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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Anno LIV- N. 158 gennaio - marzo N. 1 - 2012 Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Dossier L’arte di educare: difficile, ma bella Nati in carcere

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Anno LIV- N. 158gennaio - marzo

N. 1 - 2012Vita somascaPeriodico trimestrale dei Padri Somaschi

Vita somascaPeriodico trimestrale dei Padri Somaschi

Dossier

L’arte di educare:difficile, ma bella

Nati in carcere

Editoriale

Catene di Santi 3Cari amici

Nati in carcere e cresciuti in strada 4Report 1

Radio Mater 8Report 2

Appunti di viaggio 10Il punto

Comunità familiare 14Ite Missa est

Educare il cuore 16Dentro di me

Perché l’uomo diventi uomo 17Vita e missione 1

Sette chilometri di fame e miseria 18Vita e missione 2

Il coraggio di dire sì 20Movimento Laicale Somasco

ALS 22

Dossier Elmas - L’arte di educare : difficile ma bella 23

Profili

La mia infanzia 34Per riflettere

Egregio direttore 37Nostra storia

Girolamo Miani 38Flash da...

Eventi somaschi 40In memoria

Ricordiamoli 43Recensioni

Letti per voi 44Il trimestre

Cacadubbi 47

Anno LIV - N. 158gennaio - marzo

N. 1- 2012Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Direttore editorialep. Mario Ronchetti

Direttore responsabileMarco Nebbiai

Hanno collaboratop. Franco Moscone, Enrico Viganò,p. Giuseppe Oddone,Carlo Alberto Caiani,p. Augusto Bussi Roncalini,p. Michele Marongiu, sr. Giovanna Serra, Pier Luigi Gardella,Romina Pinna,Fratel Giuseppe Ronchetti,Matteo Lo Presti,p. Renato Ciocca, p. Mario Ronchetti, p. Luigi Amigoni,Marco Nebbiai.

FotografieArchivio Vita somasca,p.Renato Ciocca, Internet

StampaIacobelli- 00040 Pavona (RM) Tel. 06 9342201

Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

Vita somasca viene inviata agli ex alunni, agli amici delle opere dei Padri Somaschi e a quanti esprimono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected]

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SommarioSommario

EditorialeEditoriale

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gennaio marzo 2012 Vita somasca

Roma cristiana

sei nata dalle catene di Pietro e Paolo

apostoli.

Il tuo impero universale

incatenato dall’amore dello Schiavo crocifisso

fu liberato dall’ebbrezza del dominio.

Dalla tomba degli Apostoli risorge

come il seme caduto in terra

la vita dello spirito.

Le radici profonde non gelano mai

il cuore degli uomini

e lo aprono ad una sempre nuova primavera.

Famiglia somasca

sei nata dalle catene di Girolamo

patrizio veneziano.

Il tuo spirito rinnovato

esca dal carcere aperto da Maria

la Donna grande.

Seguendo il Crocifisso, diceva Girolamo:

“Sono chiamato a Roma e al Cielo”.

Fu chiamato per sempre al suo Cielo.

Catene di santi:

liberano il mondo

e legano tutto nella pace di Dio.

Giubileo Somascop. Lucio Zavattin

Catene di Santi

Cari amiciCari amici

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p. Franco Moscone crs

Il percorso della santità somasca

Se guardiamo alla vita nostra e dell’in-tera realtà, senza volerci nasconderedietro false illusioni, dobbiamo ricono-scere che, alla fine, saremo tutti scon-fitti: sicura ci attende la morte. La filosofia di sempre, ed in particola-re quella degli ultimi due secoli, è cre-sciuta affrontando questo tema senzarisolverlo, o affermando che l’essere èdestinato alla sconfitta nel nulla. Ma il messaggio cristiano, pur inter-pretando la vita nella stessa scena delmondo e faticando sulle stesse stradedella comune storia umana, concludediversamente: alla fine, la vittoria nel-la risurrezione di Cristo. La vita dei santi, in particolare la vi-cenda di san Girolamo, che ci segna nel-

la nostra identità, conferma la veritàdella novità cristiana: la sconfitta si tra-sforma in vittoria, la morte è sgomina-ta dalla Vita. Questa verità, che è il fondamento del-la nostra fede, senza la quale nullaavrebbe senso di quanto facciamo e sia-mo, non riguarda solo la fine,“l’eschaton”, ma è già presente nel quo-tidiano. L’esperienza di Girolamo a Quero inquell’estate del 1511 afferma proprioquesta verità: la sconfitta può tramu-tarsi in vittoria, ciò che appare comefine, in realtà è il vero inizio. Girolamo, come cristiano e santo, nonnasce nel 1486 a Venezia in un palaz-zo dell’aristocrazia (o a Feltre, secon-

Nati in carcere e cresciuti in strada

Cari amici,volendo ripercorrere la vicenda cristiana del Miani si potrebbeiniziare con questa affermazione: all’inizio ci fu la sconfitta! Sì, la storia di salvezza del nostro Fondatore parte da una scon-fitta: il 27 agosto 1511 la sua vita improvvisamente si ribalta eresta apparentemente vuota e senza alcuna prospettiva. I sogni della gioventù spariscono e tutta la preparazione milita-re e politica si dissolve nella disperazione del carcere in cui eglisi trova rinchiuso. Ma in quella sconfitta Dio non era assente. La Provvidenza aveva permesso che nel cuore di Girolamo si fa-cesse il vuoto perché ci fosse finalmente lo spazio per l’incontro,per l’incontro della vita, l’incontro con Dio. Per dare se stesso Dio ha bisogno di spazio, per questo a voltesi serve anche delle sconfitte per realizzare il suo progetto, cheè progetto di salvezza e santità per tutti.

Nati in carcere: la forza della fede

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do le ricerche storiche più moderne),Girolamo nasce a Castelnuovo, pressoQuero, in carcere! La nascita dallo Spirito Santo avvienespesso nel silenzio, nel buio della not-te, fuori delle logiche del mondo, e conil segno della sconfitta, in altre parole,sotto la Croce.Quando riconosce di essere finito all’in-ferno, Girolamo trova la verità sulla suavita e contemporaneamente la Presen-za che gli apre la porta del carcere e glidona la libertà. Anche senza dover provare fisicamen-te l’esperienza della prigione, il messag-gio spirituale racchiuso in quella realtàrichiama un’esperienza necessaria perogni cristiano, a maggior ragione perchi intende vivere il Vangelo sulle ormedi Girolamo. C’è un luogo nella persona che corri-sponde al carcere, e che contempora-neamente contiene anche la porta perla libertà: questo luogo è il cuore. Bene descrive l’evangelista Marco que-

sta realtà del cuore come carcere: “Dal di dentro, cioè dal cuore degli uo-mini, escono intenzioni cattive: forni-cazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidi-gie, malvagità, inganno, impudicizia,invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Queste cose cattive vengono dal di den-tro e contaminano l’uomo”.Che descrizione perfetta dell’esperien-za interiore di ognuno! Quale carcerepuò essere più duro, quali aguzzini pos-sono essere più esigenti di quelli descrit-ti? E poco oltre Gesù afferma ancora:“Avete il cuore indurito. Avete occhi enon vedete, avete orecchi e non udite!”. Ma se il cuore è carcere, esso ha ancheuna porta, che serve tanto per entrarviquanto per uscirvi. Alla porta del cuore dobbiamo volgerel’attenzione per ascoltare la voce, che cichiama dal di fuori e ci conduce alla li-bertà: “Ecco sto alla porta e busso: sequalcuno ascolta la mia voce e mi aprela porta, io verrò da lui, cenerò con luied egli con me”.

gennaio marzo 2012 Vita somasca

Cari amiciCari amici

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Aperta la porta del carce-re ed uscitone fuori, Giro-lamo si trova davanti, nonil nulla o l’ignoto, comevorrebbe il pensiero ni-chilista, ma una strada.

Di questa strada già cono-sce intenzionalmente lameta: Treviso ed il san-tuario della MadonnaGrande, di cui aveva sen-tito parlare fin da bambi-no! Conoscere intenzio-

nalmente la meta, averdavanti una strada aper-ta, non significa ancorasaperla percorrere, esse-re in grado di raggiunge-re quanto desiderato e av-vertito come verità dellapropria vita. Inoltre, Girolamo si tro-vava davanti al doppio ri-schio dell’insidia dei ne-mici all’intorno e del-l’oscurità della notte: habisogno di una guida, dichi lo assicuri e gli illumi-ni il cammino. E la Guida è nuovamentelì, al suo fianco, lo pren-de per mano, come luistesso testimonierà nelracconto del IV Libro deiMiracoli, e lo accompagnadi notte fino alla città. La Guida è Maria, ed il lo-go del nostro Giubileo benci rappresenta la scena di-pinta nel particolare delquadro di Giuseppe Tor-telli: la mano destra dellaVergine stringe quella diGirolamo, mentre la sini-stra, spinta in avanti, gliindica il cammino. Girolamo impara perstrada, è accompagnatoamorosamente, per que-sto saprà a sua volta farsiaccompagnatore di moltiper le strade del suo tem-po. L’amore che ha speri-mentato lungo la stradadal carcere al santuario,di notte, tra pericoli di ne-mici e l’ipotesi di non es-sere poi riconosciuto daisuoi una volta giunto aTreviso, ha educato il suo

cuore, che diventa pienodi pazienza e di compren-sione, attento, tenero epronto al sacrificio comequello di una madre; di-venta un cuore educato al-l’amore, che saprà educa-re all’amore. La strada per Girolamo èstata veramente il luogodov’è maturata l’educazio-ne, sua, per mano di Ma-ria, e di chi lo accompa-gnò spiritualmente neglianni successivi; il luogodell’educazione vissutacome carità e missione,per i più piccoli e poveri.Nel Vangelo, la strada èveramente il luogo del-l’educazione, dove si in-contra il Maestro e si è daLui formati e mandati. Sull’esempio di Girolamomi sembra così di ricono-scere nella dinamica del-la strada, maestra dellamia formazione e palco-scenico della missioneche mi è stata affidata, illuogo della virtù più dif-ficile e necessaria: la spe-ranza. Sì, perché è perstrada dove riconoscol’altro come fratello, per-ché è nell’altro che incon-tro per strada che Cristosi nasconde e si rivela. Sì, perché è secondo il miocomportamento sulla stra-da che sarò un giorno giu-dicato. Sì, perché percorrendo lamedesima strada dellastoria anche l’ultimo,l’insignificante ed addirit-tura l’ateo è mio fratello.

Cresciuti in strada: la dinamica della speranza

Sulla via della santità: la carità compiuta

gennaio marzo 2012 Vita somasca

Quando la carità è compiuta si chiamasantità. La storia della nostra Famiglia religio-sa è segnata dal desiderio di santità findai suoi inizi. Si tratta di santità fatta carne nella per-sona di Girolamo, dei suoi primi com-pagni di strada, delle sante congregazio-ni di cristiani riformati che a lui si ispi-ravano, vivendo nella santa pratica del-la vita cristiana e con la sempre amicapovertà. Si tratta di santità fatta parola, e rima-sta condensata nei testi delle nostre fon-ti: spiccano, in particolare per tale desi-derio, la Nostra Orazione, le Costituzio-ni del 1555 ed i Monita o suggerimentiper la vita interiore ed il progresso spi-rituale, collegati alle Costituzioni del1626. Le nostre origini continuano a trasmet-terci il sogno di Girolamo, la chiara vi-sione dei suoi primi compagni e l’eticaper rendere splendente la Chiesa dellasantità somasca. Tanti fratelli lungo i cinque secoli dellanostra storia ne sono stati esempi lumi-nosi. Con gioia siamo chiamati a rende-re grazie a Dio per tre avvenimenti cheilluminano di santità somasca l’inizio.

- L’8 settembre 2011 sono iniziate le ce-lebrazioni per ricordare i 150 anni del-l’apparizione della Vergine a Fratel Ri-ghetto Cionchi.

Il messaggio che, attraverso di lui, ci hatrasmesso la Vergine Maria è semplicee chiaro: “Righetto sii buono”. Siamo chiamati a contemplare ed esse-re testimoni di bontà: il nome di Dio, ilcompendio di tutto l’Essere che è verobuono e bello!

- Il 29 settembre 2011 è terminato il pro-cesso diocesano per la beatificazione diPadre Giovanni Ferro, Arcivescovo diReggio Calabria. Il titolo del libro di Mons. Agostino, suodiscepolo, che ben ne delinea la figura“Nessuno così padre”, ha colto il segre-to di P. Giovanni Ferro, farsi padre e ma-dre di chi non ha padre e madre, ossiala finalità della santità somasca nellaChiesa (anche da Vescovo)!

- Ed infine, la canonizzazione di san Lui-gi Guanella, domenica 23 ottobre 2011.San Luigi Guanella è stato alunno pri-ma, e collaboratore poi, dei Somaschi aComo, negli anni degli studi teologici.La spiritualità somasca è linfa di santi-tà anche per ex-alunni e collaboratori.Trascrivo due frasi del nuovo santo chefanno intravvedere il marchio di san Gi-rolamo in lui: “credere che il bene non si può fare chesalendo il cammino faticoso del Calva-rio… Chi non dice mai ‘basta’ nelle ope-re di carità salirà con Gesù in alto e pos-sederà il Regno”.

Vi invito a fermar-vi e contemplare labellissima immagi-ne mariana conte-nuta nel messaggiodel Santo Padre Be-nedetto XVI per ilnostro Giubileo:“Continuerà a gui-darci col suo soste-gno la Vergine Ma-ria, modello insu-perabile di fede e dicarità. Come sciolse il vin-colo delle cateneche tenevano pri-gioniero san Giro-lamo, Ella voglia,con la sua maternabontà, continuare aliberare gli uominidai lacci del pecca-to e dalla prigioniadi una vita privadell’amore per Dioe per i fratelli, of-frendo le chiavi cheaprono il cuore diDio a noi e il cuorenostro a Dio”.

