Lorizio- Metafisica Agapica

65
Giuseppe Lorizio Carità, verità e santità nell’orizzonte della metafisica agapica Relazione al VI corso dei simposi rosminiani: “Etica contemporanea e santità”, Stresa 26 agosto 2005 In un tempo nel quale il sano pudore sopravvive a stento sembra del tutto fuori luogo esercitare falsi pudori, sostenuti magari dal pretesto del “politicamente corretto”, che spesso nuoce al dibattito culturale e alla ricerca della verità ad esso sottesa. Senza appunto alcun falso pudore e con la dovuta parresia, alla quale deve corrispondere l”audacia della ragione” (FeR, 48), ci sembra intellettualmente doveroso e coerente, nel momento in cui ci accingiamo a pensare il profondo nesso da un lato e le complesse connessioni dall’altro, implicate nelle tre parole presenti nel titolo (carità, verità e santità), smascherare alcuni falsi dilemmi, dai quali anche una teologia poco accorta può lasciarsi irretire. Si tratta di posizioni molto diffuse e consistentemente alimentate (stavo per dire foraggiate) dalla sedicente cultura laica, che più correttamente va denominata laicista (con tutta la carica ideologica che ogni –ismo comporta). La pars destruens (quella relativamente più facile) del mio discorso punta il dito su tre false alternative dilemmatiche, oggi imperanti nel nostro povero areopago culturale. Mi riferisco a) al falso dilemma tendente a contrapporre fede e ragione, b) alla connessa falsa alternativa fra verità e libertà e c) infine alla perpetrata – anche di recente – contrapposizione fra verità e carità. Le alternative dilemmatiche, tendenti a spezzare dei legami consolidate sono da attribuirsi all’azione

Transcript of Lorizio- Metafisica Agapica

Page 1: Lorizio- Metafisica Agapica

Giuseppe LorizioCarità, verità e santità nell’orizzonte

della metafisica agapica

Relazione al VI corso dei simposi rosminiani: “Etica contemporanea e santità”, Stresa 26 agosto 2005In un tempo nel quale il sano pudore sopravvive a stento sembra del tutto fuori luogoesercitare falsi pudori, sostenuti magari dal pretesto del “politicamente corretto”, che spesso nuoceal dibattito culturale e alla ricerca della verità ad esso sottesa. Senza appunto alcun falso pudore econ la dovuta parresia, alla quale deve corrispondere l”audacia della ragione” (FeR, 48), ci sembraintellettualmente doveroso e coerente, nel momento in cui ci accingiamo a pensare il profondonesso da un lato e le complesse connessioni dall’altro, implicate nelle tre parole presenti nel titolo(carità, verità e santità), smascherare alcuni falsi dilemmi, dai quali anche una teologia poco accortapuò lasciarsi irretire. Si tratta di posizioni molto diffuse e consistentemente alimentate (stavo perdire foraggiate) dalla sedicente cultura laica, che più correttamente va denominata laicista (con tuttala carica ideologica che ogni –ismo comporta).La pars destruens (quella relativamente più facile) del mio discorso punta il dito su tre falsealternative dilemmatiche, oggi imperanti nel nostro povero areopago culturale. Mi riferisco a) alfalso dilemma tendente a contrapporre fede e ragione, b) alla connessa falsa alternativa fra verità elibertà e c) infine alla perpetrata – anche di recente – contrapposizione fra verità e carità. Lealternative dilemmatiche, tendenti a spezzare dei legami consolidate sono da attribuirsi all’azionedel diabolos (come colui che separa e divide), laddove la tenuta del legame è invece opera delloSpirito (legame fondamentale tra le persone divine e persona Egli stesso). Non vorrei tuttavia che lavis polemica presente nella prima parte della mia relazione inducesse l’idea, da me sempre benlontana, di voler instaurare una sorta di apologetica della contrapposizione nei confronti della

Page 2: Lorizio- Metafisica Agapica

cultura contemporanea e delle sue espressioni. Tenterò, invece, come mio solito, di leggere anche inqueste false alternative dei semi di verità, sui quali poggia il nostro rifiuto a spegnere il lucignolofumigante.La pars construens del mio contributo riguarderà invece la tematica della santità nella suaconsistenza ontologica, pienamente percepibile solo nel quadro di quella metafisica agapica, che ilgenio di A. Rosmini (ovviamente sulla scorta di una grande tradizione) ha saputo pensare ed2esprimere nel suo tempo e che noi siamo chiamati a ripensare e riproporre nel nostro. Di talemetafisica agapica, con la sua componente pneumatologica, cercheremo qui di seguito di enuclearealcuni sviluppi di carattere a) epistemologico, b) ontologico e c) ecclesiologico ed escatologico,tralasciando l’aspetto antropologico della santità, di cui si sono già abbondantemente occupati inchiave filosofica A. Fabris e in prospettiva teologica I. Sanna. La conclusione ci porterà verso ilvertice della metafisica agapica, ossia alla valenza speculativa dell’amore intratrinitario. Questarelazione, mentre mi offre un’occasione preziosa per riprendere alcune tematiche già trattate altrovee riportarle, in un certo senso, nel loro grembo rosminiano, mi consente di compiere ulteriori,magari piccoli, ma a mio avviso significativi, passi avanti nella ricerca teologica che vadoconducendo.1. a) Fede e ragione: il falso dilemma e l’alterità non alternativa.La modernità compiuta ci ha ormai da tempo abituati al motto “non più credere, mapensare!”, agitato come un vessillo di vittoria e di emancipazione della ragione dalla fede, dellafilosofia dalla teologia, dell’uomo da Dio. Dal Kant di “Che cosa è l’illuminismo?” al Feuerbachdel Diario, l’alternativa dilemmatica tra fede e ragione sembra richiedere una scelta univoca edinequivocabile, perché chi vuole iniziare a ragionare non può o non deve più credere. Non di radotale dilemma si è espresso in termini drammatici e fortemente provocatori. Basterebbe rievocare unafamosa scena de Il settimo sigillo di I. Bergman, quando il cavaliere Antonio, che, a sua insaputa, si

Page 3: Lorizio- Metafisica Agapica

sta confessando dalla morte, esclama: “[…] il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che miguarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura […] È così crudelmenteimpensabile percepire Dio con i propri sensi? Perché deve nascondersi in una nebbia di mezzepromesse e di miracoli che nessuno ha visto? Come possiamo credere in chi crede se non crediamoa noi stessi? Cosa sarà di quelli come noi che vorrebbero credere ma non ci riescono? E cosa sarà diquelli che non vogliono e non possono credere? Io voglio sapere. Non credere. Non supporre.Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli”1.In tempi più recenti, tuttavia, il dilemma si ripropone, senza tuttavia assurgere alla qualitàspeculativa esibita dalle filosofie dei secoli che ci hanno preceduto, né assumere i toni drammaticiassunti spesso in sede artistica e letteraria a supporto dell’ateismo tragico e della proclamazionedell’evento della morte di Dio. L’alternativa dilemmatica tra fede e ragione oggi, al contrario,sembra vestire piuttosto i panni della pigrizia intellettuale o della contrapposizione ideologica,1 I. BERGMAN, Il settimo sigillo, Iperborea, Milano 1994, 27-28.3assunta in particolare verso la forma cattolica della fede cristiana, che, da sempre e come sempre,non si stanca di proporre l’armonia tra il sapere e il credere, indicando in maestri del pensiero qualiAgostino e Tommaso dei punti di riferimento imprescindibili e capaci di offrire un sicuroorientamento nella ricerca di tale armonia. Quanto all’assunzione pigra della contrapposizione vasegnalato che essa può riguardare sia i credenti che i non credenti o i cosiddetti agnostici. La faticadi pensare la propria fede e di cercare sempre nuove armonie con le diverse forme di razionalità chel’umano conoscere di volta in volta mette in campo viene accuratamente evitata dalla maggior partedei credenti, che sembrano optare per un quieto fideismo, piuttosto che per una fede pensata e ingrado di esibire la propria costitutiva forma di razionalità. La contrapposizione ideologica si è inparticolar modo espressa a ridosso della promulgazione dell’enciclica Fides et ratio, assumendo i

Page 4: Lorizio- Metafisica Agapica

toni, tutt’altro che kierkegaardiani, dell’aut fides aut ratio ed invocando la testimonianza,falsamente interpretata come adesione meramente pratica al Vangelo, come l’unica possibile via dicredibilità del Cristianesimo, invitato a rinunciare ad ogni pretesa filosofica o metafisica.La necessità di contrastare queste tendenze potrebbe indurre anche i credenti più avvertiti eaddirittura i teologi ad imboccare la scorciatoia dell’annessione integralistica della ragione alla fede,diametralmente opposta all’annessione della fede alla ragione di ottocentesca memoria. In ogni casosi rinuncia a pensare fino in fondo il nesso, la et, tra l’orizzonte della fede e quello della ragione,ritenendo ad esempio che l’esercizio di una ragione autentica sia possibile solo all’interno dellaprospettiva credente e dando vita ad un’epistemologia teologica certamente coerente econsequenziale, ma che sembra ancora profondamente abitata dal falso dilemma, risolto in manierainclusivistica.La prospettiva che invece qui (e altrove nei nostri lavori) intendiamo adottare, in primoluogo intende la fede e la ragione non solo in termini propriamente epistemologici, ma comeespressione di due realtà, che stanno l’una di fronte all’altra e tra le quali va innanzitutto intravistoed espresso un rapporto di autentica alterità. Riteniamo infatti che, nella riflessione del rapportofede / ragione, non si possa tralasciare il fatto che il passaggio dall’una all’altra non è affattoscontato e spontaneo e che l’armonia fra le due sfere non è affatto “prestabilita”, ovviamente quoadnos. Si tratta, infatti, come sia il teologo Max Seckler che il filosofo Remo Bodei, hannorecentemente ricordato di due “mondi vitali” che si fronteggiano e che vanno sempre di nuovoarmonizzati e lasciati incontrare2. Particolarmente importante mi sembra l’interpretazione del2 Mi riferisco alle relazioni tenute dai due illustri studiosi nell’ambito del Convegno Internazionale a cinque anni dallaFides et ratio tenutosi alla Pontificia Università Lateranense e i cui atti sono stati pubblicati in A. LIVI – G. LORIZIO

4teologo fondamentale, che intravede nell’enciclica Fides et ratio qualcosa di più e di diversorispetto a quanto si può proporre in un orizzonte specificamente epistemologico: “È vero che anche

Page 5: Lorizio- Metafisica Agapica

nell’enciclica Fides et ratio i termini fede e ragione sono da concepire come concetti fondamentalidella teoria della conoscenza teologica, e l’ «e» che li connette rinvia ad uno dei più grandiproblemi della teoria della conoscenza: la questione della relazione reciproca tra i due mezzi diconoscenza e del rapporto tra metodi e contenuti di conoscenza filosofici e metodi e contenuti diconoscenza teologici. Ma l’enciclica supera però poi considerevolmente, in singole parti del testo eanche nel suo intero impianto di interessi, il piano epistemologico nel senso tecnico specialistico. Itermini fides e ratio per essa non sono solo concetti della teoria della conoscenza teologica, maaldilà di ciò contrassegni di realtà più ampie. Essi stanno a significare i due mondi vitali della fede edella ragione, del pensiero filosofico e di quello teologico, della cultura religiosa e di quellasecolare. È una delle istanze centrali dell’enciclica quella di riconciliare questi mondi l’uno conl’altro e di condurli ad un rapporto reciproco costruttivo”. Naturalmente il luogodell’armonizzazione ossia della et è la persona che crede e pensa e che nell’atto di fede è chiamataal coinvolgimento non solo delle proprie facoltà cognitive e della propria razionalità, bensì, ed inmisura non secondaria, all’esercizio della propria volontà libera e della propria affettività. Nonbisogna tuttavia dimenticare che questa visione antropologica dell’atto di fede deve esserestrettamente connessa al carattere teologale e quindi di grazia della fede stessa, che si esprime nelparadosso dono-scelta.In secondo luogo questa uscita dall’alternativa dilemmatica attraverso la prospettivadell’alterità, intende far proprio e riproporre, ripensandola, la dottrina tipicamente cattolica delduplex ordo cognitionis, oggi fortemente avversata anche in sede teologica, ma che vale a garantiredi fatto la legittima autonomia delle diverse forme di razionalità, compresa quella filosofica e metteal riparo da ogni tentazione integrista. Si trova qui il fondamento della metafora delle due ali, chel’enciclica Fides et ratio pone nel suo incipit, a condizione che tale dottrina venga riscattata dallacattura neoscolastica e ripensata alla luce delle acquisizioni della teologia e della filosofia

Page 6: Lorizio- Metafisica Agapica

contemporanee. A tal proposito va innanzitutto rilevata l’interpretazione cristologica di taledottrina, dove il suo luogo originario viene indicato nella persona del Verbo fatto carne.Analogamente alla dottrina delle due nature e della loro unione ipostatica, il duplex ordo viene aporsi come duplice appartenenza dell’uomo e duplice sfera di conoscenza, naturale esoprannaturale. Questa interpretazione mi sembra ampiamente condivisibile, anche in quanto lascia(edd.), Il desiderio di conoscere la Verità. Teologia e filosofia a cinque anni da Fides et ratio, Lateran University Press,Roma 2005 (il luogo citato della relazione del teologo a p. 58).5ampio spazio alla “cristologia filosofica”, intesa come ricerca concernente la valenza speculativa(gnoseologica ed ontologica) dell’evento Cristo.Mi preme altresì segnalare come si diano almeno altre due possibilità interpretative possibiliin ordine a tale dottrina, che ovviamente vengono non ad escludere, ma ad integrare quellacristologica. In primo luogo mi riferisco ad una interpretazione del duplex ordo in chiaveantropologica, chiamando in causa le figure della ragione creata e della ragione redenta ericordando come il credente ovviamente utilizza un’unica ragione, che è quella redenta, nella qualesi rinviene la possibilità dell’esercizio della “ragione creata”, in relazione a quella che chiamo ladimensione cosmico-antropologica della rivelazione. Si può privilegiare questa impostazione, inquanto particolarmente utile sul piano dialogico e, se si vuole, apologetico, senza tuttavia tralasciareaffatto la dimensione cristologica, anzi cristocentrica, dove il Cristo viene interpretato e propostocome modello e paradigma della fede.Mi sembra però altrettanto plausibile una interpretazione del duplex ordo in chiave trinitariacon riferimento, ad esempio, al famoso loghion cosiddetto giovanneo (Mt 11,25-27 ║ Lc 10, 21-22)dove il livello soprannaturale della conoscenza-amativa è dato dal rapporto fra il Padre e il Figlio,cui l’uomo è chiamato a partecipare attraverso la rivelazione. Anche qui tuttavia rinveniamo loscarto fra la conoscenza della fede e quella meramente umana (dei sapienti e dei dotti). Il loghion,

Page 7: Lorizio- Metafisica Agapica

infatti, pone in primo luogo l’accento sulla prospettiva intratrinitaria, allorché descrive il rapportofra il Padre e il Figlio in termini oblativi (relazione come dono – “tutto mi è stato dato”), attraversoil ricorso al verbo ™piginèskw = conoscere, che richiama tutta la pregnanza esperienziale,dinamica ed esistenziale della conoscenza biblica, tutt’altro che astratta e meramente intellettuale.D’altro lato il reciproco donarsi delle persone nella Trinità resterebbe chiuso in se stesso (“nessunoconosce”) se attraverso la rivelazione (= ¢pokalÚyij), il cui protagonista è il Figlio(cristocentrismo), non potesse raggiungere gli uomini. E tale apertura è caratterizzata da unaoriginaria gratuità, espressa dal verbo bouleÚw (= “lo voglia rivelare”), sicché gli sforzi degliintelligenti e dei sapienti (cui si fa riferimento all’inizio) risultano vani, perché l’atteggiamentorichiesto per addivenire a questa autentica gnîsij è quello della recettività e della semplicità deipiccoli.In terzo luogo l’alterità non alternativa tra fede e ragione aiuta a ben comprendere lametafora del “salto”, che il passaggio dall’una all’altra esige. Tale metafora consente di porre intermini drammatici e in tutta la sua serietà il rapporto fra fede e ragione, che possiamo chiamare due6“sponde”, del Vero, d’altro lato, sarà compito dei successivi momenti della riflessione segnalare ecostruire dei “ponti” o dei “trampolini” che rendano possibile l’attraversamento del “fossato”. Daparte della ragione essi sono indicati nei praeambula fidei, ripensati e riproposti in chiave diteologia filosofica e in chiave antropologica, mentre da parte della fede si tratta delle ragioni cheessa può e deve esibire attraverso il sapere teologico e la filosofia cristiana. Devo inoltre aggiungereche il tema del “salto”, che evoca il “fossato”, oltre che dalle vicende del pensiero moderno epostmoderno, risulta originario rispetto al messaggio cristiano, appartenendo in buona misura aquello che è stato recentemente definito il DNA del cristianesimo. Dopo aver citato i versi di unanonimo bavarese: “Grande è Dio nella natura / dappertutto c’è la sua impronta. / Vuoi vederloancora più grande? / Fermati davanti alla croce!” in rapporto al luogo paolino del lÒgoj toà

