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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALE ANNO XLII - N. 164-165 - SETTEMBRE-DICEMBRE 2012 - 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ 1 64-165 NUMERO Improvvisazione e segno grafico Formazione audio-percettiva Viaggi musicali in Brasile Musica e lingua straniera Improvvisazione e segno grafico Formazione audio-percettiva Alla ricerca del liuto-cembalo Valutazione e strumento musicale _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________

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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALEANNO XLII - N. 164-165 - SETTEMBRE-DICEMBRE 2012 - † 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO

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Improvvisazione e segno grafico

Formazione audio-percettiva

Viaggi musicali in Brasile

Musica e lingua straniera

Improvvisazione e segno grafico

Formazione audio-percettiva

Alla ricerca del liuto-cembalo

Valutazione e strumento musicale

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3MusicaTrimestrale di cultura e pedagogia musicaleOrgano della SIEM

Società Italiana per l’Educazione Musicalewww.siem-online.itAutorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380Anno XLII, numero 164-165, settembre-dicembre 2012

Direzione responsabileMariateresa Lietti

RedazioneAlessandra Anceschi, Lara Corbacchini,Anna Maria FreschiImpaginazione e grafica Fabio Cani / NodoSegreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4 - 40126 Bolognae-mail: [email protected], Torino

EditoreEDT srl, 17 Via Pianezza, 10149 TorinoAmministrazioneTel. +39 011 5591816, Fax +39 011 2307034e-mail: [email protected]àManuela Menghini, EDT: [email protected],tel. +39 011 5591849Abbonamenti e PromozioneEloisa Bianco, EDT: [email protected],+39 011 5591831Un fascicoloItalia euro 5,00 - Estero euro 6,50Fascicoli arretratiItalia euro 7,00 - Estero euro 8,50Abbonamenti annualiItalia euro 18,00 - Estero euro 22,00,comprensivo di quattro fascicoli della rivista.Gli abbonamenti possono essere effettuatiinviando assegno non trasferibile intestato aEDT srl, versando l’importo sul c.c.p. 24809105intestato a EDT srl, tramite carta di creditoCartaSì, Visa, Mastercard, con l’indicazione“Musica Domani”.La rivista è inviata gratuitamente aisoci SIEM in regola con l’iscrizione.Quote associative SIEMSoci ordinari e biblioteche euro 43,00 - Studentieuro 28,00 - Soci sostenitori da euro 86,00 -Triennali ordinari e biblioteche euro 110,00 -Triennali sostenitori da euro 220,00 - Soci giovanieuro 8,00.Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404,intestato a Società Italiana per l’Educazione Musicale,Via Dell’Unione, 4 Bologna. Per comunicazioni erichieste: tel. 051-2916500 fax 051-228132 - cell.339-1031354 - e-mail [email protected] -recapito postale SIEM - Casella postale 396 - UfficioBologna Centro - 40126 BolognaIscrizione all’ISMEInternational Society for Music EducationSocio individuale per un anno, senza riviste, US$35; con le riviste US$ 59. Socio individuale per dueanni, senza riviste US$ 65; con le riviste US$ 113.Le riviste sono: International Journal for MusicEducation, 2 numeri l’anno; Music EducationInternational, 1 numero l’anno. Le quote possonoessere versate con carte di credito Visa, AmericanExpress, Master Card o chèque bancario a: ISME

International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909Western, Australia - fax 00 61-8-9386 2658.Sarebbe opportuno che l’iscrizione e il pagamentocon carta di credito venissero accompagnati dalmodulo d’iscrizione debitamente compilato ereperibile presso il sito web dell’ISME:www.isme.org/application.

DOMANI

Editoriale5 Mariateresa Lietti

GermogliPratiche educative6 Antonio Giacometti

Meu primeiro Brasil9 Carlos Roberto Caldas - Alice Sophie Sarcinelli

L’arteducazione e le piccole rivoluzioni18 Chiara Zampetti

Un orecchio per due linguaggiStrumenti e tecniche22 Mirio Cosottini - Alessio Pisani

Non linearità e segno grafico28 Ana Maria Davie

La formazione audio-percettiva34 Mariateresa Lietti - Gianni Podda

Liuto-cembalo: un binomio fantastico?Ricerche e problemi42 Sabina Vidulin-Orbanic

Educazione musicale in Croazia: ieri, oggi, domaniConfronti e dibattitiMariateresa Lietti (a cura di)50 Valutazione e strumento musicale �

Interventi di: Annibale Rebaudengo, Lucia Di Cecca, Mariacarla Cantamessa, Elisa-betta Betti

Libri e riviste62 Corrado Vitale, Un Rameau per il rock

(su TAGG, La tonalità di tutti i giorni, il Saggiatore)62 Anna Maria Freschi, Scheda

(su TARQUINI, Conservatorio, Ediesse)63 Alessandra Anceschi, Scheda

(su CARMINATI - DORINI, Ascolta il mio suono, edizioni la meridiana)64 Rossella Fois, Strategie efficaci per la dislessia

(su OGLETHORPE, Dislessia e strumento musicale, Rugginenti)64 Luca Marconi, Da non perdere65 Maddalena Patella, Scheda

(su Ma che musica… in dolce attesa!, Curci)66 Una finestra su… Collana didattica dell’Orff - Schulwerk Italiano66 Lara Corbacchini, Questioni di stile

(su CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento, Carocci; CANTOIA - CARRUBO -COLOMBO, Apprendere con stile, Carocci; CORNOLDI - DE BENI - GRUPPO MT, Imparare astudiare, Erickson; PERTICONE - POLIZZI, Valutare gli stili cognitivi nel problem solving,Erickson)

68 Annibale Rebaudengo, Scheda(su GEMMO, Segno e suono nel tempo, Tangram)

69 Maurizio Disoteo, Un viaggio critico nel secondo Novecento(su DELIÈGE, 50 ans de modernité musicale, Mardaga)

70 Una finestra su… Materiali di musica d’insieme per principianti70 Roberto Neulichedl, Immaginare ed essere tra reale e virtuale

(su ZAFRA, Sempre connessi, Giunti)71 Antonio Grande, Scheda

(su ROSLUND, Consapevolezza armonica, Armelin Musica)72 Annibale Rebaudengo, Scheda

(su BRUSER, L’arte di esercitarsi, EDT)73 Roberto Albarea, Rassegna pedagogicaRubriche5 Alessandra Anceschi (a cura di), MATERIALI DI CLASSE: Usare Prezi a scuola di Leo Izzo�15 SEGNALAZIONI di Mariateresa Lietti, Francesco Federico, Adriana Mascoli, Rossella Fois27 Amalia Lavinia Rizzo (a cura di), SUONI PER L’INCLUSIONE: Partiamo? Un gioco-viaggio

per l’inclusione di Giuseppe Massimo Rizzo �33 Mariateresa Lietti, NOTE A MARGINE: Radici o fiumi?39 Vide@mus, a cura della redazione: Travestimenti �40 Annibale Rebaudengo (a cura di), STRUMENTI CREATIVI: Katya Genghini, L’allievo di ta-

lento e l’insegnante creativa41 CACOFONIE: Musica cAustica47 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Con Toti60 Lara Corbacchini, RICERCARE: A orecchio… ma con stile!74 Marco Fedi, SPECIALE CONVEGNO: Aspettando il convegno SIEM 201278 GIORNALE SIEM: Tutta la musica per tutti: tra fare e capire

In copertina:Rielaborazionedi un’immaginedel Progetto Axé

questo richiamo indicache materiali e approfondimenti

sono presenti suwww.musicadomani.it

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Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università di UdineElisabetta Betti docente di Violino, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, Firenze

[email protected] Roberto Caldas educatore di strada del progetto Axé

[email protected] Cantamessa docente di Flauto, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, Alba

[email protected] Cosottini docente del Laboratorio di Improvvisazione, Conservatorio di Padova

[email protected] Maria Davie docente di Educazione Audiopercettiva, Milano

[email protected] Disoteo Centro Studi Musicali e Sociali Maurizio Di Benedetto

[email protected] Di Cecca docente di Pianoforte, Conservatorio di Frosinone

[email protected] Fedi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Prato

[email protected] Fois musicoterapista, docente di Clarinetto, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, Milano

[email protected] Genghini pianista, compositrice, musicologa, Milano

[email protected] Giacometti docente di Composizione, Istituto Superiore di Studi musicali, Modena

www.a-giacometti.itAntonio Grande docente di Discipline analitiche, Conservatorio di Como

[email protected] Izzo docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado

[email protected] Marconi docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di Como

[email protected] Neulichedl docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di AlessandriaSabina Vidulin Orbani docente di Pedagogia musicale e Didattica della musica, Università di Pola, Croazia

[email protected] Patella docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Rimini

[email protected] Pisani docente di Fagotto, Conservatorio di Ferrara

[email protected] Podda direttore del Laboratorio di Strumenti a tasto dell’Accademia del Santo Spirito, Torino

[email protected] Rebaudengo docente di Pianoforte e formatore, Milano

[email protected] Lavinia Rizzo pianista, docente di Sostegno, Scuola Secondaria di primo grado, Roma

[email protected] Massimo Rizzo docente di Sostegno nella Scuola Secondaria di primo grado, Milano

[email protected] Sophie Sarcinelli dottoranda all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi

[email protected] Sedioli formatrice e autrice di mostre e installazioni sonore, Ravenna

[email protected] Vitale docente di Elementi di composizione per didattica, Conservatorio di Perugia

[email protected] Zampetti docente di Scuola Primaria, Gubbio

[email protected]

Redazione

Mariateresa Lietti docente di Violino, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, [email protected]

Alessandra Anceschi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Reggio [email protected]

Lara Corbacchini docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

Anna Maria Freschi docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

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5Mariateresa Lietti

Un nuovo anno scolastico è ormai cominciato in mezzoa difficoltà e segnali inquietanti.Le esperienze positive, che pure continuano a esistere,fanno fatica a sopravvivere e i sentimenti dominanti nel-la scuola sembrano essere stanchezza e rassegnazione.Aspetti marginali prendono frequentemente il sopravventofacendo perdere il senso vero delle cose, e spesso ci siritrova a lavorare in solitudine. Eppure ragazzi e ragazzehanno sempre più bisogno di adulti che sappiano appas-sionarsi e mettersi in gioco nella relazione con loro. Ma,in fondo, non è di questo che anche noi docenti abbiamobisogno? Forse dovremmo fare uno sforzo tutti insiemeperché la scuola torni a essere un luogo appassionante, incui si sta volentieri, che cura le relazioni e apre prospet-tive, che fa sorgere curiosità e speranze e dà gli strumentiperché possano realizzarsi. Tutto questo lo dobbiamo anoi stessi innanzi tutto, oltre che alle nostre allieve e ainostri allievi.Forse potremmo provare a staccarci dalla burocrazia che ciassilla e ci prosciuga e ricominciare a sognare. In fondoanche piccole cose possono essere un pretesto per farlo.Come contributo propongo una breve poesia di EmilyDickinson, poetessa che sa essere lieve e profonda insieme.La traduzione è di Alessandro Quattrone ed è contenutanella raffinatissima raccolta Non c’è nave che possa comeun libro, pubblicata nel 2011 da Motta Junior con le illu-strazioni di Brunella Baldi.

Germogli

�� Materiali di classea cura di Alessandra Anceschi

(www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Materiali di classe)

In corrispondenza con l’uscita di questo numero, sono scaricabili dalla rubrica on-line materiali relativi a:

- Usare Prezi a scuoladi Leo Izzo

L’accesso e lo scaricamento sono riservati ai sociche possono richiedere nome utente e password scrivendo a:[email protected] proposte vanno inviate a [email protected] con le modalità indicate sul sito.

By Chivalries as tiny, Le cortesie più piccoleA Blossom, or a Book, - un fiore o un libro –The seeds of smiles are planted - piantano sorrisi come semiWhich blossom in the dark. che germogliano nel buio.

Con la speranza che, anche nel buio che ci circonda, isorrisi seminati dai nostri suoni riescano a germogliarerigogliosi.

Poco prima che la rivista vada in stampa apprendiamo lanotizia della morte di Paola Faccidomo.Paola è stata una figura di riferimento per la SIEM e pertutte noi della redazione e ha dato un contributo generosoall’associazione per molti anni. La sua presenza affettuosae intelligente è stata preziosa e sono sempre state di con-forto e sostegno la sua capacità di ascoltare e la sua atten-zione alle sfumature (a lei sarebbe piaciuta la poesia diquesto editoriale). Sapeva discutere con grande rispetto pertutte le idee e con il piacere di confrontare anche punti divista diversi.Paola ora non c’è più, ma ci restano – oltre ai ricordi – lesue lettere affettuose, anche recenti, di stima e sostegno allavoro della rivista.Sarà compito nostro tenerla con noi, con la nostra musicae con il nostro lavoro.Crediamo che questo anche lei vorrebbe.

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6 Antonio Giacometti

In questi «appunti a distanza su un viaggio didattico»,come li definisce l’autore, viene messa in luce la carica dienergia, entusiasmo, passione, speranza nel futuro che ca-ratterizza in questo momento storico il Brasile, ma anchealtri Paesi dell’America Latina. Pur in presenza di realtàdegradate, con gravi problemi economici e sociali, emergecon forza la capacità della musica e dell’arte di coinvolgeree recuperare bambini e giovani offrendo loro la possibilitàdi costruire un futuro migliore.

Quando inizio a scrivere queste note, fa un anno esattodalla conclusione della mia breve avventura nell’altro emi-sfero. Una settimana nel sud del Brasile, a Porto Alegre,per un corso sulla creatività musicale nell’età infantile, unasettimana a Rio de Janeiro per una conferenza presso l’uni-

Meu primeiro Brasil

versità di Barra Mansa sullo stesso tema. Nel riordinare imiei pensieri su quei giorni impegnativi e indimenticabili,la prima cosa che mi assale è quella sorta di nostalgiasinestesica che i brasiliani chiamano Saudade: un misto diricordi olfattivi, visivi, uditivi e tattili che ti assale periodi-camente, alimentando il desiderio del ritorno. Anche noieuropei le abbiamo avute, le nostre Saudade, e le abbiamochiamate Sehnsucht e Spleen; ma questo senso di malin-conica nostalgia tropicale velata di desiderio ha ben pocoin comune con il disperato struggimento romantico o conla tristezza meditativa e un poco oppiacea dei decadentisti.In realtà, il Brasile diventa tuo in poco tempo e, dopo,continua a “chiamarti”, usando la Saudade come il cantoammaliatore e seduttivo delle sirene. Oggi, poi, secondodecennio del 2000, la Saudade assume anche l’aspetto piùdiretto di una nazione giovane (forse sarebbe meglio chia-

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7marlo continente, coi suoi otto milioni e mezzo di chilo-metri quadrati) che, pur immersa in forti contraddizionisociali e coi vizi politici lasciati in eredità da una lungadittatura, sta vivendo una stagione di entusiasmo, di vo-glia di fare, di progettualità sociale e culturale che il no-stro continente, vecchio come storia e come età media,non riesce a rinverdire ormai da alcuni anni, e non solo acausa della contingente crisi economica.Non starò tediosamente a dilungarmi su questioni di con-tenuto relative ai miei interventi per il semplice fatto chenon ho detto o fatto nulla che dalle colonne di questa rivi-sta non sia stato descritto e discusso altre mille volte damille punti di vista. Né sono in grado di mostrare quadrigenerali sulla situazione educativo-musicale brasiliana,vista la parzialità dell’angolo di visuale che (obtorto collo,a dir la verità) mi sono potuto concedere. Quindi, dato perscontato che ho trovato gente tranquilla, attiva e vogliosadi fare, collaborativa e rispettosa fino al punto da conce-dere continue imbeccate lessicali al mio portoghese danovizio (provate a fare una conferenza in Germania e ve-dere che cosa succede), mi limiterò ad alcune informazionie sensazioni personali, utili punti di partenza, spero, perulteriori riflessioni e approfondimenti.Con la legge n. 11.769 del 18 agosto 2008, in Brasile lamusica diventa «contenuto obbligatorio in tutta l’Educa-zione di base». A distanza di quasi mezzo secolo, le finalitàsono come le nostre: «l’obiettivo non è quello di formaremusicisti, ma di sviluppare la creatività, la sensibilità el’integrazione degli alunni». E il 2011 è stato l’anno limiteperché le scuole, tutte, pubbliche e private, inserissero l’in-segnamento della musica nei loro curricoli. Stessi obietti-vi, ma anche stesse problematiche: carenza di spazi attrez-zati, carenza di fondi per allestirli, carenza di personalescolastico in grado di sostenere un insegnamento che siadegno di questo nome. Stessi obiettivi, stesse problemati-che, ma una sostanziale differenza nella scelta di fondo:anche nella scuola materna ed elementare gli insegnantidovranno essere musicisti pedagogicamente formati o lau-reati in facoltà di pedagogia nelle quali s’insegni anchecome utilizzare la musica durante le lezioni, visto che at-tualmente «molti professori mancano di conoscenze al puntotale da ritenere che la lezione di musica sia solo cantare egiocare» 1. Il governo brasiliano ha già predisposto un con-corso nazionale per individuare gli insegnanti capaci digarantire che la legge del 2008 non resti lettera morta.In questa movimentata cornice contestuale si colloca lamia visita al dipartimento di pedagogia dell’UFRGS

(Universitade Federal de Rio Grande do Sul) a Porto Alegre,presso il quale ho tenuto dodici ore di corso sulle

metodologie creative di approccio alla musica d’insiemenella scuola primaria. Un intervento rivolto a musicisti,insegnanti e ricercatori universitari, accomunati dall’in-teresse per il tema della composizione coi bambini, anchesulla scia delle belle esperienze condotte dal loro coordi-natore Graciano Lorenzi, di cui “Musica Domani” pubbli-cò un paio d’anni fa il contributo Comporre e registrarecon adolescenti (n. 153, dicembre 2009, pp. 26-29). Già faimpressione il fatto che un gruppo di ricerca universita-rio (più precisamente il “grupo de Pesquisa Cotidiano,Música e Educação”, interno al corso post-laurea in mu-sica) si muova per fare ricerca-azione (pesquisa-ação) conrealtà anche socialmente disagiate e lo faccia nei territoriscoscesi e poco verificati della composizione. In più, si dàuna qualità di pensiero musicale e di risultato esteticoveramente alti se solo si pensa che nessuno di loro è com-positore in senso stretto 2. Il giorno successivo alla chiu-sura del mio corso, Graciano mi ha portato in un quartie-re povero di Gravataí, piccolo centro a mezz’ora di mac-china da Porto Alegre, per mostrarmi come nasce unacomposizione collettiva e per farmi fare un’esperienza colgruppo, formato da una decina di giovanissimi di variaetà: ho lavorato sulla costruzione di una Batucada, peraccorgermi che non è poi così scontata la percezione el’assimilazione di certi poliritmi, la tenuta della pulsazio-ne collettiva, la facilità nell’associare pensiero, gesto emovimento, neppure in popolazioni che alcuni luoghicomuni vogliono «col ritmo nel sangue», mentre invecemolto dipende dal contesto geografico e sociale, dalleabitudini all’ascolto. Di fatto questi bambini, pur vestiti,puliti e scolarizzati, vivono in un ambiente deprivato efanno lezione di musica due volte la settimana nei pochilocali messi a disposizione di un asilo nido voluto, co-struito e gestito da una docente universitaria, con tantocuore e competenza, ma con pochissimi mezzi finanziaria disposizione per l’acquisto di sussidi e materiali. E poisiamo al sud, dove forse gli effetti della forbice socialebrasiliana sono meno devastanti, ma dove certo mancaquella vitalità musicale quasi irriflessa, frutto di un or-mai secolare meticciato con la cultura africana.Entusiasmo, passione, desiderio di costruire conoscenza,voglia di sperimentare e di lavorare in gruppo, ecco checosa ho trovato nel mio primo Brasile, ma anche consape-volezza razionale che per realizzare l’obbligatorietà dellamusica nelle scuole si dovranno superare con fatica pro-blemi di carattere organizzativo e, soprattutto, economico.Al termine del mio intervento all’Università di Barra Mansa,nello Stato di Rio de Janeiro, 1500 km più a nord di PortoAlegre (come dire la stessa distanza, culturalmente rove-sciata, che c’è fra Brindisi e Norimberga), una giovane tutordegli studenti di pedagogia presenti mi chiese se le splen-dide cose che avevo appena detto con passione, trasporto echiarezza metodologica, fossero compatibili con una pic-cola aula, in cui vengono stipati una quarantina di bambi-ni, senza uno straccio di strumento, gestiti da una solapersona per una sola ora settimanale, senza la speranzache ciò possa cambiare perché nessuno investe soldi perrenderlo possibile. Io potei solo risponderle se stava par-

1 Così Lisiane Bassi, coordinatrice del programma nazionale d’inse-gnamento musicale che si tiene a Franca, una città dell’interno diSaõ Paulo, nel servizio online Música: entenda porque a disciplinase tornou obrigatória na escola http://educarparacre-scer.abril.com.br/politica-publica/musica-escolas-432857.shtml

2 Si possono ascoltare e valutare le centinaia di produzioni di Lorenzicon bambini e ragazzi visitando il sito di recente costruzionecompondocomalunos.com.

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lando del Brasile o dell’Italia, specificando però subito, fral’ilarità generale, che loro avevano il vantaggio di averappena iniziato il percorso, mentre noi, dopo trent’anni, senon addirittura dopo cinquanta (non dimentichiamo chel’obbligo dell’educazione musicale nella scuola media, al-meno per il primo anno, risale al 1962) stiamo ancora di-scutendo coi nostri governanti su cose elementarmentebasilari che chi legge conosce benissimo e che, quindi, nonho nessuna voglia di ripetere. Giusto per non intristirmitroppo.La ragazza mi ha sorriso e ha pronunciato un mesto«Esperamos», che non è una gran bella risposta, conside-rando la duplice accezione del verbo portoghese, perchésperare e aspettare, insieme alla pazienza e alla fiducia,implicano anche stasi, assenza d’iniziativa. Io sono invececonvinto che, come onda oceanica, sarà la forza della ne-cessità a spingere e a sostenere le volontà congiunte deipolitici e degli insegnanti affinché la musica, insieme allealtre arti, trovi la sua degna posizione all’interno delle scuolebrasiliane, come catalizzatrice di energie vitali, di scopertadel desiderio di esprimersi e dei mezzi possibili per farlo in

3 Chi volesse saperne di più sull’Arteducazione e sulla Pedagogiadel desiderio può visitare il sito ufficiale della fondazionewww.axeitalia.net. Su questo argomento è incentrato anche l’ar-ticolo L’arteducazione e le piccole rivoluzioni di Carlos RobertoCaldas e Alice Sophie Sarcinelli a p. 9 di questo numero di “Musi-ca Domani”.

modo efficace e coinvolgente, di piacere per la collabora-zione e l’aiuto reciproco. Tutte cose di cui anche i nostrigiovani avrebbero bisogno, ma che in quei paesi diventavitale perché in grado di aiutare le tante, tantissime, fami-glie al limite della sussistenza, a tenere i figli lontani dallestrade e a prospettare per loro un modo d’intendere la vitadiverso dai codici della violenza e della sopraffazione.Una filosofia d’insegnamento, quella che considera l’artecome sinonimo di educazione e non come semplice mezzoper realizzarla, capace di recuperare migliaia di meninosde rua nel depresso e pericoloso territorio di Salvador deBahia, come in un ventennio ha dimostrato l’intelligenteProjeto Axé, peraltro ideato e realizzato da un italiano 3.A queste realtà vive, di donne e uomini che s’impegnanoper organizzare un futuro migliore anziché piangere sulproprio passato e che sembrano partecipare con entusia-smo ai cambiamenti e alle innovazioni, vorrei continuarea donare il pur modesto contributo delle mie conoscenzee della mia esperienza, convertendo la Saudade in dispo-nibilità.Spero dunque di avere presto nuove cose da raccontare...

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L’arte come mezzo per risvegliare speranza e desiderioin bambini di strada e per renderli cittadini critici e re-sponsabili: è questo il fine dell’ “arteducazione”, principiopedagogico su cui si fonda il Progetto Axé, operante inBrasile a Salvador de Bahia. Gli autori lo illustrano par-tendo dal processo di trasformazione sociale e politica av-viata dal governo Lula e ne mostrano la validità raccon-tando le storie di alcuni bambini che, da fruitori del pro-getto, sono diventati a loro volta educatori e promotori dinuovi progetti di recupero e integrazione sociale.

Carlos Roberto Caldas - Alice Sophie Sarcinelli

L’arteducazionee le piccole rivoluzioni

Tra i tanti germogli sbocciati nella terra brasiliana allafine della dittatura, ve sono due particolarmente preziosi,poiché hanno trasformato la storia dell’infanzia in Brasile:l’inclusione dei diritti dei bambini nella legislazione e lanascita dell’arte-educazione.Di fatto, la concezione del minore subisce una profondatrasformazione con la giurisprudenza creata all’era dellari-democratizzazione. Ai bambini viene dedicato un interoarticolo della nuova Costituzione brasiliana, entrata in vi-gore nel 1988: con l’articolo 227, la protezione dei bambi-

Le fotografie che illustrano questo articolosono state realizzate durante un concerto

del Progetto Axé a Reggio Emilia nel luglio 2010.

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10 ni viene considerata una priorità assoluta, nonché compitoe responsabilità della nazione. Un progresso molto più so-stanziale avviene nel 1990 con l’approvazione dello Estatutoda criança e do adolescente (Statuto del bambino e del-l’adolescente) che sostituisce l’antico Codice dei minori. LoStatuto, scritto sulla falsariga della Convenzione ONU suidiritti dell’infanzia e dell’adolescenza, rappresenta la legi-slazione nazionale più avanzata in materia. Così, in Brasi-le i bambini diventano soggetti di diritto. È un’epoca dirinnovato interesse e preoccupazione per i bambini in mag-giore difficoltà, quali i meninos em situação de rua 1 chevivono nelle strade delle principali capitali brasiliane. Lasituazione di questi bambini e le violenze che hanno subi-to dalla polizia fanno notizia sui giornali di tutto il mon-do 2. In questo periodo nasce anche il Movimento Nacionalde Meninos e Meninas de Rua, a cui seguono i primi pro-getti sociali con operatori di strada (quali la “Pastorale perMinori” a San Paolo e “La repubblica del piccolo vendito-re” a Belèm).Il secondo frutto prezioso per la storia dell’infanzia in Bra-sile è la nascita dell’arte-educazione, che diverrà lo stru-mento principe del lavoro pedagogico degli educatori distrada. Gli albori di questo cambiamento sono segnati dal-l’incontro tra il grande pedagogista Paolo Freire, di ritornodall’esilio, e Cesare De Florio La Rocca, avvocato fiorenti-no, allora rappresentante dell’UNICEF in Brasile. Nel 1990,Cesare De Florio La Rocca si licenzia dall’UNICEF per fonda-re il Progetto Axé a Salvador nello Stato di Bahia, in colla-borazione con la ONG italiana “Terra Nuova”.L’idea era di rispettare i tempi di apprendimento e del pro-cesso di crescita personale dell’educando, invece di basarsisu paradigmi che dettano ritmi prestabiliti. A partire daquesto principio, i primi operatori scesero in strada percominciare il lavoro pedagogico con i bambini. Ben prestocompresero che gli strumenti pedagogici che avevano adisposizione non si adattavano a quei bambini che, ad ap-pena dieci anni, avevano già perso la capacità di sognare edi desiderare. Si chiesero in che modo potevano risvegliarein loro queste facoltà così preziose. La risposta arrivò percaso quando ricevettero cinquanta biglietti per una rap-presentazione del balletto classico Il lago dei cigni diCajkovskij. Nonostante fossero incerti sulla reazione deibambini di fronte a una situazione così insolita e lontanadal loro universo quotidiano (sia per il tipo di linguaggioartistico che per il fatto di stare seduti per un paio d’ore inun luogo chiuso frequentato da gente di classe medio-alta),gli educatori decisero di portarli comunque. Colpiti dai lorosguardi incantati davanti al balletto, essi compresero chel’arte poteva arrivare là dove altri strumenti mostravano ipropri limiti. Da lì ripartirono. La psicanalisi e gli studi diLacan sulle dinamiche del desiderio nell’essere umano for-nirono loro la cornice teorica entro la quale venne elabo-rata la pedagogia del desiderio 3, approccio che aveval’arteducazione 4 quale suo strumento principe.Si trattò, anche in questo caso, di una piccola rivoluzione:ai bambini – abituati a ricevere nel migliore dei casi un po’di cibo e conforto – si avvicinarono i migliori educatori,pedagogisti, insegnanti di canto, di musica, di capoeira 5,

di disegno e di moda della città. Infatti i coordinatori delprogetto erano convinti che proprio quei bambini merita-vano e avevano bisogno dei migliori professionisti nel cam-po: «Occorre competenza per agire, e noi lo facciamo solose ne siamo in grado. Senza le competenze, non c’è amore,non c’è un discorso che tenga: semplicemente non funzio-na», afferma una coordinatrice del progetto 6. Questa posi-zione venne accolta inizialmente con sospetto: che sensoaveva “sprecare” i migliori educatori per dei bambini cheavevano già perso in partenza? E in molti si stupirono leprime volte che i ragazzi di strada salirono sui palchi persfilare con vestiti di moda da loro creati e prodotti, percantare, danzare e suonare. La forza e il successo di questaproposta e il talento nascosto di quei bambini non tarda-rono a essere riconosciuti. Fu così che i bambini dell’Axéricevettero i primi inviti in Brasile e all’estero per delletournée e il progetto venne premiato dal Ministero del-l’Educazione brasiliano, dall’UNICEF, dall’UNESCO e dal Mini-stero degli Affari Esteri italiano.

Il lavoro educativo del Progetto AxéIl lavoro degli educatori dell’Axé inizia nelle strade deiquartieri centrali di Salvador. È lì che si recano i bambini ei ragazzi, lasciando la loro vita nelle favelas. Fuggono laviolenza e l’abbandono che vige nelle loro famiglie, il cuiequilibrio si spezza ad esempio con l’arrivo di un nuovocompagno della mamma che non li accetta; vanno in cer-ca di cibo che non trovano nelle loro misere dimore oppu-re sono attratti dalla vita della strada. Nei quartieri turisti-ci i ragazzi trovano più facilmente cibo e denaro.Gli educatori di strada operano in coppie, a cui viene affi-dato un quartiere della città. La coppia circola nel quartie-re per otto ore al giorno e ha il compito di entrare in con-tatto con i ragazzi di strada, oltre che di mediare i rapportidi questi con i vari abitanti e frequentatori della zona (ven-ditori, agenti di polizia ecc.). Gli educatori attendono che i

1 La locuzione em situação de rua (in situazione di strada) è statoconiata nel 1992 dal governo dello Stato di San Paolo per sostituirela denominazione meninos de rua, eccessivamente dispregiativa.Indica tutti i minori il cui luogo di vita principale è la strada.

2 La situazione dei bambini di strada ebbe una risonanza interna-zionale col massacro della Candélaria, avvenuto il 23 luglio 1993,quando dei poliziotti spararono su un gruppo di una quarantinadi bambini che stavano dormendo nei pressi della chiesa dellaCandélaria, in un quartiere elegante di Rio de Janeiro, uccidendo-ne otto.

3 Per approfondire la pedagogia del desiderio, rinviamo al libro I ra-gazzi dell’Axé. Educazione dei meninos de rua. Un’esperienza pe-dagogica in Brasile, Fabula edizioni, Cagliari 2004.

4 Il Progetto Axé utilizza il termine arteducazione al posto di arte-educazione per sottolineare che l’arte non è uno strumentoeducativo, ma è di per sé educazione.

5 La capoeira è un’arte marziale, creata dagli schiavi africani inBrasile durante il periodo coloniale, che si caratterizza per la pre-senza della musica e per l’espressività del movimento, tanto cheviene spesso scambiata per una danza.

6 Queste frasi e quelle di Pedro, riportate più avanti nel testo, sonotratte da un’intervista fatta personalmente dagli autori dell’arti-colo. [n.d.r.]

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11bambini si avvicinino e propongono delle attività o sem-plicemente discutono con loro. A partire da questi incon-tri, si creano dei legami di fiducia. Se i ragazzi vengonoarrestati, gli educatori vanno a trovarli tutte le settimane,per mostrare che non li abbandonano a prescindere dallecircostanze, un atto di fedeltà insolito per questi bambini.In strada e in carcere, gli educatori utilizzano vari metodiper stimolare i ragazzi a riflettere sulla loro situazione divita e discutono con loro della possibilità di cambiarla.Questa tappa è fondamentale perché porta il ragazzo stes-so a desiderare e a scegliere di cambiare la sua esistenza.Lungi dal forzarlo, l’educatore si limita ad accompagnarequesto processo, rispettando i tempi dell’educando. Il pro-getto ha un autobus itinerante (Axébuzù) che gira per ivari quartieri offrendo attività artistiche e educative, non-ché delle rappresentazioni artistiche fatte dagli educandigià entrati nel progetto, per mostrare ai meninos cosa liaspetta se scelgono di entrare nel progetto. Naturalmente,spetta al bambino la decisione di entrare a fare parte diun’unità di arteducazione del Progetto Axé. Ovviamente,ci sono delle condizioni: deve ritornare a scuola e trovareun posto dove vivere che non sia la strada. Su invito delragazzo, l’educatore lo accompagna dalla famiglia di ori-gine. Insieme cercano un familiare, un vicino di casa o, inmancanza di alternative, una casa di accoglienza dove ilminore possa alloggiare. Dopodiché, il ragazzo frequentaper metà giornata la scuola e durante l’altra metà uno deipoli artistici del Progetto Axé (musica, danza, capoeira,

arti visuali e moda). In ogni polo c’è un insegnante delladisciplina prescelta, un educatore che cura il lavoro peda-gogico e un secondo educatore che si occupa dei rapporticon la famiglia. Inoltre, al progetto collaborano degli av-vocati per gestire le questioni giuridiche: infatti, alcuniragazzi vengono inviati all’Axé dal Tribunale dei Minori(Juizado de Menores) per scontare la pena attraverso unpercorso socio-educativo.Ma l’arteducazione del Progetto Axé non si limita a tra-sformare i meninos em situação de rua in artisti. Il lavorodegli educatori mira a formare dei cittadini attivi in gradodi essere loro stessi agenti di cambiamento e di trasforma-zione del loro Paese. I ragazzi vengono a conoscenza delleleggi che garantiscono i loro diritti, nonché dell’esistenzadello Statuto del bambino e dell’adolescente. Ogni proget-to artistico non è scelto a caso, ma si inserisce in un pianopedagogico preciso volto a sviluppare contemporaneamentedelle competenze artistiche, personali, intellettuali, socio-educative e politiche.La pedagogia del desiderio nasce sul principio di Paolo Freireche ogni atto educativo è innanzi tutto un atto politico. Ilprimo obiettivo politico dell’Axé è di dimostrare ai poteripubblici che è possibile cambiare la sorte di questi bambiniattraverso una proposta pedagogica: l’Axé ha sempre inci-tato le istituzioni a farsi carico della situazione dei meninosem situação de rua. Nei suoi vent’anni di vita, dal progettosono passati circa 20.000 bambini. Ma i locali dell’Axé sonostati anche teatro di formazione per insegnanti, agenti di

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polizia, assistenti sociali e tanti altri professionisti: il susse-guirsi di questi incontri ha finito per migliorare la vita quo-tidiana dei ragazzi che vivono nelle strade di Bahia. Primaconseguenza fra tutte, le violenze della polizia non sono piùall’ordine del giorno come una volta.Eppure, l’Axé è ancora solo un progetto e i poteri pubblicinon si sono ancora assunti le proprie responsabilità. Nelfrattempo il Brasile ha subito delle trasformazioni profon-de. Se non esiste più la povertà di vent’anni fa, le vite dibambini e ragazzi che crescono nelle favelas della periferiadi Salvador, così come di molte altre città brasiliane, sonolacerate dalla violenza, dagli omicidi e dal narcotraffico.Quest’ultimo è all’origine della diffusione del crack, unadroga confezionata con i resti della cocaina che crea unaforte dipendenza in poco tempo, cosa che è avvenuta permoltissimi bambini di strada. I problemi sanitari e socialicreati dal crack sono enormi rispetto a quelli causati dellacolla da scarpe che i bambini sniffavano. Questa loro di-pendenza ha messo seriamente a repentaglio il lavoro de-gli educatori, trattandosi di un problema sanitario nonrisolvibile unicamente con un’azione educativa.Nonostante il silenzio delle istituzioni, che continuano aignorare i bambini di una decina d’anni che si drogano dicrack sugli scalini del municipio, gli educatori continuanoad accogliere all’Axé sia i bambini di strada, sia coloro chevivono gli orrori del narcotraffico nelle favelas. Non tutticambiano la loro esistenza, ma il segno che l’Axé lascia è

profondo e duraturo. Quelli che sono riusciti a fuggire ladroga, la violenza e la strada sono diventati dei cittadinibrasiliani nel vero senso della parola. Uno di questi è Pedro.

Dalla strada al palco, da educando a educatorePedro è nato una trentina di anni fa nella periferia diSalvador. Ben presto, lui e la madre si sono ritrovati a ele-mosinare e dormire in strada nel quartiere Piedade: fuggi-vano il padre, un narcotrafficante, che morì quando Pedroaveva quattro anni. A nove anni, Pedro conobbe il suoprimo educatore di strada, che lo seguì per anni. All’epoca,Pedro veniva trattato con gentilezza ed era di grande aiutoa sua mamma perché riceveva molta elemosina. Ma men-tre guardava i bambini che uscivano dal progetto Axé,ammirava segretamente la loro allegria. Entrare nel pro-getto avrebbe però significato lasciare la sua mamma sen-za elemosina. D’altro canto a tredici anni, aveva perso lafaccia innocente da bambino e la cortesia dei passanti eraun ricordo lontano: oramai essi tenevano strette le loroborse per paura di essere scippati. Pedro, che si guadagna-va da vivere facendo il lavavetri al semaforo, si vergogna-va sempre di più della sua situazione e aveva voglia dinascondersi. La vergogna non tardò a trasformarsi in pau-ra e la paura in odio. Fu allora che iniziò a pensare seria-mente a tutto quello che il “suo” educatore di strada gliaveva ripetuto in quegli anni. Inoltre, dei conoscenti delquartiere gli dicevano: «Oramai sei grande, sarebbe ora che

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13tu andassi a scuola!». Così, prese il coraggio di parlare asua madre e di comunicarle che avrebbe smesso di chiede-re l’elemosina per entrare nel Progetto Axé.Pedro ricorda bene la sua prima visita al progetto: «Era ilmio sogno nel cassetto!». Inizialmente, aveva pensato dientrare nel gruppo di capoeira: a distanza di anni, ci confes-sa che voleva imparare a difendersi dal mondo violento del-la strada. Ma in quel momento c’era spazio solo nell’unità dimusica, una disciplina alla quale si appassionò rapidamen-te, tanto che quando si liberò un posto nell’unità di capoeiraPedro preferì continuare con la musica. Anche se l’Axé apri-va alle otto, Pedro aspettava lì davanti tutte le mattine dallecinque e mezzo: così, gli educatori lo autorizzarono a entra-re prima dell’apertura per aiutarli a preparare la colazioneper gli altri ragazzi, dimostrandogli una fiducia che rara-mente gli era stata accordata in precedenza. Per questo, quan-do un suo compagno che era entrato in anticipo gli proposedi farsi complice per rubare un biglietto dei mezzi di tra-sporto, Pedro rifiutò. In quel momento comprese quantodesiderasse diventare un educatore, un sogno che realizzòqualche anno più tardi: «Mi sono accorto che volevo davve-ro cambiare la mia vita, non volevo sbagliare. Era una bat-taglia che mi permetteva di crescere».In poco tempo, il suo quotidiano cambiò totalmente: le suegiornate – prima passate interamente in strada – erano unalternarsi tra lezioni di percussione, di solfeggio, di cantoe la scuola. Certo, l’Axé era un ambiente protetto, mentre ascuola veniva stigmatizzato in quanto menino de rua. Tut-to cambiò quando si trasferì nella scuola dove gli inse-gnanti venivano coordinati dai formatori dell’Axé.Qualche anno dopo, Pedro entrò nella Banda Axé. Cantòin giro per il Brasile, andò in televisione, fece una tournéein Italia e negli Stati Uniti. Addirittura, divise il palco conGilberto Gil e Caetano Veloso: «Per ognuno di noi, ognishow che facevamo, ogni palco sul quale salivamo, era unmomento speciale: cantavamo e suonavamo con tutta lanostra anima, dando il meglio di noi». Iniziò poi a darelezioni di canto in un quartiere periferico. Ma il traguardopiù importante fu il CD della Banda Axé, segno concreto diciò che lui e i suoi compagni erano riusciti a raggiungere.Tutto questo era grandioso, ma egli era grato all’Axé nontanto per averlo formato musicalmente, quanto soprattut-to politicamente. La musica era il mezzo per diventare uncittadino. Le lezioni di storia della musica, di storia e digeografia erano l’occasione di comprendere il suo Paese.Nell’Axé si analizzavano politicamente gli abusi e lediscriminazioni che gli educandi vivevano sulla loro pelle.Fu così che Pedro apprese a discutere da pari a pari. Comemolti altri suoi compagni, Pedro divenne educatore di stradanel progetto Axé: l’esperienza della sua infanzia gli per-metteva di comprendere a fondo i bambini che incontravae tutto quello che aveva appreso all’Axé gli permetteva didifenderli di fronte ai poliziotti. Rappresentò l’Axé in alcu-ne istituzioni in Brasile e anche in Africa. L’Axé ha trasfor-mato Pedro da menino de rua in musicista, educatore ecittadino che sa lottare per i propri diritti e che è coscientedei propri doveri.Una volta uscito dall’Axè per trasferirsi a Brasilia (un pro-

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14 getto che non andò in porto), Pedro si ritrovò nuovamentea lottare contro le discriminazioni: nonostante i concerti ele competenze artistiche, pedagogiche e politiche che ave-va acquisito, agli occhi dei più non era altri che un nero,povero, abitante di una delle peggiori favelas di Salvador.Ma quello che l’Axé gli aveva trasmesso è rimasto dentrodi lui: Pedro non è caduto – come molti suoi vicini di casa– nella spirale mortale del traffico di droga, ma è umil-mente ripartito da zero. È tornato nello stesso quartieredove è cresciuto da bambino: non più per vivere in strada,ma come operatore ecologico. In questo modo, riesce apagare un affitto in una piccola casa dignitosa fuori dallafavela e a coltivare il suo sogno di sempre: tornare a edu-care tanti altri bambini e ragazzi che hanno bisogno disentirsi dire che cambiare la propria vita è possibile.