Quando è giunta in reda-zione la notizia che il Pa-dre Generale dei Soma-schi chiedeva a RadioMater di diventare la ra-dio ufficiale del GiubileoSomasco, grande è statala sorpresa, ma nellostesso tempo grande lagioia. Radio Mater ha nelsuo DNA il servizio allaChiesa, in tutte le suecomponenti, dalle dioce-si, alle associazioni e allecongregazioni religiose.Don Mario Galbiati, fon-datore di Radio Mater eprima ancora di RadioMaria, ha sempre volutoche la radio fosse eccle-siale, per annunciare ilVangelo con Maria, nellaChiesa, con la Chiesa, esempre in obbedienza al-la Chiesa. Una convinzio-ne a cui in trent’anni diapostolato radiofonico

non è mai venuto meno,anche se ciò non ha man-cato di procurargli in-comprensioni e sofferen-ze proprio da quelle per-sone a cui aveva dato pie-na fiducia. “Non a tutti sono note ledure prove a cui don Ma-rio è stato sottoposto - ciricorda Antonio Rosa,consulente ai programmidi Rai Uno e uno dei pri-mi collaboratori di donMario - e non tutti sannoquanto gli sia costato ri-nunciare a Radio Maria,che la Madonna gli ave-va affidato per portare laluce del Vangelo in ognicasa. Radio Maria è sta-ta il fenomeno mediaticodegli anni Ottanta. DonMario, da vero pastore,ha risposto a questa chia-mata di Dio, e ha dedica-to tutto se stesso a quella

che possiamo definire lavera novità del tempo.Poi, per un misterioso di-segno della Provvidenzasi è ritrovato a ricomin-ciare con Radio Mater lastessa avventura”. Ritornato a Erba da unpellegrinaggio a Lourdesper trovare conforto e so-stegno spirituale per lesofferenze legate al di-stacco forzato da RadioMaria, viene invitato daun rappresentante dellaChiesa ad aprire un’altraradio. Obbedisce e nascecosì Radio Mater. Era il 1994. Lo scorso 11 febbraio laradio è diventata “mag-giorenne”, festeggiando18 anni di fondazione.Infatti, la concessionedel Ministero delle Postee Telecomunicazioni au-torizzava l’accensione deiripetitori della nuova ra-dio proprio il giorno incui la Chiesa ricorda laprima apparizione dellaMadonna a Lourdes: l'11febbraio. Per don Marioe per i suoi più diretti col-laboratori questa “coin-cidenza” venne interpre-tata come “segno provvi-denziale e materno diMaria” e fu uno stimoloulteriore a percorrere unnuovo cammino nelmondo dell’etere. Inizial-mente, l’ascolto della ra-dio era limitato a Milanoe alla Brianza. Poi, annodopo anno, la sua presen-

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Report 1Report 1

Radio MaterUn “ponte” virtuale con tutte le “case” della Congregazione somasca

Enrico Viganò

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za si è estesa in tutt’Italia. Oggi si può ascoltare in FM, in quasi tut-ta Italia, via satellite in tutta Europa(Hot bird 2) e in tutto il mondo su inter-net (www.radiomater.org). Proprio lo scorso 11 febbraio Radio Ma-ter ha compiuto 18 anni, diventando“maggiorenne”. Come fece in precedenza con Radio Ma-ria, don Mario volle che la specificità diRadio Mater fosse l’amore obbedienteper la Chiesa, la preghiera, la Parola diDio, l’adorazione, per accogliere e vive-re la carità in totale abbandono allaProvvidenza. La preghiera, la liturgia ele catechesi occupano gran parte del pa-linsesto della giornata e della notte.Molto partecipata è la “Preghiera Not-turna” in diretta, dalle ore 2 alle 6, dal-la Cappellina di Maria, cuore di RadioMater: è dalla preghiera e dalle celebra-zioni in Cappellina che scaturiscono poii programmi radiofonici. Il suo jingle “la radio che porta la Chie-sa in casa e che tutti riunisce nell’amo-re, come una sola famiglia” sintetizzain modo efficace la sua “mission”. In questi anni sono nate preziose colla-borazioni con l’Arcidiocesi di Milano eil Vicariato di Roma e alcune trasmis-sioni quotidiane di informazione come“Leggiamo insieme Avvenire”,“L’Osservatore Romano in anteprima”,“Testimoni nella città” e “Toscana og-gi, il giornale alla radio”. Radio Mater, quindi, è uno strumentodi unione e di amore per tutta la Chie-sa. A tale scopo, in questi mesi del Giu-bileo Somasco si è cercato di costruireun ponte radiofonico virtuale con tuttele “case” della Congregazione somasca,servendoci della mailing list di p. Fran-cisco Fernández per informare dellesingole trasmissioni. Da settembre, p. Giuseppe Fossati con-duce un ciclo di puntate sulla vita di sanGirolamo, che proseguirà per tuttol’anno giubilare e, parallelamente, sonostate programmate delle trasmissioniper conoscere da vicino i campi di apo-stolato in cui opera la Famiglia somasca:

le Congregazioni religiose femminili, ilMovimento Laicale Somasco, le missio-ni in India, Sri Lanka, Nigeria, AmericaLatina, Filippine... ma anche la mensadei poveri di Sant’Alessio a Roma el’Associazione Segnavia di Milano. E, soprattutto, che cosa rappresentanooggi, per la Congregazione, Somasca eQuero, due luoghi fondamentali nella vi-ta di Girolamo. Anche per i prossimi me-si sarà questo il cammino radiofonico,senza trascurare le “dirette” delle cele-brazioni più importanti del Giubileo, co-me già avvenuto il 25 settembre a Trevi-so, per l’inaugura-zione e l’8 febbraio, aSomasca, per la festa liturgica di san Gi-rolamo.

Vita somascagennaio marzo 2012

Report 2Report 2

Ho trascorso un mese ed una settimanain Centro America (Guatemala, Hondu-ras, El Salvador), invitato in occasionedell’Anno Giubilare somasco (la libera-zione dalla prigionia di San Girolamoper opera di Maria: 1511 – 2011) ad ani-mare due corsi di esercizi spirituali: ilprimo per i confratelli somaschi, unaventina, praticamente tutti i religiosi del-la Provincia, in Honduras a Siguatepe-que presso la casa di spiritualità de LasHermanas Nazarias; il secondo per le re-ligiose missionarie somasche (circa unaquarantina) in El Salvador, a Sacacoyo,presso il Centro Espiritualitad “San Je-rónimo Emiliani”, diretto dalle stessemissionarie.È stata un occasione per rivivere ed at-tualizzare il carisma di san Girolamo ela sua vicenda umana: la nascita a Ve-nezia nel 1486, la sua educazione e la suacultura di base, l’esperienza militare e laliberazione per opera di Maria dalla pri-gionia nel 1511; la sua conversione, il suocammino ascetico, il suo coinvolgimen-to nella Riforma della Chiesa, nella spi-ritualità del tempo caratterizzata dallaDevotio moderna e dagli ideali tipici delnostro Rinascimento; inoltre, la sua at-tività caritativa, il suo metodo educati-vo, gli aspetti peculiari della sua spiri-tualità (la Vergine, il Crocifisso,l’Eucaristia, la Dottrina Cristiana); infi-ne, la sua animazione culturale a livellopopolare, con le scuole per orfani el’insegnamento del catechismo, la suaeroica santità fino alla morte, avvenutal’8 febbraio 1537.

L'esperienza personale e sociale

Ho potuto rendermi conto delle condi-zioni di vita in queste tre nazioni cen-

troamericane: una natura splendida, làdove è curata, ricca di frutti e di fiori tro-picali, un giardino, un paradiso terre-stre; ma anche una natura offesa dallaviolenza delle alluvioni, dalla deforesta-zione, dall’incuria nella cura delle stra-de e del paesaggio, dalle costruzioni di-sordinate ed abusive ai margini delle ca-pitali; una società con tanti violenti con-trasti tra una situazione di benessere edi ricchezza per una piccola fascia di po-polazione, ma anche di povertà diffusa,in alcune aree di miseria, con una eco-nomia di sussistenza. Lungo le strade delle località turistichesi può notare, di fronte alla villa miliar-daria da favola, ben recintata e protet-ta, la povera casa, aperta da tutte le par-ti, dove con piccole rivendite di prodot-ti alimentari o di frutti della terra si cer-ca di sopravvivere. Una società in parte segnata dalla vio-lenza e dall’insicurezza sociale, ridon-dante di vigilantes armati per difende-re l’incolumità delle istituzioni e dei cit-tadini, con tanti, troppi omicidi (l’assas-sinio di una sola persona è già troppo, èun peso eccessivo per tutti i luoghi ed itempi della storia, diceva il nostro exalunno Alessandro Manzoni) e questomi ha provocato una certa inquietudineed un disagio con il quale, tuttavia, gliabitanti del luogo sono abituati a convi-vere. Ho notato anche, particolarmentenelle zone più ricche della regione, cer-te forme di capitalismo selvaggio, disfruttamento delle risorse, (ad es. legna-me, canna da zucchero, caffè, bananeecc.) a vantaggio di pochi o delle grandicompagnie internazionali, senza un ef-fettivo miglioramento delle condizionidella manodopera locale. Ho potuto conoscere in Guatemala la ci-viltà attuale dei nativi Maya, con i loro

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Appunti di v iaggio

p. Giuseppe Oddone

Ogni viaggio costituisce sempre un arricchimento a livello personale e sociale

gennaio marzo 2012 Vita somasca

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colori, i loro variopinti mercati, i lorovolti dai caratteristici lineamenti segna-ti da fierezza ed anche da rassegnazio-ne, la loro fede cattolica con la ripresadi antiche tradizioni pagane cristianiz-zate, i loro dialetti, le interessanti ed im-pressionanti rovine archeologiche, co-me le stele di Quiriguá.

L'esperienza della Congregazione somasca

La Congregazione dei Padri Somaschi,giunta in El Salvador nel 1921, ha fattograndi cose in Centro America e si è in-serita coraggiosamente nella società lo-cale, portando il suo apporto, prima ditutto, nel campo educativo con tre fio-renti scuole, tutte dedicate a san Giro-lamo Emiliani: a La Ceiba di San Salva-dor, a Tegucigalpa, a Ciudad de Guate-mala, tutte sostenute da un corpo do-cente di laici ben formato e coinvoltonella nostra spiritualità somasca.È bello notare che attorno ad ognunadelle nostre comunità scolastiche è fio-rita una costellazione di altre opere: lacasa di ritiro per i giovani alunni, che visi alternano per classi, una residenzauniversitaria, centri di capacitación o di

lavoro agricolo, l'hogar per l'accoglienzadella gioventù bisognosa, il seminarioper la preparazione e la formazione deigiovani alla nostra vita religiosa. Infine, l'attività parrocchiale, a sua vol-ta coinvolta in tante iniziative pastorali,che vanno dalle celebrazioni, alla cate-chesi, alla animazione dei gruppi, ad ini-ziative culturali, alla clinica diurna ecc.L'identità somasca è davvero molto for-te ed il carisma di san Girolamo è radi-cato non solo nell'educazione dei giova-ni, ma anche nell'attività missionaria. Anche là dove per ragioni di personaleabbiamo dovuto lasciare le comunità lo-cali, come a La Libertad in Honduras o aSensuntepeque in El Salvador, rimango-no forti tracce della nostra presenza, per-ché lo spirito di san Girolamo e la devo-zione verso di lui sono penetrati in pro-fondità nel cuore e nella vita della gente.Pastoralmente fiorenti sono le comuni-tà parrocchiali da noi ora dirette: La Cei-ba di Guadalupe, Il Calvario, AntiguoCuscatlán a San Salvador, San Juan Bau-tista a Tegucigalpa, San Pedro a Ciudadde Guatemala. In tutte, ho avuto la gioia di poter cele-brare e rendermi conto dell'ambienteumano e cristiano.Tutto questo fervore di opere (alle ori-

Appunti di viaggioAppunti di viaggio

gini della nostra Congre-gazione eravamo chiama-ti i padri delle opere) èfrutto dell'iniziativa di va-ri confratelli italiani e cen-troamericani. Come nonricordare i miei confratel-li di studi filosofici e teo-logici, gli honduregni p.Antonio e p. Rafael Rome-ro, i salvadoregni p. JoséCruz e Rigoberto Navar-rete, ahimè, tutti strappa-ti troppo presto dalla lo-ro missione? Non ho potuto far altroche visitare e pregare conun groppo alla gola sullaloro tomba. Mi ha impres-sionato, soprattutto, l'ine-sausta attività scolastica ecaritativa di p. Rigoberto:per mezzo suo e con unapersonale dose di rischioe di coraggio, il carisma disan Girolamo si è fatto car-ne e sangue dei poveri.

Egli ha fondato, infatti,negli anni ottanta in ElSalvador, due colonieEmiliani, per raccogliere,in una, un gruppo di fami-glie vittime della guerra ci-vile e, nell'altra, un grup-po di famiglie vittime delterremoto. Ho visitato con il Provin-ciale, p. Sebastián Martí-nez, la Colonia Emiliani,fondata ai tempi dellaguerra civile. Persone davvero povere,ma davanti a tanta acco-glienza e semplicità, mi so-no sentito uno di loro e miè parso di comprenderemeglio il testamento di sanGirolamo: seguite la viadel Crocifisso (qui un Cro-cifisso attualizzato e pre-sente) e servite i poveri.Con tante iniziative ed at-tività, la nostra ProvinciaCentroamericana ha biso-

gno di concordia comuni-taria, di collaborazionelaicale, di vocazioni. L'8 dicembre sono statiordinati un sacerdote, p.Jorge Francisco Ávalos,ed un diacono, h.no Nati-vidad Cruz. Speriamo che i giovani re-ligiosi in preparazione alsacerdozio ed i prossimisei novizi, tutti ricchi ditante doti, perseverinonella via del Signore e nel-la fedeltà al carisma di sanGirolamo.Lo stesso augurio è per leSuore Missionarie Soma-sche, che hanno un'altapercentuale di giovani re-ligiose intelligenti e viva-ci (ne ho conosciute alcu-ne negli esercizi spiritua-li), e davvero tante operenel Centro America, dovedanno una straordinariatestimonianza di operosi-

tà, di carità evangelica, diamore a san Girolamo e diattualizzazione del suo ca-risma. A loro, associo an-che le accoglienti Oblatedella Mater Orphanorum,che accanto a noi, in Gua-temala, esercitano il loroservizio ai piccoli ed aglianziani con il tocco di spi-ritualità mariana impres-so dal loro fondatore, il so-masco p. Rocco.Proprio nella città di Gua-temala l'attività delleCongregazioni somascheha avuto un pubblico ri-conoscimento. La QuartaAvenida si chiamerà,d'ora in, poi Avenida SanJerónimo Emiliani. Il giorno 16 dicembre hoavuto la gioia di benedireil busto del nostro santo,innalzato sul marciapiedespartitraffico di questaimportante strada.

Vita somasca

L'esperienza della Chiesa locale

Ho potuto anche fareesperienza di una Chiesache ha connotazioni di-verse da quelle della no-stra Europa: una Chiesa,mi è parso, più partecipa-ta e più radicata nell'ani-ma del popolo, più spintaa considerare e ad acco-gliere dentro di sé i pove-ri della terra.Ricordo alcuni momenticon particolare dolcezza:la festa della Madonna diGuadalupe, nel suo san-tuario a La Ceiba di SanSalvador, per onorare laVergine patrona del-l'America latina: per duegiorni, l'11 ed il 12 dicem-bre, ho visto sfilare nellenavate laterali una filaininterrotta di gente, perlo più di umili condizionisociali: famiglie con i lo-ro bambini vestiti come

san Diego, il veggente diMaria, e le bambine dagliabiti sgargianti, con i co-lori della Vergine. Tutti avevano un' intensapreghiera da rivolgere al-la Madonna e molti un do-no: un mazzo di fiori, unabito votivo, un sombre-ro, una piccola borsa sim-bolica da lasciare davantiall'immagine nella nava-ta centrale, recintata e la-sciata libera per accoglie-re questa espressione divera, autentica devozionepopolare. Per me, è stata come unalezione di ecclesiologia:qui la Vergine Maria sispecchiava nella sua Chie-sa e la Chiesa, lì pellegri-na, nella dolce icona del-la Vergine di Guadalupe. Per il volto di Maria ed ilvolto della Chiesa mi tor-navano alla mente le pa-role che san Bernardo ri-volge al nostro poeta Dan-te, perché si prepari a con-templare la faccia di Cri-

sto: “Riguarda ormai nel-la faccia che a Cristo piùsi somiglia, ché la suachiarezza sola ti può di-sporre a veder Cristo”(Par. 32, 85-87)È stata, egualmente, unagioia concelebrare in unaparrocchia vicino alla cit-tà di Guatemala e preci-samente a Santo Domin-go Xenacoj, sul piazzaleantistante alla chiesa,preparato ed addobbatonei minimi particolari, laS. Messa della prima Co-munione di oltre duecen-to bambini, i maschiettida una parte, le bambinedall'altra, nei loro colora-tissimi vestiti di tradizio-ne maya. La partecipazio-ne è stata perfetta in tut-ti i canti, in tutti i momen-ti liturgici, senza nessunaccenno di caos, nono-stante il numero dei bam-bini e dei loro familiari:una Chiesa che è tutt'unocol suo popolo, senza al-cuna frattura fra istituzio-ne e comunità. Davveroun piccolo anticipo di pa-radiso...Infine, mi è apparsa unaChiesa attiva nella difesadei poveri, una Chiesa cheha i suoi martiri, comemons. Romero, vero pro-feta, vera voce di chi nonha voce. Mi ha commos-so vedere la cappella del-l'ospedale e l'altare doveè stato colpito al cuore dauna pallottola al momen-to dell'offertorio, visitarela sua abitazione, vederei suoi libri, le sue cose, isuoi abiti ancora mac-chiati del suo sangue, pre-gare con altri fedeli sulla

sua tomba nella Cattedra-le di San Salvador.In occasione della festadella Vergine di Guadalu-pe, a San Salvador, hoavuto modo di conosceree di parlare con il vesco-vo somasco mons. Andi-no Darwin, prima dellapresa di possesso dellasua diocesi di Santa Rosadi Copán in Honduras. La situazione, in questopaese, è oggettivamentedifficile da analizzare, perle recenti vicende politi-che, che comportano il ri-schio di spaccare e divide-re la Chiesa. Il suo e no-stro desiderio è che laChiesa in Honduras ritro-vi la sua unità, nel servi-zio del popolo di Dio, per-ché la Chiesa è di tutti, ric-chi e poveri. E, se una pre-ferenza essa ha, sia per gliultimi e gli esclusi.