Page 8: Lorizio- Metafisica Agapica

stauroà (1Cor 1,18-25), il biblista R. Penna aggiunge: “Ma, bisogna ammetterlo, per dire che nelcrocifisso appare un Dio ancora più grande la ragione non basta. Occorre il salto della fede: nontanto nel senso rinunciatario e un po’ lesionistico del credo quia absurdum quanto piuttosto nelsenso della dignitosa ammissione socratica di «sapere di non sapere», cioè di riconoscere i proprilimiti e quindi di rendersi conto che può esserci qualcosa che supera i nostri comuni schemirazionali. Bisogna, in definitiva, dare ragione al profeta, quando per sua bocca Dio dice: «I mieipensieri non sono i vostri pensieri» (Is 55,8). Ed è ciò che Socrate sostanzialmente condivide,quando, durante il processo, riferendosi all’Apollo del santuario di Delfi che lo aveva definito comel’uomo più sapiente, esclamava: «In realtà, signori miei, l’unico vero sapiente è il dio, e col suooracolo egli vuol dire che l’umana sapienza vale poco o nulla»”3.Da questo punto di vista preme richiamare un luogo particolarmente significativodell’enciclica Fides et ratio: “Parlando il linguaggio dei filosofi suoi contemporanei, Paoloraggiunge il culmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole esprimere: «Dio ha scelto ciòche nel mondo [...] è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1 Cor 1, 28). Per esprimere lanatura della gratuità dell'amore rivelato nella croce di Cristo, l'Apostolo non ha timore di usare illinguaggio più radicale che i filosofi impiegavano nelle loro riflessioni su Dio. La ragione non puòsvuotare il mistero di amore che la Croce rappresenta, mentre la Croce può dare alla ragione larisposta ultima che essa cerca. Non la sapienza delle parole, ma la Parola della Sapienza è ciò chesan Paolo pone come criterio di verità e, insieme, di salvezza. La sapienza della Croce, dunque,supera ogni limite culturale che le si voglia imporre e obbliga ad aprirsi all'universalità della veritàdi cui è portatrice. Quale sfida viene posta alla nostra ragione e quale vantaggio essa ne ricava se visi arrende! La filosofia, che già da sé è in grado di riconoscere l'incessante trascendersi dell'uomo3 R. PENNA, Il DNA del Cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 167.7verso la verità, aiutata dalla fede può aprirsi ad accogliere nella « follia » della Croce la genuina

Page 9: Lorizio- Metafisica Agapica

critica a quanti si illudono di possedere la verità, imbrigliandola nelle secche di un loro sistema. Ilrapporto fede e filosofia trova nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo scoglio contro ilquale può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell'oceano sconfinato della verità. Qui simostra evidente il confine tra la ragione e la fede, ma diventa anche chiaro lo spazio in cui ambeduesi possono incontrare” (FeR, 23).Tale spazio d’incontro, nella nostra prospettiva, può essere invocato e prefiguratonell’ambito dell’orizzonte agapico, in un’armonia che non toglie la differenza, né mortifica uno deidue termini di riferimento a vantaggio dell’altro: “Se il paradosso e l’intelletto s’incontrano nellacomune comprensione della loro diversità, l’incontro sarà felice come l’intesa dell’amore: felicenella passione [...]. Se lo scontro non è di comune intesa, il rapporto è infelice, e questo amoreinfelice – se posso dirlo – dell’intelligenza (il quale, bisognerebbe notarlo, è come l’amore infeliceche ha il suo fondamento in un egoismo frainteso: più in là l’analogia non va, poiché la forza delcaso qui non può nulla) noi possiamo chiamarlo con un termine più specifico: scandalo”4.1. b) Il falso dilemma verità versus libertà.Un ulteriore fuorviante dilemma, strettamente connesso a quello appena smascherato,sembra serpeggiare nella cosiddetta opinione pubblica, anche colta, contemporanea, alimentandosidi un mito, che stenta a lasciarsi pensare e criticamente assumere: quello della scienza. Laprospettiva scientista, che i migliori cultori anche delle scienze cosiddette hard ormai sembrano perlo più aver accantonato e demolito, nella mentalità diffusa sembra esprimersi secondo laconvinzione tendente a separare l’esercizio della libertà dalla ricerca della verità. La conoscenza“scientifica” del reale, infatti risulterebbe oltremodo necessitante e cogente, tanto da non lasciarealcuno spazio alla decisione del soggetto di aderirvi o meno. Quanto più, invece, tale attitudine siesercita, tanto meno “scientifiche” ossia “veritiere” sarebbero le tesi da accogliere. Poiché i livelli diconoscenza che hanno a che fare con visioni dell’uomo, del mondo e di Dio, implicano un profondocoinvolgimento della libertà di adesione, allora le discipline o gli ambiti disciplinari che li coltivano

Page 10: Lorizio- Metafisica Agapica

sarebbero lontani dalla possibilità di potersi esibire come scientifici e, in ultima analisi, veritieri.Questa prospettiva dilemmatica comporta l’esclusione dall’ambito delle scienze propriamente dettonon solo della forma della razionalità teologica e del sapere che da essa si genera, bensì anche diquella filosofica, a meno che essa non accetti di lasciarsi condurre e sviluppare nell’orizzonte4 S. KIERKEGAARD, “Lo scandalo del paradosso (un’illusione acustica)”, in S. KIERKEGAARD, Briciole di filosofia epostilla non scientifica, a cura di C. FABRO, Zanichelli, Bologna 1962, 137.8scientista sopra descritto. Un’ulteriore conseguenza dell’assunzione del falso dilemma verità /libertà possiamo facilmente rinvenirla nella tendenza sempre più diffusa a relegare l’ambito delreligioso e della fede nel privato, riservando appunto al pubblico dibattito solo quanto sarebbe“scientificamente” verificabile o falsificabile.Sed contra… mi piace richiamare un passaggio rosminiano, nel quale, riferendosiall’epistemologia della matematica, Rosmini afferma che solo apparentemente gli assunti di taledisciplina obbligano la mente all’adesione. Di notevole interesse storiografico e gnoseologico credosarebbe l’istruzione di un confronto fra la teoria rosminiana dell’assenso e quella di J. H. Newman(anch’egli con precedenti di studi matematici rilevanti, forse più strutturati di quelli di Rosmini), maci limitiamo qui ad indicare una strada per ulteriori ricerche. Ciò che ci interessa più direttamente èinvece il tema della “necessità dell’assenso”, posto da Rosmini proprio in relazione alle asserzionimatematiche e geometriche. Senza elaborare oltre una teoria del determinismo matematicogeometrico,mi sembra che in questa sede al Roveretano stia particolarmente a cuore porre in rilievocome la libertà sia sempre e comunque implicata nel rapporto dell’uomo con la verità, persino conle verità che sembrano escludere ogni implicanza del libero arbitrio. La questione è così formulata:“perché alle verità fornite di certa evidenza, come le geometriche, sembra che noi siamo necessitatia dare l’assenso”. Ed ecco come Rosmini articola il proprio ragionamento: “Noi non esitiamo a darl’assenso alle verità fornite di certa evidenza, come le geometriche, anche perchè il più delle volte

Page 11: Lorizio- Metafisica Agapica

esse sono scompagnate dalle cause occasionali dell’errore: cioè 1. sono così distinte e precise, chel’una dall’altra è dissimilissima e di tutt’altra natura; 2. la nostra volontà non ha una precedenteinclinazione né ad un risultato nè ad un altro”. Ed ecco l’annotazione: “Quando incontra che v’abbiasomiglianza tra queste verità, allora succede che il matematico sbagli; e questa è una delle cagionidegli errori che prendono i matematici. Un’altra cagione d’errore che s’introduce ne’ calcoli, sonogli sbagli di lingua o di penna. Quando la mano o la lingua erra in un calcolo, l’errorenecessariamente vi s’introduce. In tal caso gli strumenti del calcolo sono cause occasionalidell’errore. Di qui si può in generale stabilire, «che anche tutte potenze e gl’ istrumenti di cui fauso l’intendimento a pervenire alla conclusione del suo giudizio possono essere cause occasionalisebbene più rimote di quelle che abbiamo annoverate) di errore». Per altro queste cause occasionalipiù rimote non hanno alcuna effìcacia di produrre per sè l’errore senza le più prossime, come lecause occasionali più prossime non inducono esse necessariamente l’uomo in errore senza che lavolontà ceda negativamente o anche positivamente acconsenta. E a vedere che la fallacità dellepotenze e degli istrumenti non portano l’errore di necessità, senza qualche cooperazione dellavolontà, si consideri, che quando io a ragion d’esempio scrivo colla mia mano un b in luogo d’un a,la mia mano il fa o volontariamente o meccanicamente. Se la mia mano è determinata9meccanicamente a scrivere il b, allora la cooperazione della volontà è solamente negativa, cioèl’errore è avvenuto perchè mentre la volontà intelligente dovea dirigere la mano pel fine del calcolo,ella nol fece, ma lasciò questa ire a sua posta: il che è una inordinazione. Se la determinazione dellamano a scrivere il b è volontaria, la cooperazione della volontà è anche positiva. Nel caso però dellacooperazione negativa della volontà. l’errore si può chiamare puramente materiale. Ma quandocomincierebbe egli ad esser formale? Nel fine del calcolo, se il giudizio finale del risultamento delcalcolo si avesse per assoluto e per infallibile. Perciò il matematico non cade in un vero errore

Page 12: Lorizio- Metafisica Agapica

formale, se al fine del calcolo dice: «Questo è il risultamento, se pure la mia mano, la mia linguaecc., non ha sbagliato in operare». Una tale prudente riserva, che bene spesso è sottintesa, togliel’errore formale e volontario, e lascia solo uno sbaglio che non è un vero onore»”5. Nellaprospettiva rosminiana sarebbe un indicatore del limite delle conoscenze matematico, quello cheimpedirebbe anche in esse e attraverso di esse l’esercizio di una piena libertà: Questo principio dilimitazione – leggiamo nei manoscritti per una filosofia della matematica - è quella legge per cui ilragionamento che si fa sulla cosa viene impedito a seguire con tutta libertà la cosa stessa.D’altra parte nella logica della fede, fondata sulla Rivelazione come orientamento, l’istanzaveritativa non può mai disgiungersi da quella etica, sicché fra l’adesione della verità e l’eserciziodella volontà libera si dà un nesso profondo ed imprescindibile. Il pensatore russo Pavel Florenskij65 A. ROSMINI, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, a cura di G. MESSINA, Città Nuova – CISR, Roma – Stresa 2005, t.III, 202-203 (§ 1301) (EC, 5).6Tra le opere di P. A. FLORENSKIJ tradotte in italiano ricordiamo: La colonna e il fondamento della Verità, intr. di E.ZOLLA, Ruscono, Milano 1998: capolavoro di Florenskij, vera e propria summa della teologia e spiritualità ortodosse;Le porte regali. Saggio sull’icona, a cura di E. ZOLLA, Adelphi, Milano 1977: trattazione originale del tema dell’icona edell’iconografia, impostata in chiave teologico-antropologica; La laura della Trinità e di san Sergio e la Russia, inRussia Cristiana 4 (1977), 3-19: breve saggio sui fondamenti spirituali del popolo russo; Cristianesimo e cultura, inL’altra Europa 5 (1987), 49-62: riflessione sulla crisi del cristianesimo e sul suo superamento per mezzo di un’aperturaecumenica delle chiese; Attualità della parola. La lingua tra scienza e mito, tr. it. di E. TREU, Guerini e Associati,Milano 1989: contiene tre saggi dedicati alla filosofia del linguaggio; La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura diN. MISLER, tr. it. di C. MUSCHIO e N. MISLER, Gangemi Editore, Roma 1990: raccolta di saggi di carattere filosofico sultema dell’arte e dell’estetica; Note sull’ortodossia, in L’altra Europa 1(1991), 25-33: breve ma intenso saggiosull’importanza della fede in Dio, e sull’unità dei credenti di tutte le confessioni e religioni; Il sale della terra. Vitadello starec Isidoro, a cura di N. KAUCHTSCHISCHWILI, tr. it. di E. TREU, Qiqajon, Magnano 1992: affascinante raccontosul monaco Isidoro, padre spirituale di Florenskij; Lo spazio e il tempo nell’arte, a cura e tr. it. di N. MISLER, Adelphi,Milano 1995: lezioni tenute agli Atelier superiori tecnico-artistici di Stato sul tema dell’analisi della spazialità e deltempo nelle opere dell’arte figurativa; Il significato dell’idealismo, a cura di N. VALENTINI, tr. it. di R. ZUGAN, Rusconi,

Page 13: Lorizio- Metafisica Agapica

Milano 1999: riflessione filosofico teologica sul tema del rapporto «uno-molteplice», collegato intrinsecamente con iltema dell’esistenza uni-trina di Dio; Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, a cura di N. VALENTINI e L. ŽÁK, tr.it. di R. ZUGAN, Piemme, Casale Monferrato 1999: raccolta di alcuni brani significativi di carattere teologico-spirituale;«Non dimenticatemi». Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdoterusso, a cura di N. VALENTINI E L. ŽÁK, tr. it. di G. GUAITA e L. CHARITONOV, Arnoldo Mondadori, Milano 2000: sceltaaccurata delle lettere di Florenskij ai famigliari che testimoniano da vicino il dramma degli ultimi anni della sua vita; Lastruttura della parola, La natura magica della parola, tr. it. di E. TREU, in D. FERRARI-BRAVO, Slovo. Geometrie dellaparola nel pensiero russo tra ‘800 e ‘900, ETS, Pisa 2000, 129-211; La venerazione del nome come presuppostofilosofico, Il valore magico della parola, Sul nome di Dio, tr. di. G. LINGUA, in P.A. FLORENSKIJ, Il valore magico dellaparola, Medusa, Milano 2001. Tra le opere dedicate alla figura e al pensiero di Florenskij segnaliamo: N. VALENTINI,10è molto chiaro e determinato a questo riguardo, nella lettera VI, sull’antinomia, scrive: “Del restonon deve nemmeno essere diversa, perché si può affermare in anticipo che la conoscenza della veritàesige una vita spirituale e quindi è un atto eroico, e l’atto eroico del raziocinio è la fede, cioèl’autonegazione. L’atto di autonegazione del raziocinio precisamente è un’espressionedell’antinomia. Infatti si può credere solo all’antinomia, perché ogni giudizio non antinomico vienesemplicemente accettato o respinto dal raziocinio, visto che non trascende i confini del suoisolamento egoistico. Se la verità fosse non antinomica, il raziocinio, muovendosi in cerchio nelproprio campo, non avrebbe un punto d’appoggio, non vedrebbe l’oggetto extrarazionale, e quindinon avrebbe lo stimolo ad abbracciare l’eroismo della fede. Questo punto d’appoggio è il dogma.Proprio con il dogma incomincia la nostra salvezza, perché il dogma, essendo antinomico noncostringe la nostra libertà e dischiude tutta l’estensione della fede volontaria o della malignaincredulità. Infatti non si può obbligare nessuno a credere o a non credere, nemo credit nisi volens,dice sant’Agostino”7. Interessante notare come il velle credendi venga interpretato comefondamento della meta-storicità dell’atto di fede, dove naturalmente non si tratta di una fede

Page 14: Lorizio- Metafisica Agapica

velleitaria e cieca, in quanto non esclude la ragione, bensì la accompagna con l’esercizio dellavolontà libera.Interessanti le annotazioni secondo cui il tema della libertà, in Florenskij, viene trattato inconnessione con quello del peccato, in particolare nella lettera VII della Stolp8. Lo statutoontologico-veritativo della libertà, pensato in rapporto all’uomo fa sì che la volontà libera vengapercepita e teorizzata nel quadro della stessa struttura metafisica dell’essere umano e strettamenteconnessa all’immagine di Dio che l’uomo porta in sé come “nucleo santo” del suo esistere. L’uomo,quindi, non è in grado di esercitare la libertà rispetto a questo suo nucleo costitutivo originario,mentre può esercitarla e di fatto la esercita nella possibilità di accogliere o rifiutare la realizzazionedella somiglianza divina9. Qui la teodicea incrocia l’antropodicea: “Dio è attorno a noi, presso dinoi, ci circonda: “in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”, immersi in un inesplorabileabisso delle azioni Divine, grazie alle quali e attraverso le quali possiamo esistere. Queste energieDivine, che sono la Divinità stessa, ci guidano e operano su di noi, anche se noi spesso non losappiamo. Ma al di là di tutto ciò, c’è la sfera della nostra libertà che con ‘e sue radici, attinge dallestesse energie Divine fondandosi del tutto su di esse, ma che, allo stesso tempo, alle sue vettepossiede il dono dell’autodefinizione, il dono di compiacersi o no della vita con Dio, possiede ilPavel Florenskij: la sapienza dell’amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità, EDB, Bologna s.d.; L. ŽÁK,Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998.7 P. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità, cit., 195. Vedi anche la nota corrispondente, ib., 716-718.8 Cf ib., 215-255.9 Cf a questo proposito L. ŽÁK, Verità come ethos, cit., 377-378.11potere divenire da Lui odi allontanarsi da Lui. Questo è il potere della nostra soggettività, di quelqualcosa di ontologico che è del soggetto e che, contrariamente al soggettivismo privo di. forza edenergia, è di carattere cosmico. E in nostro potere spalancare i nostri cuori alla Sorgente dell’esserericevendo da Esso i flussi di vita, oppure, al contrario, di chiuderci nella soggettività, rifugiarci sotto

Page 15: Lorizio- Metafisica Agapica

terra, fuggire dall’essere. Ma in quel caso iniziano a seccarsi i nostri legami con il mondo e tutto ilnostro essere sta per morire”10.La divinizzazione dell’uomo dunque esige il suo assenso libero e si espone allo scacco delpeccato con la conseguenza della geenna11, intesa non tanto come castigo ulteriore, ma comeorizzonte metafisico del negativo e della morte, e ciò sempre nel quadro del carattere antiteticoparadossaledella realtà che la fede esprime: “Se la libertà dell’uomo è una vera libertà di decisione,il perdono della cattiva volontà è impossibile, essendo essa il prodotto creativo della libertà. Nonritenere cattiva la cattiva volontà significherebbe non riconoscere la realtà della libertà; se la libertànon è reale, nemmeno l’amore di Dio per la creatura è reale; se non c’è una reale libertà dellacreatura, non c è nemmeno una delimitazione reale da parte della Divinità sulla creazione, non c’èkénosis e quindi non c’è amore. E se non c’è amore non c’è nemmeno perdono. Al contrario, seesiste il perdono di Dio, esiste anche l’amore di Dio e quindi anche una vera libertà della creatura.Se c’è una vera libertà è inevitabile anche la conseguenza: la possibilità della cattiva volontà equindi l’impossibilità del perdono. Chi nega l’antitesi nega la tesi, chi afferma l’antitesi affermaanche la tesi, e viceversa. Tesi e antitesi sono inseparabili come l’oggetto e la sua ombra.L’antinomicità del dogma del destino ultimo è logicamente indubbia e psicologicamenteevidente”12. In questo senso la lezione di Florenskij può essere assunta come paradigmatica rispettoad un nucleo teoretico decisivo caratterizzante la teologia fondamentale. Da un altro punto di vistal’attenzione di questo geniale e versatile pensatore verso le scienze della natura, risulta ben in lineacon l’affermazione tipica della teologia fondamentale ortodossa, secondo cui “la creazione èrivelazione”13.La teologia del Novecento ha evitato accuratamente gli esiti radicali in chiave escatologicadel pensiero florenskijano, così come sono espressi nella VIII lettera, e tuttavia a livellofondamentale non ha mancato di marcare con forza il nesso tra verità e libertà, ritenendolo di fatto10 Testo citato in ib., 378-379.

