Mensile, Supplemento alla rivista . - articolo 1 … · 2016. 11. 16. · Mensile, Supplemento alla...

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Mensile, Supplemento alla rivista www.startupmagazine.it . - articolo 1 Legge 46/04 del 27/02/2004 - Roma GEORGE WEINER: L’ORACOLO DEL NON-PROFIT INSTANT ARTICLES DI FACEBOOK: SUCCESSO IMMEDIATO maggio 2016 17| QUAGGERS L APP CHE TI CONNETTE CON CHI LA PENSA COME TE PERISCOPE TRASFORMA GLI UTENTI IN BROADCASTER SNAP ARRIVA LA STARTUP DELL USATO AIRO LA BOTTIGLIA CHE TRASFORMA L UMIDITÀ IN ACQUA DA BERE

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    GEORGE WEINER: L’ORACOLODEL NON-PROFIT

    INSTANT ARTICLES DI FACEBOOK: SUCCESSO IMMEDIATO 9| maggio2016 17|

    QUAGGERS L’APP CHE TICONNETTE CON CHILA PENSA COME TE

    PERISCOPE TRASFORMA

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    COPERTINA

    3 QUAGGERS: L’APP CHE TI CONNETTE CON CHI LA PENSA COME TE

    5 STARTUP NEURALYA: SENSORI INDOSSABILI, CATTURANO REAZIONI A PUBBLICITÀ E PRODOTTI

    7 L’INVENTORE DI JOBRAPIDO 10 ANNI DOPO LANCIA SNAP, STARTUP DELL’USATO

    9 WYSCOUT, LA STARTUP CHE RACCOGLIE I PROFILI DI 300 MILA CALCIATORI

    11 LA BOTTIGLIA MAGICA: TRASFORMA L’UMIDITÀ IN ACQUA DA BERE

    START UP

    17 GESTIONE UNITARIA DEI CIELI UE: FAREBBE CRESCERE IL PIL DI 240 MILIARDI

    19 BONOMI ACQUISTA IL 60% DI CHICCO, LYCIA, CONTROL E PIC

    21 GEOLUMEN STORY: IL RAGAZZO DA 1 MILIONE DI EURO

    BUSINESS

    25 INSTANT ARTICLES DI FACEBOOK: SUCCESSO IMMEDIATO AD UN GIORNO DALL’ATTIVAZIONE

    27 IN CRESCITA ESPONENZIALE IL SETTORE DEL MOBILE PAYMENT

    29 PERISCOPE TRASFORMA GLI UTENTI IN BROADCASTER. UN CLICK E IL MONDO È IN STREAMING

    31 VENDERE BIKINI SU LINKEDIN: LA STARTUPPER CHE SI INVENTA UNA STRATEGIA VIRALE

    33 VI PRESENTO SEAN PARKER, EX HACKER MILIARDARIO, IDEATORE DI NAPSTER E MOLTO PIÙ

    INTERNET

    45 TRA I 100 NOMI ITALIANI NEI PANAMA PAPERS ANCHE STARTUPPER

    49 UN COMPUTER A ENERGIA SOLARE PRODUCE ACQUA POTABILE, ELETTRICITÀ E CONNESSIONE A INTERNET

    57 STORIE E SOGNI DEI 5 ITALIANI IN FINALE ALLE GARE MONDIALI DI ANALISI FINANZIARIA

    87 SUNDAR PICHAI, AD GOOGLE. TRA I MANGER PIÙ PAGATI AL MONDO

    SOCIETÀ37 REPUTAZIONE E RECENSIONI: COME CAMBIA LA FIDUCIA DELL’ESTRANEO NELLA SHARING ECONOMY

    39 SPUNTI: LE 8 COSE CHE I GRANDI PENSATORI FANNO OGNI GIORNO PER STIMOLARE BUONE IDEE

    41 ASHTAG SOTTO COPYRIGHT. I BRAND SI TUTELANO SUI SOCIAL MEDIA

    INTERNAZIONALE

    - EDITORIALE -GEORGE WEINER: L’ORACOLO DEL NON-PROFIT

    PAGINA 13

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    QUAGGERS: L’APP CHE TI CONNETTE CON CHI LA PENSA COME TE

    Alla base di questa social app ci sta un algoritmo che crea geolocalizzazione e profilazione secondo inte-ressi e passioni comuni. Finalmente il mondo digi-tale aiuta a scremare tutta quell’amalgama di contatti e potenziali amici che la rete ci mette a disposizio-ne filtrandoli efficacemente tenendo conto della vi-cinanza fisica (vorremmo frequentare vis a vis un giorno il nostro chat-mate…) e dell’opinione che si ha sulle grandi e piccole questioni della vita.E’ Quaggers la piattaforma smart messa a punto dal team di Quag che introduce un innovativo approc-cio qualitativo alle relazioni ricercate dagli utenti. Migliaia gli interessati già a pochi minuti dal suo lancio, tra di loro molti ragazzi costretti a cambiare residenza e desiderosi di nuove amicizie in zona.

    Domanda retorica. Ognuno di noi vorrebbe poter cono-scere persone con le quali sentirsi affine senza passare per quella fase tremenda in cui per conoscersi si pongono le domande più disparate. Superare la timidezza delle prime conversazioni, o magari investire tempo nel voler appro-fondire un nuovo contatto e scoprire troppo tardi che sulle grandi e piccole questioni della vita la si pensa esattamente all’opposto. E nonostante ci si trovi in un’era in cui le di-stanze sono diventate un concetto labile, vorremmo poter riprendere il contatto con la realtà ampliando la nostra rete di amicizie dal vivo. Una combo difficile da mettere in pra-tica e alla quale prova a dar risposta Quaggers, la nuova app (disponibile sia per iOs che per Android) messa a pun-to dal team di Quag, il social che pone gli interessi (comuni) al centro della sua missione.

    Trova persone simili a te grazie a Quaggers

    Tutto nasce dal social network, “padre” del progetto, una piattaforma in cui il sistema di profilazione basato sugli interessi, le passioni e lo stile di vita fa da collante per fare conoscenze che siano plasmate su misura di utente.Questo approccio qualitativo fornisce la possibilità concre-ta di inserirsi in discussioni che stimolino davvero la nostra attenzione perché si basano su argomenti che fanno parte del nostro quotidiano.