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gennaio marzo 2012

Qualche mese fa, in occasione di un in-contro di comunità familiari (Casa Fa-miglia, da qui in poi indicata come CF)- in cui convergono una quindicina dicoppie che, come me e Sara, accolgonoin casa minori allontanati dal tribunaledalle proprie famiglie - ci si è postil’ambizioso obiettivo di rispondere aduna questione fondativa: “Perché ci chiamiamo comunità fami-liari? Come stanno insieme due termi-ni come comunità e famiglia?“.La provenienza geografica, anagrafica,culturale, ideale di questo gruppo è va-riegata e tagliata trasversalmente dallemille spinte a fare comunità: per qual-cuno il riferimento sono le Comunità deiprimi cristiani; per altri, J. Vanier (“Co-munità - luogo della festa e del perdo-no”); altri ancora, sono affezionati aMoltman, Metz, Block; altri mossi dallecomunità nonviolente (Gandhi, Lanzadel Vasto, J. Goss, J.M.Muller, A. Capi-tini). Tutti tesi comunque ad un’idea del-la speranza che deve diventare concreta.Tutte vertendo su “l’unità della vita”, in-tesa come sforzo di ricomporre la schi-zofrenia di casa e lavoro, professione epassione. La CF, per tutti, non è solo unluogo dove un minore trova il suo ripa-ro, il suo rifugio, ma diventa anche unmodello nuovo di società che si offre. Riporto la riflessione che in quel conte-sto abbiamo espresso mia moglie Saraed io. Il termine comunità per noi nonevocava, data la nostra età, il significa-to, l’afflato che aveva nel ’68; era moltopiù neutro. L’abbiamo letto piuttostocome un enzima, un reagente verso unaserie di pezzi che interagiscono con lanostra vita: la società, l’accoglienza, lafamiglia, e, per nostra formazione, laChiesa. Comunità è termine che ha in-terrogato il nostro modo di essere socie-tà, accoglienza, famiglia e Chiesa.

Sulla societàSociologicamente, i legami si dividonoin primari (quelli affettivi propri dellafamiglia) e secondari (quelli istituziona-li, definiti dalle gerarchie, dai ruoli, dal-le professioni, propri della società ester-na alle mura domestiche). I legami primari servono come contrap-peso della convivenza tra gli uomini ailegami della società. Come C.F., siamo testimonianza nellamisura in cui esprimiamo relazioni pri-marie, affettive, che però non coinvol-gono solo i consanguinei. Crediamo cheun effetto collaterale di questa esperien-za sia che la casa famiglia viva relazioniprimarie affettive allargandone la fron-tiera naturale e bilanciando le relazionisecondarie istituzionali proprie della so-cietà esterna, necessarie per il suo fun-zionamento ma inevitabilmente più“fredde”. La casa famiglia allora hal’effetto di scaldare un po’ i legami socia-li, estendendo ad altri il calore riservatotradizionalmente a se stessa.

Sull’accoglienzaCi pare che l’esperienza della C.F. aiutia de-istituzionalizzare la comunità al-loggio (ex istituto, ex orfanotrofio). Detto concretamente, contribuisce asdoganare le persone che vengono ac-colte; non le riduce (come la società cre-de e talvolta auspica) a rifiuti speciali indiscariche speciali, ma dichiara e testi-monia che essi sono compatibili consoggetti cosiddetti “normali”. Se un papà e una mamma decidono chei loro figli, la loro eredità più preziosa,vivano insieme a questi ragazzi, vuol di-re che questi ultimi sono membri degnidella società. Anzi, della cellula più cal-da, intima e fondante la società: la fami-glia. Così, sghettizzando le persone chevengono accolte, si può sghettizzare an-

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Comunità familiare

Il puntIl punt

Carlo Alberto Caiani

Incrocio meticcio di famiglia, accoglienza, società e Chiesa

gennaio marzo 2012 Vita somasca

che il termine comunità. Si rischia che, parados-salmente, siano gli addet-ti ai lavori (servizi socia-li, equipe, professionistidel sociale) che diano leconnotazioni più negati-ve al termine comunità. Come mero luogo di cura,contenimento, di sogget-ti svantaggiati.

La famigliaLa comunità familiaresollecita la famiglia. Negli incontri precedentisi raccontava della dispu-ta a livello regionale sulladefinizione “casa fami-glia” o “comunità familia-re”, propendendo alla fi-ne per la seconda. La lingua ha le sue regole. Mi spiegava un somascoai vertici della Congrega-zione che quando la Chie-sa si autodefinisce castameretrix, quindi prosti-tuta casta, lo fa sceglien-do come sostantivo mere-trice; poteva scegliere ca-sta, invece sceglie mere-trice. Il sostantivo, ovve-ro ciò che sostiene, è il fat-

to che sia meretrice, poiha un aggettivo che la ac-compagna; vorrebbe es-sere casta, ma parte dallacondizione di meretrice. Per la stessa ragione, de-finirsi comunità familia-re (dove ciò che sostieneè il termine comunità) ofamiglia comunitaria(dove sostantivo invece è

famiglia) non sarebbe lastessa cosa. Noi, perl’esperienza che abbiamoavuto, ci sentiamo fami-glia comunitaria più checomunità familiare. Non ci immaginiamo, nel-la nostra biografia, una di-mensione comunitariache prescinda dal nostroessere famiglia. Per noi, l’accezione comu-nità rispetto alla famigliaè per irradiamento, perespansione della famiglia.Diciamo che siamo unafamiglia che va oltre il pro-prio cognome e diventacomunità. Il termine comunità solle-cita, infine l’idea che ab-biamo di Chiesa, di comu-

nità cristiana. Bruno Vol-pi comincia il suo librettomolto interessante (sulmovimento Comunità eFamiglia), proprio citan-do le comunità dei primicristiani. Nella Chiesa, ne-gli ordini religiosi la co-munità cristiana si è in-carnata anche nella formaspecifica di una comunitàreligiosa. Con il trascorre-re dei secoli e l’innalza-mento dell’età media, il ri-schio della vita comunita-ria di alcune congregazio-ni, potrebbe non esserequello di invecchiare,bensì di invecchiare male.Le comunità che funzio-nano danno cose bellenella vecchiaia. Stupende.Penso ai nonni vecchi peri loro nipoti; penso a deireligiosi con delle rugheprofonde come i loro cuo-ri, vere come le faticheche le hanno generate.Un antidoto ad un invec-chiamento sano sta nelmettere l’accento sullafraternità.In una famiglia (e quindianche in una casa fami-glia) non vi sono solo le re-lazioni verticali della pa-ternità e della maternità. Di queste ci riempiamospesso, oltre che il cuore,anche la bocca, parlandodel nostro rapporto con gliospiti; ci sentiamo padri emadri affidatari di centi-naia di ospiti. La famigliaesprime anche legamiorizzontali. Quelli dellafraternità, appunto. Dionon ci ha voluti e immagi-nati come figli unici. Lacomunità cristiana origi-naria va alla fraternità.

Non c’erano padri e figli

Quando parla di Servidei Poveri, Girolamo siriferisce al servizio reci-proco fraterno tra gliadulti che vivevano inpovertà, e solo in secon-da istanza al servizio re-so agli orfani. Le fatiche maggiori ven-gono spesso dalla diffi-coltà ad essere fratellinella comunità adulta.Nella fraternità si è nudi.Si dà e si chiede aiuto.Esplode il miracolo dellareciprocità. Si curano le ferite del fra-tello e si chiede che le no-stre vengano medicate. Non è terra, la fraternità,di super uomini e superdonne. Nemmeno Dio, che ha laconnotazione di perfe-zione, si è dato anchequella di autosufficienza. Ha scelto una relazione atre, trinitaria, per instil-lare fin dall’inizio la pra-tica di amore. Come dice Bonhoeffer, seavessimo l’ossessionedella comunità ideale,contribuiremmo invo-lontariamente a distrug-gere quella reale che ci èdato di vivere. Lavorare però affinchéanche una riduttiva e ap-prossimativa esperienzadi casa famiglia provi atenere dentro una rilet-tura esistenziale e quoti-diana del significato disocietà, di accoglienza, difamiglia e di Chiesa, restal’orizzonte verso il qualeil significato diventa sen-so del nostro cammino.

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Nel giorno della festa disan Giovanni Bosco, tro-vo in internet una storiastimolante. L’autore èMaurizio Soldini. Rac-conta la storia di un ra-gazzo della periferia diRoma nord.Bobby ha 12 anni. La peluria gli copre leguance e il labbro superio-re. È ben vestito, garbato,educato. È un Rom. Hasempre un bicchiere diplastica tra le mani. Parladiscretamente l’italiano.Sta sempre solo. Tutte lemattine, alle 9, scendedall’autobus e inizia colsuo sorriso la peregrina-zione che lo porta qua e là,da un negozio all’altro e daun marciapiede all’altro,tra la gente, in cerca di ele-mosina che, dice, servi-ranno a dare sostenta-mento alla nonna e a sestesso. Rimane in zona fi-no al primo pomeriggio.Poi fa ritorno chissà dove. Se provi a parlarci, e mol-ti si intrattengono con luiperché in fondo è simpati-

co e gentile, ti accorgi cheha anche studiato, ha rice-vuto una discreta istruzio-ne. Ed è così che moltepersone qualche spiccioloper lui lo trovano sempre.Ho provato a parlarci. “Chi sei? Che fai? Con chivivi?”, “perché non conti-nui ad andare a scuola,perché non giochi con ituoi coetanei?”. Mi dice che non può, per-ché deve aiutare la nonna.Cerco di spiegargli quantosia importante lo studio eil gioco per la sua età e cer-co di dirgli che, da grande,potrebbe trovarsi un lavo-ro che gli consenta di vive-re dignitosamente. Poi,tra tante altre cose, mi ga-rantisce di non avere mairubato, che non ruberàmai. Gli credo. In fondo,mi sembra proprio che siaun bravo ragazzo. Ma quando gli chiedo per-ché non ruba, mi rispondeche non lo fa perché hapaura di andare in carce-re. E quando gli chiedoche cosa farebbe se non ci

fosse il carcere per chi ru-ba, non mi risponde, misorride furbetto e lasciaintendere che forse sareb-be anche comodo poterrubare. Mi lascia un po’ diamarezza… Sarebbe il ca-so di continuare a parlaree incontrarlo nuovamen-te, forse una parola var-rebbe più di uno spicciolo.Quando si parla di forma-zione, di educazione mo-rale, di emergenza educa-tiva... quanti ragazzi e nonsolo Rom, non solo extra-comunitari, ma anche no-stri ragazzi, avrebbero lanecessità di una formazio-ne. Questa storia, insom-ma, è la realtà di tanti ra-gazzi, di tanti nostri giova-ni, e ci suggerisce quantobisogno ci sia, nella nostrasocietà, di “un impegnoformativo globale”, so-prattutto nei confronti digiovani che, non riuscen-do a trovare il senso dellavita, camminano sui sen-tieri del nichilismo. Unadelle cause di questa con-dizione risiede anche nelfatto che, oggi, stanno sce-mando, da una parte, va-lori e ideali di riferimentoforti, dall’altra, personali-tà esemplari che possanoessere prese come model-li di virtù, soprattutto tragli educatori. Manca an-che una formazione in ri-guardo alle vecchie e maisuperate virtù, di cui purenoi adulti avremmo biso-gno. L’urgenza è quella diuna riscoperta delle virtù.E di esemplarità.

Educare il cuore

Ite Missa estIte Missa est

p. Augusto Bussi Roncalini

Inizia con questo numero una rubrica che

raccoglie interventi, fatti, sogni,

provocazioniPer il cristiano

il culto a Dio deve prolungarsi

oltre le mura della Chiesa,

per raggiungere la vita quotidiana e diventare fede

vissuta nella carità,con speranza. La lode di Dio,

allora, è perfetta e l’amore del Padre

visibile

La religione è una fugadalla realtà, una proie-zione dei nostri desiderinell'aldilà. I credenti sono incapacidi dare il giusto valore al-la vita umana, nelle suegioie e nei suoi abissi didolore, perché per lorol'esistenza sulla terranon è la vita autentica,ma soltanto un'antica-mera per la vita eterna, opeggio, una triste gabbiache imprigiona l'animaimmortale. Forse a ognuno di noi ècapitato talvolta di pen-sare o sentire simili criti-che alla religione.Quando leggiamo le sor-prendenti parole di Si-mone Weil, filosofa e mi-stica francese, morta nel1943, capiamo che, nelcaso del cristianesimo, la

verità è un'altra: “Non è dal modo in cui unuomo parla di Dio, madal modo in cui parladelle cose terrestri che sipuò meglio discernere sela sua anima ha soggior-nato nel fuoco dell'amo-re di Dio».L'incontro con Dio non ciporta affatto a disprezza-re la nostra umanità, maanzi a valorizzarla come iltesoro più prezioso chepossediamo. Da quando Dio ha vissu-to sulla terra, nella perso-na umanissima di Gesù,l'umano è diventato un

luogo sacro, l'unico dovepossiamo veramente in-contrarlo. Conoscere Gesù e seguir-lo ci aiuta a diventare ve-ramente umani, ci uma-nizza. Ecco perché i santi, comeil nostro Girolamo, siprendevano cura del-l'umanità degli altri, apartire dalla loro salute fi-sica, dell'istruzione, dellenecessità primarie... Un monaco della comu-nità di Bose ha scrittoquesta bellissima espres-sione: “Dio si è fatto uo-mo perché l'uomo diven-

ti uomo”. Oltre l'amorecordiale e concreto perchiunque, l'umanità delcristiano ha infiniti modidi esprimersi.Alcuni di questi mi appa-iono particolarmente de-siderabili: la capacità dicomprendere le situazio-ni della vita, anche quel-le più desolate e squalli-de, l'accoglienza senzapregiudizi, l'ottimismoquotidiano, la mancanzadi esaltazione, la propen-sione a cogliere le piccolegioie della vita, la legge-rezza nel vivere senzamacigni nel cuore, il co-raggio di guardare dentronoi stessi senza spaven-tarci di ciò che ci abita,l'impagabile libertà di ri-conoscere, senza sensi dicolpa, le giuste eccezionialle regole.

