Metafisica. Classici contemporanei. RIASSUNTO

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METAFISICA A) ESISTENZA Il concetto di esistenza è alla base di qualsiasi indagine metafisica. È difficile pensare che si possa spiegare in che cosa consista l'esistenza, o a che cosa equivalga esister e. Semmai ci si può chiedere che cosa significhi dire che qualcosa esiste. Kant osservava che verbi come «esistere» ( o «essere») non esprimono predicati reali, cioè non esprimono un concetto che si possa «aggiungere» al concetto di ciò di cui si sta parlando. In tempi più recenti, si è soliti esprimere questo punto di vista dicendo che tali verbi non sono dei predica ti e quindi che 1'esistenza non è una proprietà. Se «esistere» non è un predicato, se non ha senso pensare di poter separare le cose che esistono da quelle che non esistono nello stesso modo in cui separiamo le cose che sono rosse da quelle che non lo sono, come si fa a render conto del disaccordo che può sussistere in casi particolari, quandosi tratta di dichiarare che cosa esiste? Quine non ha dubbi in proposito: esiste tutto, giacché non ha senso parlare di «entità inesistenti». Ma dire «tutto» equivale a dire nulla se non in presenza di un criterio che determini la portata di questa parola. Il problema di dichiarare il proprio credo antologico si trasforma così in quello di esplicitare i propri presupposti ontologici, e la metafisica si ritrova intimamente legata all'analisi semantica del linguaggio: si tratta , in ultima analisi, di stabilire quali entità debbano ricadere nel «tutto» affinché le nostre asserzioni sul mondo, ovvero le asserzioni implicate dalla nostra teoria sul mondo, risultino vere. QUINE(2) è esplicito nel negare che «esistere» possa avere più di un significato , e questo punto di vista è implicito anche nel saggio di Moore. (1) MOORE Non tutti i filosofi contemporan ei, però, la pensano allo stesso modo, e nel dibattito che è seguito si possono distinguere almeno tre diverse posizioni. - La prima consiste nell'affermare che entità di tipo diverso possano esistere secondo forme o modalità diverse: i corpi materiali, per esempio, esister ebbero in un «senso diverso» da quello in cui si può dire che esistano le entità mentali. (3) RYLE - La seconda posizione consiste nel negare che tutte le asserzioni esistenziali abbiano la stessa portata: vi è incommensurabilità tra questioni esistenziali «interne» ed «esterne», ovver o t ra questioni riguardanti 1'esistenza o meno di certe entità nell' ambito di una data struttur a linguistica, e questioni riguardanti invece l'accettabilità o meno della struttura medesima. Rispetto al linguaggio della matematic a, per esempio, l'esistenza o meno di una certa funzione sarebbe una questione interna, risolubile sulla base delle risorse messe a disposizione dal linguaggio stesso, mentre chiedersi se le funzioni esistano davvero sarebbe una questione esterna, poiché riguarder ebbe la realtà del mondo presupposto da quel linguaggio. (4) CARNAP - La terza posizione consiste nel negare che si possa parlare di esistenza in un senso assoluto: sarebbe illecito pensare di poter fornire un'immagine del mondo che non rifletta in qualche modo i pregiudizi dello schema concettuale a cui facciamo riferimen to. (5) PUTNAM 1) [Esistere ed «esistere»] “L'esistenza è un predicato?”, di Moore. Kneale diceva: “L'esistenza non è un predicato”. «Esiste» e le altre parti finite del verbo «esistere» non «stanno per attributi», invece «è rosso» (oppure «rosso»), «ringhiano», «ringhia» stanno realmente per attributi. Un'importante diff erenza tra l'uso d i «ringhiano» in «Delle t igri addomesticate ringhiano» e l'uso di «esistono» in «Delle tigri addomesticate esistono» consiste nel fatto che nel primo caso, se inseriamo un «non» prima di «ringhiano», senza cambiare il significato di «ringhiano», otteniamo un enunciato significante, mentre, nel secondo caso, se inseriamo un «non» prima di «esistono», senza cambiare il significato di «esistono», otteniamo un enunciato assolutamente privo di significato. L'uso di «esiste» in questione sarebbe quello che nei Principia Mathematica è simbolizzato da «E!», e ci sarebbe qui per sostenere che «esiste» non «sta per un attributo».

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METAFISICA

A) ESISTENZA

Il concetto di esistenza è alla base di qualsiasi indagine metafisica.

È difficile pensare che si possa spiegare in che cosa consista l'esistenza, o a che cosa equivalga esistere. Semmaici si può chiedere che cosa significhi dire che qualcosa esiste.Kant osservava che verbi come «esistere» ( o «essere») non esprimono predicati reali, cioè non esprimono unconcetto che si possa «aggiungere» al concetto di ciò di cui si sta parlando. In tempi più recenti, si è solitiesprimere questo punto di vista dicendo che tali verbi non sono dei predicati e quindi che 1'esistenza non è unaproprietà.Se «esistere» non è un predicato, se non ha senso pensare di poter separare le cose che esistono da quelle chenon esistono nello stesso modo in cui separiamo le cose che sono rosse da quelle che non lo sono, come si fa arender conto del disaccordo che può sussistere in casi particolari, quandosi tratta di dichiarare che cosa esiste?Quine non ha dubbi in proposito: esiste tutto, giacché non ha senso parlare di «entità inesistenti». Ma dire«tutto» equivale a dire nulla se non in presenza di un criterio che determini la portata di questa parola. Ilproblema di dichiarare il proprio credo antologico si trasforma così in quello di esplicitare i propri presuppostiontologici, e la metafisica si ritrova intimamente legata all'analisi semantica del linguaggio: si tratta, in ultimaanalisi, di stabilire quali entità debbano ricadere nel «tutto» affinché le nostre asserzioni sul mondo, ovvero leasserzioni implicate dalla nostra teoria sul mondo, risultino vere.

QUINE→ (2) è esplicito nel negare che «esistere» possa avere più di un significato, e questo punto di vista èimplicito anche nel saggio di Moore. → (1) MOORENon tutti i filosofi contemporanei, però, la pensano allo stesso modo, e nel dibattito che è seguito si possonodistinguere almeno tre diverse posizioni.- La prima consiste nell'affermare che entità di tipo diverso possano esistere secondo forme o modalità diverse:i corpi materiali, per esempio, esisterebbero in un «senso diverso» da quello in cui si può dire che esistano leentità mentali. → (3) RYLE- La seconda posizione consiste nel negare che tutte le asserzioni esistenziali abbiano la stessa portata: vi èincommensurabilità tra questioni esistenziali «interne» ed «esterne», ovvero tra questioni riguardanti1'esistenza o meno di certe entità nell' ambito di una data struttura linguistica, e questioni riguardanti invecel'accettabilità o meno della struttura medesima. Rispetto al linguaggio della matematica, per esempio,l'esistenza o meno di una certa funzione sarebbe una questione interna, risolubile sulla base delle risorsemesse a disposizione dal linguaggio stesso, mentre chiedersi se le funzioni esistano davvero sarebbe unaquestione esterna, poiché riguarderebbe la realtà del mondo presupposto da quel linguaggio. → (4) CARNAP- La terza posizione consiste nel negare che si possa parlare di esistenza in un senso assoluto: sarebbe illecitopensare di poter fornire un'immagine del mondo che non rifletta in qualche modo i pregiudizi dello schema

concettuale a cui facciamo riferimento. → (5) PUTNAM

1) [Esistere ed «esistere»] “L'esistenza è un predicato?”, di Moore.

Kneale diceva: “L'esistenza non è un predicato”.«Esiste» e le altre parti finite del verbo «esistere» non «stanno per attributi», invece «è rosso» (oppure«rosso»), «ringhiano», «ringhia» stanno realmente per attributi.Un'importante differenza tra l'uso di «ringhiano» in «Delle tigri addomesticate ringhiano» e l'uso di «esistono»in «Delle tigri addomesticate esistono» consiste nel fatto che nel primo caso, se inseriamo un «non» prima di

«ringhiano», senza cambiare il significato di «ringhiano», otteniamo un enunciato significante, mentre, nelsecondo caso, se inseriamo un «non» prima di «esistono», senza cambiare il significato di «esistono»,otteniamo un enunciato assolutamente privo di significato.L'uso di «esiste» in questione sarebbe quello che nei Principia Mathematica è simbolizzato da «E!», e ci sarebbequi per sostenere che «esiste» non «sta per un attributo».

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Ciò si evidenzia nel fatto che se dico: “Questa è una tigre addomesticata, ed esiste” , diventa privo di significato.A conferma, ancora, che l'esistenza non è un attributo.Ciò che viene inteso col dire che «è una tigre addomesticata», «è un libro», «è rosso», ecc., «stanno perattributi», è che una parte ma non il tutto di ciò che viene asserito da qualsiasi «valore» di «x è un libro», «x èrosso», ecc., è «Questo esiste». → “Questo (esiste ed) è un libro”.In tal caso si può dire che «esiste» in «Questo esiste» non «sta per un attributo», solamente in virtù del fattoche qui la totalità asserita, e non meramente una parte, è «Questo esiste».

2) [Esistenza e impegno ontologico] “Su ciò che vi è”, di Quine

  1. dimostra la possibilità di usare termini singolari senza impegnative ontologiche;Problema: dire che qualcosa non esiste ci si riferisce comunque ad essa negandola. Quindi le si dà esistenzanegandola.Soluzione: Si trattava di tradurre enunciati ontologicamente problematici, riguardanti entità inesistenti, nellaloro forma logica appropriata, e proprio tale traduzione consentiva di mettere in luce il difetto ontologicoimplicito.L’enunciato “l’attuale re di Francia è calvo” non sembra essere né vero, né falso, e neppureinsensato, ma ci accorgiamo che è semplicemente falso nel momento in cui lo traduciamo

nell’equivalente “esiste oggi un re di Francia ed è calvo”. Allora vediamo bene che l’enunciato ha laforma di una congiunzione in cui uno dei congiunti è falso, dunque è falso.Ora Quine nota che questo metodo russelliano consente di separare brillantemente la questione dellasignificatività degli enunciati dalla questione ontologica, ossia dalla domanda sull’esistenza o meno delle entitàin questione.Diremmo: la teoria delle descrizioni “isola” la parte ontologica dell’enunciato impedendole di generareequivocità.Tutto ciò si vede molto bene nel caso che Quine chiama “la barba di Platone”, ossia nella difficoltà di trattare inomi che indicano entità non esistenti.Per esempio nel caso di “Pegaso vola”, la traduzione: x (x è Pegaso x vola) mostra che non siamo di fronte a∃ ∧

una struttura nome/predicato (ossia a “x vola” saturato con “Pegaso”) ma a due predicati: “essere Pegaso” e

“volare”.

  2. dimostra la possibilità di usare termini generali in modo altrettanto neutrale sul piano ontologico;Quine formula allora il noto e provocatorio principio “esistere significa essere il valore diuna variabile”. Vi è un abisso fra significare e denotare.Es: la locuzione «Stella della sera» denota un certo oggetto fisico grande e di forma sferica, che viaggia per lospazio a parecchi milioni di miglia dalla terra. La locuzione «Stella del mattino» denota la stessa cosa, comeprobabilmente fu stabilito per la prima volta da qualche attento babilonese. Ma non si può dire di certo che ledue locuzioni abbiano lo stesso significato; altrimenti quel babilonese si sarebbe potuto risparmiare le sueosservazioni e gli sarebbe bastato riflettere sul significato delle parole impiegate. Dal momento che i duesignificati san diversi tra loro, devono allora essere altro dall' oggetto denotato, che invece è uno e il medesimo

in entrambi i casi.Anche nel caso di Pegaso, si è confuso l'oggetto denotato col significato della parola.Quine si limita a osservare che la pretesa esistenza necessaria degli universali deriva da una reificazione(ontificazione) del significato, ossia dalla tendenza a concepire il significato come una cosa o una entità che inomi “hanno”.La tesi di Quine è che invece la significanza va intesa in termini di sinonimia.Non c'è affatto bisogno che un termine, per avere significato, debba essere un nome di qualcosa.

  3. indica la presenza di pregiudiziali ontologiche, nella forma di “schemi concettuali”, in qualsiasi teoria;L’idea di fondo di Quine è che comunque una teoria implica sempre qualche legame con una ontologia disfondo, che qui viene accostata alla nozione (problematica e cruciale) di “schema concettuale”.

L’ontologia è fondamentale per la costituzione dello schema concettuale con cuisi interpretano tutte le esperienze, anche le più comuni”; “Le asserzioni ontologiche seguonoimmediatamente da ogni sorta di fortuite e banali asserzioni di fatto”.D’altra parte, anche le diverse posizioni sui fondamenti della matematica in realtà si riducono sostanzialmente a“divergenze circa la gamma di entità cui sia lecito far riferire le variabili vincolate”.

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  4. suggerisce di trattare il confronto tra ontologie su un piano puramente semantico, linguistico.“Finché si può riuscire a tradurre la nostra controversia ontologica in una controversia semantica sull’uso deitermini si può evitare che essa scada in una petizione di principio” .Abbiamo già visto che la valutazione e il confronto di teorie ontologiche rivali avviene per via semantica, maresta da chiedersi se esistano criteri per decidere quali soluzioni siano effettivamente migliori.L’unico criterio riconosciuto da Quine è il criterio (semplicità/ economia) ottenibile tramite:- l’esclusione delle entità platoniche.- il principio della “riduzione ontologica”, ossia la definizione dei termini indicanti oggetti di una certa teoria nei

termini degli oggetti di un’altra teoria. Questo tipo di traduzione ontologica è allabase del progresso scientifico.Il criterio di economia concettuale, semplicità o eleganza, non è però univoco, nel senso che diversischemi concettuali o diverse ontologie possono soddisfarlo. Per esempio, una notevole semplicità esplicativapuò dare luogo a schemi concettuali contrapposti, come il fiscalismo e il fenomenismo. Ciascuno ha i suoivantaggi, ciascuno presenta un suo tipo di semplicità. La tesi di Quine in queste pagine è che sono entrambiaccettabili, e da accettarsi, benché il fenomenismo sia preferibile “in senso epistemologico”, il fiscalismo “insenso fisico”. In realtà dai rispettivi punti di vista, ciascuno degli altri due sembra “un mito”.