    Ma se Quag pone in essere le con-dizioni affinché si possa costruire una rete di contatti di valore, rimane comunque lo sco-glio della distan-za, la barriera del non conoscersi di persona ed uscire dalla sfera del digitale per trasformare una conversazione in una frequentazione. Quaggers assolve proprio a questo compito, rendere possibile trovare fisicamente le persone che sono vicine a te. Ovviamente non viene mai fornita l’esatta posizione di un contatto (proteggere la privacy dei propri utenti è conditio sine qua non), ma solo un’indi-cazione di massima rispetto alla zona in cui si è registra-to. Questo aspetto è poi legato alla volontà di un utente di rendersi riconoscibile per posizione: nulla vieta di non inserire alcuna location e quindi essere preso in considera-zione soltanto in relazione al proprio profilo, lasciando ad un momento successivo il vedersi di persona.

    Una rete di amicizie che punti sulla sintonia: la profilazio-ne di Quaggers

    Ma come viene stabilita la compatibilità tra due o più uten-ti? Quaggers punta tutto sul concetto di sintonia: in fase di registrazione (o di richiamo informazioni dal profilo Quag) viene chiesto di fornire un numero rilevante di interessi che consenta all’applicazione di individuare con efficacia quale siano le nostre peculiarità caratteriali.In questo modo in fase di ricerca Quaggers ci farà vedere i possibili amici con la capacità di prevedere con successo se possano essere persone con le quali costruire una frequen-tazione. L’ultimo step, una volta individuati contatti che ci interessano, sarà quello di poter intrattenere una conversa-zione tramite Chat, da Quaggers fanno sapere che il team di sviluppo è a lavoro per inserire nel più breve tempo pos-sibile questa feature.Se quindi hai deciso di aprirti a nuove amicizie perché hai cambiato città magari e non sai come capire chi fa per te nella tua zona, sintonizzati su Quaggers e dai spazio alla tua personalità!

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    STARTUP NEURALYA: SENSORI INDOSSABILI CATTURANO REAZIONI A PUBBLICITÀ E PRODOTTI

    E’ opera di quattro ingegneri italiani la tecnologia indossabile che tutte le aziende vorranno acquistare. E’ in grado di leggere le emozioni scatenate da un prodotto o da una pubblicità nell’anima del futuro acquirente e cambierà totalmente, secondo l’opinio-ne degli esperti, il modo di fare marketing. Neuralya, questo il nome della preziosa startup, è stata fondata Londra ma completamente sviluppata in Sicilia da 14 collaboratori al lavoro nel back-office di Palermo. Chissà che la neo azienda di Gianmarco Troia non riesca ad entrare prepotentemente nel mercato del neuromarketing, disciplina di frontiera fino ad ora appannaggio delle grandi multinazionali.

    RILASSATI o stressati, concentrati o distratti. Che ce ne ren-diamo conto o meno, c’è un arcobaleno di emozioni dietro a ogni nostro acquisto. E quello che più inte-ressa alle aziende, dietro alla decisione se comprare o meno. “Il nostro strumento aiuta a capire questi comportamenti”, racconta Gianmarco Troia, 45 anni, ingegnere siciliano trapiantato a Londra. Che proprio dalla City, ma con 14 sviluppatori al lavoro nella “sua” Palermo, ha messo a punto una piattafor-ma di marketing neurale. “Non una macchina della verità”, spiega. Ma un misuratore delle reazioni che prodotti e messaggi pubblicitari generano nel cer-vello profondo, chiamiamolo subconscio. La novità di Neuralya, appena riconosciuta da un report della società di consulenza tecnologica Gartner come uno delle cinque innovazioni da tenere sott’occhio nel mondo delle ricerche di mercato, è che utilizza dati provenienti da fonti diverse. Un caschetto per l’ence-falogramma, un lettore dei movimenti delle pupille e delle espressioni facciali, l’elettrocardiogramma e un braccialetto che sente la tensione elettrica della pelle. Input che poi Neuralya combina per restituire un quadro preciso di cosa piace, e cosa no. Troia e i suoi tre soci, tutti ingegneri siciliani, lo han-no lanciato sul mercato lo scorso luglio. Cervelli in fuga, dal 2012 a Londra, dove hanno fondato grazie a diversi programmi di supporto del governo inglese

    una softwa-re house, Qwince, spe-cializzata in dati e oggetti indossabili. Mantenen-do però il grosso della squadra in Sicilia. Con N e u r a l y a ora la so-cietà prova a entrare nel mercato del neuromarketing, disciplina di frontiera che finora è stata appannaggio quasi esclusivo delle grandissime aziende. Ma che Troia vorrebbe mettere alla portate di quelle medie e pic-cole, sfruttando l’accuratezza sempre maggiore del-le informazioni raccolte dai wearable device. I test di mercato di Neuralya vengono infatti condotti su campioni scelti in ambiente controllato. Ma usando dei sensori commerciali, non scientifici. I prezzi così restano bassi, l’offerta è di dieci test a 5 mila sterline, circa 6.500 euro.Molto aggressiva, anche perché il neuromarketing deve ancora dimostrare a pieno la sua efficacia. L’o-biettivo di Qwince, che in Italia ha stretto una par-tnership con Deloitte e fissato una base commer-ciale a Milano, era di incassare almeno venti studi nel corso del 2016, portando il fatturato sopra i 300 mila euro. “Ma dopo il riconoscimento di Gartner, del tutto inaspettato, potremmo rivederlo al rialzo”, dice Troia. È partita la ricerca di un potenziale inve-stitore, per intensificare le campagne di marketing: fino a oggi la società si è auto finanziata con l’attività tradizionale di software house. Al contempo conti-nuare la ricerca di nuovi sensori da aggiungere alla piattaforma e di altri indossabili che permettano di condurre rilevazioni anche “live”, direttamente in negozio. Dipendere dai produttori di device potreb-be essere un limite, dice Gartner nel suo rapporto. “Io lo vedo piuttosto come un vantaggio – risponde Troia – così possiamo utilizzare sempre gli strumen-ti più avanzati”.