Perché l’uomo diventi uomo

Dentro di meDentro di me

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p. Michele Marongiu

“7 km di fame e miseria”:così un giornale della ca-pitale descrive, nel 1984,il “piccolo paesino” diChimalhuacán, che at-tualmente conta circa unmilione e mezzo di abi-tanti. Si estende per circa46 km2 e si trova a 2.400metri sul livello del mare.Siamo in Messico, nellaperiferia del Distrito Fe-deral, la Capitale. Qui ciha voluto Dio e il nostrosan Girolamo Emiliani.Qui arrivarono due mis-

sionarie somasche e dueaspiranti, felici di trovar-si nell’opportunità di rivi-vere un poco lo stile di vi-ta del nostro santo Padre. La storia è piuttosto com-plessa. Le Missionarie Fi-glie di San Girolamo Emi-liani arrivarono a Chi-malhuacán il 1° gennaio1985, su invito della fami-glia Legorreta che, preoc-cupata per il ritiro dellereligiose carmelitane cheavevano lavorato lì in pas-sato, volle tenere apertol’istituto “Netzahualco-yotl” (è il nome del re diqueste popolazioni primadella conquista spagno-la), l’unica scuola cattoli-ca presente nel territorioin quegli anni. Abitavano e lavoravanonello stesso edificio. Nella scuola, si inserironosubito, con l’insegna-mento di alcune materie,come personalità, mora-le, formazione sui valori(non si poteva insegnarereligione apertamente), ecuravano anche la disci-plina e la direzione ammi-nistrativa. L’entusiasmo che le ac-compagnava le aiutò a su-perare le inevitabili diffi-coltà iniziali e anche adaprirsi ad un orizzontedecisamente più ampiorispetto a quello dell’isti-tuto. Subito cominciaro-no a rendersi conto dellarealtà che le circondava. Erano quartieri abitati da

messicani o stranieri,persone in cerca di lavoroe desiderose di avvicinar-si al complesso industria-le della capitale, che come‘paracadutisti’ (rende be-ne l’idea), avevano occu-pato il luogo del gran lagodi Texcoco che il governoaveva precedentementebonificato. Questi quartieri erano de-finiti ‘bassi’ dagli abitan-ti del centro storico diChimalhuacán.L’urbanizzazione eracompletamente assente:non c’era un piano rego-latore, né luce, né acquapotabile… ma soltantoimmondezza e fogne acielo aperto. Le autorità politiche e re-ligiose del centro non nu-trivano nessun interessenei loro confronti. Le Missionarie comincia-rono ad andare regolar-mente in questa zona ecosì si resero ben prestoconto della situazione di-sastrosa non solo in quan-to a urbanizzazione, maanche e soprattutto dalpunto di vista morale, re-ligioso e organizzativo.Visitarono i quartieri diPunta de la Zanca, SantaElena, El Lobo, el Castil-lito, el Embarcadero e laPresa. Fu un periodo divera missione. Con l’aiuto di quattro ra-gazze che già avevano ini-ziato la formazione religio-sa, le missionarie visitava-

Un’esperienza rimasta nel cuore…

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Vita e missione 1Vita e missione 1

Sette chilometri

A cura di sr. Giovanna Serra

no le famiglie e si preoccupavano difare un po’ di catechismo ai bambinie ai giovani, mentre invitavano gliadulti a riunioni di riflessione sullaBibbia. Non mancò neanche la chi-tarra. I risultati furono positivi per-ché le persone cominciarono aprendere più coscienza della situa-zione in cui vivevano e si aprironoalla collaborazione reciproca. Un particolare molto eloquente: nel1987 i giovani del quartiere La Lobadecisero di dedicare la loro Cappel-la a san Girolamo Emiliani, festeg-giando l’8 febbraio e il 27 settembrecon novena e santa Messa.Oggi la situazione è decisamentecambiata perché le case sono bencostruite secondo criteri urbanisti-ci, ma resta il deno-mina-toreco-

mune di queste persone che è la po-vertà. La cappella dedicata a san Gi-rolamo vorrebbero trasformarla inparrocchia, ma manca la casa per ilparroco e le risorse disponibili nonsono sufficienti. Nel 1988, le Missionarie cercaronouna sistemazione più consona alleloro esigenze, con l’idea di aprireuna scuola privata iniziando con ciòche la legge consentiva agli stranie-ri: la scuola materna. Con l’aiuto dell’altra comunità pre-sente nella capitale, riuscirono acomprare una casa, con terreno an-nesso, per svolgere l’attività scola-stica durante la mattina e continua-re nel pomeriggio l’impegno del-l’evangelizzazione. La scuolas’intitolò a “Jerónimo Emiliani”,ma senza la “S” di santo (il governo

anticlericale mes-sicano non lo permetteva).

La scuola è lentamente cre-sciuta negli anni e, nel 2000,con l’insistenza e l’aiuto dei

genitori dei bambini e lacollaborazione della Ca-

ritas Italiana, si comin-ciò a costruire un edi-

ficio che permise lo-ro di continuarecon le scuole ele-

mentari. Contemporanea-

mente, l’Istituto èstato ufficialmente ricono-sciuto dalla SEP (Segreteria

di Educazione Pubblica). I numeri sono modesti, si ar-riva a circa 200 alunni, ma lastima e il riconoscimento so-no cresciuti nel tempo. Oggi l’attività è concentrataesclusivamente nella scuola,ma la prima esperienza mis-sionaria tra i più poveri è ri-masta nel cuore di tutte.

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Missionarie Figlie di s. Girolamo EmilianiMissionarie Figlie di s. Girolamo Emiliani

di fame e miseria

Dopo un lungo periodo dipreparazione, due suoreSomasche hanno celebra-to la loro professione per-petua nella chiesa parroc-chiale di Bogliasco (GE).Sono suor Mireille e suorBionette, che, dinnanzi alVescovo ausiliare mons.Luigi Palletti e alla loroMadre Superiora, suorMaria Vittorina Manzonihanno espresso i loro vo-ti di povertà, obbedienzae castità per servire Diosotto la protezione di sanGirolamo Emiliani, pa-trono della Congregazio-ne Somasca. Era presente tanta gentedi Bogliasco, soprattuttodi San Bernardo dove lesuore hanno la loro Casageneralizia e dove, per ilconcreto aiuto che sannooffrire, soprattutto versobambini ed anziani, sonoamate e rispettate dallapopolazione. Molti i sacerdoti presen-ti, diversi della Congrega-zione Somasca e quattrocongolesi. Presenti anchediversi parenti delle duenuove suore. Il rito è sta-to impreziosito dai cantidella Corale di San Ber-nardo. Particolarmentegradita anche la presenzadelle autorità comunali.Nell’omelia, il Vescovo haricordato come la Paroladi Dio, attraverso il Van-gelo, coinvolga tutta la no-stra esistenza. Per le duesorelle la promessa devecontinuare per tutta la vi-ta ed il senso di questa

promessa sta nelle coor-dinate di tempo, dureràper sempre, e nelle coor-dinate del loro interno,che dovranno incrociarsi.La loro consacrazione raf-forza la grazia del battesi-mo e si rende concreta neiconsigli evangelici di po-vertà, castità ed obbe-dienza. Consigli che tuttisiamo chiamati a vivere,ma per chi li assume co-me forma specifica di vi-ta diventano segno di unarealtà nuova.Il mondo vede in essi so-lo le limitazioni, senza ca-pire che con la professio-ne che hanno reso le duenuove suore si raggiungela pienezza del rapportocon Dio, anticipando ilRegno dei Cieli, facendoun passo avanti rispettoagli altri. La povertà alla quale lorosi sono votate, sta nel sa-per stendere la mano difronte a Dio e saper rice-vere quello che dà la Prov-videnza. La castità rende liberi in-teriormente senza legarsia nulla e a nessuno, met-tendo Dio all’unico posto.L’obbedienza, considera-ta umiliante nel mondolaico, nella Chiesa è det-tata dalle Regole e aiuta-ta dall’umiltà, che superal’obbedienza, facendo fa-re un preciso cammino.E proprio per le vocazio-ni che si sono celebrate,mons. Palletti ha volutoringraziare Dio che le hachieste, la Congregazione

Il coraggio di dire sìPier Luigi Gardella

Vita e missione 2Vita e missione 2

e tutte le Sorelle Soma-sche che le hanno prepa-rate, la Chiesa ed i suoimembri che le hanno ac-colte. Infine, il Vescovo havoluto ricordare il 25° e il50° anniversario di con-sacrazione di suor MariaAdele e di suor Maria Vit-torina, anniversari sem-pre belli, se raggiunti nel-la grazia di Dio, sia nellaprofessione religiosa co-me nel matrimonio.Al termine della celebra-zione, dopo i ringrazia-menti e le felicitazioni delparroco di Bogliasco e SanBernardo, don Silvio Gril-li, che ha portato comeesempio di grande corag-gio l’opera delle Suore So-masche nella missione inAfrica, ha preso la parolala Madre Superiora, suorMaria Vittorina, che havoluto ringraziare il Si-gnore per queste due so-relle cresciute religiosa-mente nella comunità so-masca, che celebrano laloro professione in un an-no particolare, il 500° an-niversario della miracolo-sa liberazione dal carceredi san Girolamo Emiliani.Anche il sindaco di Bo-gliasco, Luca Pastorino,consegnando un ricordodell’Amministrazione co-munale, ha voluto unirsiai ringraziamenti e alle fe-licitazioni, ed ha ricorda-to il bene che le Suore So-masche fanno per SanBernardo e per Bogliasco,la loro capacità di ascol-tare la gente e soprattut-to la gioia che sanno tra-smettere e che sempre silegge nei loro occhi.

2121

Suore Somasche Figlie di s. GirolamoSuore Somasche Figlie di s. Girolamo

Sostieni la neonata Sostieni la neonata

ASSOCIAZIONE LAICALE SOMASCAASSOCIAZIONE LAICALE SOMASCA

dona il tuo 5 x 1000dona il tuo 5 x 1000C.F. 97605800156C.F. 97605800156

Fermento, ponte e rete di interconnessione a livello locale,

nazionale e internazionale.

Propone l’esempio di san Girolamo con l’impegno

della propria vita cristiana secondo il suo stile radicale

ed originario dello “stare con”

(“con questi miei fratelli voglio vivere e morire”).

Promuove la collaborazione e la formazione

alla collaborazione nei diversi settori

(parrocchia, educazione, assistenza, progetti, ecc.).

Stimola, coordina e accompagna su scala locale,

nazionale e internazionale l’impegno a favore dei poveri e,

in particolare, dei piccoli, vulnerati nei loro diritti umani

e a rischio per le nuove povertà.

Movimento Laicale SomascoMovimento Laicale Somasco

ALSALS

23

L’arte di educare:difficile, ma bella

Dossier Dossier ElmasElmas

“Un’esperienza di tirocinio svolta presso

la comunità educativa

per minori Casa San Girolamo,

gestita dai padri somaschi,

a Elmas (Cagliari), mi ha portato

a conoscere e confrontarmi

con una realtà a me sconosciuta,

e pian piano è nato in me

un interesse ad approfondire

la conoscenza dell’opera

dei padri somaschi, in particolar

modo il loro lavoro con i minori”.

Romina Pinna

E prosegue: “La loro missione è quella di mettersi al servizio dei poveri e della gio-ventù, specie quella che vive in situazioni di disagio e di abbandono, portandoavanti attività di assistenza, educazione e prevenzione, di promozione umana ecristiana. Le loro comunità e le loro parrocchie sono sparse nei cinque continentie presentano diverse tipologie: dalle comunità per minori a quelle per tossicodi-pendenti, e tutte seguono lo stesso stile del loro fondatore, Girolamo Miani (1486-1537). E’ ispirandosi alla sua vita infatti che i somaschi hanno delineato il loro mo-dello di educazione e la loro pedagogia”.La premessa pedagogica della sua ricerca è centrata sul tema della cura e dell’edu-cazione, parole chiave per lo sviluppo della tesi. Passa quindi a ricostruire la vita del Fondatore, fondamentale per capire i principiispiratori della Congregazione. Analizza come si declina il concetto di educazione e pedagogia nelle varie comuni-tà educative; presenta un excursus storico che evidenzia il passaggio dall’istituto al-la comunità, facendo riferimento alla normativa in merito; infine, riporta un esem-pio concreto di progetto educativo. Di tutto questo presentiamo alcuni stralci.

L’uomo non può fare a meno nella sua esistenza di dare e ricevere cura; la cura simanifesta al momento della nascita, in cui l’esistenza umana è precaria, fragile; du-rante la crescita e la formazione dell’uomo, la cura interviene a salvare le esistenzea rischio, in pericolo.La cura si dispiega in tre direzioni fondamentali: cura di sé, cura degli altri e curadelle cose del mondo. • La cura di sé, rivolta a noi stessi, inizia dal momento che veniamo al mondo, co-minciamo ad esistere e andiamo alla ricerca di noi stessi per iniziare a scrivere lanostra storia di vita. È una pratica che non riguarda solo il proprio io; non è un fat-to strettamente individuale, ma anche e essenzialmente intersoggettivo e sociale.• La cura dell’altro è la cura per eccellenza, pone l’altro non come aggiuntivo ma co-me costitutivo del sé. Comporta, quindi, il suo diritto inalienabile ad essere aiutatoa divenire ciò che è e non ciò che altri vorrebbero che fosse, a progettarsi e non adessere progettato, a cercare la sua via senza che qualcuno la tracci per lui, ad esse-re accompagnato e guidato ma non invaso e violato, a scegliere e a scegliersi senzache altri scelgano per lui.• Il terzo impegno è la cura del mondo, il mondo vicino, familiare e quello lontano,straniero e dimenticato, il mondo quale luogo dell’abitare, dell’agire, del patire edell’esperire. Il mondo che accoglie l’uomo dalla nascita diventa anch’esso oggettodi cura e responsabilità, verso tutto ciò che è stato costruito da chi ci ha preceduto

DossierDossier

24

Sui passi del Fondatore

Cura e educazione

Con queste parole, Romina Pinna, apre il suo lavoro di tesi “Le comunità educative dei Padri Somaschi

Un modello di teoria e pratica della progettazione educativa”presentato all’Università degli Studi di Cagliari

(cultura, civiltà, sapere, arte, tradizione). La cura così intesa fonda e regola il progetto educativo, traducendosi in quegli ele-menti imprescindibili quali l’ascolto, l’accoglienza, la tutela della differenza, il coin-volgimento affettivo di chi educa. L’educatore diventa colui che è investito della responsabilità di preoccuparsi chel’altro sia risvegliato e stimolato nel processo di costruzione di quegli strumenti co-gnitivi ed emotivi necessari per il cammino dell’esistenza.

Nel XVI secolo, il trattamento consueto per gli orfani si limitava al ricovero negliospedali per un breve periodo, con tutte le altre persone povere e sofferenti, e nonveniva avviato nessun percorso per la sopravvivenza fisica e psichica dei giovani. Il Miani fu il primo a fare degli orfanotrofi un’istituzione autonoma, creata con va-sti criteri organizzativi e pedagogici. La novità non era il fatto di creare degli orfanotrofi, bensì lo era il modo in cui Gi-rolamo portava avanti la sua opera, avendo a cuore i ragazzi privi dei genitori a cau-sa della peste, delle carestie, della povertà assoluta. Egli intendeva offrir loro un ambiente familiare, fare con loro famiglia, spinto dal-l’esperienza di vita che lo aveva portato a far da padre ai suoi nipoti orfani.Il suo metodo era basato sul rispetto della persona, da rendere parte attiva nellapropria educazione e non più soltanto soggetto passivo, nell’ottica del puro assisten-zialismo. Voleva dare dignità e responsabilizzare gli orfani, insegnando un lavoro,per la costruzione del loro futuro e portandoli a scoprire la propria vocazione e leloro attitudini. Il suo fine educativo era quello di cercare di portare ogni orfano ad agire moralmen-te, liberamente e religiosamente come uomo, in tutte le componenti di essere fisi-co, spirituale e sociale. Le linee pedagogiche che seguiva erano principalmente: la vita in comune, il lavo-ro come professionalità, l’educazione intellettuale e l’educazione religiosa. Il siste-ma pedagogico del Miani nasceva dalla pratica di ogni giorno, illuminato dalla suaforte fede in Dio, guidato dall’amore incondizionato per gli ultimi (“con questi pic-coli voglio vivere e morire”) e i più bisognosi, e da un radicato spirito di paternità.

Se oggigiorno non sono più presenti le situazioni estreme degli anni di Girolamo enon ci sono più così tanti orfani, la povertà è sempre presente nella società, ha cam-biato volto, talvolta è nascosta dietro un’apparenza di fasullo benessere, e i bambi-ni e i giovani, pur avendo i genitori, sono abbandonati e più soli che mai, privi di cu-ra e educazione.Lo stile di vita che suggerisce il carisma somasco è improntato su un servizio umi-le e generoso, una dedizione senza risparmio, con tenerezza e misericordia, carat-teristiche di chi serve ed ama nei piccoli il volto stesso di Cristo. Incarnare oggi il carisma di Girolamo significa decidere di accogliere gli “ultimi” percondividere con essi un’esperienza totalizzante, a partire dalla quotidianità.Non significa quindi risolvere i problemi assistenziali della società, ma abbracciareil carisma somasco significa piuttosto evangelizzare nello spirito della missione so-masca, attuando lo stile di vita fedele a quello di Girolamo e compagni.

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Dal fondatore ad oggi

Girolamo Miani educatore

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Ciò porta l’attivazione di servizi con una forte valenza educativa, mantenendo losguardo amorevole di padre (attenzione al percorso educativo e alle regole) e di ma-dre (dimensione dell’accudimento e della cura). Nei servizi educativi, nelle comunità gestite dai padri somaschi è importante darevalore ai gesti semplici, all’essenzialità, vivendo un cammino autentico in cui siapossibile rendere straordinari i gesti della vita di ogni giorno, accogliendo e valoriz-zando la persona con la sua storia, senza giudicare e offrendo la possibilità di vive-re serenamente in un ambiente familiare. Del carisma somasco fa parte anche l’elemento essenziale dell’attenzione alla cre-scita globale della persona, che va dall’offrire una casa, il cibo, il vestiario, all’edu-cazione in tutti i suoi aspetti e all’apprendimento di un mestiere.

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La struttura, gestita dai Padri Somaschi,accoglie 16 minori inviati dai Servizi So-ciali, dal Tribunale dei Minori e dal Cen-tro Giustizia Minorile di Cagliari. Per questi ultimi, in particolare, il pro-getto comunitario costituisce un’alter-nativa alla pena. La fascia di età è compresa tra i 10 e i 18anni, opportunamente divisi in due grup-pi con percorsi educativi differenti e re-sidenza in due strutture affiancate.