3) [I modi dell'esistenza] “Esistenza ed errori categoriali”, di Ryle

Quando due termini appartengono alla stessa categoria, le proposizioni congiuntive che li incorporano sonoappropriate. Dunque, si può dire di avere comprato un guanto sinistro e uno destro, ma non di aver compratoun guanto sinistro, uno destro e un paio di guanti.Il dogma dello spettro nella macchina fa esattamente qualcosa del genere. Sostiene che esistono sia corpi siamenti, che hanno luogo processi sia fisici sia mentali, che vi sono sia cause meccaniche sia cause mentali deimovimenti corporei.Ora, io non nego che abbiano luogo processi mentali. Eseguire una lunga divisione è un processo mentale e lo èanche fare una battuta. Tuttavia, l'espressione «hanno luogo processi mentali» non ha lo stesso significato di«hanno luogo processi fisici», e perciò non ha senso congiungere o disgiungere le due frasi.

Di conseguenza, l'apparente contrapposizione fra mente e materia è illegittima. Ritenere il contrario significaaccettare la loro appartenenza al medesimo genere logico e si direbbe qualcosa come: “O ha comprato unguanto sinistro e un guanto destro, oppure ha comprato un paio di guanti (ma non entrambe le cose)”.Tuttavia, queste espressioni non indicano due diverse specie di esistenza, perché «esistenza» non è una parolache rimanda a un genere, come «colorato» o «sessuato». Esse indicano, invece, due sensi differenti di«esistere», un po' come «cresce» ha sensi differenti in «cresce la marea», «cresce la speranza» e «la longevitàmedia cresce».

4) [Questioni esistenziali esterne e interne] “Empirismo, Semantica e Ontologia”, di Carnap

Se qualcuno desidera parlare, nel proprio linguaggio, di un nuovo genere di entità, deve introdurre un sistemadi nuovi modi di espressione, soggetti a nuove regole; chiameremo questo procedimento la costruzione di unsistema di riferimento linguistico per le nuove entità in questione.Dobbiamo ora distinguere due specie di problemi di esistenza:- il primo, il problema dell'esistenza di certe entità del nuovo tipo entro il sistema di riferimento, lo chiameremoproblema interno;- il secondo, concerne l'esistenza o realtà del sistema di entità come un tutto, chiamato problema esterno.L'essere reale in senso scientifico significa essere un elemento del sistema; questo concetto, quindi, non puòessere sensatamente applicato al sistema stesso.Dobbiamo distinguere con chiarezza i problemi interni da quelli esterni, cioè, i problemi filosofici concernentiresistenza o la realtà di tutto il sistema delle nuove entità. Molti filosofi considerano un problema di questo tipocome un problema antologico, che deve essere sceverato e risolto prima dell'introduzione delle nuove forme dilinguaggio. Essi ritengono che un procedimento come quello qui seguìto sia legittimo solo se può esseregiustificato da una intuizione ontologica, che assicuri una soluzione positiva del problema della realtà. Incontrasto con questo punto di vista, noi assumiamo che l'introduzione di nuovi modi di dire non richieda

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necessariamente una giustificazione teoretica, non implicando alcuna asserzione di realtà. Possiamo continuarea parlare (come abbiamo fatto) dell'«accettazione di nuove entità», perché questo modo di dire è usuale; ma sideve tener presente che per noi questa frase non ha altro significato che quello dell'accettazione del nuovosistema di riferimento, cioè delle nuove forme linguistiche. Soprattutto, ciò non deve essere interpretato comeassunzione, credenza, o asserzione della «realtà delle entità» considerate. Non vi è alcuna asserzione delgenere. La pretesa asserzione della realtà del sistema di entità sarebbe uno pseudo-enunciato privo dicontenuto conoscitivo. Senza dubbio, a questo punto dobbiamo affrontare un quesito importante, ma si trattadi un quesito pratico, e non teorico; il problema è se accettare o no le nuove forme linguistiche. L'accettazione

non può essere giudicata vera o falsa, poiché non è un' asserzione. Può essere giudicata solo un espediente piùo meno utile, o fecondo, o idoneo a condurre al conseguimento dello scopo cui il linguaggio è destinato. Giudizidi questo tipo forniscono le motivazioni per accettare o respingere il tipo di entità in questione. Così, è chiaroche l'accettazione di un sistema di riferimento linguistico non implica una dottrina metafisica concernente larealtà delle entità considerate.

5) [Esistenza e relatività concettuale] “Il realismo interno”, di Putnap

Il realismo interno consiste, in fondo, solo nell'insistere che il realismo non è incompatibile con la relativitàconcettuale.

La relatività concettuale suona un po' come «relativismo», ma non ne ha nessuna delle conseguenze del tipo:«non c'è verità da scoprire … 'vero' è solo un termine per ciò su cui un gruppo di persone sono d'accordo». Unpiccolo esempio illustrerà ciò che voglio dire.Consideriamo un «mondo con tre individui» x1, x2, x3. Quanti oggetti vi sono in questo mondo?Possono esserci delle entità non astratte che non sono «individui»? Una possibile risposta è «no».Ma vi sono delle ottime teorie logiche che portano a differenti risultati: per ogni due oggetti ve n'è uno che è laloro somma (mereologia).Se ignoriamo, per il momento, il cosiddetto “oggetto-nullo”, troviamo che il “mondo di tre individui” neconsiste in realtà di sette. Con l'oggetto nullo, otto.Ora è ben nota la classica strategia della metafisica realista di fronte a questo problema. Consiste nel dire che

c'è un singolo mondo (una specie di pasta) che può essere tagliato a pezzi in diversi modi. Ma questa metaforadello «stampo per torte» affonda alla domanda: «Quali sono i pezzi della pasta?».Non è accidentale che il realismo metafisico non riesca veramente a riconoscere il fenomeno della relativitàconcettuale, poiché questo fenomeno emerge dal fatto che le primitive logiche stesse, e in particolare lenozioni di oggetto e esistenza, hanno una moltitudine di usi diversi piuttosto che un «significato» assoluto.Tuttavia, la domanda «Quanti oggetti esistono?» ha una risposta che non è affatto una questione di«convenzioni». Ecco perché io dico che esempi di questo genere non devono portare a un relativismo culturaleradicale. I nostri concetti possono essere relativi a una data cultura, ma da questo non segue che la verità ofalsità di tutto ciò che diciamo usando questi concetti sia semplicemente «deciso» dalla cultura. Ma è meraillusione l'idea che vi sia un punto di Archimede, un uso di «esistere» inerente al mondo stesso, per il quale ladomanda «Quanti oggetti realmente esistono?» abbia senso.

Ciò che è in un certo senso lo «stesso» mondo può essere descritto in una versione come consistente di «tavolie sedie» (e questi come dotati di colori e di proprietà disposizionali ecc.), e come consistente di regioni dellospazio-tempo, particelle e campi, nell'altra versione.(=focalizzare su modalità diverse)

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B) IDENTITA' (sincronica: astratta dall'evoluzione temporale)

La nozione di esistenza è intimamente connessa a quella di identità, al punto che si può pensare dicaratterizzare la prima attraverso la seconda: affermare resistenza di una certa entità A equivale ad asserire chequalcosa è identico ad A.Sul piano metafisico resta da chiarire quali siano le condizioni che determinano il sussistere di un nesso diidentità.

A questo riguardo, vi sono almeno tre principi diversi ai quali si è soliti fare riferimento.- Il primo è il principio, dovuto a Leibniz, stando al quale una condizione sufficiente per l'identità è costituitadall'uguaglianza qualitativa, o indiscernibilità: se A e B godono delle medesime proprietà, allora A = B.BLACK → (1) apre un fecondo dibattito in merito alla sua validità nel caso degli oggetti materiali, soprattutto seci si affida a una concezione di stampo empirista in base alla quale queste entità non sono altro che fasci diproprietà.- secondo principio è solitamente attribuito a Locke e individua le condizioni di identità degli oggetti materialinella coincidenza spazio-temporale, o co-localizzazione: se A e B si trovano in uno stesso luogo nello stessopreciso momento, allora A = B.Il saggio di WIGGINS → (2) testimonia l'ingresso ufficiale di questo principio nella riflessione filosoficacontemporanea.

- Infine vi è il principio di ispirazione nominalista, e per certi aspetti materialista, in base al quale le condizioni diidentità di un oggetto risiedono nella sua composizione mereologica, ovvero nelle relazioni che legano le partial tutto: se A e B hanno gli stessi costituenti, allora A = B.LOWE → (3) ne mette in discussione l'attendibilità, mentre LEWIS → (4) lo difende.

Altre questioni fondamentali riguardano il fatto se- abbia senso parlare di identità in termini assoluti .Per buona parte degli autori contemporanei la risposta è affermativa, ma a partire dal saggio di GEACH → (5) ha preso corpo l'ipotesi per cui affermazioni della forma «A = B» siano incomplete: proprio come non ha sensochiedersi in termini assoluti se A è migliore di B, ma solo se è migliore quanto a sapore, a colore, a resistenza, evia dicendo, analogamente non avrebbe senso chiedersi in termini assoluti se A è identico a B, ma solo se A e Bsono la stessa persona, lo stesso ministro, lo stesso organismo biologico, e così via.- La seconda questione è se l'identità sia una relazione indeterminata, cioè se vi siano oggetti A e B per i qualil'asserzione «A = B» è priva di un valore di verità definito. La mia mano è esattamente questa parte del miocorpo? Il Cervino è l'oggetto che occupa precisamente la regione R? Quella nuvola è l'aggregato delle molecolem1 … mn?Tale questione, se sì, ci sono oggetti vaghi, oppure no, il mondo è perfettamente determinato e la vaghezza èuna caratteristica del linguaggio di cui ci serviamo per parlarne, è trattato dal saggio di EVANS → (6).

1) [Identità e uguaglianza qualitativa] “L'identità degli indiscernibili”, di Black

Black ha argomentato contro il principio dell'identità degli indiscernibili tramite un controesempio.[Universo simmetrico]“Non è forse logicamente possibile che l'universo avrebbe potuto contenere nient'altro che due sfereperfettamente simili? Potremmo Supporre che ognuna di esse fosse fatta di ferro chimicamente puro, avesseun diametro di un miglio, che esse avessero la stessa temperatura, lo stesso colore e così via, e che nient'altroesistesse. Allora ogni qualità o caratteristica relazionale dell'una sarebbe anche una proprietà dell'altra.Orbene, se ciò che sto descrivendo è logicamente possibile, non è impossibile che due cose abbiano tutte leproprietà in comune. Mi sembra che questo confuti il principio. (…)Dire che le sfere sono in «luoghi diversi» equivale appunto a dire che c'è una certa distanza fra le due sfere; eabbiamo già visto che ciò non varrà a distinguerle. Ognuna è a una certa distanza – invero la stessa distanza –dall'altra. ”Questo dimostra che anche le proprietà di relazione non sono sufficienti a distinguere due oggetti identici in unmondo simmetrico.

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2) [Identità e coincidenza spazio-temporale] “Trovarsi nello stesso luogo allo stesso tempo”, di Wiggins

Non è semplice asserire il principio tale per cui due oggetti non possono trovarsi nello stesso luogo allostesso tempo.Per esempio, un albero e le sue molecole costituenti non sono identici (l'albero non è la somma delleparti), eppure essi simultaneamente occupano lo stesso volume.C'è bisogno, quindi, di quantificare il principio per evitare simili controesempi.Infatti, ciò non deve suggerire che “albero” sia qualcosa in più rispetto a “molecole costituenti”. Non lo è

affatto. L' «è» della costituzione materiale non è l' «è» a dell'identità.Cose come gli alberi e gli aggregati che essi «sono» (= di cui consistono) appartengono a tipi logici diversi.

Ma cosa dire delle ombre o dei raggi della luce?Per Wiggins questi non sono “oggetti sostanziali”, per cui non entrano in conflitto col principio di Leibniz.

3) [Identità e composizione mereologica] “Parti e interi”, di Lowe

Una categoria ontologica, secondo Lowe, «è un genere di cosa, o genere di entità, la cui appartenenza èdeterminata da specifiche condizioni di esistenza e di identità, e la cui natura è determinabile a priori.

Le categorie non vanno confuse con i generi naturali: questi ultimi sono entità che appartengono a unadeterminata categoria ontologica, e la loro natura è determinabile solo a posteriori, in base aun‘osservazione scientifica o un esperimento.“Sortali”: concetti di una sorta o genere (kind ) di individui. Relazione di identità tra particolare e generale,tra l'individuo e la persona. Un individuo è una persona a prescindere dalle particolarità fisiche. La sostanzasortale di un individuo non è quindi materiale ma formale.Formale e materiale stanno a Noumeno e fenomeno. → solo la dimensione noumenica esprime l'identitàdella persona.La tesi metafisica centrale di Lowe è che, essendo le nozioni di individui (o particolari) e sorteinterdipendenti e mutuamente irriducibili, gli individui sono necessariamente individui di un genere (non

esistono particolari “nudi”) ed i generi sono necessariamente generi di individui che li istanziano, cosicchéil realismo (mente-indipendenza) sugli individui o gli oggetti particolari implica il realismo su sorte o generi(quantomeno su quelli naturali).

