n.6 del 2010

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La rivista trimestrale "Voci dal San Vicino" rivolge l'attenzione verso le iniziative connesse con il territorio della vallata di San Clemente (APIRO-MC), con argomenti che Vanno dalla cronaca, alla cultura, alla tradizione.

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In questo numero:Padre Matteo RICCI: Un modello ancora valido per l̓oggi."3Eventi attorno al San Vicino"4Lo spazio del museo della Collegiata"5Tradizionale altare dei “1000 ceri” a Frontale"5Il Folclore Nazionale ad Apiro"6Angela Costarelli ci parla del teatro di Apiro..."8I fatti passati ed i progetti futuri"10Parco: che pasticcio!"12... errare et perseverare..."13Due medaglie dʼoro"13La testimonianza"14

Da Frontale ad Aberdeen"14I Campanili di Don Leopoldo"15Salute e benessere"16Lo spazio dei Migrantes."16Pendolari"18... per pensare!"19

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Voci dal San VicinoPeriodico trimestrale di informazione e cultura - marzo 2010 - n° 6Direttore Responsabile - Luigi TALIANIAutorizzazione Tribunale di Ancona n° 19-08.Sede: Ctr. S. Francesto, 28 - 62021 Apiro (MC)

Email: [email protected] Web: www.castripirivalles.itTipografia S. Giuseppe s.r.l. Via Vecchietti n° 51, Pollenza (MC)

Una copia: € 3.00;Abbonamenti:Ordinario: €10,00; Sostenitore: €15,00; Benemerito: €25,00.È possibile abbonarsi presso:Sportelli della Banca CC di Filottrano;“Barbara Casalinghi e Ferramenta” Piazza Baldini, 6 ApiroPresso la Vs. Banca - Bonifico sul CC intestato a Casti Piri VallesIban: IT83 Y08549 68800 000090100662

Venerdì 26 febbraio sabato 20 Marzo

Due date importanti!La prima, data memorabile, scelta a riunione della CPV per guardarci e non piangerci addosso; le facce nuove erano tante, destinate ad aumentare, con la sorpresa di chi si teneva pronto a suonare la campana a morto.Quanto s’è detto, rimbalza e risuona negli argomenti trattati in questo numeroLa seconda, sabato 20 marzo.Siamo invitati a risalire il colle, noi e chi ci apprezza, sensibili agli stimoli quaresimali che ci proibiscono di usare il crocifisso come corpo contundente o di maledizione, sempre in agonia sino alla fine dei tempi. Una rivista, anche la nostra, va letta tra le righe; così diventa viva e provocatoria.Il visivo, come lo scritto, si vede, si guarda e si apprezza; perdiamoci tempo; lasciamo giudicare le apparte-nenze a roboanti tromboni di quarta fila, per lo più fuori tono e di cattivo gusto.E ringraziateci, o ringraziamoci, senz’obbligo, per favore, per le notti da noi impiegate a produrre quanto leggete.Non vogliamo applausi “inventati dai tiranni per soffocare le urla dei condannati”.E che ci porti fortuna l’aver rivisitato e spolverato il grande marchigiano Padre Matteo Ricci, presentatoci in questo numero dall’elzeviro del Direttore, figura che ci ammonì, nel suo tempo, sul nostro essere un po’ meno marchigiani e più cittadini del mondo.Grazie!

Il Presidente della CPV

Luigi Taliani–Direttore; Amedeo Virgili–Segretario e Redattore; Stefano Romagnoli–Progettista e Grafico; Luciano Branchesi - fotografo; Giovanni Loccioni - capocomico teatro; Elvio Sforza – Presidente della CPV

Articolisti – Collaboratori- Abbonati

NOVITAʼ C.C.P n° 1443307 intestato a SFORZA ELVIO - Causale: Castri Piri Valles-abbonamento

AVVISO IMPORTANTE(mentre andiamo in stampa)

ALLEGHIAMO A QUESTO NUMEROUN BOLLETTINO DI C.C.P.SE HAI FATTO IL TUO DOVERE, IGNORALO !!!GRAZIE PER L'ATTENZIONE !!!

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Padre Matteo RICCI: Un modello ancora valido per lʼoggi.! Dopo quattro secoli, torna a “risorgere” la figura del missionario Gesuita Maceratese de-ceduto a Pechino il 10 Maggio 1610. Oggetto in questo anno di particolari e approfonditi studi storici e varie commemorazioni con convegni, mo-stre e pubblicazioni, rivela la sua profonda at-tualità.In un’epoca di globalizzazione che sembra aver annullato le distanze geografiche, è estremamen-te vivo lo stile che ha guidato Padre Matteo Ricci, che è stato quello dell’Amicizia: ”Il fi-ne dell’amicizia non è altro che questo: se l’amico mi è superiore, lo imito e apprendo; se io sono superiore, lo miglioro. Impara e inse-gna, insegna e impara: ambedue si aiutano. Se egli mi è di troppo superiore per imitarlo e ap-prendere o se egli è di troppo inferiore per es-sere cambiato, perché dovremmo stare insieme giocando ogni giorno perdendo inutilmente tempo”.Le parole di Ricci parlano al mondo di oggi e delineano una mentalità. Lo ha detto anche Papa Benedetto XVI: ”L’esempio di Matteo Ricci resta ancora oggi come modello di incontro proficuo tra la civiltà europea e quella cinese”. Avere rispetto per una civiltà millenaria. L’amicizia come stile di chi sa ascoltare e aprirsi al mondo sapendo che il Vangelo eccede ogni cultura. Padre Matteo Ricci studiò la lingua cinese non tanto per farsi ascoltare, quanto per farsi accogliere.Questo è il segno di una profonda amicizia verso la Cina, l’aver amato gli og-getti, la cultura, e le scienze tipiche di quel paese. Oggi i continenti, come dicevamo sopra, si sono avvicinati ma ci sono altri arcipelaghi da conoscere e da accogliere con amore. Capire il linguaggio dei giovani non solo per farsi ascoltare ma per accoglierli. Sembra che questa sia la prima generazione della storia che non senta parlare più di Dio. Nell’ideogramma cinese che indica la parola “amicizia” ci sono due mani che si incontrano. Un uomo tende la mano destra, l’altra la copre con la propria. Stringere amicizia e coniugare le proprie capacità di operare nel mondo. Così si collabora alla consegna di es-sere i custodi della Creazione.

Ringraziamo Luigi Taliani per i suggerimenti sullo studio dello storico Ottavio Turchi.

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In tempi antichi, quando frequentavo la Facoltà di Sociologia ad Urbino, ri-cordo di aver sostenuto un esame in cui era previsto uno studio sulla storia degli odori e dei sapori.Da questo ricordo mi nasce l’idea che, per comprende-re meglio la figura di Ottavio Turchi, sia necessario rievocare anche le usan-ze culinarie del territorio in cui ha vissuto il nostro concittadino.Perché non fare una ricerca storica per riproporre anche questa dimensione agli abitanti delle nostre zone?