Page 16: Lorizio- Metafisica Agapica

11 Al tema della geenna è dedicata la lettera VIII della Stolp, cf P. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verità,cit., 258-315.12 Ib., 263.13 Mi limito a citare a questo proposito D. STANILOAË, Il genio dell’ortodossia, Jaca Book, Milano 1985, 29: “La Chiesaortodossa non separa la rivelazione naturale da quella soprannaturale. La rivelazione naturale è pienamente conosciuta ecompresa alla luce della rivelazione soprannaturale; la rivelazione naturale è data e permane attraverso l’azionesoprannaturale di Dio”.12costitutivo dell’atto di fede testimoniale14, e del sapere che dalla fede si genera15, oppuresviluppando una fenomenologia dell’atto di fede congrua con la dinamica dell’azione umana,elaborata da M. Blondel e con la sottolineatura della possibilità della negazione edell’atteggiamento recalcitrante della libertà16. Solo un pensiero rivelativo, che mantenga il nessostrutturale fra verità e libertà, può costituire un vero e proprio baluardo nei confronti delfondamentalismo e della violenza che in esso si impone.1. c) L’alternativa tra verità e caritàL’attitudine antimetafisica di alcuni esiti del pensiero Novecento, soprattutto in quello che èstato definito l’ambito continentale, e che si potrebbe anche denominare ermeneutico, mette incampo un ulteriore falso dilemma, coinvolgendo in esso lo stesso cristianesimo, la cui concezionedella carità sarebbe radicalmente alternativa rispetto al concetto di verità elaborato in sedemetafisica17. In questa sede propriamente filosofica stupisce in particolare la confusione, ripetuta amo’ di ritornello, fra la dimensione oggettiva del vero (che ovviamente dal nostro punto di vista èirrinunciabile) con la prospettiva oggettivante (attribuita appunto ad una interpretazione in chiavemetafisica della verità). Il rifiuto, certamente condivisibile, della seconda prospettiva, sembrerebbedover necessariamente determinare la rinuncia ad ogni forma di oggettività, in particolare in ambitoreligioso, la cui appartenenza va ancora una volta reclusa nel privato delle coscienze, appuntosoggettive.Queste tesi, peraltro molto diffuse non solo in Italia, in quanto tendenti ad esasperare latematica della kenosi, come autosvuotamento di Dio, non mancano di esercitare un influsso non

Page 17: Lorizio- Metafisica Agapica

14 Cf a questo riguardo P. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996, inparticolare 429-554, dove si parla della fede come affidamento e si tenta appunto una ontologia dell’affidamento.15 Cf a questo riguardo il testo programmatico della scuola milanese: G. COLOMBO (ed.), L’evidenza e la fede, Glossa,Milano 1988, con particolare riferimento al saggio di A. BERTULETTI, “Sapere e libertà”, ib., 444-465.16 In questa direzione muove H.VERWEYEN, La parola definitiva di Dio. Compendio di teologia fondamentale,Queriniana, Brescia 2001 (sulla III ed. tedesca di Gottes letzes Wort, che è del 2000, mentre la prima era del 1990). Cf aquesto proposito il cap. VIII: “Un senso definitivamente valido, malgrado una libertà recalcitrante?”, ib., 234-247. Aproposito della posizione di Verweyen circa questo argomento, cf quanto scrive un interprete: “La riflessionetrascendentale sulla fenomenologia del Sollen (ove Verweyen introduce la terminologia della manifestazione) mostrache il principio incondizionato – il fondamento ultimo – può essere adeguatamente pensato solo come condizione dipossibilità della mia libertà (in questo senso ha carattere di promessa), la cui evidenza non è anticipabile alla suaistituzione a posteriori” (M. EPIS, Ratio fidei. I modelli della giustificazione della fede nella produzione manualisticacattolica della teologia fondamentale tedesca post-conciliare, Glossa, Milano 1995, 265 – cf tutto il paragrafo dedicatoal teologo tedesco “L’evidenza dell’assoluto nell’evidenza della libertà: la rifondazione pratica del trascendentale”, ib.,264- 267).17 Si pensi alle posizioni convergenti di G. Vattimo e R. Rorty, recentemente riproposte in R. RORTY – G. VATTIMO, Ilfuturo della religione. Solidarietà, carità, ironia, Garzanti, Milano 2005.13marginale anche su alcune proposte teologiche recenti18, tendenti ad esempio ad indicare ildinamismo kenotico in sede intratrinitaria19, come principio e fondamento della logica della fedecristiana, che a questo punto andrebbe meglio denominata come una vera e propria (il)logica20.Dal punto di vista invece di un’autentica logica della fede, mi sembra sia più correttoesprimersi in questi termini: la logica della fede cristiana ri-conosce il proprio principio nella kenosidel Logos, ovvero nel lÒgoj s¦rx ™gšneto (Gv 1,18), dove il verbo dice riferimento al caratterestorico di tale principio, e attraverso tale principio scopre il proprio fondamento nel nome del Dioneotestamentario che è Ð qeÕj ¢g£ph ™st…n (1Gv 4,8). Sicché la logica della fede cristiana ha unprincipio kenotico e un fondamento agapico su cui poggia e attraverso i quali si costituisce e siesprime. Il principio kenotico va tuttavia interpretato e riflesso nella dinamica propria dell’inno

Page 18: Lorizio- Metafisica Agapica

della lettera ai Filippesi (2,6-11) in cui è attestato, dove alla kenosi del servo fa riscontro la suaesaltazione e glorificazione:18 “Con la fine della metafisica, scopo delle attività intellettuali non è più propriamente la conoscenza della verità, bensìquella «conversazione» nella quale ogni argomento ha il fondato diritto di trovare un accordo senza ricorrere ad alcunaautorità. Lo spazio lasciato vuoto dalla metafisica non deve più essere riempito da nuove filosofie che pretendano diesibire un fondamento estraneo alla «conversazione». Nella cultura contemporanea questa posizione non è rappresentatasolo dall’ermeneutica, ma anche da scienziati come Thomas Kuhn e Artur Fine, da filosofi come Robert Brandom e Basvan Frassen e di teologi come Jack Miles e Carmelo Dotolo [di quest’ultimo si cita La rivelazione cristiana. Storia,evento,mistero, Paoline, Milano 2002]” (S. ZABALA, “Introduzione. Una religione senza teisti e ateisti”, in R. RORTY –G. VATTIMO, op. cit., 21). Un’analoga tendenza, forse molto meglio mascherata, a contrapporre carità e verità,nell’orizzonte antimetafisico, la rinveniamo in V. MANCUSO, Per amore. Rifondazione della fede, Mondadori, Milano2005, dove leggiamo: “LA verità infatti non è un teatro metafisico nascosto dietro chissà quale stella, ma è il bene degliuomini all’interno della vita concreta che coincide, ultimamente, con il bene della loro anima” (p. 39), e più avanti: “Ciòche è in gioco nella fede non è il soprannaturale; di esso «non si deve farne un oggetto, altrimenti lo si abbassa»,insegna Simone Weil. Ciò che è in gioco, piuttosto è questo mondo” (p. 40), “Se si vuol essere cristiani, non si tratta diprofessare una dottrina. Si tratta di lavorare” (p. 252) ecc. con i soliti luoghi comuni contro l’intellettualismo checaratterizzerebbe la sottolineatura della valenza veritativa della fede cristiana. Tra le altre posizioni teologiche nellequali la tematica della kenosi assume un rilievo fondativo ed esclusivo cf K. RUHSTORFER “Credere e pensare: lapresenza della rivelazione in occidente”, in Il regno attualità 50 (2005) 343-355.19 Ad esempio H. U. von Balthasar sostiene che “l’annichilamento di Dio (nell’incarnazione) ha la sua possibilitàontologica nell’autorinuncia eterna di Dio, la sua donazione tripersonale”. Di qui deriverebbero e qui si fonderebbero lakenosi della creazione, con particolare riferimento alla libertà creata e quella della croce. Per questa sintesi del pensierobalthasariano utilizziamo F. G. BRAMBILLA, Il Crocifisso risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli, Queriniana,Brescia 1998, 241-242, il quale non manca di rilevare il debito balthasariano verso Bulgakov, “liberato dalle sueescrescenze sofiologiche” (ib., 241). Giustamente, a nostro avviso, L. Ladaria rileva come la tesi di von Balthasar risulticertamente suggestiva e particolarmente significativa in ordine al tentativo di pensare l’Assoluto in prospettiva agapica,ma anche come il termine kenosi vada più realisticamente applicato alla vicenda del Figlio e quindi alla sua vicendastorica e risulti problematico inserirlo nella trinità immanente, se non attraverso un’analogia troppo spinta, che finiscecon lo smarrire il senso stesso della parola (cf a tal proposito L. LADARIA, La Trinità mistero di comunione, Paoline,

Page 19: Lorizio- Metafisica Agapica

Milano 2004, 226-227). Analoghe osservazioni critiche si possono altresì rivolgere all’utilizzo del termine kenosi inrapporto alla creazione. Come abbiamo rilevato proprio in questa sede lo scorso anno, rifacendoci a Rosmini, ilnascondersi di Dio va posto piuttosto in relazione alla vicenda del peccato e trova un suo ulteriore momentodrammatico di nascondimento nella croce.20 Coerentemente con una prospettiva radicalmente antimetafisica o postmetafisica, questa tendenza alla illogica vienerichiamata da V. VITIELLO, “La metafisica della seconda persona”, in Hermeneutica. Annuario di filosofia e di teologia,Morcelliana, Brescia 2005, 34-37.14Öj ™n morfÍ qeoà Øp£rcwn oÙc ¡rpagmÕn ¹g»sato tÕenai ‡sa qeù, ¢ll¦ ˜autÕn ™kšnwsen morf¾n doÚlou�labèn, ™n Ðmoièmati ¢nqrèpwn genÒmenoj: kaˆsc»mati eØreqeˆj æj ¥nqrwpoj ™tape…nwsen ˜autÕngenÒmenoj Øp»kooj mšcri qan£tou, qan£tou d �stauroà. diÕ kaˆ Ð qeÕj aÙtÕn ØperÚywsen kaˆ™car…sato aÙtù tÕ Ônoma tÕ Øpr p©n Ônoma, †na ™n�tù ÑnÒmati 'Ihsoà p©n gÒnu k£myV ™pouran…wn kaˆ™pige…wn kaˆ katacqon…wn, kaˆ p©sa glîssa™xomolog»shtai Óti kÚrioj 'Ihsoàj CristÕj e„j dÒxanqeoà patrÒj.egli, pur essendo di condizione divina, non considerò suobene esclusivo l'essere uguale a Dio, ma annientò se stessoprendendo la condizione di schiavo, diventando simile agliuomini. Riconosciuto nell'aspetto come uomo, umiliò sestesso facendosi obbediente fino alla morte, morte dicroce. Per questo Dio lo esaltò e gli diede il nome che è aldi sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogniginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ognilingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria diDio Padre.Questa impostazione fondamentale del tema impone un’articolazione che ci sembra di poteresporre secondo i seguenti passaggi: a livello gnoseologico, la logica della fede cristiana esige unpensiero rivelativo, nel quale il riconoscimento del vero non può mai essere disgiunto dall’eserciziodella libertà e dal coinvolgimento della carità; in secondo luogo la logica della fede cristiana è unalogica del paradosso (nei tre sensi – dirompenza, antinomia e compimento - che abbiamo indicatoaltrove); in terzo luogo la logica della fede cristiana è una logica simbolico-sacramentale, o se sivuole “eucaristica” (anche per questo aspetto rimandiamo ad altri nostri lavori). Il fondamentoagapico della logica cristiana esige a sua volta che l’ontologia e la metafisica che vi si dischiudonodebbano essere intese e sviluppate nel senso di una ontologia trinitaria e di una metafisica della

Page 20: Lorizio- Metafisica Agapica

carità. Si tratta, per il teologo fondamentale, della capacità di credibilità che solo l’amore puòingenerare e sviluppare, secondo una famosa espressione di von Balthasar. L’aggancio con leprecedenti riflessioni è costituito dalla possibilità (che per chi scrive è una vera e propria necessità)di innestare la tematica della “credibilità” dell’amore nel quadro della prospettiva agapica. In questosenso vengono a coincidere la credibilità della Rivelazione con quella dell’amore21. Questomomento della nostra riflessione può felicemente incrociare un famoso frammento 582 di Pascal:“Ci facciamo un idolo della stessa verità; perché la verità senza la carità non è Dio, è la suaimmagine e un idolo che non bisogna amare né adorare; e meno ancora bisogna amare o adorare ilsuo contrario che è la menzogna”22.Una prospettiva di particolare interesse, nella quale l’orizzonte amativo si coniugafelicemente con l’istanza veritativa e la riflessione sulla libertà e il suo esercizio, possiamorinvenirla in sede fenomenologica, frequentando sia la prospettiva scheleriana dell’“amore che fa21 Cf H. U. VON BALTHASAR, Solo l’amore è credibile, Borla, Roma 1977; su questo tema balthasariano cf R.FISICHELLA, Hans Urs von Balthasar. Dinamica dell’amore e credibilità del Cristianesimo, Città Nuova, Roma 1981.Alla “credibilità dell’amore” è stato intitolato il convegno celebrativo del centenario della nascita del teologo svizzeroorganizzato per ottobre 2005 presso la Pontificia Università Lateranense.22 B. PASCAL, Pensieri, Opuscoli e Lettere, a cura di A. BAUSOLA, Rusconi, Milano 1978, 661 (fr. 582 Brunschvicg =597 Chevalier).15vedere”23, dove si ha modo di ritrovare una feconda attenzione alla figura del “pensiero rivelativo,sia le riflessioni di Dietrich von Hildebrand, dove l’essenza dell’amore, come “risposta al valore”,assumendo la forma della Überwerantwort, si declina in termini di coinvolgimento fra l’aspetto deldono e quello della libertà. Il luogo in cui queste dimensioni si armonizzano è da rinvenirsinell’affettività, dove conoscenza e volontà svolgono ciascuna nel suo ambito il loro ruolo. La figuradell’amore sponsale, in questa prospettiva fenomenologica, svolge un ruolo paradigmatico rispettoalle altre forme di amore e alle loro espressioni. In ogni caso la dimensione della gratuità del dononon viene ad annientare la responsabilità della volontà libera, bensì a farle assumere un

