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  • 7/29/2019 Miracolo a Milano

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    TITOLO Miracolo a MilanoREGIA Vittorio De Sica

    INTERPRETI Paolo Stoppa, Alba Arnova, Emma Gramatica, GuglielmoBarnab, Brunella Bovo, Virgilio Riento, ArturoBragaglia, Anna Carena, Checco Rissone, Egisto Olivieri,Erminio Spalla, Francesco Golisano, Renato Navarrini

    GENERE CommediaDURATA 100 min. B/N

    PRODUZIONE

    Italia 1951 Palma dOro Festival del Cinema diCannes 1951Una buona vecchina, la signora Lolotta, trova un giorno sotto un cavolo un bel

    bambino, lo prende con s e gli fa da mamma. Quando Lolotta muore, il bambino,

    Tot, viene ricoverato in un orfanotrofio. Ne esce giovinetto e il caso lo mette a

    contatto con un gruppo di poveri, accampati in una zona abbandonata della periferia

    milanese. Con la sua profonda bont Tot si conquista le generali simpatie,

    esercitando un'influenza benefica sui suoi nuovi amici. Un getto di petrolio esce un

    giorno dal terreno abusivamente occupato dai poveretti: avutone notizia, il ricco

    industriale Mobbi acquista il terreno e per cacciarne gli occupanti, ottiene

    l'intervento della forza pubblica. Invocato da Tot, lo spirito di Lolotta scende dal

    cielo e consegna a Tot una bianca colomba. Col suo aiuto Tot compie i miracoli

    pi sorprendenti: i poliziotti sono sbaragliati e i poveri vedono esaudito ogni loro

    desiderio. Una breve distrazione di Tot permette a due angeli di riprendersi la

    colomba ed ecco che le guardie hanno il sopravvento, mentre Tot e i suoi amici

    vengono catturati. Ma Lolotta restituisce a Tot la colomba: liberati, Tot e i suoi

    amici si involano verso un mondo pi giusto sulle scope degli spazzini di piazza del

    Duomo

    Ci basta una capanna per vivere e dormir, ci basta un po di terra per vivere emorir

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    Tratto dal racconto Tot il buono, del 1943, di Cesare Zavattini, la cui collaborazioneaveva permesso a De Sica di girare nel 1946 Sciusci e nel 1948Ladri di biciclette.Era logico che tutti nutrissero grandi aspettative per questo film, che era invecedestinato a essere il pi discusso della carriera del regista. Acclamato a Cannes, dove

    vinse la Palma d'Oro, Miracolo a Milano fu invece aspramente criticato in Italia,dove apparve a molti un tradimento rispetto alla lezione di cinema impegnato delneorealismo.

    Critica:Nella letteratura italiana danteguerra Cesare Zavattini rappresenta forse uno dei pi

    singolari e pi fervidi esempi di quelfavolismo che, sempre in procinto dicadere nellafumisterie, sa mantenersisul piano della poesia grazie a unaintelligenza lucida e vigile. 1940,1943, 1949. Nove anni dopo lanascita del primo Tot, sei annidopo la sua trasposizione letteraria,ecco Zavattini ritornare alla suaprima idea cinematografica ed eccolopensare cos per Vittorio De Sica untesto che, accogliendo parte delsoggetto del 40 e parte del romanzo

    del 43, potesse diventare per ilregista di Sciusci una feliceoccasione per tentare sulla via delrealismo cinematografico quelle vie

    irreali che Zavattini, per il cinema, aveva da tempo messo in disparte. Il protagonistadella terza storia, cos, Tot, anche sullo schermo nasce fra le foglie di un cavolo eprende cura e custodia di lui una buona vecchina, la signora Lolotta. Quando lasignora Lolotta muore, Tot ha sei anni eviene ricoverato in un orfanotrofio. Ne esce

    gi grandicello con lanimo ricolmo di bonte di amore e trova subito modo di rendersiutile al suo prossimo ponendosi alla testa diun gruppo di poveri diavoli senza arte nparte, accampato fra i rottami e i rifiuti dellaperiferia milanese. Un bel giorno duranteuna festa che ha riunito tutti gli abitanti delmisero villaggio attorno a un albero dellacuccagna, sgorga dal suolo un getto di

    petrolio. Uno dei poveri capiscelimportanza della cosa e avverte un ricco industriale il quale acquistaimmediatamente il terreno e, per poterlo sfruttare, ingiunge ai poveri di sloggiare sui