La mia perplessità di fronte ad un tema di questo genere ha ceduto il passo ad una curiosità storica in cui si narrava come le varie classi o meglio le varie appartenenze sociali si riconoscevano dai profumi e dai sapori che venivano usati nei cibi.

Luigi TalianiDirettore del settimanale EMMAUS Macerata

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Eventi attorno al San Vicino Brucia lʼaltare della Chiesa di San Giuseppe a San Severino. Di Mauro Grespini

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La chiesa di San Giuseppe, in piazza del Popolo a San Seve-rino, è chiusa dalla notte di Capodanno. Un incendio, sviluppatosi forse per un corto circuito, ha distrutto l’altare, dipinto e dorato, che era dedicato alla Madonna e che, all’ingresso, si trovava nella parte destra della navata. Le fiamme hanno divorato velocemente tutta la struttura lignea, risparmiando solo la statua di Maria costruita in altro materiale. Il pronto intervento dei vigili del fuoco, dei carabinieri e dei volontari della Protezione civile – tempestivamente allertati dal parro-co don Aldo Romagnoli – ha scongiurato il peggio. Il sacerdote, infat-

ti, passando in chiesa prima della mezzanotte per ritirare alcuni oggetti dal suo ufficio, si è accor-to del fumo e ha subito chiesto aiuto per fermare in tempo l’in-cendio. Se il fuoco si fosse pro-pagato al resto della chiesa, sa-rebbero andate distrutte altre preziose opere e sarebbe stata compromessa la struttura stessa dell’edificio, peraltro già lesiona-ta dal terremoto del ’97 e ancora in attesa di finanziamento per i lavori post-sisma.In ogni caso il conto dei danni è piuttosto rilevante: oltre all’altare distrutto, risalente al XVII secolo, non sembrano recuperabili alcuni apparati decorativi; il pavimento vicino pre-senta rigonfiamenti; nel presbiterio si sono verificate cadute di intonaco; e inoltre, sempre a causa del forte calore e del denso fumo sviluppatisi dalle fiamme, risultano gravemente danneggiate la cupola e la volta in camorcanna, coperte da un denso velo brunastro che oscura le pitture di Francesco Ferranti risalenti all’inizio del secolo scorso. Fortemente compromesse sono purtroppo anche le sculture lignee dipinte che raffi-gurano San Giuseppe e il Cristo risorto e che sono opera dell’artista set-tempedano Venanzo Bigioli. Danneggiati, ma salvi gli altri “tesori d’arte” custoditi all’interno della chiesa, come ad esempio i dipinti del fiammingo Ernst Van Schayck o del locale Severino di Lorenzo di Giovangentile, le

opere dello scultore francese Denis Plouvier o l’organo di scuola veneta realizzato da Pietro Nacchini (1757).In attesa del ripristino dell’edificio, tutte le funzioni religiose sono state trasferite nella concattedrale di Sant’Agostino.

Mauro Grespini

Lʼaltare comʼera

MAURO GRESPININato a Camerino il 22 gennaio 1968, residente a San Severino Marche.Maturità classica (liceo "Filelfo" di Tolentino) e diploma Magistrale (Istituto "Gentili" di San Ginesio); laurea in Giurisprudenza e Master in Esperto della comunicazione all'università di Camerino. Giornalista pubblicista dal 1990, pro-fessionista dal 2001. Consigliere, per tre anni, dell'Ordine dei giornalisti delle Marche.Dal 2008 insegnante di Scuola primaria.

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Lo spazio del museo della Collegiata

Tradizionale altare dei “1000 ceri” a Frontale

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  Dal  10  aprile  al  23  maggio  p.v.  avrà  luogo  a  Torino  l’ostensione  della  Sacra  Sindone.    Le  no=zie  storiche   in  nostro  possesso,   sul  sacro   lenzuolo  che  avrebbe  avvolto   il  Corpo  di  Gesù,  dopo  la  crocifissione,  risalgono  al  1453,  quando    Margherita  di  Charny   la  vendeKe  ai  duchi  di  Savoia.  Nel  1578,  quando  il  Duca  Emanuele  Filiberto    spostò  la  capitale  del  ducato  di  Savoia  da  Chambèry    a  Torino,    vi  trasferì  anche  la  Sindone.    Ma  che  relazione  può  avere  la  Sacra  Sindone  con  il  nostro  museo?  In  quei  tempi    il  Duca  Carlo  di  Savoia  donò  per  grazia  speciale,  al  suo  ca-­‐meriere  una  “  gran  parte  del  Velo  della  Beata  Vergine  nostra  Signora”.Il  cameriere  era  un  avo  di  Gio.  Tommaso  Sorle,    doKore  di  Legge  di  Lanzo,  che  ereditò  deKo  velo.  A  questo  punto  tra-­‐scrivo  quanto  risulta  agli  a[  custodi=  nel  nostro  museo:  “So  anche  e  faccio  fede  come  fui  presente  alcuni  anni  sono,  

che   pra7cavo  nel   sudde9o   luogo   di  Lanzo,  come   Auditore   dell’Ill.mo  ed  Ecc.mo  signor  Marchese   di   esso  luogo,   che   il   sudde9o   Sig.   Gio.   Tommaso    per   termine  d’amicizia  che  aveva  col  M.  Rev.do  Padre  Maestro  Teodoro    Pelleoni  dall’Apiro  del-­‐l’ordine  di   San   Francesco  Conventuale   Teologo  del  Serenissimo  Principe  Maurizio  Cardinale   di  Savoia,   donò   al   de9o   Padre   un   pezzo  del   sudde9o   Velo   di  onesta  grandezza…….tale   verità  ho  scri9a……il  dì  2  se9embre   1622.  Firmato  Bernardino  Boschi.Quindi  il  Velo   della  Madonna,   come  la  Sacra  Sindone,  apparteneva  ai  Sa-­‐voia  e  secondo  gli  scri[  presen=  nel  nostro  Museo  una  parte  del    Velo  fu  donata    al  nostro  Mons.  Teodoro  Pelleoni   che   la  portò  in  Apiro.  DeKa  reliquia  fu  posta    nella  Chiesa  di  San  Francesco,  ove  il  primo  altare  a  destra  di  quello  maggiore      fu  dedicato  appunto  al  Santo  Velo.

La  reliquia,   aKualmente,   è   conservata   nella  stanza   del   Tesoro   della   raccolta   di  Sant’Urbano.

Angelo  Pelagalli,  nobile  di  Apiro,  nato  nel  1811  e  morto  nel  1900,  riportando  i  do-­‐cumen=  e  le  tes=monianze  del  Sacro  Velo,  ci  fornisce  queste  no=zie  sul  Pelleoni:    “Monsignor  Teodoro  Pelleoni,  Ve-­‐scovo  di  Monte  Peloso  nel  napoletano  e  prima  Teologo  del  Cardinale  Maurizio  di  Savoia,  celebre  predicatore,  le9era-­‐to,  poeta  e  doRssimo  nelle  scienze  sagre,  che  ha  scri9o  diverse  opere,  tra  cui:    “Due    ragionamen7  sulla  Sacra  Sin-­‐done,  deR  in  Torin;    è  morto  nel  1636.”