Page 21: Lorizio- Metafisica Agapica

atteggiamento di cooperazione nella sanzione della relazione affettiva. Hildebrand così riassume ilproprio pensiero a riguardo: “Vediamo dunque che ci sono due dimensioni ella donazione di sé. Laprima è di natura puramente affettiva. Ha il carattere di un dono che non ci possiamo darevolendolo, che è una pure voce del cuore. [Die Zweite ist die Stimme unseres freienPersonzentrums = La seconda è la voce del nostro libero nucleo personale – espressione nonpresente nella traduzione italiana]. La seconda è il sanzionamento della presa di posizione donativa,affettiva dell’amore. Solo quando si hanno entrambe, la donazione di sé raggiunge il suo caratterepieno”24. La fenomenologia, anche quando tratta dell’amore di Dio, evita accuratamente ogniriferimento intradivino e, coerentemente col suo metodo e con le sue impostazioni, resta sul terrenopiù propriamente antropologico ed ontologico, lasciando alla teologia ulteriori approfondimenti.Concluderei osservando che la riflessione sul rapporto fede/ragione, sviluppata nell’ambitodella “metafisica agapica” da un lato non intende instaurare alcuna alternativa rispetto alla classica“metafisica dell’essere”, ma consentire al lumen Revelationis di rivestirla della nuova luce cheemana dal Vangelo; d’altro lato rende fondamentalmente estrinseca la domanda circa il rapportodella fede con la ragione e della teologia con la filosofia nei termini di una “filosofia prima” oppuredi una “filosofia ermeneutica”. Inoltre il ricorso alla prospettiva della “metafisica agapica” consentedi evitare una sorta di “riduzionismo ontologico”, nonché di ripensare radicalmente il moduloteologico-fondamentale della triplex demonstratio, che – spesso anche per ragioni condivisibili –stenta a lasciarsi superare soprattutto nelle proposte elaborate in ambito tedesco, anche di recente25,23 Cf il bel libro di G. DE SIMONE, L’amore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di MaxScheler, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005.24 D. VON HILDEBRAND, Essenza dell’amore, introduzione, tradizione, note e apparati di PAOLA PREMOLI

DE MARCHI,Bompiani, Milano 2003, 191.25 Risulta fin troppo evidente nella strutturazione dell’Handbuch l’adozione di questo modulo: cf W. KERN - H. J.POTTMEYER - M. SECKLER (edd.), Corso di teologia fondamentale. Vol. I: Trattato sulla religione; vol. II: Trattato sulla

Page 22: Lorizio- Metafisica Agapica

rivelazione; vol. II: Trattato sulla Chiesa; vol. IV: Trattato sulla gnoseologia teologica, trad. it. Queriniana, Brescia1990; ma esso viene a determinare strutturalmente ad esempio anche le proposte di H. VERWEYEN, La Parola definitivadi Dio. Compendio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2001; J. WERBICK, Essere responsabili della fede.Una teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2002.16intrecciandosi e non di rado confondendosi col “modello antropologico trascendentale”, magaririvisitato e riproposto in forme diverse. Infine la prospettiva da noi adottata consente di smascherareil falso dilemma tendente a porre in alternativa verità e carità. A questo proposito vale la penarichiamare, in quanto descritto come punto focale della fede cristiana, un passaggio dell’omelia proeligendo Pontifice, nella quale l’allora, ancora per poco, cardinale J. Ratzinger così si esprimeva:“Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questoproposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalleonde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenzacristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anchenella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senzacarità sarebbe come «un cembalo che tintinna» (1 Cor 13, 1)”. Se questa in coincidenza consiste laformula fondamentale della fede cristiana, come essa non potrebbe valere a configurare il sapereche dalla fede si origina?2. La valenza ontologica della santità nella prospettiva della metafisica agapicaI falsi dilemmi non appartengono all’autentico paradosso, né alla logica che ne consegue,bensì alle doxai che l’areopago culturale produce e alimenta, verso le quali il paradosso cristiano sipone in funzione critica ed inverante26. Piuttosto che produrre dei dilemmi, il paradosso cristiano sisforza di tenere insieme, in una sintesi non meramente razionale, ma data e accolta anche sia alivello affettivo che volitivo, gli opposti: è qui la sua valenza antinomica, messa in luce tra gli altrida P. Florenskij e da I. Mancini27.La metafisica e la logica agapica vengono ad assumersi il compito di mostrare la valenza

Page 23: Lorizio- Metafisica Agapica

ontologica della santità, che non può essere relegata semplicemente né nell’ambito dell’etica, né inquello di un vago spiritualismo. È a proposito di questo compito che, a mio parere, il riferimento alpensiero rosminiano risulta imprescindibile e di forte impatto sulla tematica che stiamo affrontando.Tale dimensione risulta infatti con grande chiarezza, proprio in quel luogo della Teosofia, nel qualela forma morale dell’essere assume la connotazione della forma della santità28, e da cui si ricavano26 Per una esposizione più completa cf G. LORIZIO, La logica del paradosso in teologia fondamentale, PUL, Roma2001.27 Per Florenskij rimando allo studio citato nella nota precedente, qui mi preme evidenziare come, grazie alla lezione diItalo Mancini, il tema dell’“ossimoro teologico” può essere appreso e ripreso nell’attuale configurazione del discorso suDio: cf a questo riguardo I. MANCINI, “Doppi pensieri”, in ID., Frammento su Dio, Morcelliana, Brescia 2000, 279-348.Sul tema del paradosso cf anche A. FABRIS, I paradossi dell’amore fra grecità, ebraismo e cristianesimo, Morcelliana,Brescia 2000 e ID., Paradossi del senso. Questioni di filosofia, Morcelliana, Brescia 2002.28 Cf A. ROSMINI, Teosofia, Soc. ed. Libri di filosofia, Torino 1859-1874, I, 154-155 (190).17alcune indicazioni fondamentali: a) in quando espressione della forma morale dell’essere la santitàoltre che una valenza ontologica, partecipa del “primato dell’essere morale”, nella forma e nellamisura in cui Rosmini stesso lo esprime come nocciolo duro della sua concezione ontologica; b)nella sua consistenza ontologica la santità appartiene innanzitutto a Dio, il suo riflesso sull’essere esull’uomo esprime una relazione profondamente analogica fra le tre prospettive indicate; c) nellasua funzione di “legame” fra le altre forme dell’essere e le dimensioni della persona, la figura dellasantità è riflesso dello Spirito Santo, che è appunto denominato “spirito di santità”. Abbiamo così lapossibilità di costruire un ponte fra carità e metafisica e di parlare, appunto, in sede rosminiana di“metafisica della carità”29. Inoltre riteniamo che, soprattutto attraverso l'elaborazione delladimensione morale dell'essere, si possa costruire un fecondo rapporto fra sapere filosofico eintelligenza della fede: l'essere morale è il luogo privilegiato in cui questo incontro diventa fecondoe riceve senso. Infine affermare il “primato della forma morale dell'essere” non significa sminuire la

Page 24: Lorizio- Metafisica Agapica

portata delle altre due, al contrario potenziarla e gettare davvero nuova luce sull'intero orizzontespeculativo. Le tre forme, infatti, “sono tutte coessenziali all'essere”30 ed hanno “ugual dignità epienezza”31. Di tale metafisica agapica, con la sua componente pneumatologica, cercheremo ora dienucleare alcuni sviluppi di carattere a) epistemologico; b) metafisico e c) ecclesiologico edescatologico.2. a) Dimensione epistemologica della prospettiva agapicaUn’attenta riflessione epistemologica non può non rilevare il fatto che piuttosto che ad unaragione univocamente rappresentantesi (e come tale onnicomprensiva e totalizzante) l’intellettuale(occidentale) contemporaneo si trova di fronte alla pluralità delle razionalità, supposta dai differentiambiti del sapere: abbiamo così (solo per fare qualche esempio) una razionalità scientifica, unarazionalità tecnica, una razionalità matematica, una razionalità informatica, una razionalità storica,una razionalità filosofica, una razionalità teologica ecc. La possibilità di superare laframmentazione, attraverso un fecondo dialogo interdisciplinare, passa attraverso il reciprocoriconoscimento delle diverse forme di razionalità e dalla loro interazione.Questo politeismo epistemico lungi dal produrre una sorta di disperazione in ordine allapossibilità del dialogo e alla ricerca del senso, può risultare al contrario fecondo e costruttivo, nella29Cf il nostro "Ricerca della verità e metafisica della carità nel pensiero di Antonio Rosmini", in Rassegna di Teologia36 (1995) 527-552 [CBR, VIII, 202-203 (14875)].30C. BERGAMASCHI, L'essere morale nel pensiero filosofico di Antonio Rosmini, CISR - La Quercia, Stresa - Genova s.d., 39.31TS, I, 154 (189).18misura in cui fa proprio il “principio di carità”, così ad esempio come è stato elaborato e ripropostoin sede analitica, da alcuni illustri rappresentanti di questa prospettiva filosofica, come NeilWilson32, Willard van Orman Quine33 e Donald Davidson34, con le differenziazioni proprie dellaconcezione epistemologica di ciascuno di questi autori.Nella teoria espressa dall’ultimo dei filosofi citati, connessa con la necessità di fornire unparadigma plausibile per l’esercizio della “traduzione”, in particolare da lingue del tutto

Page 25: Lorizio- Metafisica Agapica

sconosciute, bisogna notare che il “principio di carità” viene chiamato in causa non solo nellatraduzione da un sistema culturale e linguistico a un altro completamente diverso, ma anchenell'interpretazione all'interno dello stesso sistema linguistico, in quanto riesce a giustificarel'insieme delle convenzioni stipulate fra gl'interlocutori in maniera non espressa, in base al quale èpossibile sia comunicare che assentire o dissentire: “Questo metodo – scrive Davidson - non è fattoper eliminare ogni disaccordo, né è in grado di farlo; il suo scopo è quello di permettere undisaccordo significativo, il che è possibile solo se vi è una base - qualche base - di accordo. Essopuò assumere la forma della diffusa condivisione di enunciati reputati veri da parlanti di "unamedesima lingua", oppure può essere una convergenza di massima, mediata da una teoria dellaverità sviluppata da un interprete per i parlanti di un'altra lingua. Poiché il principio di carità non èun'opzione ma una condizione per avere una teoria efficiente, non ha alcun senso congetturare cheabbracciando tale principio si rischi di cadere in un errore su larga scala. Finché non si è stabilitacon successo una correlazione sistematica tra enunciati reputati veri e altri enunciati reputati veri,non c'è spazio per l'errore. La carità s'impone; ci piaccia o no, se vogliamo comprendere gli altri,dobbiamo considerarli nel giusto nella maggior parte dei casi”35. La sottolineatura di questo inatteso32 Cf N. L. Wilson, “Substances Without Substrata”, in Review of Metaphisics 12 (1959) 521-539.33 Cf W. V. O. Quine, Word and Object, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1960 (trad. it. Parola e oggetto,il Saggiatore, Milano 1970).34 Cf D. Davidson, Inquiries Into Truth and Interpretation, Oxford University Press, Oxford 1984 (trad. it. Verità einterpretazione, il Mulino, Bologna 1994.35 Ib., 280s. “Il contesto in cui matura l'estensione a tutto campo - operata da Davidson - del principio di carità è, anche,il dibattito epistemologico sull'incommensurabilità delle teorie scientifiche appartenenti a paradigmi diversi, cioè ildibattito che ha visto schierati su fronti opposti autori come Kuhn e Feyerabend da una parte, Popper e Lakatosdall'altra. Si potrebbe affermare che, per Davidson, alla scomparsa della base empirista di controllo sulla verità deglienunciati - dovuta principalmente alle riflessioni di Quine nonché all'accettazione di una teoria semantica della veritànon estensionale - non segue l'intraducibilità tra teorie concorrenti, ma il richiamo a una comune base d'intesa, anche

Page 26: Lorizio- Metafisica Agapica

solo per determinare il disaccordo tra le teorie in competizione. Questa procedura, che consiste nell'assumere per vere eaccettabili il maggior numero possibile di credenze dell'interlocutore, fornisce lo sfondo di un atteggiamento che spieganon tanto la comunicazione scientifica, quanto la più generale costruzione di teorie ontologiche, sulle quali vengonoedificati anche i sistemi scientifici. A considerarlo su un piano forse poco interessante per Davidson, Quine e Wilson, ilprincipio di carità presuppone una consapevole assunzione della verità altrui che renda possibile la comunicazione,senza per questo far proprio il sistema di valori dell'interlocutore. Non c'è posto però per il relativismo culturale: loschema non può essere avulso dal contenuto - per Davidson è impossibile - e la realtà è ancorata al sistema linguisticoculturaledi riferimento. Il relativismo favorirebbe un atteggiamento di acritica accettazione della differenza culturale,che comprometterebbe non solo un'effettiva comunicazione, ma anche la possibilità di una critica a sistemi culturalidifferenti. È difficile negare la qualifica di "etico" a questo problema: eppure esso è emerso da una riflessione sulle19ingresso della prospettiva agapica in epistemologia va comunque chiaramente dissociata da ognipossibile interpretazione sia metafisica che teologica di queste enunciazioni, che – per correttezzaverso coloro che le hanno espresse – vanno mantenute sul livello proprio del contesto in cuiemergono, che è quello propriamente epistemico.Da parte nostra, tuttavia, non possiamo non rilevare come, tra le problematiche connesse aquesta visione epistemologica generale, un rilievo non indifferente, ma direi decisivo, è dato dalfatto che la forma della razionalità teologica viene difficilmente riconosciuta, se nonpregiudizialmente elusa, da parte dei cultori degli altri ambiti di razionalità. Analoga sorte sembrasubire la forma filosofica della razionalità, soprattutto allorché intenda esercitarsi intorno allequestioni più radicali concernenti il senso dell’essere e dello stesso sapere, in una parola allorché sitratta della “razionalità metafisica”36.Di qui i richiami di Fides et ratio alla necessità dell’istanza metafisica per la teologia. Laquestione risulta complessa anche dal punto di vista dell’epistemologia teologica: vorrei qui offrirequalche spunto di riflessione, enunciando alcune tesi, che ovviamente richiedono ulterioriapprofondimenti e una non superficiale discussione e dalle quali spero emerga con sufficientechiarezza il nesso con la tematica della santità, che qui mi propongo di esporre:

Page 27: Lorizio- Metafisica Agapica

1. La razionalità teologica e la razionalità metafisica (e genericamente filosofica – èconvinzione di chi scrive che non si dia autentico filosofare senza l’istanza metafisica) nonsi identificano né coincidono. A questo riguardo basti richiamare il fatto che possiamostoricamente registrare forme di razionalità metafisica elaborate prima, in opposizione, inalternativa, fuori dell’ambito credente cristiano. Il che non significa che queste due forme dirazionalità non possano trovare delle importanti convergenze, quali quelle già lungamentesperimentate nell’ambito dell’ibridazione-contaminazione del Cristianesimo col platonismo,medioplatonismo e neoplatonismo e con l’aristotelismo.2. La razionalità teologica e la razionalità metafisica possono di fatto convergere (fin quasi acoincidere, ma non a identificarsi37) nel momento in cui la prima riesce a sviluppare laprocedure di verifica di enunciati in assenza di un criterio empirista che rimandi ad una realtà non interpretata. È unproblema etico emerso da una discussione sulla traduzione, sul rapporto tra teoria e paradigmi e sul rapporto tralinguaggio e realtà. È un pezzetto di etica caduta dalla tavola del banchetto epistemologico: ma di qualche pietanza eracomunque un ingrediente” (Per questa citazione ed in generale per l’argomento e il riferimento agli autori cf P. VIDALI,“Scienza, linguaggio ed etica”, sul web in http://lgxserver.uniba.it/lei/saggi/sc/etica_scienza.htm#n30, recentemente il“principio di carità” è stato richiamato nel bel saggio di V. HÖSLE, “Verità e comprensione. Un’ermeneutica obiettivoidealistica”,in Hermeneutica, cit., 321-346).36 Riguardo al rapporto fra sapere metafisico e sapere teologico per ulteriori approfondimenti rimando a G. LORIZIO,“Crisi della metafisica e metamorfosi della teologia”, in Lateranum 67 (2001) 203-258 e al più recente IDEM, “Qualemetafisica per, dalla, nella teologia?”, in Hermeneutica. Annuario di filosofia e teologia, “Quale metafisica?”,Morcelliana, Brescia 2005, 189-227.37 L’identificazione fra queste due forme di razionalità perpetrata all’interno del modello neo-scolastico ha fatto sì cheesso porgesse il fianco alla pertinente critica relativa al suo estrinsecismo epistemologico.20Rivelazione come forma mentis secondo la figura del pensiero rivelativo. Tale profondaconvergenza38, che avrebbe il vantaggio di escludere almeno la forma epistemologicadell’estrinsecismo (non del tutto fugata nei casi sopra addotti di ibridazione) può aiutare aconfigurare la forma della razionalità metafisica secondo il profilo della “metafisica