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    L’INVENTORE DI JOBRAPIDO 10 ANNI DOPO LANCIA SNAP, STARTUP DELL’USATO

    Fondata nel 2006 e venduta nel 2012 al Daily Mail per 30 milioni di euro, la piattaforma trova-lavoro Jobrapido ha dato in poco tem-po buone soddisfazioni al suo creatore. Tanto da spingerlo, a qualche anno di distanza, ha ritentare l’avventura startup lanciando Snap, un’app che punta rendere estremamente sem-plice vendita e acquisto di oggetti usati. Vedremo se l’indiscutibile talento imprendi-toriale di Vito Mele e la sua ambizione (si è già posto come primo obiettivo la raccolta di 30 milioni per finanziare l’espansione in tutta Eu-ropa) decreteranno il successo anche di questa nuova avventura.

    L’ideatore italiano della piattaforma per cercare lavoro che è diventata con il tempo tra le prime in Europa e nel mondo si è lanciato in una nuo-va avventura imprenditoriale: un e-commerce per la compravendita di oggetti usati. Vito Lomele, che nel 2006 aveva fondato la star-tup Jobrapido per poi rivenderla nel 2012 per (sembra) circa 30 milioni di euro, ha costituito l’anno scorso Snap, società fornitrice di un’appli-cazione che consente di vendere e comprare mer-

    ce usata nel modo più semplice e immediato , senza preve-dere alcun contatto fisi-co tra vendi-tore e acqui-rente. Dopo i primi mesi di test della piatta-forma, Lomele si è già conquistato nel primo tri-mestre di quest’anno un investimento da 3 mi-lioni di euro, al quale ha partecipato il fondo di venture capital P101. Con questa cifra conta di espandersi in Italia e in Germania. Ma l’obiettivo nel lungo periodo è ancora più ambizioso: raccogliere 30 milioni di euro per puntare all’espansione in tutta Europa. Di siti per acquistare o vendere le proprie cose ormai dismesse ce ne sono di ogni genere, ma Snappunta a rendere l’operazione “dieci volte più facile. Siamo gli unici – spiega l’imprenditore origina-rio di Conversano, in Puglia – che non favori-scono l’incontro tra persone. Vogliamo eliminare le barriere logistiche e tutto quanto rallenta il processo, come appunto do-versi incontrare o dover impacchettare l’oggetto per spedirlo”. È sufficiente scaricare l’app, scattare una foto da cellulare all’oggetto da vendere, pubblicare la foto con poche righe di descrizione e il prezzo richiesto e attendere che qualcuno si faccia vivo. Compratore e venditore possono comunicare tra-mite la chat interna. Si paga dall’app in sicurezza: il venditore riceve il denaro solo quando l’acquirente riceve l’og-getto. La spedizione è gratuita ed è prevista una garanzia di rimborso se l’oggetto non corrispon-de alle aspettative. La piattaforma trattiene una fee per ciascuna transazione.

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    Partita a luglio 2015, negli ultimi sei mesi Snap ha cominciato a registrare le prime transazio-ni. “Per ora sono volumi molto piccoli, ma ci aspettiamo una crescita esponenziale” assicura Lomele. La startup è attiva in Italia, ma anche in Germania, perché l’imprenditore ha vissuto alcuni anni in quel Paese e perché “è meno com-petitivo della Gran Bretagna”.Vito Lomele ha un curriculum dal quale emerge un indiscutibile talento imprenditoriale. Trasferitosi a 18 anni a Milano per studiare al Politecnico, al terzo anno di università parteci-pa al programma Erasmus, dopodiché sceglie di restare all’estero per una decina di anni: prima in Svezia, poi a Berlino dove inizia a lavorare in una startup, in seguito a Londra e di nuovo in Germania, dove a Monaco entra nel team di Autoscout24, sito di annunci di auto. Dopo essersi sposato e con l’arrivo del primo figlio, decide di rientrare in Italia all’inizio del 2006 . Ma si scontra con una realtà che non si aspet-tava: passa inutilmente le serate a rispondere agli annunci di lavoro. Così decide di fare da sé e comincia ad impegnarsi nello sviluppo di un motore di ricerca per offerte di lavoro. Nel 2005 crea una piattaforma di job recruiting e chia-ma la startup Jobespresso: è una società aperta a Londra con sede a Milano in uno scantinato. L’inizio dell’attività è in salita. Vito allora fonda Jobrapido, finanziata con un capitale iniziale di 204mila euro da suoi amici

    startupper, dirigenti e imprenditori: Giulio Va-liante, Alessandro Palmieri, Michele Casucci, Giovanni Ciallella. Si aggiungono altri 150mila euro offerti dal colosso di internet in Europa Oliver Samwer. “In realtà Jobrapido bruciò cas-sa per 70mila euro il primo anno – ha racconta-to Lomele in un’intervista – ma il secondo anno andò in pareggio”.Nel 2011 Jobrapido fattura 24 milioni di euro con 3 di utile netto, è visitato da 660 milioni di utenti, con 80 dipendenti provenienti da tutto il mondo. Nel 2012 la società Evenbase del gruppo editoriale Dmgt (Daily Mail and general trust, che pubblica il Daily Mail) acquisisce il 49% del capitale (pare per 30 milioni di euro) dai soci tedeschi e italiani. Lomele esce dalla società. Snap ripeterà la storia di successo di Jobrapido? È presto per dirlo. Ma le premesse ci sono tutte.

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    WYSCOUT, LA STARTUP CHE RACCOGLIE I PROFILI DI 300 MILA CALCIATORI

    Ci hanno messo 5 anni a concretizzare la loro idea, hanno cambiato 5 volte nome alla loro impresa e son servite migliaia di riprese video per tracciare i profili degli oltre 300.000 calciatori oggi online sulla piattaforma Wayscout. Si tratta di un enor-me database che raccoglie vita, conquiste, perfor-mance, dati personali, tiri di destro, di sinistro, di testa e goal migliori dei giocatori di calcio di tutto il mondo. “Era il 2004, avevo un allenatore che ci faceva vedere i video per insegnarci a gio-care” commenta Matteo Campodonico, uno dei fondatori della startup, “Me li ricordo ancora tut-ti. È li che ho capito della loro importanza come strumento di formazione”. E quanto costa questo servizio puntuale? 10 euro al mese se sei sempli-cemente un giovane che vuole studiare le tecniche dei campioni, ma si arriva fino a 5.000 euro al mese per un abbonamento che in genere sottoscrivono le grandi società, come l’Arsenal ad esempio, che utilizzano Wyscout per insegnare alle squadre. Oggi la neo impresa fattura 6-7 milioni di euro l’anno, un valore in crescita di un milione all’anno da quando è operativa.Di seguito l’intervista che racconta la genesi della geniale Wayscout.