Ermete Mariotti

... A tal proposito, la stampa ha scritto:

“Da domenica 14 al martedì 16 febbraio ʻ09 a Frontale di Apiro (mc) il carnevale coincide con la tradizionale adorazione eucaristica annuale, po-polarmente detta anche delle sante quarantore.Per lʼadorazione eucaristica lʼostensorio con lʼostia consacrata è stato collocato in un altare appositamente allestito con alcune centinaia di ceri. Lʼaltare è uno spettacolo di arte e fede e lo chiamano dei mille ceri.Lʼallestimento dellʼaltare dei mille ceri risale al 1877”

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Il Folclore Nazionale ad Apiro

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Con piacere pubblichiamo l’esauriente esposizione dell’Ing. Sergio Scortichini riguar-

dante i Gruppi Folcloristici riuniti a programmare le attività annuali in Apiro.

“Assemblea generale A.M.FO.S. ad Apiro”CHIESA DI SAN SALVATORE 16-17-18 Aprile 2010

Apertura mostra: “Urbanitas: il volo della memoria”Sabato 17 aprile ore 15,00 – 19,00

Domenica 18 aprile ore 15,00 – 19,00

Raccontano il mondo sacro ed il mondo profano, i riti, le feste, la musica e le canzoni. Raccontano i misteri della vita e della natura, le guerre, gli amori, le leggende, le storie di Dio e quelle degli uomini, il cibo, il raccolto, la nascita e la morte. Sono le tradizioni popolari, le rappresentazioni rituali, i dialetti ormai oscuri, le lingue dimenticate, quell'eredità "intangibile" e preziosa che Ernesto De Martino definiva "Mondo Magico" e che, anche in Italia, sono tutelati come patrimonio dell'umanità dalla ratifica di due convenzioni Unesco, una sulla Diversità Culturale e l'altra sui Beni Intangibili.In tale ambito opera l’A.M.FO.S. (Associazione Membri Fondatori Sezione C.I.O.F.F. Italia), fondata nel 2006 e composta da rappresentanti, sia italiani che esteri, di festival internazionali del folclore di assoluto e riconosciu-to prestigio.

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Scopo principe dell’A.M.FO.S. è quello di ufficializzare, consolidare, armonizzare e rendere efficienti rapporti di lungo corso tra una serie di importanti organizzazioni di festival conosciute in tutto il mondo; tra queste spic-cano ad esempio, oltre al Festival Terranostra di Apiro, i Festival di: Tarcento, Assemini, Quartu S. Elena, Ittiri, Minturno e Ligist (Austria).Gli affiliati all’A.M.FO.S. sono tutte organizzazioni senza scopo di lucro che lavorano per ospitare gruppi fol-cloristici composti da artisti non professionisti e provenienti dai più disparati angoli della terra.L’insieme di queste attività di ricerca e coordinamento, culminanti nella realizzazione di diverse manifestazioni sia in Italia che all’estero, vengono esplicate nel pieno rispetto dei principi e delle direttive dettate dal C.I.O.F.F., in quanto quasi tutti i membri aderenti hanno contribuito ad istituire e fondarne la sezione italiana nel 1987. Ben marcate sono le linee guida artistiche ed organizzative dettate da criteri di assoluta qualità definiti dal C.I.O.F.F. (Conseil International des Organisations de Festivals de Folklore et d'Arts Traditionnels) quali, ad esempio, la durata minima di ogni manifestazione, la composizione, la provenienza internazionale e ben assorti-ta dei gruppi ospiti: tra gli addetti ai lavori l’insieme di questi principi fondamentali viene brevemente riassunto con la “regola del 5-5-5”, ossia ogni festival internazionale deve essere organizzato con una durata minima di 5 giorni e con un numero di almeno 5 gruppi ospiti internazionali in modo da poter rappresentare la cultura dei 5 continenti. Il 16-17-18 Aprile 2010 Apiro, nella splendida cornice della restaurata chiesa-auditorium di San Salvatore, si terrà l’Assemblea Generale dell’A.M.FO.S.: una tre giorni, in cui saranno presenti delegati provenienti dall’Ita-lia e dall’estero, ricca di incontri tecnici mirati all’organizzazione delle manifestazioni folcloristiche previste per la prossima estate.

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Angela Costarelli ci parla del teatro di Apiro...COME L’OSTRICA

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I lavori dell’assemblea affronteranno tutti gli aspetti organizzativi, con le relative problematiche, che ogni festi-val si trova a dover affrontare in fase realizzativa (trasferimenti e permanenza dei gruppi, logistica, iniziative culturali, predisposizione dei circuiti, organizzazione tecnica ed artistica ecc…)Il summit sarà di carattere prettamente tecnico e quindi non sarà il “classico” incontro tra gruppi folcloristici, tuttavia a margine dei lavori, nei pomeriggi di sabato 17 e domenica 18, sarà aperta al pubblico la mostra: “Urbanitas: il volo della memoria”, una raccolta di abiti tradizionali di fine ‘800 tipici di Apiro (abiti da ma-trimonio e da lavoro con pezzi originali dell’epoca), strumenti musicali ed altro ancora.A questo punto una domanda sorgerà spontanea nel lettore: “Perché spendere così tante parole?”Il motivo è presto detto, si vuol far conoscere come nasce e si sviluppa il Festival Internazionale del Folclore Terranostra: il lavoro “dietro le quinte”, la passione, la collaborazione e la dedizione necessarie per realizzare un evento che “vive” di Apiro e dei suoi cittadini, che “vive” con Apiro e la sua popolazione, che “vive” per Apiro e gli apirani tutti.Una manifestazione il cui motore è costituito dal Comune di Apiro, per quanto concerne parte finanziaria e tec-nica, e dall’Associazione Culturale e Folcloristica “Urbanitas”, per ciò che riguarda logistica e parte artistica: ciò grazie all’enorme bagaglio di conoscenze maturato dall’associazione in 77 anni di storia e al diretto operato della stessa nell’ambito dell’U.F.I. (Unione Folclorica Italiana) e dell’A.M.FO.S. Una manifestazione il cui carburante è la collaborazione e l’impegno di tutta una serie di altre associazioni del paese.Una manifestazione che è giunta alla sua 40° edizione; uno splendido traguardo e un vanto per un piccolo pae-se, ricco di storia e profonde radici della tradizione.

La sfida per il 2010 è già stata raccolta con l’intento di dar vita ad una edizione commemorativa degna di nota dove si cercherà, ancora più che in passato, di offrire uno spettacolo gradevole, appassionante e di alto livello artistico ospitando alcuni dei gruppi che in passato hanno riportato il maggior successo in Apiro.

Sergio Scortichini.