Spesso si dice che certi «interi» sono «più grandi della somma delle loro parti».Questo però non vale per tutti gli interi.(1) Tib = (Tibbles – Tail)(2) Tibbles = (Tib + Tail)Questo senso dovrebbe essere diverso da qualunque senso che saremmo intuitivamente disposti adattribuire al segno più quando parliamo della «somma» delle parti di un oggetto, e quindi che le nozioniintuitive di «sottrazione» e «addizione» all opera in questo contesto avrebbero poco a che fare con le

nozioni aritmetiche che vanno sotto lo stesso nome.Che (Tib+ Tail) sia distinto da Tibbles può essere spiegato nel modo, oramai consueto, che vado a illustrare.Se Tail (ma nessun'altra parte di Tibbles) fosse annientata, Tibbles continuerebbe a esistere mentre (Tib+Tail) cesserebbe di esistere. Una somma di certe parti cessa di esistere quando cessa di esistere una delleparti. Supponiamo però lo si voglia negare: immaginiamo cioè che si sostenga che (Tib+ Tail) continuerebbea esistere anche qualora Tail venisse annientata. Sembrerebbe derivarne un'assurdità.Se tanto Tib quanto (Tib+Tail) continuassero a esistere dopo la distruzione di Tail, che cosa distinguerebbel'uno dall'altro?Diciamo allora che un oggetto collettivo, è un oggetto composto che è identico a una certa somma dellesue parti (individuate in un certo modo),

mentre un aggregato consiste di un oggetto collettivo le cui parti (opportunamente individuate) sonoconnesse.Poi ci sono cose come il gatto Tibbles, che possiamo definire oggetti integrali. Queste sono entità composteche non sono identici né a qualunque somma delle loro parti. Una delle loro caratteristiche è quella di

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essere in grado di sopravvivere alla distruzione o alla rimozione di almeno alcune delle loro parti e allasostituzione di queste ultime con parti nuove.Al contrario, il tratto caratteristico di un oggetto collettivo è di non essere in grado di sopravvivere alladistruzione di una qualsiasi delle parti di cui è somma, e quello di un aggregato è di non essere in grado disopravvivere nemmeno alla separazione di una qualsiasi delle parti che compongono la somma di cuiconsiste.Prendiamo l'esempio di un tavolo. Dire «questo tavolo» denoterebbe un oggetto «schematico» o«ontologicamente incompleto».Può darsi che il modo preciso con cui individuiamo il tavolo sia in certa misura arbitrario, e quindi che nonci siano «dati di fatto» per stabilire se, ad esempio, nella stanza ci sia un tavolo che pesa più di cinquantachili. Quello che voglio dire è semplicemente che in un dato luogo non ci può essere più di un oggetto cheabbia le qualifiche di un tavolo: due tavoli non possono mai «coincidere». Di conseguenza, non c'è bisognodi ricorrere alla teoria dell'identità relativa per giustificare il convincimento di senso comune secondo ilquale c'è un solo tavolo nella stanza: non è necessario affermare che oggetti differenti, ciascuno dei qualisarebbe un tavolo, possono essere un unico e medesimo tavolo, dal momento che non è necessarioaffermare che più di uno di quegli oggetti è un tavolo.Tornando al gatto: che genere di oggetto è Tib? Dal punto di vista logico, mi sembra che la peculiarità di Tibrisieda nel fatto che lo si riesce a individuare, nella misura in cui ciò è possibile, soltanto in quanto

«differenza» tra due oggetti bona fide, cioè Tibbles e Tail. Tib non può essere individuatoindipendentemente come un oggetto bona fide di alcun genere. Ed è fondamentalmente per questaragione che, anche dopo la distruzione di Tail, Tib non può essere identificato con Tibbles.In altri termini, Tib è soltanto un oggetto «logicamente dipendente», per così dire, a differenza del gattoTibbles (per quanto adesso coincidano dal punto di vista spaziale). Un oggetto che ci viene presentatocome logicamente dipendente non può in seguito divenire logicamente indipendente: un oggetto non puòcambiare il suo statuto logico.Un oggetto logicamente dipendente (v. Tib) può essere individuato soltanto come «differenza» tra dueintervalli chiusi.

4) [Il tutto nella somma delle parti] “La composizione come identità”, di Lewis

La composizione non è strettamente identità ma solo una sorta di identità.Ciò che è vero sui molti, non è esattamente ciò che è vero sull'uno. Dopo tutto, essi sono molti, mentreesso è uno.Lewis sostiene che il 'sono' di composizione e l'è' di identità sono nel migliore dei casi analoghi.Le due ragioni per cui assume ciò sono:- non c'è modo di generalizzare la definizione dell'identità ordinaria “uno-a-uno” in termini diquantificazione plurale;- non abbiamo davvero un principio generalizzato di indiscernibilità degli identici .Lewis distingue il senso lato (molti-a-uno, ovvero la composizione) dal senso uno-a-uno, sull'identità.Egli ritiene che l'identità uno-a-uno non possa esser contenuta tra un singolo insieme e le sue parti.Composizione, secondo Lewis, è l'identità in senso lato.

Io dico che la composizione – la relazione tra la parte e l'intero, meglio, la relazione molti-a-uno tra unnumero qualsiasi di parti e la loro fusione – è come l'identità. Il «sono» della composizione è, per così dire,la forma plurale dello «è» dell'identità.Due case a schiera confinanti che condividano un muro in comune non sono identiche, ma non sononemmeno completamente distinte l'una dall'altra. Sono parzialmente identiche, e quest'identità parziale sitraduce nel possesso di una parte in comune. L'Australia e il Nuovo Galles del Sud non sono identici, ma

non sono completamente distinti l'una dall'altro. Sono parzialmente identici, e quest'identità parziale sitraduce nella «relazione» parte-intero … L'identità parziale ammette gradazioni approssimative.Cominciamo con il Nuovo Galles del Sud e poi aggiungiamovi porzioni via via crescenti dell'Australia: inquesto modo ci avviciniamo sempre di più all'identità completa con l' Australia .

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→ L'intero non è che le parti contate come una cosa sola. Da questo punto di vista non c'è una cosadistinta da ciascuna delle parti da trattarsi alla stregua dell'intero. Piuttosto, l'intero è semplicemente lamolteplicità delle parti una volta che si trascuri la diversità tra queste ultime. Ciò non significa negarel'esistenza dell'intero; significa semplicemente negarne l'ulteriore esistenza.Poiché la fusione non è altro che le parti, non può comparire in alcun luogo senza di loro.

5) [L'identità relativa] “Identità”, di Geach

L'identità è relativa.Quando si dice «x è identico a y» si ha a che fare con un'espressione incompleta: si tratta diun'abbreviazione per «x è lo stesso A di y». Tuttavia, anche «x è lo stesso A di y» non ha senso se il termine

 A non fornisce un criterio di identità per le cose di cui esso è vero.Se lo fornisce, esso è un sostantivale.Se non lo fornisce, aggettivale.Dati i due sostantivali A e B ne deriva che:x è un A, e x è lo stesso A come y; e x è un B, e y è un B, e x non è tanto B quanto y.Una pretesa identità sarà sempre legata ad un particolare termine sostantivale, siccome due termini, di cui

tutt'e due hanno il senso della domanda e valgono per l'elemento la cui identità viene rivendicata, possonodare valori di verità diversi per tale affermazione.Es: Un vecchio generale è lo stesso essere umano tanto quanto il giovane ragazzo che era, ma egli non è lostesso ragazzo, dal momento che un vecchio generale non è un ragazzino.

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C) PERSISTENZA ( identità diacronica: nel divenire, dinamico)

La nostra esperienza del mondo si basa sulla certezza che le cose che lo abitano – a partire da noi stessi –persistano nel tempo. E questa certezza si fonda a sua volta su un bisogno ineluttabile: il bisogno di trovaredei punti fermi nel flusso continuo di trasformazioni che ci circondano, l'esigenza di stabilizzare ciò chestabile non è.C'è qualcosa di paradossale in questa certezza. Al trascorrere del tempo le cose cambiano. Come può

qualcosa cambiare e ciò nonostante conservare la propria identità?

Chisholm (1) → muovendo dal tradizionale rompicapo della nave di Teseo e spinto agli estremi in uncelebre passaggio di Hobbes, elabora in maniera sistematica una distinzione tra due modi di intendere lapersistenza nel tempo: un modo «stretto e filosofico», secondo il quale è semplicemente impensabile cheun oggetto possa cambiare e rimanere lo stesso, e un modo «ampio e popolare», secondo il quale le coseche cambiano sono mere entità secondarie, entia successiva costituite da oggetti diversi in momentidiversi. Gli apparenti paradossi che si accompagnano alla nozione di persistenza deriverebbero da unaconfusione tra questi due sensi. Il vero quesito, secondo Chisholm, è stabilire quali siano le entità primarieriguardo alle quali si può parlare di persistenza in senso stretto.

Allo stato attuale si può dire che i punti di vista sull'argomento si dividano in due gruppi principali.- Da un lato resta cospicuo il numero di coloro che ritengono eccessivo rinunciare a parlare di persistenzain senso stretto con riferimento alle entità – o quantomeno alcune entità – proprie del senso comune: lapossibilità di reidentificare nel tempo gli oggetti dell'esperienza è ritenuta una condizione necessaria perconferire una struttura spazio-temporale unitaria al mondo che ci vede protagonisti. Strawson (2).- Dall'altro lato, sono in molti oggi a sposare invece le tesi di Quine (3) → per il quale è la nozione stessa dicambiamento a richiedere un' analisi differente. Lungi dal distinguere tra due nozioni di persistenza, unastretta e una più ampia e approssimativa, si tratterebbe piuttosto di abbandonare l'intuizione che vede neltempo una dimensione speciale rispetto alla quale le cose comuni si comportano in maniera diversa dacome si comportano nello spazio: se non ci sono differenze sostanziali tra un oggetto che si estende

inalterato nello spazio e uno che invece si presenta variegato, da questo punto di vista non ci sarebbealcuna differenza di rilievo tra un' entità che persiste immutata e una che invece si modifica nel tempo.

Questi due diversi approcci corrispondono, in effetti, a due differenti concezioni degli oggetti.- Secondo il primo approccio, gli oggetti sono le entità tridimensionali alle quali ci ha abituato il sensocomune: entità estese nello spazio che persistono nel tempo in quanto sono interamente presenti inmomenti diversi della loro esistenza.- Stando al secondo approccio gli oggetti sono invece entità quadridimensionali che persistono nel tempoin quanto sono parzialmente presenti in momenti diversi, proprio come si protendono nello spazio inquanto parzialmente presenti in luoghi diversi.

Quale teoria è migliore?Secondo Lewis (4) la partita SI gioca sulla spiegazione di come possano mutare le proprietà intrinseche diun oggetto persistente.- Per un tridimensionalista, dire che oggi A è così e ieri era cosà significherà attribuire ad A «proprietàtemporali» diverse;- per un quadridimensionalista significherà attribuire proprietà diverse alle «parti temporali» di A.Lewis trova la prima soluzione inaccettabile e opta per la seconda, aderendo così alla concezionecapeggiata da Quine.

Negli ultimi tempi si è fatta strada anche una terza teoria: il sequenzialismo.I suoi sostenitori accettano l'idea di Chisholm in base alla quale i comuni oggetti materiali sarebbero fieri

entia successiva unificati nell'intelletto ma rifiutano l'idea che a costituirli siano sequenze di entità primarieche persistono in senso stretto: tutti gli oggetti propriamente detti sarebbero a ben vedere entità«momentanee» che esistono per un istante e poi scompaiono per sempre, e la nozione di identitàdiacronica corrisponderebbe a una relazione vuota. Sider (5).

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1) [Persistenza reale e persistenza fittizia] “L'identità attraverso il tempo”, di Chisholm

Sul problema dell'identità diacronica, Chischolm distingue tra le cose stesse e le loro storie.La storia di una cosa può essere compresa pienamente come processo, come somma di parti temporalinumericamente diverse; mentre la cosa in quanto sostrato della storia rimane la medesima, nonriducendosi all'agglomerato di fasi distinte numericamente.

S'immagini una nave – la Nave di Teseo – che alla sua venuta al mondo sia fatta integralmente di legno. Ungiorno una delle sue tavole di legno viene rimossa e rimpiazzata da una tavola di alluminio.La nave è sempre la stessa, dato che si tratta soltanto di una piccola modifica. Il cambiamento continua,con identiche modalità, fino a quando la Nave di Teseo non è composta interamente d'alluminio. La naved'alluminio, si potrebbe sostenere, è la nave di legno dalla quale eravamo partiti, dal momento che la naveiniziale è sopravvissuta a ogni singolo cambiamento e l'identità, dopo tutto, è transitiva.Si consideri lo scenario seguente, immaginato da Thomas Hobbes: «Se qualcuno avesse conservato levecchie tavole, nell'ordine in cui venivano tolte e, conservatele e rimessele nello stesso ordine dopo,avesse rifatto la nave, non c'è dubbio che questa sarebbe stata, numericamente, la stessa che fu alprincipio: numericamente avremmo avuto due navi identiche, la qual cosa è del tutto assurda».Oppure si pensi a un bambino che gioca con le sue costruzioni. Costruisce una casa con dieci mattoncini, la

usa come fortino per i suoi soldatini, la smonta, costruisce molte altre cose, dopodichè costruiscenuovamente una casa, disponendo i dieci mattoncini nella medesima posizione in cui li aveva disposti inprecedenza per poi usarla nuovamente come fortino per i suoi s01clarini. La casa che è stata smontata è lastessa casa che vede la luce in seguito?Questi rompicapi che riguardano la persistenza degli oggetti attraverso il tempo hanno versioni analoghecon riguardo all'estensione degli oggetti attraverso lo spazio [→Tridimensionalismo. Per ilquadridimensionalismo l'estensione è attraverso il tempo].

Il vescovo Butler ha suggerito che è soltanto «in un senso ampio e popolare» che è possibile parlare dipersistenza nel caso di oggetti così comuni come le navi, le piante e le case. E metteva in contrasto sto

questo «senso ampio e popolare» con il «senso stretto e filosofico con il quale parliamo di persistenza nelcaso delle persone.ES.1 (dell'uso ampio)Si può dire: «la Route 6 è Point Street a Providence ed è Fall River Avenue a Seekonk».Siccome Point St. e Fall River Av. hanno proprietà differenti (una è a Providence e non a Seekonk, l'altra è aSeekonk e non a Providence) possiamo dire che in un'affermazione del genere si sta facendo un uso ampiodell'«è».Dobbiamo semplicemente rimpiazzare la parola «è» con «è parte di» e poi invertire l'ordine dei termini,come in: «Point St. a Providence è parte della Route 6 e Fall River Av. a Seekonk è parte della Route 6».ES.2 (dell'uso ampio)

Si consideri la seguente lista:- Socrate è mortale.- Socrate è mortale.