    Matteo Campodonico, 38 anni, Simone Falzetti, 35, e Pier Saltamacchia, 32, hanno creato Wyscout, una piattaforma che contiene i dati dei calciatori di tutto il mondo. Un’enorme piattaforma che racconta tut-to (vita, conquiste e miracoli) di 300mila giocatori. Con i video che li mostrano in azione, divisi per giocate: tiri di destro, sinistro, testa, gol. Lo usano tutti: le più importanti società di calcio, i procura-tori più influenti e le agenzie di giocatori di tutto il Pianeta. Oggi fatturano 7 milioni l’anno, hanno 80 dipendenti in Italia, 300 in tutto il mondo.

    Come è nata l’idea di Wyscout?«Dalla mia esperienza da calciatore. Era il 2004, avevo un allenatore che ci faceva vedere i video per insegnarci a giocare. Me li ricordo ancora tutti. È li

    che ho capito della loro importanza come strumen-to di formazione. Intanto facevo il mio percorso: mi sono laureato in Economia e ho iniziato a lavorare. Prima, analista di una società di informatica, poi in banca. A un certo punto ho capito che volevo fare un’azienda mia. Fino a quel tempo, facevo analisi di bilanci di società e startup. Mi sono tornati in men-te i video del mister Podasso, che usava le VHS. Mi sono detto: “Perché non usare una mia idea, attua-lizzandola con mezzi più moderni?”. Si parlava di dvd allora, non di Internet. Con un mio amico, Si-mone Falzetti, ci siamo detti: “Possiamo fare questo lavoro di analisi”.

    E come avete fatto?«La domenica mattina io e Simone andavamo per i campi di calcio della Liguria a fare i video. Abbia-mo comprato una telecamera, un portatile e abbia-mo cominciato. Compravamo le cassettine per regi-strare, i cavalletti dai cinesi per fare i video, arnesi che si rompevano subito ma costavano 15 euro. Il “manfrotto” (cavalletto professionale per foto, ndr) costava 100 euro e per noi era troppo. Nel 2004 ab-biamo costituito la società, poco dopo si è aggiunto Piermaria Saltamacchia. Il nostro primo ufficio è stato l’appartamento di Simone, a Genova. Lui stu-diava Beni culturali, Pier studiava Storia»

    Come pensavate di fare business?«Siamo partiti da un’idea, ma ci abbiamo messo 5 anni per trovare la nostra strada, cambiando 5 nomi. Quando fai un’impresa parti da un’idea, ma poi la cambi, la modifichi, la elabori, la ripensi, cam-bi il modello. La nostra prima azienda si chiamava Sport Video Service: andavamo a riprendere le par-

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    tite e facevamo a tutti gli effetti un servizio video. Eravamo quasi una tv locale, come forma giuridica avevamo scelto la Sas: oggi non consiglierei mai a qualcuno di scegliere la Sas per iniziare. Io avevo un lavoro in banca e non potevo essere amministra-tore, dovevo avere un socio accomandatario. Mi hanno detto “Fallo fare a tua sorella”. Lei poi si è ritrovata a pagare multe per 10 anni… Quando è nata l’idea della piattaforma, il mio capo mi ha detto: “O lavori in banca o fai l’imprenditore, non puoi fare le due cose. Scegli. Ti do un anno, pensaci e poi torni. Ho preso l’aspettativa»

    Il primo problema?«I soldi. Per tre anni ho lavorato senza prendere stipendio. All’inizio siamo partiti con i contributi europei per l’acquisto dei materiali. I primi finan-ziamenti da privati sono arrivati a fine 2007, fat-turavamo circa 100mila euro. Abbiamo incontrato Antonio Gozzi, imprenditore e presidente di Fede-racciai e della squadra di calcio di serie B Virtus Entella, anche lui come me di Chiavari. Gli è piaciuta l’idea, ma anche il fatto che uno della sua terra provasse a fare una cosa un po’ diversa. Dopo mezz’ora mi ha detto: “Dimmi 3 cose: sei di-sposto a fare solo questo? Come ti vedi tra 3 anni? Quanti soldi ti servono?”. Ci ha dato circa250mila euro, con questi abbiamo iniziato a sviluppare la piattaforma di scouting, siamo diventati una Srl e tutto è diventato vero lavoro».

    Quando avete capito di avercela fatta?«Nel 2010 abbiamo cominciato a vendere la piatta-forma di scouting ed è arrivato il primo cliente stra-

    niero, la società inglese Wigan Athletic. Lì abbiamo capito che il prodotto piaceva ed è stato il mercato che ha iniziato a chiamarci Wyscout. Il lavoro oggi è molto complesso. Abbiamo circa 300mila giocatori sulla piattaforma. Gran parte è sui video, analizzia-mo circa 1.000 partite a settimana, se pensiamo che la Serie A italiana sono solo 10, significa 100 volte tanto. Siamo una fabbrica moderna vera e propria: produzione di contenuti e sviluppo di software».

    Che prezzi ha il vostro prodotto sul mercato?«Partiamo da 10 euro al mese che spende un gio-vane per studiare i campioni, fino ai 5.000 euro al mese delle grandi società come l’Arsenal, che uti-lizzano il Wyscout per metterlo al servizio delle squadre. Fatturiamo 6-7 milioni di euro l’anno, in crescita di un milione all’anno da quando siamo partiti. La concorrenza è arrivata dopo di noi: in tanti ci fanno la guerra sui prezzi. Ma è uno stimo-lo a fare meglio».

    Un consiglio per chi vuole intraprendere? Progetti futuri?«Ci vuole tanta buona volontà perché è molto diffi-cile. Servono tante competenze e devi averle tutte, non basta solo l’idea. Se hai un’idea, devi cercare appoggio. La chiave oggi è l’innovazione, anche se stai aprendo un bar. Tanti giovani ci scrivono che vogliono fare impresa legata al calcio. Così abbiamo decidere di condividere la nostra esperienza e aprire a Chiaviari un incubatore e spa-zio di coworking: si chiama Sport & Tech Business Incubator, è stato realizzato grazie a un fondo che promette di finanziare 5-6 seed l’anno».