L’arte coscienteMa Pedro non è l’unico che ha iniziato a trasformare la suavita e quella di bambini più giovani di lui grazie alla co-scienza politica e alle tecniche artistiche apprese durantegli anni nell’Axé. Molti ex educandi dell’Unità di musicahanno portato l’arteducazione nei quartieri periferici e nellefavelas di Salvador e anche in Europa.Fabio, Marcos e Alex lo hanno fatto nel quartiere povero diSaramandaia. Marcos e Alex sono cresciuti insieme aSaramandaia, si sentono quasi come due fratelli. Erano ra-gazzini quando hanno iniziato a guadagnarsi da vivere ven-dendo di nascosto dei giornali nella stazione di autobus diSalvador. Ben presto furono arrestati perché la vendita al-l’interno della stazione era proibita. Fu così che entrarononell’Axé, dove conobbero Fabio. Ognuno di loro si specia-lizzò in una disciplina diversa: Fabio fece capoeira, Marcoscirco e Alex percussione e moda. Quando era ancora edu-cando, Alex fondò una piccola banda a Saramandaia: inmancanza d’altro utilizzavano strumenti fatti di latta. Dopoun po’, un anziano abitante gli consegnò gli strumenti cheerano di un’antica banda del quartiere. Nel frattempo, Marcosriuniva qualche ragazzino per insegnare tecniche di artecircense e Fabio dava lezioni di boxe a casa sua. Un giornosi dissero: «Perché non fondare un progetto?». Fu così chediedero vita alla ONG “Arte cosciente”.Iniziarono a insegnare percussioni, circo, graffiti e boxe inquesto quartiere dove non esiste nessuno spazio dove ibambini possano giocare o svagarsi. Sono partiti senzanulla: quando non avevano una sede, le prove erano diret-tamente in strada con attrezzi di fortuna. Ora, questo pro-getto – creato da tre giovani che da bambini vendevano instrada – è stato premiato dal Presidente della RepubblicaLula, un grande orgoglio per loro. I tre si considerano dei“moltiplicatori” di Axé (che in yoruba – una lingua africa-na portata a Bahia dagli schiavi – significa “energia vita-le”) ed è soprattutto questo che cercano di trasmettere ailoro ragazzi con l’arteducazione: diventare agenti di cam-biamento sociale dentro la loro comunità.Il budget resta minimo, i tre giovani possono contare pra-ticamente solo sulle donazioni di qualche straniero che èvenuto a conoscenza del progetto e sul ricavato delle ma-gliette che loro stessi producono. Grazie a una donazione,

hanno comprato un rudere nella favela e i materiali pertrasformarla con le loro mani in una sede. Ora si tratta diun vero e proprio progetto di prevenzione socio-educativae sanitaria indirizzata ai bambini ad alto rischio di entrarenel mondo del traffico di droga, ma anche alle donne eagli anziani. Le attività (musica, circo e boxe) sono innanzitutto l’unica opportunità che i giovani hanno per svagarsi.Ma alcuni di loro hanno degli ottimi risultati e vengonoindirizzati a dei percorsi di professionalizzazione: c’è chisuona nei blocos del Carnevale, chi è entrato nel Circo Pic-colino di Salvador, chi ha vinto delle gare di boxe a livellonazionale e chi semplicemente è stato accompagnato in unpercorso di inserimento professionale, cosa non facile pergiovani solitamente senza opportunità.Visitando le case dei loro alunni, i coordinatori del proget-to “Arte cosciente” compresero che per trasformare le lorocomunità il lavoro coi ragazzi non era sufficiente. A voltesono gli adulti stessi a chiedere di avere uno spazio e delleopportunità per loro. Si tratta, in molti casi, di famigliemonoparentali. In una casa i letti sono un ammasso dicartone e lattine che la madre raccoglie per rivendere 7,altre cercano il cibo nella spazzatura. Per alcune fami-glie, mandare i figli al progetto significa assicurarsi cheabbiano quanto meno una merenda al giorno. Nonostan-te le risorse esigue, i tre ex educandi non smettono disognare e di osare. Stanno cercando di aprire un atelierdi taglio e cucito per offrire a queste donne una possibi-lità lavorativa.L’obiettivo del progetto “Arte cosciente” non è solo quellodi offrire delle possibilità agli abitanti del quartiere, ma ditrasformare quel luogo. Innanzi tutto mostrando alla cittàche lì non vi è solo violenza, ma anche bambini, giovani eadulti che desiderano una vita diversa e rivendicano il di-ritto di accedere ai servizi allo stesso modo degli abitantidei quartieri più abbienti della città. Per questo, Alex, Fa-bio e Marcos chiedono alle istituzioni di garantire il dirittoalla salute, cosa che in Brasile resta un privilegio che siacquista, viste le carenze del sistema sanitario pubblico.I tre non accettano che nel quartiere ci si limiti a mandareun camion sanitario ogni tanto con dei medici volontari.Il diritto alle cure non può essere lasciato in mano allabuona volontà dei medici. E così stanno cercando di farepressione affinché venga costruito un vero e proprioconsultorio in questo quartiere di 45.000 abitanti.Queste storie di vita ci dimostrano che è possibile restituirel’Axé – l’energia vitale – ai bambini che in giovane etàcredono già di non aver più nulla da perdere. La ricettacambia per ogni bambino, la bellezza e l’arte, invece, re-stano un ingrediente per tutti. Una lezione che ci ricordache anche in Italia oggi si può osare risvegliare i giovani ditutte le classi sociali attraverso l’arte e infondere loro unacoscienza politica.

7 In Brasile, alcune persone povere lavorano come catadores di lixo(raccoglitori di spazzatura): si tratta di raccogliere del materiale(vetro, lattine, carta) che poi viene venduto alle aziende chericiclano.

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di don Milani

partengono all’esperienza dei “gruppidella domenica” di cui anche su questarivista si è parlato (vedi “Musica Do-mani”, n. 139, giugno 2006) e proven-gono da diverse realtà scolastiche emusicali della zona (Conservatorio diBrescia, Corsi di avviamento strumen-tale della SIEM di Brescia, Accademia diRovereto, coro della Parrocchia Pavo-niana di Brescia).Quello che maggiormente colpisce del-lo spettacolo è proprio la grande pro-fessionalità e serietà di esecutori ed ese-cutrici (nonostante la giovane età), uni-ta all’entusiasmo, alla freschezza e allospirito di collaborazione. Appare eviden-te come, al di là del testo recitato e deivalori enunciati (che pure sono fonda-mentali), sia lo spettacolo stesso con lasua modalità di costruzione – che chi èabituato a lavorare in questo campo,legge con chiarezza – a essere l’esplici-

Il 26 giugno 1967 moriva Don Milani,figura che, nonostante la grande attua-lità, sembra dimenticata dalla scuola ita-liana. Antonio Giacometti, con la sen-sibilità e l’attenzione che lo caratteriz-zano, ha scelto di ricordarci e ripropor-ci il pensiero e l’opera di questo grandemaestro, attraverso lo spettacolo di tea-tro musicale “I care”. L’eredità ignorata,oratorio didattico per voci recitanti, coro,ensemble ed elettronica.In questo lavoro – rappresentato il 26giugno 2012 al Cinema Teatro Pavonidi Brescia – Giacometti ha messo inscena la visione dell’insegnamento cheha sotteso il suo lavoro a partire dal1967 quando gli capitò di leggere Let-tera a una professoressa.La storia, tutta giocata al femminile,prevede la recitazione di quattro donnedi diverse età (la più piccola è una bam-bina di scuola primaria), in relazione ecomunicazione tra loro, che esprimonoidee e osservazioni sulla scuola – co-m’è, come dovrebbe essere, come po-trebbe essere, come vorrebbero che fos-se – inframmezzate da pensieri di donMilani letti da una voce fuori campo.La parte musicale, composta da Anto-nio Giacometti e Luca Benatti, è moltovaria e prevede brani originali e riela-borazioni di opere di vario genere: daPer Bastiana di Luigi Nono, a Partielsdi Gerard Grisey; dai King Crimson, abrani di musica popolare; da brani instile minimalista o “alla Ligeti”, al rapconclusivo. Esecutori ed esecutrici ap-

tazione del pensiero di don Milani. Chiassiste alla rappresentazione non puònon accorgersi dell’energia che scatu-risce dal gruppo, risultato di un lavo-ro attento di chi sa operare con gran-de professionalità musicale e didatti-ca, ma anche con generosità ed entu-siasmo.Ben venga dunque il pensiero espressodal conduttore dell’esecuzione (in que-sto caso Antonio Giacometti stesso) che“entra in scena” alla fine dello spetta-colo: «E allora non si capisce perchéquesti principi non possano essere po-sti a fondamento di un intero sistemascolastico, che nonostante le più buo-ne intenzioni espresse a parole conti-nua nei fatti a perpetuare un modellodi trasmissione del sapere nozionisti-co, elitario e incapace di crescere per-sone complete, libere e uguali».

Mariateresa Lietti

Con il titolo Fare musica per costruire in-sieme…, su invito di Maria Anna Ferrara,dirigente scolastica dell’Istituto TecnicoStatale per Geometri “Vincenzo Accardi”di Campobello di Mazara (TP), si ricono-sce l’attività del laboratorio di musica d’in-sieme guidato da Francesco Federico.L’iniziativa nasce a seguito delle richieste daparte di alunni di poter fare pratica musica-le, un’attività “nuova e non solita” rispettoal principale indirizzo tecnico dell’Istituto.Quindi nasce un’idea, nasce un progettoche si concretizza in un percorso educati-vo-didattico annuale rivolto ad alunni concompetenze strumentali-musicali di base;la composizione eterogenea della classe,con la presenza di diversi strumenti comepianoforte, violino, chitarra elettrica, bat-

teria, voce solista e cori, ha permesso lacostituzione di una Band musicale d’Isti-tuto che ha fatto nascere nella scuolaanche un’identità artistica.Le diverse performance, realizzate nel corsodell’anno, hanno creato un’atmosfera fan-tastica, facendo scaturire, da ogni iniziati-va, un entusiasmo tale da trasformare il la-boratorio di musica d’insieme in un musicalper fine anno con la regia di Angela Ferraro.Il musical, dal titolo H2O Il mondo imploraacqua, progettato per far risaltare il 2012come anno dell’acqua, è stato strutturatomettendo insieme musica, danza, linguaitaliana dei segni, immagini, video e di-dascalie e ha fatto emergere la grandevalenza della comunicazione non verbalee multimediale.

Musica per costruire insiemeIn questo contesto, la Band musicale for-mata da otto alunni si è esibita con il bra-no Che colpa abbiamo noi dei Rokes e,inoltre, ha eseguito un medley con branidi Lucio Battisti.Lo spettacolo, portato in scena il 25 mag-gio 2012, presso il palazzetto dello sportdell’Istituto, ha riscosso un grande suc-cesso.L’esperienza artistica, con tutte le sue op-portunità formative, istruttive ed educa-tive, ha consentito da un lato l’amplia-mento dell’offerta formativa dell’istitutoe dall’altro si è rivelata per i discenti unarricchimento del proprio bagaglio cultu-rale, certamente utile alla formazione glo-bale della persona.

Francesco Federico

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«Nel momento in cui a Milano erano conti-nui gli sgomberi dei campi nomadi e i bam-bini finivano sulla strada e non potevano piùseguire un percorso scolastico coerente, misono detto: noi come istituzione dobbiamorispondere e non solo con le parole ma so-prattutto con la musica.» Chi parlava, nelnovembre 2010, era Arnoldo Mosca Mon-dadori, il presidente del Conservatorio “Giu-seppe Verdi”, e la risposta a cui si riferivaera rappresentata dal progetto Sulla stradadella musica promosso in collaborazione conla Casa della Carità, struttura voluta dal car-dinal Martini e diretta da don Virginio Col-megna. Il progetto è consistito nell’organiz-zazione da parte del conservatorio di corsidi violino e di fisarmonica per bambini e ra-gazzi provenienti dai campi rom, ma apertianche ad allievi di nazionalità diverse.L’obiettivo è stato ed è quello di dar vita at-

Una strada diversa

traverso la musica a un’esperienza di inte-grazione culturale, mettendo in relazione fraloro ragazzi con esperienze personali e so-ciali molto diverse, e di offrire ai giovani romun’occasione di inserimento sociale e di svi-luppo di competenze professionali in cam-po musicale.A distanza di due anni le lezioni – tenutedagli allievi degli ultimi corsi del conser-vatorio, scelti con concorso interno, chelavorano con la supervisione dei propri do-centi – hanno già dato i loro frutti: si ècostituito un gruppo musicale formato daragazzi rom e allievi del conservatorio, chesotto la direzione di Sandro Cerino ha te-nuto diversi concerti proponendo un reper-torio che spazia dal classico all’etnico e siè esibito con successo anche nella trasmis-sione televisiva L’infedele, tanto che il con-duttore, Gad Lerner, è diventato un attivo

sostenitore del progetto (www.gadlerner.it/2012/07/03/sosteniamo-il-progetto-sulla-strada-della-musica.html).Fine ultimo del progetto è quello di costi-tuire una vera e propria Orchestra dei Po-poli, all’interno della quale troveranno spa-zio ragazzi di tutte le etnie, ma il protocol-lo siglato tra Conservatorio e Casa dellaCarità prevede anche un impegno comuneper realizzare altri progetti vòlti alla pro-mozione della cultura musicale in ambitidi marginalità sociale. Uno di questi si ègià realizzato: nel carcere di Opera sonostati attivati laboratori di liuteria, in cuialcuni detenuti si dedicano alla costruzio-ne di violini per i ragazzi dell’orchestra.Per ulteriori informazioni è sufficiente digi-tare Sulla strada della musica in un motoredi ricerca: si possono così reperire numerositesti, interviste e video relativi al progetto.

Resistere in nome dell’arte

La PYO (Orchestra Giovanile Palestine-se) è l’orgoglio del Conservatorio Na-zionale di Musica Edward Said, ESNCM

(http://ncm.birzeit.edu).Creata nel 2004 con l’intento di riunireragazze e ragazzi musicisti palestinesida tutto il mondo, la PYO, costituita dacirca ottanta elementi, ha suonato inGiordania, Germania, Siria, Bahrain, Li-bano, Grecia, e quest’anno anche in Ita-lia.Nel 2008 l’orchestra ha realizzato ilsogno di suonare in Palestina con lacollaborazione di musicisti del Colle-gium Musicum di Bonn che hanno so-stituito i palestinesi impossibilitati araggiungere Ramallah a causa dellerestrizioni imposte dall’occupazione.Grazie al lavoro tenace di Patrizia Conti(referente per i progetti internazionalidel Conservatorio di Genova) e di Mi-chele Cantoni (direttore artistico dellaPYO) l’orchestra palestinese, dopo ottogiorni di lavoro intensivo, ha suonatoquest’estate a Vernazza, a Genova, aFirenze, a Roma e a Ravello.Le ragazze e i ragazzi della PYO sonocome ambasciatori palestinesi nel mon-do. A questo proposito dice MicheleCantoni : «Giovani orchestrali delle cit-tà occupate della Cisgiordania (comeGerusalemme, Betlemme o Ramallah)si trovano a compartire il leggio conaltri che vivono nei campi profughi deipaesi limitrofi o della Cisgiordania stes-

sa. Accanto a loro si possono trovarepalestinesi con cittadinanza israelianae altri che risiedono in Europa, Cana-da, Honduras. Quello che hanno in co-mune, oltre alla musica, è il fatto chefino al 1948 le loro famiglie vivevanoin Palestina».Con la guida energica della direttriceinglese Sian Edwards l’orchestra hacommosso il pubblico italiano interve-nuto numeroso a tutti i concerti. Il pro-gramma presentato in Italia esprime ilsenso dello scambio: accanto a reper-tori europei (Beethoven, Dvorak, Deli-bes, Rimsky Korsakoff) l’orchestra hainterpretato composizioni del mondoarabo (Al Yamani, Azmeth).Da segnalare sull’iniziativa il video di“La Repubblica”: http://video.repub-

blica.it/spettacoli-e-cultura/musica-come-resistenza-l-orchestra-palestine-se/102823/101203.Parallelamente, il 27 e il 31 luglio, aGenova e a Milano, alcuni giovani or-chestrali insieme a Michele Cantoni ea Luisa Morgantini hanno tenuto in-contri pubblici per raccontare cosa si-gnifica essere musicisti in un paeseoccupato.La PYO è sempre pronta ad accogliere gio-vani palestinesi: chi avesse origini pale-stinesi, d’età tra tredici e ventisei anni,con un livello di studi pari al Grade 7(ABRSM) in uno strumento orchestrale,può subito fare domanda per partecipa-re al progetto (http://ncm.birzeit.edu/pyo/contact.htm).

Adriana Mascoli

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Da maggio a settembre 2012 si è svolto aMilano e in Lombardia il progetto Traccesonore, realizzato dall’associazione mila-nese Musica Aperta (che si occupa di di-dattica musicale per adulti con una scuo-la serale e di formazione musicale del pub-blico attraverso varie iniziative seminaria-li) in collaborazione con l’associazionenazionale Trekking Italia, attiva da più di25 anni con iniziative che implicano losviluppo di una coscienza ecologica. Cam-minare in ascolto e verso la musica è ilsottotitolo scelto per sintetizzare la pro-posta, gli obiettivi e le motivazioni delprogetto, che cerca una modalità slow difruizione della musica e sviluppa le tema-tiche che nascono dal connubio musica etrekking: l’ascolto della natura e la suarestituzione in musica, la relazione fra i“paesaggi sonori” e le musiche, l’approc-cio all’ecologia sonora.Le Tracce sonore si sono svolte in sei di-verse giornate: tre in ambiente naturali-stico, in altrettante province lombarde,alla scoperta del rapporto fra Natura eMusica, e tre a Milano, in ascolto dellacittà e del suo intreccio di culture.In ogni giornata tre soste musicali: duebrevi e una terza in forma di piccolo con-certo. In ogni sosta musicale il rapportofra musicisti e pubblico è stato dialogico(talvolta continuativo, quando i musicistipartecipavano anche ai trekking) e il coin-volgimento dei partecipanti è avvenutoanche sul piano musicale (con la propo-sta di momenti di improvvisazione) e sulpiano di un diverso ascolto dell’ambienteurbano in un’esperienza di sound walk.Dove possibile i luoghi delle soste musi-cali sono stati scelti in relazione ai reper-tori: di musica antica (in borghi medievalie luoghi d’arte), musica classica, jazz (instrutture architettoniche contemporanee),musica contemporanea (in luoghi dedicati

Tracce sonore

anche ad altre arti contemporanee) e dimusica popolare ed etnica (musica rom emusica indiana). Hanno partecipato siamusicisti professionisti che amatori (al-lievi della scuola di Musica Aperta). Di-verse lezioni concerto e giornate musicalisono state dedicate a musicisti dei qualinel 2012 si celebrano ricorrenze: ClaudeDebussy e Olivier Messiaen, compositoriin stretto rapporto con la musicalità dellanatura; John Cage, a cui sono stati dedi-cati anche tre incontri di approfondimen-to presso la Biblioteca Centrale Sormanidi Milano, a cura del poeta e musicologoMichele Porzio e dei compositori Mario

Suoni al museo

Da più di dieci anni, al Museo di ArteModerna di Parigi sono stati predispo-sti laboratori integrati di espressionegrafica e sonora. Una bella ed efficaceanimazione grafica, costruita attraver-so il software di analisi e rappresenta-zione di eventi sonori “Acusmographe”elaborato dall’INA-GRM di Parigi, ci rac-conta gli sviluppi del progetto.Le attività illustrate si compongono diproposte editoriali che fanno converge-re arte sonora e visiva (ad esempio lacollezione Livres Laser che raccoglie

musiche che accompagnano illustrazionio – viceversa – illustrazioni d’arte chesi affiancano a musiche) e di laboratoriappositamente creati per vari livelli sco-lari che accompagnano i bambini e iragazzi in vari percorsi: ad analizzareopere visive e a produrre musiche; adagire sul suono attraverso azioni previ-ste da installazioni sonore; a raccoglie-re i suoni del centro parigino per l’ela-borazione di cartoline sonore che riper-corrono e ricreano il mondo sonoro checaratterizza la città. I bambini sono dun-

que condotti a effettuare percorsi crea-tivi, affidandosi alle opere incontrate nelmuseo ed esplorando in modo sonoro lerealtà che queste emanano.Il dettaglio delle prospettive viene accu-ratamente presentato nell’animazionemultimediale attraverso una modalitàinterattiva molto efficace che integra ilverbale, il sonoro e il grafico-pittorico.Per visionare la presentazione:www.inagrm.com/sites/default/files/webradio/v2/avs/productions/mam/index.html

Garuti, Eleonora Ravasi, Massimiliano Viel.Da parte del pubblico la risposta è statamolto partecipata e spesso entusiasta. Gliottimi risultati di questa prima esperienza ele forti potenzialità che ha dimostrato diavere (e che potrebbero svilupparsi anchein ambito didattico) in termini di coinvolgi-mento del pubblico – a livello quantitativoe qualitativo – suggeriscono di lavorare peril suo proseguimento e ampliamento.Per ulteriori informazioni su questa primaedizione e sulle prossime si possono con-sultare i siti: www.musicaperta.it ewww.trekkingitalia.org

Rossella Fois

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L’autrice ci propone un’esperienza didattica, realizzataall’interno di un’attività di tirocinio, volta a esplorare ipunti di contatto tra musica e lingua straniera, in questocaso l’inglese. L’approccio musicale – basato sull’ascolto,sull’esecuzione e sulla produzione – diviene in questo casoun utile supporto alla comprensione della lingua, all’ap-prendimento di regole, alla conoscenza di nuove parole conle loro specifiche sonorità.

La cornice teoricaIl linguaggio verbale e quello musicale si confrontano e siarricchiscono vicendevolmente: sono interconnessi, inognuno di questi si può ritrovare costantemente l’altro, adinfinitum, in un intreccio di suoni. Per le numerose pub-blicazioni che mettono in evidenza queste interazioni tralingua e canto rimando alla bibliografia in calce a questoarticolo.La grande varietà di forme espressive utilizzate nel lin-guaggio e nella musica fa pensare a una sorta di continuumespressivo. Nel passare dal parlato al cantato vi è un’en-fatizzazione di alcuni tratti e livelli definiti tratti prosodicicome le curve intonative, l’intensità, l’accentuazione, ilritmo e la velocità: vi è appunto una formalizzazione mu-sicale.Partendo da lontano, possiamo riscontrare affinità tra mu-sica e lingua sul piano storico dove la musica e la parolaerano inseparabili. L’uomo della cultura orale era l’uomoche viveva nel mondo magico dell’orecchio. Il pensiero,all’interno di questo mondo, doveva avere un fortissimocontenuto ritmico per mantenere viva l’attenzione e quin-di doveva essere strutturato per ripetizioni o “espressioniformulaiche”, cioè forme che ritornavano ripetutamente eregolarmente nei poemi per esprimere e tramandare signi-ficati e storie degne, appunto, di memoria. La poesia can-tata, infatti, rappresenta una riserva importantissima diletteratura orale.L’apprendimento linguistico e la memorizzazione, quindi,possono essere facilitati se inseriti in un contenitore musi-

Chiara Zampetti

Un orecchioper due linguaggi

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19cale che consenta una frequente ripetizione e un supportoritmico strutturato. Nella storia della letteratura greca, moltiautori mettono in evidenza l’importanza stessa del cantoper la nascita della letteratura (Del Corno 1992).Musica e lingua hanno affinità anche sul piano fisiologi-co, parliamo infatti di orecchio musicale e linguistico 1.Ricordiamo che l’apparato uditivo è il primo organo a for-marsi, infatti il padiglione auricolare compare già alla quartasettimana di gestazione. L’orecchio è l’organo preposto allaricezione del suono musicale e della parola e all’equilibriopsico-fisico della persona; tramite l’ascolto si recepisconoinformazioni provenienti dai movimenti muscolari, si con-trolla la postura corporea e si percepisce l’emissione sono-ra corretta nel canto e nella comunicazione verbale trami-te la respirazione e la muscolatura. L’ascolto favorisce losviluppo psichico perché arricchisce la creazione di imma-gini mentali: immaginare vuol dire formare connessioni ecomposizioni che saranno tanto più ricche e articolate quan-to più l’immaginazione sarà stata alimentata dall’ascolto.Sul piano semiotico, il linguaggio musicale e la parola,nella forma orale, si realizzano mediante il suono (Dogana1988). Quest’aspetto ha dato origine al fonosimbolismo,utilizzato dal linguaggio poetico per evocare nel lettoreimmagini, stati d’animo e sensazioni attraverso la mate-rialità della parola. L’aspetto materico del linguaggio ver-bale, il suono della parola, è di fondamentale importanzasia nell’espressione poetica che in quella musicale: vengo-no esaltate le qualità sonore del materiale fonetico-lingui-stico che così ha un autonomo valore espressivo. Nel lin-guaggio fonosimbolico, quindi, i suoni sono di per sé vei-coli di significato; il puro gioco di suoni e timbri basta dasolo a suggerire o simboleggiare un aspetto della realtà. Lametafora sinestesica e le onomatopee sono una parte dellinguaggio fonosimbolico che si caratterizza per il ricorsoal modo analogico di utilizzare il mezzo linguistico. Il se-gno deve perciò essere parte della cosa, imitarla, dipinger-la, reificarla, determinando una maggiore interazione trasignificante e significato: con il fonosimbolismo si apronole porte all’immaginario sensoriale dei bambini.Sul piano cognitivo la musica e la lingua hanno affinitàriguardanti anche i processi cognitivi complessi che ven-gono attuati. Musica e lingua richiedono operazionipercettive: si percepiscono i suoni e le parole e poi si attua,a livello celebrale, un’astrazione al di là delle variazioni difrequenza per il suono e delle variazioni individuali per illinguaggio. Si deve quindi non solo percepire, ma organiz-zare questo flusso per renderlo comprensibile, cioè darglisignificato. Infine è necessario, mettere in relazione gli ele-menti percepiti come raffronto tra il dato che già si cono-sceva e quello nuovo.Sia la musica che la parola sono dei linguaggi, cioè sistemidi comunicazione che hanno una loro struttura interna eche i bambini apprendono fin dai primi mesi di vita, non-ché già in fase prenatale. Da una parte, infatti, sono predi-

sposti biologicamente, hanno cioè una facoltà innata chepermette loro l’apprendimento e la produzione di sistemicomunicativi; dall’altra usano il linguaggio come mezzodi interazione. Ne abbiamo un esempio nel rapporto tramadre e neonato: la mamma tramite il suono tranquillizzail suo bimbo e lo inizia al mondo dei suoni.Infine, la musica e la lingua sarebbero un veicolo allasocialità, infatti garantiscono la possibilità di trovare so-stegno negli altri e quindi creano coesione di gruppo eidentità: conosciamo noi stessi grazie al nostro rapportocon gli altri, direbbe Vygotskij (2008).È proprio per la vicinanza tra queste due sfere comunicati-ve che oggi la musica è presente nell’insegnamento di unalingua straniera: si impara attraverso giochi musicali, incontesti motivanti e gratificanti e si rende più semplice lamemorizzazione di nuovi vocaboli, l’acquisizione di nuo-ve strutture grammaticali e la pronuncia dei suoni dellanuova lingua da apprendere.Nell’insegnamento delle lingue, l’uso frequente di filastroc-che, canti, giochi motori cantati sta diventando una prassidiffusa perché i vocaboli e le frasi veicolate dalla musicavengono ricordate con più facilità e sono apprese veloce-mente. Le filastrocche e i canti facilitano infatti la perce-zione e la riproduzione delle caratteristiche ritmiche e me-lodiche e delle differenze di pronuncia. La musica permet-te una gratificante ripetizione di suoni che è in grado dimuovere gli affetti e quindi porre l’accento contemporanea-mente sulla componente affettiva e ludica della lingua daapprendere. In queste composizioni verbali, la strutturametrico-ritmica-accentuativa organizza il materiale fone-tico e fa emergere rime, assonanze, allitterazioni sulle qualiil bambino può intervenire creativamente. La struttura rit-mica libera la frase dall’ordine logico-sintattico, ciò sug-gerisce un’altra scansione che rende suggestivo un mes-saggio.Le filastrocche, tanto amate dai bambini, sono general-mente costituite dall’alternanza di due altezze e due dura-te, con moduli ritmici che si ripetono frequentemente. Ledifferenze di intensità sono facilmente riconoscibili daibambini, sono percepite come interessanti e piaccionomolto: il ruolo dell’interesse nel processo di comprensioneinfluenza in questo modo l’elaborazione dell’informazionelinguistica, rendendola più attenta ed efficace.Cantare è anche un modo per ricordare meglio perché ibambini, attraverso le filastrocche, apprendono per strate-gie di segmentazione che riducono la complessità delle strut-ture percepite e perché quando si canta ci si ascolta. Inol-tre i bambini si divertono e viene così incentivata la moti-vazione e il coinvolgimento emotivo e corporeo perché lecomponenti semantiche sono enfatizzate dai gesti. L’origi-ne dell’esperienza vocale è quindi associata al piaceresensoriale e uditivo di natura emotiva perché fonte di unarelazione. Quando si canta insieme, si ascoltano gli altri ela sonorità del testo e quindi la parola acquista fisicità,rimbalza sul nostro corpo, colpisce i nostri sensi e attivameccanismi di comprensione diversi e imprevisti; le parolediventano magiche perché si fanno conoscere in tutta laloro creatività e il suono e il ritmo conservano più a lungo1 Cfr. www.tomatis.it, Tomatis 2003, 2008; Maturi 2006.

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20 questa magia. Anche le parole difficili sono fonte di miste-ro, perché sono quelle inusuali che hanno forza emotiva:cantare così significa portare in vita la voce del testo e lostesso ritmo lega tra loro i bambini in una sorta di in-cantamento.In sintesi, musica e testo (o poesia), rendono piacevole l’ap-prendimento di una lingua straniera perché:- facilitano la comprensione, l’apprendimento e la ripro-

duzione delle caratteristiche ritmiche e melodiche dellalingua da apprendere;

- facilitano la comprensione, percezione e riproduzionedelle differenze nei suoni;

- facilitano la percezione e la riproduzione della compo-nente affettiva e sociale della lingua straniera.

Un altro piano di importante coinvolgimento è quello delcorpo, quando il canto è accompagnato da gesti; la vocestessa è corpo perché parte dall’interno del nostro essere, siproietta all’esterno e diviene il primo strumento musicale.Il canto, infine, sviluppa l’ascolto di se stessi, dei proprisuoni e di quelli degli altri, perché si canta insieme e cisono regole da rispettare (turni, contemporaneità di even-ti, pronuncia del testo).

Il progetto didatticoIl percorso qui proposto 2 prende l’avvio da una metodologiadidattica implicita che rivolge l’attenzione agli approccinaturali dei bambini. Questa modalità ha specifiche carat-teristiche: vengono rispettati i tempi d’apprendimento delbambino (non si esige una produzione precoce), la com-prensione avviene prima della produzione e la produzioneorale precede quella scritta. Oltre a ciò, il progetto si basasul concetto di un apprendimento attraverso un’ottica diproduzione creativa e di atteggiamento ludico applicataagli aspetti della lingua inglese. I bambini usano la linguain contesti significativi, creando situazioni naturali, favo-rendo la motivazione per lo sviluppo linguistico e musica-le della lingua straniera. La lingua, infatti, è un insieme disuoni, ritmi, durate, intensità e azioni.Molta importanza è stata data a uno spazio (inteso qualelaboratorio) che unisce insieme musica e lingua e per ibambini rappresenta il luogo dove predomina l’azione, dovec’è un senso di libertà perché si impara anche con ilcoinvolgimento del corpo e non solo stando seduti. Inoltreil lavorare insieme nello spazio del laboratorio è una di-mensione che appartiene a tutti perché tutti e ciascuno sisentono corresponsabili di un compito comune.Si è ritenuto centrale l’ascolto, infondendo un’abitudinealla concentrazione sul suono e suscitando curiosità su di

esso. Poiché l’attenzione dei bambini è rivolta a ciò cheavviene – ripetizioni, suoni simili, suoni diversi – è stataproposta un’attività dove una stessa canzone venivariproposta con diverse intonazioni 3.La comprensione del testo è avvenuta in modo globale:anche qui l’ascolto ha avuto un ruolo centrale e c’è statoconfronto con gli altri, nel rispetto dei turni e nell’ascoltodelle voci. Si è scelta una prima canzone in lingua madre(il consueto Fra Martino in forma di canone 4), dove ibambini dovevano usare suoni di diversa durata e rico-noscerli poi in una filastrocca in lingua inglese, The catis gone.È seguita l’acquisizione di nuovi vocaboli e regole gram-maticali attraverso la ricomposizione di un testo classicoin lingua inglese in un nuovo testo, dove i bambini hannoaggiunto nuovi vocaboli o hanno creato un “ritmo” su cuiesplicitare le regole grammaticali.Per i nuovi vocaboli si è ripreso l’antico canto dei mari-nai What shall we do with the drunken sailor?, cambian-done le parole: What shall we do with the things in theclassroom? Per l’acquisizione di regole grammaticali èstato scelto un brano irlandese (diffuso durante la PrimaGuerra Mondiale), It’s a long way to Tipperary. Si trattadi una marcia – con un ritmo scandito e regolare chefacilita l’apprendimento e lo sviluppo del senso ritmico –dove il testo originale è stato sostituito con parole ri-guardanti una regola grammaticale (il plurale della lin-gua inglese).La proposta iniziava disponendo i bambini in cerchio efacendo ascoltare la base musicale. Durante questa fasepreparatoria i bambini hanno percepito il ritmo di marciaattraverso la presenza di un accento forte ogni due pulsa-zioni. Una volta interiorizzato il ritmo, la marcia è diven-tata spontanea e il testo della canzone è stato facilmentememorizzato anche perché direttamente inventato dai bam-bini con la collaborazione della maestra:

It’s an easy way to put the –s,It’s an easy way to go,It’s an easy way to put the –s,At the end of a singular word!

Per favorire la produzione linguistica si è utilizzato un te-sto cantato associato all’uso di mani e piedi che favorissela conoscenza del corpo ed educasse a seguire il ritmo e asincronizzarsi rispetto ai movimenti degli altri.Il passaggio successivo è stato quello di chiedere ai bambi-ni di elencare tutti i gesti-suono prodotti con il corpo. Conle mani: batterle, strisciarle una sull’altra, battere i pugnifra loro, batter i pugni sul petto, battere le mani sulle guancegonfie d’aria, battere le mani sulle gambe, tamburellare.Con la bocca: fischiare, soffiare, far schioccare la lingua,mandare baci. Con i piedi: camminare, battere le punte,battere i tacchi, battere insieme i piedi. A questo scoposono state usate, tra altre, le canzoni If you’re happy eCockles and mussels.Questo lavoro voleva offrire una chiave di letturainterdisciplinare della musica attraverso l’apprendimento

2 L’esperienza è stata realizzata all’interno del tirocinio previsto dalcorso di laurea in Scienze della Formazione ed è stata utilizzataper la stesura della tesi finale (Università di Perugia, relatore An-tonio Caroccia).

3 Due le canzoni: la prima in lingua madre Dieci amici per contare euna in lingua inglese One, two, buckle my shoes (Scale – Rosi 2010).

4 www.filastrocche.it5 ILENIA TARGHETTINI, Scuola e orchestra nell’istruzione di base inglese,

in “Musica Domani”, n. 128, p. 19.

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21di una lingua straniera, infatti, come afferma IleniaTarghettini: «La realizzazione di un’offerta educativa mul-ti-artistica, condivisa e continua è l’obiettivo più stimo-lante […] il compimento dell’impresa è una missione com-plessa ma sempre meno distante, che dovrebbe investire etrasformare metodi e concetti radicati e costituire un nuo-vo paradigma per l’insegnamento musicale» 5.

BibliografiaLUIGIA CAMAIONI, Psicologia dello sviluppo del linguaggio, Il Mulino, Bo-logna 2001.SILVANO COSCIA - GIORGIO RAVA, Suoni, ritmi, musica, Società editrice in-ternazionale, Torino 1988.FRANÇOIS DELALANDE, Le condotte musicali, Clueb, Bologna 1993.FRANÇOIS DELALANDE, La musica è un gioco da bambini, FrancoAngeli,Milano 2004.FRANÇOIS DELALANDE, La nascita della musica, esplorazioni sonore dellaprima infanzia, FrancoAngeli, Milano 2009.DARIO DEL CORNO, Letteratura greca, Principato, Milano 1992.CARLO DELFRATI, Il maestro ben temperato. Metodologie dell’educazionemusicale, Curci, Milano 2009.MONICA DEL SOLDATO - MARCO PASETTO, Canzoni tradizionali inglesi, Muli-no Don Chisciotte, Milano 2005.FERNANDO DOGANA, Suono e senso. Fondamenti teorici ed empirici del sim-bolismo fonetico, FrancoAngeli, Milano 1988.

MARCELLA FERRARI - PAOLA PALLADINO, L’apprendimento della lingua stra-niera, Carocci, Roma 2007.FLORIANA FALCINELLI, L’individualizzazione dell’insegnamento: aspetti pe-dagogici e didattici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993.GIANCARLO GAGLIARDELLI, Avviamento allo studio dei fenomeni prosodicidell’inglese, Pitagora Editrice, Bologna 2004.HOWARD GARDNER, Intelligenze multiple, Anabasi, Milano 1994.GIUSEPPE GRAZIOSO, Suono, Musica, Movimento, Carocci Faber, Roma 2007.PIETRO MATURI, I suoni delle lingue, i suoni dell’italiano, Il Mulino, Bolo-gna 2006.ELITA MAULE - STEFANIA CAVAGNOLI - STEFANIA LUCCHETTI, Musica e apprendi-mento linguistico, Quaderni operativi dell’Istituto Pedagogico diBolzano, n. 18, Junior, Bergamo 2005.MARINA NESPOR, Fonologia, Il Mulino, Bologna 1993.ELISABETTA SCALE - LILIANA ROSI, Simple English, Erickson, Trento 2010.ALFRED TOMATIS, Siamo tutti nati poliglotti, Ibis, Pavia 2003.ALFRED TOMATIS, L’orecchio e il linguaggio, Ibis, Pavia 2008.Vygotskij nella classe, a cura di Lisbeth Dixon-Krauss, Erickson, Trento2000.LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, ed.it. a cura di Luciano Mecacci, Laterza, Roma-Bari 2008.ERSILIA ZAMPONI - ROBERTO PIUMINI, Calicanto, la poesia in gioco, Einaudi,Torino 1988.ERSILIA ZAMPONI - ROBERTO PIUMINI - MARINA NESPOR, Fonologia, Il Mulino,Bologna 1993.ALIX ZORILLO PALLAVICINO, Gioco musicale e apprendimento, La Scuola,Brescia 2010.

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Buone pratiche d’orchestraMirio Cosottini - Alessio Pisani

Molti ritengono che fra la pratica dell’improvvisazionee l’uso di segni grafici il rapporto sia assente o poco signi-ficativo. Gli autori mostrano invece come i percorsi di co-difica/decodifica che esplorano il rapporto suono-segno nelledue direzioni possano offrire spunti interessanti alla di-dattica dell’improvvisazione, attraverso una serie di eser-cizi basati sulla distinzione fra linearità e non-linearità. Inquesta prospettiva si attenua la distinzione fra improv-visazione e composizione: ogni processo improvvisativo hauna componente compositiva e viceversa.

La pratica dell’improvvisazione molto spesso fa uso delsegno grafico, una eventualità che a qualcuno potrebbe sem-brare in contrasto con gran parte delle definizioni del termi-ne “improvvisazione”. Difatti l’improvvisazione è in genera-le considerata quella pratica che si basa sulla creazioneestemporanea di opere musicali senza l’ausilio di alcuna an-notazione scritta. Tale contrasto a ben vedere può esserericondotto al rapporto fra improvvisazione e composizione.La scrittura musicale è una delle risorse fondamentali dellapratica compositiva, mentre l’improvvisazione tende a far-ne a meno. Il rapporto fra improvvisazione e composizioneapre un ventaglio di questioni di notevole interesse sia mu-sicale che filosofico, ma a noi interessa soffermarci sul rap-porto fra improvvisazione e segno musicale dal punto divista della sua utilità nella didattica dell’improvvisazione. Ilnostro presupposto è che «“improvvisazione” e “composi-zione” denotano tipi ideali di opposti che si compenetra-no» 1 e che quindi lo studio dell’improvvisazione non puòprescindere da pratiche compositive.Per segno musicale noi intendiamo un qualsiasi segno gra-fico, una grafia «che sia connessa organicamente con glialtri stadi dell’operazione musicale, che […] sia il segno diun’intenzione estetica connessa a una effettiva costituzio-ne di opera d’arte» 2. Questo ci dà il senso della profondainterazione fra i vari momenti dell’agire musicale, intera-zione che non cessa neppure nel momento della deli-neazione di una didattica dell’improvvisazione. Difatti in-

Mirio Cosottini - Alessio Pisani

Non linearitàe segno grafico

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segnare a improvvisare non può esaurirsi nel sottoporreall’allievo un insieme di esercizi che sviluppano nuove ca-pacità tecniche o accrescono il suo bagaglio di vocabolimusicali, ma deve puntare verso l’individuazione di alcunipresupposti attraverso i quali costituire un’indagine intor-no al suono e alle sue caratteristiche lineari e non-linea-ri 3. La nostra intenzione è tenere il segno grafico (dallanotazione musicale standard fino alla notazione pittogra-fica) imbrigliato all’interno del rapporto fra variabilità estabilità che la scrittura determina 4. Dal nostro punto divista questo significa rendere disponibile il segno sia a unainterpretazione lineare che a una interpretazione non-li-neare basandosi sulla dicotomia lineare/non-lineare per uti-lizzare nuovamente i segni grafici in un contesto di improv-visazione. A questo scopo utilizzeremo segni grafici anzi-ché segni musicali in notazione standard.Gli obiettivi didattici fondamentali sono due:a) interpretare musicalmente vari tipi di segni (notazionale

standard, grafico, pittorico);b) tradurre il suono in segno.L’interpretazione dei segni avviene attraverso la suddivi-sione di alcuni segni grafici fondamentali basati sulla li-nea e sul cerchio e allo stesso modo avviene la traduzionedel suono in segno grafico.La grafia ci permette di inserire la prassi esecutiva (tipica delmusicista-interprete) nel contesto dell’improvvisazione, senzaperò costringerla nello stretto ambito dell’interpretazionedella partitura. Il segno grafico spinge l’allievo ad assumereun atteggiamento da interprete pur mantenendo aperti i ca-nali creativi caratteristici dell’improvvisazione. Esso, cioè,torna a essere quel veicolo che incarna sia la volontà difissare un’idea musicale che quella di permetterne la conti-nua evoluzione. Se il segno grafico viene interpretato se-condo principi di linearità 5 l’allievo è come un interpreteche legge una partitura e la esegue, con la differenza che il“significato” del segno viene assegnato hic et nunc duranteil processo improvvisativo, dal momento che la lettura è diun segno grafico e non di un segno notazionale standard.Se il segno grafico viene letto secondo principi di non-linearità 6 l’allievo riduce la sua funzione di interprete-ese-cutore a vantaggio dell’improvvisazione. Nel primo caso leproprietà del segno che la lettura evidenzia sono proprietàparticolari, mentre nel secondo caso riguardano il segno nelsuo complesso. Chiaramente ogni segno può essere letto in

modo lineare o in modo non-lineare, oppure in entrambi imodi. Nel nostro caso la lettura viene suggerita all’allievosulla base degli obiettivi didattici che si intendono persegui-re. La lettura lineare di un segno grafico produrrà un risul-tato musicale lineare, mentre viceversa la lettura non-linea-re di un segno produrrà un risultato musicale prevalente-mente non-lineare.Per raggiungere i nostri obbiettivi abbiamo costruito cop-pie di esercizi, secondo il seguente schema:

a1) lettura continua del segnoa2) scrittura continua del suonob1) lettura proporzionale del segnob2) scrittura proporzionale del suonoc1) lettura non-lineare del segnoc2) scrittura non-lineare del suonod1) lettura lineare e non-lineare 7 del segnod2) scrittura L e NL del suono

a1) Lettura continua del segnoPer “lettura continua” si intende la lettura orientata delsegno che procede nel modo più dettagliato possibile. Losguardo scorre lungo la linea e osserva ogni tratto in modomillimetrico, cercando di coglierne ogni singola sfumaturae cambiamento. A ogni variazione grafica della linea devecorrispondere una variazione sonora nell’esecuzione.Ecco alcuni esempi di linee per una lettura continua:

Le tre linee sono in ordine crescente di complessità. La pri-ma ha un tratto più uniforme, curvilineo e sono riconoscibi-li alcuni ispessimenti. La seconda aggiunge elementi spigolosie la terza incertezze nel tratto simili a trasparenze.Per iniziare possiamo suggerire all’allievo di stare su unanota sola e di riprodurre sonoramente ogni dettaglio cheemerge dalla lettura continua della linea. Il suggerimento

1 «[…] “improvisation” and “composition” denote ideal types or inter-penetrating opposites». (ANDY HAMILTON Aesthetics and Music, ContinuumInternational Publishing Group, London-New York 2011, p. 197).

