domanda:

Y=C(Y-T)+I(Y,r+x)+G

Dove r+x sta per il tasso reale sui prestiti che è il tasso di interesse

reale rilevante per le decisioni sull’investimento ed è la somma del

tasso reale di policy(tasso di interesse che la banca centrale

utilizza per controllare il mercato monetario)e del premio per il

rischio(differenza tra il valore atteso di una lotteria (variabile

casuale) rischiosa e l'ammontare certo (detto certo equivalente)

che un individuo sarebbe disposto ad accettare al posto della

lotteria rischiosa). Nei capitoli abbiamo anche parlato della curva

di Phillips e della relazione tra inflazione e disoccupazione; dato

che l’equazione precedente è scritta in funzione della produzione,

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dobbiamo prima di tutto riscrivere la curva di Phillips in termini

della produzione,invece che della disoccupazione.La definizione

di tasso di disoccupazione ci dice che esso è uguale al numero dei

disoccupati diviso per la dimensione della forza lavoro:

u=U/L= (L-N)/L=1-N/L

dove u rappresenta i tasso di disoccupazione,U il numero di

disoccupati,N il numero di occupati e L la dimensione della forza

lavoro.Il tasso di disoccupazione è quindi uguale a 1 meno il

numero di occupati in termini di forza lavoro,riscriviamo

l’equazione in modo da esprimere N in termini di u: chiamiamo N

n il livello natirale dell’occupazione,Y n il vello naturale della

produzione che è anche chiamato produzione potenziale.

Y-Yn*=L((1-u)-(1-u n))=-L(u-u n)

Questo ci offre una relazione tra le deviazioni della produzione dal

suo livello naturale e quelle della disoccupazione dal suo livello

potenziale.La differenza tra produzione produzione potenziale è

chiamata output gap;qaundo il tasso di disoccupazione è al suo

livello naturale, la produzione è al suo livello potenziale e l’output

gap è pari a zero; quando il tasso di disoccupazione è al di sopra

del suo livello naturale, la produzione è al di sotto del suo livello

potenziale e l’output gap è positivo. Sostituendo (u-u n) all’interno

della precedente equazione, abbiamo:

π-πe=(α/L)(Y-Yn)

se assumiamo che l’inflazione attesa quest’anno sia uguale a

quella dell’anno scorso, la curva di Phillips è data da:

π-π(-1) =(α/L)(Y-Yn)

Quando la produzione è sopra il suo livello potenziale,cioè

l’output gap è positivo,l’inflazione aumenta;quando la produzione

è al di sotto del suo livello potenziale, l’ouput gap è negativo e

l’inflazione diminuisce.La relazione positiva tra produzione e

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variazioni dell’inflazione è rappresentata dalla curva con

prendenza positiva nel riquadro inferiore della figura 9.1

*le lettere scritte in minuscolo e staccate sono in pedice.

FIGURA 7.1

La produzione è sull’asse orizzontale, le variazioni dell’inflazione

su quello verticale;quando la produzione è al suo livello

potenziale,cioè output gap nullo,la variazione dell’inflazione è

nulla; per questa ragione la curva di Phillips interseca l’asse

orizzontale nel punto in cui la produzione è uguale al suo livello di

potenziale.

Analizzando il riquadro superiore,se la banca centrale adotta un

tasso di policy pari a r, il livello di produzione è pari a Y; Y è

maggiore di Y n e quindi la produzione è al di sopra del suo livello

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potenziale,cioè l’inflazione aumenta.Questo è l’equilibrio di breve

periodo; assumendo che non ci siano variazioni del tasso di policy

o altre variabili, col passare del tempo la produzione rimane al di

sopra del suo livello potenziale e l’inflazione aumenta, a un certo

punto la politica economica potrebbe reagire,per es. la banca

centrale potrebbe aumentare il tasso di policy per riportare la

produzione al suo livello naturale e ridurre l’inflazione.Il processo

di aggiustamento e l’equilibrio di medio periodo è rappresentato

nella figura 9.2

FIGURA 7.2

Con equilibrio iniziale nel punto A, se la banca centrale aumenta il

tasso di policy,l’economia si muove da A ad A’,la produzione

diminuisce. Questo fa spostare nel riquadro inferiore,l’economia

lungo la PC da A ad A’in corrispondenza di cui il tasso di policy è

r u, la produzione uguale a Y n e l’inflazione è costante, questo è

l’equilibrio di medio periodo. Il tasso di interesse u n associato ad

Y n è spesso chiamato tasso di interesse naturale, tasso di

interesse neutrale o tasso di interesse di Wicksell.

Consideriamo ora il caso in cui l’economia sia in recessione;

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Figura 7.3

In corrispondenza del tasso di policy r, il livello di produzione Y è

di molto sotto il livello naturale Y n; l’output gap è negativo e

l’inflazione è idiminuzione,l’equilibrio iniziale è nel punto A.La

banca centrale deve ridurre il tasso di policy da r a r n ,con questo

la produzione diventa Y n è l’inflazione è nuovamente stabile.

C’è però una limitazione, la banca centrale non può mai portare il

tasso di policy al di sotto dello zero,in negativo; può ridurlo fino

allo 0% in corrispondenza di un livello di produzione Y’, in cui la

produzione è ancora al di sotto del suo livello naturale e

l’inflazione è in diminuzione, questo da vita alla spirale

inflazionistica o trappola deflazionistica. In questo caso, invece

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di convergere verso l’equilibrio di medio periodo,

l’economia(come indicato dalle frecce) si allontana da esso:la

produzione diminuisce e l’inflazione diviene sempre più

significativa.

Supponiamo ora che la produzione sia al suo livello naturale e

l’inflazione stabile,se il governo per ridurre il disavanzo,aumenta

le imposte,la produzione si riduce e l’inflazione comincia a

diminuire.In altre parole quando la produzione si trova al suo

livello potenziale,il consolidamento fiscale, per quanto possa

desiderarsi al fine di risanare le finanze pubbliche, conduce ad una

recessione, questo nel breve periodo.Nel medio periodo

invece,dato che la produzione è troppo bassa e l’inflazione sta

diminuendo,la banca centrale ridurrà il tasso di policy per fare

ritornare la produzione al livello potenziale; in questo caso

l’inflazione tonerà stabile e la produzione effettivamente tonerà al

suo livello potenziale.

Quindi sebbene il consolidamento fiscale possa ridurre

l’investimento nel breve periodo, lo aumenta nel medio periodo.

Un aumento del prezzo del petrolio comporta:

-Riduzione del salario reale

-Aumenta il tasso naturale di disoccupazione

Un aumento del prezzo del petrolio provoca nel breve periodo un

calo della produzione e un aumento del livello dei prezzi. Nel

medio periodo, la produzione

diminuisce ulteriormente e il livello dei prezzi aumenta

ulteriormente.

Nel breve periodo quindi la produzione diminuisce e l’inflazione

aumenta(stagflazione), nel corso del tempo la produzione

diminuisce ulteriormente e l’inflazione aumenta ulteriormente.

FIGURA 7.4

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FIGURA 7.5

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