Mi ricordo che ero molto piccola quando con i miei genitori andai ad abitare in via Giacomo Leopardi, meglio conosciuta, in dialetto apirano come “lappe i forni” perché quasi al suo inizio e alla sua fine c’erano due forni a legna che cuocevano quel pane che le massaie facevano in casa.Su questa via dava la parte posteriore del teatro Giovanni Mestica con l’uscita di sicurezza nel giardino dell’asilo “Francesco Scoccianti” e una grande porta che si apriva sul vasto locale che era il sotto platea del suddetto teatro.In questo stanzone Arcangelo Uncini, custode del teatro e muratore teneva gli attrezzi del suo mestiere...Arcà (così lo chiamavano gli Apirani) era preciso, onesto, scrupoloso e aveva grande cura del tea-tro, conoscendo bene come maneggiare le grosse corde per cambiare scena, spostare le quinte e aprire in due il rosone centrale del soffitto.Un giorno, avevo allora undici anni,mentre ero nella bottega di mio padre, vista la porta dello stanzone spalancata, andai a sbirciare.Vidi da una parte Arcangelo e dall’altra, di fronte a lui, il figlio Francesco: all’unisono giravano la manovella di una specie di carrucola mentre guardavano in alto.Anch’io guardai e con immenso stupore vidi alzarsi il soffitto dello stanzone quasi fosse il coper-chio di una scatola.

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Mi sembrava una cosa tanto strana e corsi da mio padre per avere spiegazioni.E babbo con la sue voce pacata mi disse che stavano alzando la platea a livello del palcoscenico per il veglione ”Una notte di Oriente”.Questo veglione è rimasto nella storia del teatro per la sua unicità. Apiro visse giornate tra fiaba e curiosità. Era tutto un bisbigliare, le ragazze e le loro madri avrebbero voluto sapere quali vestiti avessero indossato le loro amiche, ma vigeva il più rigido ”top secret”.Le sarte, barricate in casa, non facevano entrare che le addette ai lavori e le “indossatrici” degli abiti che stavano preparando. Quel veglione fu epocale (mitico, si direbbe oggi). Correva l’anno 1937. Con alcune compagne di scuola decidemmo di alzarci presto il mattino dopo per recarci al teatro,

per ammirare la “platea alzata” e raccogliere mucchi di stelle filanti con la vaga speranza di trovarvi uno dei cioccolatini offerti da Bruno Bartoloni e fatti piovere dal rosone aperto da Francesco a piene mani.Il teatro era stupendo: sul lato sinistro del palcoscenico l’orchestra del maestro Francolini da Fano ancora suo-nava, c’era un’unica coppia, Raffaele Bartoloni e Anna Cicconi vestita da odalisca, che si muovevano in un grande salone, con sullo sfondo una scena tropicale.Veramente una meraviglia!Ci furono altri veglioni ma con la platea al suo posto.E venne la guerra e poi il dopoguerra. Ci furono altri balli, altri spettacoli. Venne anche Mike Bongiorno. Ma il teatro invecchiava mostrando le rughe della sua de-cadenza. Urgeva un restauro- Chi doveva fare le spese?I condomini proprietari dei palchi dicevano: il Comune!.

Il Comune, rispondeva: i Condomini.Era l’anno 1972. Per risolvere la questione si fece avanti un condomino: l.’avv. Franco Morelli che in fatto di leggi e leggine ne sapeva più dell’Azzeccagarbugli manzoniano e non conosceva la storia della platea mobile, convinse i condomini a cedere i propri palchi al Comune che avrebbe provveduto al restauro con la supervisione del-l’avvocato stesso.Il restauro fu “sui generis” perché le pitture del fermano Gaetano Ga-lassi non furono minimamente toccate ma fu “condannata” la platea che venne sostituita da uno squallido pavimento in cemento. Quel me-raviglioso gioiello di platea “mobile”, ideato dall’ing. apirano Federico Scoccianti progettista genialissimo del nostro teatro, sparì così quasi in un attimo; fummo in pochi molto, molto pochi a protestare.Ciò che unico, meraviglioso, introvabile, la “perla cara” che avrebbe dovuto essere custodita e trattata come un tesoro, patrimonio cultura-le del nostro paese, finì indecorosamente.Mentre scrivo mi tornano in mente antichi ricordi, in particolare un fatto che i nostri trisavoli raccontavano davanti al camino.Il teatro Giovanni Mestica fu costruito sul terreno del convento france-scano. Il convento stesso divenne poi asilo, scuola elementare e me-dia.Mamma narrava che per ben tre volte dovettero rifare le fondamenta e la gente dice “Perché u teatru è locu de perdiziò, San Franesco cò u cordò u butta giò”.Ma il teatro fu costruito con le sue peculiarità ed abbe lunga, lunga vita. Poi fu necessario un pode-roso, accurato restauro.E finalmente nel 2004 fu riaperto alla presenza di ospiti illustri come Katia Ricciarelli. Ma… come “Valentino vestito di nuovo” di pascoliniana memoria cui mancavano le scarpe, così al nostro amato teatro mancano quella perla unica “perla unica” che era la platea e l’acustica perfetta che richiamava qui compagnie di commedianti anche famosi.Speriamo bene per il futuro!Comunque ai posteri… con quel che segue.

Angela Costarelli

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I fatti passati ed i progetti futuri

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Il motoclub "D. Sassaroli" riunito il 27 febbraio riempie i serbatoi e scalda i motori...E noi?Accogliendo l'istanza degli esperti, emerse dal PRIMO CONVEGNO su OTTAVIO TURCHI, tentiamo l'approccio agli inediti del medesimo; passeremo dalle chiacchiere se-colari di molti a fatti editoriali?Studieremo un TEATRABILE rievocando il tema "Le Zitelle", visitando i corposi volumi di archivio.Ultima notizia, ma non meno importante, il fatto di essere venuti informalmente a cono-scenza della conclusione dei lavori di restauro dello STEINWAY, ci trova già in campo per molteplici iniziative.Ve le faremo conoscere in breve.Simpatiche risonanze sul nostro operato, ci permettono di sperare.

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Parco: che pasticcio!.

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Un nuovo Parco: condiviso?Ennesimo, e certo non ultimo, tassello del progetto “Appennino Parco d’Europa” ca-ro al nostrano universo radical-ambientalista, nasce la Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, (brevemente Parco di Rotis). Dopo una gestazione relativamente breve e avara di pubblicità, il 1° dicembre scorso il parco registra l’unanime “placet” del Consiglio Regionale e i primi fondi: 10.000 Euro per le prime spesucce… giacché questa è una delle chiavi di lettura. Pregiudizialmente non sono contrario alla difesa dell’ambiente, ma ha da avere un senso, una ragione condivisa, come i grandi parchi americani, svizzeri o nordeuropei che non nascono “contro” (ad escludendum, come da noi), ma “per”… ossia per la fruizione e parte-cipazione di tutti. I circa 1.500 ettari posti “finalmente” a salvaguardia, il biotopo di eccezionale interesse paesaggi-stico e naturale (gola di Jana,