Page 28: Lorizio- Metafisica Agapica

agapica”39.3. Quando anche il compito delineato nella precedente tesi venisse compiutamente (o nellamisura più compiuta possibile) assolto, resterebbe la necessità del confronto-dialogo:a) con le altre forme di razionalità;b) con la razionalità filosofica così come si è espressa e si esprime prima, al di fuori, incontrapposizione e dopo le grandi sintesi che il pensiero credente ha elaborato nelcorso della sua lunga storia. Tale possibilità dialogica passa attraverso l’elaborazione(in campo teologico propria della fondamentale) di una visione teologica dellaragione umana, che nelle diverse forme di razionalità si esprime e, oggi dovremmodire piuttosto, si nasconde.4. Tale elaborazione o visione teologica (lo sguardo della fede) sulla ragione ci consente dicoglierne tre dimensioni (diacronicamente prima, sincronicamente poi) costitutive, la cuicorrelazione sembra imprescindibile per l’elaborazione di un corretto rapporto fede/ragionenell’ambito della razionalità teologica.5. La prima dimensione possiamo disegnarla secondo il sintagma della “ragione creata”. Sitratta di un ambito che certe impostazioni, sostanzialmente criptobarthiane, tenderebbero adignorare (pur senza escluderlo del tutto), almeno muovendo rigidamente nell’ambito dellarazionalità propriamente teologica, e tuttavia essa, nella formula linguistica della “ragionenaturale”, appartiene in maniera non marginale alla grande tradizione cattolica. All’internodella figura della “ragione creata” è possibile da un lato teologicamente riprendere leclassiche tematiche dei praeambula fidei, del duplex ordo cognitionis e dell’analogia e,attraverso di esse, affrontare il confronto dialogo con altre forme di razionalità40. Aproposito dell’analogia mi sembra doveroso qui sottolineare che sembra particolarmenteurgente, proprio in relazione al “pensiero rivelativo” nella prospettiva della “metafisicaagapica” un’elaborazione dinamica della stessa teoria del “più bello dei legami”41. Taleelaborazione verrebbe a configurarsi secondo le tre dimensioni (che possono diventare tremomenti) dell’analogia entis, dell’analogia relationis e dell’analogia charitatis,

Page 29: Lorizio- Metafisica Agapica

38 La teologia fondamentale come “disciplina di frontiera” sa bene che ci sono delle “zone comuni” fra le diverse formedi razionalità e specialmente fra quella teologica e quella filosofica, che dovrebbero essere smilitarizzate da ambo leparti, cosa che non sempre accade, dando origine a conflittualità nelle quali l’alterità tra fede e ragione rischia ditrasformarsi in pericolosa alternativa.39 Si tratta di una chiave di lettura importante del I cap. del II volume del nostro manuale di Teologia fondamentale,dove si può trovare anche un’articolazione della “metafisica agapica” secondo le dimensioni aitiologica, aletheiologica,ontologica e teologica.40 Le tre suddette tematiche sono oggetto di riflessione nell’excursus che segue l’esposizione del cap. III della II partedel vol. I del nostro manuale.41 “Ma non è possibile che due cose sole si compongano bene senza una terza: bisogna che in mezzo vi sia un legameche le congiunge entrambe. E il più bello dei legami è quello che faccia, per quant’è possibile, una cosa sola di sé edelle cose legate: ora l'analogia compie questo in modo bellissimo” (Timeo, 31 ca), cf a questo proposito V.MELCHIORRE, La via analogica, Vita e pensiero, Milano 1996, in particolare il cap. VII: “Il più bello dei legami.L’analogia dell’uno in Platone”, 231-239. In relazione alla metafora e alla paternità divina, ho trattato il tema in G.LORIZIO, “Analogia e/o metafora nel linguaggio teologico su Dio Padre”, in IDEM (ed.), “Un solo Dio e Padre di tutti”(Ef 4,6). Atti del Convegno della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, in Lateranum 46 (2000)43-64, i cui risultati ho ripreso anche nel manuale.21quest’ultima come figura che non distrugge le precedenti, ma cerca di integrarle ed inverarlenello spirito della “metafisica agapica”.6. La seconda dimensione va disegnata secondo il sintagma della “ragione ferita”. In questosenso al limite creaturale proprio dell’umana conoscenza va aggiunto, come suoindebolimento, il danno provocato dal peccato, che colpisce anche le facoltà intellettuali erazionali dell’uomo caduto. Queste due forme di limitazione imprimono un ritmo di“approssimazione” alle diverse forme di razionalità sopra indicate, compresa quellateologica in rapporto alla res che indagano e riflettono. Se debolezza della ragione o delpensiero significa il non pieno e trasparente esercizio della razionalità nelle diverse forme incui si esprime, a causa della ferita impressa dal peccato all’uomo, allora da un lato taleinsistenza sulla debolezza non può non riguardare anche la teologia, ma d’altro lato ilteologo sa – dalla fede da cui sgorga il suo sapere – che questa debolezza o infermità non ha

Page 30: Lorizio- Metafisica Agapica

carattere ultimo e definitivo, ma solo penultimo e provvisorio.7. Siamo così al terzo sintagma attraverso cui si esprime questa visione teologica della ragioneumana, ossia la forma della “ragione redenta” a proposito della quale Maurice Blondel ebbea definire la filosofia autentica come “santità della ragione”42. A questo proposito sianoconsentite due considerazioni: la prima a proposito della formula tommasiana della filosofiacome opus perfectae rationis, che a mio avviso è da intendersi appunto come “ragioneredenta”, ossia che riceve la sua perfezione da Cristo; la seconda tendente a porre questafigura della ragione anche in rapporto alle reliquia peccati, ossia al fatto che la redenzione eil battesimo, pur togliendo il peccato non ne elimina tutte le tracce; il che comportal’assunzione di un atteggiamento di profonda umiltà soprattutto allorché questa forma della“ragione redenta” si esprime secondo le modalità proprie della razionalità filosofica(giustificando ampiamente il correlato sintagma della “filosofia cristiana”) sia in quella dellarazionalità teologica43.2. b) Dimensione metafisica della prospettiva agapicaLa “metafisica della carità” consente da un lato un pieno recupero dell’istanza metafisicaanche in teologia e al tempo stesso di offrire una visione non riduttiva, ma pluridimensionale dellametafisica. A mo’ di esemplificazione paradigmatica, riprendendo e riformulando una preziosaindicazione di G. Reale44, possiamo così declinare le dimensioni (aitiologica, aleteiologica,ontologica e teologica) della metafisica aristotelica in chiave agapica, senza dimenticare del tuttoanche la dimensione ousiologica del sapere metafisico.42 M. BLONDEL, L’Azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, ed. it. a cura di S. SORRENTINO,San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, 552.43 Per ulteriori approfondimenti di queste tematiche rimando al mio piccolo lavoro: G. LORIZIO, Fede e ragione. Due aliverso il Vero (“Diaconia alla Verità” 13) , Paoline, Milano 2003.44 “Dobbiamo pertanto concludere che il senso più profondo della metafisica aristotelica resta consegnato allacomponente teologica e che l’orizzonte della metafisica aristotelica è dato dall’unità dinamica e dialettica delleprospettive ontologica, aitiologica e usiologica, incentrantisi nella istanza teologica” (G. REALE, “Saggio introduttivo”,

Page 31: Lorizio- Metafisica Agapica

in Metafisica I, 65). Come abbiamo già visto è lo stesso San Tommaso ad escludere la prospettiva sostanzialistica inriferimento a Dio.22Rispetto alla prospettiva aitiologica ossia alla metafisica pensata come scienza del principiodi causalità (rapporto fra le cause e la causa prima), l’orizzonte agapico consente di pensare la causaprima non in termini deterministici, ma secondo la dimensione della gratuità che fonda e al tempostesso consente di relativizzare ogni determinismo. In tal senso la creazione45 va pensata come unatto di amore del Dio Unitrino e così può essere descritta nell’ambito della riflessione sulladimensione cosmico-antropologica della rivelazione. In quanto rivelazione del Dio Unitrino “lacreazione non è opera di un Dio che agisca secondo l’unità indistinta della propria divinità: essadipende dal Padre che agisce nel proprio Figlio, suppone il mistero trinitario”46. Come sostienegiustamente Wolfhart Pannenberg la “ragione ontologica” della distinzione fra Assolutotrascendente e mondo creato va trinitariamente intravista nella “autodistinzione del Figlio eterno dalPadre”; infatti “se fin dall’eternità, quindi anche alla creazione del mondo, il Padre non è mai senzail Figlio, allora il Figlio eterno non è soltanto la ragione ontologica dell’esistenza di Gesù nella suaautodistinzione dal Padre quale unico Dio, ma anche la ragione della diversità e dell’esistenzaautonoma di ogni realtà creaturale”47. La “metafisica agapica” ha storicamente svolto e per il nostrotempo ha ancora da svolgere proprio nell’ambito cosmologico il difficile compito di raccordare letesi della dogmatica trinitaria con quelle della metafisica cristiana, attraverso l’itinerario accennatoda Giovanni Paolo II, allorché nella sua penultima enciclica afferma che: “Se l'intellectus fideivuole integrare tutta la ricchezza della tradizione teologica, deve ricorrere alla filosofia dell'essere.Questa dovrà essere in grado di riproporre il problema dell'essere secondo le esigenze e gli apportidi tutta la tradizione filosofica, anche quella più recente, evitando di cadere in sterili ripetizioni dischemi antiquati. La filosofia dell'essere, nel quadro della tradizione metafisica cristiana, è una

Page 32: Lorizio- Metafisica Agapica

filosofia dinamica che vede la realtà nelle sue strutture ontologiche, causali e comunicative. Essatrova la sua forza e perennità nel fatto di fondarsi sull'atto stesso dell'essere, che permette l'aperturapiena e globale verso tutta la realtà, oltrepassando ogni limite fino a raggiungere Colui che a tuttodona compimento. Nella teologia, che riceve i suoi principi dalla rivelazione quale nuova fonte diconoscenza, questa prospettiva trova conferma secondo l'intimo rapporto tra fede e razionalitàmetafisica” (FeR, 97).Recentemente Alexandre Ganoczy48, sulla scia di alcune preziose indicazioni di WolfhartPannenberg ed in dialogo con le scienze e la filosofia (in particolare l’ontologia della struttura diHeinrich Rombach) ha elaborato una teologia della creazione in chiave trinitaria, dalla quale45 Dal punto di vista “rosminiano”, il tema è stato egregiamente trattato in C. M. FENU, Il problema della creazionenella filosofia di Rosmini, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 1995.46 X. DURWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, Città Nuova, Roma 1995, 102.47 W. PANNENBERG, “La creazione del mondo”, in ID., Teologia sistematica, II, Queriniana, Brescia 1994, 34.48 Cf A. GANOCZY, Il creatore trinitario. Teologia della Trinità e sinergia, Queriniana, Brescia 2003.23possiamo trarre alcuni elementi di riflessione. In primo luogo – riprendendo Rombach – il teologoqui si esprime nei termini di una “ontologia strutturale dell’amore”, a partire dalla nozione di“idemità”, intesa nel senso dell’idem esse, come ad esempio nell’espressione del IV vangelo “Io e ilPadre siamo una cosa sola” (Gv 10,30): si tratta della “comparsa di uno stretto rapporto fra l’io euna «dimensione illimitata della vita» che autorizza ad esprimere questo giudizio idem sunt. Comeesempio egli [= Rombach] adduce, accanto alle parole ora citate di Gesù, la confessione delmusicista, del poeta e del pensatore, secondo la quale essi e la loro opera sono una «cosa sola»”49.Naturalmente si tratta di una “analogia” (tematica chiave nel lavoro di Ganocky). Sulla base della“idemità” è possibile pensare la tematica della creazione nei termini della “concreatività” trinitaria,intravedendo in essa la partecipazione di ciascuna delle persone divine sia all’atto creativooriginario sia a quella che precedentemente abbiamo chiamato la “creazione continua”. A tal

Page 33: Lorizio- Metafisica Agapica

proposito sembra interessante rilevare come – secondo questo teologo – nell’espressione “creazionecontinua” i contenuti dei concetti di creatio e conservatio “si avvicinano addirittura nella misura piùalta possibile, dal momento che i due processi qui intesi avevano per soggetto un unico e medesimocreatore e costituivano un’unica realtà storica”50. La “sinergia” divina ha comunque un strutturaagapica fondamentale, che da un lato conferisce unità all’agire delle persone in questo caso ad extrae dall’altro consente di leggere ed interpretare ogni loro agire come atto d’amore. La filosofia(anche quella qui adottata come infrastruttura concettuale, ossia la teoria della concreatività diRombach) ha in ogni caso bisogno di un ripensamento e di profonde integrazioni. In tal senso, ilteologo così conclude: “Ho dovuto arricchire intratrinitariamente la teoria della concreatività diRombach per renderla teologicamente utilizzabile e per rendere pienamente giustizia al Cusano,nostro comune garante51. Affinché ciò non dia luogo a fraintendimenti occorre salvaguardare ladifferenza fra concreatività divina e concreatività umana: quella è eterna, motivata dall’agápē,creante di per se stessa e infinitamente libera; questa può essere solo temporale, avere solo dellemotivazioni miste, creare utilizzando cose già esistenti e procedere in maniera in parte libera e inparte determinata. L’osservanza di questa condizione non diminuisce, bensì aumenta la possibilitàdi inserire anche sinergie fisiche, biologiche e sociologiche in una analogia multilaterale”52.Quanto alla prospettiva aleteiologica, si tratta di pensare la verità in stretta connessione con lacarità e la libertà. Verità e Carità risultano inseparabili nella divina sapienza, che ci fa discepoli diDio stesso. Se il primo termine esprime Dio nella persona del Verbo, “la nuova parola Caritàesprime il medesimo Dio nella persona dello Spirito. I testi giovannei offrono abbondante materia49 A. GANOCZY, Il creatore trinitario, cit., 228.50 Ib., 246.51 Si tratta qui di riscattare il pensiero cusaniano da ogni possibile venatura panteistica.52 Ib., 296.24di riflessione a riguardo e Rosmini vi si appoggia costantemente. "Sono dunque due le parole in cui

Page 34: Lorizio- Metafisica Agapica

si compendia la scuola di Dio, reso maestro degli uomini, VERITÀ e CARITÀ; e queste due parolesignificano cose diverse, ma ciascuna comprende l'altra: in ciascuna è il tutto; ma nella verità è lacarità come un'altra, e nella carità è la verità come un'altra: se ciascuna non avesse seco l'altra nonsarebbe più dessa”53. Qui si tratta di pensare Dio secondo il suo nome proprio dato nel NuovoTestamento nella parola che più di ogni altra esprime la sua natura e quindi di uscire da una visionedella carità prettamente prassistica e velleitaria o addirittura sentimentale e banalmente affettiva, perattingere alla feconda identificazione dell’essere con l’agápē. Un secondo passo, questa volta inavanti, ci può portare all’incontro con l’ultima sezione de L’Action di Blondel: “L’essere è amore;quindi se non si ama, non si conosce niente. E per questo la carità è l’organo della conoscenzaperfetta. Essa depone in noi quello che è nell’altro. E rovesciando, per così dire, l’illusionedell’egoismo, ci inizia al segreto di qualsiasi egoismo diretto contro di noi. Nella misura in cui lecose esistono, agiscono e ci fanno patire. Accettare questa passione, recepirla attivamente, significaessere in noi quello che esse sono in loro. Dunque escludersi da sé, mediante l’abnegazione,significa generare in sé la vita universale […]. Ciò che si impone necessariamente alla conoscenzanon è altro che l’apparenza. E ciascuno conserva nel fondo l’intima verità del proprio esseresingolare. In me c’è qualcosa che sfugge agli altri, e che mi innalza al di sopra di tutto l’ordine deifenomeni. E anche negli altri, se sono come me, c’è qualcosa che mi sfugge, e che sussiste solo semi è inaccessibile. Io non sono per loro come sono per me, ed essi non sono per me come sono perloro. L’egoismo è sconvolto dalla sola idea di tanti egoismi antagonistici. E, nonostante tutta la lucedella nostra scienza, rimaniamo avvolti nella solitudine e nell’oscurità. Soltanto la carità,collocandosi nel cuore di tutti, vive al di sopra delle apparenze, si comunica fino all'intimità dellesostanze, e risolve completamente il problema della conoscenza dell'essere”54.Tornando al Roveretano, l’alterità reciproca di Verità e Carità dice l’alterità delle divinepersone e il loro relazionarsi, tuttavia non bisogna dimenticare che la nozione di “persona”,