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    LA BOTTIGLIA MAGICA: TRASFORMA L’UMIDITÀ IN ACQUA DA BERE

    E’ un brevetto dell’austriaca Fontus. Un’idea sal-vifica applicata ad un oggetto di uso quotidiano: una bottiglia. Inizialmente pensato soltanto per gli sportivi, il prodotto magico in grado di trasfor-mare l’umidità presente nell’atmosfera in acqua potabile ha invece innumerevoli possibili utilizzi in vari ambiti, in primis in quelle zone del mondo tristemente soggette a siccità. La prima bottiglia disegnata dalla Fontus è stata nominata Airo e può stare in uno zaino, la secon-da è ancora più piccola e si chiama Ryde, tutte e due hanno la capacità di produrre mezzo litro d’acqua in appena un’ora. La vera novità non con-siste nel processo di condensazione ma nella loro portabilità ed economicità. Anche se gli speciali contenitori non sono stati ancora lanciati sul mercato, si pensa che manchi poco, dal momento che il governo austriaco ha de-ciso di dare un boost a questo business comodo ed etico.

    Trasformare l’ossigeno che ci circonda in acqua sembra una magia, ma grazie a una recente inven-zione potrebbe diventare realtà. L’azienda austria-ca Fontus ha creato una bottiglia in grado di ricava-re acqua potabile dall’umidità.Un passaggio che sembra semplice, ma che in real-tà non lo è e che potrebbe avere risvolti importanti in molti ambiti. Gli studiosi della Fontus hanno creato il loro pro-dotto pensando agli sportivi, ma dopo aver matu-rato l’incredibile scoperta varie associazioni si sono dette interessate al progetto.Una risorsa del genere potrebbe portare grandi benefici nelle zone di maggiore siccità del mondo, dove comunque l’umidità è presente nell’atmosfe-ra.

    Ricavare un liquido potabile dal vapore acqueo è un processo che è già stato affrontato in passato at-traverso la tecnica della condensazione, ma questa

    invenzione ha il pregio di essere veloce e alla por-tata di tutti.Alla Fontus hanno creato due bottiglie in grado di trasformare l’umidità dell’aria in acqua: la prima si chiama Airo e può stare in uno zaino, la seconda Ryde è pensata per i ciclisti. Entrambe possono produrre mezzo litro d’acqua in un’ora. Al momento questi speciali contenitori non sono stati ancora lanciati sul mercato, ma dopo che anche il governo austriaco ha deciso di investire nell’idea, il debutto è atteso a beve.

    Nel 2014 gli scienziati a capo del progetto vinsero un importante premio ai Dyson Awards dedicati alla tecnologia e da allora hanno migliorato i pro-dotti. Airo e Ryde nascondono nel tappo un piccolo compartimento dedicato alla condensazione che, sfruttando dei mini pannelli solari presenti sulla superficie dell’oggetto, converte l’umidità estratta dall’aria in acqua. Una serie di tasselli idrofobici fa cadere le gocce di acqua nella bottiglia mentre un filtro isola polvere, insetti e altri detriti.

    “Le condizioni migliori per il loro funzionamento avvengono quando c’è un tasso di umidità supe-riore all’ottanta per cento e la temperatura è oltre i trenta gradi – spiega Kristof Retezar, uno degli in-ventori – speriamo di riuscire a mantenere il prezzo del prodotto sotto i cento dollari una volta lancia-to”.

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    GEORGE WEINER: L’ORACOLO DEL NON-PROFIT.

    di Chiara Scovacricchi*editoriale

    L’Alaska era un luogo freddo e inospitale per il popolo Inuit 7.000 anni fa. Quando la prima bale-na venne catturata, gli Inuit organizzarono subito una grande festa per celebrare la loro caccia prov-videnziale, facendo in modo di utilizzare ogni minima parte dell’animale ucciso per metter su il banchetto. In quell’ambiente rigido caratterizza-to da sacrifici continui e risorse limitate, lo spreco era un vero tabù. Così si ingegnarono per trasfor-mare le varie parti della balena in ricchezza: dal grasso ricavarono olio, dalla carne cibo per tutti, le ossa divennero struttura per abitazioni o slitte, la pelle servì a coprirsi o a ricavare vitamine. Un salto rapido e siamo nel 1930. La rivoluzione industriale ha aumentato in modo esponenziale la necessità di olio di balena, lubrificante eccezio-nale per tutti i tipi di macchine. Gli animali ab-battuti ogni anno salirono a 50.000 e le loro carcas-se, una volta estratto l’olio, venivano gettate senza ritegno avendo già assolto al loro scopo. La lezione che si ricava da quanto detto è sempli-ce: la scarsità stimola la creatività e l’efficienza. La scarsità, non a caso, è qualcosa con cui le organiz-zazioni no-profit avranno sempre sicuramente a che fare.

    E’ George Weiner -CEO e fondatore di Whole Wha-le- che ci ha raccontato questa storia. Una storia

    semplice e vera che ha ispirato nel 2010 la na-scita e lo sviluppo della sua startup a sostengno delle associazioni senza fini di lucro, che ogni mese decidono si affi-darsi alla sua squadra per “imparare ad utiliz-zare l’intera balena”.