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    due piedi. I poveri resistono e il ricco interviene allora di persona guidando folteschiere di poliziotti al suo soldo. Quando per i poveri sembra sonata lultima ora,ecco che lo spirito della signora Lolotta compare a Tot; la vecchia ha fra le mani unacolomba e la porge al figlio dicendogli di servirsene per ottenere tutto quello che

    vuole. Tot ladopera subito come strumento di guerra contro i ricchi, ma siccome fondamentalmente buono si limita a compiere ai danni dei poliziotti una serie discherzucci che li mettono presto nella impossibilit di nuocere. I poveri, per, hannovisto i prodigi della colomba ai danni dei ricchi ed ora, a gran voce, chiedono a Tot iprodigi in loro favore; chiedono un podi tutto, cappelli a cilindro, pellicce,lampadari, milioni e si copronoreciprocamente di vituperi per arrivarprima ad essere favoriti e per essere,ciascuno, il pi favorito degli altri. Allafine, tuttavia, due spiriti, rotolando gidalle nuvole, si riprendono la colomba,i ricchi cos hanno il sopravvento erinchiudono tutti i poveri in un lungocorteo di cellulari; lo spirito dellasignora Lolotta, per, sempre desto edeccolo tornare di nuovo da Tot per ridargli la colomba; sulla gran piazza milaneseun altro miracolo si compie: i cellulari si aprono per forza dincantesimo e i poveri,cavalcando le scope degli spazzini, prendono il volo fra le guglie del Duomo, verso

    un regno dove secondo una frase del romanzo buon giorno vuol dire veramentebuon giorno. Questo il filone centrale della terza storia di Tot. ~Un elementofondamentale la distingue dalle altre: pur essendo favola, non accade pi in un luogoimprecisato e questo aumenta quellurgere di dati reali, anzi realistici, che abbiamovisto Zavattini fondere cos felice mente a quelli irreali nei suoi testi letterari. Glielementi contrastanti, per, in questa nuova stesura, sono molto pi numerosi che in

    passato. La favola, la grande favola, alcinema ha sempre avuto due nomi:Chaplin e Clair. Forse perch,

    inconsciamente, questi due nomicircolavano nella sua opera letteraria,Zavattini li ha accolti entrambi nellasceneggiatura: al primo ha affidato lasoluzione delle situazioni pidirettamente sentimentali, riservandoal secondo (quello del Milione) lasoluzione delle situazioni pigradevolmente umoristiche, soprattutto

    se considerate da un punto di vista corale. Per se stesso si scelta la parte irreale equella girandola di trovate umoristiche con cui intendeva infiorettare tutta la vicenda,dando a volte nella satira, a volte contentandosi del grottesco pi bonario. Limpresa

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    non era facile, anche come testo scritto, e se raggiungere lequilibrio fra reale eirreale era gi un compito ingrato, ritrovare e conservare quello fra Chaplin e Clair equello con lo Zavattini inventore di gags diventava una fatica a dir poco rischiosa. Eil rischio, cos, si fatto avanti in modo qua e l anche molto evidente. Per