Bocca de Percu, Sasso Forato), le specie animali presenti (capriolo, gufo reale, falco pellegrino, gatto selvatico, picchio rosso, lupo…. visceralmente amato da pastori, allevatori e agricoltori), i valori storici ivi rinvenibili anche legati al periodo della resistenza sono arrivati a noi so-prattutto in virtù del rispetto delle genti che lì hanno vis-suto e dalla montagna, dai pascoli, dalle sorgenti, dagli alberi, dai poveri campi, dai frutti dei boschi, dalla sel-vaggina hanno trovato ristoro, sostentamento e, nelle abbazie come quella di Rotis, cristiano conforto. Forse che l’area, per lo più ricompresa in territorio Demaniale o in Zona di Protezione Speciale o Sito di Interesse Co-munitario, non era già soggetta a vincoli di salvaguar-dia? E che vincoli: niente caccia, taglio del bosco (giu-stamente) controllato, edilizia (quando mai!) al severo vaglio di diversi Enti sovrani, raccolta di funghi e tartufi anch’essa regimata e onerosa. Ma all’ambientalismo radical-chic, poco o punto aduso ai rigori del San Vicino e Del Can Faito non basta. Gli unici depositari del-l’ambiente reclamano un tratto di penna su una mappa da tracciare nei luoghi del potere, quale surreale

spartiacque tra terre, pur contigue, meritevoli d’impegno alcune, da dimenticare le altre. E ai molti “VIETATO” che delimiteranno il parco seguiranno fondi a più zeri e pro-grammi tipo: alto fusto o progetto lupo, capaci di canalizza-re danari dei contribuenti europei ed anche nostri, con ri-cadute sulle comunità che lascio all’inventiva di ciascuno. L’equazione “parco = soldi” cara ai talebani dell’ambiente non paga più, se mai ha pagato (vds. stato economico della maggior parte dei parchi d’Italia). Parco dedicato alla Resistenza? Basta una stele e la Memoria. Col debito ri-guardo, il vietare la caccia non rende omaggio a chi in quei siti ha vissuto e combattuto fino al sacrificio estremo, avendo forse come unico stacco dalla faticata quotidianità solo un momento rubato al tempo per procurarsi un po’ di carne da accompagnare al pane non sempre quotidiano.

Ivo Amico

Chi è Ivo Amico?Dice di se: “Ivo Amico, di anni 64, da pochi mesi in pensione da bancario. Vivo a Domo di Serra San Quirico (dopo 48 anni a Roma) per scelta di vita”.

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... errare et perseverare...

Due medaglie dʼoro

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CONSIDERAZIONI DI UN DIRIMPETTAIO DELLA SIGNORIA Dopo anni di oblio l’abbazia di S. Urbano, gioiello di architettura romanica dell’XI secolo, presso-ché restaurata, sta per riproporre la sua austera bellezza e, unitamente all’adiacente pertinenza, già recupera-ta a struttura ricettiva, potrà essere forte richiamo per un turismo culturale e ambientale, vista anche la va-lenza paesaggistica ad un passo dal SanVicino. Perché dunque affossare definitivamente questa potenzialità affiancando allo storico complesso una fabbrica di pelletts da biomasse con relativo sistema di cogenerazio-ne, anch’esso a biomasse? Questo infatti è quanto l’Amministrazione comunale di Apiro avrebbe in animo di realizzare (delibera n. 51 del 6 maggio 2009). Il condizionale è d’obbligo solo in riferimento al sito, ma i rumors, insistenti paiono fondati. E’ attuale la querelle associata ad analogo, potenziale “impianto a biomas-se” legato all’ormai ex Sadam di Jesi. Ma lì c’è un dibattito civile che coinvolge tutti: politica, cittadinanza, società civile, sindacati. E ciascuno difende le proprie ragioni: posti di lavoro, possibile inquinamento, ener-gia a costo contenuto. Ad Apiro, invece, pubblicità e dibattito paiono latitare. Un impianto più piccolo, della medesima tipologia, già attivo nel centro storico della cittadina, è stato spento nel dicembre 2009 (credo) e, ad oggi, non è ripartito. Un guasto a un manicotto? Fumi fuori limite nell’atmosfera circostante? Recente-mente la Provincia di Macerata avrebbe chiesto lumi all’Amministrazione. Nell’attesa, i “rumors” e i mu-gugni stanno per sfociare in una manifestazione di protesta a breve. Non sarebbe stato producente rasserena-re la cittadinanza sulla non insalubrità della centrale (che di certo non emette essenza di ciclamino), prima di deliberare un più corposo progetto che, voci di popolo, davano da allocare in contrada Favete, cioè nel-l’abitato, dove c’è chi vota e pare non apprezzare la novità. Perché allora non piazzare questa struttura inno-vativa che non inquina, capace di creare almeno una trentina di posti di lavoro e rimpolpare le scarne produ-zioni agricole locali, in un sito fuori mano, ai confini della “Signoria”? In prossimità di S. Urbano, appunto! Il futuro, anche prossimo, è quello di altri sistemi. Il fotovoltaico, ad esempio, come va dimostrando coi fatti una nota azienda del circondario, accreditata in Europa e nel mondo. E se le centrali a biomasse, rappresen-tano “l’ottava meraviglia” (ne dubitano in molti), rendiamone almeno partecipe chi ci dovrà coesistere.

Ivo Amico

Non sempre è sbagliato perseverare...Il 26 settembre 2009 la Provincia di Macerata ha premiato la fedeltà al lavoro ed al progresso eco-nomico della commerciante Franca Borioni e dellʼartigiano Francesco Saracini per la quarantennale

attività.

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La testimonianza... E la cultura va.Una mamma cinquatenne che non dimentica i metodi Freinet della scuola primaria e si laurea in Scienze della Formazione; uno studente borsista che finisce ad Aberdeen; una fotografa con la passione delle fotografie sui cimeli storici al San Vicino.

Da Frontale ad Aberdeen

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LAUREATA!Laurearsi alla soglia dei cinquant’anni, seppur Scienze della Formazione non richieda una capacità mnemonica pa-

ragonabile a quella necessaria per Giurisprudenza, ha rappresentato una rivincita contro la vecchiaia che avanza, oltre ad una grandissima soddisfazione. Mi ha permesso di conoscere le difficoltà che i giovani si trovano ad affrontare per preparare e sostenere un esame, le ansie, le notti insonni.

Non è stato facile conciliare i molteplici impegni della vita quotidiana, ma la sod-disfazione ha ripagato quattro anni di sacrifici e di tempo libero (poco) passato tra libri, fotocopie e computer.

Il 18 novembre 2009, davanti all’apposita commissione di laurea dell’Università di Macerata ho brevemente esposto la tesi in Pedagogia Generale “La pedagogia di Celestin Freinet e la cooperazione educativa”, titolo che nasconde una realtà lontana nel tempo ma non nello spazio perché è un omaggio che ho voluto rendere ad un no-stro compaesano, il Prof. Giuseppe Tamagnini, nato e vissuto per diversi anni a For-nelle, località nei pressi di Frontale di Apiro, al quale non è stato attribuito il giusto riconoscimento né dai suoi concittadini né dal mondo della pedagogia italiana e della scuola in particolare. Attraverso questo lavoro ho cercato di risalire ai moventi che hanno portato a sperimentare nella scuola povera degli anni ’50 una pedagogia e di-dattica innovativa per quel periodo, sulla quale i riformatori dell’istruzione italiana cercano, o meglio dicono, di orientare la scuola pubblica di oggi.