    Il logo è bambinesco ma funziona. Il nome curio-so e con un’abbreviazione (WW) tale da richiama-re subito l’habitat naturale dell’azienda: il grande World Wide Web. I colori (blu e arancione) con cui è costruito il sito lo rendono d’impatto e facil-mente ricordabile. E poi la pagina dedicata al team aziendale fa subito simpatia: un collage di faccette international e smart -tra cui quella di una pelosa mascotte abbaiante- che infondono allegria e fidu-cia al contempo. Come non esser subito positiva-mente colpiti da Whole Whale e dalla disponibilità del suo ideatore George che, intervistato via mail da StartUp Magazine ha risposto prolisso e nel giro di poche ore.Dopo essersi laureato alla University of Pennsylva-nia ed aver lavorato come CTO di DoSomething.org -company che sotto la sua guida è divenuta lea-der nel settore tecnologie mobili e social media per la causa sociale- Weiner decide di voler diventare direttore assoluto del suo tempo e dirotta tutta l’e-sperienza accumulata negli anni e la voglia di fare bene, nella creazione di una sua startup a sostegno del no-profit. Vuole costruire una macchina age-vole per aiutare le organizzazioni senza scopo di lucro a fare un uso ottimizzato della tecnologia per raggiungere al meglio i propri obiettivi. “Siamo nell’era dell’abbondanza” ci spiega cristalli-

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    no “e gli ‘sprechi’ in ambito marketing sono quindi quanto mai frequenti”. Una rapida occhiata al por-tafoglio clienti di Whole Whale ci fa capire come anche i big sentano l’esigenza di avvalersi dei ser-vizi offerti dal team di George: dal coordinamento di banali raccolte firme alla selezione del personale giusto da assumere, dalla compilazione di strategie digitali ad hoc all’utilizzo strategico dei dati raccol-ti e della tecnologia a loro disposizione.In pratica le no-profit che si affidano a loro hanno la certezza di incrementare l’impatto con il pubblico, aumentare il traffico sul loro sito, far venir fuori il meglio dalle risorse economiche a loro disposizio-ne. Ma Whole Whale non è solo leader tra le digital agency in circolazione. “Una piccola parte del nostro business si occupa di organizzare corsi online per rendere i team in gra-do di operare da soli in modo agevole (wholewhale.com/university) e un’altra sezione invece si dedica allo sviluppo e alla vendita di prodotti smart come AllGoodText.com e GoSnorkl.com che portano la nostra firma”.Alla domanda “come scegli i tuoi collaboratori?” George lascia trapelare tutta l’ammirazione per i colleghi che poi sono diventati anche grandi amici

    e la soddisfazione di aver messo su una compagine degna della missione prefissata. “Quest’anno ab-biamo già assunto due nuovi ‘Whalers’, lo abbiamo fatto seguendo –oltre l’intuito- le regole base elen-cate nel libro ‘Who’ (un best seller americano che presenta un metodo infallibile per scegliersi i giusti dipendenti, ndr) e devo dire che non è stato facile decidere tra gli oltre 200 candidati”. La Whole Whale però non opera una serrata sele-zione soltanto in fase di recruiting, George ama fil-trare anche le no-profit che richiedono i suoi servizi così come i partners e fornitori che si offrono di la-vorare con lui. “Ci sono 6 domande a cui voglio che le aziende rispondano prima di cominciare o meno a collaborare insieme e tutti i membri del mio team sono chiamati a valutare le risposte fornite dando un punteggio”. Di recente scelto come testimonial del brand GANT, George -diciamola tutta- è anche un bel ragazzo. La campagna promozionale inter-nazionale adesso in circolazione della linea di abbi-gliamento casual lo annovera, a ragione, tra i gio-vani personaggi che stanno cambiando il mondo.E’ stato un piacere conoscere almeno una di queste persone. In bocca al lupo a lui, ai suoi sogni...e alla sua balena.

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    Questa la realtà: ogni volo nei cieli europei, di media, allunga il tragitto di almeno 50 km in più rispetto alla regolare tratta facendo crescere i co-sti dei biglietti e perder tempo ai passeggeri che perdono 10 minuti da scalo a scalo. La causa sono le difficoltà nella gestione del traffico aereo co-ordinato da ben 38 autorità nazionali differenti: una pluralità di voci che paragonata a quella uni-ca che vige nei grandi Stati Uniti fa quasi sorri-dere. Il settore è uno tra i più fervidi del Vecchio Continenti e contribuisce per 860 miliardi di dol-lari al Pil continentale sostenendo, nel contempo, il lavoro di 11,7 milioni di europei. Come miglio-rarsi? La soluzione è già scritta ma va applicata, si chiama “Cielo Unico Europeo” e diverrà operati-va solo quando gli stati più ottusi e avidi molle-rano la presa sul traffico aereo.

    Bella l’Europa. Ed è un piacere volarci sopra. An-che se i tempi sono ancora troppo lunghi rispet-to al dovuto e i costi siano davvero alti. La Iata, associazione delle compagnie aeree, in un report appena pubblicato mette nudo tutte le inefficien-ze e le potenzialità del trasporto aereo nel Vecchio continente. Si scopre, nel leggere lo studio molto dettagliato, che ogni volo in media “allunga il tra-gitto” di almeno 50 chilometri rispetto alla tratta, oltre a costare ancora troppo ai passeggeri e a du-rare 10 minuti in più da scalo a scalo.

    Tutti nodi che potrebbero essere risolti mettendo a fuoco, una volta per tutte, le difficoltà della ge-stione del traffico aereo oggi coordinate da ben 38 autorità nazionali contro – ad esempio – l’unica presente in territorio degli Stati Uniti che riesce a veicolare in maniera molto più fluida i transiti dei velivoli sul territorio Usa. Queste inefficienze, quindi costano molto alla collettività. Basterebbe da qui ai prossimi 20 anni mettere a punto delle riforme concrete per poter recuperare e immet-tere nel motore dell’economia europea circa 245 miliardi di euro di Prodotto interno lordo oltre a

    distribuire tra i vari Paesi Ue un milione di posti di lavoro. Oggi il settore contribuisce per 860 miliardi di dollari al Pil continentale sostenendo il lavoro di 11,7 milioni di europei che lavorano più o meno direttamente al mantenere in volo o far decollare e atterrare gli aerei.Cosa non va quindi? I voli in media sono più lun-ghi di 50 chilometri rispetto a quanto necessario a causa di cambi di tragitto o corridoi di volo (mi-litari) off limits al traffico civile. E ogni collega-mento da punto a punto – anche per questo – ac-cumula 10-12 minuti di ritardo. Questi fattori già da soli impattano negativamente sull’economia e sull’ambiente. La soluzione è già scritta ma va applicata superando le resistenze dei singoli Stati che non vogliono mollare la presa sul traffico ae-reo: e si chiama “Cielo unico europeo” o Single European Sky (Ses).