Page 35: Lorizio- Metafisica Agapica

rosminianamente intesa, fa comunque riferimento ad un elemento irriducibile ed inalienabile, sitratta infatti di un individuo intelligente e libero, che “contiene un principio attivo, supremo edincomunicabile”. La carità come gratuità assoluta è possibile solo a partire da questa profonda ed53 A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, a cura di P. P. OTTONELLO, Città Nuova – CISR, Roma - Stresa 1979, 181.Ho proposto una lettura in prospettiva agapica del pensiero rosminiano già nel saggio G. LORIZIO, “Ricerca della Veritàe «metafisica della Carità» nel pensiero di Antonio Rosmini”, in K. H. MENKE – A. STAGLIANÒ (edd.), Crederepensando. Domande della teologia contemporanea nell’orizzonte del pensiero di Antonio Rosmini, Morcelliana, Brescia1997, 461-486. Tale prospettiva è stata approfondita ed ampliata nell’importante lavoro di M. KRIENKE, Wahrheit undLiebe bei Antonio Rosmini, Kohlhammer, Stuttgart 2004. Sono tornato sull’argomento in G. LORIZIO, “Theologie undMetaphysik der Agape im Denken Antonio Rosminis”, in Münchener Theologische Zeitschrift 56 (2005) 63-76.54 M. BLONDEL, L’Azione, cit., 553.25insondabile incomunicabilità o solitudine, originaria rispetto ad ogni reciprocità relazionale. È solonel Dio unitrino e nell’essere uno e trino, che ne è l’immagine (l’essere immagine di Dio e nonviceversa) che si compone mirabilmente ogni tensione fra la solitudine originaria della persona e larelazione con l’alterità dell’altro. Il senso delle cose, della natura e della storia, può essere indagatosolo a partire dalla domanda sull'uomo e sul suo destino. È nella persona umana, infatti, che le treforme dell'essere convivono e celebrano il loro incontro. Qui non sempre tale convivenza è pacificaed armonica: la realtà storica comporta la legge dell'antagonismo, che trova interessanti riscontrianche a livello cosmologico. Il fondamento di ogni realtà, che Rosmini chiama “misterioso”, è ildogma trinitario con tutta la sua pregnanza teologica e filosofica. Dopo aver chiarito il rapportoanalogico (quindi non di identità) caratterizzante le tre forme dell'essere in relazione al misterotrinitario, il Roveretano non si fa scrupolo di affermare che tale mistero non solo può, ma deveessere “ricevuto”, ossia riconosciuto ed accolto dalla filosofia. La rivelazione dell'essenza di Diocome uno e trino ha dunque una ricaduta filosofica di enorme portata. Rosmini ad esempio accenna

Page 36: Lorizio- Metafisica Agapica

alla mirabile soluzione del problema dell'uno e del molteplice, che il Cristianesimo propone:“Escluso dunque il sistema degli unitarî, come impossibile, rimane che ci sia qualche molteplicitàcoeterna all'essere. Ma questa non deve togliere la perfetta unità e semplicità dell'essere; e quindi ladifficoltà di quell'antinomia, che ha fatto delirare, se mi si permette di così esprimermi, la filosofiadi tutti i secoli, a cui Cristo ha soddisfatto, ma rivelando il mistero. Dal qual mistero però venne unrinforzo di luce alla stessa intelligenza umana, che si mise all'opera di rispondere in qualche modo aquel problema più istruita e cautelata contro gli errori”55.Rispetto alla prospettiva teologica, Dio viene pensato come essere che ama (non solo “oggettodi amore”), nel quale l’amore trova la sua pienezza e la sua perfezione. Il che consente di declinarela prospettiva ousiologica da un lato in riferimento alla natura divina e dall’altro in riferimento alletre ipostasi. Abbiamo così la possibilità di elaborare una teo-ontologia, piuttosto che un’ontoteologia,dove il termine Ð qeÕj sta ad indicare il Dio del Nuovo Testamento, ossia il Padre e laprospettiva trinitaria che qui è dato intravedere56. Tale prospettiva chiama in causa il pensierometafisico, nel suo configurarsi come “teologia filosofica” in rapporto al “paradosso”57 della nostraconoscenza di Dio.55 Ib., I, 131 (166).56 Cf il famoso saggio di K. RAHNER, „Theos im Neuen Testament“ in ID., Schriften zur Theologie, I, Benziger,Einsiedeln 1954, 9-47 (trad. it. in ID., Saggi teologici, Paoline, Roma 1965, 467-585).57 Pur cogliendone il nucleo veritativo la nostra concezione del paradosso risulta notevolmente differente da quellaluterana e barthiana: cf M. LUTHERS, “Disputatio Heidelbergae habita. 1518”, in “Kritische Gesamtausgabe”, in Werke,Hermann Böhlaus Nachfolger, Akademische Druck, Graz 1966, 353-355. È comunque grazie alla lezione di ItaloMancini, che il tema dell’“ossimoro teologico” può essere appreso e ripreso nell’attuale configurazione del discorso suDio: cf a questo riguardo I. MANCINI, “Doppi pensieri”, in ID., Frammento su Dio, Morcelliana, Brescia 2000, 279-348.26A questo livello è interessante notare come nel capitolo II dell'Enciclica Fides et ratio,intitolato "Credo ut intellegam", Giovanni Paolo II accenni giustamente alla fatica del credere,motivata dallo scontro tra la fede e i limiti della ragione, e precisi in termini molto appropriati:

Page 37: Lorizio- Metafisica Agapica

“Tuttavia, malgrado la fatica, il credente non si arrende”, poiché “Dio lo ha creato come un«esploratore» (Qo 1,13), la cui missione è di non lasciare nulla di intentato nonostante il continuoricatto del dubbio”. Ed è in questo contesto tematico che l’enciclica richiama in successione (cfFeR, 21) due importanti testi paolini, in cui l’Apostolo sembra contraddirsi, poiché in uno affermanon solo la capacità metafisica dell'uomo di conoscere Dio ma anche il reale dato di fatto della suaconoscenza (cf Rom 1,19-21), mentre nell'altro sembra invece negare questa capacità col dire chel'uomo di fatto non ha mai conosciuto Dio (cf 1Cor 1,21). I due passi epistolari di S. Paolo dannocorpo a una delle questioni più appassionanti, in cui si misura lo specifico rapporto tra la ragione ela fede e l'apporto di ciascuna di esse. L’esegesi coglie in questi testi una particolare dialettica tradue poli, che in un certo senso si attraggono eppure in un altro senso si respingono (nella lineadell’alterità-reciprocità tra fede e ragione che sopra abbiamo richiamato). Peraltro lo stesso Paolo inun altro passo epistolare (cf Gal 4,8-9) sintetizza il suo pensiero, proponendo una prospettivadiversa dalle precedenti58.A questo proposito non sarà fuori luogo indicare che la paradossalità costitutiva, inerente laconoscenza di Dio e le sue modalità, risulta presente anche nel pensiero di Tommaso d’Aquino.Come teologo, san Tommaso, si interroga su Dio e soltanto su Dio59. È a partire da Lui, infatti, chenella Summa Theologiae vengono considerati il cosmo e l'uomo. Tuttavia secondo san Tommaso viè anche una teologia che fa parte della filosofia (illa theologia quae pars philosophiae ponitur)60.Questa teologia filosofica si distingue dalla teologia propriamente detta (quae ad sacram doctrinampertinet) sulla base della diversa prospettiva (lumine naturalis rationis) adottata sullo stesso"oggetto": Dio. Dunque avremo qui una speculazione su Dio alla luce della ragione naturale. Se lateologia propriamente detta ha come punto di partenza la Rivelazione divina, nella cui luce puòconsiderare tutte le cose, la Parola stessa di Dio essendo fonte della sua conoscenza e del suodiscorso, la teologia filosofica conosce con la luce della ragione, la quale - non coincidendo

Page 38: Lorizio- Metafisica Agapica

immediatamente con l'essere - è limitata e non attinge direttamente Dio. La distanza tra Dio el'umana ragione va attribuita: a) al limite stesso dell'uomo e b) alla situazione di peccato che58 Per queste considerazioni utilizziamo R. PENNA, “La dialettica paolina tra possibilità e impossibilità di conoscereDio”, in Rassegna di Teologia 43 (2002) 659-671.59 Cf in particolare il bel saggio di M. D. CHENU, San Tommaso d’Aquino e la teologia, Gribaudi, Torino 1977.60 Siamo al primo articolo della prima questione della Summa, dove san Tommaso si interroga circa la necessità dellaSacra dottrina oltre le discipline filosofiche, e dove dà per scontata la teologia filosofica, citando Aristotele: “Sed deomnibus entibus tractatur in philosophicis disciplinis, et etiam de Deo: unde quaedam pars philosophiae diciturtheologia, sive scientia divina, ut patet per Philosophum in VI Metaphys.” (esposizione della seconda obiezione).27caratterizza la condizione umana. A questo proposito va ricordato come la redenzione operata daCristo non potrà non incidere sull'esercizio stesso della ragione umana e come la Rivelazione stessanon mancherà di offrire preziosi suggerimenti alla filosofia soprattutto in merito al nostro tema. Uninteressante sviluppo delle importanti distinzioni tommasiane circa il carattere positivo e negativoinsieme della nostra conoscenza di Dio, da cui consegue la valenza veritativa delle ragioni dellafede cristiana, lo troviamo nel pensiero rosminiano, in particolare nella tesi secondo cui la nostraconoscenza razionale filosofica del mistero di Dio è di tipo ideale-negativo, mentre quella teologica,derivante dalla fede teologale, è di tipo reale-positivo. E che non si tratti di un facile apofatismo, losi può mostrare dalle considerazioni che il Rosmini svolge nel Nuovo Saggio sull’origine delle idee,dove afferma che “la nostra cognizione negativa di Dio è dunque tale, che noi sappiamo per essa achi rivolgerci senza alcun errore prendere in ciò, e possiamo senza esitazione adorare la nostracausa, conoscere praticamente il fonte della bontà, e terminare l’appetito del sapere nella luce dellementi: sicché al tutto è scemo e vano lo sforzo di que’ savi del secolo, che da questa sorgenteinesausta di tutti i beni vorrebbero pur rivolgere e arretrare il genere umano, abusando della parola,che egli è un essere incomprensibile”61.Situandoci ora al livello ousiologico, vale la pena qui segnalare come nella prospettiva della

Page 39: Lorizio- Metafisica Agapica

metafisica agapica trovi il suo necessario superamento l’alternativa (oggi spesso messa in campo)fra “ontologia relazionale” e “ontologia della sostanza” o “essenzialista” 62. Si tratta di un discorso61 A. ROSMINI, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, cit., t. III, 159 (§ 1241) (EC, 5). Su questo tema resta fondamentaleil volume di F. PERCIVALE, L’ascesa naturale a Dio nella filosofia di Rosmini, Città Nuova, Roma 20002 e il piùrecente ID., Da Tommaso a Rosmini. Indagine sull’innatismo con l’ausilio dell’esplorazione elettronica dei testi,Marsilio, Venezia 2003.62 Come si sa, nella prospettiva propriamente aristotelica sia la “sostanza” che la “relazione” sono “categorie”, chequindi prese isolatamente non possono valere a rappresentare ed esprimere l’Assoluto in tutta la sua pienezza.L’identificazione di esso con l’una o l’altra di queste categorie presterebbe ampiamente il fianco alla criticaall’ontoteologia presente nel pensiero contemporaneo, che – lo abbiamo più volte detto e scritto – non coglie il bersagliose indirizzata alle grandi figure del pensiero credente. Basterebbe ricordare a tale proposito la posizione tommasiana,secondo la quale Desu non est in genere substantiae (cf il testo di Summa Theologiae I, 3, 5, ad I). Per tutta questaquestione rimando alla mia Logica della fede, cit., 31-34. Altro problema è quello concernente l’identificazione di Dio(intendo del Dio di Gesù Cristo) con l’essere. Resta aperto e da ulteriormente riflettere e confrontare il temadell’essenza divina in rapporto all’ontologia trinitaria (cf a questo proposito il saggio di E. SALMANN, “La naturascordata. Un futile elogio dell’ablativo”, in P. CODA – L. ŽÁK (edd.), Abitando la Trinità. Per un rinnovamentodell’ontologia, Città Nuova, Roma 1998, 27-43). L’affermazione secondo cui il Dio cristiano va pensato non senza, maoltre l’essere sta ad indicare la necessità di una “concezione dinamica dell’essere” (FeR, 97) per una metafisica cheintenda essere profondamente cristiana e compatibile con la Rivelazione. Questa tesi si può sviluppare in sensotommasiano, secondo la direzione dell’actus essendi (un luogo particolarmente significativo in S. Th. I, 3, 4, ad 2um),oppure in senso bonaventuriano, dove l’ulteriorità di Dio rispetto all’essere viene espressa nei termini del rapporto fral’essere (nome di Dio dell’Antico Testamento secondo Es 3,14) il bene o amore (prospettiva agapica - nome di Dio nelNuovo Testamento secondo 1Gv 4,8). Quanto agli sviluppi di un’ontologia dinamica nell’orizzonte tommasiano conriferimento alla teologia del Novecento si possono utilmente evocare le figure di K. Rahner e B. Lonergan. Quanto aSan Bonaventura ricordiamo che egli ricorre all’immagine dei due cherubini: “Il primo fissa lo sguardo, innanzi tutto eprincipalmente sull’Essere stesso, affermando che il primo nome di Dio è «Colui che è». Il secondo fissa lo sguardo sulBene stesso, affermando che questo è il primo nome di Dio. Il primo modo riguarda in particolare il VecchioTestamento, il quale proclama soprattutto l’unità dell’essenza divina, per cui fu detto a Mosé: «Io sono Colui che sono».28

Page 40: Lorizio- Metafisica Agapica

complesso e dai possibili risvolti e riferimenti infiniti non solo per quantità di espressioni, ma direiproprio per qualità di riflessione. Coloro che navigano sull’onda dell’ontologia relazionale, nesottolineano i guadagni in rapporto all’orizzonte della metafisica agapica, alla quale, almeno nellanostra versione, tale radicalizzazione non appartiene affatto. Come non le appartiene l’adozione diuna metafisica essenzialista della sostanza. La prospettiva della gratuità, infatti, mentre consenteall’alterità di penetrare l’interiorità e all’interiorità di aprirsi all’alterità, muove piuttosto in unorizzonte asimmetrico, che in quello di una paritaria reciprocità. Tale asimmetria non solo viene ariguardare il rapporto col totalmente Altro e a custodirne la trascendenza, bensì anche quello conl’altro uomo. Mi porta a percorrere questa via una definizione di “persona”, ritrovata in AntonioRosmini, ma già presente in Riccardo da San Vittore e Duns Scoto63, secondo la quale: “La personasi può definire «un soggetto intelligente», e volendo dare una definizione più esplicita diremo che sichiama persona un individuo sostanziale intelligente, in quanto contiene un principio attivo,supremo, ed incomunicabile»”64. Piuttosto che di una “ontologia della sostanza”, qui si tratta di una“ontologia della persona”65, nel senso originario della ypostasis, la cui specificità abitanell’originalità dell’elemento incomunicabile, ossia, se si vuole nella “solitudine”. Certo essa sicostituisce a partire dalla relazione, ma si tratta appunto della relazione creaturale, nella quale Dionel creare il mondo già pone l’altro da Sé e il senso di questa alterità si acuisce nel momento in cuiviene creato l’essere intelligente e libero, tanto che costui ha il terribile potere di dire no a Diostesso, un potere che la morte può rendere definitivo nella forma della eternità infernale, così comel’armonia con Dio, gli altri e il cosmo, che l’eternità paradisiaca promette e realizza non annulla lasingolarità delle persone (si pensi la culto dei santi). È questa “solitudine” che, a mio avviso, oggichiede di essere abitata e pensata come origine della relazione con Dio e dei rapporti interpersonali.C’è abbondante materiale filosofico a riguardo, ma non sempre teologicamente ripreso ed elaborato.