Principi educativi

I principi educativi della comunità riser-vano una particolare attenzione al climafamiliare, alla stabilità delle figure di ri-ferimento, alla ricerca costante di unamodalità di relazione che si leghi stret-tamente alla routine giornaliera, ad unaprogettualità ed una prassi educativa cheruotano attorno ai fatti costanti e con-creti della vita quotidiana: il mangiare,l’igiene personale, la cura del proprio am-biente di vita, l’abbigliamento, il tempolibero, la richiesta di tenerezza, l’andarea letto, le esplosioni di ira, la salute e tut-to ciò che concerne lo sviluppo del mi-nore nella sua globalità. Il principio base da salvaguardare èl’attenzione per il bisogno del minore.Egli si deve sentire amato, affiancato esostenuto dagli educatori. Di fondamentale importanza risulta ilnon fermarsi al comportamento mani-festo, ma andare al di là dell’apparenza.

Alcuni obiettivi

Attuare una serie di interventi educati-vi tesi alla promozione umana del mino-re. Promuovere e formare integralmen-te la persona. Garantire un clima fami-liare nel perpetuarsi dei ritmi di ognigiorno con una stabilità delle figure adul-te. Interagire appropriatamente per lo

sviluppo psichico, cognitivo, affettivo esociale. Accompagnare il minore versola sua autonomia.

Risorse umane

La comunità alloggio si avvale della pre-senza di due equipe educative, con duereligiosi responsabili, rispettivamente,della “Casa san Girolamo” e “Casa sanRocco”. Ogni equipe è formata da quat-tro educatori (due maschi e due femmi-ne), di cui uno con la funzione di coor-dinatore. L’equipe si avvale della consu-lenza e supervisione di una psicologa,con incontri mensili, finalizzati a poten-ziare le competenze educative, analizza-re i processi di comunicazione interni al-l’equipe, le dinamiche che si creano e tro-vare strategie per superare le varie criti-cità che il lavoro presenta. Alcuni volontari (giovani, coppie, fami-glie che condividono il carisma somasco)favoriscono il buon andamento del pro-getto comunitario, apportando concreticontributi nell’ambito delle varie attivi-tà, rendendosi disponibili per il suppor-to scolastico, trascorrere momenti ludi-co-ricreativi con i minori, accoglierli acasa nei fine settimana ecc. Il servizio dei tirocinanti è pianificato coltutor universitario. L’equipe educativacollabora con il Tribunale dei Minori diCagliari, il Centro Giustizia Minorile del-la Sardegna, l’Università di Cagliari, iServizi territoriali dei Comuni, l’ASL, gliesperti psicologi privati, le agenzie edu-cative e di socializzazione del territorio.

Risorse strutturali

Il centro conta due comunità alloggio.“Casa san Girolamo”, per l’accoglienzadei ragazzi sino al 15esimo anno di età;“Casa san Rocco”, che ospita i ragazzi piùgrandi (16-18 anni).

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Comunità Casa di accoglienza San Girolamo - Elmas (Cagliari)

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Il progetto educativo del-la comunità somasca hacome punti cardini l’ac-coglienza, la condivisionee la fraternità. I ragazzi respirano aria difamiglia all’interno dellastruttura e sono stimola-ti da tutta una serie di at-tività che fanno nascere inloro lo spirito di autono-mia, partecipazione e col-laborazione alla vita di co-munità, preparandoli adun futuro in cui possanoessere capaci di “autoge-stirsi”, avendo acquisitotutte le autonomie neces-sarie durante la loro per-manenza. È importante quindi cheil progetto educativo pre-veda questo obiettivo; at-traverso piccole azioniconcrete (dallo sparec-chiare la tavola al sistema-re la propria stanza) i ra-gazzi vengono responsa-bilizzati e imparano a vi-vere rispettando le basila-ri regole di convivenza.

Il proget-to prevede un inserimen-to dei ragazzi nelle varierealtà presenti nel territo-rio (scuole, associazionisportive e culturali), perfar integrare i ragazzi nel-la società e evitare che sicreino i problemi del-l’emarginazione sociale edell’etichettamento.Inoltre, la comunità siapre al territorio tramitele preziose risorse di vo-lontari e tirocinanti, checontribuiscono ad unoscambio continuo tra so-cietà e comunità, dandola possibilità ai ragazzi dipassare del tempo con lo-ro e allargare la propriarete di conoscenze; tiro-cinanti e volontari, ab-bracciando il carisma so-masco, trasmettono glistessi valori dei religiosi edegli educatori. Questo è importante af-finché i ragazzi percepi-scano quella continuitàeducativa fondamentale

per una crescitacaratterizzata dalla stabi-lità e da saldi punti di ri-ferimento.Il progetto educativo pre-vede anche tra le attività,la formazione religiosa, ri-volta a chi lo desidera,proposta ma non imposta.Nella libertà quindi i ra-gazzi possono decidere seaderire a queste attività.Ai ragazzi che frequenta-no le scuole superiori vie-ne data anche la possibi-lità di lavorare, soprattut-to durante le vacanze esti-ve; gli educatori insegna-no poi a gestire i soldi chevengono guadagnati, perfar capire loro come po-ter vivere autonomamen-te, ed evitare che una vol-ta usciti dalla comunità iragazzi non abbiano glistrumenti per poterselacavare da soli. Rilevante anche la sotto-lineatura che il progetto

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Progetto educativo e vita quotidiana

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fa nei riguardi del rappor-to tra i ragazzi e le fami-glie d’origine. Uno degli obiettivi speci-fici è infatti quello di rico-struire una relazione po-sitiva, facendo prenderecoscienza ai ragazzi dei li-miti della propria fami-glia e stimolandoli ad agi-re per aiutarla a migliora-re, potenziandone gliaspetti positivi. Qualoranon fosse possibile unrientro in famiglia dei ra-gazzi al termine dell’inter-vento educativo in comu-nità, è previsto l’affido fa-miliare; durante le vacan-ze e i giorni di festa, nelcaso dei ragazzi residen-ti in comunità che nonpossono tornare nella fa-miglia d’origine, vengonoospitati da famiglie di vo-lontari, che condividonoil carisma somasco.Tra le attività previste peralimentare lo spirito di

fraternità nella comunitàsono previsti dei momen-ti di festa che coinvolgo-no, oltre il personale, i vo-lontari, i tirocinanti e tut-ti gli amici della comuni-tà. Si festeggiano in mo-do particolare i periodiforti dell’anno liturgico,ovvero Pasqua e Natale, ela festa di san Girolamo(l’8 febbraio), momenti incui i ragazzi, più che maisentono il calore umano el’amore che l’ambientesomasco ha per loro. Seguendo l’esempio di Gi-rolamo Miani, nelle co-munità è previsto un mo-mento assembleare deiragazzi ospiti, in cui pe-riodicamente si fa il pun-to della situazione sull’an-damento della vita delgruppo nei diversi conte-sti: comunità, scuola,gruppi sportivi, esami-nando i propri vissuti perrisolvere situazioni pro-

blematiche che compro-mettono poi la vita delgruppo e le relazioni in-terne ad esso. In questomomento i ragazzi hannola possibilità anche comegruppo di fare richiesteagli educatori, dai per-messi per le uscite a unamodifica di qualche rego-la; è un momento assolu-tamente democratico eformativo, di cui tuttifanno buon uso e impara-no a fare del dialogo e delconfronto degli strumen-ti di crescita. Dallo stileeducativo di Girolamo siè quindi arrivati a ideareun progetto educativo,molto simile per ogni co-munità, in cui si mantie-ne vivo il carisma soma-sco e si riprendono le ca-ratteristiche principalidell’opera del Fondatore,attualizzate e concretizza-te secondo i bisogni dellasocietà odierna.

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Perché sei qui oggi,a lavorare in una comunità per minori,la tua vocazione…

La mia vocazione è avve-nuta un po’ a singhiozzi.Da sempre ho capito chela mia vita era a fianco del-le persone povere, mi ri-cordo che alle elementariconservavo i soldi del pa-nino per mandarli allemissioni in Africa, e michiedevo perché, col pas-sare degli anni, questi ri-manevano sempre poverie non diventavano mairicchi. Decisi però di in-traprendere una vita sco-lastica, di iscrivermi in in-gegneria, e cercare di nonpensarci più. Sono stato fidanzato tan-tissimi anni, e mi sono de-dicato ad altre cose: ho fat-to l’ufficiale nell’Arma, hocompletato gli studi, epoi… mi sono reso contoche non ero felice, che mimancava qualcosa!Ho fatto esperienza di vo-lontariato in casa fami-glia, e quello che mi ave-va colpito dall’inizio, eraproprio il rapporto che glieducatori e i religiosi ave-vano con i ragazzi, un rap-porto di gioco, di famiglia,come se fossero in un pe-renne campo da gioco.Dopo altre esperienze: an-

ziani, disabili, vita con-templativa (mi hanno cac-ciato il secondo giornoperché parlavo troppo!),ho capito che i somaschinel loro carisma rispec-chiavano pienamentequello che stavo cercan-do: religioso educatore,per sempre.Mi colpisce molto vederela differenza fra chi comenoi è religioso, perché l’hascelto nel “per sempre”,come fosse un matrimo-nio, e chi lavora o si avvi-cina qui per un volonta-riato, per un tirocinio.

Come vivi il tuo ruolo educativo all’interno di questamodalità di famiglia?

Sento che questa struttu-ra-comunità, comunità insenso largo, sia fatta comedi tanti cerchi concentricidove la “cellula”, il centro,è costituto dai religiosi,che riescono a trasmette-re energia e aria di fami-glia a tutti. Il cuore pulsante della ca-sa non è, come piace direa molti, la cucina, ma lacappella: è qui che nasceil ruolo del religioso. Il religioso non è quelloche “fa tutto”, che riesce aporre rimedio a tutto, o il“padrone” di casa, ma co-

lui che riesce a dividerebene i pesi, ad aiutare, sti-molare, incentivare, ascol-tare, correggere e anchesbagliare. È colui che ve-ramente riesce a farti sen-tire a casa tua pur non es-sendo casa tua. Non c’è cosa più bella chevedere gli educatori, i ra-gazzi giocare, sorridenti,un clima di famiglia feli-ce, di famiglia serena, do-ve ci sono anche i proble-mi ma li si affronta nelladinamica del crescere, delmigliorare.Mi piace sottolineare unacosa, quando ci chiedonosempre perché non ci spo-siamo. Io penso che noisiamo sposati non con unama con 500 persone, quel-le che vengono qui. Ed è la particolarità dellanostra vocazione, quelladi amare a 360°, chiama-ti veramente a questo“piccolo miracolo del-l’amore”.

Come vivono i minori il loro ruolodi figli?

In confronto ad altre co-munità, qui a Elmas, il re-ligioso educatore è pro-prio a stretto contatto coni ragazzi. Io vivo con loro,sette giorni su sette. Lo stare con loro è un

DossierDossier

Intervista a...p. Massimo Vaquer Religioso, sacerdote da pochi mesi,

educatore alla Casa di accoglienza del Centro Emiliani di Elmas (Cagliari)

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aspetto fondamentale, perché è il climadi famiglia che veramente cambia i ra-gazzi. E loro si accorgono di questa rete(religiosi, educatori, volontari) che li so-stiene. Li vedi quindi con i tratti del vi-so più rilassati, sono più tranquilli, si ar-rabbiano di meno, sono meno irruentitra di loro, si rispettano di più anche ver-balmente.E si confrontano con noi, nella crescita.

E il rapporto con l’esterno?

La comunità non vuole assolutamentesostituirsi alla famiglia di origine, c’è unrapporto diretto e certe volte bisogna fa-re opera di sanazione. Si lavora in vista della crescita del ragaz-zo e non per sostituirci al papà e allamamma. Diventa importante quindi chela famiglia, con chiarezza e sin dall’ini-zio, capisca che noi siamo solo un aiutoall’educazione del figlio. E quando senti o vedi una madre che non

voleva accogliere il figlio, e che poi alla fi-ne dopo mesi guarda il figlio e dice “or-mai è un signorino”, ti rendi conto delpasso che hai fatto sia con il ragazzo maanche in vista dell’inserimento familiare. A me piace moltissimo l’esempio del bic-chiere d’acqua sporca, come per i ragaz-zi che hanno avuto delle esperienze ne-gative o provengono da situazioni fami-liari negative: non possiamo svuotare ilbicchiere e dire al ragazzo “bene, da og-gi tutto quello che tu hai vissuto è nulla,quindi oggi inizia la tua nuova vita”. Occorre inserire gradualmente acqua pu-lita, impegnando il ragazzo in svariatedimensioni (relazione positiva, scuola,insegnanti, educatori, compagni, sport,ascolto, catechesi, fede, Dio ecc.), perchépoi alla fine sarà lui a dire “ma allora acasa mia c’è un problema”. Ed è il primo passo importante della pre-sa di coscienza: vedere e confrontarsi conil problema per trovare alternative e pro-gettare insieme il futuro.

Vita somasca

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DossierDossier

La tua esperienza di vita, la tua vocazione…

Ho conosciuto i padri somaschi quandofrequentavo il primo anno dell’universi-tà, tramite un collega che frequentava igruppi giovanili. In quel tempo, mi stavo anche doman-dando che cosa fosse importante per lamia vita, a che cosa tenessi di più, e miaccorgevo che emergeva questa espe-rienza del rapporto con Dio, lo sentivouna cosa importante. Ho iniziato a fare l’esperienza di volon-tariato nella casa famiglia. Inizialmentevenivo una o due volte alla settimana,poi ho iniziato a venire tutti i giorni. Passavo il tempo con loro a studiare, fa-re i compiti, giocare. Ho sperimentato una grande gioia, unagrande libertà; così ho preso contattocon quello che mi piaceva di più, e hoiniziato un cammino per cercare di ca-pire cosa volessi fare.Ho conosciuto i somaschi nel ’91, ho ini-ziato un cammino e sono entrato a farparte della comunità come postulante.Nei tre anni di formazione alla vita reli-giosa ho iniziato a frequentare l’univer-sità di teologia, poi l’anno di noviziato. Dopo l’esperienza di magistero in Polo-nia è seguita la mia prima esperienza incomunità per minori come educatore: 3anni al San Francesco al Campo (TO),due anni a Rapallo, poi a Elmas, col ruo-lo di responsabile ed educatore, che neisomaschi è una caratteristica, quella chenon si rimane solo responsabili ma si stain mezzo ai ragazzi.

Come vivi la paternità nella comunità educativa?

Tutte le nostre comunità hanno uno sti-le familiare. Lo stesso san Girolamo sivede che ha fatto nascere comunità conquesto stile, tant’è che se c’erano dei ra-

gazzi che non riuscivano a stare in unostile familiare, lui è stato molto chiaro,li rimandava negli ospedali. È chiaro che non siamo una famiglia, pe-rò è vero che si cerca di vivere in un cli-ma che abbia uno stile familiare. Vivere in un ambiente familiare, vuol di-re impostare delle relazioni dove i ragaz-zi si sentono accolti, stimati e apprezzati.Vuol dire al tempo stesso star dentro del-le relazioni genitoriali, o meglio asim-metriche, dove il ragazzo riconosce al-l’adulto un ruolo educativo di chi ti de-ve dire anche come devi comportarti, chese non rispetti le regole o dei valori ti ri-chiama anche magari attraverso dellepunizioni. Io mi sento molto a mio agio perché misento a casa, sia quando si vivono queimomenti di vicinanza, di vita familiare,dal vedere insieme la tv al giocare insie-me, al mangiare insieme, al fare delle gi-te. E anche nell’altro aspetto, quello diessere figura adulta di riferimento, unasorta di modello che deve richiamare alrispetto delle regole e al rispetto di séstessi. E’ vero che è una “paternità” che devecontenere, dare delle norme, però so-prattutto che deve accogliere, spronare,incoraggiare, che sa far sentire l’altro sti-mato, ed insegna loro a rispettarsi, a co-gliere i propri valori, a scoprire i loro ta-lenti e a viverli, facendo uscire il bello eil buono che c’è in loro.

Come reagiscono i ragazzi?