2 GIOVANNI GUACCERO, Per un fondamento critico delle grafie aleatorie,in Di Domenico Guaccero prassi e teoria, Nuova Consonanza, Roma1984, p. 110.

3 Per un approfondimento sui concetti di lineare e non-lineare siveda JONATHAN KRAMER, The Time of Music, Schirmer, London 1988.In sintesi, con linearità egli intende la determinazione di una opiù caratteristiche della musica secondo implicazioni che deriva-no da eventi precedenti; con non-linearità intende la determina-zione di una o più caratteristiche della musica secondo implica-zioni che derivano da principi od orientamenti che governano un

intero pezzo o una sua sezione.4 «La grafizzazione spinge alla ricerca di un sistema e la lingua è

proprio un sistema, aperto nel caso dell’arte e in cui coesisto-no le opposte forze della permanenza e della variabilità». (GIO-VANNI GUACCERO, L’ “alea” da suono a segno grafico, in Di DomenicoGuaccero prassi e teoria cit., p. 83)

5 Il segno viene letto in modo orientato e suddiviso in parti auto-nome secondo un rapporto di consequenzialità. La lettura avvie-ne nel tempo e secondo una direzione.

6 Il segno viene letto in modo non orientato, nel suo complesso enella sua autonomia. In questo caso ogni elemento musicale èpresente nello stesso tempo.

7 Da ora in poi, L sta per lineare e NL sta per non-lineare.

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24 linea vengono associati i valori delle note avremo unastrutturazione delle durate determinata per l’intera duratadell’esercizio. Lo stesso avviene se alla direzione della li-nea facciamo corrispondere la maggiore o minore altezzadelle note. Naturalmente la scelta di quale durata e di qualinote è di nuovo a discrezione dell’interprete, essendo nelcampo di una notazione musicale indeterminata.Questo tipo di esercizio è nel complesso lineare, la lettura èorientata (da sinistra verso destra) e i vari elementi graficisono interpretati in modo consequenziale.

b2) Scrittura proporzionale del suonoAnalogamente all’esercizio della lettura abbiamo quellodella scrittura proporzionale del suono. In questo caso l’al-lievo è impegnato a tradurre il suono in elementi propor-zionali fra loro e a disporli graficamente sul foglio.Questo l’esempio di esercizio realizzato da un allievo:

c1) Lettura non-lineare del segnoPer lettura NL del segno si intende l’interpretazione che aogni elemento di invarianza grafica fa corrispondere unelemento di permanenza musicale. Così, ad esempio, se unsegno è molto denso dal punto di vista del colore essopotrà essere interpretato musicalmente con una costantetimbrica; se un segno manifesta una spiccata articolazionein segmenti e linee esso potrà essere interpretato musical-mente con una continua scansione ritmica ecc.Di seguito un esempio di spunto grafico per un esercizio dilettura NL del segno:

Questi segni sono spiccatamente grafici, e non sono orien-tati, ovvero possono essere letti in qualunque direzione. Inquesto caso si è privilegiato la forma circolare e la densitàdi colore, per cui le invarianze grafiche risiedono appuntoin queste caratteristiche.

c2) Scrittura non-lineare del suonoLa scrittura NL del suono prevede la “traduzione” graficadi un suono. Questa operazione poggia sull’individuazionedelle caratteristiche NL del suono e sulla loro scrittura permezzo di segni grafici. Le caratteristiche NL del suono sono

iniziale cede progressivamente il passo a una spontanealettura.La lettura continua del segno è un buon esercizio per chiinizia a improvvisare 8, dal momento che costringe a con-centrarsi sulla variazione sonora in base al cambiamentopercettivo che la linea determina visivamente. In un certosenso la produzione del suono è svincolata da qualsiasilogica costruttiva per acquistare una semplice funzione di“registrazione sonora” di variazioni visive. La concentra-zione dell’allievo si esaurisce nello stabilire una sicurasincronia e un certo automatismo. La preoccupazione delsuono prodotto e della logica di sviluppo musicale è deci-samente secondaria.

a2) Scrittura continua del suonoMentre l’esercizio precedente parte dal segno per giungereal suono, il presente esercizio compie il tragitto inverso edall’ascolto del suono procede verso la sua restituzionegrafica. In fase di laboratorio abbiamo fatto eseguire deibrevi soli di circa due minuti mentre gli altri allievi face-vano esercizio di scrittura continua del suono.Questi sono esempi di esercizi svolti da alcuni allievi:

b1) Lettura proporzionale del segnoPer lettura proporzionale si intende la lettura del segnoche associa a caratteristiche grafiche simili un’interpreta-zione musicale simile e inoltre modifica i valori per ogniparametro proporzionalmente. L’occhio non tende a scor-rere in modo millimetrico, come nel caso precedente, ma asuddividere la linea grafica in parti a cui corrisponde un“significato” musicale. Se ad esempio associamo alla lun-ghezza di un dato segmento la durata di una nota, allametà di tale lunghezza corrisponderà la metà di tale dura-ta; di conseguenza agiremo rispetto all’assegnazione divalori in relazione ad altri parametri, quali ad esempio l’in-tensità, l’altezza e il timbro.Questo è un esempio di esercizio per una lettura propor-zionale:

Insieme alla linea sono stati aggiunti alcuni segni in nota-zione standard per le dinamiche e gli accenti. Normalmen-te la lunghezza del segmento viene interpretata come ladurata di un suono mentre la direzione della linea deter-mina il salire e lo scendere di altezza dei suoni.Rispetto alla lettura continua della linea, la lettura propor-zionale del segno è decisamente un passo in avanti versola consapevolezza del suono e della sua organizzazione.La linea viene letta a blocchi “significativi”, ai quali corri-spondono scelte musicali precise. Se alla lunghezza della

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quelle proprietà del suono che permangono nel tempo, chenon mutano e non hanno carattere di consequenzialità 9.Proponiamo due esempi di scrittura NL del suono realizzatidagli allievi.Il primo rappresenta due caratteristiche musicali NL, cioèconvergenza e trasversalità:

Il secondo rappresenta un’altra caratteristica musicale NL ecioè il tempo spazializzato 10:

d1) Lettura lineare e non-lineare del segnoQuesto esercizio unisce gli esercizi b1 e c1, cioè la letturaproporzionale con quella NL. Ciò significa che le caratteri-stiche NL del “cerchio” dovranno essere compresenti conquelle lineari della linea. Non c’è niente di contraddittorioin questa pretesa, dal momento che le caratteristiche L e NL

della musica sono sempre compresenti in misura maggioreo minore.Questo è un esempio di proposta grafica per un esercizio dilettura L e NL del segno:

La lettura proporzionale si avvale della linea, che deve es-sere letta da sinistra a destra su tre righi, mentre il cerchiodetermina la caratteristica NL del brano musicale 11.

8 È paragonabile all’esercizio del metronomo descritto in MIRIO

COSOTTINI, Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione musicale,“Musica Domani”, n. 151, giugno 2009, pp. 39-41.

9 Per una spiegazione su come intraprendere questa individuazionesi veda MIRIO COSOTTINI - ALESSIO PISANI, Metodi non lineari e improv-visazione, “Musica Domani”, n. 158, pp. 25-28.

10 Come si evince dagli esempi mostrati, nel rappresentare grafica-mente un contenuto NL si è portati alla complessità grafica (mol-te linee, molte curve, macchie di colore, texture diverse ecc.).Maggiore consapevolezza nell’uso del segno si matura con la pra-tica del tradurre graficamente contenuti NL.

11 A ogni segno grafico è possibile associare anche più di una carat-teristica NL.

12 Durante il laboratorio abbiamo fatto eseguire un breve assolo didue minuti a un allievo mentre gli altri svolgevano l’esercizio.

d2) Scrittura lineare e non-lineare del suonoLa scrittura L e NL del suono inizia dall’ascolto di un branomusicale 12 e termina con la sua scrittura. La scrittura pro-porzionale del suono si svolge quasi contemporaneamenteall’ascolto del brano musicale, per cui la scrittura della ca-ratteristica NL può essere fatta in un momento successivo.

ConclusioniLa distinzione fra lineare e non-lineare ci ha permesso diconsiderare con un nuovo sguardo l’uso del segno graficoin relazione all’improvvisazione musicale. Mentre la nostracultura musicale ci ha insegnato nel tempo a fissare le altez-ze e a gestire gli altri parametri del suono in modo sostan-zialmente lineare, facendo attenzione alla logica discorsivitàdel flusso musicale, con minore forza ci ha insegnato a scri-vere graficamente le caratteristiche della musica che riman-gono immutate nel tempo, cioè le proprietà NL della musica.La linea dal punto di vista grafico è lo strumento miglioredal quale iniziare, dal momento che ci consente di speri-mentare un approccio immediato con il segno e la sua inter-pretazione (la lettura continua), per poi consentire nel tem-po le scelte musicali grazie all’organizzazione visiva e con-cettuale dei segni (lettura proporzionale).Nel momento in cui il segno grafico perde la sua orien-tabilità e la linea si ispessisce, cioè diventa “materico” espazialmente consistente, allora si dimostra un efficace stru-mento per “fermare” i contenuti NL della musica.Imparare a guardare il segno secondo la sua valenza L o NL

è un ottimo espediente per l’improvvisazione, dal momen-to che il processo dell’improvvisazione è permeato da mo-dalità di esecuzione lineari e non lineari. L’uso del segnoconsente di dare coerenza all’improvvisazione grazie allalettura NL dei segni. Essi permettono di tenere presenti lecaratteristiche della musica che non mutano nel tempo, inmodo tale da “timbrare” uniformemente l’improvvisazionee fare in modo che le scelte melodiche e armoniche sianofatte in piena coerenza con il rispetto di questi principi piùgenerali. Il segno grafico dà un senso formale all’improv-visazione. Lo sviluppo della musica nel tempo è una delleprincipali preoccupazioni di chi inizia a improvvisare, unfatto che è collegato alla forma che il brano dovrà assume-re. Se pensiamo alla forma non soltanto come una divisio-ne in parti che hanno una data significatività linguistico-

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13 ANDY HAMILTON, Aesthetics and Music, Continuum InternationalPublishing Group, London-New York 2011, p. 192.

14 Pensiamo a Ornette Colemann che improvvisa “senza memoria”,oppure a Derek Baley che parla di improvvisazione non-idiomati-ca (DEREK BAILEY, Improvvisazione. Sua natura e pratica in musica,ETS, Pisa 2010, ristampa dell’edizione Arcana, 1982).

15 A questo riguardo è interessante segnalare l’estensione che BruceEllis Benson fa dei processi improvvisativi addirittura a tutta l’at-tività musicale nel suo The Improvisation of Musical Dialogue. APhenomenology of Music, Cambridge University Press, Cambridge2009.

musicale, ma come ambito in cui si rispetta un principioorganizzatore, allora la preoccupazione si attenua. La for-ma cioè non nasce soltanto se consideriamo la successionenel tempo di unità significative (come ad esempio l’esposi-zione di un antecedente e poi di un conseguente), ma an-che dal rispetto di una proprietà NL della musica (ad esem-pio la costante densità melodica del brano). Il segno grafi-co, anche per il fatto di essere “compreso” con uno sguar-do, ci consente di considerare la forma secondo caratteri-stiche NL e facilita l’improvvisazione anche al neofita.L’uso dei segni grafici ci permette di strutturare l’improv-visazione secondo principi L e NL, dal momento che sucarta possiamo inserirli entrambi e considerarli presentiallo stesso tempo. La prevalenza degli uni sugli altri daràvita a una improvvisazione più o meno lineare, più o menonon-lineare. Il segno grafico mette dunque in stretto rap-porto il suono con il processo dell’improvvisazione. Se lamaggior parte dei musicisti propende per uno studio linea-re dell’improvvisazione, viceversa il segno grafico ci con-sente di avere maggiore attenzione ai principi non-linearie di conseguenza focalizzare la nostra attenzione sul suo-no complessivo. A un segno per un contenuto NL assocere-mo un’idea di suono che avremo il compito di “tenere”durante l’esecuzione del brano. L’idea di suono non è altroche l’insieme dei suoni che mentalmente rispondono a unprincipio musicale più generale.Se il segno grafico aiuta il singolo musicista a improvvisa-re, esso aiuta anche il collettivo di improvvisatori. La ca-pacità di dare coerenza e struttura a un’improvvisazionecollettiva è un’operazione molto difficile, soprattutto se siintende rendere coerenti “discorsi” musicali eterogenei. Ognifrase musicale ha una sua forma che non sempre si adattaalle altre. Nell’improvvisare collettivamente ognuno “par-la” la sua lingua e “propone” le sue argomentazioni. Sulpiano strettamente lineare è davvero difficile instaurareun dialogo, e se qualcuno ci riesce è perché padroneggiamolto bene l’ambito stilistico nel quale si muove (un grup-po di bravi jazzisti riescono facilmente a improvvisare sudi un blues, in una certa tonalità e con un certo stile). Chi

inizia a improvvisare non ha ancora il bagaglio tecnico-stilistico per affrontare contesti di questo tipo e dunquerisulta più efficace concentrarsi su caratteristiche NL dellamusica, le quali – proprio perché hanno una valenza piùgenerale – riescono a dare una forma più sempliceall’improvvisazione che non richiede competenze stilisticheparticolari.Infine, l’uso del segno grafico per l’improvvisazione è utileperché apre un nuovo punto di vista nel rapporto fra com-posizione e improvvisazione. Ancora oggi si sentono i po-stumi di un modo di concepire la composizione musicaleche nasce a metà del Settecento per arrivare fino a metàdegli anni ’50 del Novecento, concezione secondo la qualeciò che è importante è l’opera musicale nella sua assolutezzaed eternità e la virtuosa capacità del compositore di “fer-marla” proprio grazie alla composizione. Quella che AndyHamilton chiama l’estetica della perfezione enfatizza l’eter-nità dell’opera musicale e l’autorità del compositore 13. Inquesto orizzonte l’improvvisazione non trova spazio ed èlasciata fuori dalla porta. Dall’altra abbiamo improvvi-satori che rifiutano qualsiasi confronto con la scritturamusicale proprio per rivendicare la “spontaneità” dellaloro pratica e di conseguenza una spiccata estetica dell’im-perfezione 14. Secondo questo punto di vista l’improvvi-sazione è radicalmente differente dalla composizione e inchiara opposizione.In realtà improvvisazione e composizione giocano un ruo-lo importante in seno a ogni processo creativo 15 e si rive-lano fondamentali nello studio e nell’apprendimento dellamusica. Di conseguenza ogni processo improvvisativo hain sé una componente di composizione e viceversa. L’uti-lizzo dei segni grafici durante una improvvisazione non faaltro che dar ragione di questo connubio. Grazie a essiriusciamo a mantenere la spontaneità caratteristicadell’improvvisazione (essendo i segni grafici generali nellaloro interpretazione) e allo stesso tempo produrre un mi-glioramento della preparazione del musicista (i segni gra-fici entrano in un rapporto dialettico fra le idee musicali ela loro interpretazione).

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Partiamo?Un gioco-viaggio per l’inclusione

In questa proposta l’autore, insegnante di sostegno e dot-tore di ricerca in etnomusicologia, descrivendo le modalitàdidattiche utilizzate per sbloccare una situazione educativamolto problematica, riflette sul valore aggiunto che i suoistudi gli hanno fornito nella costruzione del Piano EducativoIndividualizzato (PEI) di un alunno con paralisi cerebraleinfantile, affetto da gravi disturbi motori, cognitivi e dellacomunicazione, il quale, a causa di una commistione diproblematiche psicologiche e fisiologiche, come la scialor-rea 1, viveva enormi difficoltà relazionali con il personaledella scuola e con i compagni. [Amalia Lavinia Rizzo]

Eravamo in un plesso distaccato di un Istituto Comprensivoin un angolo periferico e industriale dell’hinterland milanese:insegnanti di sostegno assunti per brevi periodi si alternava-no senza sosta. Le problematiche strutturali della scuola equelle relazionali erano strettamente connesse e M., in tutto ilsuo percorso scolastico, non aveva mai avuto l’opportunità diveder elaborato un progetto educativo. La situazione inizialeera oltremodo preoccupante: M. veniva considerato come unproblema da gestire, non come catalizzatore di Bisogni Edu-cativi Speciali. L’organizzazione didattica era schiacciata sulcontenimento della situazione alla quale erano dedicate tuttele ore di sostegno e di assistenza comunale. M. non entravamai in classe, anzi: tutte le sezioni si trovavano al piano su-periore mentre la “sua” stanza era al piano inferiore, si disse,per questioni di sicurezza. Nei primi giorni non mi chiesi as-solutamente quale potesse essere il valore aggiunto di cui unantropologo del suono e della musica si potesse fare portatorein una situazione così critica. Fu lo stesso M. che me lo sug-gerì, grazie alla sua estrema sensibilità sonora. M. non eraassolutamente capace di seguire un gioco di regole. Avevadifficoltà a capirle, memorizzarle e metterle in atto in sequen-ze di comportamenti; non aveva alcuna capacità di focalizza-re l’attenzione neppure per pochi secondi. Inoltre aveva im-parato che adulti e compagni lo tenevano in considerazionesoltanto quando creava loro dei problemi attraverso una di-namica relazionale conflittuale, ad esempio, o semplicementetirando delle forbici verso qualcuno. Era alla continua ricercadel conflitto perché così, finalmente, trovava una funzionenel contesto di gruppo. D’altro canto sembrava che la scuolanon avesse efficaci strumenti comunicativo-relazionali: pa-role, regole, rimproveri non sortivano l’effetto voluto, biso-gnava trovare altri canali! In questa situazione, scoprii che M.

era estremamente sensibile ad alcuni suoni onomatopeici: nerimaneva affascinato e riusciva a focalizzare l’attenzione sualcune onomatopee collegate in sequenza da rapporti di cau-sa-effetto che riusciva a gestire. In particolare mostrava digradire tutti quei suoni che fossero legati al mondo dei tra-sporti (auto, navi, treni ecc.) e tutte le sequenze narrative di“partenza e arrivo”. Ciò mi fece venire in mente Steven Feld,l’ideatore della “acustemologia”, quando afferma che nongià “la musica” – termine parte di un sistema e di una situa-zione culturale troppo specifica – ma “il suono” sia un me-todo di conoscenza che avvolge l’agire sociale e simbolico,tra percezione ed esperienza corporea, suono e sentimento(STEVEN FELD, Uccelli, lamento, poetica e canzone nell’espres-sione kaluli, Il Saggiatore, Milano 2009, p. 14). Capii dun-que che quei suoni, spesso disprezzati dal punto di vistamusicale e compositivo, potevano configurarsi in filamentidi una rete sonora e simbolica attraverso cui M. potesse ri-manere collegato alla realtà del mondo circostante e riuscirea elaborare delle micro-narrazioni e interpretazioni. Ciò cheper l’antropologo del suono e della musica è un campo diesperienza analitica si poteva trasformare in una risorsaeducativa per una progettualità didattica finalizzata allavalorizzazione delle potenzialità del ragazzo in un orizzon-te inclusivo. Abbiamo iniziato individualmente con il giocosonoro descritto nella Sezione Materiali del sito di MusicaDomani (www.musicadomani.it) e poi, includendogradatamente colleghi sensibili, abbiamo raggiunto una di-mensione più sociale e cooperativa, inserendo progressiva-mente i compagni nei giochi e nei racconti sonori di M. Taligiochi si sono sviluppati in seno alla classe o in piccoli gruppi:una sorta di laboratorio in cui elaborare storie sonore e met-terle in atto attraverso drammatizzazioni corporee o conl’ausilio di burattini e teatrini di cartone. Lo stadio finale delpercorso ha previsto sia l’utilizzo di strumenti musicali ingruppi in cui M. poteva contribuire scandendo il tempo efacendo attenzione a interrompersi dopo un certo numerodi ripetizioni di una frase musicale, sia contesti in cui suoni,strumenti musicali, compagni e insegnanti, diventavano at-tori di un dramma sonoro che in forma simbolica permette-va la condivisione e il confronto di vissuti di persone in unpercorso di co-evoluzione.

1 Con il termine si indica una eccessiva produzione di saliva.

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Attraverso una trattazione agevole che alterna rifles-sioni pedagogiche e metodologiche a concrete indicazionioperative il contributo proposto ripercorre – secondo la per-sonale prospettiva dell’autrice – le imprescindibili valenzedi una solida formazione audiopercettiva, fondamento epresupposto di ogni attività di letto-scrittura musicale.

Il lavoro che presentiamo parte dalle seguenti premesse:- la musica è un linguaggio primordiale che ci appartie-

ne e, come tutti i linguaggi, è qualcosa di diverso dalsuo codice di scrittura;

- la musica ha bisogno di interpreti e strumenti per ma-nifestarsi. Il corpo è da considerarsi uno strumento e lostrumento musicale una estensione del corpo che puòamplificare le possibilità del corpo stesso: dilatando l’in-tensità e l’altezza, consentendo maggiore agilità, am-pliando le sfumature del timbro, permettendo la con-temporaneità dei suoni;

- la partitura è uno dei veicoli, non l’unico (c’è anche laregistrazione), per conservare e trasmettere un’idea mu-sicale; è qualcosa di diverso dalla musica eseguita eascoltata e dallo strumento musicale;

- il codice di lettura e scrittura è fondamentalmente in-completo: va “interpretato”;

- la partitura libera la memoria dal compito di tener “viva”l’idea musicale e quindi permette uno spazio di rifles-sione più ampio che consente una ulteriore elaborazio-ne del pensiero musicale.

Fare/leggere la musicaÈ convinzione comune che sapere la musica sia sinonimodi conoscere il codice di notazione.Per gli addetti ai lavori saper leggere la musica significasostanzialmente conoscere le proporzioni delle figure rit-miche, le indicazioni metriche e la collocazione delle notesul pentagramma.È noto che l’accezione qui data al significato di sapere nonè condizione sine qua non per fare musica. Dunque la co-

Buone pratiche d’orchestraAna Maria Davie

La formazioneaudio-percettiva

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noscenza dell’aspetto “matematico” del codice non sempreconduce a quella che è la vera operazione connessa al leg-gere: cioè ascoltare interiormente i suoni e coglierne il si-gnificato, esattamente come facciamo con tutta naturalitàcon la lingua parlata, sia essa materna o appresa. Dovreb-be cioè maggiormente diffondersi l’idea che l’insieme disuoni sviluppati nel tempo si articolano in un discorso cheesprime l’interiorità del soggetto che compone e/o esegue.Se pensiamo al modo in cui un bambino acquisisce la lin-gua materna, non è difficile rilevare che la lettura arrivaquando il bimbo stesso già da anni si esprime autonoma-mente parlando. Oggi la presenza dell’analfabetismo nellenostre società urbane è talmente rara che non facciamopiù conoscenza ed esperienza della dimensione “pura” del-l’espressione orale del tutto ignara delle leggi esplicite chegovernano la lingua e del codice di scrittura.Riflettere sulla differenza tra fare musica e leggere la musicaaiuta molto a relativizzare l’uso della letto-scrittura. La de-cisione su che fare del leggere e scrivere musica dipenderàdal tipo di musica che ci interessa e da cosa vorremo farecon essa. Certo è che se la nostra passione fosse, ad esempio,la polifonia rinascimentale o la musica dodecafonica delXX secolo, sarebbe impossibile farne a meno. Altri generi,come ad esempio alcuni popolari, etnici o il jazz non dipen-dono in modo determinante dalla partitura, anzi a volte ilsuo utilizzo può risultare d’intralcio.

Scrivere e leggereQuando scriviamo codifichiamo un discorso uditivo-tem-porale: esso viene percepito come una unità di senso dascomporre in unità sempre più piccole (periodi, frasi,semifrasi, ecc.) per giungere ai suoni singoli da indivi-duare e scrivere (cfr. MARIA DEL CARMEN AGUILAR, El librodel maestro, Ed. Maria del Carmen Aguilar, Buenos Aires2008, p. 15). Trasponiamo cioè il singolo elemento in ununiverso visivo-spaziale ma senza perdere di vista la suaposizione nel discorso musicale. Poi dovremo ricomporreil tutto leggendo e quindi cercando di capire il senso deldiscorso, verificando alla fine se il discorso percepito al-l’inizio viene riflesso o meno dalla scrittura. L’efficaciadella scrittura si misura in base alla sua capacità di riflet-tere il discorso sonoro.Quando leggiamo invece decodifichiamo un universo visi-vo-spaziale trasponendolo in uno uditivo-temporale. Per-tanto leggendo trasformiamo una forma nello spazio inuna forma nel tempo. Queste forme nel tempo non descri-vono niente di concreto (se escludiamo le parole di certamusica vocale e le onomatopee) ma ci connettono a senti-menti, immagini e ricordi (cfr. Del Carmen Aguilar 2008,p. 16; interessante anche MARIA DEL CARMEN AGUILAR, Metodopara leer y escribir música a partir de la percepción, Ed.Maria del Carmen Aguilar, Buenos Aires 2004).

Insegnare a leggere/scrivere la musicaLa lettura e la scrittura sono due operazioni complementa-ri. Non sono un obiettivo in se stesse, ma uno strumentoimportante nel processo di acquisizione consapevole dellinguaggio musicale, indispensabile per pensare in musi-

ca, ovvero per esprimersi e comunicare a tutti i livelli enon solo in modo intuitivo. L’articolazione del lavoro di-penderà ovviamente dagli allievi che avremo di fronte:bambini, adolescenti, giovani in procinto di professio-nalizzarsi, adulti amatori, insegnanti della scuola dell’ob-bligo ecc. Simili potranno essere le strategie pedagogiche emetodologiche ma di certo varieranno i tempi di articola-zione delle attività, la scelta della complessità degli argo-menti e del materiale musicale.Si suggerisce di non proporre percorsi di letto-scrittura alprincipio di un percorso di alfabetizzazione musicale, mapiuttosto quando gli allievi abbiano sperimentato l’uso dellinguaggio musicale anche per esprimere qualcosa di pro-prio e personale.Se la letto-scrittura non viene preceduta da un ascolto con-sapevole sarà molto probabilmente sempre disgiunta daldiscorso musicale e priva di una valenza significativa (sipensi a ciò che avviene nel solfeggio parlato).Una tappa anticipatoria del leggere-scrivere si trova in unpercorso che possiamo chiamare di prelettura: si canta, siballa, si ascolta e si suona quella musica che è parte dellamemoria collettiva e intanto la si analizza (sempre e solopercettivamente). Così la si digerisce. Non solo si canterà,si ballerà, si ascolterà e si suonerà, ma anche s’improvvise-rà e si comporrà la propria musica, sempre in un’ottica diassoluta umiltà: non si andrà alla ricerca di capolavori madi piccoli “gesti” di espressione del nostro essere.Importante è far comprendere, soprattutto quando gli al-lievi non sono bambini, come la richiesta di cantare, balla-re e suonare non sia consegna di natura “professionale”,bensì un’azione che mira a fare emergere l’espressione per-sonale di quanto la musica ci comunica.

Attraverso l’orecchio: l’analisi all’ascoltoUn lavoro di prelettura prevede, oltre al fare musica, l’ana-lisi percettiva o ascolto guidato: una presa di coscienza diquanto ognuno di noi percepisce e di quello che la musicaci comunica.La scelta dei brani da proporre per l’ascolto guidato o co-munque da usare come stimolo per una qualsiasi attività èun tema che merita un’attenzione particolare. Due le con-dizioni essenziali:- la qualità (il brano dovrà “resistere” ai tanti ascolti, e

quindi non dovrà essere banale bensì molto interes-sante);

- la chiarezza (il brano non dovrà essere ambiguo riguardoagli aspetti su cui vogliamo lavorare).

Lo sconfinato repertorio universale ha molti brani di gran-de qualità e chiarezza per lavorare su qualsiasi tema; nonc’è nessun bisogno d’inventarli se non si è bravi composi-tori, basta sceglierli.Personalmente credo che nel momento in cui un insegnanteha scelto il brano con cui introdurrà un tema, ha già pre-parato la parte più importante della lezione.Inizia da qui un processo di ricognizione del contesto cul-turale nel quale ci muoviamo che regola tutti i parametridel linguaggio musicale, attraverso alcune domande-gui-da suggerite poco oltre. Se siamo coscienti di queste “cor-

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30 nici” (che sono convenzioni, consuetudini) l’efficacia dellenostre prestazioni, sia percettive sia nella letto-scrittura,sarà significativa.

Domande-guida per l’ascolto di un brano musicale- Da dove e da quale tempo arriva questo brano? Africa, Europa,

Medioevo, XX secolo…?- Per quale funzione è stato composto? Musica da ballo, ninna

nanna, marcia, musica per raccontare una storia, musica per ascol-tare, musica da scena, da film…?

- Quali e quante voci/strumenti percepiamo? Voci femminili, ma-schili, bianche, archi, fiati, percussioni, strumenti, manipolazionielettroniche…?

- Con quali ruoli? (Questa è un’opportunità per introdurre il temadella texture – ripreso più oltre – di fondamentale importanza pri-ma nell’organizzazione della percezione, poi nella letto-scrittura).

- Qual è l’andamento? Lento, moderato o rapido? (La risposta ser-ve, come specificato in un esempio più avanti, a organizzare lapercezione delle costanti metriche e il loro rapporto, operazioneche ha un certo grado di complessità).

- Qual è il metro? (La quasi totalità della musica che ascoltiamonormalmente è organizzata su una struttura metrica costante,basata su una “rete” di pulsazioni isocrone in rapporto semplicetra loro: 1:2, 1:3, 1:4 ecc.).

- Qual è la forma? C’è un motivo principale o più d’uno? Comesono elaborati? Ci sono parti contrastanti, simili, identiche…?

- Com’è il ritmo? Semplice, complesso…? Ci sono ritmi sincopati,come quelli ad esempio che “ci fanno muovere il bacino”? Pun-tati, come quelli che si trovano in alcuni tipi di marce?

- La melodia si muove molto o è piuttosto lineare? C’è un anda-mento intervallare caratteristico?

- Com’è l’armonia? Ci sono molti/pochi accordi? Sembra arcaicao piuttosto moderna? Com’è la linea del basso? Si muove pergradi congiunti o piuttosto per salti, attraverso le fondamenta-li degli accordi…?

Per introdurre la letto-scrittura è utile far ideare un codiceproprio o autoprodotto (di segni, disegni analogici o sim-bolici) che introduca il passaggio da una dimensione uditi-va a una grafica. Ciò presuppone che il primo processo daattuare sia la scrittura e il secondo la lettura che nasce, asua volta, come verifica e conseguenza del primo. Se gliallievi hanno già avuto esperienza di trasposizione nel co-dice grafico, non troveranno difficoltà di decodifica. Qual-siasi sia l’aspetto da codificare con la scrittura, l’uso di uncodice proprio, come primo approccio alla letto-scrittura,relativizza l’idea di convenzione, rendendo esplicito che sitratta di una possibilità tra le tante.Nelle fasi iniziali bisognerà affrontare uno alla volta iparametri da scrivere e leggere: la durata dei suoni (rit-mo), i cambiamenti di altezza (melodia), la successionedelle parti (forma), l’unione dei suoni simultanei (armo-nia) e cosi via.Riassumiamo le principali dimensioni parametriche eorganizzative del discorso musicale che sono determinantinella impostazione della codificazione (scrittura) e nellasuccessiva decodificazione (lettura): metro, ritmo, melo-dia, armonia, intervalli, texture 1.In questo lavoro presentiamo un accenno a tre di questiaspetti, quelli a nostro avviso meno curati nella prassi quo-tidiana alla base però della complessa operazione di legge-re-scrivere: il metro, gli intervalli e la texture.

MetroLa scansione isocrona con funzione di pulsazione è con-nessa all’andamento che deve essere quindi individuatocome primo elemento: se l’andamento è moderato, ad esem-pio, la pulsazione di base sarà ovviamente moderata (unascansione veloce corrisponderà alla suddivisione della pul-sazione e una lenta all’accento metrico). Un esempio attra-verso il quale illustrare queste relazioni in un modo grafi-co è dato dall’ascolto del brano di Fabrizio De Andrè, DonRaffaè nella versione originale dell’album Nuvole 2.L’ascolto ci porta a individuare che il brano:- ha un andamento fra il moderato e il veloce (fra il cam-

minare e il correre o saltare);- ha la seguente forma: Intro 1 (chitarra e percussione),

Intro 2 (clarinetto e gruppo strumentale), prima strofa(«Io mi chiamo...»), seconda strofa («Tutto il giorno...»),ritornello («Ah, che bello o’ cafè...») ecc.;

- ha un metro “disegnabile”, ad esempio come propostodi seguito nella Figura 1 (dove si propone la sintesi ditanti “codici personali” proposti dagli allievi nel corsodegli anni).

Figura 1.

L’azione del “disegnare” sottintende lo scorrimento del tem-po sull’asse orizzontale da sinistra a destra, azione cognitivaper niente ovvia quando i principianti la compiranno sulpentagramma.Nella Figura 1 i rettangoli con i bordi arrotondati mostra-no i rapporti 3:1 tra suddivisioni e pulsazioni, mentre lestanghette mostrano il rapporto 2:1 tra pulsazioni e accen-ti metrici.Nel periodo di “pre-lettura”, questa rappresentazione graficaè sufficiente per codificare in una dimensione spaziale l’aspettometrico della musica. La sua trasposizione nel Codice Tradi-zionale di Figure Ritmiche, CTFR (che organizzerà la scritturaritmica in un contesto metrico), avverrà assegnando per pri-ma cosa una figura musicale a uno dei tre livelli di scansioniisocrone. In questo caso ai punti (.) che rappresentano le sud-divisioni sono associati gli ottavi; questo fa sì che anche glialtri due elementi grafici prendano forma di figure apparte-nenti al CTFR: i segni ' diventano quarti puntati e i segni ^minime puntate. Il brano – che ricorda una tarantella napole-tana – è in due tempi con suddivisione ternaria (6/8).

1 Il termine inglese texture è difficilmente traducibile. L’italiano“tessitura” si riferisce a un altro aspetto, e cioè al registro di unavoce o di uno strumento, per cui è inutilizzabile. Marco De Nataleha proposto di tradurre l’inglese texture con “testura”; in genereperò si usa il termine inglese, oppure i più generici “tecnica discrittura” o “trama”.

2 Ascoltabile su www.youtube.com/watch?v=aqVnV5f_ik4

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Il successivo passo da compiere per completare la scrittura delmetro, e così preparare la scrittura ritmica, sarà scegliere unaCifra Indicativa di Misura (CIM). Qui, come passo intermedioper arrivare alla Cifra Tradizionale (CT) propongo l’uso dellaCifra Propedeutica (CP). Quest’ultima indicazione consta di dueelementi – come quella tradizionale – così caratterizzati:- il numeratore, che risponde alla domanda: quanti bat-

titi per ogni accento metrico? Il numeratore “si ascol-ta”, si può determinare percettivamente;

- il denominatore, che risponde alla domanda: quale fi-gura li rappresenta? Il denominatore “si legge” (non sipuò determinare percettivamente, dipende dalla sceltache è stata fatta al momento di scrivere).

La CP, diversamente dalla CT, fa quindi sempre riferimentoalle pulsazioni e mai alle suddivisioni. Chiariamo questo pun-to. Nel 6/8 (CT) il numero sei indica le suddivisioni, a diffe-renza del 2/4 (inteso anch’esso come CT) in cui il numerodue indica il numero di pulsazioni nella battuta: questo puògenerare confusione. Ciò non avviene con la CP che è parti-colarmente utile per aggirare alcuni problemi con i princi-pianti quando si tratta di tempi composti: ad esempio il 6/8diventa una frazione che ha al numeratore il numero due eal denominatore una semiminima con il punto.

IntervalliLa questione intervallare è indissolubilmente legata a quellamodale, melodica e armonica, e nasce con queste. L’eserci-tazione che si propone, come tutte quelle che riguardanola dimensione dell’altezza, si basa su un qualsiasi mododiatonico, ad esempio quello di Do, già nella memoria del-l’allievo principiante medio. Chi possiede un orecchio par-ticolarmente sviluppato non ha bisogno di questa prospet-tiva di lavoro. Per tutti gli altri la padronanza della strut-tura intervallare è possibile ma è imprescindibile una eser-citazione articolata, graduata e costante. Questa scelta miraa non privilegiare la scala maggiore o minore a scapitodegli altri modi.Prima di dedicarci a un intervallo in particolare affrontere-mo il tema in prospettiva più generale proponendo una se-rie propedeutica di attività audio-percettive e di riproduzio-ne vocale incentrate sui diversi intervalli tra le note dellascala diatonica, tratteggiate nella tabella che segue (dove IMsta per “intervallo melodico” e IA per “intervallo armonico”).

Attività dell’insegnante Attività degli allievi1 suona IM vari in registri cantano IM nel registro

estremi della propria voce2 suona IM vari individuano se sono consonanti

o dissonanti3 suona una nota cantano la nota all’ottava

superiore e inferiore4 suona IM vari indicano se sono maggiori

o minori di un’ottava5 suona un IM intonano l’IM a coppie

armonicamente6 suona un IA cantano melodicamente

i suoni dell’IA7 suona prima vari IM, cantano il suono più acuto

poi vari IA e il suono più grave8 suona IM e IA minori cantano i rivolti

di un’ottava

Consideriamo ora più dettagliatamente:- gli intervalli all’interno dell’ottava, senza specificarne

la “qualità” (maggiori, minori, giusti, diminuiti, ecce-denti) ma caratterizzando solo la “quantità di estensio-ne”: seconde, terze, quarte, ottave;

- gli intervalli tra la tonica e i diversi gradi della scalamaggiore/minore naturale, o eventualmente qualsiasialtro modo;

- gli intervalli tra i diversi gradi della scala (tra il III e ilV, tra il V e l’VIII ecc.) sempre solo quantitativamente.

Esercitazione-tipo sulla “quantità di estensione” degli intervalli- Partendo da una tonica, cantare seconde, terze, quarte, ottave

ascendenti e discendenti.- Riconoscere gli intervalli suonati dall’insegnante e cantati al punto

precedente.- Cantare una scala, poi la stessa scala a canone (iniziando dalla

terza, dalla quarta, dalla quinta) e riconoscere l’intervallo tra ledue voci.

- Divisi in due gruppi: un gruppo canta un bordone l’altro una me-lodia per gradi congiunti sulla scala naturale, seguendo i gestichironomici dell’insegnante.

Successivamente si approfondiranno singolarmente i diver-si intervalli presenti nella scala diatonica, considerandolianche qualitativamente. Partendo dalla terza maggiore (ominore), si proseguirà con la quinta giusta, permettendo cosìda subito il lavoro sulle triadi. Si continuerà con gli inter-valli presenti nelle triadi rivoltate, alternando intervalli piùampi come seste e settime, con altri meno ampi come quartee seconde. Gli intervalli di seconda è opportuno presentarlisommariamente all’inizio, poiché sono le “unità di misura”,ma saranno poi da esercitare in profondità come gli altri. Sisuggerisce di partire dagli intervalli come li troviamo nellascala diatonica (vedi sopra) e successivamente, li si altererà,confrontandoli con quelli diatonici.

Esercitazione-tipo sulla terza maggiore- Cantare in successione le terze maggiori della scala diatonica

ascendenti e discendenti, cantando interiormente (in silenzio)quelle minori.

- Selezionare canzoni o temi conosciuti che iniziano per terza mag-giore, ascendente e discendente.

- Proporre terze maggiori accanto ad altri intervalli non ancoraconosciuti e chiedere di riconoscerle.

- Cantare terze maggiori su ogni grado della scala diatonica, al-l’inizio con l’aiuto di una canzone che inizia in questo modo,successivamente aggiungendo diesis o bemolli all’occorrenza.

Quando ogni intervallo sarà saldamente percepito all’in-terno della trama tono-modale, il passaggio successivo saràdi esercitarlo, come suggerito poco oltre, nella sua dimen-sione assoluta, estranea a riferimenti di contesto musicaleche lo identificano con un proprio “sapore”.