    Un progetto che potrebbe da solo migliorare di dieci volte la sicurezza, riducendo del 10% l’im-patto sull’ambiente e tagliando i costi complessivi del 50%. La modernizzazione del settore potreb-be migliorare anche l’indotto del sistema aereo, come hotel e industria del turismo.Che potreb-bero crescere di un ulteriore 1,3%. “Non soltanto le compagnie soffrono di queste inefficienze ma anche i passeggeri e l’ambiente” dice Tony Tyler, numero uno in uscita della Iata che a breve verrà sostituito da Alexandre de Juniac ceo di Air Fran-ce Klm.

    GESTIONE UNITARIA DEI CIELI UE: FAREBBE CRESCERE IL PIL DI 240 MILIARDI

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    Solutions for Your [email protected]

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    Il fondo di private equity Investindustrial rileva il 60% di Artsana, la società della famiglia Catelli che racchiude marchi storici come Chicco, Con-trol, Pic, etc. Gruppo solido multinazionale già presente in 100 Paesi, Artsana consoliderà così la varietà dei suoi prodotti e accelererà i piani di espansione in Italia e all’estero, grazie al nuovo approccio in-dustriale promesso dal neo acquirente. Bonomi, del resto, già tempo fa in un’intervista aveva di-chiarato: “nutro profondo interesse nelle aziende made in Italy che sono già internazionali e che vogliono internazionalizzarsi ancora di più, age-volando quel necessario ricambio generazionale che solo un fondo di private equity può affianca-re”.

    Investindustrial rileva il 60% di Artsana dalla famiglia Catelli e diventa l’azionista di maggio-ranza del marchio Chicco, Pic Solution, Lycia e Control, ma anche dei preservativi Control. Poche settimane fa Andrea Bonomi aveva chiuso la raccolta del suo sesto fondo e con una dotazio-ne da due miliardi di euro, aveva annunciato en-tro fine anno tre operazioni in Italia: nel settore chimico, del design e del lusso. La prima è arrivata oggi con un investimento di circa 750 milioni di euro.L’attuale azionista, la famiglia Catelli, resterà socio di Artsana con una quota del 40% e con-tinuerà a guidarne lo sviluppo al fianco di Inve-stindustrial. Michele Catelli sarà presidente, mentre Claudio De Conto è confermato amministratore delegato della società garantendone la continuità gestio-nale. Il closing dell’operazione è atteso entro il mese di giugno al ricevimento delle necessarie autorizzazioni Antitrust. Artsana, che nel 2015 ha registrato ricavi consolidati per 1.420 milioni di euro e un ebitda consolidato di 126 milioni di euro, ha il suo quartier generale a Grandate, in provincia di Como.

    In un’intervista ad Affari&Finanza, Bonomi ave-va ribadito il proprio interesse le aziende italia-ne “che sono già internazionali e che vogliono internazionalizzarsi ancora di più” perché “ora ci sono imprenditori che hanno voglia di rivin-cita, insieme in molti casi ad un ricambio gene-razionale che un fondo di private equity può af-fiancare. Per questo scelgono un azionista solido, con un approccio industriale”.“Artsana – dice il presidente Michele Catelli – è un gruppo multinazionale con un presenza in circa 100 paesi, e siamo convinti del suo ulteriore potenziale di crescita. Con il supporto dei nuovi azionisti i piani di espansione del gruppo saranno accelerati e ri-marrà costante la focalizzazione sulla ricerca e sviluppo che è da sempre la chiave del successo dei nostri prodotti”. Lo scorso anno, Artsana aveva firmato con Gio-chi Preziosi un’intesa per la nascita del polo dei giocattoli conferendo alla Newco il marchi Pre-natal.Soddisfatto Bonomi: “Investindustrial affianca ancora una volta un brand storico del made in Italy,ma anche un gruppo che da sempre investe in innovazione. Siamo pronti a investire importanti risorse uma-ne e finanziarie in quello che sono certo sarà un percorso comune di crescita che ci porterà a rag-giungere nuovi importanti traguardi”.

    BONOMI ACQUISTA IL 60% DI CHICCO, LYCIA, CONTROL E PIC

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    Laureato in giurisprudenza, 33 anni e un’espe-rienza formante a Boston. Facciamo due chiac-chiere con Domenico Ialeggio, il giovane fon-datore di Geolumen, startup che in pochissimo tempo è passata da un fatturato di pochi euro fino a raggiungere il traguardo 1 milione. “Si chiama impresa perché è difficile, altrimenti si sarebbe chiamata passeggiata” esordisce ironico quando intervistato in merito alla sua avventura impren-ditoriale “Puntare subito sull’internazionalizza-zione” continua poi “è una delle poche strategie che paga”.Sicuramente tasselli importante del successo di Domenico sono stati Rockstart -il potente incu-batore olandese a cui ha affidato la sua idea- e i fortunati contratti siglati con comuni ed enti che si sono affidati alle innovazioni di Geolumen per rendere le città luoghi più sicuri grazie alle sue luci smart.

    A 33 anni, Domenico Ialeggio, beneventano con esperienze di studi e lavoro in America, ha tirato su un’azienda da zero. Oggi Geolumen, società specializzata in servizi di illuminazione smart, vende in Italia e in Europa, fattura un milione di euro, ed è incubata da Rockstart, celebre incubato-re olandese.Qui raccontiamo la sua storia.

    Avvocato mancato, ricercatore e poi busi-ness man

    Laureato in giurispru-denza, Domenico trova lavora a Boston presso la Camera di commer-cio italo-americana: «Sono finito in Ameri-ca un po’ per caso. A

    Boston mi sono formato, fino a diventare analista e sviluppatore di business. Intanto, studiavo alla University of Massachusetts, un percorso di mar-keting e management, ma poi sono tornato per problemi familiari» racconta Domenico a Millio-naire.In Italia inizia a lavorare in un centro privato di ricerca in campo aerospaziale: «Il mio compito era individuare i settori che potevano avere un merca-to per vendere i risultati del laboratorio».Si sviluppano progetti futuristici come dei sensori wireless per far comunicare robot che sulla super-ficie lunare raccolgono informazioni.«E poi sono finiti i soldi per la ricerca. E ci ritrova-vamo con dei robot lunari che non avrei saputo a chi vendere. Poi ho capito che c’era una possibilità di business: i sensori che avremmo potuto applica-re in altri campi».