Quanti enunciati figurano in questo lista? Potremmo rispondere «esattamente uno» oppure «esattamentedue». Il fatto che queste due risposte incompatibili siano entrambe possibili segnala che la domanda èformulata in maniera ambigua. Per questo motivo, al fine di evitare l'ambiguità si è proposto di introdurre itermini «enunciato-token» e «enunciato-type», così da poter dire «Ci sono due enunciati-token nella listama un solo enunciato-type». Ma se ci esprimiamo in questo modo, allora possiamo dire: «Il primo dellalista è il medesimo enunciato-type del secondo (dal momento che sono sintatticamente analoghi edesprimono il medesimo contenuto), tuttavia si tratta di due diversi enunciati-token (poiché sono due e con

una diversa posizione spaziale)». Anche in questo caso stiamo usando l' «è» dell'identità in modo ampio.Potremmo dire che ci sono due enunciati-token e che sono token dello stesso (enunciato-)type.

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UN'INTERPRETAZIONE DELLA TESI DI BUTTLER.Secondo la prima tesi, i comuni oggetti fisici come gli alberi, le navi, i corpi e le case persistono «soltanto inun senso ampio e popolare». Questa tesi può essere interpretata come se dicesse che quegli oggetti nonsono altro che «finzioni», costruzioni logiche o entia per alio E ci dice che, dal fatto che si possa asserireche un oggetto del genere esiste in un certo luogo L in un certo istante di tempo t e anche in un certoluogo L' in un altro istante t', non si può inferire che ciò che esiste in L a t sia identico a ciò che esiste in L' at'. Esaminiamo queste due tesi una alla volta.

Identità fittizia.Si consideri la storia di un tavolo piuttosto semplice. Esso vede la luce il lunedì, quando un certo oggetto Aè unito a un certo altro oggetto B. Il martedì A viene staccato da B e C viene unito a B, prestandoattenzione a far sì che durante l'intero processo si possa sempre individuare un tavolo. Il mercoledì B vienestaccato da C e D unito a C.  Lunedì AB

Martedì BCMercoledì CD

In una situazione di questo tipo abbiamo a che fare, tra gli altri, con i tre seguenti interi: AB, cioè l'oggettoformato da A e da B; BC, l'oggetto formato da B e da C; e CD, formato da C e da D. AB «costituisce» ilnostro tavolo di lunedì, BC lo «costituisce» martedì, e CD lo «costituisce» mercoledì.

Sebbene siano tre oggetti differenti, AB, BC e CD costituiscono tutti il medesimo tavolo.Potrebbe sembrare che in questa situazione ci siano due tipi di oggetti individuali piuttosto diversi. Da unlato abbiamo ciò che potremmo chiamare l'ens successivum: il «tavolo successivo» che è fatto di oggettidiversi in momenti diversi. Dall'altro lato abbiamo le cose che «fanno le veci» del tavolo successivo neidiversi giorni, cioè AB, BC e CD.Delle proprietà che il nostro tavolo successivo possiede in un dato momento, quali sono quelle che ricavada ciò che lo costituisce in quel momento?Possiamo affermare che l'ens successivum e ciò che lo costituisce in un dato momento sono esattamentesimili in quel momento per ciò che riguarda tutte quelle proprietà che non sono essenziali a nessuno deidue o che non possono essere radicate fuori dai tempi in cui sono possedute.

Si potrebbe obiettare: «Sei obbligato a sostenere che AB, BC, CD e il nostro tavolo sono quattro oggettidistinti. Potrebbe darsi,d' altra parte, che ciascuno dei tre oggetti AB, BC e CD soddisfi le condizioni diqualunque definizione adeguata del termine «tavolo». Anzi, le tue definizioni presuppongono che ciascunodi questi tre oggetti sia un tavolo. Perciò sei obbligato a dire che, nella situazione descritta, ci sono quattrotavoli. Ma questo è assurdo: in realtà hai descritto un tavolo soltanto».Troveremo una risposta a quest'obiezione se distinguiamo il senso stretto e filosofico di espressioni come«Ci sono quattro tavoli» dal loro senso ordinario, ampio e popolare. Dirlo in senso stretto e filosofico,significa dire che ci sono quattro oggetti diversi, ciascuno dei quali è un tavolo. Ma da ciò non segue che cisiano quattro tavoli nel senso ordinario, ampio e popolare. Perché ci siano quattro tavoli nel sensoordinario, ampio e popolare, è necessario che ci siano quattro oggetti, ciascuno dei quali non solo deve

costituire un tavolo, ma non deve neanche costituire lo stesso tavolo costituito da uno degli altri. In altritermini, devono esserci quattro entia successiva, ognuno dei quali dev'essere un tavolo.Perciò la risposta all'obiezione precedente è questa: nel dire che ci sono esattamente tre tavoli nellasituazione descritta ci stiamo esprimendo in senso stretto e filosofico e non in senso ampio e popolare. Neldire che c'è esattamente un tavolo ci stiamo esprimendo in senso ampio e popolare e non in senso strettoe filosofico. Ma affermare che ci sono quattro tavoli – AB, BC, CD e il tavolo successiva – è semplicemente ilfrutto di una confusione. Non è altro che il tentativo di usare contemporaneamente i due registri.Il quadro che abbiamo tracciato illustra dunque un modo in cui è possibile fingere che vi sia identità in uncaso in cui ciò con cui abbiamo realmente a che fare non è altro che una «successione di oggetti correlati».Potremmo dire, allora, che oggetti siffatti non sono altro che entia per alio. Si tratta di parassiti ontologici

che derivano tutte le loro proprietà da altri oggetti: dai vari oggetti che ne fanno le veci. Un ens per alio non è mai qualcosa, e non ha mai qualcosa, in virtù di se stesso. È ciò che è in virtù della natura diqualcos'altro. In ogni istante della sua storia, un ens per alio ha sempre qualche altra cosa che ne fa le veci.Ma se ci sono entia per alio, allora ci sono anche entia per se.

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tempo» non lo sia.Non si vuole nemmeno dire che c'era una certa entità, il vecchio Jones, che non esiste più e che c'è un'entità differente, il Jones attuale, che ne avrebbe in qualche modo preso il posto. Il vecchio Jones non èmorto; non e stato annientato o fatto a pezzi; e non si è neanche ritirato in qualche altro luogo. È diventatoil nuovo Jones. E dire che è «diventato» il nuovo Jones non significa dire che è «diventato identico» aqualcosa a cui in precedenza non era identico. È soltanto quando un oggetto viene a esistere, infatti, che losi può definire identico a qualcosa a cui prima non era identico. Dire che il nostro uomo «è diventato ilnuovo Jones» significa dire che lui, Jones, è mutato in modo significativo, acquisendo proprietà salienti chein precedenza non possedeva. [conflitto con pensiero pioggia! Acquisito da dove?! v. p.162 ]

Che cos'è un criterio per l'identità personale? È l'enunciazione di ciò che costituisce evidenza d'identitàpersonale, che rappresenta una buona ragione per dire di una persona x che è o non è identica a unapersona y. Ora, c'è dopo tutto una differenza fondamentale tra le condizioni di verità di una proposizione el'evidenza sulla quale possiamo contare per stabilire se la proposizione sia vera. Le condizioni di verità dellaproposizione secondo la quale Cesare ha varcato il Rubicone consiste del fatto, se di un fatto si tratta, cheCesare ha effettivamente varcato il Rubicone. L'unica evidenza di questo . Fatto che voi e io possediamoconsisterà in certe altre proposizioni, proposizione che riguardano testimonianze, memorie, reperti. Èsoltanto nel caso in cui qualcosa si presenta da sé (che io spero che piova o che mi sembra di aver mal di

testa) che l'evidenza per una proposizione coincide con le sue condizioni di verità. In tutti gli altri casi sitratta di elementi logicamente indipendenti; l'uno potrebbe essere vero quando l'altro è falso.«Gli stessi atomi che compongono 1'acqua si trovano nel ghiaccio, nei vapori, nelle nuvole, nella grandinee nella neve; quelli che compongono il grano sono nella farina, nel pane, nel sangue, nella carne, nelleossa, ecc. Se tali atomi fossero infelici sotto forma d'acqua ° di ghiaccio, si tratterebbe comunque diun'unica sostanza, numericamente identica, a essere infelice in entrambe le condizioni; pertanto, tutte letemibili calamità che interessano gli atomi sotto forma di farina interessano anche gli atomi del grano; eniente dovrebbe essere più interessato della condizione o del lotto della farina quanto gli atomi checostituiscono il grano, sebbene questi, sotto questa forma, non siano soggetti a tali calamità».

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2) [La prospettiva tridimensionalista] “La reidentificazione dei particolari”, di Strawson

Enunciato → livello determinato e costante (contesto ideale, ovvero non-contesto)Asserzione → V/F a seconda del contesto (aspetto referenziale)

Identificare → riferirsi alle cose tramite espressione linguistica.Ciò è possibile grazie all'esistenza di uno schema concettuale spz-tmp su cui le cose si collocano in coordinate univoche.Reidentificare → ...in successivi momenti il medesimo particolare (oggetto).Ciò è possibile, oltre a coordinate univoche, grazie a particolari tra cui gli altri aventi una funzione di riferimento, detti riferimenti

di base e aventi la funzione della sostanza aristotelica.

Noi operiamo con lo schema di un singolo sistema spazio-temporale unificato.Abbiamo quindi l'idea di un sistema di elementi tali che ognuno di essi può essere connesso tantospazialmente quanto temporalmente con ogni altro.

Possiamo distinguere, quando è necessario, tra identificazione referenziale, o parlante-ascoltatore, da unlato e reidentificazione dall'altro.Non è sorprendente che sia naturale usare la parola «identificare» in entrambi i casi perché identificareimplica pensare che qualcosa è lo stesso: che la particolare copia che vedo in mano al parlante è lo stessoparticolare al quale egli si sta riferendo, che la copia nelle. Sue mani è lo stesso particolare che la copia cheio ho comprato ieri.Reidentificare è operare con lo schema di una singola struttura spazio-temporale unitaria.N ai infatti non usiamo uno schema diverso, una \. struttura diversa, in ogni occasione. È essenziale che inoccasioni diverse usiamo la stessa struttura. Non solo dobbiamo identificare alcuni elementi in modo non-relativo, ma dobbiamo identificarli proprio come gli elementi appartenenti a un singolo sistema utilizzabilein modo continuo. Le occasioni di riferimento, infatti, hanno esse stesse posti diversi nel singolo sistema diriferimento. Non possiamo connettere un' occasione a un' altra se non possiamo reidentificare, dioccasione in occasione, gli elementi comuni alle diverse occasioni.I nostri metodi o criteri di reidentificazione devono tener conto di fatti come questi: che il campo dellanostra osservazione è limitato, che andiamo a dormire, che ci muoviamo. Essi cioè devono tener conto del

fatto che noi non possiamo osservare in ogni momento la totalità della struttura spaziale che usiamo, chenon c'è alcuna parte · di essa che possiamo osservare continuamente, e che noi stessi non occupiamo unaposizione fissa entro di essa.Quale che possa essere la nostra spiegazione, essa deve tener conto delle discontinuità e dei limitidell'osservazione. Quindi essa deve fondarsi saldamente su quelle che per il momento possiamo chiamare«ricorrenze qualitative», cioè su ripetuti incontri osservazionali con i medesimi schemi (identità qualitativa)o disposizioni di oggetti (identità quantitativa).

Quando diciamo «lo stesso» di ciò che cade entro l'ambito di unininterrotto periodo di osservazione, possiamo distinguere chiaramentetrai” casi in cui intendiamo parlare di identità qualitativa e i casi in cui

intendiamo parlare di identità numerica.Se per esempio diciamo: “La figura che si trova nell'angolo in alto asinistra di questo diagramma è la stessa che ha un parallelogramma adestra e un cerchio sotto”, usiamo l'espressione «la stessa» per parlare diidentità numerica.

Mentre se diciamo: “La figura che si trova nell'angolo in alto a sx deldiagramma è la stessa che si trova nell'angolo in basso a dx”, abbiamo uncaso di uso dell'espressione «la stessa» per parlare di identità qualitativa.

Quando diciamo «lo stesso» di ciò che non è osservato continuamente, noi pensiamo di poter farealtrettanto chiaramente proprio questa medesima distinzione. Ma possiamo farlo? Poiché l'esistenzaspazio-temporalmente continua non è osservata per ipotesi né nel caso in cui siamo inclini a parlare diidentità qualitativa né nel caso in cui siamo inclini a parlare di identità numerica, con quale dirittosupponiamo che ci sia una differenza fondamentale tra questi casi, o che ci sia proprio la differenza inquestione?

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Ma la questione può essere formulata in un altro modo. Non c'è dubbio che abbiamo l'idea di un singolosistema spazio-temporale di cose materiali, poiché l'idea di ogni cosa materiale in un tempo . Qualsiasi èconnessa spazialmente, in vari modi nei vari tempi, con ogni altra in ogni tempo. Non c'è dubbio chequesto è il nostro schema concettuale. Ora io dico che una condizione del nostro avere questo schemaconcettuale è l'indiscussa accettazione dell'identità tra particolari almeno in alcuni casi di osservazione noncontinua.

C'è tutta ma complicazione di un genere completamente diverso che devo menzionare adesso. La

descrizione che ho dato della condizione del nostro avere lo schema che abbiamo – lo schema di unsingolo sistema spazio-temporale di cose fisiche – è, sotto un certo aspetto, incompleta. Non è sufficienteche noi siamo in grado di dire «la stessa cosa»; dobbiamo anche essere in grado di dire «lo stesso posto».Devo essere in grado , di reidentificare non solo le cose, ma anche i luoghi.C'è piuttosto un gioco reciproco complesso e intricato tra le due, perché da un lato i luoghi sono definitisolo mediante le relazioni delle cose e dall'altro uno dei requisiti per l'identità di una cosa materiale è chela sua esistenza, come è continua nel tempo, sia continua nello spazio.

Particolari di base. Dato il carattere generale dello schema concettuale che ho descritto, c'è una qualcheclasse o categoria distinguibile di particolari che debba risultare fondamentale dal punto di vistadell'identificazione dei particolari?