Esercitazione-tipo di “rottura” della trama tono-modale.- Cantare le terze maggiori della scala cromatica.- Cantare una “torre” (sovrapposizione d’intervalli identici) di ter-

ze maggiori.- Dividere gli allievi in tre gruppi: uno canta una torre di terze

maggiori, un altro le ripete con il nome delle note, il terzo lescrive sull’endecagramma alla lavagna.

- Trovare o comporre melodie che contengono terze maggiori comeintervallo caratteristico.

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32 - L’insegnante suona/canta intervalli vari: gli studenti riconosco-no le terze maggiori;

- L’insegnante scrive sulla lavagna una serie d’intervalli contenen-te terze maggiori (che gli allievi leggono collettivamente) e altriintervalli non ancora esercitati (che gli allievi leggono indivi-dualmente).

- L’insegnante suona triadi o quadriadi: gli studenti riconoscono ecantano le terze maggiori contenute in essi.

Come finale di ogni unità di lavoro relativa a ognuno deidiversi intervalli ci concediamo un gioco, Alla caccia del-l’intervallo perduto, che consiste nel riconoscere un inter-vallo in melodie proposte (si consegna il ritmo scritto sulquale si chiede di segnare dove compare l’intervallo). Siamoconsapevoli di quanto “mascherante” sarà il contesto rispettoall’ubicazione degli accordi all’interno della tonalità (nelmodo maggiore, ad esempio, non suona uguale la terza mag-giore ascendente tra il V e il VII grado rispetto a quella tra ilI e il III; diversa ancora è la sonorità tra il I e il III grado nelmodo maggiore e tra il III e il V nella sua relativa minore).

TextureSin dal primo incontro con gli allievi, propongo di cercaredi capire quali ruoli svolgano “i personaggi” di un branomusicale. Dalle relazioni fra questi “personaggi” dipende-ranno le texture; esse risulteranno perfettamente distin-guibili percettivamente se gli esempi che si sceglierannoper presentarle saranno chiari e senza ambiguità. Potremocosì presentare, ad esempio, cinque texture “pure”, elenca-te di seguito, e in un secondo momento mescolarle.- Texture accordale od omofonica: varie voci o strumenti

fanno diverse melodie con identico ritmo formando unblocco compatto di accordi. La melodia più acuta, sen-za staccarsi, emerge come quella più importante. Esempi:corali luterani, marce, alcune danze.

- Texture polifonica o contrappuntistica: due o più vocid’uguale importanza apparentemente “indipendenti”dialogano (contrappuntano). Esempi: i canoni, le fu-ghe, i quodlibet.

- Melodia accompagnata: una melodia principale è ac-compagnata da parti secondarie molto diverse ritmica-mente: le eseguono, ad esempio, altri strumenti o voci,un’orchestra, la mano sinistra (o destra) del pianistaecc. Esempi: canzone d’autore, molti movimenti lentidei concerti per uno strumento solista.

- Texture monodica: un’unica melodia è cantata o suo-nata da uno o più strumenti all’unisono o all’ottavasenza accompagnamento né contrappunto. Esempio:canto gregoriano.

- Texture figurativa: una melodia si evolve ripetendo un

disegno o figurazione costante con un ritmo costituitoda valori uguali. Esempi: alcuni preludi per chitarra,liuto, arpa, cembalo o pianoforte (più nello specificoPreludio in Do maggiore di Johann Sebastian Bach dalClavicembalo ben temperato, volume 1; Piccolo studio,dall’Album per la Gioventù di Robert Schumann).

Ecco di nuovo alcuni suggerimenti operativi, su una melo-dia facilmente memorizzabile, a cui daremo un testo in modoche diventi “cantabile” e ci permetta di manipolarla dal puntodi vista dei principali parametri, specialmente delle texture,che varieremo mantenendo inalterato tutto il resto.

Attività su Marcia dei soldati, dall’Album per la gioventù di RobertSchumann• Analizzare percettivamente il brano lavorando solamente con la

parte A (prime 8 battute). La presentiamo con diverse varianti:- in un altro registro (ad esempio un’ottava più acuta);- con un altro andamento (ad esempio decisamente lento);- con un altro metro (ad esempio ternario);- in un altro modo (ad esempio nel modo di Re minore);- con un disegno melodico opposto (ad esempio a specchio, in-vertendo la direzione del profilo melodico);- con un’armonizzazione diversa (ad esempio cromatica).

• Cambiare la texture. Nella versione originale il brano ha unatexture accordale, possiamo dunque presentarlo:- come una melodia accompagnata con un basso albertino (man-tenendo tutte le altre caratteristiche invariate);- a canone all’ottava (sul modello di Fra Martino), quindi conuna texture polifonica;- per moto retto all’ottava (senza accordi, senza accompagna-mento, ma con una texture monodica come quella che ascoltia-mo in chiesa quando uomini e donne cantano una melodia);- con una texture figurativa, in cui l’armonia originale viene di-stribuita su singole note con un disegno arpeggiato costante e lamelodia si individua nel suono più acuto sul battere.

• Presentare la melodia del brano con più di un cambiamento allavolta, ad esempio:- in modo minore e con un accompagnamento tipo bassoalbertino;- in metro misto, tipo 5/8, con un contrappunto nel basso mamantenendo le tre voci superiori isoritmiche, quindi con unatexture mista (accordale e contrappuntistica);- in metro composto e in modo dorico.

• Gli studenti potranno, a loro volta, proporre altri brani o improv-visare/comporre brani esemplificativi di texture prescelte.

In conclusione suggeriamo altri brani per poter proseguirele attività nella direzione proposta: Ludwig van Beethoven,Sinfonia n. 7, Allegretto, tema (fino a battuta 26): textureaccordale 3; Si la noche haze escura (attribuito a FranciscoGuerrero): texture polifonica 4; Paolo Conte, Azzurro (stro-fe e ritornello): melodia accompagnata 5; Dies irae: texturemonodica 6; Johann Sebstian Bach, Preludio n. 1 in Do daIl clavicembalo ben temperato, vol. 1: texture figurativa 7.

3 Ascoltabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=733bnDTrO6Y.4 Ascoltabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=nBL8GA6tWMA.5 Ascoltabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=r0W-

hZ8gy8Q&feature=fvst.6 Ascoltabile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=Dlr90NLDp-

0&feature=related.7 Ascoltabile all’indirizzo su www.youtube.com/watch?v=

Wc2dvCUxbAE, ultimo accesso a tutti i link citati in questo con-tributo16/09/2012.

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Radici o fiumi?

Mariateresa Lietti

vincessimo che le tradizioni «non sono verticali, ma orizzon-tali e che esse non vengono dalla terra ma dall’apprendimen-to e dalla ricostruzione continua della memoria collettiva»5 .Quello che si tramanda è quello che si ritiene significativo,ma questo comporta scelte precise su cosa ricordare e cosadimenticare. In questo quadro l’autore ritiene importante ilruolo dell’istruzione e dei programmi scolastici: «Stabilire checosa si deve sapere del passato […] significa prendere delledecisioni relative non solo alla consapevolezza dellacontemporaneità, ma anche alla memoria collettiva delle ge-nerazioni future» 6.Credo che la musica abbia molto a che fare con tutto ciò,prova ne sia il fatto che molto si è detto, anche su questarivista 7, relativamente ai recenti programmi di Storia dellaMusica dei licei musicali e al loro insistere in merito alla«musica d’arte di tradizione occidentale». Ho sempre trovatopiuttosto curioso il fatto che spesso chi afferma che la musi-ca è un “linguaggio universale”, insista poi sull’importanzadi trasmettere la musica della propria tradizione. Se è falsala prima affermazione, in quanto esistono tante musichedifferenti con regole e caratteristiche specifiche (se mai è lamusicalità delle persone a essere universale, come ben ciricorda John Blacking in Come è musicale l’uomo?, RicordiUnicopli, Milano 1986), è poi difficilissimo scoprire qualesia la nostra tradizione. Basta pensare ad esempio a quantola musica araba abbia influito sulla nostra, anche solo perquanto riguarda gli strumenti musicali: dal rebab, antenatodel violino, all’ud da cui proviene il liuto.Forse un interessante percorso da proporre nelle nostrescuole potrebbe proprio essere quello di scoprire le reci-proche influenze, i punti di incontro, le contaminazioni,gli scambi, tra le musiche di diverse culture e aree geogra-fiche. Ogni epoca storica si presta a questa indagine e forsepiù che pensare alla storia della musica come a una evolu-zione lineare, pura e asettica, sarebbe il caso di scoprire lelinee curve e contorte che i suoni hanno seguito.

1 MAURIZIO BETTINI, Contro le radici. Tradizione, identità, memoria, IlMulino, Bologna 2011.

2 Vedi a questo proposito quanto accaduto in Ruanda nelle tragi-che vicende del conflitto tra Tutsi e Hutu, appartenenti alla stes-sa etnia, ma erroneamente interpretati come due popolazioni dif-ferenti dai colonizzatori europei.

3 MAURIZIO BETTINI, Contro le radici cit., p. 28.4 MAURIZIO BETTINI, Contro le radici cit., p. 41.5 MAURIZIO BETTINI, Contro le radici cit., p. 79.6 MAURIZIO BETTINI, Contro le radici cit., p. 81.7 Vedi CLAUDIA GALLI, Il recinto della “musica d’arte”, in “Musica Do-

mani”, n. 156, settembre 2010, pp. 48-50.

Sempre più spesso si sen-te parlare, in vari ambitie con diverse accezioni,dell’importanza di risco-prire le proprie radici, col-legando a questa immagine i concetti di tradizione, identità,memoria. Anche in campo artistico e musicale, molte teorieruotano attorno a questi nuclei. Sappiamo bene che le imma-gini non sono neutre, spesso condizionano la percezione del-la realtà; siamo quindi davvero sicuri che questa metaforadelle radici sia efficace e positiva? A tradizione e radici silegano, ad esempio, i concetti di terra, territorio, patria, con-fini, con la conseguente necessità di difesa dall’influenza ester-na. E sappiamo quali scenari di guerra questo può delineare.Lidia Menapace, tempo fa nel corso di un dibattito, avevaprovocato le persone presenti affermando che le radici ten-gono legati e ancorati al suolo e che è necessario tagliarleper potersi muovere liberamente e viaggiare nel mondo.Recentemente è stato pubblicato il testo Contro le radici diMaurizio Bettin 1 che propone interessanti letture di questametafora e dei concetti a essa collegati. Bettin mette inluce innanzitutto come la tradizione sia spesso costruita (avolte in modo del tutto arbitrario 2) con quello che si sce-glie di raccontare, scrivere, insegnare. Collegarla alla me-tafora delle radici (con tutte le forti implicazioni semantichedi vita, natura, necessità biologica ecc.) determina un veroe proprio «dispositivo di autorità» che ha come conseguen-za il fatto che «l’identità culturale predicata attraverso lametafora delle radici viene estesa a un intero gruppo, indi-pendentemente dalla volontà dei singoli» 3.Tradizione e radici implicano un’immagine di tipo verticalegerarchico: «discendere da», «fondarsi su». L’autore proponeinvece di cambiare prospettiva e di spostarsi su un piano oriz-zontale. La cultura non è fissa e rigida, si muove, cambia incontinuazione. È importante conoscere il passato, ma quelloche noi siamo non dipende in modo deterministico da qual-che cosa che c’è alla base, è invece frutto di mille incontri,scambi, esperienze. La metafora che ci propone è quindi quel-la del fiume che scorre liberamente; che accoglie in sé fonti,ruscelli, torrenti, affluenti; che si muove attraversando terri-tori diversi. «Non siamo alberi, che non possono discostarsidalle proprie radici pena l’inaridimento e la morte, ma se maifonti e ruscelli, la cui acqua scorre e si combina in modo assaipiù libero» 4. Il percorso che determina quello che siamo non èquindi una linea retta che congiunge un punto a un altro (inun’ottica di evoluzione e progresso), ma un percorso tortuo-so, una linea che va e ritorna, che percorre spazi altri, cheincontra mondi diversi. Sarebbe più facile vivere se ci con-

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L’articolo, scritto a due voci, intreccia l’ipotesi di rico-struzione del Lautenwerk – uno strumento barocco ricava-to dall’incrocio del liuto e del clavicembalo di cui nessunesemplare è sopravvissuto – con suggestioni e proposte di-dattiche relative all’insegnamento strumentale. Due mondiapparentemente lontani, descritti con differenti linguaggi,che dimostrano qui di potersi incontrare e dialogare in uncontinuo gioco di “dualità” e di rimandi.

Lo sguardo di stupore, di curiosità, di meraviglia, di at-tesa di un bambino o una bambina alla vista di uno stru-mento musicale dovrebbe essere guida costante per chi in-segna a suonare.Il fascino di un oggetto come il violino (o qualsiasi altrostrumento musicale) sta sicuramente nella forma, nel colo-re, nell’odore, ma anche e soprattutto nella consapevolez-za che, pur essendo fermo e silenzioso, contiene la musica,tutta la musica. Imparare a suonarlo vuol dire iniziare unviaggio avventuroso alla ricerca della propria musica e delmodo per farla uscire dallo strumento. Compito dell’inse-gnante è fare da guida, affiancando allievi e allieve in questopercorso: non fornendo soluzioni, ma ponendo le doman-de giuste; aprendo vie, possibilità e spazi.In quest’ottica chi, come me, insegna a suonare uno stru-mento musicale sa bene (o dovrebbe sapere bene) comesia importante, da un lato, inserire in un contesto musi-cale anche i primi suoni che si producono e, dall’altro,lavorare sull’immagine sonora. Quando questa è chiara eben definita ragazzi e ragazze trovano facilmente il gestogiusto per produrre il suono e questo gesto può poi essereperfezionato (attraverso la tecnica) e acquisito in profon-dità. Viceversa le indicazioni di tipo tecnico, separatedall’idea di suono, rischiano di essere improduttive, co-stringendo a noiosi esercizi che spesso non portano adalcun risultato.Una delle attività che è possibile proporre in questo ambi-to a studenti di diverse fasce d’età è quella di immaginarsiil suono di strumenti fantastici e provare poi a produrlo.

Mariateresa Lietti - Gianni Podda

Liuto-cembalo:un binomio fantastico?

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Come suonerebbe il mio violino se fosse fatto di zuccherofilato o di ghiaccio, di gommapiuma o di carta vetrata?A volte chiedere a un gruppo di studenti di suonare unbrano immaginando i loro strumenti fatti di diversi mate-riali può essere molto più efficace di tante indicazioni tec-niche specifiche. Ciò può facilitare, ad esempio, la modifi-ca del suono, alleggerendolo o rinforzandolo; la distensio-ne del braccio e del polso; la scoperta del giusto punto dicontatto dell’arco con la corda. E il gioco può svilupparsisia dal punto di vista musicale che da quello narrativo:cosa succede ai violini di ghiaccio se sono scaldati dal sole?Come si modifica il loro suono?Sempre in quest’ambito è interessante applicare agli stru-menti musicali il gioco del “binomio fantastico” che GianniRodari propone per inventare storie all’interno del suo te-sto Grammatica della fantasia 1. Partendo dal presuppostoche il pensiero si forma per coppie e che «la parola singola“agisce” solo quando ne incontra una seconda che la pro-voca, la costringe a uscire dai binari dell’abitudine, a sco-prire nuove capacità di significare», Rodari propone di ac-costare parole che abbiano tra loro una certa distanza.Potremmo accostare, per esempio, violino e farfalla (o vio-lino ed elefante) e inventare una fiaba di parole e di suoni(ma anche solo di suoni) con questi personaggi o con ununico personaggio: il violinofarfalla, un nuovo strumentomusicale.Ma possiamo anche giocare ad accostare strumenti musi-cali diversi e immaginarci la loro storia e il loro suono: unclarinetto tamburo, un violino marimba, un flauto piano-forte, un liuto cembalo.

***

Il liuto, tutti sanno che cosa è, anche se fa parte degli strumen-ti che cessarono di vivere alla fine del 1700, quando anche iclavicembali lasciarono il campo a strumenti dal suono piùcorposo, i pianoforti. Con i clavicembali e i liuti finiva l’era ba-rocca, ma delle tracce sono rimaste fino a oggi, tanto che ven-gono chiamati liutai i costruttori di violini, pur se nelle lorobotteghe – le botteghe di liuteria – i liuti in genere non ci sonopiù. Pochi però immaginano che il suono del liuto fosse tal-

1 GIANNI RODARI, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1973,pp. 17-21.

2 JOHANN SEBASTIAN BACH, Suites per liuto BWV 995, 996, 997, 998,999, 1000, 1006a.

3 HUBERT HENKEL, Kielinstrumente, Veb Deutscher Verlag für music,Leipzig 1979, pp. 61 (71), t. 27.

4 Utilizziamo qui la simbologia più consueta:

Do1 Do2 Do3 Do4 Do5

5 ROBERT LUNDBERG, Historical Lute Construction, Guild of AmericanLuthiers, Tacoma, Washington, p. 15 , ph. 7.

6 Un coro, nel liuto, è la corda o l’insieme di corde che producono lastessa nota, sia da sola, sia in ottava, sia in unisono.

mente bello da affascinare anche i clavicembalisti, che lo ama-vano al punto tale da desiderare che anche i loro strumentipotessero produrlo. Uno dei più grandi tra di loro scrisse dellesuites per liuto 2, ma alcune note non erano comprese nell’esten-sione dello strumento, tanto da far pensare che in realtà fosse-ro scritte per un clavicembalo che suonasse come un liuto.In Germania lo chiamavano Lautenwerk. Nessuno sa oggi comefosse, dato che neppure un solo esemplare è sopravvissuto finoa noi, ma nel testamento di Bach vengono nominati due stru-menti di questo tipo. Sicuramente avevano le corde di budellocome il liuto, sicuramente avevano una tastiera come il clavi-cembalo, ma le congetture si fermano qui, poiché i due stru-menti, il liuto e il clavicembalo, sono davvero totalmente diffe-renti.Proviamo a metterli uno vicino all’altro, come in Figura 1. Ilclavicembalo è un Ruckers del 1633 3, a una tastiera, con esten-sione 4 da Do0/Mi0 a Fa4, mentre il liuto è un Dieffopruchar del1600 circa 5, un liuto barocco a 13 cori 6 con estensione da La0

a Fa4.

Figura 1

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36 Confrontando questi due strumenti, cerchiamo di immaginarecome poteva essere fatto un Lautenwerk, un liuto-cembalo comelo chiameremo da qui in avanti, similmente a come lo chiama-no gli inglesi, lute-harpsichord, e scostandoci dalla tradizioneitaliana che invece lo chiama cembalo-liuto.Sono due le cose che colpiscono se osserviamo il clavicembaloe il liuto prescindendo dalla grandezza, che ovviamente è dif-ferente (poco più di due metri il clavicembalo, poco meno di unmetro il liuto): la forma del ponte e la posizione del punto dipizzico delle corde.- Il ponte del liuto è parallelo al capotasto ed è posto, come

si vede in figura 1, a una distanza di 75 cm dal capotasto(per i due bassi la distanza è di circa 81 cm).Il ponte del clavicembalo segue invece la regola del rad-doppio della lunghezza della corda quando si passa da unaottava all’ottava più grave, ed è quindi inclinato verso sini-stra sulla verticale rispetto alla tastiera. Nel liuto, solo perle note che si ottengono sul cantino, poggiando il dito suitasti, la corda ha lunghezza che si dimezza andando versol’ottava più acuta, esattamente come avviene nel clavicem-balo.

- Il punto di pizzico, che nel liuto in figura 1 è stato presovicino alla rosa, è posto a una distanza di circa 21 cm dalponte, quindi a circa un quarto della lunghezza delle corde(21 cm contro 75-81 cm). Per le note del cantino (un’ottavadi estensione) il punto di pizzico varia da un quarto a circaun mezzo della lunghezza della corda.Nel clavicembalo invece le corde della prima ottava (quellapiù grave) hanno un punto di pizzico posto circa a un otta-vo della lunghezza delle corde, mentre nell’ottava successi-va (la seconda) si passa a un settimo, in quella seguente (laterza) a un quinto, in quella ancora dopo (la quarta) tra unquarto/un terzo e nell’ultima (la quinta) a circa un mezzo.Facciamo comunque notare, a questo proposito, che l’ico-nografia del suonatore di liuto è spesso contradditoria sulpunto di pizzico e mostra talora le dita più vicine al ponteche alla rosa, ma se si ascolta e guarda qualche esecuzionesi nota subito che il suono vicino al ponte è duro, quasi dichitarra, mentre quello ottenuto vicino alla rosa è più chia-ro, come quello dell’arpa.

Come poteva essere fatto allora un liuto-cembalo? È difficilecredere, come si trova a volte indicato, che fosse solo un clavi-cembalo a cui erano state sostituite le corde metalliche condelle corde di budello (tra l’altro nei bassi la lunghezza vibran-te della corda sarebbe di oltre un metro e mezzo e quindi dicirca due metri comprendendo la parte per il nodo e per

l’avvolgimento sulla caviglia, con una notevole difficoltà di fab-bricazione e un costo che una volta doveva senza dubbio esse-re considerevole, come del resto anche oggi , a meno di utiliz-zare del più economico e moderno nylgut). Noi pensiamo inve-ce che il liuto-cembalo fosse uno strumento diverso dal clavi-cembalo e che conservasse, del liuto, il piano delle corde e laposizione del punto di pizzico.

***

Un binomio interessante per lavorare con la composizione(o improvvisazione) fin dagli inizi degli studi strumentali,può scaturire da parole o suggestioni extramusicali, ma an-che da elementi musicali: cellule ritmiche, elementi melodi-ci, sonorità particolari trovate sul proprio strumento. A que-sto proposito credo che siano indispensabili attività di co-noscenza sonora e ricerca timbrica, non solo come giocoiniziale presto interrotto per passare alla “musica vera” (comespesso succede), ma come ricerca costante di timbri ed effet-ti sonori finalizzata al fare musica. Qualcuno teme che que-sta sia una perdita di tempo: ancora una volta invece questeattività di gioco (nel senso più serio e musicale del termine),che comportano piacere della scoperta e gusto per il suono,servono più di tanti esercizi aridi all’acquisizione di unabuona tecnica strumentale, oltre che a determinare un rap-porto sciolto e di agio col proprio strumento. Pensiamo, adesempio, al glissando sugli strumenti ad arco. In genere è uneffetto che diverte molto a tutte le età e permette di simularemolte situazioni (dal dialogo tra due persone al motore diautomobili, dal verso all’andatura di animali e persone ecc.).Nello stesso tempo determina la corretta posizione della manosinistra sul manico dello strumento, senza la stretta eccessi-va che spesso caratterizza i principianti, e consente l’acqui-sizione di quella scioltezza di movimento tanto importanteper i cambi di posizione. Nel violino e nella viola, inoltre,richiede un’efficace tenuta dello strumento tra spalla e col-lo, senza l’aiuto della mano sinistra che viene così lasciatalibera di muoversi. Giocare coi glissandi dunque, oltre a di-vertire e a sviluppare la musicalità e il pensiero creativo 7,consente di sperimentare e acquisire elementi specifici ditecnica strumentale. È facile immaginare quanto utile possaessere, a questo proposito, ricercare il suono che si ottienetirando l’arco nei vari punti (tallone, punta, metà), o condiversi punti di contatto con la corda o differenti pressioni,velocità, inclinazioni; o ancora provare a produrre tutti ipossibili tipi di pizzicato. Sarà la fantasia dell’insegnante edi allievi e allieve, guidata dal piacere per la ricerca del suo-no, a suggerire le infinite possibilità in questo campo.Una volta individuati i due elementi del binomio su cuicostruire la musica (o la storia musicale) ci si può giocarein vari modi alternandoli, variandoli, sovrapponendoli, fa-cendo in modo che si scontrino e che ne prevalga a trattiuno, a tratti l’altro, ma anche che si incontrino modifican-dosi a vicenda. Quello che si otterrà non sarà quindi sem-plicemente la successione o la sovrapposizione dei due ele-menti, ma sarà, di volta in volta, un elemento nuovo, esat-tamente come succede con le parole o con i segni.A questo proposito molto interessante, anche come spuntoper attività musicali, è quanto propone Paul Klee nelle sue

7 Può essere utile, a questo proposito, far ascoltare alcuni brani diIannis Xenakis basati sui glissandi quali ad esempio: Tetras perquartetto d’archi, Kottos per violoncello solo, Mikka per violinosolo. Confrontarsi con l’opera di musiciste o musicisti riconosciu-ti è un modo per dare valore al lavoro di allievi e allieve.

8 PAUL KLEE, Teoria della forma e della figurazione, Feltrinelli, Milano1976, vol. 1, pp. 328-333.

9 Vedi a questo proposito: PIERRE BOULEZ, Il paese fertile. Paul Klee ela musica, Leonardo, Milano 1989.

10 BRUNO MUNARI, Fantasia, Laterza, Bari 1977, p. 29.11 Una copia autografa del manoscritto è riportata sul sito

www.wimmercello.com/bachlute.html

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lezioni 8 riguardo alle possibili relazioni tra cerchio e retta.Dopo una serie di considerazioni sulle diverse soluzioni esulla loro carica dinamica o statica, di aggressività o diconciliazione, l’artista giunge a diverse elaborazioni grafi-che di cui la più significativa è sicuramente l’acquarelloLampo fisiognomico (Fig. 2). Molte delle opere di Klee han-no delle profonde attinenze con la musica (non per nienteera anche violinista) e le sue lezioni forniscono riflessionie spunti per percorsi musicali 9.Anni di insegnamento mi hanno convinta di come questeattività siano davvero fondamentali per imparare a suonareuno strumento e di come sia importante che vengano pro-poste con regolarità e costanza a diversi livelli di complessi-tà sia musicale che di tecnica strumentale. Solo così si riescea tenere strettamente legati l’aspetto musicale e quello tec-nico, cosa fondamentale affinché non ci sia perdita di sensoin quello che si fa. Occuparsi solo dell’aspetto tecnico (comepurtroppo ancora si vede fare soprattutto in contesti di tipoprofessionale) fa dimenticare che gli strumenti musicali sonoappunto degli “strumenti” che devono servire a fare musica;ma se, parallelamente alla tecnica, non si sviluppa anche ilpensiero musicale non servono più a nulla e non ha piùsenso quello che si fa. Questa perdita di senso è spesso allabase dell’abbandono dello studio o, peggio, della rinuncia alsuonare una volta raggiunto il diploma. D’altro canto peròanche la più bella idea musicale non può essere espressa senon ci sono i mezzi adeguati, quindi lo sviluppo della tecni-ca è indispensabile. Il difficile e affascinante compito di chiinsegna è quello di mantenere sempre strettamente legati idue aspetti.La creatività, che è importante sviluppare con continuità econ attività idonee, richiede quindi competenze e cono-scenze solide e strutturate. A questo proposito BrunoMunari, che sulla creatività e fantasia ha incentrato tuttoil suo lavoro nel campo del design, dice: «Il prodotto della

fantasia, come quello della creatività e dell’invenzione,nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce. Èevidente che non può fare relazioni tra ciò che non cono-sce, e nemmeno tra ciò che conosce e ciò che non conosce.Non si possono stabilire relazioni tra una lastra di vetro eil pfzws. Si può invece stabilire relazioni tra una lastra divetro e un foglio di gomma, per esempio. Sempre ammessoche l’individuo conosca sia il vetro che la gomma. Checosa può nascere nel pensiero da una simile relazione? Sipuò pensare a un vetro elastico o a una gomma trasparen-te. Questo è un pensiero fantastico, proprio perché non mipare che ci sia oggi un vetro elastico come le gomma. L’im-maginazione si mette in moto di conseguenza e mi pare divedere questo vetro elastico… che cosa succede se lo tiro?Niente? Sarà come uno strato d’acqua limpida? L’immagi-nazione comincia a immaginarlo, a vederlo. La creativitàpuò pensare a qualche uso proprio giusto per lui. L’inven-zione può pensare alla formula chimica per produrlo. Lafantasia quindi sarà più o meno fervida se l’individuo avràpiù o meno possibilità di fare relazioni» 10.

***

Come possiamo fare oggi un progetto di liuto-cembalo, senzaavere alle spalle alcuna tradizione, con testimonianze certedella sua esistenza ma per niente dettagliate sulla sua strut-tura, sia per la forma, sia per le corde?Piuttosto che partire da un clavicembalo per trasformarlo inun cembalo-liuto, proveremo a costruire un liuto dentro unclavicembalo, un liuto-cembalo come abbiamo scelto di chia-marlo. Useremo quindi delle corde di lunghezza uguale a quelledel liuto (di nylgut poiché il budello è troppo caro e il centi-naio di corde necessarie ci costerebbe una fortuna) e manter-remo il punto di pizzico a un quarto della lunghezza dellacorda, in modo da ottenere (lo speriamo) un suono il più pos-sibile simile a quello del liuto.Partiamo quindi da un liuto come quello che abbiamo visto inFigura 1, che è un grande liuto barocco a 13 cori. Ecco indettaglio le sue caratteristiche:- 2 cori bassi, liberi, di lunghezza 80,4 cm, raddoppiati al-

l’ottava, La0 (51,88 Hz)-La1 e Si0-Si1

- 11 cori, tastati, di lunghezza 75 cm, i primi cinque rad-doppiati all’ottava (Do1-Do2, Re1-Re2, Mi1-Mi2, Fa1-Fa2, Sol1-Sol2), i quattro seguenti raddoppiati all’unisono (La1-La1,Re2-Re2, Fa2-Fa2, La2-La2) e gli ultimi due, Re3 e Fa3 (329,39Hz) in corda singola.

- I cori Do1-Do2, Re1-Re2, Mi1-Mi2, Fa1-Fa2, Sol1-Sol2 hanno10 tasti, il coro La1-La1 ne ha 11 e i cori Re2-Re2, Fa2-Fa2,La2-La2, Re3 e Fa3 ne hanno 12. Il cantino Fa3 può quindiarrivare a suonare l’ottava Fa4.

Come curiosità, se si esamina l’estensione della suite per liuto inSol minore BWV 995 di Bach 11, si trova che la nota più grave èSol0 e quella più acuta è Re5. Mentre si può pensare di scordare ilbasso da La0 a Sol0, sicuramente la nota Re5 non è eseguibile.Immaginiamo ora di costruire un liuto-cembalo che abbia tut-te le note del liuto, quindi una estensione da La0 a Fa4 (ma inrealtà ne amplieremo l’estensione, portandola da Fa0 a Fa5),con corde di lunghezza uguale a quelle del liuto, quindi 80,4cm per le note da Fa0 a Si0 e 75 cm per le note da Do1 a Fa3. Le

Figura 2.Paul Klee, Physiognomischer Blitz (Lampo fisiognomico), 1927.

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note successive avranno corde di lunghezza decrescente in modolineare, con il classico dimezzamento della lunghezza all’otta-va, per cui la nota Fa4 avrà una lunghezza di 37,5 cm e la notaFa5

di 18,75 cm. Lo stesso tasto azionerà due saltarelli, uno perla nota e l’altro per la sua ottava, per tutte le corde in cui nelliuto è presente il raddoppio all’ottava (note da Fa0 a Do#3),mentre ci sarà un solo saltarello per le corde non raddoppiate(note da Re3 a Fa5).La Figura 3 rappresenta costruttivamente lo schema propo-sto. A destra è rappresentato il liuto barocco in cui sono statievidenziati i capotasti, il ponte e il punto di pizzico, che cor-rispondono nel liuto-cembalo rispettivamente ai due pontisulla tavola d’armonia, al ponte sul somiere 12 e alla buca deisaltarelli. È stata quindi disegnata una forma come quella delliuto, opportunamente ingrandita, con la classica pancia. Latastiera è quella classica di un clavicembalo e così il somiere,che porta un ponte perpendicolare alle corde, come sul liuto.Sulla sinistra sono riportate le sezioni trasversali del liuto (in-grandite come la forma), numerate da 1 a 9, anche se nelliuto-cembalo la cassa effettiva finisce con la sezione 7 (lesezioni 8 e 9 servono solo per un eventuale raccordo con latastiera).

Concludiamo la descrizione del liuto-cembalo citando due ri-costruzioni moderne, una di Sárközy 13 e l’altra di Beurmann-Richter 14.Delle due, la seconda sembra costruita con criteri più vicini allospirito di quella che noi abbiamo proposto.Un liuto-cembalo, come lo abbiamo descritto, è in costruzio-ne presso il Laboratorio di Strumenti a tasto dell’Accademiadel Santo Spirito di Torino, in occasione dei 25 anni di attivitàe in memoria del fondatore del Laboratorio, l’amico SigfridoLeschiutta, che purtroppo ci ha lasciato da poco più di unanno.Nel Laboratorio, che è nato come un luogo in cui si cercava diricreare gli strumenti a tasto dell’età barocca, esaminando ediscutendo i disegni dei vari musei, sono stati costruiticlavicordi, spinette e clavicembali, in particolare è stata ese-guita una copia del Grimaldi da Messina, un cembalo italianoche viene utilizzato dal coro dell’Accademia del Santo Spiri-to. Sul sito www.accademiadelsantospirito.it/laboratorio.htmsi trova una breve introduzione alla storia e alle finalità delLaboratorio.

***

Le attività descritte in questo dialogo a due voci – purappartenendo ad ambiti diversi e coinvolgendo persone dietà e formazione differenti – hanno in comune il piacereper la sperimentazione, il divertimento, la passione per laricerca sonora, ma anche la serietà, la precisione, la neces-sità di competenza. In ultima analisi hanno in comunequell’aspetto di “gioco” – con tutte le implicazioni che iltermine comporta – che caratterizza le attività significati-ve e che crediamo sia fondamentale mantenere anche inetà adulta.Gianni Rodari afferma: «L’esercizio, beninteso, ha una suareale importanza […]. Ma non vanno trascurati i suoi effettid’allegria. Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ridetroppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba es-

12 Il somiere è la parte strutturale del clavicembalo su cui sono in-collati i ponti e praticati i fori per le caviglie (queste sono deiperni che, ruotati, regolano la tensione delle corde permettendol’accordatura).

13 Vedi www.baroquemusic.org/barluthp.html; oltre alla fotografiadella ricostruzione sul sito è presente anche una breve presenta-zione.

14 L’immagine è visibile digitando “richter seitenansicht.jpg” nelle“Immagini” di Google.

15 Gianni Rodari, Grammatica della fantasia cit., p. 20.16 Per informazioni e contatti è possibile rivolgersi direttamente al

direttore del Laboratorio, che è il coautore dell’articolo, all’indi-rizzo [email protected]

Figura 3

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Vide@musa cura della redazione di “Musica Domani”

www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Vide@mus

TravestimentiMy favorite things è la celeberrima canzone cantata da Julie Andrews nella versione cinematografica delmusical The Sound of Music (1959), in Italia conosciuto con il titolo Tutti insieme appassionatamente. Ilettori della nostra rivista ne conosceranno senza ombra di dubbio il tema (che funge da icona del program-ma pomeridiano Fahrenheit, di Radio 3) e la miriade di trasformazioni che nel corso di questi anni l’emissio-ne radiofonica ha promosso e diffuso.Il percorso mira a far ascoltare e confrontare nuove e vecchie versioni mediante:- la descrizione e l’analisi di diversi arrangiamenti e il loro confronto sulla base di criteri ragionati;- la ricerca e la scoperta di altre versioni;- l’elaborazione in gruppo di un nuovo “travestimento”.

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sere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere» 15.Pensare di portare un po’ di allegria nelle nostre scuole (enelle nostre vite) è piuttosto insolito e contro tendenza, maquanto importante sarebbe! Ancora una volta Rodari è al-l’avanguardia pur avendo scritto i suoi testi circa qua-rant’anni fa.Ma per proseguire il gioco del dialogo, su un piano piùpragmatico, perché non pensare di far incontrare le duerealtà? Perché non organizzare nelle scuole (scuole secon-darie a indirizzo musicale, licei musicali, conservatori) unpiccolo laboratorio di costruzione di strumenti musicali in

cui sperimentare dal vivo la costruzione di cembali o liu-to-cembali?È meno complesso e costoso di quanto si possa pensare e,oltre all’interesse dell’attività in sé, doterebbe le scuole distrumenti solitamente non in uso, anche se di grande in-teresse musicale e didattico. Il Laboratorio di Torino èdisponibile a fornire, oltre a indicazioni costruttive e di-segni, anche altre e più articolate attività di collaborazio-ne 16 dalle quali potrebbe, perché no, scaturire per qual-che ragazza o ragazzo, la passione per proseguire in que-sto campo.

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Katya Genghini, giovane insegnante di pianoforte, che qual-che lettore conoscerà per aver collaborato al Quaderno dellaSIEM Gli adulti e la musica, EDT, Torino 2005, presenta unasua felice e singolare esperienza di didattica creativa nellostudio di repertori di tradizione. Il riconoscimento interna-zionale che ha premiato un allievo di talento e la sua inse-gnante coraggiosa, oltre che inventiva, è di conferma e spro-ne a chi ha sempre sostenuto l’importanza della fantasianella musica e nella didattica. [Annibale Rebaudengo]

Nella mia esperienza d’insegnamento di pianoforte, chespazia dal mondo dell’infanzia a quello degli adulti, hosovente ottenuto felici risultati utilizzando metodi didatti-ci volti alla creatività. Un’occasione per mettere alla provaquesto mio approccio innovativo nei confronti degli allie-vi mi si è presentata lo scorso autunno, con un concorsorivolto a musicisti e cantanti classici e jazz di ogni età, ilcui premio è assegnato ad allievi e insegnanti che si distin-guono per esecuzioni di particolare creatività musicale:l’International Music Talent Competition American Protégé.Nel regolamento di questa competizione newyorkerse in-fatti è esplicitato che la Giuria «is looking for genuinelytalented people, who have creativity and stage charisma»;per poter essere ammessi è necessario presentare un DVD

che renda conto di queste peculiarità. Ai vincitori la possi-bilità di esibirsi alla Carnegie Hall di New York in unacerimonia di premiazione.Ho pensato di cimentarmi in quest’esperienza individuandotra i miei allievi il piccolo Lorenzo, un ragazzino undicenneche studia con me da quando aveva cinque anni. Fin dapiccolo suonare è stato per lui un gioco e accanto al lavororelativo all’impostazione, allo svolgimento di esercizi tecni-ci progressivi e alla scoperta delle caratteristiche stilisticheed estetiche dei diversi autori, la sua formazione musicale èstata connotata da una libertà di espressione unita al giocoche gli ha consentito di divertirsi nel fare musica, nonostan-te non siano mancati lo studio e la disciplina imprescindibiliper ottenere risultati di qualità. Questo approccio ludico si èrivelato a lui congeniale: nonostante la passione musicaledi Lorenzo fosse genuina, il suo carattere fantasioso egiocherellone si sarebbe dimostrato refrattario a un metodomonotono e ripetitivo, che avesse concesso poco spazio allasua creatività. Sono nati così diversi “giochi musicali” chesono stati variamente utilizzati per la formazione dell’orec-chio, per la risoluzione di passaggi tecnici difficili, per lostimolo di prospettive compositive e improvvisative e per ilcontenimento di stati d’animo quali la timidezza nel suona-re in pubblico o il timore di sbagliare durante la lezione.

Katya Genghini

L’allievo di talentoe l’insegnante creativa

Diversi sono i “giochi” con il pianoforte, talvolta propostiindirettamente dal mio stesso allievo durante le lezioni, qualiad esempio la ricerca a orecchio delle melodie di brani trattidai suoi CD preferiti o ascoltati durante un concerto, la spe-rimentazione dell’esecuzione dei pezzi in registri più acuti ogravi rispetto all’originale associandone la trasformazione auna suggestione extramusicale quale un’immagine o un sen-timento, oppure il trasporto in tonalità diverse dei brani stu-diati. Per quanto concerne l’interesse per la composizione,invece, ho pensato di incentivare il mio allievo proponendo-gli di creare variazioni a partire dai pezzi studiati, oppure diinventare musiche sullo stile di diversi autori, o ancora, diimprovvisare a partire da un punto qualunque di un branocon l’obiettivo di riuscire ad attenersi il più possibile alle ca-ratteristiche del brano stesso. Il percorso proposto si è rivelatoutile durante le esecuzioni pubbliche: Lorenzo ha mostratomaggiore sicurezza e padronanza del palcoscenico e capacitàdi proseguire il pezzo “in stile” nel caso si fosse trovato difronte a vuoti di memoria. Queste attività, affiancate e inte-grate dallo studio più tradizionale del pianoforte, hanno co-struito in lui la maturazione tecnica e musicale per poter regi-strare in vista del concorso americano due brani di non sem-plice interpretazione per uno studente undicenne: il Notturnoop. 9 di Fryderyk Chopin e Clair de lune dalla Suite Berga-masque di Claude Debussy. Per risolvere i problemi tecnico/musicali di questi brani sono nati altri “giochi musicali” chehanno contribuito a rendere meno pesante la preparazione.Una delle difficoltà, per un giovane pianista con la manoancora “in fase crescita”, consiste nello studio dei salti conaccordi. Le difficoltà sono sia in ordine alla loro memoriz-zazione, sia relative all’esecuzione a tempo (note perfetta-mente simultanee e giusta intensità sonora). A questo scopoho proposto un esercizio che consiste nell’esecuzione gestualedei vari salti accordali, senza suonare effettivamente le note,in modo da apprendere i salti mentalmente e non affidarsisolo all’automatizzazione meccanica di un’attività digitalenervosa indipendente dal controllo corticale. È dimostratoinfatti che l’apprendimento motorio dà risultati che varianoa seconda del modo di acquisizione: quando si stabilizzamediante mera ripetizione la coscienza corticale non inter-viene più nell’organizzazione interna, invece se fissato me-diante interiorizzazione e rappresentazione mentale gli au-tomatismi rimangono sotto le dipendenze della vigilanzacorticale, permettendo di rivedere in maniera flessibile i det-tagli di esecuzione in funzione delle condizioni variabili dellaperformance. Un altro obiettivo di questa modalità di ap-prendimento, svincolato da automatismi meccanici, è quel-lo di conferire alle abilità un carattere individuale e inco-

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Musica cAusticaTutto e più accarezza il nostro udito.Ma tra popular, techno e rockdove sta il suon erudito?Tra alunni i-podizzati l’orecchio par esser desto,ma duro da domar per il musico maestro.Fortuna che alla LIM or si può far ricorsoper meglio allietar il musicale corso.Peccato che se la wireless mal svolge la funzione,frontal tosto ritorna in toto la lezione...«Santa Tecnologia rendi la Musica suadente,che altrimenti qui non vien più fuori niente…»Ad altri, srotolata ch’è la litanìa,par esser la “ricerca” la ritrovata via,ancor meglio se (qualcun pensa sornione)accompagnata è da lieta anim…azione.Così al prof. anelante, stabilità o pensione,altro non resta che farsene ragione:«Al diavol la metodologia dai bei lustrini!»Raccolti tamburelli, piatti e flautini,a suon di rinnovato libro di testo,della musica s’appresta a svolger … tutto il resto!