Tamagnini, prendendo spunto dai principi della pedagogia popolare e della scuola moderna, sintetizzata e realizzata in Francia da Freinet già nel 1925, ha permesso la divulgazione delle tecniche ad impronta cooperativista, focalizzando l’attenzione sul-la centralità del bambino e sui suoi interessi per favorire una motivazione ed un col-legamento con il contesto di vita, tanto distante dalla realtà scolastica.

Tamagnini, insieme alla consorte, Giovanna Legatti, ha permesso che la scuola di Coldigioco divenisse il laboratorio in cui poter dimostrare la possibile realizzazione di una scuola alternativa a quella meramente tra-smissiva, precorrendo i tempi attuali e favorendo gli scambi tra culture tanto diverse, seppur riunite sotto un’unica bandiera.

É difficile con poche parole, esprimere la valenza e la portata del-l’opera di Tamagnini, maestro principalmente di vita, che ha reso queste colline marchigiane testimoni di eventi e personaggi che hanno lasciato il loro segno nell’esperienza e nella letteratura pedagogica italiana.

Marina Beni

A chi non è quiin questo momentoper me importante.

Mio padre,che mi diceva “Impara l’arte e mettila da parte”,

Sergioche non ha avuto il tempo di chiamarmi “mamma”,

zia Piache mi diceva “Tu devi fa’ ‘a maestra”.

  Dopo  la  scuola  media  mi  sono  chiesto  come  tu[   gli  altri  alunni  quale  scuola  superiore  scegliere.  Amando  la  matema=ca  e   le  altre  materie  scien=fiche  più  di  quelle  umanis=che  ho  scelto  di  iscri-­‐vermi  al  Liceo  Scien=fico  Tecnologico  di  Jesi.  Questo  indirizzo  “Tecnologico”  era  diverso  dal  Liceo  Scien=fico  “normale”  diciamo.  Non  prevedeva  lo  studio  del  la=no,  a  favore  di  più  ore  dedicate  a  Informa=ca  e  Chimica.  E’  proprio  durante  le  superiori  che  mi  sono  appassionato  alla  Chimica.  Dopo  aver  conseguito  il  Diploma  al  Liceo  ho  subito  pensato  di  con=nuare  gli  studi  e  ho  dovuto  scegliere  l’università  giusta  alla  quale  iscrivermi.   Il  mio  dubbio  era  tra  matema=ca  e  chimica.  Subito  ho  pensato  che  iscrivendomi  al  corso  di   Chimica   avrei   potuto   avere  più   sbocchi   lavora=vi.   Così   nell’Agosto   2005  mi   sono  iscriKo  al  primo  anno  del  corso  di  laurea  triennale  in  Chimica  all’Università  di  Cameri-­‐no.  L’Università  avendo  pochi  iscri[  nei  corsi  di  Chimica,  Fisica  e  Matema=ca  decise  di  abolire  le  tasse  del  primo  anno  per  favorire  l’iscrizione  a  questo  =po  di  materie.  

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I Campanili di Don Leopoldo(tratto da “Geronimo” del 7 gennaio 2010)

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Dopo  3  anni  di  studio  e  esami  nell’Aprile  2008  il  prof.  Claudio  Pe[nari  mi  ha  accolto  nel  suo  laboratorio  per  un  periodo  di  stage  di  250  ore  come  previsto  dal  mio  corso  di  studi.  Nell’arco  di  questo  tempo  mi  sono  occupato  della  sintesi  di  complessi  di  Vanadio  IV  e  V  con  legan=  acilpirazoloni,  della  loro  caraKerizzazione  anali=ca  e  speKroscopica  e  della  loro  importante  e  innova=va  a[vità  catali=ca.  Conseguita  la   laurea  triennale  nell’  OKobre  2008  con  110,  mi  sono  subito  iscriKo  al  corso  di  Laurea  Specialis=ca  in  Chimica  e  Metodologie  Chimiche  avanzate  (2  anni)   sempre  all’  Università  di  Camerino.  Trascorsi  anche  ques=  due  anni  io  e  un  mio  amico  di  San  Severino  Marche  abbiamo  deciso  di  andare  a  segui-­‐re  all’estero  il  periodo  di  stage  previsto  anche  alla  fine  della  laurea  Specialis=ca.  Un’importante  e  educa=va  esperienza  all’estero  di  5  mesi  che  ci  permeKerà  anche  di  migliorare  il  nostro  inglese.  Davan=  a  noi  avevamo  molte  des=nazioni  da  scegliere:  Finlandia,  Olanda,  Malta,  Scozia,  Inghilterra,  Francia,  Spagna  …..  .  Preferendo  un  paese  di  lingua  anglosassone  il  prof.  Claudio  Pe[nari  ci  ha  consigliato  di  scegliere  l’Università  di  Aberdeen  in  Scozia  che  ha  nei  suoi  laboratori  chimici  mol=  strumen=  anali=ci  all’avanguardia,  indispensabili  da  conoscere  per  le  nuove  fron=ere  della  Chimica  anali=ca.  Ab-­‐biamo  aderito  con  successo  al  concorso  per  l’assegnazione  delle  borse  Erasmus  che  ci  permeKono  di  ricevere  330  Euro  mensili  durante  il  periodo  di  stage  all’estero.  Siamo  tuKora  in  contaKo  con  i  professori  dell’Università  di  Aberdeen  che  ci  hanno  assegnato  come  =tolo  del  nostro  lavoro  “La  speciazione  dei  metalli  nell’ambiente”.  La  speciazione  è  una  delle  nuove  tecniche  anali=che  che  permeKe  non  solo  di  calcolare  la  concentrazione  totale  di  metallo   inquinante  nell’am-­‐biente,  ma  anche  (questo  è  il  faKo  nuovo)  di  capire  in  quale  forma  chimica  si  trova  il  metallo:  se  è  presente  come  me-­‐tallo  allo  stato  libero,  se  è  presente  come  idrossido,  se  è  presente  in  soluzione  in  qualche  solvente,  se  è  complessato  da  qualche  legante,  se  si  trova  absorbito  su  qualche  superficie  ……  .  Questo  sarà  il  nostro  lavoro  di  stage  per  la  tesi  della  Laurea  Specialsi=ca  in  Chimica  e  metodologie  Chimiche  avanzate.  Par=remo  il  prossimo  31  Gennaio  per  Aberdeen  dove  rimarremmo  per  un  periodo  di  5  mesi  circa.

Federico Plebani

Matelica - La storia di 58 sacerdoti raccontata in estrema sintesi in 215 pagine, ma con signifi-cativi aneddoti che permettono di cogliere lo spirito ed il carattere di ciascun protagonista di questa storia.Questo in breve “I campanili” raccontano. Sto-rie semiserie dei preti della nostra terra di Don

Pier Leopoldo Paloni, adito dal-la Halley Editrice di Matelica in occasione del-l ’ a n n o s a c e r d o t a l e . Nell’opera, limi-t a t a a i s a c e r d o t i scomparsi di fine ‘800 e del ‘900 (da Don Giuseppe Ri-ganelli a Padre Alfredo Berta, d a P a d r e Giacomo Mo-sciatti a Don

Pacifico Veschi, da Mons. Tarcisio Cesari, da Don Quinto Tempestini a Don Lino Ciccolini), l’autore si occupa di religiosi e di sacerdoti dei territori appartenuti alle Diocesi di Matelica e di Nocera Umbra. “Il nostro non vuol essere un saggio - ha spiegato Don Paloni - ma uno strumento per capire meglio c i ò c h e l a memoria re-mota ha tra-mandato di q u e s t i s a c e r d o t i analizzando le loro radi-ci”.