    soddisfare, difatti, tutte queste tendenze, Zavattini e i suoi collaboratori hanno primadi tutto messo quasi in disparte quel prezioso equilibrio fra dato reale e fantasia checostituiva tutta la magia dellopera originaria; in secondo luogo hanno trascurato lepsicologie dei personaggi principali, colorendo di converso in modo forse eccessivoquelle di molti secondari, consentendo, quindi, che il racconto fosse sovente lacunosoe che lumorismo di cui pervaso divenisse il pi delle volte meccanico, scadendoqua e l fino a toni farseschi di gusto poco controllato. Dopo un avvio ballettistico dichapliniana felicit la nascita e la crescita di Tot, la morte della signora Lolotta, isuoi funerali il racconto indugia perdendosi in trovate un po semplici e trascurandolumanit vera dei personaggi. In seguito, quando lazione si accende della guerra fraricchi e poveri, il racconto, pur rianimandosi, ristagna attorno a una nuova serie diinvenzioni minute, alcune sempre poetiche altre solo generiche. Con una tale caricadintelligenza, di spirito e, a ben ricercarla, di gradevole poesia, se ne sarebbe potutocomunque ottenere un film di preziosissimo stile. A De Sica, invece, questa volta mancato quel dono di sapere umanissimamente interpretare lintelligenza diZavattini, riscaldandone, se necessario, le asperit e concretizzandone, nel caso, leastrattezze. Il terzo Tot era divenuto, senza alcun dubbio, unoperaintellettualistica, per condurla alla poesia andava sfrondata proprio da questo

    intellettualismo, liberandola dagli altri

    difetti di equilibrio. De Sica non lo ha fatto.Non ha inteso il testo fino in fondo, non sene impadronito, non lo ha quindisuperato; anzi, nei momenti meno felici, ne rimasto quasi vittima. Salvo nella primaparte in cui i motivi alla Chaplin sono statiespressi con lucido fervore, e salvo taluniepisodi profondamente umani per i quali sipu sinceramente parlare di perfezione la

    caccia che i poveri fanno al raggio di sole,la loro marcia fra le nebbie contro i ricchi

    per il resto lequilibrio poetico raramente raggiunto. Le parti sentimentali, allaChaplin, restano fredde, quelle comiche, alla Clair, rasentano molto spesso ilbozzettismo. Quanto agli elementi surrealisti, locchio realistico di De Sica non hasaputo guardarli con lincanto della fiaba; i dati veri son rimasti quelli che erano e sudi essi, a forza, si sovrapposto lelemento irreale con una tale netta evidenza da farpensare quasi a un realismo dellirrealismo. Nemmeno lombra, quindi dei trasognaticlimi di passaggio propri alla letteratura zavattiniana. Dove invece De Sica, a parte

    gli episodi citati, ha saputo raggiungere la pi autentica poesia stato nella scopertadi Milano e della sua atmosfera nevosa, piovosa, nebbiosa, sentita, con tragicaintuizione, come una adesione perfetta della cornice agli stati danimo. Qui, cos, e

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    nel disegno di alcuni tipi secondari, si ritrova il vero De Sica, quello che anche inquesto film sa imporsi per la sapienza della sua tecnica e per la dignit del suo stile.Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 18 Febbraio 1951

    Tot il buono, protagonista delromanzo omonimo di Zavattini edel film Miracolo a Milano, unorfano che capita a vivere in uncampo di vagabondi. Di animodelicatissimo e riformatore, Totd un aspetto urbano al campo,consola gli afflitti, d a tuttilillusione di vivere normalmente.I guai cominciano quando siscopre che il campo una riccasorgente di petrolio. I vagabondidovranno essere sfrattati dal

    rapace acquirente del campo, il banchiere Mobbi, che si presenta prima in veste didemagogo e, alla fine, scoperto il giuoco, colle sue comiche squadre di poliziotti.Senonch la buona fatina di Tot d a costui una colomba (probabilmente ex modelladi Picasso), capace di ogni miracolo: e Tot si serve del suo talismano per ritardare lavittoria del banchiere ed infine per volarsene con tutti i suoi vagabondi in un altroregno, un regno dove la parola buongiorno vuol dire veramente buongiorno. Prima

    del volo finale, Tot ha naturalmente esaudito tutti i modesti desideri dei suoi amici:quasi tutti hanno chiesto una pelliccia uguale a quella del banchiere Mobbi. Daquesto breve sunto, speriamo risulti che il sospetto in cui ogni artista deve tenere ilcinema per lestrema libert checoncede alla fantasia, non hasfiorato sufficientemente gli autoridel film, De Sica e Zavattini. In