Non tutte le categorie di oggetti particolari che riconosciamo, però, sono adatte a costituire una talestruttura. I soli oggetti che possono costituirla sono quelli che sono in grado di conferirle le suecaratteristiche fondamentali. Essi devono essere cioè oggetti tridimensionali con una certa durataattraverso il tempo.Delle categorie di oggetti che riconosciamo, soddisfano questi requisiti solo quelle che sono, o hanno, corpimateriali – in un senso generale dell'espressione. I corpi materiali costituiscono la struttura.Le cose che sono, o hanno, corpi materiali devono essere i particolari di base.Potremmo considerare una condizione necessaria del fatto che qualcosa è un corpo materiale il fatto cheesso tenda a presentare una qualche resistenza sensibile al tatto, ovvero, forse in senso più generale, cheesso possegga alcune qualità dell'ambito tattile.

Ma come dividere in tipi o categorie i particolari pubblicamente percettibili, o pubblicamente osservabili?Parlerò per esempio di eventi e processi, stati e condizioni da un lato, e di corpi materiali o cose che hannocorpi materiali dall'altro.I corpi materiali, in un senso generale della parola, ci assicurano una singola struttura di riferimentocomune e continuamente estendibile, a ogni costituente della quale ci si può riferire in modo identificantesenza riferirsi ad alcun particolare di alcun altro tipo. Questa è in generale la struttura della localizzazionespaziale. La costituzione dettagliata di questa struttura cambia, ma senza danno per la sua unità. Laconoscenza dei particolari della sua composizione varia da una persona a un' altra, ma senza danno per lasua identità.(...Ho provato che) una condizione fondamentale per un riferimento identificante non dipendente da tipi

estranei è il possesso di una struttura di riferimento che sia omogenea quanto a tipo e al tempo stessocomune, comprensiva e sufficientemente complessa. Ho sostenuto che questa condizione è soddisfatta nelcaso dei corpi materiali, e non è soddisfatta in generale negli altri casi.A sua volta una condizione per poter disporre di una singola struttura continuamente utilizzabile di questogenere è la capacità di reidentificare almeno alcuni elementi della struttura nonostante le discontinuitàdell'osservazione: vale a dire che si deve essere in grado di identificare alcune cose particolari come ancorale stesse che quelle incontrate in un' occasione precedente.Se i corpi materiali sono basilari dal punto di vista dell'identificazione referenziale, essi devono esserebasilari anche dal punto di vista della reidentificazione.Questa conclusione non dovrebbe essere in alcun modo sorprendente o inaspettata, se ricordiamo che la

nostra struttura generale di riferimento a particolari è un sistema spazio-temporale unificato a unadimensione temporale e tre spaziali, e riflettiamo ancora una volta sul fatto che, tra le principali categoriedisponibili, quella dei corpi materiali è la sola adatta a costituire una tale struttura.

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3) [La prospettiva quadridimensionalista] “Identità, ostensione e ipostasi”, di QuineIpostasi: “sostanza”; generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà.

Problema dell'identità attraverso il tempo:- Permanenza (3d): le cose durano attraverso i cambiamenti- Perduranza (4d): le cose hanno parti temporali. Il cambiamento è una questione di avere parti temporaliche hanno caratteristiche diverse.La nozione cruciale di questa teoria è quella di parte temporale. Sono le parti temporali a possedere,

ciascuna per conto suo, le proprietà incompatibili. Il possesso, inoltre, è diretto e immediato: la partetemporale ha una proprietà Q simpliciter. Così, la rosa era diritta ieri perché ieri aveva una partetemporale che era simpliciter diritta, ed è inclinata oggi perché oggi ha una parte temporale,numericamente distinta dalla precedente, che è simpliciter inclinata.Quando dico che la rosa ha assunto una nuova forma, nessuna contraddizione è coinvolta, in quanto nonc’è nulla di contraddittorio nel sostenere che una sua parte temporale ha la proprietà Q e una sua diversaparte temporale ha la proprietà complementare incompatibile non-Q. Di nulla si dice che possiede allostesso tempo la proprietà Q e non-Q.Il divieto di Eraclito – «non potresti entrare due volte nello stesso fiume» – è finalmente trasgredito.Gli oggetti del quadridimensionalista sono detti anche worms, in quanto raffigurabili come lombrichi (si

estendono tanto nello spazio quanto nel tempo). Un aspetto centrale dei worms è che la loro esistenza inciascun istante è sempre parziale.La rosa avrebbe la stessa struttura di una melodia, gli oggetti diventerebbero eventi .

Se è vero che nel giro di un limitato numero di anni ha luogo una completa sostituzione della mia sostanzamateriale, come si può dire che io continui ad essere io anche, se non altro, dopo tale periodo?«Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, poiché vi scorre sempre nuova acqua».La verità è che ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, ma non nella stessa acqua. Ci si può bagnarein due diverse parti di fiume che siano parti dello stesso fiume, ed in ciò consiste il bagnarsi due volte nellostesso fiume. Il fiume è un processo attraverso il tempo, e le acque che vi scorrono sono le sue partitransitorie. Il fatto che identifichiamo il fiume in cui ci siamo bagnati una volta con quello in cui ci siamobagnati successivamente è proprio quel che ci convince che ciò di cui parliamo è un fiume come processo enon una parte di fiume.Il punto importante da osservare è semplicemente la connessione diretta fra l'identità e la postulazione dioggetti che si distendono nel tempo o processi.L'atto di indicare (“Questo fiume”) è di per sé ambiguo per quanto concerne la estensione temporaledell'oggetto indicato.Anche concedendo che l'oggetto indicato debba essere un processo di considerevole estensionetemporale, e quindi una sommatoria di oggetti transitori, tuttavia ratto di indicare non ci dice quale siaquella certa sommatoria di oggetti transitori che si voleva intendere, ma solamente che l'oggettotransitorio in questione deve essere nella sommatoria desiderata.

Ma quando si afferma l'identità di un oggetto in varie e successive ostensioni, facciamo sì che le nostre n ostensioni si riferiscano al medesimo e più grande oggetto e forniamo così al nostro ascoltatore un terrenoinduttivo che gli permetta di indovinare quale sia la portata dell'oggetto che avevamo in mente.L'ostensione, se accompagnata dall'identificazione, conduce, con l'aiuto di una certa induzione,all'estensione spazio-temporale.

Quando indico verso una direzione dove si vede del rosso dicendo «Questo è rosso» e ripeto quest'atto indiversi luoghi in un certo periodo di tempo) fornisco una base induttiva per giudicare quella che intendevofosse l'estensione dell'attributo della rossezza. La differenza sembra consistere nel fatto che qui si tratta diuna estensione concettuale, e cioè la generalità, piuttosto che di una estensione spz-temporale.L'identità è più conveniente della parentela di fiumi o di altre relazioni, perché non ci costringe amantenere distinti, come una molteplicità, gli oggetti posti in relazione.Codesto espediente rappresenta un caso di applicazione, in modo certo ristretto o relativo, del rasoio diOccam: le entità implicate in un certo discorso si riducono, da molte che erano (a, b, ecc.), ad una (ilCaistro). Si noti, tuttavia, che da un punto di vista più generale o assoIuta l'espediente è del tutto opposto

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al rasoio di Occam: le molteplici entità a, b, ecc., infatti, non vengono affatto soppresse dall'universo; si èsemplicemente aggiunto il Caistro.In generale, potremmo proporre la seguente massima di identificazione degli indiscernibili : gli oggettiindistinguibili l'uno dall'altro entro i termini di un discorso dato dovrebbero interpretarsi come identici perquel discorso. Più correttamente: i riferimenti agli oggetti originali dovrebbero reinterpretarsi, ai fini deldiscorso in questione, come riferentisi ad altri e meno numerosi oggetti, in modo tale che gli oggettioriginali indistinguibili diano luogo ciascuno allo stesso nuovo oggetto.La nostra massima di identificazione degli indiscernibili è relativa ad un discorso, e quindi vaga finché restavaga la discriminazione fra i discorsi.Ma il nostro parlare, generalmente, si scinde, in una certa misura, in vari settori, e codesta misura tenderàa determinare dove e in qual grado si può dimostrare conveniente fare appello alla massima dellaidentificazione degli indiscernibili.

Universalizzazione in 2 step:- raggruppamento in base a relazioni simili (es. oggetti marroni)- “sostanzializzare” (ipostasi) le proprietà: introducendo termine astratto (es: “marronità”).Torniamo ora alle nostre riflessioni sulla natura degli universali.Ci Slamo prima serviti dell'esempio «rosso», e abbiamo trovato che questo esempio può venir trattato

come un comune particolare esteso spazialmente e temporalmente, alla stessa stregua del Caistro. Rossoera la più grande cosa rossa nel- l'universo – tutta quella cosa, sparpagliata nell'universo, le cui parti sonotutte cose rosse.Fino a qui, perciò, appare ozioso distinguere fra integrazione spazio-temporale e integrazione concettuale;in entrambi i casi si tratta di integrazione spazio-temporale.

L'ostensione degli oggetti estesi nello spazio e nel tempo per vedere come codesta astensione differisca daciò che si potrebbe chiamare l'ostensione di universali non riducibili come il quadrato e il triangolo.Quando spieghiamo ostensivamente il Caistro indichiamo delle parti a, b, ecc., ed ogni volta diciamo«Questo è il Caistro», dove il fatto che l'oggetto indicato sia uno ed identico si chiarisce nel passaggio daciascuna indicazione alla successiva. Quando vogliamo spiegare ostensivamente il «quadrato», invece,

indichiamo vari particolari e diciamo ogni volta «Questo e quadrato» senza attribuire valore di identitàall'oggetto indicato nel passaggio da ciascuna indicazione alla successiva.La differenza fra i due casi consiste meramente nel fatto che nel primo immaginiamo un identico oggettoindicato, mentre nel secondo no.Nel secondo caso quel che si suppone rimanga identico da indicazione a indicazione non è l'oggettoindicato ma, tutt'al più, un attributo di essere quadrato che è condiviso dagli oggetti indicati.In realtà nulla ci costringe, fino ad ora, a presupporre, nella nostra spiegazione ostensiva di «quadrato»,delle entità come gli attributi. Con le nostre varie indicazioni facciamo luce sul nostro uso delle parole «èquadrato».Quando si vuole spiegare «è quadrato» o una qualsiasi altra locuzione, tutto quel che si richiede è che il

nostro ascoltatore impari quando deve aspettarsi che noi la applicheremo ad un oggetto e quando no; nonc'è alcun bisogno che la locuzione in sé sia a sua volta il nome di un oggetto a sé stante di un qualche tipo.Le ostensioni che introducono un termine generale son diverse da quelle che introducono un terminesingolare nel fatto che le prime non attribuiscono valore di identità all'oggetto indicato nelle varie esuccessive indicazioni. Secondo poi, i termini generali non si prefiggono, o non è necessario che siprefiggano, di essere a loro volta nomi di una qualche entità a sé stante, mentre i termini singolari sì.Lo attribuisco molta importanza alla tradizionale distinzione fra termini generali e termini singolari astratti,fra «quadrato» e «quadraticità», per il loro diverso comportamento ontologico: l'uso di un terminegenerale non implica di per sé il riconoscimento di una corrispondente entità astratta all'interno dellanostra antologia; l'uso invece di un termine singolare astratto, soggetto alle norme di comportamento del

termini singolari come la legge di sostituzione reciproca degli eguali, ci rinvia decisamente ad una entitàastratta di cui quel termine sia il nome.Ad ogni modo, una volta accettate le entità astratte, va da sé che il nostro meccanismo concettualeprocede oltre e genera una gerarchia senza fine di ulteriori astrazioni.

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cambia le sue proprietà intrinseche. Per esempio la forma: quando sono seduto ho una forma ripiegata;quando sto in posizione eretta ho una forma allungata. Entrambe le forme sono proprietà intrinsechetemporanee: le ho soltanto in alcuni momenti. Com'è possibile questo tipo di cambiamento?Le diverse forme, e più in generale i diversi intrinseci temporanei, appartengono a cose diverse. Lapermanenza va abbandonata per la perduranza. Noi perduriamo; siamo fatti di parti temporali e i nostriintrinseci temporanei sono proprietà di queste parti, rispetto a cui differiscono l'una dall'altra. In che modocose di verse possano differire rispetto alle loro proprietà intrinseche non costituisce un problema.

5) [La prospettiva sequenzialista] “Il mondo è uno stadio (stage)”, di Sider

Sider prende in considerazione vari “paradossi della coincidenza”. Possono due oggetti materiali occupare la stessapozione di spazio e di tempo e condividere tutte le loro parti? La risposta ovvia sembrerebbe essere: no. Ci sono peròalcuni casi in cui questa ovvietà viene messa in crisi. Ad esempio, una statua e il pezzo di creta da cui è stata ricavatahanno proprietà molto diverse: la statua esiste solo da quando l’artista l’ha creata, mentre il pezzo di creta esisteva ancheprecedentemente l’interveto dell’artista, e se cambiassimo radicalmente la forma del pezzo di creta questo rimarrebbepur sempre lo stesso pezzo di creta, mentre la statua cesserebbe di esistere. Il pezzo di creta e la statua, dunque, sonooggetti distinti pur coincidendo in ogni loro parte, almeno per un certo periodo della loro esistenza. Il tridimensionalismoha maggiori difficoltà a spiegare in maniera plausibile questa situazione, perché sembrerebbe costretto a prendere sul

serio l’esistenza di due oggetti materiali interamente presenti nello stesso spazio e allo stesso tempo, mentre ilquadridimensionalismo spiega la coincidenza temporanea dei due oggetti come condivisione di parti temporali. Sider, neldiscutere i vari casi problematici, elabora una versione di quadridimensionalismo che egli ritiene possa rispondere inmaniera più soddisfacente a questo problema, e in maniera almeno altrettanto soddisfacente agli altri presentati inprecedenza. Il quadridimensionalismo “standard” o “dei vermi spaziotemporali” non si esaurisce nella tesi che le partitemporali di oggetti che persistono nel tempo esistano, ma identifica gli oggetti con la “somma” delle loro parti temporali.Le persone e le statue sono dunque somme di parti temporali (ossia dei “vermi quadridimensionali”) che si estendono pertutto il periodo della loro esistenza. Il sequenzialismo (o stage view), la versione di quadridimensionalismo difesa da Sider,invece, identifica gli oggetti che persistono nel tempo con le loro parti temporali istantanee. L’immagine metafisica difondo rimane sostanzialmente invariata, ma ci sono importanti conseguenze sull’uso di termini generali come ‘persona’ o‘statua’: essi si riferiscono non alle somme di parti temporali, bensì alle varie parti temporali istantanee. Il sequenzialismo

non solo spiega come sia metafisicamente possibile la coincidenza (essendo condivisione di parti temporali), ma cipermette anche di dire di fronte ad una statua di creta che c’è un solo oggetto di creta a forma di statua davanti a noi: laparte temporale istantanea condivisa da statua e blocco di creta.