Ma Stra-Diva Rius

CacoFn ieCacoFoon ie

dendo spunti dalle numerose esecuzioni che di questi branisono state incise. Suonando insieme e osservando attenta-mente la partitura, il mio allievo si è potuto accorgere chesvariate indicazioni degli autori, spesso trascurate anche daiconcertisti (quali accenti, sforzati, staccati, legature, crescendoo diminuendo, rallentando o accelerando e così via), con-corrono a creare un’esecuzione diversa: a ogni musicista èaffidato il compito di interpretare i segni del compositorecon la propria fantasia e il senso stilistico maturato con lostudio. Ad esempio talvolta si trova la parola crescendo in-sieme alla relativa forcella: questo può indicare probabil-mente anche l’intenzione di un piccolo accelerando per ren-derne più efficace lo slancio, o viceversa nel caso di un di-minuendo, il rallentando può scemare ancor più la tensione.Terminato lo studio dei pezzi abbiamo realizzato il DVD ri-chiesto dal concorso: l’obiettivo del mio piccolo allievo eraquello di dare il meglio di sé, interpretando Chopin e Debussycon la passione, la spontaneità e l’originalità che aveva rag-giunto durante la preparazione. Questo compito non è statosemplice, per due motivi fondamentali: di fronte al videore-gistratore tendeva a irrigidirsi per paura di sbagliare, e datala giovane età e la personalità poco incline a ripetere moltevolte lo stesso brano, tendeva a stancarsi diminuendo laconcentrazione e la qualità musicale d’esecuzione. Così, doposvariate incisioni di buon livello, ma tutte con qualche lieveimperfezione che non ci consentiva di accontentarci del ri-sultato, un espediente fecondo per sdrammatizzare ogni ti-more si è rivelato quello d’improvvisare dove avesse com-messo errori, per continuare “in stile”. Questo scambio diruolo, da esecutore a compositore, di fronte alla telecamera,ha permesso di valorizzare il suo estro migliore.Le due registrazioni sono state selezionate dalla Giuria e lapremiazione alla Carnegie Hall è stata calorosamente ap-plaudita da un pubblico internazionale entusiasta.

raggiare nell’allievo l’espressione di uno “stile personale”che eviti l’impoverimento dell’esecuzione privandola del suovissuto. Per progettare insieme l’interpretazione dei pezzi,dopo aver superato i problemi tecnici, ho proposto a Loren-zo di suonarli insieme a me, alternando le rispettive manodestra e sinistra, dopo esserci accordati sui fraseggi, le dina-miche e le agogiche. Abbiamo provato diverse possibilità,prima pensandole individualmente, poi ascoltando e pren-

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Educazione musicalein Croazia:ieri, oggi, domani

Convinta dell’importanza della musica come componen-te insostituibile nella formazione della personalità, l’autri-ce presenta qui un excursus storico sulla presenza dell’edu-cazione musicale all’interno del sistema scolastico dellaCroazia.

Breve storia dell’educazione musicale nelle scuole primariein CroaziaDurante il Medioevo l’istruzione musicale in Croazia eracostituita dall’esecuzione degli inni sacri all’interno dellescuole parrocchiali. Il canto divenne parte del programmadi studi anche nelle scuole pubbliche che cominciarono adaffermarsi a partire dal XIV secolo in Istria e in Dalmazia(oggi parte della Croazia), gestite, fino al XVIII secolo, dal-la chiesa e dalle autorità cittadine, da nobili e da cittadinibenestanti.Oltre all’attività di canto, non esistevano però trattati escritti significativi con i quali si potesse approfondire laconoscenza musicale e sviluppare le diverse capacità. L’uni-ca eccezione era rappresentata da Il governo della famiglia(Upravljanje obitelji), testo scritto nel XVI secolo da NikolaGucetic, in cui si specificava il valore della musica e il suoruolo per «migliorare i sentimenti». Il canto come attivitàmusicale si trova menzionato anche nel Settecento nel-l’Ordine scolastico generale (Opci skolski red) di Ivan (Ignac)Felbinger.Nonostante la carenza di testi e articoli riguardanti la mu-sica, vogliamo evidenziare che durante il XVII e XVIII se-colo venne pubblicato il Canzoniere in lingua croata. Laparte più antica, Pisni za najpoglavitije, najsvetije inajveselije dni, fu pubblicata nel 1635 da Atanazije(Grgicevic) Jurjevic; Pavlinska pjesmarica, del 1644, erauna raccolta di canzoni più ampia e conteneva 52 canzoniin latino e vernacolo croato-caicavo; Cithara octochorda,del 1701, appartiene invece alla nostra collezione di can-zoni più famose e fa parte della tradizione sacra e storicacroata. Questo Canzoniere era destinato al canto e all’istru-zione musicale.

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43Il sistema scolastico croato si è sviluppato principalmentesotto l’influenza dell’Austria, Paese occupante durante ilXVIII e XIX secolo. L’educazione musicale anche in quelperiodo era limitata al canto, tuttavia la musica nella metàdel XVIII secolo aveva un posto speciale nella società croata:furono infatti istituite le prime scuole di musica a Fiume(Rijeka) nel 1759, a Zagabria (Zagreb) nel 1788, e a Karlovacnel 1804. In quel periodo furono inoltre fondate le più im-portanti istituzioni musicali croate come la SocietasZagrebiensis, del 1827, che dal 1925 fu chiamata Istitutomusicale Croato (Hrvatski glazbeni zavod).Nelle scuole pubbliche della seconda metà del XIX secoloil canto fu previsto dal Primo diritto scolastico (Prvi skolskizakon) del 1874. Canti sacri e laici per le scuole pubblichefurono prescritti anche nel Secondo diritto scolastico (Drugiskolski zakon) del 1888, quindi la musica (il canto) era unamateria scolastica anche nelle scuole pubbliche. Si canta-vano canzoni popolari e sacre senza però una specificaconoscenza della notazione musicale. In questi programmile finalità previste attraverso il canto erano: svilupparel’orecchio, la voce e il senso estetico nella musica. Non sipuò quindi parlare di un’educazione musicale sistematicae i risultati musicali degli allievi erano piuttosto modesti.Particolarmente importanti erano i cori, che hanno contri-buito alla costruzione della cultura musicale anche grazieal progetto e al movimento di Risveglio della coscienzanazionale (Budenje nacionalne svijesti). Il repertorio ese-guito consisteva principalmente in canti patriottici che su-scitavano sentimenti nazionali.Contemporaneamente (parliamo del XIX secolo) al movi-mento si unirono scrittori, poeti, musicisti, filosofi, storici,con lo scopo di aumentare la dignità dei croati, dare im-pulso alla lingua nazionale e costruire la cultura croata. Laprima opera musicale nazionale fu L’amore e l’odio (Ljubavi zloba) di Vatroslav Lisinski.Le osservazioni metodologiche e didattiche sull’insegna-mento della musica sono state presentate da VjenceslavNovak alla fine del XIX secolo, nel documento Rapportodella Scuola di Formazione Reale a Zagabria (IzvjesceKraljevske preparandije u Zagrebu). La sua opera capitale,relativa alla pedagogia musicale, è stata il manuale di for-mazione per insegnanti dal titolo Il canto nella scuola ele-mentare (Pjevanje u puckoj skoli), del 1892. Nella primaparte del manuale si descrive la necessità di continuare acantare nella scuola primaria 1 e nella seconda parte si dannoistruzioni per l’insegnamento della musica in ogni classe,dalla prima alla quinta. L’insegnamento della musica, che

si svolgeva anche nelle scuole secondarie 2 e faceva partedel programma liceale, si basava principalmente sul canto,ma nel programma era pianificata l’attività di alfabetizza-zione musicale ed erano previste anche discipline quali Sto-ria della musica, Estetica della musica e Teoria musicale.La materia musicale che si chiamava Canto fu regolar-mente presente in tutte le classi della scuola primaria an-che negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, du-rante il dominio italiano sulla nostra regione e poi nelRegno di Jugoslavia. Le finalità erano quelle di sviluppa-re la voce, interpretare i canti e incoraggiare l’interesseper la musica.Il programma delle scuole secondarie includeva formal-mente solfeggio e teoria, ma erano previste poche ore perl’insegnamento della musica a fianco di un programmamolto vasto. L’insegnante di musica doveva infatti occu-parsi di solfeggio 3 e teoria, elementi di armonia, storia dellamusica, didattica musicale e insegnare a suonare il violinoe il pianoforte. La novità era rappresentata dai libri di musicaper gli allievi, con testi musicali e canzoni, sui quali glialunni studiavano e si esercitavano.Nei primi anni del secondo dopoguerra, l’insegnamentodella musica non mutò in modo significativo. Nel program-ma del 1948-1949 per la materia Canto era prevista un’oraalla settimana e si era soliti cantare per imitazione; oltre aciò erano in realtà previste attività di alfabetizzazionemusicale, sebbene pare che gli alunni non fossero in gradodi leggere la musica, ma utilizzassero le partiture per se-guire il testo delle canzoni e per osservare genericamenteil movimento della melodia. Il programma del 1948 pre-scriveva nelle prime quattro classi il canto per imitazione,mentre nella quinta e sesta classe si prevedeva lo sviluppodell’intonazione. Coesistevano due aree d’insegnamento:il solfeggio con la teoria e il canto. Il programma presenta-va una novità: l’ascolto e l’elaborazione di opere musicali.Tali attività però non vennero realizzate subito a causadella mancanza di tecniche, materiali e strumenti specifici.Il canto venne incluso anche nei programmi delle scuolesecondarie del 1950, non dissimile dal precedente se nonper l’importanza che l’ascolto della musica stava acqui-stando in confronto ad altre attività musicali.Nell’anno 1950 la Legge per le scuole nazionali (Zakon onarodnim skolama) introdusse gli otto anni d’istruzioneobbligatoria. Nel 1954-1955 venne elaborato un nuovoprogramma per tutte le discipline scolastiche, nel quale lamateria Canto venne denominata Educazione musicale.Questo programma, che ha costituito la base per tutti quel-li sviluppati in seguito, prevedeva nelle prime tre classi ilcanto per imitazione e nella quarta classe l’inizio dell’alfa-betizzazione musicale. Conteneva inoltre le aree denomi-nate ascolto, creatività, e cultura musicale, che erano pre-senti fino alla fine dell’ottava classe di scuola primaria.Nel 1960 il programma comprendeva le seguenti aree: canto,esecuzione strumentale, ascolto, creatività, alfabetizzazionemusicale e conoscenza di contenuti musicologici. La mas-sima attenzione nelle ultime classi di scuola primaria erarivolta allo sviluppo dell’intonazione e all’alfabetizzazionemusicale, ma non c’era nessun contenuto specifico indica-

1 A quel tempo la scuola primaria durava cinque anni, poi è stataprolungata a sei, sette e, dagli anni Cinquanta del XX secolo, aotto anni.

2 La scuola secondaria, che si chimava gimnazija, a quel tempo du-rava tre anni. Dopo il quinto anno di scuola primaria cominciavala scuola secondaria.

3 Solfeggio: lezioni ed esercizi di lettura della musica; conoscenzae uso di note di varia durata. Per solfeggiare si intende cantare aprima vista il pezzo musicale leggendo le note e sapendole scri-vere.

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44 to e non erano previsti elenchi di brani da cantare o diopere da ascoltare e conoscere.Nel 1964 venne ridotto il numero di ore d’insegnamentomusicale e si favorì di nuovo il canto dei brani di tradizio-ne popolare. Il programma era diviso in tre fasi: la prima(le prime tre classi) caratterizzata dal canto per imitazione;la seconda (IV, V e VI classe) con l’impostazione dell’alfa-betizzazione musicale; la terza (VII e VIII classe), focalizzatasull’elaborazione di contenuti storico-musicali.Nel 1972 si ridussero ulteriormente le ore d’insegnamentomusicale, però il programma divenne più specifico e mira-to: si elencarono le canzoni da cantare e suonare, le opereda ascoltare e i concetti musicali da sviluppare. Tuttavia,nella pratica, permane ancora il dominio del canto.Nel 1984 non venne modificata l’impostazione della disci-plina, tranne che per l’ascolto, a cui si cominciò a prestaremaggiore attenzione. Gli insegnanti potevano scegliere li-beramente quali canzoni cantare in classe, e quali operefar ascoltare agli alunni. Alla materia d’insegnamentomusicale venne dato il nome di Cultura musicale e fu in-clusa nell’area educativa Lingua e arte.I programmi del 1991-1992 e del 1999 non furono signifi-cativamente modificati rispetto ai precedenti, se si eccet-tuano le differenze di contenuto di tipo ideologico. Il nu-mero di ore rimase comunque lo stesso: dalla I alla IV clas-se un’ora alla settimana, nella V e VI classe due ore, nellaVII e VIII classe un’ora. Nel 1996 anche in quinta classe ilnumero di ore settimanali venne ridotto a una, e la stessacosa avvenne un anno dopo per la sesta classe.Sulla base di quanto esposto, possiamo notare che inizial-mente l’unica attività musicale in Croazia era il canto. Congradualità sono state aggiunte le attività di alfabetizzazionemusicale, la creatività, l’ascolto e l’analisi dei brani musi-cali, l’esecuzione strumentale e lo studio dei concettimusicologici. Questa concezione non fu una caratteristicainnovativa e unica della pratica d’insegnamento croata, maun modello diffuso in Europa durante il XIX secolo e all’ini-zio del XX secolo, particolarmente influenzato dal Movi-mento per l’educazione artistica, dal Jugendmusikbewegung(Movimento musicale giovanile) 4 e dal metodo Orff.Molte idee europee hanno avuto un impatto sulla pedago-gia musicale croata: quelle che risultano dalle specifichelinee di indirizzo pedagogico-musicali e quelle che sono stateassociate a nomi di spicco quali Jean-Jacques Rousseau, JohnCurwen, Hermann Kretzschmar, Agnes Hundoegger, LeoKestenberg, Richard Münnich, Carl Orff, Zoltan Kodály, LeoRinderer, Michael Alt, Theodor W. Adorno, Edgar Willemse altri.

Quanto sin qui delineato fa emergere come nessuno abbiamai messo in discussione la necessità d’insegnare musicanella scuola primaria e secondaria e non ci siano stati cam-biamenti nei programmi che non abbiano previsto unospecifico spazio a essa destinato.Quello che però era necessario fare era riformare il concet-to di musica.

Recenti riforme scolastiche e sistema attualeCon lo Standard nazionale scolastico croato (Hrvatskinacionalni obrazovni standard) e la riforma così tanto de-siderata, che era legata soprattutto ai contenuti di ognimateria, sono iniziati i cambiamenti qualitativi nella scuolaprimaria. Molti contenuti inutili e vetusti dovevano infattiessere rivisti alla luce di una nuova idea di scuola.Dopo la riforma scolastica della scuola primaria e l’intro-duzione dello Standard educativo nazionale croato (2004-2005), nelle scuole primarie si è stabilito il nuovo Pro-gramma educativo (Nastavni plan i program, 2006). L’obiet-tivo della cultura musicale (come materia scolastica) nellascuola primaria si è focalizzato sullo sviluppo della culturagenerale musicale degli alunni, incentivando percorsi vòltia costruire un giudizio estetico critico. Con l’insegnamen-to innovativo della musica e con una concezione aperta eflessibile, si cerca quindi di formare o rimodellare i gustimusicali degli allievi.Attualmente in Croazia la materia musicale porta il nomedi Cultura musicale per le classi di scuola primaria e Artemusicale per le classi di scuola secondaria. La scuola pri-maria in Croazia (osnovna skola) dura otto anni ed è divisain due cicli. Nel primo ciclo (razredna nastava) – che duraquattro anni – gli alunni hanno un’insegnante di classe emaestre/i per le lingue inglese e italiano; nella quarta clas-se la materia Cultura musicale comincia a essere insegnatada un musicista professionista che ha completato gli studipresso il dipartimento musicale dell’università e possiedeil master in pedagogia musicale 5. Anche il secondo ciclo(predmetna nastava) dura quattro anni e per tutte le mate-rie ci sono dei docenti professionisti. L’insegnante di musi-ca lavora quindi complessivamente nella scuola primariacinque anni, dalla quarta all’ottava classe.La scuola secondaria dura quattro anni e la disciplina (Artemusicale) è orientata più agli aspetti storico-musicali.Nell’ultimo Programma educativo del 2006 il modelloformativo di musica si distingue dai precedenti e proponeun nuovo Modello aperto (Otvoreni model) che prevede soloun’attività obbligatoria, cioè ascolto e analisi di brani mu-sicali. Nel modello c’è posto soltanto per due attività: oltreall’ascolto l’insegnante può suggerire agli alunni il canto,o insegnare loro a suonare qualche strumento, proporreattività creative, insegnare la notazione musicale, oppurel’uso delle nuove tecnologie. L’attività che verrà realizzatain ogni classe dipende dall’insegnante e dalle sue compe-tenze, dalle caratteristiche e capacità degli alunni che for-mano la classe, dalle possibilità e attrezzature a disposi-zione della scuola.Verso la fine della scuola primaria, con le lezioni di Cultu-ra musicale attentamente pianificate e di alta qualità, gli

4 Si tratta di un movimento che all’inizio del XX secolo ha sostenu-to la necessità di valorizzare il patrimonio di canti popolari inlingua tedesca e di diffondere l’educazione musicale fra tutti icittadini. [n.d.r.]

5 Questi insegnanti hanno terminato uno studio universitario di cin-que anni di cultura musicale e pedagogia musicale, oppure hannocompletato uno studio teorico sulla musica. Sanno suonare benealmeno uno strumento, oltre al pianoforte che è obbligatorio pertutti.

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45allievi conoscono la musica e, a seconda dell’attività sceltaall’interno del modello aperto, sanno cantare/suonare unnumero di brani della tradizione colta, tradizionali o po-polari, sanno ascoltare, conoscono e riconoscono elementie strutture della musica e diversi generi musicali, hannomigliorato la conoscenza del patrimonio musicale croato edel mondo, conoscono i concetti fondamentali dalla cultu-ra musicale generale, hanno sviluppato, perfezionato emigliorato le proprie capacità musicali.Nel 2009 la riforma è stata seguita da una Strategia per losviluppo del curriculum nazionale per l’istruzione presco-lare, primaria e secondaria (Strategija za izradbu i razvojNacionalnoga kurikuluma za predskolski odgoj, opceobvezno i srednjoskolsko obrazovanje). La riforma menzio-nata e la strategia hanno permesso l’attuazione di cambia-menti specifici nel sistema educativo e il risultato è statol’introduzione del Curriculum generale nazionale per l’edu-cazione prescolare, primaria e secondaria (Nacionalniokvirni kurikulum za predskolski odgoj i obrazovanje teopce obvezno i srednjoskolsko obrazovanje) del 2011.La caratteristica fondamentale del Curriculum nazionale èquella di sostenere le competenze degli alunni e favorire iloro risultati d’apprendimento. Il Curriculum definisce ivalori fondamentali educativi, gli obiettivi d’istruzione, lefinalità e gli obiettivi delle aree educative, i metodi di va-lutazione del rendimento degli studenti, nonché la possi-bilità di auto-valutazione. Nel Curriculum sono descrittigli obiettivi specifici per ogni materia suddivisi in cicli di-dattici e le competenze previste dagli alunni in ogni ciclod’apprendimento.La musica occupa un posto nella sezione Arte che è suddi-visa in sei aree educative. Cinque sono relative ai diversitipi di espressione artistica (arti visive e design; musica earte; cinema e cultura dei media; teatro e cultura; arte,movimento e danza), mentre la prima area comprende gliobiettivi comuni. Nell’area musica e arte sono compresecinque categorie: osservazione e percezione musicale; com-prensione degli elementi musicali; espressione musicale;comunicazione, socializzazione e cooperazione tramiteesperienza ed espressione musicale; valutazione dell’artemusicale. Le stesse categorie sono proposte in tutti i ciclidi istruzione: il primo (I-IV classe della scuola primaria), ilsecondo (V e VI classe della scuola primaria), il terzo (VII eVIII classe della scuola primaria) e il quarto (i quattro annidella scuola secondaria).Ricordiamo che la musica è una componente importantedel nuovo programma e del Curriculum. È importante sot-tolineare che oltre all’insegnamento obbligatorio di Cultu-ra musicale (un’ora alla settimana, 35 ore all’anno), l’allie-vo può scegliere di frequentare le attività musicali extra-curriculari che sono parte integrante del sistema scolasticoregolare croato. Con le attività musicali extracurriculari sicontribuisce a sviluppare le capacità individuali, le com-petenze e le abilità degli allievi, sostenendo così il proces-so di sviluppo della creatività. La loro funzione educativaè estremamente importante, poiché i contenuti e le attivitàsono più vicine alla realtà, ai bisogni e desideri degli alun-ni. Le attività sono organizzate in modo aperto e flessibile,

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46 vengono scelte spontaneamente dagli allievi, l’ambiente èaccogliente e gli insegnanti forniscono un aiuto professio-nale. Tutto ciò fa sì che vengano apprezzate dagli allievi eche producano ottimi risultati. Le proposte extracurricularimusicali realizzate più comunemente nelle scuole primariein Croazia prevedono attività corali o di gruppi vocali, at-tività strumentali, di danza e folclore, musica e computer,oltre a varie altre attività musicali creative.

Per concludereLa musica si è sempre ritagliata un posto nei programmiscolastici in Croazia: talvolta solo formale o con obiettivipoco chiari, talvolta come un mezzo per realizzare qualco-sa di specifico, ma sempre è stata presente come parte in-tegrante del sistema educativo.Oggi ci si rende conto di come sia sempre più importantetrasmettere la cultura musicale alle nuove generazioni fa-cilitando la comprensione delle opere musicali significati-ve. In Croazia, l’obiettivo d’insegnamento della musica allafine del secondo ciclo, dopo dodici anni di studi ed espe-rienze musicali scolastiche (condotte da docenti professio-nisti per nove anni), è formare alunni critici e competenti,partecipanti attivi alla vita musicale della città. Infatti sol-tanto se gli individui diventano attori di eventi musicali eascoltatori consapevoli, la musica continuerà a vivere e aessere importante. Per questo la scuola dovrebbe essere unluogo dove gli alunni, oltre allo sviluppo di abilità e al-l’apprendimento di contenuti, acquisiscano cultura in ge-nerale. In ultima analisi l’insegnamento deve permetteredi conoscere e godere la musica e nobilitare quindi la vita.

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sv. VI, VII (Materiali per la storia dell’educazione del Regno Croato eSlavonia, voll. VI, VII), Kraljevska zemaljska tiskara, Zagreb 1911.ANTUN CUVAJ, Grada za povijest skolstva Kraljevine Hrvatske i Slavonije,sv. VIII, IX (Materiali per la storia dell’educazione del Regno Croato eSlavonia, voll. VIII, IX), Kraljevska zemaljska tiskara, Zagreb 1913.GJURA EISENHUT, Napevi cerkvenih pesamah (Canti e inni sacri), Nakladaknjizare Fr. Zupana (Albrecht i Fiedler), Zagreb 1872.DRAGUTIN FRANKOVIC, Povijest skolstva i pedagogije u Hrvatskoj (Storiadell’educazione e della pedagogia in Croazia), Pedagosko-knjizevnizbor, Zagreb 1958.MINISTARSTVO ZNANOSTI, OBRAZOVANJA I SPORTA, Hrvatski nacionalni obrazovnistandard (Ente Nazionale Croato per gli standard educativi),Ministarstvo znanosti, obrazovanja i sporta, Zagreb 2006.MINISTARSTVO ZNANOSTI, OBRAZOVANJA I SPORTA, Nastavni plan i program(Curriculum), Ministarstvo znanosti, obrazovanja i sporta, Zagreb 2006.MINISTARSTVO ZNANOSTI, OBRAZOVANJA I SPORTA, Nacionalni okvirni kurikulumza predskolski odgoj i obrazovanje te opce obvezno i srednjoskolskoobrazovanje (Curriculum Nazionale per l’Istruzione prescolare e ge-nerale sull’istruzione primaria e secondaria) Ministarstvo znanosti,obrazovanja i sporta, Zagreb 2011.EMERIK MUNJIZA, Povijesni slijed demokratizacije hrvatskog osnovnogskolstva (La sequenza storica di democratizzazione croata nelle scuo-le primarie), in “Zivot i skola”, n. 43, Filozofski fakultet Osijek, Uciteljskifakultet u Osijeku, Osijek 1994.VJENCESLAV NOVAK, Pucki ucitelj kao ucitelj pjevanja i kao orguljas (L’in-segnante di musica come insegnante di canto e organista), Izvjestajkraljevske preparandije i vjezbaonice, Zagreb 1888.VJENCESLAV NOVAK, Pjevacka obuka u puckoj skoli (Formazione di cantonella scuola primaria), Matica hrvatska, Zagreb 1892.PAVEL ROJKO, Metodika nastave glazbe. Teorijsko-tematski aspekti (Di-dattica per insegnare musica. Aspetti teorici e tematici), SveucilisteJosipa Jurja Strossmayera u Osijeku, Osijek 1996.CVJETKO RUBETIC, Pjesmarica za djecu puckih ucionica (Canzoni popolariper bambini), Matica hrvatska, Zagreb 1872.DIJANA VICAN - LADISLAV BOGNAR - VLATKO PREVISIC, Hrvatski nacionalnikurikulum (Curriculum Nazionale Croato), in Kurikulum: teorije,metodologija, sadrzaj, struktura, a cura di Vlatko Previsic, Skolskaknjiga, Zagreb 2007.SABINA VIDULIN-ORBANIC - PETRA PEJIC PAPAK, Skolstvo u vrtlogu promjena:zaokret k uspjesnoj skoli (L’istruzione nel vortice del cambiamento: unpassaggio a una scuola di successo), in Pedagogija (1), Forum pedagogaSrbije i Crne Gore, Beograd 2010.

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Arianna Sedioli

«La poesia per i bambini non dovrebbeessere un’esperienza noiosa, ma unascoperta, un insieme di cose diverten-tissime: un racconto, una favola, unoscherzo, un gioco con le parole, la realtàdi tutti i giorni, un sentimento, un’im-magine» 1. Per i piccoli la composizio-ne poetica può essere un giocattolostraordinario, un impasto di suoni e rit-mi vocali da ascoltare e da imitare,come una formula magica affascinan-te e misteriosa.Parole quotidiane e semplici si mesco-lano a parole sconosciute in una danzaper le orecchie: «Al coniglio/ in esilio/dò un consiglio./ Gli bisbiglio:/ ”ForzaEmilio,/ più cipiglio!”» 2. La storiella diToti Scialoja piace ai bambini perché,al di là del significato dei singoli ter-mini, sono catturati dal gioco lingui-stico e, soprattutto, dalla voce dell’adul-to che si trasforma, si traveste e recitaper loro. Nei nidi, nella scuola, ma an-che a casa, gli adulti possono crearedei momenti di lettura ad alta vocesottoforma di piccolo concerto in versie rime. Il repertorio è vasto, ma si po-trebbe iniziare dall’opera letteraria diScialoja che ha scritto poesie proprioper i bambini, anzi per dei bambini chelui indica con nome e cognome, primaper il suo nipote James Dempy e poiper le sue nipoti Barbara e Alice Drudi.Scialoja inizia a scrivere poesie nel 1961,all’età di quarantasette anni, quando ègià un pittore affermato, pubblicando-le via via in libri e plaquettes dai titolimeravigliosi, riuniti successivamentenel volume Quando la talpa vuol bal-lare il tango. La loro struttura si rifàallo scioglilingua, alla filastrocca, alnonsense, al limerick e asseconda le piùimprevedibili inclinazioni delle parolee dei suoni. Infatti, alla domanda sulrapporto esistente fra le due espressio-ni creative da lui utilizzate risponde:«La mia pittura nasce all’interno dellepotenzialità del colore e della pennel-lata, da un agire nell’ignoto, giacchénon vi è un’immagine che precede ilquadro. Così non esistono né una

problematica né un racconto che pre-cedano la poesia: la poesia si costitui-sce all’interno della pregnanza dellaparola» 3. L’artista si fa quindi musici-sta della parola, e dalla materia sonorafioriscono i suoi versi. «Quando il gam-bero di Tangeri/ non resiste a stare inghingheri/ scoppia a piangere in unangolo/ esclamando: “Sono un tan-ghero!”». Ma nei versi sono racchiusianche infiniti piccoli racconti, favolettestrambe e bizzarre di pipistrelli conl’ombrello, di opossum che vanno aspasso, di squali che vanno a scuola,di mucche con la parrucca, di zanzaredi Zanzibar, di bassotti di Pisticci chebisticciano se alticci. Coinvolgere ibambini ad ascoltare queste poesie fre-sche e singolari significa introdurre ele-menti di apertura letteraria ed esteticanegli spazi educativi e, più in genera-le, nella vita dell’infanzia. Le parole, iloro suoni, i loro movimenti, i loro co-lori vengono percepiti sensorialmentee gustati come una pappa buona, al dilà del senso, del lessico e dell’utilità.Per i piccolissimi è una meraviglia as-saporare queste delicate ed eleganticapriole sonore, che andranno a for-mare un corredo prezioso e unico perla loro crescita. A partire dai 4 annipossiamo pensare di utilizzare questecomposizioni per sperimentare e inven-tare ritmi, timbri e melodie fino a ri-crearle come canzoni rap, come cano-ni, prevedendo inserimenti strumenta-li e rumori di oggetti. «Tre chicchi dimoca/ tritava il tricheco/ per fare ilcaffè./ Lo vide la foca/ e disse: “Chespreco!/ Due chicchi, non tre!”». Sonoversi di una bellezza irresistibile, cosìleggeri e gioiosi che i bambini li impa-rano a memoria perché è piacevole ri-peterli più e più volte. Qualcuno inizia

anche a mimarli, muovendosi e dan-zando intrecciando movimenti e paro-le. È entusiasmante giocare con le poe-sie di questo eclettico artista, portarlea spasso come un compagno di giochi,passarle a un amico, soffiarle nell’orec-chio della mamma, del papà, del non-no, dell’educatore per poi ritrovarle inun unico “canto”.A volte Scialoja arricchisce la sua scrit-tura illustrando alcuni personaggi conpennellate e tratti a pastello che dialo-gano perfettamente con le parole: ab-bagliano gli occhi tondi della civettadi Civitavecchia, colpisce la grazia dellamarmotta che sulla riva del Mar Mortosi fa un bagno corto corto. Se utiliz-ziamo queste immagini fotocopiate ecostruiamo delle sagome di legno ibambini possono mettere in scena lepoesie, arricchendole di nuove inter-pretazioni e utilizzandole come puntodi partenza per l’invenzione di trame,dialoghi e racconti. «Calma la talpasotto il chiar di luna/ palpa le sue pa-tate ad una ad una» è una poesia per ibambini, ma «scrivere poesie per i bam-bini non è un marchio di genere, è sem-plicemente una scelta di tonalità o, tut-t’al più, di un determinato strumento ogruppo di strumenti; si scrive per i bam-bini così come si scrive in si bemolleminore anziché in la maggiore, o pervioloncello anziché per archi, celesta epercussioni…» 4.

1 DONATELLA BISUTTI, La poesia è un orec-chio, Feltrinelli Kids, Milano 2012.

2 Questa e le successive poesie sonotratte da: TOTI SCIALOJA, Quando la tal-pa vuol ballare il tango, Mondadori,Milano 1997.

3 TOTI SCIALOJA, Carte e carteggi tra pit-tura e parola, Edizioni Corraini,Mantova 2000.

4 Quando la talpa vuol ballare il tangocit, dalla prefazione di GiovanniRaboni. Per conoscere l’artista: BARBARA

DRUDI - LAURA MOCCI, Scialoja Toti e Topi,collana L’arte tra le mani, Lapis, Roma2000.

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50 A cura di Mariateresa Lietti

Valutazionee strumento musicale

La valutazione è un momento centrale del percorsoeducativo e come tale fa emergere elementi problematiciche spesso non è facile affrontare.Il giudizio infatti è un bisogno simbolico dell’essere uma-no (con tutta la valenza di complessità e profondità che gliaspetti simbolici comportano), ma – affinché sia efficace– richiede un rapporto di fiducia (tra studenti e docenti) eun esercizio di autorevolezza da parte dell’insegnante chedeve mettere in gioco la sua capacità di operare scelte con-divise.Negli anni passati si è riflettuto molto su questi aspetti;inquieta però constatare come le teorie e gli strumenti ela-borati (significativi e adeguati in molte situazioni, biso-gnosi di una “messa a punto” in altre) siano stati improv-visamente dimenticati e buttati a mare da scelte legislativemiopi e poco consapevoli che denotano (e determinano)una grande confusione.Una delle conseguenze di questa “amnesia” è la poca chia-rezza in merito alla differenza che esiste tra misurazione,certificazione e valutazione. I tre termini vengono spessousati quasi come sinonimi con una conseguente perdita disignificato davvero pericolosa. Un conto è misurare unaconoscenza o un’abilità, un altro certificare una compe-tenza, un altro ancora dare una valutazione su un percorsodi apprendimento. Semplificando un po’ si potrebbe direche l’ambito dei concorsi (anche musicali) mette in giocouna misurazione con conseguente certificazione, mentrel’ambito scolastico richiede una valutazione in cui conflu-iscono anche, ma non solo, le misurazioni. Se la misura-zione è più semplice – ma richiede adeguate conoscenzeperché sia efficace – la valutazione è un processo comples-so che chiama in causa anche chi valuta e quindi la rela-zione.La tendenza recente è quella di ritenere che tutto siamisurabile e di suddividere quindi in indicatori anche que-gli aspetti dell’essere umano che misurabili non sono eche vanno presi in considerazione con altri parametri digiudizio.Forse bisognerebbe invece tornare a porsi le domande

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51basilari: cosa si valuta, perché si valuta, chi valuta, conquali strumenti?Forse bisognerebbe tornare a riflettere sul fatto che la va-lutazione è sempre frutto di una relazione e non èunidirezionale: l’insegnante che valuta un allievo oun’allieva, valuta un percorso fatto insieme, quindi valutaanche se stesso e la relazione instauratasi che è parte fon-damentale del processo di apprendimento.La valutazione dovrebbe dare elementi utili ad allievi eallieve per un percorso di crescita individuale, ma nellostesso tempo dovrebbe anche fornire elementi per modifi-care il percorso didattico e per scegliere le proposte piùadeguate. In ultima analisi si potrebbe dire che una valu-tazione efficace dovrebbe servire per la crescita di studentie docenti.Un altro aspetto che mi pare stia diventando sempre piùproblematico è quello relativo alla presunta necessità di“oggettività” della valutazione. Si sono adottati i numeriinvece dei giudizi perché ritenuti più “chiari”, si obbliga amedie matematiche perché “oggettive”, confondendo sem-pre più i concetti. Se la misurazione infatti può essere pre-cisa (non userei comunque il termine “oggettiva”), la valu-tazione non potrà mai essere oggettiva perché chi valuta,si ribadisce, è parte del processo. Gli esseri umani inoltresono tutti diversi e vanno quindi trattati (e valutati) diver-samente. Forse ci siamo dimenticati che tempo fa don Milanisosteneva che una delle più grandi ingiustizie è quella ditrattare allo stesso modo chi non ha gli stessi mezzi e glistessi strumenti di partenza. La valutazione non deve peròessere arbitraria e il solo modo perché non lo sia èesplicitare con chiarezza i criteri adottati e condividerli.Chi sostiene l’utilità delle medie matematiche – e a que-sto obbliga rigidamente la scuola – non si rende contoche, questo sì, è assolutamente arbitrario. Cosa mi diceun numero frutto di una media matematica? Non il livel-lo raggiunto (quindi non misura o certifica), non un per-corso (quindi non valuta), però lo si propone come “obiet-tivo” e “chiaro”. Credo che questa sia davvero una perico-losa mistificazione che introduce confusione in una realtàcome quella scolastica che sulla verità e chiarezza dovreb-be fondarsi.Un ultimo aspetto vorrei proporre alla riflessione ed è quellorelativo all’errore. Nell’attuale situazione, in cui l’obiettivosembra essere quello di raggiungere il voto più alto, l’erro-re è un elemento negativo che va comunque nascosto. Mipiace invece pensare che l’obiettivo sia imparare, miglio-rarsi, progredire e, in quest’ottica, l’errore è un momentoprezioso che dà luogo a situazioni didatticamente signifi-cative. L’errore va quindi mostrato, esplicitato, discusso:rappresenta un momento importante di crescita e non unavergogna da nascondere. In campo musicale è poi partico-larmente evidente come l’errore possa essere, a volte, spuntoper nuove idee che vadano oltre gli stereotipi e gli schemirigidi. Certo saper mostrare e gestire gli errori richiede unarelazione didattica profonda e attenta, aspetto che non sem-bra interessare particolarmente gli attuali legislatori.Le tematiche che ho evidenziato riguardano la valutazionein generale, ma possono essere riferite allo strumento mu-

sicale con alcuni elementi di diversità su cui vale la penasoffermarsi perché mi pare possano rappresentare un’im-portante risorsa.L’esecuzione strumentale è, per parecchio tempo, sfuggitaal dibattito sulla valutazione perché ritenuta un po’ ano-mala: più di altri campi soggetta al gusto personale, alleemozioni, alla soggettività, all’impossibilità di essere mi-surata. Quasi come se si ritenesse inevitabile l’arbitrarietàdel giudizio. Ora il dibattito comincia però a farsi stradaanche in questo ambito. Non esistono standard nazionali acui rapportarsi (del resto neanche per le altre discipline),ma si comincia a interessarsi a questi aspetti, spesso rife-rendosi a quanto elaborato in altre nazioni. Si parla di cri-teri da condividere e di individuazione dei diversi aspettidi un’esecuzione che possono essere esaminati; ci si inter-roga sul peso da attribuire alla tecnica rispetto alla mu-sicalità. Il dibattito è agli inizi, poco ancora è stato elabo-rato, ma forse, proprio per questo, si può osservare quantoavvenuto per le altre discipline e cercare di non ripercorre-re gli stessi errori. L’interrogarsi sulla valutazione richiedeinoltre che ci si confronti sulle abilità che si vogliono va-lutare, e sui loro diversi livelli indipendentemente dai re-pertori musicali proposti, portando a una maggior consa-pevolezza in merito ai processi di apprendimento e quindia una positiva evoluzione della didattica strumentale.Relativamente ai suggerimenti che possono venirci da al-tre nazioni il modello più noto è sicuramente quellodell’ABRSAM a cui in questo Confronti e dibattitti si fa spes-so riferimento e che viene preso in esame in modo detta-gliato da Lucia Di Cecca. È sicuramente un modello che èutile conoscere, ma sarebbe bene analizzarlo con spiritocritico, riuscendo a prenderne solo gli aspetti positivi. Cosìcome si dovrebbe riuscire a mantenere la giusta distanzada altre proposte che mi paiono incentrate esclusivamentesu una ricerca quasi maniacale di indicatori, punteggi, cal-coli “precisi”, come ad esempio quella di Edwin Gordonche nel suo testo afferma: «particolarmente importante è ilbisogno di misurare obiettivamente le performance stru-mentali e vocali che devono essere rilevate attraverso vali-de schede di valutazione» 1. Penso che la ricerca e l’elabo-razione di validi strumenti sia importante, ma che non sidebba ridurre tutto a questo che è solo un aspetto del pro-blema, certamente non il principale. E soprattutto sono con-vinta che sia necessario essere consapevoli del fatto chesarebbe davvero illusorio pensare che questi strumenti (perquanto efficaci siano) determinino “l’oggettività” della va-lutazione: questo sì sarebbe operare in modo arbitrario epoco professionale.La consapevolezza dell’importanza della relazione nel per-corso di apprendimento di uno strumento musicale metteal riparo dai rischi del mito dell’oggettività e rende forsepiù facile distinguere tra ciò che è misurabile e ciò che nonlo è. La possibilità di strutturare i percorsi didattici in mo-

1 La citazione è tratta dal retro di copertina del testo scritto daGordon nel 2002 e ora tradotto in Italia ed edito da Curci (Gordon2011).

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52 menti individuali e momenti collettivi rende inoltre possi-bile una valutazione personalizzata e condivisa. Prova neè il fatto che più che in altri ambiti, in quello strumentalesi stanno diffondendo esperienze di autovalutazione e divalutazione condivisa tra docenti e studenti.I contributi che seguono mettono in luce i vari problemievidenziandone diversi aspetti a seconda degli ambiti diprovenienza e delle esperienze fatte da chi scrive. Il con-servatorio è il punto di partenza per gli interventi di Anni-bale Rebaudengo e Lucia Di Cecca, le scuole secondarie aindirizzo musicale quello per Mariacarla Cantamessa e Eli-sabetta Betti. Lo sguardo è quello dell’insegnante, ma an-che del genitore, di chi partecipa alla commissione in unconcorso e di chi ricerca. In tutti i casi lo sguardo di chiaffronta con passione ed entusiasmo l’insegnamento e siinterroga quotidianamente su come anche un corretto pro-cesso di valutazione possa contribuire a migliorarlo.