Loro cercano figure di riferimento equindi si rapportano a noi in questa re-lazione di padre e figlio. A differenza degli educatori esterni, do-ve in loro talvolta prevale il ruolo legatoalla professione di educatore istituzio-nale, in noi, che viviamo costantementeinsieme, emerge l’aspetto della condivi-sione della vita nella quotidianità.

p. Elia Salis, Superiore della comunità Centro Emiliani di Elmas (Cagliari)

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Loro ti sentono parte dellafamiglia e ti vedono in unadimensione di gratuità.

La comunità come si rapporta all’esterno?

Il rapporto con l’esterno èimpostato sempre al ri-spetto degli altri e alla col-laborazione. È una caratteristica che ioho trovato dentro le real-tà somasche: quella di va-

lorizzare la famiglia diorigine, anche quandoqueste famiglie sono di-sastrate. Si tratta quindi di aiuta-re i minori a diventareconsapevoli dei limiti edelle cose che non funzio-nano all’interno della lo-ro famiglia, ma mai dimetterli contro, anzi, aiu-tarli magari a recuperareun rapporto positivo conil padre, la madre e i fra-telli e, per quanto possi-

bile, cercare di aiutarequeste famiglie a recupe-rare il loro ruolo genito-riale. Anche con loro c’èsempre una grande colla-borazione. Realmente facciamo leveci della famiglia, e quin-di sia la scuola che le so-cietà sportive o la parroc-chia, vivono la relazionecon la comunità come re-lazione con la famiglia. Per questo veniamo rico-nosciuti e apprezzati.

gennaio marzo 2012 Vita somasca

ProfiliProfili

Ricordo come era vissuto il giorno di fe-sta e di riposo a Garlate (Lecco), il miopaese natale, durante la mia infanzia. La domenica percorrevamo due volte lastrada vecchia non asfaltata: la mattinaper recarci alla messa “alta” e al pome-riggio per andare ai vespri e all’oratorio.La messa era celebrata in latino. A quei tempi, la domenica era la Dome-nica e nessuno andava via per gite o viag-gi, ma tutto il paese, anche quelli che abi-tavano nelle frazioni più lontane, si in-contravano per fare parole rinnovandocosì l’amicizia. Questo giorno iniziava conla santa messa delle 6, senza predica, fi-

niva velocemente (pensata per le madridi famiglia) perché potessero prepararequalcosa di buono per il pranzo. Ora non viene più celebrata. Più tardi c’era la messa solenne: i primiad entrare in chiesa erano i bambini e lebambine (erano più i maschi delle fem-mine), poi le figlie di Maria con un granvelo bianco, lungo, in testa e sulle spalle,poi gli altri fedeli.Era però abitudine per gli uomini rima-nere sul sagrato per raccontarsi i fatti del-la settimana. Quando suonava il Sanctusentravano: era il momento più solenne,quello della consacrazione.I fedeli noncomprendevano niente della messa, per-ché era in latino; la gente semplice di cam-pagna, non capiva quello che cantava,tanto meno quello che diceva il parrocosottovoce, sempre in latino. Lui leggevail vangelo in latino, poi si voltava, anda-va alla balaustra dove lo ripeteva in ita-liano. Per i fedeli era l’unico testo com-prensibile. Seguiva poi la predica, in cuitrovava spazio ogni genere di ammoni-zioni e di esortazioni attinenti più alle si-tuazioni locali che non al brano del van-gelo appena letto. Sempre, durante la messa, le vecchietterecitavano il rosario e smettevano solo almomento della consacrazione, quando ilcampanello suonava, svegliando e richia-mando tutti. Mentre il parroco alzava pri-ma l’ostia e poi il calice, ci si genuflette-va ed il silenzio era totale ed assoluto: chichinava la testa, chi si metteva in ginoc-chio, tutti però assistevano alla messa congrande fede. Il sacrestano se ne stava incampanile, alla luce di una flebile lampa-dina, facendo rintoccare le campane af-finché le persone anziane ed ammalate -a casa - si unissero alla comunità nellapreghiera. Prima della comunione delparroco i fedeli intonavano canti pii e de-voti. La domenica non finiva qui: nel po-meriggio, si faceva un’altra passeggiata

La mia infanziaFratel Giuseppe

Ronchetti, all’etàdi 66 anni,

è ritornato allacasa del Padre. Le comunità diSomasca sono

grate al Signoreper il dono di unconfratello umile

e laborioso cheper 42 anni ha

atteso al decorodel Santuario

e all’accoglienzagioiosa e

servizievole dei pellegrini.

Riportiamo un suo scritto

del marzo 2011.

…una vita buona e semplice. Alcuni ricordi, anni ’50 - ’60

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per le strade vecchie, poisi andava all’oratorio ed aivespri solenni: un grandeprofumo di incenso salivaal Santissimo Sacramen-to; anche in quest’occasio-ne, solenni inni e canti inlatino. L’oratorio era divi-so per maschi e femmine:le femmine stavano allascuola materna, mentre imaschi all’oratorio vero eproprio.Il 2 Novembre trascorre-vamo quasi tutta la matti-na al cimitero, perché ognisacerdote doveva celebra-re tre messe e si faceva agara a correre da una cap-pella all’altra (al suono delcampanello). Una volta al mese c’era ilricordo dei cari defunticon la processione al ci-mitero. C’è poi da direche, nei giorni feriali, lemesse erano quasi tutte“da morto”, cioè coi para-menti neri. C’era la mes-sa di “prima classe”: inchiesa veniva montanoun catafalco altissimo esovente venivano i padridi Somasca per aiutare ilparroco (era la cosiddet-ta messa e ufficio in ter-zo, con tre sacerdoti). Tutto era più solenne, can-ti curati e con la parteci-pazione delle confraterni-te cui il defunto aveva la-sciato offerte.Ci piaceva andare ai fune-rali quando eravamo libe-ri dalla scuola, per sentireil bel canto delle litanie deiSanti (che erano abba-stanza lunghette). La bara veniva portata aspalla dai parenti ed ami-ci del defunto. Quattro

persone reggevano il fioc-co del drappo nero in se-gno di affetto e ricono-scenza. Noi bambini arri-vavamo per primi al cam-posanto e poi alla tombaper dare l’ultimo saluto aldefunto, buttando sopra labara manciate di terra edanche per sentire la pre-ghiera in latino, forse erail Salmo 129: “Dal profon-do a Te grido, o Signore.Signore ascolta la miapreghiera”.Ricordo, come fosse oggi,quando è morta una bam-bina: io, coi miei fratelli,siamo saliti fino alla fra-zione Buffa ed abbiamo vi-sto la creaturina posta so-pra il comò. Era bella co-me Maria Bambina. E che dire del funerale delParroco don Luigi? Il buon don Egidio, primache il parroco morisse, ciha accompagnati (tutti iragazzi dell’oratorio) a sa-lutarlo per l’ultima volta.Che tristezza e che pover-tà il locale in cui si trova-va: solo il letto ed una stu-fa! In compenso, i suoi fu-nerali sono stati un trion-fo: tutto il paese era pre-sente, persino i due o trecomunisti! Il giorno successivo, lamaestra ci ha detto di svol-gere una tema sul funera-le del Parroco. Il più interessante e com-pleto lo svolse Aldo, tantoche la maestra lo fece met-tere in archivio. Chissà se ci sarà ancora?Quando non potevamoandare ai funerali, al pas-saggio del feretro, con ilpermesso della maestra

Mauri, andavamo alla fi-nestra, non solo a curiosa-re, ma a recitare l’EternoRiposo. Che dire di quellemesse antiche? Eranosenz’altro consone al tem-po, tempo davvero dellacristianità e confesso chea me non han fatto male,anzi, mi han fornito unarobusta spiritualità cri-stiana. A quei tempi, neinostri paesi di campagna,la vita era scandita dallapartecipazione alla comu-nità cristiana: tutti anda-vano in chiesa e si diceva-no convinti di credere inDio, salvo due o tre garla-tesi che si dicevano “co-

munisti” (ma la buonagente preferiva chiamare“strani”). La figura centrale era ilparroco, al quale si ricor-reva nei momenti di diffi-coltà o per questioni fami-liari. Anche i pochi che glierano avversi lo rispetta-vano, pur tenendosi a di-stanza. Era temuto e ri-spettato, perché dedicavatutta la vita e spendeva lesue forze per le anime a luiaffidate. Quindi il pastoreaveva cura del suo gregge,curava le pecore sane equelle ammalate. Quando c’era qualche fe-sta in famiglia, alcuni bal-

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lavano e, quando il parroco lo veniva a sapere, la dome-nica successiva tuonava dal pulpito con voce a volte mi-nacciosa, a volte implorante.Non mancava mai di fustigare i nuovi comportamentiche iniziavano a prendere piede dopo la guerra, accu-sando di portare distrazione nelle famiglie e nella mo-rale cristiana. Tuonava anche contro alcuni parrocchia-ni che lavoravano la domenica. Durante la primaverac’era la benedizione della campagna e qualche contadi-no approfittava per benedire anche la stalla, perché tut-to andasse bene durante l’anno.E che dire del mese di Maggio? Dopo la scuola, di pomeriggio, ci si recava nella chiesadei SS. Cosma e Damiano, detta la Madonnina, e tuttinoi bambini recitavamo il rosario. Anche qui, il profumo dell’incenso saliva alla VergineMaria. Dopo la funzione si andava nei campi a racco-gliere le campanelle (fiori bianchi). Ricordo che, unavolta, ci sono stati i Padri Passionisti per le missioni(prediche al popolo). Venivano, se ricordo bene, da Er-ba. Erano preparatissimi, descrivevano le loro peniten-ze del venerdì. Le donne accorrevano e portavano in ca-nonica qualche pollo e uova per il loro sostentamento.Abitavo lontano dal paese: Calcherino, l’ultima frazio-ne di Garlate, ma il buon parroco, anziano, veniva a pie-di per la benedizione natalizia e si fermava in casa perparlare con mia nonna (non ricordo cosa si dicessero),poi prendevano un po’ di caffè (e chissà che caffè, forseacqua scura …). Tutta la mia formazione cristiana eratrasmessa dai sacerdoti: il parroco, il coadiutore e le suo-re. Ricordo anche con tanta gioia il maestro unico alleelementari: la signorina Mauri di Olginate! Da piccolo ho compiuto solo due gite: una a Valgreghen-

tino ed una a San Girolamo di Somasca. A Valgreghen-tino, siamo andati in corriera con una vicina di casa (unacorriera col muso lungo che per avviarla aveva una ma-novella che dava il via al motore). Durante il viaggio, a metà strada, la vicina mi indicò unacasa, dicendomi che era la casa del diavolo, perché lì siballava. Mi è rimasta impressa questa casa fino ad og-gi. Allora ho pensato, dentro di me, che aveva proprioragione il mio parroco a tuonare dal pulpito. A San Girolamo ci siamo andati, anche lì, con la corrie-ra, dalle Torrette fino ad Olginate, poi a piedi. Arrivati sul ponte mi sono aggrappato a mia nonna edalla zia perché la diga formava delle onde strane ed ave-vo paura… Di questa gita ricordo solo la scala santa,l’altalena nel prato dietro al castello; nel pomeriggio, lavisita alla chiesa, dove vi sono tuttora le spoglie del San-to. Ricordo il prete (san Girolamo) che dormiva sul sas-so e mia nonna e la zia che mi facevano pregare. Comprammo anche delle medagliette ricordo. Fra i ricordi che custodisco nel cuore riguardo a mianonna ce n’è uno, una preghiera breve che lei recitavain dialetto prima di andare a dormire: “Mi a letto me nevu, a levare mi non su. Se vien la morte mia, mi raco-mando l’anima mia!”.Altri tempi! Si avvertiva già l’aria di cambiamento, gra-zie al Concilio Vaticano II. Così si viveva, si cercava diessere buoni cristiani, si scherzava, riconoscendo tutta-via il dono prezioso della figura del parroco, don LuigiPerego, che da piccolo era stato a Valdocco (TO), pre-sente Don Bosco, ed ebbe la fortuna di vedere un suopiccolo miracolo: la moltiplicazione delle nocciole, chefaceva sì che ci fosse in paese una convivenza serena.Questa era la mia e nostra vita: buona e semplice.

ProfiliProfili

I mezzi di informazione in questi tempi fanno un gran parlare della Chiesa, ma non per questioni di fede. Non ci hanno neanche risparmiato arbitrarie e incivili semplificazioni di un cantante che una volta venivachiamato “molleggiato” che, abusando del potere che gli conferisce uno spettacolo di canzonette, ha chiesto la chiusura di giornali che lo avevano criticato. Altre trasmissioni televisive hanno messo in onda lettere riservate che dall’interno del Vaticanoevidenziavano problemi economici e di relazione tra le massime autorità che governano la Chiesa. Ho aperto per caso la Bibbia e ho trovato nella lettera ai Romani (9,22-23) queste parole: “Dio, volendoavrebbe potuto mostrare la sua collera, ha invece sopportato con molta pazienza coloro che meritavano il suo castigo e la distruzione. Inoltre ha fatto conoscere quanto grande e potente è la sua misericordia”. E ho sentito il desiderio di scrivere agli amici somaschi che in quest’anno celebrano il giubileo delfondatore dell’ordine, il santo Gerolamo Emiliani, per cercare di trovare insieme i riferimenti per l’esigenzadi edificazione di una comunità giusta e libera, nella quale ognuno possa percorrere insieme agli altri un concreto e preciso cammino nella storia. Da una parte, ho pensato al cardinale Carlo Maria Martini, che ha speso la sua vita per difendere, propriodifendere, in una società che sa essere violenta, i poverissimi, i senza fissa dimora, i bisognosi di cibo e di luoghi per dormire e gli stranieri che provengono da paesi dove la fame e la povertà sono segniendemici di squilibri nella distribuzione delle risorse tra paesi ricchi e paesi poveri. Con grande umanità e grande semplicità, il cardinale Martini si è speso per fare sentire che “questa terranella quale viviamo è piena di ingiustizie e sopraffazioni. E’ un pianeta che si sta guastando e il cuiequilibrio è sempre più turbato dallo spreco delle risorse naturali e dall’inquinamento. È da questa terraavvolta nelle nebbie che salgono le invocazioni a Dio ed è su di essa che discende un fascio di lucedall’alto, che rende la terra leggera, dolce, vivibile, per dare forza a chi ha la faccia piegata dall’angoscianella nevrosi, nel lutto, di guardare in alto e di sperare” (Il riposo della Colomba, ed. Sanpaolo, pag. 38). Da un altro lato, ho pensato ad un episodio rilevante accadutomi nella mia professione di giornalista. Sul quotidiano di Genova “Il Lavoro”, di cui era stato direttore anche Sandro Pertini, decisi di intervistareuna monaca di clausura. Entrai senza emozione nel convento delle suore clarisse di via Domenico Chiodo. Dietro una impenetrabile grata traforata da pochi buchi, sentivo solo la voce di una persona che, con garbo e serenità, rispondeva alle mie domande. L’ultima risposta mi ha cambiato la vita: “Cosa le manca del mondo di fuori?”, chiesi con curiositàpungente. “La possibilità di accarezzare un bambino”. Ero salito al convento pieno di pregiudizi: noi a combattere nel mondo, a sfidare la vita, le sue prepotenze le sue ingiustizie e le monache, al sicuro tra quattro mura, indifferenti ai labirinti ed ai tormenti della vita. Capii che non era così. La spiritualità più severa e coraggiosa, la scelta di una prigione per essere liberi di meditare e di pregare per gli uomini tutti ha il valore dell’acqua di un giardino per fare crescere la serenità nei cuori inariditi degli uomini. Suor Innocenza, così si chiama la suora, non è più solo una voce. A Natale ho parlato con lei attraverso le sbarre di un cancello di ferro, che è stato aperto per rendere più amichevole il nostro dialogare. Mi muovo nella laicità come spazio etico e sociale, nel quale tutte le convinzioni possano essere capite e rispettate. Noi a combattere nelle strade, nella comunità della ”polis”. Suor Innocenza ad aiutarci a pensare, con il suo sacrificio quotidiano, all’universale bisogno che tuttiabbiamo di tutti. Le notizie che parlano di una Chiesa nell’effimero della quotidianità e del potere nonaiutano a condividere i beni spirituali. Per imparare a pensare insieme agli stessi problemi, per fuggire gli atteggiamenti di superiorità, di forza, che intaccano la convivenza civile, è più utile cercare un migliorefuturo, perché ai cristiani, ma non solo a loro, non è dato evadere dalla storia, che è l’ambito del manifestarsi della presenza di valori che sono il senso del nostro vivere, del nostro pregare, del nostro aspirare ad un mondo migliore.