→ Stessa ontologia Lewis/Sider: si possono collezionare vermi.Sider aggiunge: quando ci riferiamo a un oggetto, ci stiamo riferendo a una precisa fase spz-tmp, e non aun aggregato di fasi.→ Lewis: oggetti e persone come vermi 4d: sequenze di fasi spz-tmp connesse da una relazione disomiglianza causale.Sider aggiunge: sono proprio le fasi 4d a corrispondere all'oggetto.

Certi filosofi credono che i comuni oggetti quotidiani siano dei «lombrichi» quadridimensionali, che unapersona (per esempio) persista nel tempo avendo delle parti temporali, o stadi, in ogni momento della suaesistenza.Non solo accetto la tesi degli stadi personali (o stadi -di-persona); io sostengo che noi siamo degli stadi.A un certo livello di analisi, io accetto l' ontologia dei lombrichi.Semplicemente non credo che i lombrichi spaziotemporali siano ciò che di solito chiamiamo persone, ciò acui ci riferiamo con nomi propri, su cui quantifichiamo, e così via. La posizione metafisica condivisa dalla«teoria degli stadi» e dalla teoria dei lombrichi può essere denominata «quadridimensionalismo» e la sipuò definire a grandi linee come la dottrina secondo cui gli oggetti estesi nel tempo sono divisibili in partitemporali.

Secondo la teoria degli stadi, io sono uno stadio istantaneo che prima di oggi non esisteva e che dopo ogginon esisterà più.Possiamo metterla in questi termini: «Secondo la teoria, le asserzioni che intuitivamente l riguardano ciòche in passato è successo a me riguardano in realtà ciò che è successo a qualcun altro. Questo è assurdo».

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La teoria degli stadi non ha una conseguenza di questo tipo. Secondo la teoria, «Ted è stato bambino»attribuisce una certa proprietà temporale, la proprietà di essere stato bambino, a me, non 2 qualcun altro.Naturalmente, in base all'analisi offerta dalla teoria il possesso di questa proprietà da parte mia comportala gioventù di un altro oggetto, ma sono io quello che ha la proprietà temporale, ed è questo che conta. Lamia risposta a questa obiezione è parallela a quella offerta da Lewis a una famosa obiezione sollevata daKripke nei confronti della teoria delle controparti: secondo la teoria delle controparti se diciamo«Humphrey avrebbe potuto vincere le elezioni (se solo avesse fatto questo e quest'altro)>>, non stiamoparlando di qualcosa che sarebbe potuto succedere a Humprey, ma a qualcun altro, a una «controparte».Probabilmente, tuttavia, ad Humphrey non importerebbe proprio nulla se qualcun altro, non importaquanto somigliante a lui, sarebbe stato il vincitore in un altro mondo possibile.Lewis ha replicato dicendo che questa obiezione è sbagliata: Hum- phrey, proprio lui, ha la proprietàmodale di aver potuto vincere. Certo, La teoria delle controparti dice [. . .] che qualcun altro -lacontroparte vittoriosa – entra in gioco nella spiegazione di [. . .] come Humphrey avrebbe potuto vincere.Ma ciò che conta è che Humphrey abbia la proprietà modale: Grazie alla controparte vittoriosa, Humphreystesso ha la proprietà ! Modale richiesta: possiamo dire, con veracità, che lui avrebbe potuto vincere.Data la «teoria delle controparti delle proprietà temporali», abbracciando la teoria degli stadi possiamoaccettare sia la tesi per cui ciò che importa è la continuità psicologica (nel senso di (PC), sia la seguenteversione della dottrina in base a cui ciò che importa è l'identità. [ Parfit, a cui si connette, sosteneva che

l'identità non è ciò che conta per la sopravvivenza, quanto la continuità psicologica → vs. 4d di Lewis]A me importa di che cosa accade a una persona nel futuro se e solo se io sarò quella persona. Nonpossiamo dire che io devo essere quella persona (a-temporalmente), perché io non sono identlco apersone che esistono in altri tempi. Ma io sarò identico a persone che esistono in altri tempi, perché iosono in I-relazione con degli stadi futuri che sono identici a quelle persone.Diciamo che delle persone sono identiche-a-t se e solo se i loro stadi a t sono identici.(Un tridimensionalista potrebbe dire invece che degli oggetti sono identici-a-t se e solo se a t hanno lestesse parti).Un'altra virtù della teoria degli stadi è che la si può estendere in mo- do da risolvere altri problemimetafisici che coinvolgono la presenza di due oggetti nello stesso luogo allo stesso tempo. Supponiamo di

fondere una certa moneta il giorno di martedì. Sembrerebbe che a quel punto la moneta, ma non laquantità di bronzo di cui è costituita, cessi di esistere; ma allora sembrerebbe che la moneta e la quantitàdi bronzo Siano due cose distinte, poiché differiscono rispetto alla proprietà esistere dopo martedì. Ecom'è possibile? Oggi la moneta e la quantità di bronzo condividono lo stesso luogo, lo stesso momentoangolare, la stessa massa, e così via.

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D) MODALITÀ

In termini molto generali, la logica modale è quella parte della teoria logica che si occupa del significato edel comportamento inferenziale di quegli enunciati che non si limitano a presentare un certo stato di cose,come in  (1) I cittadini pagano le tasse.

ma si pronunciano esplicitamente sul suo modo di darsi, come in ciascuno degli esempi seguenti:

  (2) È necessario che i cittadini paghino le tasse.(3) È possibile che i cittadini paghino le tasse.(4) Si sa che i cittadini pagano le tasse.(5) Si crede che i cittadini paghino le tasse.(6) È obbligatorio che i cittadini paghino le tasse.(7) Talvolta i cittadini pagano le tasse.(8) Qui da noi i cittadini pagano le tasse.

Le espressioni in corsivo sono dette operatori modali e interagiscono con l’enunciato a cui si applicano, inquesto caso (1), dando luogo a enunciati più complessi le cui condizioni di verità differiscono da quelle dipartenza. Per esempio, posto che (1) sia vero, cioè che i cittadini paghino davvero le tasse, non ne segueche sia necessariamente così, o che sia un fatto risaputo o obbligatorio, sebbene sia ragionevole

concludere che sia almeno una possibilità. Il compito della logica modale è appunto quello di stabilire ilsussistere o meno di nessi logici di questo tipo.

Posto che il mondo sia fatto in un certo modo, il filosofo si domanda anche se potrebbe essere diverso. E sichiede se e in che misura le cose che esistono potrebbero essere differenti da come sono.La nozione di possibilità che qui entra in gioco non è semplicemente quella di possibilità logica, secondocui è possibile tutto ciò che non è contraddittorio. Né si tratta di una nozione puramente empirica, come sei confini del possibile fossero fissati dalle leggi delle scienze naturali.La nozione di possibilità a cui il filosofo fa riferimento, quando s'interroga sulla natura ultima della realtà, sicolloca in qualche modo a metà strada tra quella puramente logica e quella strettamente empirica.

Tommaso D'Aquino definiva le modalità (la possibilità, ma anche la necessità e la contingenza) come«quelle determinazioni che accompagnano le cose». Ma distingueva anche tra modalità de dicto, relativecioè al nostro modo di determinare le cose, e modalità de re, corrispondenti ai vari modi in cui le cosestesse sarebbero determinate.Con Quine (1) → si è andata affermando l'idea per cui le uniche determinazioni modali accettabili sonoquelle de dicto: le modalità de re non ammetterebbero una semantica chiara e condurrebbero dritto drittoalla «giungla dell'essenzialismo aristotelico».Ma la messa a punto di modelli semantici formali per certi sistemi di logica modale, culminata nellacosiddetta «semantica dei mondi possibili» di Kripke (2) → , è stata accolta da molti autori come unapronta smentita dello scetticismo quineano. La semantica di Kripke si basa sull'idea per cui le modalità

corrispondono in un certo senso a quantificazioni su mondi: possibile è ciò che si verifica in qualchemondo, necessario ciò che si verifica in ogni mondo. Quindi indaga non solo il valore reale dell’enunciato dipartenza, bensì (anche) il valore di quell’enunciato rispetto a situazioni alternative a quella reale.Ma su cosa d'intenda per “mondo”, Lewis (3) → risponde che i mondi possibili sono entità tanto concrete eirriducibili quanto il mondo attuale che ci capita di abitare, e per quanto non ci sia concesso di averneesperienza differiscono da quest'ultimo non nel genere ma solo in ciò che accade alloro interno.Stalnaker (4) →, in un atteggiamento più moderato, realista ma attualista, asserisce che i mondi possibiliesistono ma sono ben altra cosa rispetto al mondo attuale: non sono entità concrete bensì entità astratte(per esempio insiemi di proposizioni, o meglio ancora proprietà massimali non esemplificate) ciascunadelle quali rappresenta un'alternativa all'unico mondo che si meriti davvero quest'attributo, quello attuale.

Sono «modi» diversi in cui il mondo sarebbe potuto essere, non «mondi» diversi.La risposta di Armstrong (5) → rappresenta forse l'alternativa più radicale al realismo modale estremo diLewis. L'approccio di Armstrong è puramente combinatorio e muove dall'idea che i mondi possibili nonsiano altro che stati di cose generabili per combinazione e ricombinazione del materiale messo adisposizione dal mondo attuale.

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livello di coinvolgimento modale. Il primo livello è invece costituito dalla modalità intesa come predicato.In questo caso, la qualificazione modale non interessa più la proposizione, ma i termini.Questi dovranno essere poi adatti a riferirsi metalinguisticamete alle proposizioni in maniera non ambigua.Questo tipo di operazione è possibile grazie a tecniche analoghe a quella di aritmetizzazione sopradescritta. In questo caso elimineremmo i problemi cui si è accennato, in quanto, per operare lasostituzione fra termini, si richiede la loro sinonimia, che è concetto più stringente rispetto all’identità divalore di verità fra proposizioni.Si tratta di capire ora quale predicato può legittimamente interpretare il concetto di necessità. Quine, in unarticolo del 1947, “The Problem of Interpreting Modal Logic”, aveva proposto di sfruttare la nozione dianaliticità, sulla scorta di Carnap. Tuttavia egli aveva delle forti riserve. In particolare Quine riteneva che iltermine ‘analitico’ mancasse di una definizione soddisfacente. Si poteva infatti pensare di definire ciò che èanalitico attraverso il concetto di sinonimia, ma poi risultava difficile definire quest’ultima senza fareriferimento all’analiticità.Nonostante questo, Quine riteneva che comunque la nozione di ‘analiticità’ fosse più chiara delle nozionidella logica modale. La sua critica alla distinzione fra giudizi analitici e giudizi sintetici farà sì che egliabbandonerà del tutto l’idea di ridurre il necessario all’analitico. Quando Quine dunque parla di primogrado di coinvolgimento modale bisogna tenere presente che non c’è certezza sulla natura del predicato dautilizzare per l’espressione della modalità.

Esistono altri problemi connessi alle nozioni modali; l’esigenza di ridurre il secondo grado dicoinvolgimento modale al primo non nasce solo in merito ai problemi concernenti l’estensionalità, maanche perché il trattamento della modalità attraverso l’operatore può costituire la via privilegiata perintrodurre la quantificazione, e quindi dar vita ad un sistema di logica modale quantificato.Questo creerebbe dei gravi problemi: seguendo un esempio presente Quine [1947], consideriamo unarelazione ‘=’ di congruenza. Ora la congiunzione

La stella del mattino = La stella della serae

nec(La stella del mattino = La stella del mattino)

viene considerata unanimemente vera, perché esprime la verità di un dato di fatto e la necessità diun’identità. Se ora ammettiamo la possibilità di quantificare e assumiamo che una quantificazioneesistenziale vale se è possibile sostituire alla variabile quantificata un termine che rende vera laproposizione, dobbiamo ammettere che la seguente proposizione è vera:

(a) $x (x = La stella della sera e nec(x = La stella del mattino)).Ma dobbiamo ammettere come vera anche la seguente proposizione:

La stella della sera = La stella della serae

Non nec(La stella della sera = La stella del mattino).

Infatti la sinonimia delle due descrizioni definite riguarda le caratteristiche contingenti di questo universo,

e non un principio necessario. Se però quest’ultima proposizione è vera, per quanto detto sopra sarà veraanche la seguente:(b) $x (x = La stella della sera e non nec(x = La stella del mattino)).

Ma a questo punto la x quantificata in (a) e quella quantificata in (b) non possono denotare lo stessooggetto, ma due oggetti differenti. A definizione diversa corrisponde oggetto diverso.L’unico modo per interrompere la moltiplicazione degli enti mano a mano che si rendono disponibilidiverse definizioni di essi è, secondo quanto detto in “Three Grades of Modal Involvement”, ricorrere allateoria dell’essenzialismo aristotelico, cioè ammettere che ci sono degli attributi necessari per certi soggettied altri attributi che sono accidentali, e questo indipendentemente dal linguaggio in cui ci si esprime.Chiaramente Quine vede questo possibile esito come qualcosa da evitare, e anche per questo insiste sullariduzione al primo grado di coinvolgimento modale.Abbiamo visto come la modalità generi parecchi problemi interpretativi, almeno se non si vuolecondividere una posizione come quella di Aristotele. La prospettiva è quella di ridurre il necessario ad unpredicato, e, questo perché “la necessità come predicato semantico riflette una visione non aristotelicadella necessità: la necessità risiede nella maniera in cui diciamo le cose, e non nelle cose di cui

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parliamo”34. Un tentativo in questa direzione (quello di Carnap) non è riuscito a trattare la necessità comeun predicato (l’analiticità) definito in termini puramente sintattici e finitari (codificabili quindi entro teoriecome P), ma forse altri concetti si riveleranno più adatti allo scopo.D’altronde, come abbiamo già detto, i tentativi possono essere molteplici, in particolare un buon candidatopotrebbe essere il concetto gemello di quello di analiticità, cioè quello di dimostrabilità (è necessario ciòche è dimostrabile).Tuttavia un risultato di Montague, “Syntactical Treatments of Modality, with Corollaries on Reflexion Principles andFinite Axiomatizability”, uscito nel 1963, sembra stabilire l’impossibilità di un trattamento predicativo delle modalità.