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La tradizione dei nostri avi insegnaSalute e benessere

Lo spazio dei Migrantes.Prosegue in questo numero lo scritto di Franco Musarra, dotto apirano che motivi di lavoro e di cuore hanno portato a vivere in belgio

«Con quei lontani monti azzurri… nel cuore». Senza che fossero anni d'esilio(continua dal numero precedente)

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Nell'ultima puntata ci siamo lasciati con i consigli da mettere in atto per chi è affetto da ipertensione arteriosa e sull'uso dell'aglio

in farmacopea,“ terapie” tramandate nei secoli ed ancora

valide.

Oggi la nonna ci dice come depurare l'intestino... senza fare danni!Alimentandoci per un giorno intero con composto di mele (aggiungendo a piacere qualche prugna) aiuta a perdere peso: la mela contiene, infatti, molto potassio che facilita l'eliminazione dei liquidi. Oltre alla perdita di peso, la cura a base di mele ripulisce l'intestino, perché la pectina in esse contenute agisce come una “spazzola” sulle pareti intestinali. Questa “terapia” non influisce sul rendimento intellettuale, per il suo basso contenuto di sodio, è indicata anche per chi ha problemi di ipertensione.

Preparazione: lavate ed affettate 10 mele, cuocetele senza picciolo, ma con buccia e semi per ¾ d'ora a fuoco lento.Seguire la dieta con la composta ad ogni cambio di stagione. Assumere la composta ad intervalli regolari di 4 ore al massimo, fino a consumare la quantità preparata. Durante la giornata di cura bere almeno 1 litro di acqua oligominerale.

Chicche di saggezza popolare dal passato... un po' strambe.

“Contro la febbre: affettate una cipolla e cospargetene per terra le fette; quindi a piedi scalzi calpestate la cipolla e restateci sopra per mezz'ora. Si possono inserire le fettine di cipolla direttamente nei calzini! Sentita da un contadino del Trentino”.

ve la riporto come sentita, ma non ve la consiglio.

Arrivederci alla prossima puntata con un caro saluto a tutti i lettori.

Dr. Andrea Borgoforte Gradassi

.Nel numero precedente è stato introdotto l’argomento e il Prof. Franco Musarra si è presentato, ricordando la sua gio-ventù e quella di tanti compaesani che hanno scelto di vivere lontani dalla terra natale. In questo numero, riportiamo la

parte mancante dello scritto, certi di fare cosa dovuta e gradita.

.. Il risultato dell'esilio può essere dunque positivo o negativo. Può comportare un ampliamento dei propri oriz-zonti o un malinconico chiudersi in sé; l’esilio come sofferenza interiore, fonte di una poesia intimistica e con-solatoria, con il senso di una gravosa perdita d’identità. Tra gli esempi a tutti noti sul tema del ritorno, mi limi-to a ricordarvi L'uomo è forte di Corrado Alvaro e La luna e i falò di Cesare Pavese. D’altronde ci si potrebbe soffermare anche su varianti particolari della problematica come Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi o sulla rappresentazione ironica dei parenti emigranti che ritornano in visita in Gli zii d'America di Leonardo Sciascia - un autore che non ha mai voluto allontanarsi dalla Sicilia -, per non entrare poi nella cosiddetta letteratura della migrazione.

Può essere dunque il contesto politico e/o sociale a spingere (o costringere) all’esilio. Nell’ottobre 1301, ad esempio, Dante era tra gli ambasciatori fiorentini per una missione politica a Roma, quando seppe dei capo-volgimenti politici a Firenze, e non rivedrà più il suo «bel San Giovanni» (Inferno, XIX, 17). Autori importanti per lo sviluppo di tale esperienza dell’esilio sono Foscolo («In lungo esilio tra spergiure genti») - Le ultime let-tere di Jacopo Ortis è uno dei romanzi più rappresentativi per il tema dell’esilio nel Risorgimento italiano - e Silone, per il periodo trascorso in Svizzera durante il Secondo Conflitto Mondiale.

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La “lontananza” può derivare anche da una scelta personale dettata non tanto da necessità economiche, quanto dalla curiosità verso il nuovo e dal desiderio d'informare di sé l'altro e dell'altro i propri conterranei (gli altri). In questa dimensione le figure più emblematiche e affascinanti sono Marco Polo, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, figure entrate negli spazi immaginari di tutti gli uomini. Esilio dunque come scelta volon-taria. Moltissimi sono poi i prolungamenti; si pensi ai diari di viaggio di missionari, alla memorialistica del Settecento e dell'Ottocento, ai tanti autori e giornalisti del Novecento, e oggi ai documentari degli inviati della televisione. Il “viaggio” si può svolgere sia nello spazio sia nel tempo, anche a ritroso. Si pensi alle trasmis-sioni di Piero D’Angela.

Si tratta in ogni caso di un arricchimento reciproco. Importante è allora che l'estraneo dia di sé un'immagi-ne positiva. Per questo fondamentale è il rapporto con la patria per superare stereotipi, tabù, preconcetti, cli-chés. Tenendo conto del nostro retroterra culturale la condizione degli italiani sembra privilegiata, ma può es-sere anche un'arma a doppio taglio, dato che può generare invidia, gelosia e così via. Sta a noi non cadere in comportamenti che potrebbero avvallare l'immagine negativa: come l'italiano è rumoroso, poco educato a ta-vola (e pensare che si devono a trattatisti come il Della Casa le riflessioni su come ci si deve comportare), inaffidabile nei rapporti “amorosi”, volubile, “furbetto”, poco serio nel lavoro (se non addirittura imbroglio-ne), e sarebbe lungo elencarli tutti, ma uno non va taciuto (ed è quello che mi ha sempre offeso, anche se detto in senso scherzoso): "mafioso". I punti di riferimento sono i paesi che conosco meglio, per avervi vissuto: l'Olanda, il Belgio, la Germania, la Francia, la Danimarca, l'Inghilterra. E potrei raccontare fatti inimmagina-bili a proposito, come la scritta in italiano «Proibito l’ingresso agli stranieri» in un bar di Wuppertal (Germa-nia) negli anni sessanta.

A conclusione non bisogna dimenticare che l’eccessiva curiosità dell'altro può portare alla perdita della propria identità, a uno sradicamento.