Finalità, oggetti e risorse 1

di Annibale Rebaudengo

Premessa. La valutazione è sempre soggettiva? Sì, ma nonsolo per l’esecuzione musicale, anche per un tema d’italia-no, per non parlare di un orale di qualsiasi insegnamentoche, se ben condotto, riesce a far dire all’allievo quello chesa e forse qualcosa di più, ma se mal condotto giunge anon fargli dire niente, neanche quel che sa. Ma anche quan-do valutiamo un quadro di un pittore, le azioni di un mini-stro, o una partita di calcio la valutazione non è oggettiva.La diffidenza per gli errori di chi valuta è la causa deldiffondersi dei test a risposta chiusa corretti dal computer.Non utilizzabili nella musica suonata e cantata, per fortu-na. L’attendibilità del giudizio di un singolo è di così gran-de responsabilità, che non a caso – dai primi esami di stru-mento ai concorsi internazionali – il giudizio valutativo èespresso collettivamente da una commissione i cui compo-nenti mediano e negoziano i propri punti d’ascolto. La va-lutazione nella scuola è continua, anche un po’ ossessiva,perché destinata al monitoraggio dei minimi cambiamenti,della crescita degli allievi e della loro formazione che, conil paradigma dell’educazione permanente, non ha di fattomai fine. Gli aspetti positivi della valutazione continua sonoil possibile assestamento nel giudizio finalizzato a riflet-tersi sulla stessa didattica per organizzare meglio i conte-nuti, la relazione all’interno della classe in armonia con ilcontesto scolastico e le attese extra-scolastiche. Questavalutazione ha successo quando evidenzia le mete raggiun-te, valorizza le risorse, indica le modalità per sviluppare lepotenzialità, aiuta a motivare, aiuta a costruire un concet-to positivo e realistico di sé. La valutazione in itinere nonha solo una funzione retrospettiva, ma anche una funzio-ne orientativa. «Infatti, valutando momento per momento,l’insegnante può cogliere la necessità di modulare diversa-mente la proposta educativa perché l’allievo possa coglier-la in modo più proficuo» (Blandino - Granieri 1995, p. 175).Gli aspetti negativi, da non sottovalutare, sono l’insicurez-

za dello stadio raggiunto e la meta continuamente allonta-nata.

Gli oggetti della valutazione. La valutazione nell’area stru-mentale sta cambiando l’oggetto di valutazione, come staavvenendo nell’intera scuola anche per gli altri insegna-menti. Dalla valutazione della persona si sta andando ver-so la valutazione della prestazione in contesto, al fine disoppesare le competenze raggiunte da ogni esaminato. Lacondizione che arricchisce la valutazione di connotazioniformative e metacognitive è l’esplicitazione dell’oggetto, odegli oggetti, della valutazione al fine di rendere edottochi è valutato circa gli aspetti su cui si baserà il giudiziodegli esperti. La valutazione assume maggior valore se ilgiudizio si basa sul raggiungimento di obiettivi prefissati enon sul confronto con prestazioni altrui.Per uno strumentista, i descrittori della valutazione po-tranno essere le conoscenze, trasformate in abilità, scandi-te dagli obiettivi formativi: le conoscenze storico-estetichetradotte in prassi esecutive e nella conseguente qualitàappropriata del suono, il progetto musicale realizzato conle pertinenti abilità strumentali, la compatibilità tra il con-trollo di sé e la comunicazione musicale, non senza tenerconto dell’imprevisto e inatteso stupore che desta la crea-tività interpretativa.Le predette conoscenze e abilità non potranno trasformar-si in competenze esecutive se non accompagnate dal saperascoltare se stessi e gli altri, dell’autonomia nello studioecc. I predetti descrittori non sono altro che obiettivi disci-plinari formativi che cambieranno di difficoltà a secondadel livello di studio dell’allievo e, di conseguenza, dei re-pertori eseguiti. La predisposizione di una checklist, sia pergli esaminatori, sia in funzione dell’autovalutazione di chisuona, diventa indispensabile.

I modelli valutativi. Chi ha fatto parte di commissioni d’esa-me sa che frequentemente sono messi in atto diversi mo-delli di valutazione, sia tra commissari, sia dallo stessocommissario durante la stessa sessione. Uno strumentistapotrebbe essere valutato in maniera assoluta: il modelloottimale non viene esplicitato, ma è pensato e vissuto da-gli esaminatori che hanno come termine di paragone, ognu-no per proprio conto, una ideale interpretazione e valuta-no quanto l’esaminato le si avvicini. Lo stesso strumentistapotrebbe essere valutato da un altro commissario in ma-niera personale: il valutatore, in questo caso, è attento alprogresso che l’allievo ha conseguito tenendo conto dellesue capacità e dei condizionamenti ambientali. I com-missari, dopo avere sentito i primi due o tre candidati,introducono il modello comparativo: inizia il confrontodei risultati del singolo candidato con allievo-campione“standard” di riferimento.Dobbiamo prendere in considerazione il contesto della va-lutazione, prima di decidere il modello valutativo.

1 Molte riflessioni di questo intervento sono presenti in De Carli -Rebaudengo 2007.

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53Se la valutazione tramite checklist, con le sue valenzeformative, ha il luogo d’elezione nella scuola, la valutazio-ne assoluta può consentire la valutazione in una comunitàristretta dove i giudizi di valore sono condivisi e la valuta-zione non ha finalità didattiche. Ma anche nei contesti dieccellenza professionale, come nei concorsi internaziona-li, si sta affacciando da qualche anno la prassi di dichiara-re già nel progetto del concorso cosa sarà valutato.Il modello di valutazione che va sotto il nome di valuta-zione a criterio o formativa: merita una chiosa per la suafinalità didattica. Attraverso questo modello l’insegnantemisura la prestazione di ciascuno strumentista o cantanteconfrontando gli obiettivi programmati e esplicitati con irisultati ottenuti, valuta il processo d’apprendimento per-ché interviene anche sulle modalità d’apprendimento, ve-rifica l’arco di crescita perché tiene conto dei prerequisitiaccertati nelle prove d’ingresso, non abbassa le attese per-ché – pur essendo centrata sull’allievo – ha come punto diriferimento specifici obiettivi musicali e strumentali. Sta-bilisce le posizioni raggiunte descrittore per descrittore,riarticolando questi ultimi ogni volta che lo si ritiene op-portuno (ad esempio dopo ogni valutazione) anche svin-colando i livelli tra loro. Questo tipo di valutazione per-mette nel prosieguo dell’insegnamento di arrivare a stabi-lire il giudizio complessivo di maturazione. La valutazionea criterio ha la finalità di formare l’allievo, più che di giu-dicarlo: è il segmento finale della complessa attività didat-tica che ora vede gli insegnanti di strumento coinvolti nelsistema scolastico nazionale e non più solo dediti alle le-zioni private in casa. Questo modello valutativo è pratica-bile nella lezione individuale o di gruppo strumentale. L’in-segnante che ascolta a ogni lezione il proprio allievo elavora sistematicamente e “unicamente” con lui, è avvan-taggiato nel valutarlo nella sua unicità di persona che ap-prende.Se si applica una batteria significativa di indicatori, diven-ta più chiaro perché chi suona con espressività e comuni-cativa, ma con scorrettezze ritmiche o tecniche, potrebbeaver un voto non dissimile da chi suona con perfezionetecnico-ritmica ma con scarsa espressività. Quando si va-luta a scuola non si dovrebbero fare graduatorie. E se qual-che insegnante vuol farle, potrebbero esserci ex equo moti-vati.

L’autovalutazione. L’insufficiente considerazione di sé daparte degli allievi in classe, se non abituati all’autovalu-tazione, è facilmente riscontrabile da qualsiasi docente cheall’improvviso chiedesse al proprio allievo un giudizio sul-la propria esecuzione. Ecco quindi una prima finalità del-l’autovalutazione: sviluppare una conoscenza delle pro-prie competenze in maniera autonoma per aumentare lastima di sé. «Saper valutare le proprie azioni è importanteper tutte le attività umane: ancor più nelle situazioni diapprendimento. […] Il dover giudicare e motivare la pro-pria valutazione e quella degli altri, abitua gradualmentel’alunno a confrontarsi realisticamente con le proprie ca-pacità […]» (Addessi 1997, pp. 7-8). Lo sguardo rivolto ver-so se stessi alla ricerca del ricordo della propria esecuzio-

ne, tanto diverso dallo sguardo smarrito dell’allievo che,appena ha terminato di suonare, cerca lo sguardo dell’in-segnante, ha la finalità di conoscere se stessi, di potersiorientare nel mantenere e sviluppare gli aspetti positivi delproprio far musica e di colmare i margini di miglioramen-to. Si riporta più sotto, a titolo esemplificativo, una scheda(vedi Figura 1) nata anche per l’autovalutazione tra esecu-zioni ravvicinate, meglio se della stessa composizione, perpercepire e commentare le inevitabili differenze.Nella lezione collettiva ci si confronta con la valutazionedei compagni, oltre che dell’insegnante. L’allievo è invita-to a confrontare la valutazione dell’insegnante con la suaautovalutazione e a confrontare entrambe con quella delpubblico e di esperti esterni. La riflessione sul proprio ap-prendimento e il confronto con il mondo esterno, la con-sapevolezza delle proprie capacità e dei propri vincoli fan-no parte della metacognizione che secondo Gardner (1993)aiuta a superare la crisi adolescenziale.La valutazione non più affidata solo all’insegnante miglioral’educazione all’ascolto, sia esso indirizzato ad alcuni aspettidella propria esecuzione, sia esso centrato sulla complessi-tà della musica eseguita. Autovalutarsi con la guida del-l’insegnante, che abitua il singolo allievo o il gruppo a faremergere per prima cosa gli aspetti positivi della perfor-mance, aumenta la stima di sé e abitua lo studente a sezio-nare la propria esecuzione in obiettivi distinti: qualità delsuono, controllo della pulsazione, elementi della dizionemusicale legati al fraseggio, alla dinamica, al timbro ecc. Ilrischio di una valutazione globale in ambito formativo èdi non sapere bene cosa sia meglio mantenere, cosa ci siada migliorare, cosa sia prioritario da studiare. Che poi uneventuale giudizio sommativo con voto corrisponda allamedia di tutti i descrittori, non esclude che il giudizio ana-litico sia utile per l’economia di tempo nello studio. Quan-do l’insegnante dice semplicemente all’allievo: «studia dipiù», non lo incoraggia a studiare meglio, così: l’auto-valutazione è significativa solo alla condizione che sia ac-compagnata da riferimenti su cosa e come studiare di più.

Figura 1. Scheda di autovalutazione

SCHEDA DI AUTOVALUTAZIONE

Tra esecuzioni ravvicinate

Nome Cognome Età

Corso di studio

Sede dell’esecuzione

Data

Autore titolo

Quesiti Risposte Risposte

1) Ti sentivi pronto per l’esecuzione?

2) Sei riuscito ad ascoltarti?

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54 3) Pensi di avere suonato secondo

le tue aspettative?

4) Sei soddisfatto?

7) La presenza del pubblico ti stimolava,

disturbava o ti era indifferente?

8) Se hai commesso alcuni errori

nell’esecuzione, sei stato disturbato

al punto da perdere il controllo?

9) Hai avuto problemi di memoria?

Se sì, ti hanno disturbato?

10) Avresti preferito suonare

con la musica? Perché?

11) Sei soddisfatto per come

hai presentato la musica?

12)L’esecuzione ne ha risentito? Se sì,

positivamente o negativamente?

13)Fra le esecuzioni avresti voluto essere

seguito di più dal tuo maestro?

14)Cosa ti è piaciuto di più?

15)Cosa vorresti migliorare?

16)Esprimi la tua valutazione insuff. _ insuff. _

suff. _ suff. _

buono _ buono _

ottimo _ ottimo _

17)Valutazione dell’insegnante insuff. _ insuff. _

suff. _ suff. _

buono _ buono _

ottimo _ ottimo _

18)La valutazione del pubblico

secondo te qual’è stata? insuff. _ insuff. _

suff. _ suff. _

buono _ buono _

ottimo _ ottimo _

19)Commenta liberamente

le tue esecuzioni e il confronto

delle valutazioni

Firma dell’allievo ______________________________

Indicatorie standard internazionalidi Lucia Di Cecca

Vexata quaestio quella sulla valutazione della performancemusicale di un ragazzo. Se ne parla sempre quando non siè d’accordo sull’esito di un esame. E ogni volta si discute,anche in seno alla commissione che valuta, di cosa si deb-ba valutare e di quale peso debba essere dato ai vari aspettidella performance, magari con riferimento all’anno di cor-so. Soprattutto se si è in disaccordo. Poi il tempo attenua lepolemiche, salvo negli esami successivi ritrovarsi in ana-loga situazione ad affrontare problemi simili.“Valutare” significa “esprimere un giudizio”, ma nella no-stra tradizione scolastica il “giudizio” è diventato sinoni-mo di “voto”. Da mamma so che ai ragazzi importa pocoche si racconti loro con espressioni più o meno dure ogentili come vanno a scuola; a loro interessa sapere sesaranno promossi; al massimo sono interessati a verificarese le differenze di voti nella stessa classe rispecchiano im-pegno e capacità di ognuno.In conservatorio non è poi così diverso: conta essere promos-si se si studia poco, conta il voto se si studia molto (e il rap-porto con i voti degli altri). Detto così, parrebbe assolutamen-te efficace il nostro modo di “valutare” attraverso l’espressio-ne di un singolo numero, semplice, chiaro, veloce e comodo.Ma a cosa serve la valutazione?E qui la cosa si fa complessa e delicata, perché entrano in giocogli obiettivi che vogliamo raggiungere attraverso di essa e imezzi che decidiamo di usare per raggiungere quegli obiettivi.L’obiettivo tradizionale dei nostri conservatori è di “sele-zionare”. D’altra parte i conservatori sono (o dovrebberoessere) scuole che preparano i professionisti del settore.Lasciamo stare che nella realtà le cose siano alquanto di-verse e che tra colleghi ci si dica spesso che il livello èdiminuito nel tempo, che è sempre più difficile trovare ra-gazzi bravi, disposti a studiare molto e in modo sistemati-co. Insomma, abbassiamo le pretese e andiamo avanti, macontinuando a conservare l’obiettivo della “selezione”.Se l’obiettivo della valutazione è selezionare, mettendo inevidenza, attraverso una graduatoria, chi è più bravo, al-lora ben venga il numero. Ma se l’obiettivo della valuta-zione è mettere in luce e chiarire al ragazzo a che punto sitrova del suo percorso di crescita musicale, quali sono isuoi punti di forza, quali quelli di debolezza, su cosa deveconcentrare l’impegno… allora un numero non basta. Oc-

1 L’esecuzione è solo una delle prove richieste e valutate nell’esa-me e utili ad acquisire l’attestazione di un determinato Grade diabilità strumentale. Le altre riguardano la tecnica (scale e arpeg-gi a memoria), la “musicalità pratica”, la prima vista e l’aural train-ing, che sono comunque, in effetti, prove che in qualche modoriguardano il “saper suonare”.

2 Nella sezione Materiali del sito www.musicadomani.it è disponi-bile una Presentazione in formato Power Point dell’ABRSM in cui ècontenuta anche la descrizione dettagliata dei criteri di valuta-zione.

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55corre comunicargli in modo chiaro e dettagliato quali aspettidella sua esecuzione sono stati presi in considerazione econ quali criteri sono stati valutati.Ovviamente dietro questo modo di procedere c’è una pre-cisa metodologia di lavoro da parte dell’insegnante di stru-mento, che nel corso dell’anno deve aver analizzato colragazzo le sue esecuzioni e deve aver finalizzato il suostudio al superamento di precise difficoltà o al migliora-mento di esplicite competenze.Immagino le obiezioni che molti colleghi possono avanzare,a cominciare dal fatto che l’esecuzione di un brano deveessere valutata nel suo insieme e che non si può spezzettaree distinguere le varie competenze. Immagino anche che moltistiano pensando che in realtà la valutazione dei vari aspettiviene fatta, anche se non in modo esplicito, e che quell’uniconumero che esce alla fine è in realtà la conseguenza di unainconsapevole (ma presente) valutazione dei vari aspetti.Ma quello su cui sto cercando di porre l’attenzione è pro-prio la possibilità di lavorare su una esplicita segmentazionedello studio, comunque finalizzata a una esecuzione nellaquale tutto andrà a confluire. L’idea è quindi di legare lavalutazione a una serie di indicatori, i quali a loro voltadevono far riferimento alle competenze da raggiungere.Non è un’idea nuova. L’ABRSM (Associated Board of the RoyalSchools of Music), che peraltro si autodefinisce (ed è) «lea-der mondiale nell’organizzazione di esami e valutazionimusicali», adotta una strategia di crescita musicale dei ra-gazzi che si presta a qualche interessante riflessione (trala-sciando le considerazioni di tipo commerciale). Il sistemadi esami su cui si basa questa istituzione si propone comeun percorso la cui principale ragione di essere non è quelladi giudicare o essere giudicati ma di offrire allo studenteuna motivazione per raggiungere nuovi livelli di abilità ecompetenza attraverso la valutazione del cammino com-piuto e la fissazione di nuovi obiettivi. Gli esami vengonovisti come “pietre miliari” la cui presenza consente di com-piere il viaggio più speditamente e di arrivare più lontano.Inoltre il sistema di valutazione garantisce (o comunquecerca di garantire) uniformità a livello internazionale, at-traverso l’attenta selezione dei valutatori e il loro “adde-stramento”. Possiamo essere d’accordo o meno su alcunidei principi su cui si fonda il sistema, ma in ogni caso leregole del gioco sono chiare e dichiarate in anticipo.Vorrei portare l’attenzione su due aspetti. Il primo è che an-ziché far riferimento all’esecuzione “perfetta”, che vale ilmassimo punteggio, e da lì cercare in qualche modo di asse-gnare un voto all’esecuzione ascoltata, i valutatori dell’ ABRSM

sono addestrati a tenere presente una esecuzione “sufficien-te” come standard qualitativo, e da lì salgono o scendononella scala dei punteggi 1. Il secondo aspetto è l’esplicitazionedegli indicatori sui quali si baserà la valutazione e dei criteridi valutazione per l’assegnazione del punteggio.

Questi sono i principali indicatori usati nella valutazione per iprimi otto livelli 2:Precisione, continuità e scioltezza.Controllo tecnico e coordinazione indispensabili a produrre ilritmo giusto e la continuità di esecuzione.

Tempo chiaro e convincente (anche coerenza tra le velocitàscelte).Evidente obbedienza alle istruzioni per l’esecuzione.Un grado di sonorità accurata (compresa un’intonazione bencentrata).Consapevolezza timbrica.Modo in cui si usa lo strumento.Capacità di produrre, quando richiesto, un suono deciso e coe-rente.Capacità di controllare e contrastare le dinamiche e gli attac-chi a seconda del contesto musicale.Abilità di produrre un buon fraseggio.(L’uso dei pedali è richiesto dal Livello 5 in poi).Espressività nell’esibizione.Conoscenza e comprensione intima della musica (anche gra-do di serietà e convinzione che trapelano dall’esecuzione delbrano suonato o cantato).

Alcuni anni fa la valutazione della performance musicale èstata tra gli argomenti di un corso che ho tenuto per glistudenti del Biennio sperimentale in Didattica strumentale(pianoforte) del Conservatorio di Frosinone. Abbiamo di-scusso indicatori e criteri di valutazione, abbiamo lavoratoper mettere a punto una scheda e l’abbiamo testata su noistessi. Gli studenti uno alla volta eseguivano brani del pro-prio repertorio, tutti gli altri (e io stessa) valutavamo espri-mendo un punteggio per ciascuno degli indicatori sullascheda e poi veniva fatta la media. Al termine di ciascunaesecuzione tutte le schede venivano discusse, soprattuttonel caso di divergenze di opinione particolarmente sensi-bili. Quella che segue è la scheda (vedi Figura 2) sulla qua-le abbiamo lavorato:

Figura 2. Scheda di valutazione

Abilità tecnicheControllo tecnico e coordinazione

Correttezza della lettura e continuità di esecuzione

Tempo chiaro e convincente (anche coerenza tra le velocità scelte)

(Uso del pedale)

Qualità del suonoQualità del suono

Capacità di controllo della dinamica e di realizzazione del fraseggio

InterpretazioneConoscenza e comprensione della musica/Coerenza nell’esecuzione

Capacità di applicare in modo creativo le abilità tecniche e di controllodel suono/Capacità di realizzare un “progetto musicale”

Competenze stilistiche

PersonalitàConvinzione nell’esecuzione/Personalità/Comunicazione musicale/Maturità

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56 La discussione ha portato a focalizzare alcuni punti, comela necessità di adattare gli indicatori al livello di corso.Successivamente abbiamo provato a dividerci in duegruppi: i componenti di un gruppo valutavano usandola scheda, i componenti dell’altro valutavano nel modotradizionale esprimendo un unico voto. Per ciascuna ese-cuzione è stata preparata una tabella con le votazioni diciascun “esaminatore” ed è stata fatta la media per cia-scun gruppo. Anche se può sembrare strano, il punteg-gio nei due casi era, con approssimazione ragionevole,lo stesso.Indicatori e criteri inutili quindi? Assolutamente no. Tuttigli studenti del corso sono stati concordi nel giudicare moltopositivamente la metodologia di valutazione attraverso lascheda e hanno giudicato positivamente anche la concor-danza con la valutazione espressa direttamente attraversoun unico voto.L’utilizzo della scheda mette al riparo (almeno in parte)da alcuni degli elementi che più possono influire sullaserenità del giudizio, costringendo a un’attenzione co-stante e canalizzata e rendendo più difficile l’arbitrarietàche talvolta determina evidenti discordanze tra le vota-zioni espresse dai vari commissari di una stessa commis-sione, discrepanze che solo la “media”, fino ad ora, riu-sciva a contrastare.

Le opinioni dei docentidi Mariacarla Cantamessa

Entro con piacere a far parte di questo dibattito e apprezzoche si inizi a riflettere sull’importanza e la peculiarità cheil concetto di valutazione dovrebbe avere quando si parladi apprendimento musicale e in particolare di apprendi-mento nella disciplina Strumento musicale.Questo mio intervento vuole soffermarsi sulla realtà dellescuole secondarie a indirizzo musicale (SMIM), contesto incui ho la fortuna di insegnare.Nella primavera del 2011 ho preso parte, insieme a DarioDe Cicco (Conservatorio di Torino) e Annamaria Bordin(Istituto Superiore di Studi Musicali di Pavia), al ThirdInternational Symposium on Assessment in MusicEducation organizzato dall’Università di Brema e dall’Uni-versità della Florida, presentando una relazione intitola-ta Musical Learning and Assessment: Normatives, Practicesand Methods in the Context of the Italian EducationSystem.Per la stesura del lavoro (Bordin - Cantamessa - De Cicco2011) è stato intervistato un campione di 268 docenti inca-ricati dell’insegnamento musicale, docenti di strumentomusicale di scuola secondaria e docenti appartenenti al-l’Alta Formazione Artistica e Musicale. Il questionarioverteva sul concetto di valutazione nell’ambito della scuo-la italiana.Dall’analisi delle risposte ai questionari è emerso in ma-niera prepotente quanto sia importante che, a livello na-zionale, si attivi un processo di riflessione sull’argomento

valutazione nell’insegnamento musicale. È significativo,infatti, constatare che solamente il 28% del campione didocenti intervistato abbia svolto attività di formazione/ag-giornamento dedicate alla valutazione nella scuola secon-daria con specifico riferimento allo strumento musicale eche solamente nel 52% dei casi suddetti si sia riflettuto, inmaniera collegiale tra colleghi di strumento della stessascuola, sulla valutazione con specifico riferimento alla di-sciplina insegnata.Nonostante i dati appena esposti, l’assetto organizzativodei corsi a indirizzo musicale ha permesso ai docenti distrumento di svolgere l’attività di docenza molto spessoin compresenza e in questo modo si è fatta strada l’esi-genza di programmare le attività, di riflettere sui per-corsi didattici affrontati e di elaborare criteri di valuta-zione del percorso di apprendimento in team e non inmaniera soggettiva e isolata. Infatti, dal campione didocenti di scuola secondaria intervistati è emersa l’esi-genza del confronto con la collegialità didattica. Il 68%dei docenti si è definito alla ricerca di una valutazioneoggettiva, fatta in collegialità, che espliciti con chiarez-za le procedure.La valutazione è un processo soggettivo, questo è un datodi fatto imprescindibile, però, come appena affermato, noiinsegnanti SMIM lavoriamo in compresenza nelle ore di “or-chestra”. E poi? Quando rientriamo nelle nostre aule chiu-diamo la porta, da quel momento la lezione e gli allievidiventano un affare privato.Allo stato attuale delle cose è evidente come la condivisio-ne di parametri di valutazione esplicitati nella program-mazione sia necessaria, doverosa e auspicabile. Al tempostesso sarebbe interessante che la progettazione didatticaprendesse vita partendo da considerazioni sulla valutazio-ne degli apprendimenti.Alcuni insegnanti ritengono che l’insegnamento e l’ap-prendimento della musica siano molto difficili, se nonimpossibili, da valutare. Probabilmente questi pregiudi-zi derivano da un insufficiente livello di chiarezza suciò che lo studente debba essere in grado di fare e sugliobiettivi specifici di apprendimento da conseguire (pe-raltro espressi in maniera esaustiva nei Programmi na-zionali). La riflessione e la conseguente condivisione diparametri di valutazione specifici potrebbe essere unbuon punto d’inizio.A tal proposito, vorrei citare come il 90% dei docenti in-tervistati auspichi una condivisione a livello nazionale deiparametri di valutazione della disciplina Strumento musi-cale nella scuola secondaria di primo grado a indirizzomusicale.Provo a esprimere una proposta di valutazione.Quando si attua una performance musicale entrano in gio-co le competenze tecniche specifiche, l’auralità e la presadi consapevolezza delle abilità acquisite. Ho provato avisualizzare nell’immagine sottostante (Figura 3) le di-verse capacità che contribuiscono a un’esecuzione musi-cale.

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57Figura 3.

Valutando un’esecuzione, quindi, si può scegliere se pren-dere in considerazione le singole componenti “tecniche”:precisione, gestualità, intenzionalità ed espressività, oppu-re se fonderle insieme ed esprimere un unico giudizio. Incorso d’anno si può scegliere la prima soluzione, esplici-tando e condividendo con gli allievi ogni volta la motiva-zione del giudizio, mentre quando si fa una valutazionedel percorso formativo è opportuno valutare le esecuzionicome un tutt’uno, tenendo però sempre presenti lo studio,la motivazione e la partecipazione dimostrati nel corso dellelezioni.Cito ancora una volta gli esiti del questionario: relativa-mente ai parametri scelti per la valutazione del percorsoformativo, il 40% del campione ha indicato l’interesse, lacuriosità, l’intraprendenza e la partecipazione dimostratinel corso delle lezioni, il 39% (percentuali quasi uguali)l’esattezza dell’esecuzione strumentale e solamente il 19%ha scelto aspetti squisitamente legati all’espressività nel-l’esecuzione strumentale.Oltre alle valutazioni oggettive però non dobbiamo trascu-rare la parte soggettiva: la nostra emotività e quella deinostri allievi, intangibile e non valutabile, è parte essen-ziale di ogni performance musicale. È proprio in questocontesto che emerge la peculiarità del rapporto allievo-insegnante e la relazione stretta che si viene a instaurarenel corso delle lezioni di strumento. L’insegnante deve cer-care obiettività, e questa gli può arrivare anche dalla valu-tazione del team dei colleghi.L’ultimo argomento che vorrei trattare è l’importanzadell’autovalutazione, troppo spesso trascurata nel corso dellelezioni di strumento (solamente il 25% dei docenti intervi-stati ha dichiarato di prendere in considerazione la praticadell’autovalutazione da parte dei ragazzi).Secondo il Dizionario della lingua italiana di Giacomo De-voto e Gian Carlo Oli, l’autovalutazione è: «Valutazionedelle proprie prestazioni e dei risultati ottenuti in relazionea un obiettivo prestabilito».Autovalutarsi implica prendere consapevolezza del percorsocognitivo compiuto, dei cambiamenti avvenuti nella pro-pria pratica strumentale, delle abilità acquisite. Significausare un linguaggio specifico. Significa, nel caso della le-zione collettiva, confrontare la propria esecuzione con quel-la di un compagno e sapere che l’insegnante ti chiederà diautovalutarti davanti agli altri. Tutto questo incrementa lo

studio e rende l’insegnamento più efficace, ricco e signifi-cativo (cfr. L’autovalutazione nella didattica della musica ealtri studi 1997, p. 48).Vorrei concludere questa mia breve riflessione riportandola visione che hanno dell’argomento i miei studenti, attra-verso alcune frasi che hanno scritto sui loro diari di bordoalla fine dello scorso anno scolastico.Durante l’ultima lezione ho chiesto loro di rispondere adue domande:«Perché esistono le valutazioni?»L. : «per valutare se studiamo abbastanza».A. : «per controllare se abbiamo imparato nel modo giu-

sto».P. : «per indicarci come migliorare».D. : «per correggere i nostri errori».«Su che cosa si basa la valutazione di un’esecuzione musi-cale?»L. : «su come abbiamo studiato».A. : «sullo studio a casa».P. : «sulla qualità della nostra esecuzione».D. : «su come abbiamo suonato».È interessante vedere come i termini usati dai ragazzi nelrispondere al primo quesito riassumano, in maniera disar-mante, che cosa significhi l’atto del valutare: controllarel’efficacia di un intervento educativo, in maniera equa (giu-sta), indicando sempre quali siano le correzioni da appor-tare a un determinato errore in modo da correggerlo.Un po’ meno serene sono le risposte al secondo quesitoperché, a parer mio, sono troppo focalizzate sullo studiodomestico, quasi come se gli studenti si sentissero in dove-re di giustificare eventuali manchevolezze. Avrei speratoin definizioni più libere e meno vincolate al mio giudiziodi docente, ma forse questo sarebbe pretendere troppo!

Dal dire al faredi Elisabetta Betti

La valutazione è sempre soggettiva; è necessario però sta-bilire dei criteri per evitarne l’assoluta arbitrarietà. Questaesigenza, da tempo sentita dagli insegnanti di strumentomusicale, mi pare non abbia ancora trovato una sua rispo-sta ben strutturata.Ho conosciuto alcune scuole secondarie a indirizzo musi-cale (SMIM) e scuole civiche che hanno felicemente risoltoil problema inserendo nei loro corsi la possibilità di soste-nere gli esami di livello secondo la scuola inglese aderenteall’ABRSM (Associated Board of the Royal Schools of Music)alla quale si appoggiano.È indubbio a mio avviso che il sistema inglese – per lastruttura e i contenuti dei livelli di esame, la preparazionedei docenti esaminatori e la tradizione ed esperienza nelmondo – vada per lo meno conosciuto e considerato cometermine di paragone. Basandosi su tale sistema, ma ancheandando oltre e adattandolo alle esigenze e alla tradizionedella scuola italiana, potremo quindi anche noi ipotizzareun esame conclusivo per ogni anno, in cui il livello venga

Esecuzione

Precisione

Espressività

Intenzionalità Gestualità

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58 testato, per quanto riguarda il programma, tramite analo-go procedimento (i tre “blocchi” di repertorio, tali da pre-vedere vaste gamme di letteratura, collegati fra loro dallivello di competenze strumentali a cui si riferiscono), eipotizzare criteri omogenei per la valutazione e i relativipunteggi 1. Tale ipotesi ovviamente non può essere attuataper volontà di un singolo docente, ma ha bisogno dellacondivisione almeno del gruppo disciplinare nella scuoladi riferimento.L’esecuzione strumentale, più delle prove di altre discipli-ne, è soggetta ai gusti personali e alle emozioni. Le impli-cazioni emotive e comunicative hanno una incidenza par-ticolarmente forte sulla valutazione del percorso strumen-tale, rischiando spesso di “confondere” il giudizio di chivaluta.Per conciliare ciò con l’esigenza di una “giusta” valutazio-ne – e riferendomi all’immediato lavoro di ognuno nellapropria scuola – penso si debba partire dalla condivisionedella valutazione con altri docenti dello stesso strumentosul territorio o di strumenti diversi nella stessa scuola.Ciò necessita anche di affrancarsi dall’attenzione al reper-torio in senso stretto, per riferirsi alle “competenze” da ri-levare tramite lo stesso, rispondendo però a caratteristicheestrapolabili e oggettivabili in base alla loro possibile mi-surazione.A tal proposito nella scuola dove insegno è stata elaboratauna scheda per la valutazione delle competenze riportataqui di seguito. Essa non rappresenta che il primo passodella riflessione in corso; non si è infatti ancora delineatala successione di step progressivi attraverso i quali siipotizza di accompagnare il processo evolutivo dello stu-dente con la relativa certificazione.

STRUMENTO MUSICALE: COMPETENZE - CERTIFICAZIONE

AREA DI COMPETENZA: IMPOSTAZIONEObiettivi Specifici di Apprendimento:ConoscenzeI princìpi fondamentali della posturaAbilitàTrovare e mantenere lo stato di rilassamento dinamico e di benesserefunzionale all’esecuzione strumentale (relativa al livello raggiunto)

AREA DI COMPETENZA: LETTURAObiettivi Specifici di Apprendimento:ConoscenzeIl codice musicale: segni e significati (relativi al livello raggiunto)Elementi tecnici fondamentali della disciplina strumentale (riferitial livello raggiunto)AbilitàLeggere estemporaneamente un brano musicale (adeguato al livelloraggiunto)

AREA DI COMPETENZA: ESECUZIONEObiettivi Specifici di Apprendimento:ConoscenzeTecniche specifiche: studio a memoria, analisi formale del brano musicale

Padronanza della propria emotivitàAbilitàEseguire un brano senza interruzioniSostenere una esecuzione in pubblico

AREA DI COMPETENZA: RIELABORAZIONE/INTERPRETAZIONEObiettivi Specifici di Apprendimento:ConoscenzePadronanza tecnica dello strumentoAbilitàProporre soluzioni originali nella realizzazione musicaleEseguire con apporti espressivi e personali

Per esperienza personale aggiungo però che, quali che sia-no gli elaborati teorici prodotti in fase di programmazione,la loro traduzione pratica è in generale difficoltosa, e sipresenta in modo più casuale che sistematico.Nell’attesa che si verifichino le condizioni necessarie allacondivisione e applicazione di criteri valutativi condivisibilidalla categoria dei docenti di strumento, formativi per gliallievi e oggettivabili, per lo meno in riferimento a standarddi competenza, io mi preoccupo di due aspetti: conciliarele mie valutazioni con quelle dei colleghi degli altri stru-menti, per quanto possibile, nei diversi consigli di classe;far comprendere ai miei studenti cosa intendo per valuta-zione, perché la mia valutazione può essere utile e impor-tante per loro e per il loro percorso di autovalutazione.Nel monte ore annuale per ogni gruppo classe prevedo,nella lezione collettiva, una “verifica” per quadrimestre, incui ognuno presenterà un brano o un piccolo repertorio eche vedrà il gruppo classe protagonista con me della valu-tazione relativa. In tale occasione ogni ragazzo può valu-tare gli altri tramite una tabella (vedi Figura 4) che prevededi dare un punteggio ai diversi aspetti 2. Al momento, hoselezionato i seguenti: ritmo, intonazione, sonorità, sicu-rezza, comunicativa dell’esecuzione. Per ogni voce il pun-teggio va da 1 a 5. Sto ancora cercando di definire megliogli indicatori: le ultime due voci in particolare (“sicurezzagenerale” ed “efficacia esecuzione”) risultano spesso pocochiare per i ragazzi.

Figura 4. Tabella di valutazione

Violino - Verifican nome ritmo intonazione sonorità sicurezza efficacia punteggio

allievo generale esecuzione totale(da 1 a 5) (da 1 a 5) (da 1 a 5) (da 1 a 5) (da 1 a 5) (max25)

1

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9

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59Viene quindi costruita una tabella generale nella quale perogni ragazzo ci sarà la somma di tutti i punteggi ricevuti(compreso il mio); il risultato, trasferito in decimi, darà lavalutazione della verifica. Ci sarà naturalmente un mo-mento in cui spiegherò il “perché” dei miei punteggi e incui si esamineranno insieme i punteggi maggiormentediscrepanti. Senza dubbio questi momenti non bastano peresaurire la questione della autovalutazione, però creano lecondizioni per riflessioni e osservazioni su di sé e sull’altrocon spunti e strumenti nuovi. Tali momenti sono moltoattesi e graditi dai ragazzi.Vorrei poter prevedere più momenti di verifica di questotipo durante l’anno, ma abbiamo sempre tanti (troppi?)impegni extra da seguire (le varie prove, l’orchestra, lemanifestazioni, i concerti ecc.) e poco è il tempo a nostradisposizione.A conclusione annoto che, come è ovvio, la valutazione diuna singola esecuzione non è la valutazione complessivadell’allievo. Per una valutazione globale, dell’intero per-corso compiuto, è necessario prendere in esame, a mio pa-rere, innanzi tutto la regolarità nello studio. Per questoinsegno ai miei ragazzi a compilare un “diario di studio”dove possono appuntare per ogni giorno cosa (e volendocome) hanno studiato, e di questo tengo conto per la miavalutazione alla fine del triennio. Un altro elemento chereputo importante è la capacità di attenzione e concentra-zione e la partecipazione al lavoro collettivo (orchestra,saggi), che ben si presterebbe alla valutazione collegialeda parte del gruppo di docenti di strumento.

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1 Per i dettagli sugli esami di livello della ABRSM si rimanda, oltreche ai contributi già segnalati nella nota n. 2 a p. 54, al sitowww.abrsm.org.

2 Questo materiale costituisce un libero adattamento di quelli pro-posti da Anna Modesti in un corso di aggiornamento da me se-guito.

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60 Lara Corbacchini

LUCY GREEN, Musical “learning styles” and “learningstrategies” in the instrumental lesson. Some emergentfindings from a pilot study, “Psychology of Music”, n. 40,vol. 1, gennaio 2012, pp. 42-65 (abstract consultabile suhttp://pom.sagepub.com/content/40/1/42, ultimo accesso05/09/2012).

I concetti di “stile cognitivo”, “stile di apprendimento” e“strategia di apprendimento”, sviluppatisi a partire daglianni Quaranta, sono diventati punti focali nella riflessionepsico-pedagogica contemporanea e, seppur in misura an-cora ridotta, nella conseguente pratica didattica 1. Il lavoroqui presentato ne mette rilevo e ne discute le potenzialitàesplicative per l’apprendimento/insegnamento strumenta-le, in particolare per la pratica a orecchio.Particolarmente interessante la linea d’indagine utilizzata,vòlta a delineare una «grounded theory» (p. 43), ovvero unprocedere marcatamente induttivo e comparativo – bendiffuso nel campo delle scienze sociali – che analizza i datiqualitativi per “creare” da essi una teoria che li interpreti.Proprio questo approccio dell’autrice – che non a caso siclassifica come «sociologa della musica e dell’educazione»(p. 43) – caratterizza in maniera marcatamente interdisci-plinare le procedure della ricerca, con interessanti spuntidi riflessione metodologica.Nella letteratura corrente le tre “etichette” citate in apertu-ra sono utilizzate per fare riferimento a costrutti teoricinon sempre univocamente definiti; infatti la molteplicitàdi teorie sviluppatesi in questo ambito determina con faci-lità una commistione equivoca fra tali concetti.

Figura 1. Sistematizzazione gerarchica dei costrutti terminologiciriferiti agli stili cognitivi

La ricercatrice, pur riferendosi – in linea generale – a unasistematizzazione secondo una «gerarchia tripartita» (p. 45)che colloca tali concetti lungo un asse innato 2 acquisito(come visualizzato nella Figura 1), sceglie – nello specifico– di basarsi su una distinzione bipartita: pur consapevoledei distinguo che la scelta comporta, unifica i primi dueconcetti di matrice “stilistica” sotto un’unica denomina-zione: «questo articolo si riferisce allo “stile d’apprendi-mento” come a una tendenza o un tratto dell’individuoinnato, relativamente “cablato” o immodificabile, che en-

A orecchio... ma con stile!

tra in gioco spontaneamente quando l’individuo apprende,o tenta di apprendere. Si riferisce alla “strategia d’appren-dimento” come a un approccio che si presenta come unrisultato dell’esperienza precedente e/o di una scelta con-sapevole e che è suscettibile di influenze, adattamenti esviluppi ambientali» (p. 45).Il progetto ha coinvolto 15 studenti di strumento (6 ragaz-zi e 9 ragazze), quasi tutti di età compresa fra i 13 e i 15anni, appartenenti a diversi gruppi etnici e con diversi per-corsi di studio alle spalle: la maggior parte con competen-ze assimilabili al Grade 2 del sistema di valutazione bri-tannico, i più esperti vicini allo standard del Grade 6 3.Diversi gli strumenti suonati: pianoforte, clarinetto, sax,tromba, eufonio, trombone, violino e violoncello.Differentemente dalla maggior parte degli studi sugli “stili”– che usano come strumenti d’indagine privilegiati questio-nari e resoconti compilati da parte dei soggetti-campione –il metodo della ricerca è stato «qualitativo ed etnografico»(p. 47) e si è basato sull’osservazione partecipata dei giovanistrumentisti da parte della ricercatrice, che ha assunto an-che il ruolo di insegnante. Essa ha infatti partecipato allelezioni settimanali degli studenti proponendo in prima per-sona (supportata dall’insegnante “principale” solo per glistrumenti che non sapeva suonare) un percorso della duratadi sei-otto lezioni, in cui veniva chiesto di riprodurre a orec-chio alcuni brani. Nessuno degli studenti aveva sperimenta-to in precedenza a lezione la possibilità di imparare un bra-no senza spartito e «solo quattro di loro erano certi che sipotesse imparare interamente un brano a orecchio» (p. 50).Tali circostanze hanno determinato l’impossibilità per glistudenti di sviluppare strategie specifiche: ogni “modo” d’im-parare dello studente sarebbe stato quindi riferibile alla di-mensione primigenia dello stile.Gli incontri si sono articolati in tre Fasi, ciascuna corri-spondente a una diversa «strategia pedagogica» (p. 49).FASE 1. È stato proposto all’ascolto un brano pop/funk ap-positamente composto. Quindi è stato riascoltato ripeti-tivamente per due minuti il riff del basso con il supportodella batteria (drumbacking), chiedendo di individuarne lenote a orecchio con lo strumento. L’insegnante/ricercatoreha evitato accuratamente di lasciarsi sfuggire il nome dellenote o il dito da usare, offrendo parimenti incoraggiamen-to in vari modi affinché lo studente trovasse le note dasolo. Imparato il primo riff, sono stati appresi da due acinque dei complessivi riff del brano. In questa parte dellalezione lo studente è stato anche invitato a suonare in suc-cessione i diversi riff costruendo il “proprio” brano (i pia-nisti li hanno suonati anche contemporaneamente a due

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Da oggi puoi essere aggiornato sulle attività SIEM anche su facebook!

mani, in forma accordale con una mano, o in duetto conl’insegnante).FASE 2. È stato fatto ascoltare a ciascuno studente un branoclassico (breve o un frammento di esso) scelto dall’inse-gnante fra una selezione di sei, in base all’affinità con idiversi strumenti/livelli. Quindi il brano è stato diviso indiverse tracce (melodia-accompagnamento) della durata di4-8 battute, fatte ascoltare ripetitivamente per due minutiaffinché fossero imparate in analogia alla fase precedente.FASE 3. Gli studenti hanno individuato un brano su cuilavorare, scegliendolo fra i loro ascolti preferiti e portan-done a lezione una registrazione (CD o MP3); il pezzo non èstato quindi sezionato ma affrontato nel complesso.Le lezioni sono state audio-registrate, trascritte e quindicommentate. Dall’analisi dei dati, condotta al fine di elicitarei «temi emergenti» (p. 50), è stato rilevato che gli studentihanno affrontato il compito (in particolare il primo ap-proccio con il primo riff) secondo quattro distinte catego-rie di “stile d’apprendimento”, delineate con riferimenti acomportamenti-tipo (pp. 51-57).1. STILE “IMPULSIVO”. Rilevato in un unico studente (con biso-gni educativi speciali). Il ragazzo cerca di eseguire imme-diatamente il compito, prima di aver completato l’ascoltodella musica; suona forte e con sicurezza, senza preoccu-parsi se l’altezza dei suoni corrisponda alla registrazione.Così facendo giunge comunque a una notevole accuratez-za nella riproduzione del riff, eccellendo nell’aspetto rit-mico.2. STILE “SPARO NEL BUIO”. Rilevato in sette studenti su quindi-ci. Lo studente-tipo ascolta attentamente; tenta con atten-zione di trovare le note sullo strumento ma ogni volta cheun suono appare sbagliato si irrita e smette di suonare;anche se suona una nota giusta non sembra accorgersene.È esitante, pieno di dubbi, suona piano. Alla fine del per-corso, nonostante avesse dichiarato inizialmente che nonsapeva come sarebbe andata, ha trovato comunque il com-pito molto piacevole.3. STILE “PRATICO”. Rilevato in cinque studenti. Il termine“pratico” è da intendersi in due accezioni: in primo luogo,invece che esitare e tentennare nella ricerca delle note –come avviene invece nello stile precedente – gli studenti

sono pragmatici e cominciano «suonando il loro strumen-to, in altre parole, con mezzi “pratici”» (p. 54) similmenteallo stile 1; in secondo luogo, i soggetti dividono il compi-to nelle sue componenti “pratiche” (ad esempio suonandola scala della tonalità del riff per riconoscerne la nota prin-cipale da usare come áncora per i successivi riconoscimen-ti), procedendo con gradualità diversamente dallo stile “im-pulsivo” che procede con noncuranza. Suonano tranquil-lamente ma senza esitazioni. Mettono in atto un compor-tamento definito come «dilungarsi e recuperare» (p. 54):ripetono alcune note un paio di volte anche se il CD vaavanti, poi riprendono dal punto in cui la musica è giuntasaltando alcune battute; gradualmente vengono inseriteanche le note saltate. È un po’ come se partissero dallametà del riff per poi procedere avanti e indietro. Prima dicominciare a imparare un nuovo riff devono aver impara-to tutto il precedente o almeno la gran parte di esso. Glistudenti hanno uno “stile” (ovvero una tendenza origina-ria) pratico, anche se alcuni comportamenti appaiono “stra-tegici” (ovvero appresi); in altre parole «questa categoriaha un tendenza “cablata” o innata ad approcciare il com-pito in un modo pratico, strategico» (p. 54).4. STILE “TEORETICO”. Rilevato in due studenti. «Essi sembranopiù inclini a fare domande che a suonare note» (p. 55):Hanno un approccio al compito estremamente analitico e«orientato teoreticamente» (p. 56). Ascoltano con concen-trazione e pongono domande, quasi volessero trovare lenote “teoricamente” prima di provare a cercarle “pratica-mente” con lo strumento. Suonano con sicurezza, ma sem-bra che lo facciano solo quando sono abbastanza certi del-la correttezza delle note da fare.