Page 41: Lorizio- Metafisica Agapica

Il secondo riguarda il Nuovo testamento, il quale determina la pluralità delle Persone divine, battezzando «nel nome delPadre, del Figlio e dello Spirito Santo»” (Itinerarium, V, 2). Da verificare e discutere sarebbe inoltre la possibilitàdell’assunzione di un paradigma ontologico neo-parmenideo in rapporto all’ontologia dinamica. In ogni caso, come achiare lettere sempre abbiamo affermato, la prospettiva agapica (metafisica della carità) non esclude, ma include quellaontologica.63 La definizione di “persona” di Antonio Rosmini riprende quella di Duns Scoto, in quale a sua volta si ispira a quellaformulata da Riccardo di S. Vittore, secondo cui persona est intellectualis naturae incommunicabilis existentia. In tuttequeste definizioni si individua la caratteristica fondamentale della persona umana nell’esistenza unica ed irripetibile. Èad esempio nell’incomunicabilità che il doctor subtilis rinviene la ragione ultima della persona, sia a livello teologicoche antropologico, ritenendo tale categoria non correlativa a nessun altra, in quanto la persona costituisce la realtàesistente in quanto esistente. Al concetto di “persona”, pertanto, risulta connaturata la categoria della incomunicabilitàsolitudine,che la rende, quindi, un'identità unica ed irripetibile (di Scoto cf ad es., Ordinatio , I, d. 23, q. un., n. 15).Non si tratta di negare la relazione, infatti per Scoto, attraverso il dialogo, la persona è chiamata ad abbandonarel’individualismo, in modo da scoprire la sua vera individualità, ovvero la sua identità (haecceitas) di fronte a Dio (cf atale proposito, Ord. II. d.3, p.1, q. 5).64 A. ROSMINI, Antropologia in servizio della scienza morale, a cura di F. EVAIN, CISR - Città Nuova, Roma-Stresa 1991,460, § 832.65 Fra i tanti possibili riferimenti, mi limito a segnalare H. OTT, Il Dio personale, Marietti, Casale Monferrato 1983.29“Oh sola beatitudo, oh beata solitudo!”, dunque, secondo l’adagio monastico, senza nulla togliere aiguadagni teoretici della prospettiva relazionale, di cui bisogna essere consapevoli.Siamo così al livello ontologico, ossia alla concezione dinamica dell’essere propria dellaprospettiva agapica: la metafisica della carità include una “ontologia della dedizione” e una“ontologia trinitaria”. Nel primo orizzonte si tratta di pensare l’essere nella prospettiva del dono edel dono originario: “Dio è dedizione. Chi nega la verità della dedizione nega Dio. Anche se ciòfosse fatto in nome della vera religione e della imperscrutabile giustizia di Dio. La corrispondenzadella rivelazione e della storia, qui, è perfetta. […] Il dono incondizionato di sé, l’accoglienzadell’altro nella sua stessa differenza, la solidarietà con il suo illimitato desiderio di vita, la fedeltàdella libera obbedienza alle esigenze della giustizia, il riscatto dell’altro nel perdono e nella

Page 42: Lorizio- Metafisica Agapica

riconciliazione: sono tutte figure di una simbolica della verità del mondo che è, nella sua radice,rigorosamente teologica. Esse esprimono la verità di quella relazione originaria che coincideprecisamente con la posizione stessa dell’ente finito […]. In tale prospettiva si può dire che ladifferenza ontologica è la verità intrascendibile della dedizione di Dio: sicché è escluso ognirisolutivo assorbimento del finito nell’originario di un assoluto indifferenziato ed estraneo alla vitastorica. E che la dedizione di Dio è il senso indefettibile della differenza, sicché è esclusa ognidualistica interpretazione della libertà assoluta che dà luogo e tempo alla vita storica del mondo […]la questione del senso, insomma, è immediatamente connessa alla questione della «gratuità»dell’ente e rinvia inevitabilmente all’orizzonte della libertà”66.L’“ontologia trinitaria” ha una lunga storia e può vantare il riferimento a figure di notevolerilievo dal punto di vista speculativo, anche in ambito mistico67. La costituzione trinitaria propriadell’Assoluto trascendente cristianamente creduto e pensato, invoca di essere percepita e riflessanon solo in rapporto appunto al mistero dell’Unitrinità o Triunità (P. A. Florenskij) di Dio, l’Essereeterno, bensì a livello della struttura stessa dell’essere finito = uomo e cosmo (E. Stein). Eppurenonostante le non indifferenti fatiche speculative in atto, il compito di una ontologia trinitariarelazionata al sapere della fede, nel nostro tempo resta ancora da svolgere. Siamo nani che poggianosulle spalle di giganti, ma non possiamo semplicemente ripetere la loro lezione. L’impresa cheRosmini ha egregiamente, anche se incautamente, portato a termine per l’Ottocento e la Stein e66 P. SEQUERI, Il Dio affidabile, cit., 229-238. Un interessante sviluppo, parallelo, di questa ontologia della dedizioneha messo in campo una ulteriore suggestione speculativa nella forma della “metafisica del perdono”, di cui abbiamo unaconsistente elaborazione nel voluminoso saggio di Alain Gouhier, dedicato a questa tematica: Cf A. GOUHIER, Pourune métaphysique du pardon, Ed. de l’Epi, Paris 1969.67 Molto opportunamente, ma in termini prettamente programmatici, Klaus Hemmerle ha indicato l’ontologia trinitariacome un compito imprescindibile per la teologia contemporanea, Cf K. HEMMERLE, Tesi di ontologia trinitaria, CittàNuova, Roma 19962.30

Page 43: Lorizio- Metafisica Agapica

Florenskij per il Novecento, resta una promessa per il terzo millennio. Sviluppando queste prezioseindicazioni si possono percorrere sentieri davvero interessanti e pregnanti per una ricerca teoreticache comprenda la ripresa del tema dei praeambula fidei e delle sue motivazioni profondamenteteologiche: “se l’ontologia dell’essere creato è già un’ontologia trinitaria in senso aurorale, inquanto è un’ontologia dell’essere che viene per amore da Dio (exitus), l’ontologia dell’esserericreato per Cristo nello Spirito è un’ontologia trinitaria, in senso prolettico, cioè per anticipazionereale: è già un’ontologia dell’essere creato inserito per Cristo nello Spirito del dinamismo della vitatrinitaria dell’Amore (fatta salva la distinzione di creato e Increato); ma non è ancora un’ontologiatrinitaria in senso definitivamente compiuto, o escatologico, perché l’essere creato e ricreato sicompirà in quanto perfetta immagine dell’Azione trinitaria, nella Trinità, solo nell’eschaton”68.Viene così ampiamente ed esaurientemente ricuperato il carattere previo dell’istanza metafisicarispetto alla fede e al sapere che essa esprime e al tempo stesso si mostra con chiarezza quell’istanzaveritativa propria della ragione creata in rapporto alla dimensione cosmico-antropologica dellarivelazione ebraico-cristiana, dove l’istanza dell’essere trinitariamente articolato non esclude, mainclude ed invera mirabilmente quella dell’Uno e delle sue esigenze.Una ulteriore articolazione di una ontologia trinitaria, a nostro avviso capace di mostrare lacredibilità della rivelazione cristiana, pensiamo possa esprimersi a partire da una rigorizzazioneteoretica di un approccio fenomenologico-esistenziale alle figure dell’interiorità, della alterità edella gratuità69, secondo un percorso che mentre utilizza i dati della fenomenologia francese piùrecente e raccoglie l’eredità levinasiana, individua nel legame agapico l’autentica possibilità diincontro fra l’immanenza o solitudine radicale della soggettività e le istanze dell’alterità con le sueirruzioni e le sue pretese. In questo percorso, la compagnia di Rosmini può consentire quel faticosoe ancora lungo cammino dal fenomeno al fondamento70, individuato nella possibilità di pensare68 P. CODA, Evento pasquale. Trinità e storia. Genesi, significato e interpretazione di una prospettiva emergente nella

Page 44: Lorizio- Metafisica Agapica

teologia contemporanea. Verso un progetto di ontologia trinitaria, Città Nuova, Roma 1984, 176.69 Rimandiamo a G. LORIZIO, Fede e ragione, cit., 119-142. Che questo percorso (già disegnato, senza riferimento alledottrine rosminiane in un lavoro del 1997: “Attese di salvezza in alcune figure del pensiero post-moderno”, in P. CODA

[ed.], L'Unico e i molti. La salvezza in Gesù Cristo e la sfida del pluralismo, PUL - Mursia, Roma 1997, 9-34) nei suoiriferimenti fenomenologici contemporanei abbia a che fare con la teologia e con la metafisica lo si può rilevare dalrecente saggio di V. PEREGO, La fenomenologia francese tra metafisica e teologia, Vita e Pensiero, Milano 2004. Sullaprospettiva agapica in chiave fenomenologica cf il bel libro di G. DE SIMONE, L’amore fa vedere. Rivelazione econoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005.70 “Ovunque l'uomo scopre la presenza di un richiamo all'assoluto e al trascendente, lì gli si apre uno spiraglio verso ladimensione metafisica del reale: nella verità, nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell'essere stesso, inDio. Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tantonecessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quandoquesta esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativaraggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni aperturametafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione dellaRivelazione” (FeR, 83).31trinitariamente l’essere e quindi di rifletterne le forme (ideale – reale – morale, se si vuole dellasoggettività - dell’oggettività - della santità) sull’uomo e sul suo rapporto col mondo e gli altri nelletre direzioni sopra indicate. Non si tratta ovviamente di una prospettiva del tutto inedita, ma cheaffonda le sue radici oltre che nella Rivelazione, nella dottrina trinitaria e nella sua ripresa teologicae filosofica. La valenza speculativa dell’evento Cristo, che raggiunge nella “metafisica della carità”il suo culmine speculativo, esige sviluppi ulteriori.2. c) La dimensione ecclesiale ed escatologica della santitàL'amore appassionato per la Chiesa che caratterizza tutto l'itinerario biografico e speculativo delRosmini si manifesta anche attraverso la preoccupazione per la santità della Chiesa stessa, che sarà oggettodi vibranti pagine nell'opera più conosciuta Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa71. A proposito delladimensione ecclesiale della santità, ci sembrano particolarmente significative le massime, formulate nelDirectorium spiritus72 sulla libertà della Chiesa: il brano è tutto di Rosmini, privo cioè, una volta tanto, di

Page 45: Lorizio- Metafisica Agapica

citazioni e rimandi ad altri Autori o maestri di spiritualità, il quale esprime drammaticamente talepreoccupazione. È una specie di manifesto, che testimonia i sentimenti del giovane prete verso la Chiesadel suo tempo73:MASSIME RIGUARDANTI LA LIBERTÀ DELLA CHIESA1. La Chiesa non può essere libera nella sua azione se gli uomini che la governano non sono eminenti per santità.Infatti, la santità infonde rispetto negli uomini, e il rispetto li induce, in quanto incompetenti, a non intromettersi nellevicende della Chiesa o a non volerla condizionare.2. I santi uomini che governano la Chiesa hanno un animo forte e non si lasciano turbare né dalla perdita dei benitemporali né dalle pene che loro vengono inflitte affinché non esercitino completamente il loro santo ministero e nonosservino perfettamente la legge di Dio.3. La Chiesa, in quanto fornita di santi, non ha bisogno dell'aiuto di alcuna forza terrena; anzi, questa è estremamentenociva per la libertà della Chiesa.4. Perciò, la Chiesa non sarà mai perfettamente libera nella sua funzione, finché non diventerà immune e71 Cf A. ROSMINI, Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa. Testo ricostruito nella forma ultima voluta dall'Autore consaggio introduttivo e note di N. GALANTINO, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997.72 Il manoscritto si presenta come una sorta di schedatura di fonti e temi di spiritualità e contiene annotazioni compresefra il 1826 e il 1840. Il testo dell'inedito, per gran parte in lingua latina, è conservato presso la curia generaliziadell'Istituto della Carità, che si trova a Roma, in via di Porta Latina, 17, mentre nell'archivio stresiano se ne conservauna fotocopia segnata ASIC A.2, 65/B, 1-3. Utilizziamo in questo paragrafo il materiale messo a nostra disposizione daldr. Dario Giannozzi, del gruppo di Torino, che sta preparando l'edizione critica del testo. Cf il bel libro di A. VALLE,Momenti e valori della spiritualità rosminiana, CISR - Città Nuova, Stresa - Roma 1978 [CB, V, 107 (13502)] e il piùrecente ID., Antonio Rosmini. Il carisma del fondatore, Longo, Rovereto 1991 [CB, VIII, 110-111 (14666)]. Nellabiblioteca stresiana vi è una trascrizione dattiloscritta dell'Indice dei contenuti del Directorium spiritus a cura delgruppo di Torino (D. Giannozzi, A. Jato, L. Pivano e D. Sartori) datata 10 maggio 1984 [CBR, III, 75 (1867)].Troviamo nell'Epistolario una notizia concernente questo materiale: Rosmini scrive da Rovereto a P. Rigler a Trento:"Vorrei anche che mi mandaste uno di que' tre tomi manoscritti che stanno nella scaffa sopra il mio scrittoio e che haper titolo Directorium spiritus, e propriamente non il verde, né pure quello legato collo schienale di pelle, ma l'altro" [E,IV, 684 (2064), 18.IX.1833]. Nel manoscritto Rosmini aveva lasciato diversi fogli bianchi, onde poter ulteriormenteintervenire con aggiunte relative ai singoli argomenti trattati.73DRS, II, 21, Maximae circa libertatem Ecclesiae, 221-223.32

Page 46: Lorizio- Metafisica Agapica

completamente svincolata da ogni coinvolgimento negli affari politici. Infatti, essa deve certo giudicare di tutto congiustizia, ma deve mostrarsi completamente disinteressata riguardo ai beni terreni. Non si pronunci sui regimipolitici, se non interpellata, e non si mostri incline più all'uno che all'altro, ma sia in ogni circostanza interessata allaprosperità e felicità dei fedeli con zelo indefesso.5. In questo modo non è ormai più necessario chiamare in aiuto il braccio secolare per punire i peccati dei fedeli, maè sufficiente comminare le pene canoniche. Infatti le pene canoniche diventeranno tanto più efficaci per la salvezzaquanto (più) saranno tenute lontane da ogni rapporto con la forza esterna e con la perdita di beni temporali.6. Anzi, non si può pensare nessun'altra via d'uscita perché le pene ecclesiastiche ritornino alla primitiva forza edefficacia per la salvezza dei fedeli, e perché, mediante questi castighi spirituali, i veri fedeli di Cristo siano separatidai falsi, che si devono considerare perduti, affinché si correggano e affinché, stando mescolate insieme, le pochepecore contaminate non corrompano tutte le altre e non le facciano morire di malattia pestilenziale.7. Di qui deriva anche come conseguenza che il mezzo più importante per nobilitare sempre più le sanzioniecclesiastiche sia la lontananza del Clero da ogni senso di cupidigia e avidità, pago mediante la santità della suaeredità, di modo che i sacerdoti né pensino di accumulare beni temporali, o si adoperino con eccessivo zelo perconservarli, né temano di perderli, poiché sicuramente una Chiesa più povera sarà anche più potente; se poi avverràche il Clero abbia temporaneamente beni in abbondanza, di cui può servirsi santamente, se ne serva come se non sene servisse, come ammonisce l'Apostolo, e pronto successivamente a lasciare al mondo tutti gli altri beni, nonconsiderandoli suoi perché li ha ricevuti non come beni personali, ma come imprestati da Dio per disposizione dellasua provvidenza.8. Di qui deriverà anche come conseguenza che la Chiesa, divenuta più libera, potrà redarguire i potenti, nontemendo né ripromettendosi nulla da loro sia per sé che per i vari popoli. Se infatti un principe può distaccareviolentemente tutto il regno dal seno della Chiesa, come fece il re d'Inghilterra e parecchi principi tedeschi hannofatto nel sec. XVI, allora i pontefici romani sono costretti ad essere più prudenti nel prendere provvedimenti contro imedesimi principi o regnanti quando peccano pubblicamente contro la Chiesa. Ma i potenti non avranno mai tantaautorità sui popoli da poterli separare dalla Chiesa, se la Chiesa stessa eserciterà sui popoli più che altro unasuperiorità morale, che si unisce strettamente con la santità e la giustizia, ma non si basa minimamente sulla fragilepotenza terrena degli stessi principi.

Page 47: Lorizio- Metafisica Agapica

9. Dio faccia in modo che sia restituita alla Chiesa del suo figlio unigenito N.S.G.C., mediante la santità dei suoiministri, l'autorità sui popoli tanto auspicata da noi e tanto conveniente ad essa.La prospettiva sapienziale si ricava da una serie di fogli nei quali viene costantementerichiamata la necessità di far buon uso dell'intelligenza, onde potersi orientare nel mondo e nellaChiesa: brani tratti dalla Scrittura74, dalla Liturgia75 e dai maestri del pensiero cristiano76 offronovalidi supporti a queste tesi. In particolare ci preme segnalare il fatto che nel Directorium il74Un solo esempio fra i numerosi testi, che contiene una interessante espressione di commento: "Il rimprovero che GesùCristo fa a' discepoli: «Non intendete e non capite ancora?» (Mc 8,17) riguarda la scienza che viene dalla volontà, ilriconoscere" (sottolineatura mia).75"Preghiera della sesta Domenica dopo l'Epifania: «Concedici, ti preghiamo, Dio onnipotente, che meditando sempreciò che possiamo comprendere, realizziamo con le parole e con le opere ciò che a te piace. Per il nostro Signore GesùCristo, tuo Figlio che vive con te nei secoli dei secoli. Amen»".76 “«Perciò è necessario che il monaco in quanto soldato di Cristo stia sempre in assetto di guerra, e avanzi coi fianchisempre cinti. Infatti è testimoniato dall'autorità delle divine Scritture che anche coloro, che nel vecchio Testamentohanno fissato i capisaldi di questa professione, cioè Elia ed Eliseo, andavano in giro in questo modo; e sappiamo cheanche in seguito gli uomini più autorevoli del Nuovo Testamento, cioè Giovanni, Pietro e Paolo, e altre persone comeloro, andarono in giro così.» (Holste, tomo II, aggiunta I, «Gli Istituti cenobitici di Giovanni Cassiano», libro I, cap. II).«Infatti Dio ti ha creato come essere ragionevole, affinché tu possa distinguere il bene dal male; affinché tu possaesaminare tutto, conservare ciò che è buono, e astenerti da ogni apparenza di male.» (Holste, tomo I, Appendice,Ammonimenti di San Basilio Magno Vescovo di Cesarea in Cappadocia al figlio spirituale, cap. V). [...]. «Pertanto,siccome la grazia non elimina la natura, ma la perfeziona, bisogna che la ragione naturale si sottometta alla fede: cosìcome anche l'inclinazione naturale della volontà si sottomette alla carità.» (San Tommaso, Summ. I, Q. I, art. VIII, adII)”.33Roveretano raccoglie una serie di testi nei quali si mostra come la vera conoscenza debba dipenderedall'amore ed in tale dipendenza si realizzi la santità.La santità, ecclesialmente vissuta, si carica di una profonda dimensione escatologica nellaTeodicea77 e risulta particolarmente evidente nel luogo in cui il Roveretano richiama la “preghiera deisanti” che sostiene la Chiesa nel suo cammino nella storia, non solo, ma in essa si renderà presente