Per finire una raccomandazione: Per l’immagine dell’Italia all’estero è dannoso “quel gioco a distrug-gersi” che guida nei nostri giorni il comportamento di tanti politici e giornalisti, in cerca di una facile, superfi-ciale e ampia "risonanza". Per gli italiani che vivono nel mondo è un danno oggettivo e un'offesa spiritua-le. Si può anche accettare che la Rai oscuri per diritti di autore le trasmissioni all'estero delle partite della na-zionale di calcio, ma che venga oscurata la trasmissione dedicata a Luciano Pavarotti la sera della sua morte o che si dedichi 30 secondi del telegiornale di Rai I per annunciare la morte di Mario Luzi, per non rubare spa-zio al festival di San Remo o che il palinsesto del telegiornale sia composto per più della metà da "indagini giornalistiche" intorno a fatti di cronaca nera, ecc., sono indici di un imbarbarimento impensabile per i "giova-ni vecchi” della mia generazione, che purtroppo tacciono, mentre dovrebbero far sentire di più la loro voce di protesta. E vi assicuro che queste lamentele non sono il risultato di un malinconico vittimismo senile, ma nascono dalla convinzione di chi per più di 42 anni ha insegnato ai giovani di varie nazioni europee i grandi valori presenti nella Letteratura e nella Cultura italiana, con in mente sempre i magnifici versi che Dante mette in bocca al suo avo Cacciaguida: «Tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente; e questo è quello strale / che l’arco de lo essilio pria saetta. // Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.» (vv. 55-57).

Quando avevo iniziato a riflettere sulla problematica dell’esilio mi sembrava di avere le idee chiare, ma più andavo avanti nella scrittura più il cristallo si frantumava in mille schegge con riflessi diversi e varianti molteplici che mi occhieggiavano e mi ammiccavano richiedendo di essere approfondite, il che vorrei fare nei prossimi anni. Per ora posso trarre un’unica conclusione: di fondamentale importanza è che si mantengano vivi i contatti con il proprio paese natale e che ci sia uno scambio continuo d’informazioni. Vi posso assicurare che la “diaspora” di tanti di noi ha significato anche un arricchimento per chi è restato e ha continuato a “tes-sere la tela” del paese. Sul rapporto tra l’esule e i suoi familiari, Mario Luzi ha scritto una bellissima poesia, Parca-Villaggio, che apre l’edizione completa delle sue opere liriche: «A lungo si parlò di te attorno ai fuochi / dopo le devozioni della sera / in queste case grigie ove impassibile / il tempo porta e scaccia volti d’uomini; // Dopo il discorso cadde su altri ed i suoi averi, / furono matrimoni, morti, nascite, / il mesto rituale della vita. / Qualcuno, forestiero, passò di qui e scomparve. // Io vecchia donna in questa vecchia casa, / cucio il passato

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Pendolari

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Ho 14 anni e sono una pendolare.

Nessuna polemica, ovviamente: non sono l’unica e nemmeno la prima. Ma lo svantaggio che io ho e che altri non hanno è quello di vivere in un paesino sperduto. Ogni mattina mi sveglio presto (alle 6 e 30!!), mi preparo in fretta e furia e, invece di uscire di casa e raggiungere comodamente a piedi la fermata dell’auto-bus, sono costretta a fare due o tre chilometri in macchina scomodando quella poveretta di mia madre. Una volta raggiunta la fermata, se la corriera non è ancora arrivata devo aspettare qualche minuto in macchina al calduccio, perché altrimenti fuori si gela, compatendo chi è costretto ad aspettare sotto la pensilina men-tre piove e fa un freddo cane. Salita sull’autobus mi aspettano 40 minuti di viaggio da trascorrere in qua-lunque modo possibile. A volte cerco di dormire nonostante gli schiamazzi di chi anche di prima mattina riesce a urlare e scherzare. Altre volte ascol-to la musica o ripasso per la lezione del giorno. Anche se può sembrare molto noioso e stancante, cerco sempre di pensare a coloro che salgono sulla corriera alle 6 e 20 o addi-rittura alle 6. Ma giunta a Jesi, in procinto di scendere dall’autobus, per quanto questo non sia un luogo divertente, preferirei rimanere lì piuttosto che passare la giornata sopra un banco di scuola aspettando con ansia che suoni la campanella delle 1 e 05. E dopo un estenuante giornata di scuola, altri 40 minuti di viaggio con un buco allo stomaco per la fame. Al ritorno, quando sono un po’ più sve-glia, preferisco chiacchierare con le mie amiche o ascoltare la musica con gli aurico-lari. Devo ammettere che è davvero stancante stare sette ore fuori casa, senza contare il tempo in meno che mi rimane per studiare rispetto a quelli che, usciti da scuola, tornano a casa in cinque minuti e dopo mezz’ora cominciano a fare i compiti. Quindi, se io finisco di studiare alle 9:00, loro alle 8 sono già al computer, probabilmente su facebook, e hanno finito da un pezzo. Sì, perché loro, se vogliono uscire con gli amici, non devono programmare il pomeriggio minuto per minuto coordinandosi con gli orari delle corriere. Mettiamo caso io voglia uscire due ore con gli amici, sicuramente dovrò stare minimo 3 ore fuori casa. E’ anche vero, però, che dovermi muovere con l’autobus mi rende decisamente indipendente, sviluppando la mia capacità di organizzazione e abituandomi al fatto che non tutti stanno dietro alle mie esigenze: la corriera non aspetta nessuno. Infine, 40 minuti sono tempo prezioso quando il giorno prima non sono riuscita a finire di studiare.In conclusione, essere una pendolare ha i suoi svantaggi, ma anche i suoi vantaggi.

Sara Bravi - Agnese Galatolo

col presente, intesso / la tua infanzia con quella di tuo figlio / che traversa la piazza con le rondini». La voce che parla è quella della madre, rimasta nel paesello … e sono parole che avrebbe potuto dire (e delle quali sicuramente aveva il sentimento pur non avendo la capacità di renderlo parola poetica) mia madre e tante madri rimaste ad Apiro ad attendere il ritorno dei figli e dei nipotini. Mi rendo conto che uno studio a tutto campo sugli italiani nel mondo (e sugli apirani nel mondo) è complesso, ma necessario e ancora da fare, e non sarà cosa semplice.

Franco Musarra

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... per pensare!

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“Staccia Stacciola” AA.VV pag 175

... Io ce vo’! ... A sentìperché o’ pà è rcalatu

... ABBÒNATI A “VOCI DAL SAN VICINO”...ORDINARIO € 10,00SOSTENITORE € 15,00BENEMERITO € 25,00

CAMPAGNA ABBONAMENTI 2010 (INFO A PAG. 2)

... NELL’ARTE...DURANTE I SECOLI

DIAPOSITIVE - ASCOLTOTUTTI INVITATI SUL COLLE!!

AL TERMINE DISCUSSIONE SUI FUTURI PROGRAMMI DELLA CPV

IL CRISTONELLA

PASSIONE

20MARZO

2010

ORE 21:00

CHIESA

SAN SALVATOREFUORI LE MURA - APIRO

O tiri, o spingi, in salita, con la carriola,hai sempre il vento contro

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SPAZIO SPONSORIALEAPPELLO AGLI ESTIMATORI

LO SPAZIO LIBERO RIEMPITELOSARETE CONOSCIUTI ED APPREZZATI!!!