1 Per una rassegna di alcuni volumi in lingua italiana che affronta-no il tema degli stili cognitivi si veda la recensione in questo nu-mero di “Musica Domani”.

2 Il termine “innato” ci è sembrato il più adatto per rendere l’origi-nale inbuilt (p. 45), di difficile traduzione, pur consapevoli chenella accezione italiana esso è piuttosto controverso e ambiguo.

3 Il sistema del Regno Unito prevede, per la formazione assimilabileall’attuale percorso preaccademico dei conservatori italiani, ottodistinti Gradi raggruppati in tre Livelli.

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TARCISIO TARQUINI

Conservatorio. Ieri, oggi, domaniEdiesse, Roma 2012pp. 216, † 10,00

o hanno abitato i conservatori in qualità di docenti, studenti,genitori, amministratori, ma può offrire un utile spaccato diquesto mondo anche a chi non lo conosce da vicino (in primoluogo ai dirigenti ministeriali e, perché no, ai politici).

Motivi di interesseSenza pretese di sistematicità o di completezza, la narrazio-ne fa emergere un quadro variegato di una situazione estre-mamente difficile da delineare. Il termine “narrazione” bensi adatta a sintetizzare il taglio del testo, sia sul piano stilisticosia su quello dei contenuti. L’autore racconta le sue letture ela sua esperienza umana e professionale evitando abilmentei rischi del vittimismo o della retorica, con un linguaggio vivoe coinvolgente che rende facile e piacevole la lettura. Talepunto di vista dichiaratamente personale e parziale rendepiù facile accettare una certa disorganicità del testo e lamancanza di una visione più ampia e ragionata dei problemivissuti oggi dai conservatori, problemi che hanno radici nelpassato e rischiano seriamente di comprometterne il futuro.

Anna Maria Freschi

ArgomentoIn poche istituzioni come nei conservatori le dimensioni delpassato, del presente e del futuro si sovrappongono e si con-trappongono, spesso inestricabilmente. L’autore, giornalistae saggista, le racconta basandosi sulla sua esperienza di pre-sidente del Conservatorio di Frosinone. La prima parte (Ieri)traccia un quadro della situazione dei conservatori nel XVIIIsecolo mettendone in luce il rapporto fra la funzione benefi-ca e quella socio-culturale, in virtù del quale orfani e poveriaccolti e ospitati in queste istituzioni “restituiscono” alla cittàil sostegno ricevuto attraverso un’offerta musicale ricca equalificata. La seconda parte (Oggi) racconta episodiparadigmatici delle contraddizioni attuali, fra crisi di risorse,paradossi burocratici, energie espressive e strategie creativeper la soluzione dei problemi. Il domani viene disegnato nel-la terza parte attraverso sei racconti che hanno come prota-gonisti giovani allievi del Conservatorio di Frosinone, l’ulti-mo dei quali è un ragazzo autistico di sedici anni.

DestinatariIl libro può interessare in primo luogo tutti coloro che abitano

SCHEDA

Un Rameau per il rockdi Corrado Vitale

PHILIP TAGG, La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità,tonalità nella popular music: un manuale, il Saggiatore,Milano 2011, pp. 429, † 29,00.

«Agli inizi del XX secolo la tonalità è entrata in una crisiirreversibile che ha portato alla sua dissoluzione.»«La musica leggera continua tuttora a basarsi sul sistematonale.»«La musica leggera manifesta una singolare povertà armo-nica, se paragonata alla musica classica o al jazz.»Con queste tre frasi si potrebbero riassumere alcuni pre-concetti, elegantemente stigmatizzati da Franco Fabbri nel-l’introduzione a questo libro di Tagg, di parte del mondoaccademico nei riguardi del ruolo della tonalità nel XX eXXI secolo e del valore musicale di quel complesso insie-me di pratiche, generi e stili, che oggi includiamo nelladefinizione-ombrello di popular music.Come è noto Philip Tagg è uno dei più eminenti studiosi dipopular music, tra i primi ad applicare a questo campo diindagine metodologie analitiche rigorose, e la polemica con-tro il pregiudizio etnocentrico della musicologia e della di-dattica musicale di matrice eurocolta costituisce una sortadi filo conduttore di questo suo libro, che si propone altresìcome possibile alternativa ai testi di teoria della musica oggicircolanti, destinati a studenti universitari musicalmente

alfabetizzati, ma non necessariamente musicisti. Un’alter-nativa possibile, che privilegia il punto di vista appunto del-la popular music, in particolare quella di lingua inglese.I primi otto capitoli sono basati su alcuni articoli concepitioriginariamente come voci d’enciclopedia e i primi due inparticolare sembrano ricalcare lo schema della manualisti-ca tradizionale, con i concetti di nota, altezza, tono, inter-vallo, peraltro intelligentemente contestualizzati. Con icapitoli 3, 4 e 5 l’intreccio fra spunti culturali di diversaorigine si fa più fecondo; il riferimento alla teoria modaledi ascendenza medievale e rinascimentale è solo un puntodi partenza per una formulazione del concetto di modoabbastanza ampia da includere uno sguardo da un latoalle tradizioni extraeuropee, dall’altro alla maniera in cuiancora oggi, in vari contesti, i modi possano assumereconnotazioni etniche, affettive o culturali in senso lato.Per quanto riguarda la melodia, una visione pluridisciplinarepermette di fare interagire considerazioni di tipo linguisti-co, cognitivo e semiologico (sono espliciti i riferimenti ailavori di Stefani e Marconi) con le tradizionali tassonomiebasate sul profilo intervallare; il fenomeno melodico è pe-raltro ricondotto alla sua natura polidimensionale, insepa-rabile dall’elemento ritmico e motorio.L’armonia, che costituisce l’argomento centrale del libro, ètrattata nei capitoli 6, 7 e 8 per quanto riguarda i fonda-menti generali e quindi in maniera più puntuale in quellisuccessivi, dal 9 al 12, in cui Tagg pare effettivamente vo-ler delineare una teoria organica della materia. Può sem-brare curioso che anche in un testo per molti versi così

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innovativo la parte più cospicua della trattazione sia riser-vata all’armonia, quasi a perpetuare l’idea che essa sia laparte della teoria musicale più agevolmente formalizzabile;va ribadito però che anche l’armonia è contestualizzata inrapporto a considerazioni cognitive, gestuali, espressive.Alcuni spunti paiono particolarmente interessanti, seppurenon rappresentino novità assolute: ad esempio l’osserva-zione che alcune pratiche armoniche derivano da procedi-menti motori; o il tentativo di una tassonomia delleconnotazioni affettive e stilistiche dei singoli accordi, ovesi presentino con particolare frequenza; o ancora l’indivi-duazione di una polarità tra dimensione estensionale del-

l’armonia, ovvero basata sulla successione e sulla discor-sività sintattica, e dimensione intensionale, centrata sulpresente psicologico.È su questo secondo aspetto che si basa l’ampia argomenta-zione dei capitoli dal 9 al 12, nei quali Tagg può sfruttareproficuamente la sua enciclopedica conoscenza dei reperto-ri popular. L’attenzione è puntata su tre tipi di procedimentiarmonici iterativi: il “giro di un accordo solo”, la “spola tra[due] accordi” (chord shuttle, in precedenti scritti di Taggdefinita come “pendolo”), il “loop di [tre, quattro] accordi”. Iprocedimenti sono analizzati e classificati con rigore, sia dalpunto di vista della funzionalità interna, sia per quanto ri-guarda gli aspetti retorici ed espressivi e alcuni principi sonosottolineati con convinzione: la presunta povertà armonicadi tali costrutti è compensata da una complessa e stratificatainterazione di pratiche idiomatiche di natura contrap-puntistica, ritmica, timbrica, inflessionale; la brevità eripetitività dei giri armonici procura una sorta di sospensio-ne della direzionalità e di indugio in un presente reiterato;la natura di questi procedimenti è modale e non tonale insenso stretto, e quindi, ad esempio, gli accordi sul IV e sul Vgrado non vanno necessariamente interpretati rispettivamen-te come sottodominante e dominante; non sempre è facileindividuare un solo inequivocabile centro tonale, e si puòquindi parlare, in alcuni casi, di “bimodalità” o “reversibili-tà armonica bimodale”.

ARMIDA CARMINATI – MARZIA DORINI

Ascolta il mio suono. Giochi sonori per la prima infanziaedizioni la meridiana, Bari 2012pp. 56, † 13,00

to di una prospettiva di lavoro che intende introdurre l’atti-vità con i suoni nei contesti dedicati all’infanzia secondo unavisione sistematica e non occasionale.L’inquadramento teorico, così come le esperienze didatticheproposte, si collocano nel solco di una consolidata tradizio-ne e pur non qualificandosi sul piano della novità, attestanocomunque il diffondersi di orientamenti ben costruiti.Il testo fa trasparire, tuttavia, qualche approssimazione re-lativa agli orientamenti teorici presi a riferimento. Labibliografia, infatti, si mostra un poco sommaria e non deltutto aggiornata, così da orientare i testi della prima partedel pamphlet in modo non sempre sicuro (si vedano a mo’d’esempio un paio di passaggi: a p. 14, dove si afferma che«la musica barocca ha un ritmo simile ai battiti del cuore ariposo», e una citazione riportata a p. 21 sulla differenza trasuono e rumore, la quale – estratta dal contesto originale ecollocata in apertura al paragrafo senza altra argomentazio-ne – riduce in modo un poco ingenuo la complessità delleproblematiche attorno ai due concetti).All’indirizzo e-mail [email protected] è possibilerichiedere il CD con la versione cantata delle filastrocche edelle canzoni i cui testi sono presenti in coda al volume.

Alessandra Anceschi

ArgomentoLa casa editrice barese “la meridiana” si sta conquistandouno spazio di tutto rilievo nell’ambito dell’editoria educativa,proponendo con continuità testi di immediata spendibilitànei vari contesti formativi.Il volume in questione è un pamphlet di appena una cin-quantina di pagine che raccoglie una sintesi dei presuppostipedagogici e delle esperienze condotte nei nidi, negli “spazigioco” e nei centri di prima infanzia gestiti dalla cooperativaLINUS (Libera Impresa di Nuove Usanze Sociali) che agisce sulterritorio bergamasco.Il testo illustra in breve la cornice teorica di riferimento epropone alcune attività di lavoro in ambito sonoro da pro-porre, appunto, nei contesti della prima infanzia.

DestinatariIl volume si presta ad essere utilizzato da educatrici eeducatori attivi nei servizi della prima infanzia. Data l’esilitàdegli spazi dedicati all’approfondimento, il testo è probabil-mente maggiormente fruibile da operatori alle prime armi.

Motivi di interessePur non presentandosi come un’accurata documentazione diesperienze condotte, le brevi sezioni del volume danno con-

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64 L’ultimo capitolo è centrato sull’analisi della canzone YesWe Can, utilizzata nella campagna elettorale di Obama, erappresenta un efficace esempio di applicazione praticadell’apparato teorico messo in campo nei capitoli prece-denti.Questo libro, nel suo nucleo centrale, rappresenta sicura-mente una sistemazione in un certo senso “definitiva” diun ramo importante degli studi sulla popular music e allostesso tempo un punto di vista ineludibile su tutta l’armo-nia del XX secolo, oltre a offrire spunti, in alcuni temisoltanto sfiorati, per ulteriori indagini e approfondimenti.In conclusione non vorrei apparire troppo rivoluzionarioproponendone l’adozione come libro di testo nei conser-vatori o licei musicali, ma ne consiglierei certamente lalettura agli studenti e soprattutto ai docenti, nonché a chiquesti repertori li pratica, appunto «tutti i giorni».

Strategie efficaci per la dislessiadi Rossella Fois

SHEILA OGLETHORPE, Dislessia e strumento musicale. Guidapratica, edizione italiana a cura di Matilde Bufano, Ruggi-nenti, Milano 2011, pp. 278, † 28,00

Dopo Musica e Dislessia, edito da Rugginenti nel 2009,esce per la stessa casa editrice un secondo libro che tratta

dell’esperienza didattico-musicale affrontata da soggettidislessici e che, come il precedente, è stato curato e tradot-to dall’inglese da Matilde Bufano, già docente al Conser-vatorio di Milano, che da numerosi anni si occupa dell’in-segnamento della Teoria e Solfeggio con allievi dislessici.Anche in questo caso si tratta di un testo di approccioesperienziale: se Musica e Dislessia raccoglieva anche iracconti diretti di molti musicisti dislessici, questa volta inDislessia e strumento musicale il punto di vista è quello diun’insegnante, Sheila Oglethorpe, impegnata nel non sem-plice compito di trovare strategie efficaci di insegnamentodel pianoforte per i propri allievi con problematiche di DSA.La prima edizione inglese del testo risale al 1996 (questa

DA NON PERDEREdi Luca Marconi

“Music Analysis”, Special Issue: Music and Emotion, mar-zo-ottobre 2010, volume 29, numero 1-3.

“Music Analysis”, una delle più importanti riviste interna-zionali nel suo settore, ha pubblicato in un numero triplomonografico alcuni interventi presentati durante l’In-ternational Conference on Music and Emotion tenutasi aDurham nel settembre del 2009 e una serie di saggi chesviluppano alcuni dei filoni in essa affrontati. Una suaapprofondita recensione si potrà leggere nel numero 2 del2012 della “Rivista di Analisi e Teoria Musicale”.Dopo un’introduzione del curatore, Michael Spitzer, diver-si scritti cercano di fare i conti con la relazione tra uncerto brano musicale analizzato e alcune emozioni. L’espres-sività emotiva del pezzo considerato è al centro dei saggidello stesso Spitzer e di Tuomas Eerola su alcune compo-sizioni di Schubert, di John Butt su brani del repertoriobarocco ispirati dalle concezioni luterane, di LawrenceZbikowski su una sonata di Domenico Scarlatti, di RobertHatten su pezzi mozartiani, e di Kenneth Smith su duebrani per pianoforte di Skrjabin. La capacità dei suonimusicali di provocare emozioni viene invece affrontata daGiorgio Biancorosso, concentrandosi sulla colonna sonoradel film Lo squalo, e da Simon Mills, che studia alcunepratiche musicali del folklore coreano.Il volume contiene anche scritti che non presentano esem-pi di analisi: un primo filone disciplinare rappresentato èla psicologia sperimentale, nell’ambito della quale Patrick

Juslin ed Erick Lindström considerano quali componentidi un pezzo di musica dotate di espressività emotiva sonorinvenibili in una partitura e quali possono essere aggiun-te dall’esecutore, mentre Marcel Zetner propone alcune ri-flessioni sulla capacità di un brano musicale di provocaredelle “emozioni primarie”. L’altro filone rappresentato haun’impostazione filosofica: Derek Matravers fa il punto sualcune recenti teorie che con tale impostazione studiano lerelazioni tra i problemi affrontati da Juslin e quelli studiatida Zetner, mentre Max Paddison e Tom Cochrane appro-fondiscono l’indagine filosofica su alcuni concetti spessoconnessi a tali problemi: il primo si concentra sui concettidi imitazione, rappresentazione ed espressione, mentre ilsecondo si occupa di ciò che in inglese viene spesso chia-mato “persona”, e cioè dei personaggi fittizi ai quali i fruitoridi un brano musicale attribuiscono le espressioni delleemozioni, o le tendenze a realizzare altri comportamentiindividuabili considerando tale brano.Come si può evincere da questa descrizione, nelle 364 pa-gine del volume rimangono escluse molte relazioni del-l’analisi musicale con le emozioni, ci si concentra (con l’ec-cezione dei saggi di Biancorosso e Mills) su un unico tipodi repertorio (quello dei concerti di musica “colta” occi-dentale) e non vengono esplicitate le ricadute delle con-clusioni proposte in ambito didattico. Vengono però forni-ti spunti che possono essere assai utili in questo ambito,sia per guidare ascolti analitici che per insegnare a suona-re in modo espressivo.

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versione italiana traduce la seconda edizione, del 2002),da allora gli studi sulla dislessia sono sicuramente progre-diti (così come la ricerca sui possibili correlati neurologicidelle abilità musicali), appurando l’origine multifattorialedel disturbo fino alle sue possibili radici genetiche (cherenderebbero auspicabili, in futuro, diagnosi precoci e trat-tamenti preventivi), ma non fino al punto di poterne chia-rire tutte le implicazioni o stabilire definitivamente le stra-tegie di intervento più efficaci e nemmeno, per ora, spie-gare i possibili benefici derivanti dall’esercizio musicale(nonostante alcuni studi recenti, dimostrando una comu-nanza di aree cerebrali sottocorticali attive sia per funzio-ni musicali che per funzioni linguistiche, li supponganoampiamente). Pertanto il libro risulta sicuramente attualee utile anche nella presentazione di alcune fondamentaliconoscenze scientifiche sulla dislessia che potranno servi-re a tutti i docenti di strumento, oltre che per una maggio-re comprensione dei problemi degli allievi dislessici, so-prattutto come punto di partenza per elaborare delle stra-tegie didattiche mirate. Il libro tratta in particolare delledifficoltà proprie dello studio del pianoforte (ad esempio:lettura dei due pentagrammi, accentuata mobilità-control-lo spaziale, poliritmia, lettura armonica ecc.) suggerendo

accorgimenti che potranno aiutare l’allievo dislessico a su-perarle più facilmente. Importantissime, ad esempio, le os-servazioni sulle difficoltà di visualizzazione e organizza-zione simultanea, per il dislessico, di diversi piani visivi ediversamente orientati (ad esempio lo spartito e la tastie-ra). Da qui l’idea di creare meno incongruenze possibili egirare lo spartito in verticale sul leggio, in modo che lachiave di violino (riferita alla mano destra) risulti effetti-vamente alla destra della chiave di basso (riferita alla manosinistra): lo stesso principio con cui è stato messo a puntoil metodo di scrittura musicale “Klavarskribo”. Oppure, ri-spetto ai problemi di disprassia che molto spesso si accom-pagnano alla dislessia, apprezzabile il suggerimento di in-cludere regolarmente nella lezione un momento di esercizicorporei partendo dal controllo del sistema grosso motorioper poi passare a un successivo lavoro sulla coordinazionedella motricità fine e sulla indipendenza delle mani. Sonosolo alcuni esempi delle soluzioni che il libro propone perle problematiche pianistiche esaminate, che possono tutta-via essere d’interesse anche per i docenti di altri strumenti,offrendo uno spunto di riflessione – per confronto – sulledifficoltà specifiche poste da ogni strumento ai soggettidislessici (differenze e specificità strumentali che sono pe-

Ma che musica… in dolce attesa!Brani da ascoltare con il tuo bambino scelti secondo i criteridella Music Learning Theory di Edwin E. Gordon,a cura di Andrea ApostoliCurci, Milano 2011pp. 28, con CD audio, † 15.00

vamente dalla madre nel periodo dell’attesa, desteranno stu-pore le sue reazioni all’ascolto. Un brano utilizzato ad esem-pio nei momenti di distensione o di preparazione al sonno,potrà avere successivamente i medesimi effetti sul bambino.Le frasi e le suggestive illustrazioni di Mariagrazia Orlandini,che accompagnano i titoli, danno voce e colore a gioie, ti-mori, ansie e aspettative dei futuri genitori.

Motivi di interesseLe moderne tecniche diagnostiche per immagini consentonooggigiorno di indagare le competenze sensoriali e relazionalidel feto e permettono di affermare che l’apprendimento co-mincia già nel ventre materno, in una continua interazionecon l’ambiente interno ed esterno. Questo avviene sia inmaniera diretta, grazie ai cinque sensi che gradualmente sivanno formando, sia attraverso la mediazione della madre,intesa non solo come “involucro” corporeo, bensì come tra-mite di sentimenti e stati d’animo. Il bambino percepiscequindi i suoni fin dagli ultimi mesi di vita intrauterina, maanche le reazioni della mamma agli stimoli che la coinvolgo-no. Ciò permette di considerare la musica, così come la vocee il canto, un canale comunicativo privilegiato, fatto di sen-sazioni ed emozioni che cullano, rassicurano e calmano, pri-ma e dopo la nascita.

Maddalena Patella

ArgomentoIl tema dell’ascolto musicale in gravidanza è particolarmen-te attuale: il libro lo affronta sfatando alcuni luoghi comunisecondo i quali determinati repertori, più di altri, sarebberoconsigliati per i loro effetti benefici sullo sviluppo cognitivodel nascituro. L’autore suggerisce una diversa prospettivapartendo dal presupposto che ascoltare musica è innanzituttoun’esperienza relazionale intensa e piacevole che può esserevissuta anche durante la gestazione. È bene pertanto che siala futura mamma a scegliere cosa ascoltare, affinché in pri-ma persona sperimenti condizioni emotive di benessereavvertibili anche dal feto. La selezione dei brani proposti,effettuata secondo i principi della Music Learning Theory diEdwin E. Gordon, è varia dal punto di vista melodico e ritmi-co e per quanto riguarda gli ensemble strumentali. Si spaziadal classico al jazz, con buona prevalenza di produzioni con-temporanee, tra cui un pezzo dello stesso Apostoli, in unadiscontinuità per nulla casuale.

DestinatariIl libro è rivolto alle mamme e ai papà, insieme ai loro figliancora in grembo o nei primissimi mesi di vita. Il CD puòessere utilizzato, come indicato nelle note introduttive, dasoli o in gruppo, a casa propria, nell’ambito dei corsi di pre-parazione al parto, alla nascita e anche dopo. Poiché il neo-nato è in grado di riconoscere le musiche sentite continuati-

SCHEDA

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CHIARA STRADA

Frottole, Villotte e VillanelleMe le canto e me le suonoMKT - Musikit srl, Brescia 2011Sezione Materialipp. 56† 18,00

Il testo comprende 20 brani tratti dal re-pertorio polifonico rinascimentale. Ognivillanella (intesa qui anche come testonarrativo) presenta una melodia breve eorecchiabile e un semplice accompagna-mento di pianoforte, nell’estensione dellecinque dita, pensato per allievi principian-ti. Il testo è illustrato con suggestivesilhouettes di Chiara Strada.

MARCELLA SANNA

… A tempo con i passi…MKT - Musikit srl, Brescia 2011Sezione Didattica applicataCon CD allegatopp. 52† 20,00

Il testo si prefigge di favorire l’apprendi-mento di elementi e concetti musicali at-traverso il movimento, utilizzando danzestrutturate. Il sottotitolo – Danze origi-nali, variate, modificate, rielaborate, stra-volte e inventate per la scuola dell’infan-zia e primaria – ben ne evidenzia le ca-ratteristiche e la destinazione.

CIRO PADUANO

I suoni del corpoMKT - Musikit srl, Brescia 2011Sezione Didattica applicataCon CD allegatopp. 44† 20,00

Il volume presenta una serie di percorsiche portano dal gesto-suono alla bodypercussion. L’intento è quello di offrirediverse modalità di utilizzo di questa tec-nica: strumento di propedeutica musica-le, base didattica per la pratica strumen-tale, base per la costruzione di performan-ce integrate con altre attività artistiche.

SESTINO MACARO

AluwasioMKT - Musikit srl, Brescia 2012Partitura e parti staccateSezione Materialipp. 112† 15,00

Il testo propone 8 canti africani elaboratia una e due voci, con accompagnamentodi pianoforte, body percussion e strumentiritmici. In appendice è riportata una seriedi indicazioni per l’esecuzione, che com-prende anche informazioni sui testi e ri-ferimenti a indirizzi di Youtube su cui sonodisponibili video di esecuzioni strumen-tali e vocali, nonché coreografie.

Una finestra su…

Collana didatticadell’Orff - Schulwerk Italiano

diretta da Giovanni Piazza

raltro considerate, seppur brevemente, nella parte finaledel libro). Di interesse generale sono inoltre i capitoli dedi-cati alla scrittura musicale (la disgrafia è spesso associataalla dislessia) e alla pianificazione e valutazione delle le-zioni. In particolare su questi ultimi aspetti la Oglethorpemette a fuoco in poche pagine punti fondamentali che pos-sono essere di grande aiuto per i docenti che lavorano conallievi con difficoltà: la necessità di programmare gli ar-gomenti da trattare di volta in volta, strutturandoli all’in-terno di una griglia di attività da riproporre regolarmentein ogni lezione (ad esempio un momento dedicato alla tec-nica, uno alla lettura a prima vista, uno all’esercizio del-l’orecchio, uno al repertorio e uno alla teoria), ma con laconsapevolezza di dover essere assolutamente flessibili, sutale schema e sui contenuti, a seconda delle esigenze del-l’allievo. L’altro suggerimento fondamentale è l’indicazio-ne di sforzarsi di annotare una valutazione alla fine diogni lezione, evidenziando le difficoltà o i progressi mani-festati dall’allievo: ciò aiuterà per la successiva program-mazione e servirà a monitorare il processo di apprendi-mento nel suo complesso: modalità di lavoro raccoman-dabili per qualunque allievo, ma praticamente indispensa-bili con gli allievi dislessici, il cui disturbo è caratterizzato

proprio da una discontinuità e non regolarità dei processidi apprendimento che può disorientare molto anche l’inse-gnante.Bisogna infine notare che il libro offre ragioni di interesseper qualunque docente di musica in quanto è la testimo-nianza di un lavoro didattico appassionato e ricco, che sipuò prendere sicuramente come esempio, in particolare perla grande attenzione posta sugli aspetti emotivi e relazionali,fondamentali per qualsiasi processo di apprendimento, pertutte le persone, ma ancor più per quegli allievi che devo-no superare difficoltà rilevanti.

Questioni di stiledi Lara Corbacchini

ALESSIA CADAMURO, Stili cognitivi e stili di apprendimento.Da quello che pensi a come lo pensi, Carocci, Roma 2004,pp. 146, † 16.50.MANUELA CANTOIA - LETIZIA CARRUBO - BARBARA COLOMBO, Ap-prendere con stile. Metacognizione e strategie cognitive,Carocci, Roma 2004, pp. 128, † 10.30.

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67CESARE CORNOLDI - ROSSANA DE BENI - GRUPPO MT, Imparare astudiare 2. Strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteg-giamenti nello studio, Erickson, Gardolo (TN) 2001, pp. 410,† 23,80.GIOVANNA PERTICONE - CONCETTA POLIZZI, Valutare gli stilicognitivi nel problem solving. Prove di Intelligenze Appli-cate e proposte di potenziamento, Erickson, Gardolo (TN)2010, pp. 151, † 18,50.

Alcuni studenti acquisiscono meglio informazioni attraver-so schemi, immagini, grafici; altri privilegiano le informa-zioni verbali, orali o scritte; altri ancora hanno bisogno diesempi, riferimenti a fatti e situazioni concrete. Di fronte acosì marcate differenze, qualunque docente attento allavalorizzazione delle diversità – nonostante le semprepiù difficili condizioni di lavoro – non può che articolare lemodalità di insegnamento e il tipo di esperienze che presen-ta in classe, in base agli stili cognitivi dei propri allievi.Ma di che stile sono i nostri allievi?I volumi qui segnalati offrono (senza pretese di esaustivitào esclusività) gli strumenti per rispondere a questo quesito,presentando prospettive di approfondimento teorico e con-crete proposte operative (volte allo specifico assessment oall’empowerment metacognitivo) esposte seguendo il filodei rimandi reciproci, delle analogie o delle complementa-rità fra i diversi testi.Il volume di Cadamuro fornisce una cornice teorica chiarae completa sull’argomento. La genesi e il complesso svi-luppo del concetto di stile cognitivo, definibile come la«modalità di elaborazione che il soggetto adotta in modoprevalente che permane nel tempo e si generalizza a com-piti diversi» (p. 31), sono presentati in prospettiva storica,rendendo conto di due aspetti. In primo luogo la genesi, apartire dagli anni Quaranta, e lo sviluppo delle innumere-voli teorie venutesi a definire (differentemente centratesull’attività, sull’attività cognitiva o sulla personalità) e

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caratterizzate – come è noto – dal riferimento a profilicomportamentali dicotomici (analitico-globale, sistemati-co-intuitivo, impulsivo-riflessivo, convergente-divergen-te, adattatori-innovatori…). In secondo luogo i diversi ten-tativi di “sistematizzazione” delle stesse con modelli orga-nici. Il terzo capitolo porta la trattazione verso lo stile diapprendimento ovvero «la tendenza di una persona a pre-ferire un certo modo di apprendere-studiare; riguarda lasua modalità di percepire e reagire ai compiti legati all’ap-prendimento, attraverso la quale mette in atto, o sceglie, icomportamenti e le strategie per apprendere» (p. 71). I di-versi modelli presentati consentono così di comprendere ecategorizzare le differenze “stilistiche” degli studenti coin-volti in compiti di apprendimento. Vengono quindi affron-tate le implicazioni più strettamente didattiche legate alledifferenze degli stili cognitivi: «considerare e apprezzare ladiversità obbliga l’insegnante a cambiare approccio: dastudenti più o meno abili a studenti diversamente abili»(corsivo di chi scrive, p. 100).Per creare un contesto educativo significativamente atten-to a tali caratteristiche individuali si possono realizzaredue tipi di percorsi didattici, etichettati in Apprendere constile come «stili a freddo» (p. 60) e «stili a caldo» (p. 73). Ilprimo tipo di attività mira, attraverso percorsi strutturati,

FRANCESCA GEMMO

Segno e suono nel tempo. Nove progetti di didattica pianistica ispirati alla minimal musicTangram, Trento 2011pp. 45, † 11,00

DestinatariInsegnanti di Pianoforte, ma non sarà difficile per chi inse-gna altri strumenti adattare le consegne ai propri allievi. Iltesto è utilizzabile con profitto anche dagli allievi adulti cu-riosi che possono fare a meno della guida professorale.

Motivi d’interessePuò essere un testo prezioso per prendere contatto con lamusica minimalista che ha permeato la cultura non soloamericana nella seconda parte del Novecento, musica cheancora si divulga con successo anche fuori dagli ambientiaccademici. Può essere un testo per iniziare a mettere ingioco la fantasia dentro le regole e per aggiungere modellicompositivi a chi già compone scrivendo o improvvisando.La fattibilità dei progetti del libro è una delle caratteristi-che positive, così come la possibilità che venga affrontatoda principianti o esperti strumentisti. Chi dedica una partedella propria maniera di essere musicista alla creatività, spe-rimenterà un percorso di soddisfazione estetica che nonpuò che aumentare l’autostima di chi si mette alla prova.Non manca un’utile bibliografia per chi volesse approfon-dire la poetica minimalista, i contesti in cui è nata e si èsviluppata.

Annibale Rebaudengo

ArgomentoUn’introduzione generale alla musica minimalista america-na e al concetto intrinsecamente correlato di “ripetizione”apre opportunamente il testo. Se i precedenti storici dellaripetizione si possono far risalire all’origine della musica, ancorpiù evidenti (“ascoltabili”) sono gli influssi delle musiche in-diane, balinesi e africane che hanno influenzato lavoriminimal di Young, Riley, Reich e Glass. Ognuno dei citati au-tori – da cui prendono origine i diversi progetti didattici –viene presentato con le sue specificità culturali e musicali inmaniera da chiarire ai ri-creatori le origini dei modelli pro-posti. I procedimenti compositivi dei quattro autori sono benspiegati dall’autrice: le consegne diventano così intellegibilie culturalmente significative. Gli insegnanti, anche perrassicurasi sulla fattibilità dei percorsi didattici, potrannoanticipare per proprio conto la realizzazione dei nove pro-getti che articolano il libro: vi troveranno soddisfazione comel’ha esperita chi scrive. In maniera chiara e sintetica si alter-nano a progetti di scrittura e lettura con semplici codici ana-logici non accademici, progetti di composizione meditata ealtri di composizione estemporanea, la cosiddetta improv-visazione. Ma anche l’improvvisazione ha necessità di unaprogettazione e quindi nelle tre tipologie progettuali vengo-no posti obiettivi cognitivi, estetici, strumentali, ludici, cul-turali e relazionali se le attività sono di musica d’insieme.

SCHEDA

a favorire negli studenti un buon livello di consapevolezzarelativamente alle peculiarità del proprio stile cognitivo.Le proposte, dettagliatamente documentate nel volume diesclusivo taglio operativo, sono riproponibili, grazie al-l’attenta guida degli autori, in modo flessibile nei diversilivelli scolastici e nei diversi ambiti disciplinari (Musicainclusa!); i percorsi si basano su interviste, questionari ericostruzioni e consentono di fare riferimento sia a mate-riali scolastici eventualmente già affrontati (letture, argo-menti, attività…), sia a situazioni extrascolastiche comegiochi, enigmi, rebus… (cfr. p. 61 e sgg.). Attenzione vieneriservata anche a proposte «più sviluppate a livello narra-tivo» (p. 62) che, grazie alla ricchezza delle informazioni,facilitano una coinvolgente identificazione con un perso-naggio “letterario”. Il secondo tipo di percorso, sempre benesemplificato nel testo, è finalizzato «non solo ad aumen-tare l’autoconsapevolezza degli studenti, ma anche la lorocapacità di effettuare un efficace monitoraggio dei propriprocessi cognitivi, attuando un controllo opportuno dellestrategie che vengono utilizzate, in modo da dirigere i pro-cessi stessi nella maniera più efficace» (p. 73).Fondamentale è il contributo di Imparare a studiare 2 nel-la presentazione di attività del tipo “stili a freddo” ovverodi assessment. Questo volume, a cui si deve il merito di

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69aver introdotto la discussione sugli stili cognitivi nella scuo-la (Cadamuro, p. 105), si presenta come una raccolta orga-nica e ragionata di “schede” – di grande formato, imme-diatamente fotocopiabili – per sviluppare la capacità diimparare negli studenti dai dieci ai quindici anni. Esso de-dica un’intera sezione a percorsi per la rilevazione degliStili cognitivi di elaborazione dell’informazione (cfr. pp.193-270), con proposte incentrate sui seguenti poli: siste-matico-intuitivo, globale-analitico, impulsivo-riflessivo,verbale-visuale, dipendente-indipendente.Il volume di Perricone e Polizzi si rivolge a contesti non esclu-sivamente “scolastici” ma più ampiamente di orientamentoformativo (inclusa la formazione dei docenti), circoscrivendol’attenzione ai modi di pensare preferiti in situazioni di problemsolving (di rilevanza centrale nelle situazioni di apprendimentoma anche, ovviamente, nella vita sociale, di relazione e lavo-rativa). Il contributo presenta un test finalizzato alla rilevazionedelle tendenze cognitive preferenziali nella soluzione di unproblema, utilizzabile principalmente con giovani dai quat-tordici ai ventinove, ma anche con adulti. Tali tendenze «sem-brano concorrere alla definizione dello stile cognitivo delsoggetto, in quanto si riferiscono a modalità preferenziali oprevalenti di risposta […] però non possono essere identifi-cate tout court con lo stile» (p. 12). In continuità conSterneberg esse vengono identificate come «intelligenze ap-plicate»: astratta, analitica, concreta, inventiva (cfr. pp. 21-43). Lo strumento di valutazione, facendo ricorso a un arti-ficio narrativo, è particolarmente piacevole, favorendo laproiezione («e non l’identificazione», p. 92) del soggetto conun personaggio “letterario” chiamato ad affrontare dodiciproblemi in un immaginario viaggio. Particolarmente inte-ressanti sono le attente indicazioni per la somministrazionedel test a gruppi-classe, con articolate attività basate sulfocus group narrativo (cfr. pp. 44-46) propedeutiche e ditraining delle intelligenze eventualmente risultanti “sotto-utilizzate” (ovvero di empowerment, cfr. pp. 81-113). Quindiil volume che si presenta «nella veste di uno strumento divalutazione delle tendenze processuali […] finisce per di-ventare uno strumento educativo formativo, nella misura incui integra e trasforma la differenza individuale» (p. 28).

Un viaggio criticonel secondo Novecentodi Maurizio Disoteo

CÉLESTIN DELIÈGE, 50 ans de modernité musicale. De Darmstadtà l’IRCAM, Mardaga, Wavre (Belgio) 2011, pp. 1024, † 65.

La casa editrice Mardaga ha recentemente pubblicato unanuova edizione, aggiornata, della monumentale opera (infrancese) di Célestin Deliège 50 ans de modernité musica-le, de Darmstadt à l’IRCAM. Il lavoro di revisione e di ag-giornamento si deve alla pazienza meticolosa di IrèneDeliège-Smisman, che dell’autore è stata compagna di vitaoltre che di ricerca. Célestin Deliège è stato uno dei piùimportanti musicologi e dei più attenti testimoni del No-vecento musicale e del decennio seguente, sino alla suascomparsa, avvenuta nell’aprile del 2010. Questo libro, dioltre mille pagine e di grande formato, tanto che diventadifficile da utilizzare senza una scrivania o un leggìo, è

l’esito di circa quindici anni di lavoro del musicologo bel-ga. Già dalle prime righe sappiamo che non si tratta di unaenciclopedia o di un dizionario della musica, ma di un’operaconcepita come un manuale storico. Per questo, il libronon ha l’ambizione di citare e presentare tutti gli autori, iteorici e i critici che hanno animato il mondo musicale delsecondo Novecento, ma si pone piuttosto come un “temporaccontato”, secondo l’espressione di Paul Ricoeur, inte-ressandosi quindi agli eventi marcatori della modernitàmusicale tardiva (anche se l’ampiezza dell’opera consenteun’informazione generale ampia). Un testo, dunque, in cuil’autore si presenta con la forma dell’“io”, a significare dinon voler assolutizzare il proprio punto di vista, ma pro-ponendolo piuttosto come un possibile angolo visuale. Seè ancora difficile valutare nel suo pieno significato il con-tributo di Célestin Deliège alla musicologia del Novecento,è tuttavia possibile trovare in questo testo la traccia delsuo metodo di lavoro interdisciplinare e della sua conce-zione della musicologia come orizzonte verso la totalitàdel sapere in rapporto con la filosofia, la ricerca musicale,le scienze sociali. In questa ricomposizione dei saperi ècentrale la pratica artistica dell’uomo e delle relazioni cheegli stabilisce con il mondo attraverso tale pratica. Comeha scritto Hugues Dufourt in La philosophie de la musiquede Deliège (http://id.erudit.org/iderudit/902383ar, ultimoaccesso 11/09/2012), «Deliège considera che l’arte sia unrapporto pratico con il mondo e che il musicologo debbacercare la verità di questo rapporto. La storia dell’arte è,per l’autore, il cammino dalla praxis al suo concetto. Nonc’è verità, in materia d’arte, che attraverso l’uomo, cioènella storia e nel tempo» (p. 1).Questa concezione si trova nelle tre grandi parti, denomina-te libri, in cui si articola l’opera, dedicate rispettivamente alperiodo 1946-59 e quindi alle ricerche agglutinatesi attornoai corsi di Darmstadt, agli anni dal 1960 al 1974 e infine alleesperienze seguite alla fondazione dell’IRCAM, quindi dal 1975in poi. Nel frontespizio dell’opera un riferimento al contri-buto di Olivier Messiaen, di cui sono esaminati i sistemiritmici, metrici e di organizzazione delle altezze comeprodromi di ciò che avverrà nella seconda metà del Nove-cento. In questo percorso Deliège intreccia e pone in rela-zione le diverse concezioni estetiche, i sistemi di composi-zione, le sfide tecniche e tecnologiche che hanno attraver-sato la seconda metà del XX secolo, tessendo reti particolar-mente utili allo storico e al ricercatore ma anche al musici-sta che vuole allargare la competenza su quanto esegue. Ilcontributo di ogni singolo compositore è presentato nella

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prospettiva globale del contesto storico e artistico in cui haoperato e di molti di loro sono analizzate singole opere,secondo un metodo che cerca di mettere in luce con atten-zione e vivacità le specifiche dinamiche interne e la costru-zione formale. Queste analisi non sono mai isolate da un’at-tenzione alla condizione umana vissuta che percorre taliforme; in pratica, assistiamo alla ricerca di una più vastadimensione sociale e umana espressa nella pratica musicale.Diverse e stimolanti sono poi le “chiamate a testimoniare”degli autori trattati, di cui sono riportate dichiarazioni e ri-flessioni relative alle opere, ma anche di altri studiosi e ri-cercatori di diversa estrazione e orientamento che prendonola parola nel libro e con cui Deliège instaura un dialogo adistanza. Differenti possono essere gli approcci del lettore aquesto libro: il più tradizionale è quello di seguire il percor-so cronologico attraverso i 53 capitoli del testo. Tuttavia,può essere forse più utile che il lettore costruisca un propriopercorso di ricerca personale, per il quale certamente nonmanca il materiale, partendo dallo studio di un composito-re, di un’opera o di un gruppo di opere, per poi stabiliredelle connessioni con altri territori in cui Deliège ci accom-pagna. In questo secondo modo di fruire del libro, più“itinerante” ed esplorativo, il lettore è aiutato da un impor-tante apparato bibliografico e ancor più da indici di autori eopere molto curati, che permettono, appunto, di costruire ilproprio percorso senza smarrirsi.