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Per rifletterePer riflettere

Egregio direttore...

Matteo Lo Presti

Nostra storiaNostra storia

Pur nella sua brevità, la“Vita del Clarissimo Si-gnor Girolamo MianiGentil Uomo Venetiano”,di autore Anonimo, offremolti spunti per aiutarci acapire più profondamentela conversione e il cammi-no spirituale del Miani cheavvenne certamente peropera del benignissimo Si-gnore, ma anche dall’in-contro di tante personeche la Provvidenza misesulla sua strada nell'ambi-to della sua frenetica atti-vità apostolica.Vi leggiamo che, dopo la li-berazione dalla prigionia,“Si accompagnava conquelli che lo poteano ocon conseglio o con es-sempio o con l'orationeaiutare e fra gli altri mol-ti, che per salute sua glipropose il Signore, fu unhonorato padre canonicoregolare Venetiano di dot-trina et bontà singolare, ilquale perché ancor vivenon voglio nominare, cheper molti anni hebbe curadell'anima sua et nella viadella vita eterna indiriz-zollo”.Poco più avanti vengonoelencati alcuni nomi diquesti personaggi. “Ha-vea per maggior fami-gliari et amici padri il re-verendo arcivescovo diChieti, hora cardinale, doiLipomani, un priore dellaTrinità, lì altro vescovo diBergamo, il vescovo diVerona...”.

Tutte personalità questeche erano venute a contat-to con la spiritualità del Di-vino Amore o che addirit-tura ne erano membri. A Venezia, Girolamo in-contrò anche GaetanoThiene e i suoi compagni,che erano sfuggiti all'ese-crando sacco di Roma del1527. Partecipò ai loro ra-duni, e rimase talmenteimpressionato dal loro sti-le di vita e dai loro propo-siti santi, che li fece propri. Lo scopo della confraterni-ta era di “radicare e pian-tare nei cuori l'amor diDio, cioè la carità” e ma-nifestava in questo modo ildesiderio di perfezione cri-stiana (i membri dovevanoconfessarsi mensilmentee ricevevano l’Eucaristiaquattro volte l'anno), col-tivando la vita interiore eprendendosi cura degli in-fermi. Ma non intendiamosoffermarci su questoaspetto, già messo in risal-to abbondantemente daglistudiosi. Ci interessa, inve-ce, sottolineare una pecu-liarità della spiritualità delMiani, che, a nostro pare-re, finora è stata taciuta.Nel lungo elenco della ico-nografia geroniminiana,una raffigurazione in par-ticolare ricorre spessissi-mo, quella del Santo, peni-tente, raccolto in preghie-ra davanti al Crocefisso.L’eremo della Valletta conl’espressiva statua del But-ti, in qualche modo, è il

punto di riferimento ditutte queste immagini. Anche nelle varie biografiedel Miani è stato rimarca-to spesso e volentieril’aspetto ascetico, la pe-nitenza, il desiderio di se-guire il nudo Crocifisso... È passato così in secondopiano l’aspetto positivodella croce, la salvezza. La croce non è stata sol-tanto il patibolo, ma so-prattutto il trono dal qua-le Dio ha regnato. Già nel secolo VI, Venan-zio Fortunato, uno degliultimi raffinati poeti latini,espresse questo concettonel suo bellissimo inno“Vexilla regis prodeunt”,quando afferma solenne-mente “Regnavit a lignoDeus”, dall'alto della croceDio ha dimostrato la suaregalità. Tanto che la Chie-sa non ha dubitato a daredignità liturgica a questapoesia bellissima.Dalla metà circa dell'VIIIsecolo, a Roma, nella Chie-sa di Santa Maria Anti-qua, ai fori imperiali, cam-peggia un affresco in cuiCristo crocifisso è raffigu-rato vivo, con gli occhibene aperti, con i piedinon sovrapposti, vestitodel colobium, tunica sma-nicata usata dai primi mo-naci. Altri, invece, conun’analisi più acuta, vedo-no nel vestito la toga prae-texta, una toga orlata diporpora, che, secondo unatradizione antichissima,

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Girolamo Miani

p. Renato Ciocca

Amato e salvato dal beneficio di Cristo

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veniva indossata dai re diRoma. Traduzione in cam-po artistico del verso di Ve-nanzio Fortunato, Dio haregnato dall'alto della cro-ce. È il Cristo trionfatoresul peccato e sulla morte.In seguito prese largamen-te piede la rappresenta-zione del Crocefisso soffe-rente che tendeva a dram-matizzare il dolore sop-portato per la nostra sal-vezza. Maestro insuperabile fuGiunta Pisano. E così, molto velocemente,arriviamo all'anno 1543.Anno in cui a Venezia ven-ne pubblicato un libretto“Il Beneficio di Cristo” diBenedetto Fontanini, mo-

naco benedettino del mo-nastero mantovano di SanBenedetto di Polirone, conla collaborazione dell'uma-nista Marcantonio Flami-nio. “Quest'opera può es-sere considerata una sor-ta di manifesto della for-ma più matura della rifor-ma italiana, non ci sonopolemiche in chiave anti-romana o anti-papale, sicerca solo di dare rispostaalle nuove esigenze reli-giose e un indirizzo perevitare altre fratture nel-la Chiesa. Propone unmessaggio di liberazione,di salvezza e di grazie cheriscatta dal timore di Dio,visto non più come vendi-cativo ma dolce, che con la

predestinazione ci rendeeletti alla vita eterna”. È l'insegnamento di Paolo,ripetutamente propostonelle sue lettere. Valga per tutte la citazione:"Dio ci ha salvati e ci hachiamati con una voca-zione santa, non già inbase alle nostre opere,ma secondo il suo propo-sito e la sua grazia; gra-zia che ci è stata data inCristo Gesù fin dall'eter-nità (2 Tm 1,9)". Dottrina poi che fu ripre-sa e illustrata ampiamen-te dai Padri della Chiesa,Agostino, Ambrogio...È pur vero che il Miani eramorto 6 anni prima dellapubblicazione dell'opera,ma le idee del Fontanini,come accade spesso, circo-lavano già da tempo. Lo stesso religioso risiede-va, nel 1534 e anni se-guenti, nel convento vene-ziano di San Giorgio Mag-giore. E Girolamo era ami-co del Contarini, dei fratel-li Lippomano, del Giberti,tutti prelati favorevoli aun tentativo di accordopacifico con i Protestanti. Tentativo che fallirà uffi-cialmente nei Colloqui diRatisbona del 1541, essen-do legato papale proprioGasparo Contarini. Ma certo non fu colpa suase non sortirono l'effettosperato...Il Miani aveva recepito, inanteprima, il contenutodel libretto. Ecco perché, davanti alCrocifisso ripeteva spesso:"Dolcissimo Gesù, non es-sermi giudice, ma salva-tore".

Ecco perché l’Anonimoscriveva: “Quando piac-que al benignissimo Id-dio... muovergli il core”.La preghiera davanti alCrocefisso non fu soltantooccasione di penitenza,ma soprattutto inno di rin-graziamento per il benefi-cio (Grazia) di Cristo che cisalva gratuitamente. La grande schiera di San-ti della Riforma cattolicaha testimoniato con le ope-re di carità il volto di unDio che è venuto a salvarel’umanità col beneficio,grazia, di Cristo. In particolare, il Mianiaveva assimilato questaconvinzione nelle diuturnemeditazioni davanti allacroce, per cui l’Anonimonon esitò a concludere laVita dicendo: “...mai mo-strò segno di timore, anzidiceva d'haver fatti li suoipatti con Cristo...”.

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Usen (Nigeria)Al termine del loro noviziato, i novizi Vincent Uzo-dinma Nnamani, Joseph Shonwula Chiahemba e An-thony Osas Onaiwu hanno emesso i voti temporanei,alla presenza del padre Generale.

Beira (Mozambico)Al termine del loro noviziato, i giovani mozambicaniAntónio Alberto, Benjamim, João e António Nhamahanno emesso i voti temporanei. Qui in posa, accom-pagnati dal delegato p. Carlos Pablo Moratilla.

El Tablazo Rionegro (Colombia)Un gruppo dei nostri ragazzi, ospiti di “Villa San Jeró-nimo”, in visita alle strutture del moderno aeroportointernazionale di Rionegro (Medellín), accompagnatidal p. Juan Carlos Gómez Quitián.

Somasca (Lecco)Rito di ammissione al noviziato di Mateusz Zajkow-ski (polacco) e Luigi Pivetta con l’affidamento almaestro p. Mino Arsieni. Al centro p. Francesco Re-daelli, superiore e parroco di Casa Madre.

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Narzole (Cuneo)Foto-ricordo dei partecipanti all’8° raduno ex-allievidei Padri Somaschi al “Villaggio della gioia”. Il tradi-zionale appuntamento annuale è risultato un incon-tro segnato dal ricordo e dall’amicizia.

Bucaramanga (Colombia) Ammissione al noviziato di nove giovani provenientida diversi paesi latinoamericani. Il Provinciale, p. Je-naro Espitia, ha consegnato loro il crocifisso affidan-doli al maestro p. Antonio Formenti.

Citta di Guatemala(Centroamerica) Giubileo Somasco con una marcia festosa dei nostristudenti. In tale circostanza è stata rinominata unadelle strade principali che si chiamerà d’ora in poi“Avenida San Jerónimo Emiliani”..

Dajabon (Rep. Domenicana) Alla presenza della gente del posto e delle autorità lo-cali, padre Orlando Barajas dà il primo colpo di pic-cone per inaugurare la costruzione dell’opera a favoredei bambini e dei giovani di Haiti.

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Raigarh (India)La creatività e l’inventiva certamente non mancanonel trasporto familiare quando si tratta di arrivare pertempo alla scuola “Jerome Bhavan”, diretta dai nostrireligiosi somaschi indiani.

Beira (Mozambico)In posa uno dei vincitori del concorso di elaborazionee messa in funzionamento di macchine tra i nostribambini ospiti del “Lar São Jerônimo”. Non mancanopassione ed entusiasmo.

Bangalore (India)La “Region of India”, con il 1° Capitolo provincialepassa da Commissariato a Provincia. Auguri vivissimi al nuovo governo, formato dal Pro-vinciale fr. Kakumanu Joseph Thambi e dai Consi-glieri fr. Vajra Pierluigi, fr. Malayil Jonson, fr. Bonagiri Joachim e fr. Annam Lourdu Samy.

Magenta (Milano)Per i 50 anni di presenza somasca alla parrocchia SS.Giovanni B. e Girolamo E., conferenza di p. LuigiBonacina e presentazione del suo libro “Le originidella Congregazione dei Padri Somaschi”.

A 91 anni, è deceduto il 20giugno 2011 a Rapallo(GE). Originario di Dogliani(CN), entra nel seminariodi Cherasco dove inizia lasua formazione in un pe-riodo difficile per la socie-tà e la Chiesa: Fascismo,II guerra mondiale, rico-

struzione post bellica. Ordinato sacerdote nel1947, si dedica alla forma-zione dei giovani proban-di come animatore, diret-tore spirituale ed inse-gnante, mentre si laureain lettere classiche. Sarà eletto tre volte Pre-posito provinciale, ma

non staccherà mai dallascuola, missione vissutacon passione. Riserverà un’attenzioneparticolare alla nascentefondazione in Spagna.L’ultima tappa della suavita, lo vede impegnatonella Chiesa del San Fran-cesco in Rapallo.

In memoriaIn memoria

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Padre Diego Camia

A 83 anni, è deceduto il 15settembre 2011 a Soma-sca (Lecco). Originario di Castano Pri-mo (MI), entra in novizia-to nel 1949, realizza glistudi teologici a Treviso eComo, e viene ordinatosacerdote nel 1958. Di ca-rattere riservato (discute-

va poco e sorrideva mol-to), ha preso sul seriol’invito del vangelo di per-dere la propria vita per ilSignore. Come educatore,dedicherà ben 22 anni nelservizio agli orfani all’Isti-tuto Santissima Annun-ciata (CO) e all’IstitutoEmiliani (TV). In diverse

comunità, svolgerà re-sponsabilità di superiore,direttore spirituale, for-matore e addetto al mini-stero pastorale. A noi tut-ti rimane il vivo ricordodei suoi anni (più di 60nella vita religiosa) impo-stati e vissuti secondo lamisura alta dell’amore.

Padre Antonio Crespi

A 90 anni, è deceduto il21 settembre 2011 nellacomunità di Santa Rosa(Città del Messico). Originario di Peveragno(CN), a 12 anni entra inseminario. Dopo il noviziato, intra-prende gli studi filosoficia Corbetta (MI) e teologi-

ci a Roma. Viene ordina-to sacerdote nel 1948. Dopo un breve impegnoeducativo con gli orfani aRapallo, è destinato allamissione del Centroame-rica, dove arriva il 3 otto-bre 1950 a La Libertad (ElSalvador). Nel 1955 è in-viato alla fondazione di

San Juan Ixtacala (Mes-sico). Intraprendente, ge-neroso, porterà avanti unformidabile lavoro apo-stolico: superiore, parro-co, formatore ed educato-re. La gente lo ricorda co-me il padre Toño, per lasua fede cristallina e la suafigura di buon pastore.

Padre Antonio Beraudi

A 66 anni, è deceduto il 21febbraio 2012 a Somasca(Lecco). Originario di Garlate, pae-sino al di là del lago, po-sto di fronte a Somasca, a17 anni entra in noviziato.Nel 1964 emette la profes-sione religiosa. Destinatoper pochi mesi alla comu-

nità del Crocifisso di Co-mo, ritornerà a stabilirsidefinitivamente a Soma-sca. Rimarrà fratello reli-gioso, affermando: “sanGirolamo non era prete”. Per tanti anni ha atteso aldecoro del santuario diSomasca e all’accoglienzagioiosa e servizievole dei

pellegrini. Il suo ministe-ro è stato quello di ren-dere bello il santuario:con il suo lavoro, finché lasalute glielo ha permesso,e poi, sino alla fine, con lasua continua, serena pre-senza di ascolto, di consi-glio e di incoraggiamentoverso tutti.

Fratel Giuseppe Ronchetti

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Regole per vivereI dieci comandamenti: provocazione e orientamento per oggiNotker Wolf e Matthias Drobinski - pp. 160 - EDB, 2010 C’è uno spirito leggero e sereno nel trattare i comandamenti, da parte dell’abate primate be-nedettino, il bavarese Wolf, espressione di una educazione a “una immagine di Dio calda eliberatrice”. Risulta decisiva la contestualizzazione non solo storica delle “dieci parole”, tra-smesse nell’Esodo e nel Deuteronomio, ma anche psicologica, secondo le parole di ThomasMann: “La nascita di Mosé era irregolare, per questo amava intensamente la regola; gio-vane, aveva ucciso per passione, perciò sapeva meglio di altri che uccidere e sì delizioso,ma avere ucciso è tremendo”. Solo chi ha fatto l’esperienza del fallimento davanti alla leg-ge eterna è chiamato ad annunciarla, sapendo che il caos esige ordine e senza regole uma-ne impera la disumanità. È merito di Lutero e del suo catechismo avere formulato, con unaforza di linguaggio unica, i comandamenti nella versione sintetica attuale, che ha fatto scuo-la per secoli, formando anche il substrato letterario della enunciazione dei principi di de-mocrazia, della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e, quindi, anche dello “Statodi diritto”. Vero è che oggi le indagini statistiche parlano di una percentuale alta di personeche sanno ascrivere alle tavole dei dieci comandamenti solo i più evidenti (non uccidere,non rubare, non commettere adulterio), mentre risulta fuori dalla memoria collettiva l’elencocompleto. Probabilmente sta a monte anche una concezione poco liberante della religionee una sua lentezza ad interpretare le provocazioni dei comandamenti nella cultura moder-na. Di fronte a queste difficoltà, il libro riesce a incanalare argomenti ed episodi a favore di“una luce” (la parola dei comandamenti) che illumina il cammino di tutti e li orienta, anchequando si sono commessi sbagli e si è inciampato in qualche ostacolo.