Page 48: Lorizio- Metafisica Agapica

nell’approssimarsi degli ultimi tempi, nella prospettiva del moderato millenarismo che il Nostro adotta.Non senza aver prima esposto le dovute cautele in relazione al millenarismo eterodosso, Rosmini così siesprime: “Or i santi risorti dopo la seconda venuta del Salvatore non saranno in terra visibili dicontinuo, ma apparenti qua e colà, siccome farà allora Cristo medesimo, e siccome fece ne' quarantagiorni che stette co' suoi discepoli dopo che fu risorto. E sebbene anche durante il regno de' mille annimorranno de' giusti perfetti, questi, egli pare, che tosto risorgeranno, se si riferisce a un tal fatto quelluogo difficile dell'Apostolo, che dice: «Imperocché lo stesso Signore, dato il comando, alla vocedell'Arcangelo e alla tromba di Dio, scenderà di cielo, ed i morti, che sono in Cristo, risorgono i primi.Di poi, noi che viviamo, che siamo rimasti (cioè quelli di noi fedeli che allora saranno in vita), saremoinsieme con essi rapiti in aria nelle nuvole, incontro a Cristo [1Ts 4,15-17 (in nota)]»; dove si vedeche i corpi di Cristo e de' Santi, staranno privi di gravità nell'aria siccome corpi leggeri, e apparentiquando e a cui vogliono”78.La venuta del Signore e dei Santi nella storia è ritenuta simile al precorrere delle foglie difico rispetto al frutto maturo (cf Lc 21,29-3079), quindi ha insieme un valore di compimento e diattesa, di già e non ancora. Durante il regno millenario "Cristo adunque e i suoi Santi con esso soprala terra, dirigeranno a quel tempo co' loro consigli gli uomini cui niuno spirito di errore più sedurrà,i quali formeranno insieme una società sola perfettamente costituita ed ottima, e così sarà realizzatoanche l'ideale della società umana sublimata coll'intervento di Dio medesimo come a principio nelterren paradiso, e meglio ancora, perché gli uomini avranno seco un Dio-Uomo. Ed egli pare che lacapitale di questo regno universale, felicissimo, sarà la stessa Gerusalemme, se non forse meglioRoma, avverandosi appieno quanto profetizzò di essa Zaccaria, di cui la riedificazione dopo laschiavitù non fu che un simbolo assai lontano dal vero, ed altri profeti"80.77 Cf A. ROSMINI, Teodicea, a cura di U. MURATORE, Città Nuova – CISR, Roma Stresa 1977.78T, 487-488.79Rosmini ricorre a questo testo in T, 491, n. 373.80T, 489-492.34Conclusione: verso il vertice della metafisica agapica: l’amore intratrinitario

Page 49: Lorizio- Metafisica Agapica

La tematica della santità svolge un ruolo preminente nella spiritualità rosminiana, come del resto inogni forma di autentica ascesi (e mistica) cristiana. In questo contesto, tuttavia, viene a toccare – grazie allasua valenza ontologica – il cuore stesso dell’antropologia e dell’ecclesiologia, come si può facilmentemostrare a partire da alcuni importanti riferimenti contenuti, innanzitutto, nelle Costituzioni dell’Istitutodella Carità, si legge: “La cognizione della verità deve tendere a renderci capaci di operare la verità e diaderire ad essa con tutte le forze, e quindi nell'apprezzarla e coltivarla dobbiamo serbare l'ordine che simostra nella verità stessa. Perciò si deve procurare di non apprezzare gli studi per la loro difficoltà o per ilgrado a cui promuovono i beni temporali, ma per la dignità stessa del loro oggetto. Pertanto la teologia sideve anteporre a tutti gli altri studi e, fra le branche della teologia, la parte dell'ascetica, che direttamente ciaiuta nello spirito ad unirci maggiormente con Dio. Infatti la santità costituisce l'assoluta perfezione ed ilbene piú universale, e da essa come da radice procedono egualmente tutti i beni spirituali e temporali, etutti sono in essa, per cosí dire, compresi in modo eminente. Come nella santità e nella carità la Societànon si lascia porre alcun limite, cosí pure nell'acquisire la cognizione della verità, tenendo presentequell'insegnamento: «In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, puro, giusto, santo, amabile, onorato,quello che è virtú e lodevole disciplina, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Perciòbisogna conservare l'unità delle cognizioni, poiché dalla scienza della santità devono fiorire tutti gli studi, ead essa servire, cosí da poter dire con l'Apostolo: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi senon Gesú Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2). Cosí pure, con lo stesso Apostolo, bisogna conservarel'universalità, cosí che tutte le altre scienze servano a meglio intendere l'opera della divina Provvidenzarivelata in Cristo Signore ed a cogliere la profondità dei suoi precetti, secondo il detto: «Non sarò confusoquando avrò ben considerato tutti i tuoi precetti» (Sal 119,2); perché, quando la scienza sarà distrutta,rimanga a noi in eterno una grande carità accresciuta con l'aiuto della scienza”81. Il tema della giustizia -che già il saggio del 1826 sulla divina Provvidenza poneva in stretta relazione con la santità divina - verrà

Page 50: Lorizio- Metafisica Agapica

a costituirsi come primo imprescindibile riferimento nell'itinerario di perfezione del cristiano, il quale,consapevole della provenienza immediata da Dio della perfetta giustizia, “non dee portare affetto quaggiùa veruna cosa se non nel caso ch'egli sappia esser quella il mezzo da Dio scelto per la sua santificazione”82.È, tuttavia, da rinvenire nelle opere speculative il luogo in cui si accede al fondamento dell’esseresanto e della sanctorum communio. Il rapporto genetico della speculazione rosminiana con la Rivelazione,81 A. Rosmini, Costituzioni dell’Istituto della Carità, a cura di D. SARTORI, Città Nuova – CISR, Roma – Stresa 1996,770-772 - EC, 50, 604-607.82Le Massime furono composte fra il 1826 e il 1829 e pubblicate per la prima volta presso Salviucci a Roma nel 1830.Per le diverse edizioni cf CBR, I, 24-32 (128-166) e CBR, III, 4-6 (1607-1619). Seguiremo qui l'edizione critica, a curadi ALFEO VALLE, Città Nuova – CISR, Roma – Stresa 1976, 39.35ha dato modo al Roveretano di esprimere in termini vitali la santità di Dio e d’altra parte di declinarlatrinitariamente. Quanto al primo aspetto bisogna rilevare che la trattazione nell'Antropologiasoprannaturale, contiene alcune lapidarie affermazioni: “Nome proprio di Dio è quello di vita, la suaessenza è vita. Non è vera vita ove non è sentimento; il sentimento adunque in Dio è essenza divina”83. Seal filosofo viene immediatamente in mente il famoso brano aristotelico di Metafisica XII, 7, ove appunto siafferma che “Egli [Dio = la sostanza soprasensibile] è anche vita, perché l'attività dell'intelligenza è vita,ed Egli è appunto quell'attività. E la sua attività, che sussiste di per sé, è vita ottima ed eterna”84. Il teologonon può dimenticare il riferimento al vangelo di Giovanni, da cui anche il Roveretano trarrà spunto per lapropria esposizione della dottrina trinitaria alla luce del sentimento fondamentale85. Infatti il dinamismodell’essere aristotelico ha bisogno di essere profondamente ripensato alla luce della Rivelazione biblica,onde evitare la deriva averroista o la ripresa hegeliana del nous noetòs nella prospettiva dell’idealismoassoluto. Tale ripensamento impone almeno un “capovolgimento” di prospettiva, se, come autorevolmenteè stato notato, il Dio aristotelico “è oggetto d’amore, amato e non amante (l’amante è il cosmo), e perciònon ama (o, al più, ama solo se medesimo). Gli individui in quanto tali non sono affatto oggetto

Page 51: Lorizio- Metafisica Agapica

dell’amore divino: Dio non si piega verso gli uomini e meno che mai verso il singolo uomo”86. Sarà laprospettiva teologica prima e teosofica poi quella che consentirà di compiere un ulteriore passo avantispeculativo rispetto, ad esempio, al punto in cui ci aveva lasciati l’elaborazione fenomenologica delrapporto verità, carità, libertà. Si tratta di introdursi nel Santo dei santi, ossia nel cuore stessa del dogmatrinitario, per scorgervi, per quanto dato all’intelligenza umana, il configurarsi di una prospettiva amativadel tutto priva di negatività e di dinamismo kenotico.Ed ecco come viene esposta in questa prospettiva la dottrina trinitaria: “Il Padre è l'essenza divina,un sentimento, un IO, che conosce se stesso. [...] L'essenza divina come oggetto di sé ha un sentimento chela fa sussistere, senza cessare di essere oggetto, è un IO oggetto. Questa sussistenza, questa essenza nellarelazione di oggetto è il VERBO, e in opposizione a quest'oggetto l'essenza in quanto è conoscente è ilPADRE. [...] Ora questa essenza divina, una, generante e generata, ama se stessa; e in quanto ama se stessa,è carità, è santità. Ma ella stessa come amabile, come amata, come termine dell'amore sussiste. In questo ci83Composta tra il maggio del 1832 e l'aprile del 1836, lasciata incompiuta e pubblicata postuma per la prima volta nel1884, in edizione critica: A. ROSMINI, Antropologia soprannaturale, a cura di U. MURATORE, Città Nuova - CISR,Roma - Stresa 1983. Il brano citato in AS, I, 152.84ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. REALE, Rusconi, Milano 1978, 505. Su questa tematica cf M. SANCHEZ

SORONDO, Aristotele e San Tommaso. Un confronto nelle nozioni di assoluto e materia prima, PUL - Città Nuova,Roma 1981, 23ss. Sul rapporto fra la metafisica rosminiana e quella greca con particolare riferimento a Platone edAristotele, resta fondamentale il saggio di E. BERTI, La metafisica di Platone e di Aristotele nell'interpretazione diAntonio Rosmini, CISR, Città Nuova, Stresa-Roma 1978.85A. ROSMINI, L'introduzione del Vangelo di Giovanni commentata (a cura di R. BESSERO BELTI), EN, 33, 114-116,lezione XLVII a proposito del versetto: "In esso era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Gv 1, 4).86 ARISTOTELE, Metafisica. Saggio introduttivo, testo greco con traduzione a fronte e commentario, a cura di G. REALE,edizione maggiore rinnovata, Vita e pensiero, Milano 1993, 152.36ha differenza fra l'amore che abbiamo di noi stessi e l'amore che ha di sé il Padre, e il Figliuolo. Noisussistiamo come amanti; ma come amabili e amati non siamo più che una forma intellettiva e accidentale,

Page 52: Lorizio- Metafisica Agapica

non siamo che un termine dell'amore non esistente in se stesso ma solo nell'amore dell'amante. All'oppostoin Dio l'essenza divina come amabile e amata sussiste, ella ha un sentimento, è un IO come amato. Questaessenza intesa sussistente come amata è lo SPIRITO SANTO”87.A proposito della terza persona della divina trinità, Rosmini, nell'Antropologiasoprannaturale cita due luoghi patristici: S. Gregorio Nazianzeno, “celebre per l'esattezza della suamaniera di parlare, onde fra tutti i Padri è denominato il Teologo”, che in un carme chiama loSpirito Santo “la divinità amena o amabile” e S. Agostino, che attribuisce alla terza persona il nomedi dono, in quanto Egli è essenzialmente donabile88. Nè il Nostro dimentica l'unità della naturadivina, proprio mentre sottolinea le proprietà delle singole persone. Infatti: “L'essenza amata, è lastessa essenza intesa e pronunciata, come pure è la stessa essenza conoscente. Ma questa unicaessenza sussiste come conoscente, conosciuta, e amata; e sussistendo in queste tre relazioni in questitre diretti sentimenti; essa acquista le proprietà di generante, generata, e spirante, e spirata; essa èDio in somma Padre, Figliuolo, e Spirito Santo”89. La tematica della vita e del sentimento illuminail mistero di Dio nella sua unità e nella sua trinità, Rosmini non manca di ribadire a più riprese chenon ci troviamo di fronte a tre principi, ma che la nostra adorazione va rivolta a tre persone vive esussistenti: “Il Padre adunque non è solamente la potenza, ma la potenza viva, sussistente, generanteper via d'intelletto il Figliuolo. Il Figliuolo non è adunque semplicemente la sapienza, ma èl'oggetto vivo, sussistente, il termine della sapienza del Padre. Lo Spirito Santo non èsemplicemente la carità, ma bensì il termine vivo, sussistente della carità del Padre e delFigliuolo”90.Ma dobbiamo raggiungere la Teosofia, per cogliere il vertice speculativo della esposizionerosminiana riguardante la santità divina e la sua enucleazione trinitaria: “Un tale conato proprio dellanatura dell'amore, pel quale l'amante tende a uscire spiritualmente e dividersi da sé per divenire eidentificarsi all'amato, in un Essere infinito, in cui anche l'amore è a concepirsi perfettissimo, non puòessere mai imperfetto, ma dee aver sempre ottenuto tutto il suo effetto: l'atto amoroso deve dunque essere

Page 53: Lorizio- Metafisica Agapica

sfavillante, ma ultimato e quieto nel fine ottenuto. L'amante dee aver presa la forma di amato. E sel'amante è oggimai l'amato, il subietto medesimo dee sussistere come per sé amato, che è l'ultima87AS, I, 152-153.88Cf AS, I, 153, n. 271.89AS, I, 153.90AS, I, 153-154.37concepibile attualità, e perfetta quiete, dell'essere”91. Nel turbinio dell'amore infinito, in cui consiste lanatura stessa di Dio, l'atto amoroso è atto volontario (Rosmini polemizza con quei teologi che assegnanoalla volontà un ruolo subalterno rispetto all'intelligenza e all'essere92), un atto di volontà, che è nello stessotempo un atto della natura divina93, e tale atto non è da considerarsi successivo o ulteriore rispetto all'attointellettivo, ma è ad esso “coesistente e contemporaneo”, “laonde non malamente possiamo dire che ildivino Verbo procede non per modum voluntatis, ma voluntarie, come si dice che lo Spirito Santo procedenon per modum naturae, ma naturaliter. E così la santità è in tutta la Trinità e nella stessa processionedelle persone, onde il Trisagio angelico”94.A questo punto si situa la riflessione trinitaria sulla carità, considerata nel Padre come prima,infinita, assoluta e universale beneficenza e col carattere proprio del bene, che è diffusivo e operativo; nelFiglio come riconoscenza e gratitudine, prima, assoluta, infinita, ove si coglie il carattere ordinato, giusto,verace del bene (a proposito della veracità va notato come la conoscenza del vero nella prospettiva delpensiero credente non possa coniugarsi se non in termini di ri-conoscenza); finalmente nello SpiritoSanto, la carità infinita assume la forma dell'unione, dove la stessa beneficenza e riconoscenza trova la suaquiete e si consuma95, e dove la catena si scioglie nella comunione mistica.Giova richiamare a questo punto un luogo centrale, dell'immenso frammento che stiamoevocando, dove Rosmini espone il suo pensiero circa quello che lui stesso chiama “l'atto del principiofontale della divina Trinità”, che ha come referente costante l'altro da sé e al tempo stesso il sé. Quella dicui riportiamo qualche passaggio è una pagina non facilmente sintetizzabile, ma in essa è dato rilevare ilvertice speculativo della metafisica agapica: “L'atto dunque del principio fontale della divina Trinità è

Page 54: Lorizio- Metafisica Agapica

un atto che tende sempre in un altro, e in un altro, e quest'altro e altro, l'ha sempre ab eterno [sic!]raggiunto e di sé promanato. Ma se quest'altro e altro fosse fuori del principio producente, in tal casoil principio con quell'atto avrebbe cercato un termine fuori di sé, e così sarebbe stato imperfetto einsufficiente a se stesso. I due termini dunque proceduti così dal principio rimangono nel principio,ma nello stesso tempo sussistono in se stessi per le loro proprie e personali coscienze, per le qualil'uno di essi sa di essere generato, e l'altro sa di essere spirato, mentre il principio ha la coscienzapersonale di essere principio generante, e spirante insieme col suo essere generato [...]. Onde, inquesta costituzione della divina Trinità, nell'operazione del principio si distinguono logicamente, nonrealmente, due note o condizioni: 1. un dare tutto ad altri; 2. un ritenere tutto, ossia un mettere tutto inatto se medesimo: di maniera che l'essenza divina, che è nel principio e che viene comunicata, è91TS, II, 368-369 (1032).92Cf nota di TS II, 1032, p. 369 della edizione che stiamo seguendo.93Cf TS, II, 1033.94TS, II, 373 (1033).95Cf TS, II, 373-374 (1034).38messa in atto per lo stesso atto pel quale sono messe in atto le divine persone distinte realmente traloro. Di che risulta, che il dare tutto se stesso al proprio oggetto e all'oggetto amato è quell'atto con cuisi costituisce il principio stesso nell'ultima e infinita sua perfezione”96.Le pagine che abbiamo riportato possono credo sufficientemente offrirci preziose opportunità diattingere il fondamento agapico della fede e della metafisica cristiane, nel cammino verso il qualeRosmini si rivela, più che compagno, amico, capace di condividere anche con chi non appartiene alsuo secolo quei vertici di contemplazione speculativa cui è pervenuto, non solo attraverso l’eserciziodella sana ragione, ma anche grazie alla santità della sua vita96TS, III, 295-296 (1383).