ASTOR PIAZZOLLA

Duo - Flauto e Pianoforte (I e II)Trio - Flauto, Violino e Pianoforte (I, II, III)Quartetto d’archi (I, II, III)Arrangiamenti di Matteo Del SoldàPartitura e parti staccateCurci - A. Pagani, Milano 2011

Le pubblicazioni presentano celebri branidel compositore argentino, rielaborati perdiversi organici e indirizzati a studenti deiprimi anni di corso.

ANDREA ANZALONE

Il mio primo quartetto d’archiPartitura e parti staccateCurci Young, Milano 2011

I brani, indirizzati a studenti a partire dalprimo anno di studio, sono composti “nellostile di…”, dal barocco italiano fino algospel statunitense, passando attraversoi principali compositori.

VITO NICOLA PARADISO

La chitarra volanteEnsemble 2Partitura e parti staccateCurci Young, Milano 2011

Secondo volume della serie di brani perpiccolo gruppo o orchestra di chitarre.Presenta brani in stile World Music e per-segue finalità didattiche e ludico-espres-sive.

Non solo JazzLa PrimaveraL’EstateAutunno e InvernoTemi da Le quattro stagioni di AntonioVivaldiVersione jazz di Alessandro CerinoPartitura e parti staccateCurci Young, Milano 2005-2010I Livello, con CD

Un’interessante proposta di rielaborazionedi temi noti in stile jazz.Le pubblicazioni appartengono alla serie“Music Kit”, indirizzata ai corsi inferioridi conservatorio e alle scuole secondariea indirizzo musicale, che permette di es-sere adattata a diversi tipi di organico.

Una finestra su…

Materialidi musica d’insieme

per principianti

Immaginare ed esseretra reale e virtualedi Roberto Neulichedl

REMEDIOS ZAFRA, Sempre connessi. Spazi virtuali e costru-zione dell’io, Giunti, Firenze 2012, pp. 192, † 14,00.

«Se posso fare qualcosa qui dove costruisco la mia stanzaconnessa, è ideare uno spazio per il pensiero, quello ri-chiesto per l’autocoscienza e per il lavoro creativo» (p. 30).Così scrive Remedios Zafra, giovane brillante filosofa spa-gnola, studiosa dei fenomeni “connessi” alla cultura digi-tale (suo il sito/progetto www.x0y1.net) e in particolarealla costruzione delle identità individuali e collettive, conattenzione alle problematiche di genere. Tutti temi, questi,curati dall’autrice con grande passione e sistematicità pro-fessionale anche nei corsi da lei tenuti per il dipartimentodi Didáctica de la Expresión Musical y Plástica presso lafacoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Siviglia.Il titolo originale spagnolo – Un cuarto propio conectado.(Ciber)espacio y (auto)gestión del yo – evidenzia il concet-to topico (prima ancora che identitario-culturale) da cuiprendono avvio le riflessioni proposte dalla Zafra: quellodella propria stanza vissuta come luogo/spazio connesso

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71(grazie a Internet) con altri luoghi dell’altrui intimità. E ineffetti è anzitutto in questo luogo inizialmente “privato”che la “interconnettività” ciberspaziale diviene strumentoche consente di “forare” i confini della propria stanza, del-la propria “tana”, della propria fortezza; ossia di rendere inun certo senso permeabili quelle pareti che per prime (so-prattutto da giovanissimi) accolgono poster, foto e iconevarie, con le quali si è soliti esibire (anzitutto a se stessi) iframmenti di un io ancora in via di faticosa costruzione.Non a caso, nella presentazione del libro – riprendendo ilriferimento a Una stanza tutta per sé, di Virginia Woolf –Benedetta Tobagi definisce la «stanza connessa» (a Internet,ovviamente) come «luogo ibrido e chiaroscurale dove ven-gono meno le tradizionali distinzioni tra dentro e fuori trapubblico e privato, dove mutano il senso del corpo, deltempo, la costruzione della memoria e dell’identità» (p. 7).Scorrendo i titoli degli otto capitoli che polarizzano le rifles-sioni del testo, è possibile cogliere la ricca descrizione/narra-zione della “propria stanza connessa”, alla cui perlustrazionel’autrice invita passo dopo passo il lettore. Si inizia dal neces-sario “posizionamento” iniziale della stanza (cap. I), da unQui che è relativo («Qui è dove sono connessa e dove la scrit-tura emerge»; p. 27), passando alla sua “costruzione” (cap. II)a partire dalla «mia prima stanza» che «parla dell’infanzia edell’ordine delle cose» (p. 41), non senza riferimenti ancheautobiografici (bello l’accenno alla soffitta come altro luogo,complementare, da cui affiorano sogni sospesi tra un presen-

te/passato grazie all’incontro con polverosi oggetti/cimeli divissuti altrui). Appena oltre, la riflessione inquadra la “stanzaper sé al femminile”, la quale, in quanto luogo (non) domesti-co, è anche luogo di sovversione ed emancipazione (cap. III).Si approda quindi al concetto di “Office-Room” (cap. IV), os-sia di uno spazio che vede la trasformazione della semplice“stanza per sé” (qual era in origine) in una “postazione” iningresso/uscita da cui affiorano professionalità pronte a cre-scere con la, e nella Rete (telelavoro, ma non solo) e dove peròun imperante fai-da-te rischia di trasformare l’apparente pa-rità tra utenti/prosumers in fattore di disuguaglianza sociale.Giustamente, quindi, l’autrice avverte: «Oggi è necessario chela conoscenza e le tecnologie per la gestione digitale nonsiano esclusivamente pensate dalle imprese, ma soprattuttodai sistemi educativi pubblici» (p. 66). Con i capitoli successi-vi si toccano questioni anche più intime, dove la stanza con-nessa assume “luci soffuse” in cui, giocando anche a nonessere (o a essere altro), avviene la costruzione di identitàpersino di “genere”, dato che «è attraverso il genere che iniziala presentazione di noi stessi all’altro» (p. 102). Ed è proprionell’evoluzione costruttiva di una propria identità sociale chesi fanno largo alcuni interessanti quesiti, già segnalati comeavvertenza, circa la natura dei rapporti che l’essere umano èin grado di instaurare con il resto del mondo, ossia intorno«al cambiamento nei modi di relazionarci tramite gli schermie il configurarsi di una nuova società-rete» che hanno comeeffetto «un nuovo quadro di riferimenti simbolici e immagi-

BJÖRN ROSLUND

Consapevolezza armonica. Una treccia dei pensieri musicalia cura di Angelica CeleghinArmelin Musica, Padova 2011,pp. 52, † 18,95

Motivi di interesseVa accolto sicuramente con interesse un libro di Ear Training,considerato il ritardo che in Italia ancora si avverte intorno aquesta fondamentale disciplina. Oltre all’apertura verso i piùdifferenti generi musicali, va segnalato l’uso di un sistema disigle accordali assai immediato (che suona tanto “non con-servatoriale”) il quale, oltretutto, ha il vantaggio di far coglie-re di ogni accordo un suo particolare colore. Peccato che latraduzione dall’originale (che è a fronte) risulti talvolta un po’trascurata, a partire dal sottotitolo, con qualche scelta nontroppo felice. Il termine progression, ad esempio, reso con “pro-gressione” (e non “successione”) ingenera ambiguità con ciòche in Italia significa progressione. Quest’ultimo termine sa-rebbe invece la traduzione più appropriata per sequence, chenel libro è reso con “sequenza”. E così via. Ma ciò che distingueil volume è il suo impianto eminentemente pratico, con ungran numero di esercizi e di proposte assai inventive, sicché,oltre a una richiesta di concentrazione, molti vi troveranno unmargine di divertimento. In tal senso il CD allegato rende pos-sibile l’esercitazione individuale, anche se non mancano pro-poste che richiedono un partner o sono da svolgere in gruppo.

Antonio Grande

ArgomentoLa formazione dell’orecchio è la premessa indispensabile perentrare nel mondo della musica, per poterne apprezzare leinterne correlazioni e mirare a una piena consapevolezza.Un’esperienza apparentemente spontanea come quella diascoltare si rivela qualcosa di molto complesso su cui è indi-spensabile un adeguato training. Di questi aspetti si occupail recente libro di Björn Roslund, docente di Ear Training pressol’Accademia di Musica di Malmö (Svezia), nonché apprezza-to ricercatore nel campo della didattica musicale anche inItalia, dove ha tenuto numerose conferenze e stages. Proprioda queste esperienze prende corpo il libro che si presentacome una raccolta di materiali didattici di Ear Training rac-colti intorno a cinque percorsi che, nel loro insieme, formano«una treccia di pensieri musicali»: la teoria musicale, la me-moria, l’orecchio interno, la valutazione del suono, il conte-sto musicale.

DestinatariIl libro, con le sue numerose proposte di esercitazione, si ri-volge agli studenti che vogliono affinare la propria forma-zione uditiva, nonché ai docenti impegnati nei corsi di EarTraining.

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72 nari per costruire modelli identitari per poter essere nella vita»(p. 22). Nel suo percorso, il testo approda quindi a temi con-cernenti anche l’economia politica dei processi di costruzionedell’identità, dato che «La questione chiave sta nel controlloesercitato dalle industrie digitali di intrattenimento e consu-mo sugli universi simbolici» (p. 75).All’interno di questo viatico di ricerca identitaria, un ruolocentrale è giocato in ultima analisi dalla costruzione del-l’io in rapporto al corpo: in costruzione/trasformazione,manipolabile, ostentabile ma anche celabile. Un corpo/im-magine che, passando pure per l’opportunità maggiormentein conflitto tra realtà “reale” e “virtuale” di reincarnarsi inun possibile proprio avatar (che l’autrice ricorda poter si-gnificarne in spagnolo anche «fase, cambio, vicissitudine»),assume la realtà virtuale come spazio in cui «vestito e cor-po si confondono» (p. 141).Dalla lettura del libro, che si snoda elegantemente tra scrit-tura ad alta voce e richiami poetico-letterari, l’insegnantenon ha da attendersi suggerimenti didattici. Non di meno,gli spunti di riflessione offerti risultano riccamente artico-lati in argomenti che ben si offrono a stimolare un’oppor-tuna riflessione critica di ordine educativo in senso lato:

MADELINE BRUSER

L’arte di esercitarsi. Guida per fare musica dal cuoreEDT, Torino, 2012pp. 209, † 20,00

massaggiato il nostro corpo»; 2. ascoltare le vibrazioni chepercorrono il nostro corpo per collegarsi alla realtà fisica dellamusica; 3. focalizzare l’attenzione sui suoni che risuonano nellospazio esterno al corpo per apprezzarne la qualità.Un capitolo da meditare, non solo da leggere, è quello che af-fronta il raggruppamento delle note in piccole unità di sensomusicale non stereotipato, con attenzione al ritmo derivantedalla parola o dalla danza. Il capitolo Introspezione spontanea èmusicalmente efficace per l’organizzazione del senso del ritmoe dei principi organizzativi della musica. Il corpo danzante èl’ultimo capitolo, dove tra l’altro giustamente si consiglia agliesecutori strumentisti e cantanti di frequentare corsi di danzabarocca e non. Al posto della bibliografia sono presenti Lettureconsigliate e un indirizzario di Risorse per musicisti.

DestinatariInsegnanti di tutti gli strumenti, allievi autonomi nelle ricerchesu come studiare, concertisti. Indispensabile nella bibliografiadei corsi di Metodologia dell’insegnamento strumentale.

Motivi d’interesseTutto quello che avrebbero dovuto insegnarci i nostri mae-stri e che non abbiamo ancora insegnato ai nostri allievi.Anche i temi più consueti sono svolti in maniera originale earricchente. Giovani e vecchie volpi dell’insegnamento han-no di che trarne vantaggio.

Annibale Rebaudengo

Argomento«Il corpo funziona bene quando è trattato con gentilezza». Lacura di sé, l’attenzione al proprio corpo, da trattare con deli-catezza al fine di trovare piacere anche fisico-sensoriale nellostudio, sono una costante del testo di didattica strumentalequi presentato. Fare stretching per potersi avvicinare allo stru-mento «con le membra elastiche e l’energia che scorre libe-ramente» è il primo passo, l’attenzione alla postura e allarespirazione e la confidenza con l’ambiente sono i passi suc-cessivi. Sintonizzarsi sul cuore è la fase che permetterà dientrare nella musica con calore e vitalità, con attenzionealla nostra «vulnerabilità». A questo punto, muovendosi inmaniera «rilassata e naturale», possiamo iniziare a suonare.L’autrice in maniera esaustiva affronta i cardini della tecnicastrumentale con analisi e consigli per gli esecutori di tutti glistrumenti: dallo scostamento della postura eretta alla tensio-ne minima delle mani, dalla dannosa rigidità alle funzioni del-le dita, del polso e del braccio, dalla circolazione dell’energiaal pensare il suono che vogliamo produrre. Sono affrontatianche temi a noi consueti come le scale musicali o l’utilizzo(molto moderato) del metronomo, ma sempre con qualcosache va ad aggiungersi alle nostre conoscenze didattiche. Inte-ressante l’analisi di tre stili psicologici dell’interprete: l’appas-sionato esagerato, il resistente alla musica, l’aggressivo. Perpoi propendere per uno stile esecutivo «semplice». Sono af-frontate e consigliate tre tecniche d’ascolto: 1. cantare ogninota di un pezzo, anche al fine di aggiungere energia e vitalitàalla nostra musica tramite «le vibrazioni della voce che hanno

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soprattutto con riferimento a temi che dovrebbero interes-sare una pedagogia desiderosa di misurarsi con le proble-matiche emergenti della cultura digitale e, più in partico-lare, dell’e-learning (per una riflessione delle declinazioniin campo musicale cfr. Musica, scuola e cultura digitale, in“Musica Domani” n. 161, dicembre 2011, pp. 36-47).

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EGLE BECCHI, Maschietti e bambine. Tre storie con figure,ETS, Pisa 2011, pp. 107, † 15,00.

Questo è un libro che si presta in modo appropriato ainterazioni interdisciplinari tra musica e immagine, con ri-levanti ricadute educative e pedagogiche. Lo dice subito l’au-trice, da anni eminente docente universitaria della comunitàscientifica dei pedagogisti italiani, nella sua introduzione Peril lettore: comprendere immagini, analizzare modelli.L’ingresso di storici delle arti figurative nei territori del-l’infanzia e della formazione dei secoli scorsi è il dato piùsignificativo su cui posa il libro.Tre saggi compongono il volume: nel primo si tratta diputti, di loro immagini (con sorprendenti rivelazioni), del-la loro funzione educativa, delle loro vicende nei secoli. Ilsecondo parla di bambine, della scarsa riconoscibilità nel-la storia e nella ricerca scientifica e della loro difficile eman-cipazione. Il tema del terzo è la costruzione dell’idea diinfanzia nella teoria freudiana.Tre contributi, quindi, a una storia dell’età bambina, anco-ra sulla via di una difficile decifrazione, dove sfide teori-che si intrecciano a interrogativi pedagogici e di metodo diricerca, in un lavoro su pagine scritte e documenti iconici.Già nel celebre testo di Philippe Ariès (Padri e figli nell’Eu-ropa medievale e moderna, Laterza, Bari 1968), la prima etàdell’uomo appare, pur nella eterogeneità delle declinazioniche se ne sono proposte, come oggetto di un sentimento,come Idea, come “campo di espressione”, da cui emerge unelemento che sta fra ordine biologico e ambito istituzionale.Sentimento che anticipa quella serie di contributi adottatiper spiegare la figura sociale del bambino di ieri e di oggi eche ha potuto compendiare le escursioni nel territorio del-l’infanzia e della fanciullezza, dove il personaggio del mi-nore ha assunto forme e significati diversi e non sempreesauribili nei vocaboli che lo denotano in una specifica lin-gua. «Non solo termini verbali, ma anche contesti diversidel suo manifestarsi entrano in questa storiografia variega-ta, dove l’interesse non di rado cede alla curiosità e il bam-bino è descritto nel suo mondo così come veniva percepitoda chi gli stava intorno e soprattutto da chi vedeva in lui unsegmento di vita particolarmente significativo» (p. 8).Si procede per complesse ricostruzioni non solo e non tantodi una figura, quanto anche dell’ambiente e del modo in cuitale figura viveva e cresceva. Di fronte a un soggetto/oggettocosì multiforme si nota l’adozione di una pluralità di inter-pretazioni espressive, il che spiega anche la “congerie” di testiillustrati su temi relativi alla fanciullezza, di mostre sull’in-fanzia e l’età infantile, di continue immagini di bambini comeportatori di pubblicità e concezioni di vita. Una rassegna diopere non verbali, iconiche e grafiche, che si possono trovareampiamente nelle pagine centrali di questo testo: sono im-magini ricche di suggestioni, di allacciamenti multimediali,di connessioni originali con altri linguaggi e approcci.Ma accanto alle suggestioni c’è anche l’esplorazione tesaad analizzare modelli interpretativi (come ricorda la fraseiniziale citata nella Prefazione): è il problema del canone.Citando un volume di Michael Baxandall, tradotto in ita-

RASSEGNA PEDAGOGICAdi Roberto Albarea

liano nel 2000 (Einaudi, Torino), Forme dell’intenzione. Sullaspiegazione delle opere d’arte, l’autrice rileva l’importanzadel soggetto conoscente e giudicante, insistendo sugli aspettiepistemici delle operazioni di fruizione, di spiegazione eapprezzamento del prodotto artistico, ma anche sugli in-tenti di chi lo produce. In particolare emerge quello cheviene definito “l’occhio del tempo”, sia di quello contestualerelativo all’esperienza culturale e allo sguardo specifico diun dato periodo storico, alla relazione tra evento e circo-stanze del vedere, sia quello “intenzionale” legato alla pre-cettistica dell’epoca e agli impegni verso la committenza.Nel caso dell’infanzia e della fanciullezza al femminile, larigidità e parzialità degli schemi esplicativi attraverso cui sonostate interpretate ha complicato non solo la comprensionedella bambina ma anche la sua gestione formativa e soprat-tutto la sua integrazione sociale a pieno titolo. Si ripercorronoautobiografie d’infanzia al femminile, tra cui quelle in chiavepsicoanalitica non sono certo le uniche, tra diari, lettere, ro-manzi in prima persona. Accanto a queste pagine di “lettera-tura dell’io”, che sta richiamando l’attenzione di storici enarratologi, si danno testi non scritti in prima persona da unaautrice femminile, ma da un uomo, perlopiù padre, dove peròuna bambina è soggetto “forte” del racconto. Si cita «La sto-ria con bambina breve romanzo autobiografico dello scrittoreaustriaco Peter Handke, di un papà che vede e aiuta a crescerela propria figlia. Personaggi senza nome, padre e bambina simuovono nello spazio ridotto di una diade familiare, dove aun tratto madre e mondo esterno si dileguano, quasi a lascia-re sgombro l’ambiente […] entro cui la piccola mostra come sifa grande, come reagisce alle azioni paterne, come è occasio-ne di reazioni del padre stesso» (p. 71). Nei casi di Handke e diElias Canetti (altro “grande” padre citato nella pagina succes-siva), la figura femminile, proprio perché spoglia di denotazioniesistenziali e di tratti individuali, diventa paradigmatica diuna crescita, «[…] di una preparazione a farne un momentoforte del divenire umano nella sua duplicità di maschio e difemmina; un soggetto per una teoria futura, non segnato dabene o male, non accantonato da una psicologia osservativa,imbarazzata a vederlo e a spiegarlo; un modello che viene pri-ma raccontato in forma autobiografica da chi lo ama, osserva,spiega che pare consegnarlo a altre riflessioni» (p. 73). Sonomodelli di senso plurimo, che si ritrovano anche nella terzaparte relativa alla lettura delle pagine di Freud sull’infanzia.In tale cornice, che sul piano del discorso si avvale di mo-dalità di espressione diverse (dalla lettera alla lezione, daltrattato corposo caratterizzato da complessa argomenta-zione allo scritto breve, al racconto di un caso), l’infanziaè personaggio frequente e basta consultare gli indici ana-litici di ognuno degli undici volumi delle Opere di Freudper constatarne la massiccia presenza.Un lavoro, questo di Egle Becchi, che indaga e riflette sullecircostanze di crescita del futuro adulto, sulle sue condottevisibili ma anche oscure e apparentemente insignificanti;possibile fonte di percorsi didattici longitudinali di rico-struzione dell’identità del soggetto, sia esso fanciullo, ado-lescente o giovane, e percorsi trasversali di fertilizzazionetra linguaggi espressivi interattivi.

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Aspettandoil convegno SIEM 2012

Riceviamo dal Comitato tecnico-scientifico del Convegno epubblichiamo integralmente.

La musica è, come sappiamo, un’arte complessa, enorme-mente estesa nel tempo e nello spazio e con in sé profondevarianti socio-culturali, storico-stilistiche, semiotiche e tec-niche 1, tanto che lo stesso approccio educativo alla musi-ca si pone di fronte a necessità, interrogativi e aspetti mol-teplici e diversificati. Ne è derivato che nel loro costruttivointento di formare alla musica, e nella musica, i pedagogistie gli esperti di tecniche didattiche in ambito musicale, sisono ad oggi costantemente adoprati nella ricerca dellemigliori metodologie, dei contenuti più idonei e delle piùopportune competenze da promuovere nei percorsi di edu-cazione musicale propri degli scenari educativi attualmen-te esistenti nel nostro Paese (scuola pubblica, formazioneaccademica e terzo settore). Ciò ha tuttavia a volte ecollateralmente implicato, un’eccessiva atomizzazione deisaperi e delle competenze, pur dettata in parte dall’odiernanecessità di iperspecializzazione nei saperi stessi, e in par-ticolare l’emergere di una dicotomia tra il “fare” musica eil “conoscere e capire” la musica, proiettando automatica-

mente tale dicotomia dal piano del confronto e della spe-culazione accademica, attraverso le scelte politico-ammi-nistrative che si sono succedute 2, direttamente sui curriculae dando luogo a un’attuale situazione formativa in cui sem-bra evidente un certo disequilibrio tra gli apprendimenti ditipo pratico (studio dello strumento musicale nella scuolapubblica a indirizzo, attività di insegnamento degli stru-menti musicali a opera del terzo settore, iniziativepropedeutiche e di musica pratica per l’infanzia, attivitàpratiche di bande, cori, orchestre giovanili, gruppi popularecc.) e opportunità di acquisire anche competenze di tipocritico, analitico, storico, estetico, neuropsicologico, socio-culturali e antropologiche, presenti infatti e invece neicurricula scolastici delle altre arti (figurative, letterarie) chenon possono non costituire il vero tutt’uno della generalecompetenza musicale (non solo specialistica), dato che que-ste ultime si riflettono in modo virtuoso sulle prime – eviceversa 3 – rendendo così possibile l’emergere di mag-giore consapevolezza, coscienza e conoscenza musicali intutti coloro che affrontano un percorso di educazione allamusica. Specialmente negli adolescenti e negli adulti che,a fianco dei più piccoli – ai quali si è sempre prestata mol-

1 Johanella Tafuri ci ricorda come di fatto la musica sia un camponel quale e intorno al quale operano e interagiscono molte disci-pline: teoria musicale, analisi, composizione, storia della musica,psicoacustica, esecuzione ecc. (1995, pp. 60-63).

2 Si fa ad esempio riferimento alla viva protesta degli operatori delsettore musicale (presentazione di varie petizioni, anche a operadella stessa SIEM) seguita alla decisione di sopprimere l’insegna-mento della musica nei licei con la riforma del secondo ciclo diistruzione promossa dal ministro Moratti. Cfr. decreto legislativo17.10.2005 n. 226 seguito alla legge Moratti (n. 53/2003). Nellacronaca: www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/02_Febbra-io/03/musica_scuola.shtml http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/02/08/protesta-anti-moratti-toglie-mu-sica-dai-licei.htmlNonché alla successiva riforma del ministro Gelmini (L. 240/2010).Anziché trovare una maggiore diffusione nella scuola secondaria,come è il caso di altri grandi stati europei, la musica sarebbescomparsa dai licei in luogo dell’istituzione di licei musicali chenon si sarebbero tuttavia collocati nell’ottica di fornire “a tutti”le necessarie competenze musicali di base, aprendo alla necessitàdi approfondirle dopo la scuola secondaria di primo grado, bensìsarebbero andati nella direzione di formare competenze princi-palmente relative alla musica pratica (apprendimento degli stru-

menti musicali) come tappa di un percorso professionalizzante edi preparazione agli studi dell’AFAM.

3 Per quanto ad esempio concerne l’interpretazione di un brano, seb-bene si tratti di un aspetto intrinseco alla pratica musicale, Guastiniafferma come non si debba fondarla su quanto meramente scrittoma occorra al contrario compiere delle scelte che devono risultareimperniate su criteri terzi, anche scientifici, che derivano da unapiù ampia conoscenza dell’oggetto dell’esecuzione (formale, armo-nica ecc.), del suo contesto e così via (cfr. Guastini 2006).Anche Rosalba Deriu, argomentando sulla forma musicale, ci ri-corda quanto sia importante il connubio tra fare e capire: «cre-diamo infatti che la consapevolezza dei problemi formali non ri-guardi solo alcuni settori specifici, come l’indagine storico-musi-cale, ma possa fruttuosamente riverberarsi su ogni aspetto del-l’esperienza musicale» (Deriu 2004, p.3).

4 Cfr. J. Pujol, P. Vendrell et al. in “Annals of Neurology”, Volume 34,Issue 1, pp. 71–75, luglio 1993.

5 Cfr. Mariateresa Lietti, Tempi in musica: generazioni che s’incon-trano e Annibale Rebaudengo, Coronare un sogno in età adulta (inGli adulti e la musica 2005)

6 Giuseppina La Face, nel suo intervento al convegno “Musica e BeneComune” (Roma, MIUR, 12-13 aprile 2012), ha parlato di musicad’arte come «patrimonio dell’umanità e strumento di inclusione».

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ta attenzione in termini di ricerca e azione didattica –,occorre non dimenticare mai. Ciò anche in considerazionedel fatto che sia ormai comprovato come la maturazionedella corteccia prefrontale (e quindi anche quella del cer-vello musicale) prosegua fino all’età di venticinque anni 4 edi come a qualsiasi età la musica costituisca sempre «unbene sociale generante identità e relazioni» 5. Da qui il «pertutti» del titolo del convegno insieme all’espressione «trafare e capire».Con l’espressione «tutta la musica» si intende invece sot-tolineare la necessità della pari valorizzazione di tutti ilinguaggi e i generi musicali, prestando quindi particola-re attenzione a quelli che, nonostante il loro alto valorestorico ed estetico e il loro esser parte del patrimonio cul-turale dell’umanità 6, non sono sufficientemente rappre-sentati nella quotidianità 7: ad esempio la musica colta ditradizione occidentale o la musica aulica contemporanearispetto alle musiche popular più comuni e diffuse nellesocietà industrializzate ma volendo far sì che anche i ge-neri più rappresentati, inclusi questi ultimi, siano com-presi appieno, non solo cioè nell’attraente involucro incui di norma i mass media ce li porgono 8, e che esercita

molta presa specialmente sugli adolescenti, ma anche daun punto di vista antropologico, semiotico, tecnico, ana-litico nonché storico, estetico e culturale. Pur ascoltandoinfatti i ragazzi musiche che sentono proprie, hanno tut-tavia spesso necessità di acquisire maggiore consapevo-lezza attraverso strumenti e metodologie opportuni, comepure il diritto-dovere di conoscere anche ciò che non rap-presenta il quotidiano e il familiare. È da tutte questeimportanti riflessioni, che abbiamo ampiamente discussoe infine condiviso all’interno del Comitato, che deriva iltitolo proposto per il convegno: “Tutta la musica per tut-ti, tra fare e capire”. È però fondamentale sottolineare comecon ciò non si debba intendere che alla pratica debbacontrapporsi o meglio affiancarsi “la teoria” musicale 9

bensì che alla pratica si debba accostare quella ricca ediversificata esperienza di consapevolezza che sola puòrendere autonomi nel prender coscienza di fronte al fe-nomeno musica e nel progredire in un percorso diacculturazione e pratica musicali anche dopo i vari itinerascolastici 10.Ciò vale tanto per la pratica vocale e strumentale in ognisua forma quanto per l’ascolto e la conoscenza del reper-

7 Secondo, ad esempio, una r icerca effettuata da IS P O

(www.ecoluce.org/wp-content/uploads/presentazione-ispo-per-roma.ppt) sul totale della popolazione italiana, il 91% nonascolta musica classica. Ciò è senza dubbio dovuto alle gravilacune conoscitive e al pressoché assente spazio dedicato atale musica nei mass media. Il problema si riflette automati-camente sul mercato, innescando un circolo vizioso: le stati-stiche ci dicono che il mercato discografico occidentale dellamusica classica si è ridotto dall’11% del 1990 al solo 3,2% del2010 (cfr. “New Zealand Online Journal of InterdisciplinaryStudies”, Volume 1, Issue 1). Una realtà importante della cul-tura musicale (e quindi anche dell’educazione musicale e piùin generale dell’educazione all’arte) risulta quindi e ormai inserio pericolo nel generale bacino sociale di riferimento. Tantoche nel promuovere a tuttotondo la cultura e la formazionemusicali, la SIEM non potrebbe dunque non tener conto di qualisiano gli ambiti che maggiormente necessitano di attenzionee intervento educativo.

8 A tal proposito Gasperoni, Marconi e Santoro scrivono quantosegue: «molti soggetti considerati dalla nostra inchiesta tendonospesso ad assumere atteggiamenti di tipo conformistico, scegliendoin modo succube o impulsivo nell’ambito di un numero piuttostocircoscritto di modelli di comportamenti musicali e di gusti stan-

dardizzati pubblicizzati dai mass media, mentre poco praticata èla ricerca della propria identità musicale […]. Se si vuole costruireuna società nella quale ogni cittadino sia in grado di far valere ipropri diritti (anche musicali) rispettando i diritti altrui, è invececruciale che ogni adolescente desideri conoscere e sviluppare lapropria identità musicale» (Gasperoni - Marconi - Santoro 2004,p. 133).

9 Già la trattatistica musicale italiana del XVI secolo auspica il su-peramento della dicotomia medievale teoria-prassi – dove la pri-ma apparteneva alle arti matematiche del quadrivio e la secondaera invece considerata come un’arte meccanica – attraverso unconnubio tra conoscenza razionale e conoscenza empirica, trasensus et ratio (Cfr. Zarlino 1561). L’inscindibilità tra scienza spe-culativa et scienza reale la si ritrova anche nella Prattica di musi-ca di Ludovico Zacconi. Tuttavia la tentazione di perpetrare unadicotomia tra fare e sapere/conoscere è viva anche al giorno d’oggi,tanto che il dibattito non si è quindi affatto esaurito (cfr. La FaceBianconi - Scalfaro 2011).

10 Attraverso l’educazione alla musica occorre infatti far nascere inchi apprende quella curiosità, che Bruner chiama «molla dell’ap-prendimento», che innesca il desiderio di continuare ad appren-dere, attraverso le competenze che si sono già acquisite (cfr. Bruner1967).

Marco FediComitato tecnico-scientifico SIEM

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11 Sull’importanza dell’ascolto consapevole, non passivo, e quindiconsiderabile a tutti gli effetti come una pratica musicale insieme allealtre: «L’ascolto costituisce indubbiamente la pratica musicale più uni-versalmente diffusa. La musica viene ascoltata molto più di quantonon venga suonata o letta. Le statistiche ufficiali – anche in Italia –descrivono questo universo di ascolto musicale, fornendoci le princi-

pali coordinate quantitative. Sappiamo così che nel nostro Paese ascol-tano musica l’82,5% dei maschi e l’81,6% delle femmine, che l’ascoltovaria notevolmente in funzione dell’età […] e che esso è influenzatodal livello di istruzione» (Gasperoni - Marconi - Santoro, 2004, p. 79).

12 Cfr. nota 3.13 Cfr. Delfrati 2009, pp. 111-131.

torio 11 dei vari generi, per l’analisi come per la storia dellamusica. Musicisti e pubblico – perché occorre certo occu-parsi anche della formazione del pubblico, non solo di quelladei musicisti – risulteranno così più motivati e motivanti,più abili nelle skills a loro richieste 12 (performative, di ascol-to ecc.) e più consapevoli. Questo è in fondo il fine ultimodell’azione pedagogico-didattica in ogni ambito discipli-nare: costruire, attraverso le più efficaci metodologie (atti-ve, euristiche, riflessive ecc.), competenze che rendano idiscenti autonomi nel progredire sul cammino intrapreso eoffrano loro uno sguardo il più ampio possibile sull’oriz-zonte della disciplina stessa 13.Visto quindi il ruolo di primo piano svolto dalla SIEM, lasua responsabilità e l’impegno nella ricerca e nell’orienta-mento metodologico in ambito di formazione musicale,abbiamo pensato a un convegno orientato a un’idea dicompetenza musicale quanto più esaustiva possibile, fa-cendo intervenire e interagire personalità che mettesseroin luce, ciascuno nel proprio ambito, l’importanza e l’utili-tà dei molteplici approcci all’apprendimento della musica– sempre ricercando l’incontro virtuoso tra il fare e il capi-re – nonché considerando gli aspetti, sempre attuali, legatiall’innovazione didattica e all’interdisciplinarietà, coscientiche, nonostante il pregevole lavoro fin qui svolto da tanticompetenti operatori del settore, certe problematiche ri-chiedano ancora un aperto confronto. Porgo con l’occa-sione un ringraziamento a tutto il Comitato tecnico-scentifico della SIEM, al Presidente Biasutti e al Consiglio

Direttivo Nazionale, alla sezione territoriale di Milano e atutti coloro che hanno reso possibile questa preziosa op-portunità di sintesi, aggiornamento e confronto.

BibliografiaJEROME SEYMOUR BRUNER, Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma1967.CARLO DELFRATI, Il Maestro ben temperato, Curci, Milano 2009.ROSALBA DERIU, Insegnare la forma musicale, in Capire la forma, EDT, To-rino 2004.LEIF FINNÄS, How can musical preferences be modified? A research review,“Bullettin of Research in Music Education”, n. 102.GIANCARLO GASPERONI - LUCA MARCONI - MARCO SANTORO, La musica e gli ado-lescenti, EDT, Torino 2004.GIOVANNI GUASTINI, L’Interpretazione musicale: è possibile un approccioscientifico?, in “Civiltà Musicale”, 58-59, anno XXI, maggio-dicembre2006, LoGisma, Firenze 2006.Gli adulti e la musica, a cura di Annibale Rebaudengo, EDT, Torino 2005.JULIAN JOHNSON, Who needs Classical Music?, Oxford University Press,New York 2002.LAWRENCE KRAMER, Perché la musica classica? Significati, valori, futuro,EDT, Torino 2011.GIUSEPPINA LA FACE BIANCONI - ANNA SCALFARO, La musica tra conoscere efare, FrancoAngeli, Milano 2011.JOHANNELLA TAFURI, L’educazione musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT,Torino 1995.WILLIAM FORDE THOMPSON, Music, Thought and Feeling, Oxford UniversityPress, New York 2009.GIOSEFFO ZARLINO, Le Istituzioni Harmoniche, Forni, Bologna 1999 (pri-ma edizione in Venezia 1561).

La SIEM e l’Accademia Filarmonica di Bolognaorganizzano per il 2013-2014

il quarto Biennio di specializzazionein Metodologia della ricerca per l’insegnamento musicale.

Il corso, che si svolgerà a Bologna,prevede otto seminari tenuti da esperti italiani e stranieri di notorietà internazionale,

nei fine settimana da febbraio a giugno 2013e la realizzazione di un progetto di ricerca dal giugno 2013 al giugno 2014.

I risultati dei corsi precedenti sono stati pubblicati,o sono in corso di pubblicazione, nei “Quaderni della SIEM”

e verranno illustrati nel prossimo Convegno SIEM (Milano il 10-11 novembre).Il Bando con le modalità d’iscrizione e di partecipazione sarà pubblicato

sul sito della SIEM agli inizi di novembre.Chi fosse già orientato a iscriversi o volesse avere ulteriori informazioni

è invitato a mandare un messaggio (o eventualmente anche il proprio curriculum) [email protected]

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Assunto di base del Convegno SIEM 2012 è che l’apprendi-mento musicale debba procedere sulla doppia dimensionedel fare (la pratica musicale) e del comprendere (la storia,la semiotica, l’analisi, l’antropologia musicale).È stato quindi chiesto ad alcuni esperti del “fare” e del“capire” di fornire delle risposte convergenti, da campi di-versi, verso un approccio che valorizzi la complessità del-l’esperienza musicale. Il convegno è rivolto agli insegnantie agli operatori delle scuole di ogni ordine e indirizzo, nel-la convinzione che ognuno possa crescere – tra il fare e ilcapire – assaporando musica semplice o complessa, popularo di tradizione classica.

Milano, 10-11 novembre 2012Centro Congressi Fondazione CARIPLO, via Romagnosi 8

Programma del Convegno10 novembre8.45 Accoglienza9.00 Saluti delle autorità (Michele Biasutti, Presidente SIEM

nazionale; MIUR; Fondazione CARIPLO; Presidente sezione SIEM

di Milano; Presidente Fondazione Monzino).9.15 Carlo Delfrati, introduzione ai lavori9.30-10.50 Sessione 1: Competenza e pratica musicale(moderatore: Carlo Delfrati)Tomaso Vecchi, I fondamenti psicologici dell’esperienzamusicaleMaurizio Disoteo, I fondamenti socioculturali e i diritti deicittadini nei confronti della musicaDiscussione10.50 Intervallo11.05-12.25 Sessione 2: Nuovi universi di apprendimento(moderatore: Carlo Delfrati)Marco Fedi, La tecnologia al servizio della musica: pro-spettive educativeDonatella Bartolini, Zapping: giocare con la musica con-temporanea per ripensare il presenteDiscussionePerformance musicale (Orchestra Carisch)13.00 Pausa pranzo14.30 Accoglienza14.45 Maurizio Sciuto, introduzione ai lavori15.00-16.20 Sessione 3: La creatività musicale come espe-rienza di sintesi tra il fare e il pensare (moderatore: Eli-sabetta Piras)Emanuele Ferrari, Comprensione e creatività nell’ascolto.Paolo Bove, Il teatro musicale come spazio di dialogo trasaperiDiscussione16.20 Intervallo16.30-17.50 Sessione 4: La formazione musicale è pertutti (moderatore: Maurizio Sciuto)

Tutta la musica per tutti:tra fare e capire

Franco Fabbri, Comprendere e fare popular music.Giovanni Piazza, Le formazioni musicali: quali per tutti equali no.Discussione17.50 Intervallo18.00 Tre libri a confronto: Stefania Lucchetti, FrancaFerrari, Anna Maria Freschi; Gianni Nuti; Mario Baroni(conduttore: Annibale Rebaudengo)11 novembre8.45 Accoglienza9.00 Licia Sbattella, Musica e disabilità9.30 Marco Fedi, introduzione ai lavori9.45-11.05 Sessione 5: Nuovi universi di apprendimento(moderatore: Dario De Cicco)Sabina Vidulin-Orbanic, Metodologie innovative per lastoria della musica. Esperienze nella scuola croataAntonella Caputo, Psicomotricità dell’ascolto musicaleDiscussione11.05 Intervallo11.15 Sessione 6: Capire e fare musica (moderatore: Mau-rizio Sciuto)Ciro Fiorentino, Dal fare al capireLuca Aversano, Dal capire al fareDiscussione12.35-13.05 Conclusioni (Carlo Delfrati, Maurizio Sciuto)14.30 Forum delle associazioni musicali

Spazi dedicati all’interno del convegno:• “Musica e multimedia” (Alessandro Lamantea, “Musica2.0” in collaborazione con Opera Domani-ASLICO).• Tavolo delle pubblicazioni di “Musica Domani” e dei“Quaderni della SIEM”• Tavolo dedicato alla vendita delle pubblicazioni• Incontro con gli autori delle nuove pubblicazioni (CarischS.p.A; Curci; MGB Hal Leonard; Rugginenti; Volonté & Co)

Comitato tecnico-scientifico SIEM: Carlo Delfrati (coordi-natore), Donatella Bartolini, Paolo Bove, Marco Fedi, Mau-rizio SciutoStaff organizzativo: A. Antelli, B. Bega, A. Caputo, N.Comisso, A. Lamantea, V. Marucchi, L. Rivolta

La partecipazione al convegno è gratuita e avviene co-municando via email il proprio nome, cognome, recapito,telefono e indirizzo di posta elettronica all’indirizzo:[email protected] È previsto il rilascio di un attestato di parte-cipazione, che per i docenti sarà valido ai fini dell’aggior-namento ai sensi del D.M. 305/96 e 156/98. Gli insegnantipotranno anche usufruire di permesso retribuito come pre-visto dall’art. 64 del CCNL.Ulteriori informazioni e aggiornamenti sul sito www.siem-online.it e al numero 3488102803.

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