2) [La semantica dei mondi possibili] “Identità, necessità, e designazione rigida”, di Kripke

Mentre per Tarski la verità di un enunciato dipende dagli stati di cose di un solo mondo, la generalizzazioneoperata da Kripke consiste nelconsiderare la verità di un enunciato come dipendente da stati di cosepresenti in più mondi. Più precisamente, la verità, nella semantica di Kripke, dipende da una "struttura"formulata sull'insieme dei mondi tra loro possibili in quanto connessi da una particolare relazione R diaccessibilità.Nella semantica di Kripke o semantica a mondi possibili, la necessità di una proposizione p coincide con la

verità di p in tutti i mondi che sono possibili relativamente a un mondo dato. Le diverse proprietà dellarelazione tra mondi – detta relazione di accessibilità – sono rispecchiate dalle differenze sintattiche tra isistemi modali: possono essere proprietà come la riflessività, la transitività ecc., corrispondenti ad assiomipropri dei vari sistemi di modalità logiche, ma possono anche essere tali, per es., da ammettere unordinamento interno di somiglianza, come si richiede nella logica dei condizionali controfattuali. In terminidi relazioni fra mondi si possono identificare classi specifiche di mondi possibili, come quella dei mondifisicamente possibili (in cui valgono le leggi fisiche) o dei mondi deonticamente perfetti (in cui vieneapplicato un dato codice morale).

L'idea di base che Kripke si sforza di criticare è quella secondo cui i mondi possibili vengono immaginaticome dei paesi lontani che possono essere osservati con un telescopio al fine di scoprirne qualità e

relazioni in essi distinguibili. Quindi i mondi possibili sarebbero come dei pianeti o dei paesi diversi dalnostro, dei quali occorre scoprire quali relazioni o proprietà sono essenziali per l'identificazione di unindividuo.Kripke si sforza di superare proprio l'immagine "telescopica" dei mondi possibili, perché, quandos'immaginano i mondi possibili come qualcosa di qualitativamente diverso dal nostro, l'attenzione sifocalizza sulle proprietà o sulle relazioni che rendono un mondo possibile un mondo differente dal nostro.Vale a dire che, questa concezione dei mondi possibili, postula l'esistenza di qualità differenti cheattraverso una loro descrizione consentono di identificare un individuo.Da questo punto di vista il problema che diventa centrale è quello della transidentità, vale a dire diindividuare quelle proprietà, quelle condizioni necessarie e sufficienti, che sono essenziali per identificare

una entità in più mondi possibili.Ricapitolando, l'immagine telescopica dei mondi possibili, nel porre come problema quellodell'identificazione su più mondi possibili di uno stesso individuo, fa dei mondi possibili un concettoessenzialmente qualitativo, in quanto mette in primo piano come metodo di identificazione le proprietàdell'individuo. E' questo un altro modo per dire che un individuo corrisponde in più mondi possibili a unasommatoria di descrizioni.Il programma teorico che Kripke si propone di seguire è sostanzialmente l'inverso. Per far questo Kripkedeve naturalmente superare la teoria descrizionalista, secondo la quale l'individuazione degli individuiavviene mediante proprietà qualitative, e proporre la nuova teoria del riferimento diretto. Secondo questateoria infatti, un nome proprio, definito designatore rigido, designa univocamente un individuo in tutti i

mondi possibili a prescindere da tutte le descrizioni ad esso assegnate. Questo significa appunto superare ilproblema della transidentità mediante una concezione dell'identità che è prioritaria rispetto a quelladell'individuazione. E' questo uno dei portati della teoria del riferimento diretto.

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Una differenza sostanziale può essere messa in evidenza dalle differenti assunzioni di domini degliindividui in relazione ai mondi possibili che vengono presi in considerazione. Afferma che la stipulazione dialtri mondi possibili deve avvenire a partire dal mondo reale che è dato nella sua totalità, mentre gli altrimondi possibili differirebbero solo in piccole parti o sotto certi aspetti dal mondo reale.Infatti, la stessa definizione di designatore rigido, come quel termine che designa lo stesso individuo sututti i mondi possibili, consente di identificare gli individui a prescindere dalle loro proprietà (e quindi delleloro descrizioni).Si possono subito mettere in evidenza due risultati guadagnati da Kripke con la teoria del riferimentodiretto.- In primo luogo si dissolve lo "pseudoproblema" della identità attraverso mondi possibili.Grazie al designatore rigido l'identità degli individui si estende infatti per definizione su tutti i mondipossibili.- Tali mondi possibili, e questo è il secondo risultato teorico raggiunto dalla teoria del riferimento diretto,non sono più connotati in termini qualitativi ma, poiché il dominio degli individui su cui si quantifica èquello del mondo reale, si risolvono in semplici enunciati controfattuali relativi al mondo reale. Ossia, imondi possibili non si danno come delle totalità indipendenti ma sono dei semplici corsi di eventialternativi che presuppongono sempre il mondo reale come dato.

I «mondi possibili» sono stipulati, non scoperti con potenti telescopi. Non c'è ragione perché non si possasemplicemente stipulare che, parlando di ciò che sarebbe accaduto a Nixon in una certa situazionecontrofattuale, stiamo parlando di ciò che sarebbe accaduto a lui.Se abbiamo un'intuizione del genere sulla possibilità di quella cosa (la sconfitta elettorale di quest'uomo)essa riguarda la possibilità di quella cosa.Non c'è bisogno di identificarla con la possibilità che un uomo che si presenta così e così o che ha queste equest'altre idee politiche o è qualitativamente descritto altrimenti, abbia perso. Possiamo indicarequest'uomo e chiederci che cosa sarebbe accaduto a lui, se gli eventi si fossero svolti diversamente.La nozione usuale di criterio di identità attraverso mondi richiede che si diano condizioni necessarie esufficienti puramente qualitative perché qualcuno sia Nixon. Se non possiamo immaginare un mondopossibile in cui Nixon non abbia una certa proprietà, allora questa è una condizione necessaria perchéqualcuno sia Nixon.Possiamo semplicemente considerare Nixon e chiederci che cosa sarebbe accaduto a lui se variecircostanze fossero state differenti. Quindi a me sembra che le due posizioni, i due modi di considerare lecose, facciano differenza.Nozione di “identità attraverso mondi possibili”.Qual è la differenza tra chiedere se è necessario che 9 sia maggiore di 7 e chiedere se è necessario che ilnumero dei pianeti sia maggiore di 7? Perché una cosa è più informativa dell'altra sull'essenza? Intuitiva-mente la risposta potrebbe essere: «Ebbene, guarda, il numero dei pianeti avrebbe potuto essere diversoda quello che di fatto è. Ma non ha alcun senso dire che il nove avrebbe potuto essere diverso da quelloche di fatto è». Useremo alcuni termini in maniera quasi tecnica: chiameremo qualcosa un designatorerigido se in ogni mondo possibile esso designa lo stesso oggetto, e designatore non rigido o accidentale senon è così.Quando consideriamo una proprietà come essenziale di un oggetto, intendiamo normalmente che essa èvera di quell'oggetto in Ciascun caso in cui esso sarebbe esistito.Una delle tesi intuitive che intendo sostenere in queste conferenze è che i nomi sono designatori rigidi.Sembra proprio che essi soddisfino il criterio intuitivo sopra menzionato: anche se qualcuno di diverso dalpresidente degli Stati Uniti nel 1970 avrebbe potuto essere il presidente degli Stati Uniti nel 1970 (avrebbepotuto esserlo Humphrey, ad esempio), nessun altro che Nixon avrebbe potuto essere Nixon. Allo stessomodo, un designatore rigido designa un certo oggetto se designa quell'oggetto ogni volta che l'oggetto

esiste; se in più l'oggetto è un esistente necessario, il designatore può essere detto fortemente rigido.In queste lezioni altresì affermo, intuitivamente, che i nomi propri sono designatori rigidi; infatti, anche sel'uomo (Nixon) avrebbe potuto non essere il presidente, non si dà il caso che egli avrebbe potuto nonessere Nixon (anche se avrebbe potuto non chiamarsi «Nixon»).

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È proprio perché possiamo riferirei (rigidamente) a Nixon e stipulare che stiamo parlando di ciò chesarebbe potuto succedere a lui (in certe circostanze), che le «identificazioni attraverso mondi» in questicasi non sono problematiche.Le proprietà che un oggetto possiede in ogni mondo controfattuale non hanno nulla a che vedere con leproprietà usate per Identificarlo nel mondo reale.Se, d'altra parte, si richiede che io descriva ogni situazione controfattuale in modo puramente qualitativo,allora io posso solo chiedermi se una tavola, di un colore così e così ecc., avrebbe certe proprietà; è moltodiscutibile, se la tavola in questione sarebbe questa tavola, la tavola T, poiché è sparito ogni riferimento aoggetti in quanto contrapposti alle qualità.Nego che alcune di queste proprietà potrebbero essere essenziali. Nego che un particolare non sia altroche un «fascio di proprietà», qualunque cosa ciò significhi. Se una qualità è un oggetto astratto, un fa- sciodi qualità è un oggetto con un grado ancora maggiore di astrazione, non un particolare.Questa tavola è di legno, marrone, nella stanza ecc. Ha tutte queste proprietà e non è una cosa senzaproprietà che sta dietro ad esse; ma non perciò essa va identificata con l'insieme, o «fascio», delle sueproprietà, né con il sottoinsieme delle sue proprietà essenziali. Non si chieda: come posso identificarequesta tavola in un altro mondo possibile, se non mediante le sue proprietà? Ho una tavola tra le mani,posso indicarla e quando chiedo se essa avrebbe potuto stare in un' altra stanza) per definizione stoparlando di essa.

Alcune proprietà di un oggetto possono essergli essenziali in quanto tale oggetto non avrebbe potutomancare di averle. Ma queste proprietà non servono per identificare l'oggetto in un altro mondo possibile,perché tale identificazione non è necessaria. E non c'è neppure bisogno che le proprietà essenziali di unoggetto siano quelle che servono per identificarlo nel mondo reale, ammesso che sia identificato nelmondo reale per mezzo di proprietà (finora ho lasciato aperta la questione).Quindi: il problema dell'identificazione attraverso mondi è in certo modo sensato se è posto come laquestione dell'identità di un oggetto nei termini delle sue parti componenti. Ma queste parti non sonoqualità e non è in questione un oggetto che assomigli all'oggetto dato.Quindi non cominciamo con dei mondi (che si suppongono essere in qualche modo reali e le cui proprietà,a differenza dei loro oggetti, ci sono percepibili) per poi chiederci i criteri di identificazione attraverso

mondi; al contrario, cominciamo con gli oggetti, che abbiamo e possiamo identificare nel mondo reale.Possiamo chiederci poi se certe cose avrebbero potuto essere vere degli oggetti.

3) [Il realismo modale] “Mondi possibili”, di Lewis

Postulare mondi possibili significa proiettare la metafisica al di fuori della logica.I mondi possibili non sono puramente concettuali.I controfattuali sono veri solo se e solo se esiste quel mondo possibile che ci contiene.Non c'è nessuna connessione spz-tmp-causa tra il nostro mondo e i possibili.

Ci sono tanti modi in cui un mondo potrebbe essere fatto, e ciascuno di questi tanti modi è un modo in cuiun mondo è fatto”. Ognuno di questi mondi è un “grande oggetto fisico”, concreto.

Io credo che esistano dei mondi possibili oltre a quello in cui ci capita di abitare.Se le nostre espressioni modali non sono quantificazioni su mondi possibili, allora che cos'altro sono?Potremmo considerarle alla stregua di espressioni primitive non analizzate. Questa però non è affatto unateoria alternativa, bensì un modo di fare a meno della teoria.Quando professo il mio realismo sui mondi possibili intendo essere preso alla lettera.Il mondo attuale è soltanto un mondo tra i tanti. E l'unico mondo che chiamiamo attuale non perché sia diun genere diverso da tutti gli altri, ma perché è il mondo che abitiamo.

«Attuale» è un termine indicale così come «io» o «qui», o come «ora»: ciò a cui si riferisce dipende dallecircostanze di proferimento, ossia dal mondo in cui il proferimento ha luogo.La mia teoria indicale dell'attualità rispecchia perfettamente una dottrina sul tempo che è menocontroversa. Il nostro tempo presente è solo un tempo tra i tanti. E l'unico tempo che chiamiamo presentenon perché sia di un genere diverso da tutti gli altri, ma perché è il tempo che abitiamo.

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Interessante non è la riduzione dei mondi a entità matematiche, bensì la tesi secondo cui i mondi possibilisono in una certa corrispondenza uno-a-uno con certe entità matematiche. Chiamiamo queste entitàmondi possibili ersatz, mondi costruiti al più alto grado di generalità richiesto e consentito dale nostreconvinzioni modali. Se non siamo in grado afferrare adeguatamente tutti i mondi possibili è solo perché vipotrebbero essere ulteriori livelli di generalità che non siamo ancora riusciti a concettualizzare.La costruzione matematica di mondi ersatz sembra dipendere troppo dalle nostre attuali conoscenze dellafisica.Si potrebbe essere in grado di costruire mondi ersatz che disobbediscono alle leggi fisiche attualmenteaccettate, per esempio mondi ersatz in cui la massa-energia non si conserva. Tuttavia non potremmoessere certi di ottenere tutti i mondi possibili, poiché non potremmo essere certi di aver costruito i nostrimondi ersatz a un livello di generalità sufficientemente elevato.Le nostre opinioni modali mutano, e i fisici hanno un ruolo importante in questo cambiamento. Ma questonon significa che possiamo concludere quali possibilità vi siano a partire dai risultati contingenti dellaricerca empirica.