La Messa per tuttiJean-Noël Bezançon - pp. 151 - Ed. Qiqajon – Comunità di Bose, 2011Di un libro come questo (ordinato, completo nella documentazione e senza spirito polemico),di un parroco-teologo francese, non ci sarebbe stato bisogno se, a oltre 45 anni di vita, la “nuo-va messa”, voluta dal Concilio Vaticano II e predisposta da Paolo VI nella continuità della tra-dizione cattolica, non fosse sottoposta da un po’ di tempo a attacchi distruttivi, favoriti dalla ec-cessiva indulgenza pontificia nel consentire anche la “vecchia” forma.Come tutti sanno, a creare difficoltà non sono gli speciosi argomenti prodotti contro la messadi oggi (il cui soggetto è l’assemblea cristiana orante, e non il solo prete), fatta passare per ere-tica rispetto alla “messa di sempre”, che sarebbe espressione di una (inesistente) “Chiesa disempre” (le due affermazioni sono facilmente smentibili, storia alla mano), ma la posta in gio-co è il rifiuto del Concilio, in particolare su tre punti capitali: i rapporti con le confessioni cri-stiane, i rapporti con l’ebraismo e le altre religioni, la libertà religiosa. “Non consentirò mai -diceva Paolo VI - che la nostalgia per il vecchio rito della messa diventi un simbolo del rifiutodel Concilio”. “Senza parlare del background politico abbastanza omogeneo di queste corren-ti minoritarie anticonciliari - riassume alla fine l’autore - alcune note le caratterizzano: unsanto orrore per questo mondo “regno del male”, una negazione della storia in nome di unaimmutabilità delle verità eterne, una certa rigidità ecclesiologica che riduce la Chiesa alle sueistituzioni, ponendo lo Spirito agli arresti domiciliari, un rovesciamento dell’ordine di ciò chefa autorità nella Chiesa, da Scrittura-tradizione-magistero a magistero-tradizione-Scrittu-ra”. Con il risultato che Roma (e Roma fino al 1958), come riferimento, è più citata del Vange-lo. Sul piano dell’unità ecclesiale risulta difficile sostenere che le due diverse contemporaneeforme di celebrare (“la legge del pregare”) non portino o non siano già espressione di una for-te divisione nella “legge del credere”.

Con il dovuto rispettoFrammenti di saggezza all’ombra del campanileMario Delpini - pp. 155 - San Paolo, 2011Qualche scenetta, filmata con discrezione e senza indebite amplificazioni, è sicuramente cleri-cale, di chi conosce (l’autore è uno dei vescovi ausiliari di Milano) tic e smorfie dei componen-ti le comunità cristiane: sul libro dei canti - dice - l’importante è che ogni parrocchia l’abbia di-verso da ogni altra; e l’esibizione di “gruppo cattolico” serve ogni volta che bisogna far valere“il diritto di occupare qualche spazio parrocchiale”. Altre - tra le 112, ognuna poco più di unapagina, di un libretto 16x12 - nascono in chiesa, ma stendono il loro alone di validità anche fuo-ri: l’aneddoto del “problema complesso” (ovvero: avere la parola facile e la vasta cultura per

p. Luigi Amigoni

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gennaio marzo 2012 Vita somasca

scansare l’impegno); quello di rimbeccarsi a insinuazioni personali durante le riunioni “non c’èdiscussione che metta d’accordo due che vogliano litigare”, quello sulla crisi di coppia pochimesi dopo il matrimonio, riuscito splendidamente fuori porta, con la macchina d’epoca e labomboniera originale “siete stati fidanzati per anni; possibile che non vi siate messi d’accordosu niente?”. Di più: la saggezza spuntata in ambiente cattolico un po’ stantio può avere accen-ti universali come quella di continenti lontani e di antiche culture esotiche. Basta leggere le pa-gine sulle regole dell’infelicità (per rinunciare ad essere felici e aiutare qualcuno a non esser-lo); o quella sullo sgarro fatto al professore dal ragazzo difficile e di famiglia prepotente, subi-to derubricato a “piccolo graffio all’auto” dopo un collegio docenti in cui ognuno ha visto guaiallargabili (chissà se il mondo va storto per la forza del male o per la viltà dei buoni).

Le cinque perle di Giovanni Paolo II I gesti di Wojtyla che hanno cambiato la storiaAlberto Melloni - pp. 154 - Mondatori, 2011Nella miriade di scritti (talora ben riciclati) usciti in occasione della beatificazione di papaWojtyla, avvenuta il 1° maggio 2011, ha fatto specie quello fuori previsione di Melloni, “auto-re di battaglia e di confine”, della temuta e combattuta “scuola di Bologna” (di Alberigo e di-scepoli) e commentatore non tenero di fatti cristiani sul laico Corriere della sera. Con un apparato critico di tutto rispetto (25 pagine per 300 note) e un esame minuzioso delcontesto, Melloni si concentra su cinque momenti che sono, di fatto, espressione della lineaconciliare, fatta propria dal papa con convinzione culturale e sensibilità pastorale: la celebra-zione in positivo dei 20 anni del concilio nel 1985, la visita alla sinagoga di Roma del 1986,l’incontro di Assisi lo stesso anno, la richiesta di pubblico perdono nel 2000, la tenace predi-cazione solitaria contro la guerra in Iraq nel 2003.Le cinque pagine introduttive spiegano la scelta del titolo, la categoria interpretativa dei 5 epi-sodi presentati, la finalità (raccontare conoscenze per distinguere fatto da fatto), opposta aquella di chi vorrebbe liberarsi dal papa polacco o attaccandolo o osannandolo con una over-dose di incenso. L’autore accenna ad altri possibili approfondimenti di interventi wojtyliani:l’invettiva antimafia nella Sicilia delle stragi, la scomunica coerente di Lefebvre o, su un latoopposto, le nomine conservatrici in curia vaticana e nelle diocesi e l’impotenza di fronte almartirio di Romero. I cinque capolavori esaminati del “magistero dei gesti” di Giovanni Pao-lo II sono però tali che la Chiesa può inserirli nel patrimonio degli atti ai quali far ricorso infuturo e per il futuro, perché si collocano sulla via del “Vangelo nel tempo”.

Togliamo il disturbo Saggio sulla libertà di non studiarePaola Mastrocola - pp. 271 - Guanda Editore, 2011 Il libro - che fa seguito ad un altro di denuncia dei mali della scuola - ha conosciuto un buonsuccesso di vendita dopo la presentazione a un programma di successo di Rai3. Ma la ragione più profonda è la radiografia di un malessere percepito da tutti gli interessati alpianeta-scuola; e da quelli che sono di fatto per una facile liceizzazione della scuola italiana eda quelli che sono solo per la preparazione tecnica; e da quelli che sono per una scuola socia-lizzante e generalista (quella che agli Open Day propone innanzi tutto gite di lunga durata emete lontane, insieme con iniziative facoltative più varie); e da quelli che vorrebbero un mag-gior rigore di contenuto e metodo, all’antica. Il risultato dell’attuale “incertezza voluta” è unesercito di “qualcosisti”, quelli che sanno qualcosa, ma non si sa bene cosa; che hanno studia-to qualcosa e alla fine non sanno niente di utile al lavoro. Può essere che l’avanzare della cri-si abbia modificato recentemente alcuni tratti del quadro generale; rimane il fatto che, dopola Spagna, l’Italia è il paese europeo con il più alto tasso di disoccupazione dei giovani fino a24 anni “per inadeguatezza dei candidati e ridotto numero degli stessi”. L’analisi della situazione scolastica è a tutto campo, quasi spavalda, minuziosa nel denuncia-re, ad esempio, “il sessantottismo di chi non ha fatto il 68” e nel rilevare una insospettabileaffinità “tra la nuova scuola e la nuova società del benessere in cui antinozionismo, indulgen-za e mito tecnologico sono respirati a pieni polmoni e cavalcati per i propri scopi individuali-stici e per nulla politici”. Provocatoria risulta la proposta di tre scuole, “pulite e chiare”, cheavanza l’autrice torinese, insegnante di lettere allo scientifico: una scuola per il lavoro, unascuola per la comunicazione, una scuola per lo studio. Ognuna nettamente distinta da ciascu-na delle altre, purché efficiente, rigorosa e coerente con i suoi scopi.

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Oscar Romero “Ho udito il grido del mio popolo”Anselmo Palini - pp. 272 - Editrice Ave, 2010Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento, un piccolo Paese lati-noamericano, fino ad allora mai salito agli onori della cronaca, El Salvador, diviene improv-visamente famoso in tutto il mondo, in quanto si trova ad essere una pedina fondamentalenei contrasti fra le superpotenze mondiali, impegnate in una nuova guerra fredda. In questo Paese, lunedì 24 marzo 1980, verso le ore 18,25, mentre sta celebrando la SantaMessa, appena terminata l’omelia, l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, ècolpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere la voce che nella nazione centroamericana denuncia, senza pau-ra, violenze, sequestri, omicidi, indicando responsabilità e complicità. Si tratta di una voce scomoda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivanocattoliche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo.Per i poveri e gli oppressi è invece una voce amica e fedele, l’unica difesa contro i soprusi ele prepotenze. Il paradosso della vicenda di Oscar Romero è che quest’uomo della tradizio-ne, questo pastore d’anime che aveva del vescovo una visione classica e tridentina e che pergran parte della sua vita non ha avuto alcuno interesse per la politica e per le questioni so-ciali, ad un certo punto, rifacendosi ai documenti del Concilio e a Paolo VI, ha compresosempre più chiaramente, di fronte alle violenze che colpivano i suoi sacerdoti e i suoi fede-li, che era proprio dovere illuminare le realtà terrene con gli insegnamenti del Vangelo. Come giustamente ha scritto il card. Carlo Maria Martini, Romero è stato dunque “un ve-scovo educato dal suo popolo”. Da una terra dove scorreva il sangue, dove gli oppositori erano fatti scomparire, dove i di-ritti umani erano calpestati, la voce dell’arcivescovo di San Salvador, libera e autorevole, haoltrepassato le frontiere ed è stata sentita in tutto il mondo. Quando si rese conto delle sof-ferenze del suo popolo, Romero ne ebbe compassione e da buon pastore se ne fece carico. Andò consapevolmente incontro alla morte e non vi si sottrasse: la logica evangelica gli chie-deva questo e lui vi aderì. Il libro vuole rappresentare un contributo per far conoscere lastraordinaria vicenda di questo vescovo, che pagò con la vita il proprio servizio al Vangelo.Si tratta di un lavoro che intende essere preciso e rigoroso, ma non specialistico. Ha dunque un carattere divulgativo. Non è un testo celebrativo o agiografico, bensì una ri-costruzione puntuale e documentata della biografia di Oscar Romero e una riproposizionedel suo pensiero, grazie ai molti riferimenti alle omelie e agli scritti. Con le numerose note, con la contestualizzazione storica di testi e di vicende, si intende of-frire a tutti la possibilità di accostarsi alla testimonianza, oggi più che mai attuale, che OscarRomero ha offerto con la propria vita e con le proprie scelte.

Il mio amore fragile Storia di FrancescoCatia Cariboni, Gaetano Oliva, Adriano Pessina - XY.IT Editore, 2012Un libro corale e fuori canone che intreccia narrazioni tra loro differenti per tonalità: una vo-ce materna, una filosofica e una teatrale che tutte assieme offrono un’articolata riflessione sul-le costitutive dimensioni della vita umana che si delineano nell’esperienza dell’essere generatie generanti, dell’essere, cioè, uomini, persone umane. Un lavoro di scrittura scandita anzitutto da una voce femminile, quella di Catia Cariboni, che,attraverso un diario materno, racconta la storia di suo figlio Francesco, l’amore “fragile”, chefa da filo rosso agli altri testi corifei: una riflessione filosofica sul significato del venire al mon-do, proposta da Adriano Pessina, un saggio sull’Educazione alla Teatralità, attraverso la narra-zione e una trasposizione drammaturgica scritte da Gaetano Oliva. L’Educazione alla Teatralità, attraverso la narrazione e le azioni sceniche, consente di viverenuove identità e se l’identità è anche la forma che il mondo attribuisce a ciascun individuo, ilteatro consente di togliere una pelle e indossarne un’altra, seppure per un tempo limitato, iltempo della rappresentazione. L’Educazione alla Teatralità permette a chiunque, anche allapersona che sta vivendo un disagio, di dare forma e voce alle proprie sensazioni e ai propri “vuo-ti”, alle proprie ferite, attraverso il fluire semplice e poetico della narrazione. Ecco che il semplice raccontare e dare forma al vissuto rappresenta un modo naturale per ac-quisire consapevolezza, per rielaborare con i propri ritmi e tempi un evento doloroso, oppuredi avere una propria “altra” vita magari più semplice da accettare e da manifestare di quella cherealmente appartiene. L’insieme di queste scritture fornisce così un contributo a quanti sonoimpegnati, a diverso titolo, nel campo dell’educazione e dell’istruzione.

Non so se la caratteristi-ca sia scritta nel DNA so-masco, ma ogni volta chemi capita di sentire unapersona dotata della stes-sa, sento il dovere diascoltarla con particolareattenzione, diametral-mente opposta alla noiadi tutte le certezze di cuisiamo fatti bersaglio dal“pensiero unico” che per-vade giornali, televisione,politica, aziende e bar. Un brutto sentimento dirigetto (nel senso fisiolo-gico della parola) che cipervade ogni volta di più,costringendoci all’appel-lo di tutta la capacità disopportazione di cui si de-ve disporre.Ma qualche volta no.Qualche volta bisognareagire con un no, tentan-do di spiegare un parerediverso e, solo in casi di-sperati, battere in ritira-ta, per incapacità di resi-stere.Capita, quando sen-tiamo che gli extracomu-nitari rubano il lavoro ainostri figli, gli zingari ru-bano (in assoluto o i nostrifigli) e gli emigranti van-no rispediti a casa loro (de-serto libico compreso). Ma anche quando con ilnucleare avremmo risoltosubito i problemi energeti-ci del paese e con gli ince-neritori quelli della mon-dezza e, dulcis in fundo,

quando l’Europa lo vuole;s’ha da fare perché s’ha dafare; e perché sì (o, yes)!Ogni volta la stessa cer-tezza, magari accompa-gnata dal tipico “...e poi inche modo”, aspettandocila conclusione con il clas-sico “...signora mia!”.Sul modo, in questi gior-ni, è tutta incentrata la ri-sposta alle proteste deivalligiani, screanzati chenon sanno isolare i faci-norosi (come se spettassea loro), ignorando ogniperplessità e preoccupa-zione sul pericolo di geno-cidio, strage futura deglioperai, abitanti e genera-zioni a venire (indigna-moci degli indignati!).Il governo assicura chel’amianto “verrà costante-mente bagnato per impe-dire le polveri, e le mace-rie prodotte verranno rac-colte e imballate in massi-ma sicurezza, sotto il con-trollo di un ente terzo”. E così per i costi preven-tivati. Qui il Cacadubbiviene preso dal citato ri-getto e labirintite, pen-sando ai rifiuti radioatti-vi che magari ritorneran-no sotto forma di giocat-toli cinesi o di fumi delbruciatore ecologico deldottor scotti; alle autori-ty superpagate e governo-dipendenti; alle recentisentenze (eternit), che

portano allo scoperto lestatistiche sul mesotelio-ma pleurico nelle zone in-teressate o ai casi di pato-logie e di morte riscontra-ti nel tarantino, ricondu-cibili tutte all’italsider diieri e ilva di oggi.

Poi ci sono le “compensa-zioni”. Chissà se i profes-sori ricordano “La bolladi componenda” di Ca-milleri, dove i malavitosisiciliani dichiaravano alconfessore la strage ol’omicidio prima di com-pierli, pagando per “com-porre” ed essere assolti?(fatto storico provatondr). Ma forse i tecnicinon leggono i romanzi, econ la salute e i soldi de-gli altri pensano alle eco-nomiche sorti e progres-sive del Belpaese.Forse il Trimestre è trop-po... “molleggiato” (e ilmodo ancor m’offende), esi potrebbe concludereprudentemente con un al-tro mantra: “ogni riferi-mento a persone e cose èpuramente casuale”. Invece, stavolta, no!

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Il trimestreIl trimestre

CacadubbiSul dizionario italiano è parola indeclinabile: “il o i” seguita dai dubbi, sempre al plurale, per indicarepersona/e irresoluta, che pone continuamente difficoltà

Marco Nebbiai

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