    Miracolo a Milano, vogliamo dire,le rotture della realt, i colpi di

    bacchetta magica sono forse pi delnecessario e soffocano alla fine unracconto che avrebbe potuto essereun capolavoro di umorismo e disatira. Un seguito di belle scene, dibattute felici, di invenzioni bizzarrenon basta a fare un film se manca ilsostegno di una realt plausibile, se manca una morale, cio se le invenzioni nonsono giustificate da quella logica delle favole, che appunto perch libera impone pi

    limiti. Si aggiunga che il cinema di per se stesso unarte abbondantementemiracolosa. Sullo schermo le leggi che regolano luniverso sono cos a discrezionedellautore, anzi possono tanto essere capovolte, gli asini volare, i fantasmi parlare (e

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    ci accade purtroppo con frequenza) perch non si debba temere, sotto questaapparente libert, il tranello della licenza. I poveri di Zavattini, noto, sono matti.Questa volta hanno sopraffatto i poveri di De Sica che invece debbono la loroumanit al fatto di conservare la ragione. Gli sciusci, i ladri di biciclette ci

    interessano perch sono nostri fratelli. la loro umanit che li porta a soccombere,par delicatesse. I vagabondi hanno invece valicato quel confine oltre il quale certeparole perdono il loro corrente significato e neassumono un altro, forse egualmente giusto, maper noi incomprensibile. Ecco perch i poveri chevediamo in questo film non ci commuovono senon quando si mettono nei nostri panni. Ladifferenza tutta qui: che i poveri di Zavattinihanno superato la sconfitta e si raccontanostorielle a vicenda, quelli di De Sica soffrono sottoil peso di unincomprensione, anelano ad unasociet le cui leggi sono scritte nel loro cuore. Ma

    che cosa hanno portato gli zavattiniani in questo film, se non una disposizione aldivertimento, al non sense, che li spinge alle azioni pi impensate ma spesso anchepi gratuite? La comicit, la grazia di certe situazioni di Miracolo a Milano sonoindubbie, ma si resta alla fine come defraudati dei tanti anticipi concessi su unapartecipazione che avrebbe voluto essere totale e giustificata. I momenti di rarabellezza, ripetiamo, non mancano. Non sidimenticano facilmente certe scene come

    quelle del funerale o quella dei poveri che siscaldano allunico raggio di sole che riuscito a forare, come in un quadro sacro, lanebbia milanese. O la scena del pollo,mangiato in silenzio, sotto lo sguardo deglialtri poveri, dal vagabondo che ha vinto ilpremio della lotteria gastronomica. O ancoralaltra scena dei viaggiatori in vagone lettoche guardano e sono guardati (con curiosit

    quasi scientifica e comunque priva di ogniemozione) dai miserabili abitanti dei campo.Sono scene nelle quali si sente che i poveridi De Sica hanno avuto qualche parola da dire. Per il resto, siamo alle freddure. Cos:i poveri che pagano per ammirare il tramonto; o il ricco banchiere che per barometrotiene appesa fuori della sua finestra una delle sue guardie. In questo incessantefratturarsi della continuit emotiva sta certo il segreto della freddezza di Miracolo a

    Milano; film tuttavia nobilissimo, e in cui De Sica dimostra di essere un direttore diimmense capacit, riuscendo per tutto il tempo a tener viva una storia che altri ci

    avrebbero consegnato morta sin dallinizio.Ennio Flaiano, Il Mondo, n. 7, 17 febbraio 1951(a cura di Enzo Piersigilli)