4) [la prospettiva attualista] “Mondi possibili”, di Stalnaker

“I modi in cui un mondo avrebbe potuto essere” sono oggetti astratti e per questo non possono essereidentificati con i mondi possibili di Lewis; soltanto il nostro mondo è concreto, ma anch’esso non puòessere identificato con “il modo in cui avrebbe potuto essere”, perché quest’ultimo è un singoletto, mentreil nostro mondo è un individuo.Quella di Stalnaker però non è tanto un’obiezione al realismo modale quanto un principio con essoincompatibile per assunzione: Lewis assume che i mondi possibili siano oggetti concreti, mentre Stalnakere gli altri assumono che siano astratti.

Perché ciò risulti convincente, tuttavia, è importante che il passaggio dall'espressione «modi in cui le coseavrebbero potuto essere» all'espressione «mondi possibili» equivalga a una semplice sostituzione

terminologica, e io non credo che lo sia, almeno stando al modo in cui Lewis sviluppa il concetto di mondopossibile.Il compito principale del mio argomento sarà di mostrare l'indipendenza delle tesi più plausibili e difenderecosì la coerenza di una versione più moderata di realismo sui mondi possibili.Queste sono le quattro tesi di Lewis: .(1)I mondi possibili esistono. (V)(2)Gli altri mondi possibili sono cose dello stesso tipo del mondo attuale. (X)(3)L' analisi indicale dell'aggettivo «attuale» è quella corretta. (V)(4)I mondi possibili non possono essere ridotti a qualcosa di più basilare. (V)Stalnaker sulla (2): i molti mondi possibili in-attuali sono oggetti astratti attualmente esistenti, e non

“oggetti concreti non-attuali”(Lewis).In Lewis, ciò di cui si afferma l'esistenza sono entità che il linguaggio ordinario chiama «modi in cui le coseavrebbero potuto essere», entità relativamente alle quali definiamo la verità, entità rispetto alle quali lenostre espressioni modali possono essere interpretate come dei quantificatori. Ma la prima tesi non dicenulla sulla natura di queste entità. È la seconda tesi che conferisce al realismo sul mondi possibili il suocarattere metafisico, poiché essa implica che i mondi possibili non sono modi evanescenti in cui le cosepotrebbero essere bensì particolari concreti, o almeno entità che sono composte da particolari e da eventiconcreti.Se i mondi possibili sono modi in cui le cose avrebbero potuto essere, allora il mondo attuale deve essere ilmodo in cui le cose sono, piuttosto che io e tutto ciò che mi circonda. Il modo in cui le cose sono è unaproprietà o uno stato del mondo, non il mondo stesso.Questa differenza è importante, poiché se le proprietà possono esistere non esemplificate, allora il modoin cui il mondo è potrebbe esistere anche se non esistesse un mondo che fosse m quel modo. Si potrebbeaccettare la prima tesi – ossia che vi sono davvero molti modi in cui le cose avrebbero potuto essere – enegare al contempo che esista qualcos'altro che sia come il mondo attuale.

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La terza tesi sembra implicare che l'attualità del mondo attuale – l'attributo in virtù del quale esso è attuale – sia un attributo relativo ai mondi, un attributi che il nostro mondo possiede relativamente a se stesso mache anche tutti gli altri mondi possiedono relativamente a loro stessi. Pertanto il concetto di attualità nondistingue, da un punto di vista assoluto, il mondo attuale dagli altri mondi.Credo che l'errore di questo ragionamento consista nell'assumere che il punto di vista assoluto sianeutrale, distinto dal punto di vista interno ai singoli mondi possibili. Il problema può essere evitatoconcedendo che il punto di vista del mondo attuale è il punto di vista assoluto, e che deve essere cosìperché questo fa parte del concetto di attualità.L'attualità del mondo attuale non è altro che una relazione tra questo mondo e le cose che lo abitano.Tutto ciò che ho tentato di fare qui è mostrare che vi è una tesi coerente sui mondi possibili che respinge ilrealismo estremo ma che prende sul serio i mondi possibili in quanto entità irriducibili, una tesi che tratta imondi possibili come qualcosa di più di un utile mito o di uno stratagemma notazionale, ma non fino alpunto di concepirli come universi che assomigliano al nostro.

5) [La concezione combinatoria] “La natura della possibilità”, di Armstrong

Intendo difendere una teoria combinatoria della possibilità. Questa teoria riconduce l'idea stessa dipossibilità all'idea di combinazioni – tutte le combinazioni che rispecchiano una certa forma semplice – traelementi attuali dati.La mia ipotesi metafisica fondamentale è che tutto ciò che c'è è il mondo dello spazio-tempo. E questomondo che deve fornire gli elementi attuali per la totalità delle combinazioni. Pertanto, ciò che propongo euna forma naturalistica di teoria combinatoria.

Il mio mondo iniziale contiene un numero di individuiindividui semplici, a, b, c, …Questi individui possono avere innumerevoli proprietà e tra loro possono sussistere innumerevoli relazioni.Un particolare è semplice se (e solo se) non ha altri particolari come parti proprie (ovvero dove le parti diun individuo non sono a loro volta individui).

Il mondo contiene inoltre , in numero finito o infinito, delle proprietàproprietà semplici F, G, H,... e delle relazionirelazionisemplici R, S, T,...Queste proprietà e relazioni sono concepite come universali . La stessa proprietà F può essere posseduta dadue o più individui distinti. La stessa relazione diadica R può sussistere tra due o più coppie distinte.Ho postulato l'esistenza di individui, proprietà e relazioni, gli ultimi due essendo rispettivamente degliuniversali monadici e poliadici (che formano, se l'ipotesi del naturalismo è corretta, un unico sistemaspazio-temporale). Ma questo potrebbe suggerire che io pensi alla realtà, all'attualità, come a unacostruzione simile a un burattino fatto di tre pezzi diversi. Al contrario, sostengo che questi «elementi»sono essenzialmente aspetti ovvero astrazioni, di ciò che Wittgenstein e Skyrms chiamano fatti e che iochiamerò stati di cose: l'essere F di a, l'essere b in relazione R con c, e così via, costituiscono stati di cose.

Se abbiamo sempre e solo a che fare con costituenti semplici, allora possiamo dire che questi stati di cosesono atomici . [→ i particolari e gli universali si connettono assieme formando stati di cose]Si consideri ora la totalità degli stati di cose atomici. Come ha suggerito Skyrms, possiamo pensare a unindividuo, ad esempio a, come niente più di un'astrazione di tutti gli stati di cose in cui a figura, F comeun'astrazione di tutti quegli stati di cose in cui F figura, e allo stesso modo per una relazione R. Per«astrazione» non si deve intendere che a, F ed R appartengono in un qualche senso a un altro mondo, eancor meno che siano «mentali» o irreali. Ciò che si deve intendere è che, mentre attraverso un atto diattenzione selettiva le si può considerare separatamente dagli stati di cose in cui figurano, questeastrazioni non hanno alcuna esistenza al di fuori degli stati di cose.Una proprietà o relazione possibile, anche se empiricamente possibile, non è ipso facto una proprietà o

una relazione.Data la nozione di stato di cose atomico, possiamo ora introdurre la nozione di stato di cose molecolare.Quest'ultima è limitata a stati di cose congiuntivi; stati disgiuntivi e negativi non sono ammessi.Si supponga che a sia F, ma non G. Si considerino ora gli asserti « a è F» e «a è G». Il primo è vero, e può

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essere chiamato asserto atomico. Ma il secondo può anch'esso essere chiamato asserto atomico poiché,sebbene non corrisponda a uno stato di cose atomico, possiede la forma di uno stato di cose atomico.Ciò che afferma, ossia che a è G, è falso. Ma possiamo anche dire che l'essere G di a è un possibile(meramente possibile) stato di cose atomico. Uno stato di cose meramente possibile non esiste, nésussiste, né possiede una qualche sorta di esistenza. Non è un'aggiunta alla nostra ontologia. Ma possiamoriferirci a esso, o per meglio dire possiamo simulare un riferimento.Ora che abbiamo a disposizione la nozione di stato di cose congiunto o molecolare e quella di stato di cosepossibile, possiamo parlare di congiunzioni di stati di cose atomici possibili, incluse le congiunzioni infinite:possiamo cioè introdurre la nozione di stato di cose molecolare possibile.Gli individui semplici possono combinarsi con proprietà e relazioni in tutti i modi dando luogo a stati dicose atomici possibili, con la sola condizione che venga rispettata la forma degli stati atomici. Questa èl'idea combinatoria. Tali stati di cose atomici possibili possono poi essere combinati in tutti i modi dandoluogo a stati di cose molecolari possibili. E se uno stato di cose molecolare possibile di questo tipo èconcepito come la totalità dell'essere, allora abbiamo un mondo possibile.

Ecceità: molteplice (particolare; nota differenziale)Quiddità: unità (universale)Non potrebbero esserci individui che non sono né identici a individui attuali né composti di individui

attuali? Seguendo Lewis, chiamiamo questi individui «individui alieni».Almeno per quanto riguarda gli universali, non credo che questo trattamento risulterebbe efficace. Inparticolare, ci costringerebbe ad abbandonare il naturalismo.Se le proprietà aliene sono possibili, allora ognuna avrà la sua propria natura, la sua quiddità potremmodire.Il caso degli alieni veri e propri richiede misure più severe. Credo che un combinatorialista naturalistadovrebbe negare la possibilità di universali veramente alieni. Per la teoria combinatoria, il possibile èdeterminato dall'attuale. Pertanto gli universali attuali fissano un limite – dato dalla totalità delle lororicombinazioni- agli universali possibili.Il modo più convincente per sfruttare l'intuizione a favore degli universali alieni è questo. Consideriamo un

mondo “contratto”, contratto rimuovendo, poniamo, alcune proprietà semplici da questo mondo. Dalpunto di vista di questo mondo contratto, le proprietà semplici in questione saranno proprietà aliene. Mase le proprietà che si trovano nel nostro mondo potrebbero essere aliene relativamente a un mondocontratto, non ne segue forse che vi sono mondi possibili relativamente ai quali il nostro mondo risultacontratto rispetto agli universali? Questi mondi conterranno universali alieni rispetto al nostro mondo.Il mondo attuale, e solo quello, è un mondo vero e proprio. Il possibile è determinato dall'attuale epertanto, fatta salva la ricombinazione, non può eccedere l'attuale. Prendere in considerazione un mondocontratto significa supporre, falsamente, che il mondo attuale sia contratto. Se il possibile è determinatodall'attuale, e l'attuale si suppone contratto, il possibile si deve anch'esso supporre contratto, e certiuniversali attuali si devono supporre alieni. Ma questo non autorizza l'esistenza di mondi espansi.Cosa ne è allora degli individui alieni? Qui il problema per il combinatorialista è assai più serio. Sembramolto difficile negare che il mondo potrebbe contenere più individui di quanti ne contenga in realtà.Quello che voglio suggerire è che, nel caso degli individui alieni, , l'appello di Skyrms all' «analogia» èsostenibile. Tuttavia per sostenerlo è necessario rifiutare una dottrina che Skyrms invece accetta (per gliindividui attuali): la dottrina dell'ecceità. Cominciamo quindi discutendo questa dottrina.A scopo illustrativo sarà bene sostituire il nostro ricco e complicato mondo attuale con un mondo contrattocontenente soltanto gli individui semplici a e b assieme alle proprietà, anch'esse semplici, F e G. Questomondo è esaurito dagli stati di cose seguenti:(I) Fa & Gb.(II) Ga & Fb(III) Fa & Ga & Fb(IV) Fa & Fb & Gb(V) Fa & Ga & Gb(VI) Ga & Fb & Gb(VIII) Fa & Ga & Fb & Gb

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Un ecceitista sostiene che i membri di ogni coppia differiscono l'uno dall'altro. L'anti-ecceitista lo nega. Uncombinatorialista anti-ecceitista perciò ammette meno mondi possibili dell'ecceitista.L'ecceitista sostiene che, a parte le proprietà reiterabili (F e G), sia a che b hanno anche una loro specificaessenza interna, una firma metafisica, per così dire, che li distingue l'uno dall'altro. Perfino se astratti dallerispettive proprietà reiterabili, a e b differiscono nella loro natura.L' anti-ecceitista nega questa tesi. Si noti che vi potrebbe essere una versione  forte e una versione deboledi anti-ecceitismo.L'anti-ecceltlsmo forte nega che gli individui siano qualcosa in più rispetto ai «fasci» delle loro proprietà.Per l' anti-ecceitista forte il «mondo» VII collasserebbe in un mondo con un solo individuo, l'individuo cheha le proprietà F e G (i «due» fasci sarebbero in questo caso uno stesso fascio).Io rifiuto l'antl-ecceltlsmo forte per varie ragioni, ma, sono incline ad accettare la versione debole.L'ecceitismo per gli individui è parallelo al quidditismo per gli universali. Inoltre l'ecceitismo, incongiunzione con il combinatorialismo naturalista, sembra rendere impossibili gli individui alieni,esattamente come il quidditismo rende impossibili gli universali alieni. Questo perché l'individuo alienodeve possedere una qualche definita ecceità, differente e non ottenibile a partire dalle ecceità attuali.Benché si possa forse negare la possibilità di universali autenticamente alieni, la possibilità di individuiautenticamente alieni appare ineccepibile. .La mia proposta è che il combinatorialista naturalista dovrebbe assumere una posizione anti-ecceitista

(debole).

I mondi di Wittgenstein richiedono dunque di essere integrati da mondi che contengono altri individui, manon da mondi che contengono altri universali semplici.Anche le contrazioni vanno messe in conto. Se non vi fosse contrazione, allora ogni individuo attuale, eogni universale semplice, apparirebbe in ogni mondo possibile. È stato notato che ciò renderebbe sia gliindividui che gli universali delle entità necessarie.