    Come ricavare una buona idea da un mezzo flop

    Domenico non si arrende, ha capito che c’è una po-tenzialità nei sensori che il laboratorio ha sviluppa-to e insieme a Corrado Ferrara, prova a ricollocare il prodotto sul mercato. Inizialmente cerca di ap-plicare i sensori alle dighe per monitorarle e invia-re informazioni online sullo stato delle strutture: «Ma era un mercato difficile, complicato approc-

    GEOLUMEN STORY: IL RAGAZZO DA 1 MILIONE DI EURO

  • I MIGLIORI PRODOTTI ENOGASTRONOMICI MADE IN ITALY

    DALLA COLAZIONE ALLA CENA

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    ciare clienti nel settore e abbiamo abbandonato».

    Dall’Internet of things, all’Internet of lights (delle luci)

    Domenico trova il settore in cui intraprendere poco meno di 10 anni fa. Il mondo dell’energia sta cambiando, c’è una mag-giore attenzione al risparmio:«L’idea era di applicare i sensori ai punti luce, del-la casa o in strada e creare un sistema intelligente. In cui le luci comunicano con l’utente che può spe-gnerle o accenderle a distanza, sapere quando c’è da cambiare una lampada con una notifica sullo smartphone, conoscere i consumi e parametri am-bientali, tipo la percentuale di CO2 in una stanza, e tanto altro ancora. Le luci sono dappertutto».Domenico e Corrado mettono i primi soldi per avviare l’azienda, poi conoscono un imprendito-re (Fabrizio Cellino, ndr) che li finanzia, la cifra dell’investimento non è pubblica: «In poche chiac-chiere abbiamo spiegato il progetto e le se poten-zialità e lui ha deciso di investire in cambio del 20% della società».

    I primi successi e l’incubatore olandese

    Geolumen inizia ad avere i primi profitti, assume ingegneri, operai, personale amministrativo, e ini-zia a vendere i suoi punti di luce smart in Italia e in Polonia, a enti pubblici, come il comune di Mon-techiarugolo in provincia di Parma che sceglie di

    installare 3mila punti luceper favorire il risparmio energetico della città: «L’anno scorso abbiamo fat-turato 1 milione di euro, quest’anno puntiamo a raddoppiare».Un altro 7% della società è nelle mani di un incu-batore olandese, Rockstart, partecipano a una call per nuove idee nel settore delle energie intelligen-ti e vincono la selezione tra 500 startup da tutto il mondo: «Abbiamo vinto 75mila euro tra servizi e cash. Oggi stiamo sviluppando soluzioni per ren-dere le città più sicuri.I sensori installati nei lampioni stradali permette-ranno a una persona in pericolo di toccare un tasto, essere gelocalizzati all’istante e soccorsi dalle forze dell’ordine».

    «Fai le cose per bene nel minor tempo possibile»

    «Si chiama impresa perché è difficile, altrimenti si sarebbe chiamata passeggiata. Il segreto per riusci-re è fare le cose bene nel minor tempo possibile. E poi puntare subito sull’internazionalizzazione. Per una startup è una delle poche strategie che paga».

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    Fino ad oggi provati solo da testate famose come The Atlantic, BBC News, BuzzFeed, The Guar-dian, National Geographic, etc, gli Instant Arti-cles di Facebook sono ora disponibili per tutti i publisher. Dati concreti confermano che la lettu-ra, da parte degli utenti, degli articoli sulla piat-taforma di Menlo Park genera il 20% in più di click rispetto a siti esterni. Non solo. Pare che la loro fruizione sia più agevole tanto da determi-nare il il 70% in meno di abbandoni della lettura (dovuti probabilmente ai tempi non immediati di caricamento delle pagine) e il 30% in più di con-divisioni.

    Come promesso a febbraio, oggi Facebook ha aperto gli Instant Articles a tutti gli editori sulla sua piattaforma, permettendo loro così di impor-tare i propri contenuti su Facebook e di renderli fruibili ai propri lettori in modo interattivo e im-mersivo.La società di Menlo Park ha dichiarato durante l’evento F8 dedicato agli sviluppatori, che l’ado-zione da parte dei publisher finora è stata “enor-me”, con più di 1.000 editori di tutto il mondo. Nei mesi precedenti testate come The Atlantic, BBC News, BuzzFeed, The Guardian, National Geographic, NBC, The New York Times, e Spie-gel Online hanno potuto testare gli Instant Arti-cles.Gli Instant Articles hanno generato fin qui il 20% di clic in più rispetto ai link verso siti esterni alla piattaforma, con il 30% in più di successive con-divisioni e con il 70% in meno di abbandoni della lettura che solitamente sono dovuti ai tempi di caricamento delle pagine, secondo Facebook.“Abbiamo la prova evidente che gli instant ar-ticles forniscono una migliore esperienza di let-tura per le persone e un notevole impulso per gli editori che cercano di raggiungere il proprio pubblico su Facebook”, ha dichiarato Josh Ro-berts, product manager Facebook.

    In questa importante operazione, Facebook ha anche aggiunto nuovi partner e strumenti, tra cui integrazioni con WordPress, Medio, RebelMou-se, ShareThis, Sovrn, Tempest, Adobe Analytics, Chartbeast, Nielsen, Parsely e SimpleReach.Insieme agli Instant Articles, facebook ha an-nunciato anche i Brand Content: un tag ai brand accompagnerà gli articoli sponsorizzati, che ver-ranno evidenziati come pubblicità, anche inclu-dendo il logo dello sponsor, se richiesto.Gli articoli interattivi fanno parte del progetto Accelerated Mobile Pages ed entra direttamente in concorrenza con Google: tuttavia, uno dei più grandi vantaggi di Facebook è proprio l’aspetto social che Big G non riesce ancora ad eguagliare.“In tutto, applaudiamo l’intenzione di creare esperienze mobile più veloci – più velocemente un articolo viene caricato, più diventa coinvol-gente e rilevante”, ha dichiarato Trevor Paulsen, product manager di Adobe Analytics a Venture Beat. “In questi tempi, i consumatori hanno poca pazienza. Un recente studio commissionato da Adobe ha dimostrato che se i contenuti digita-li richiedono troppo tempo per caricare, il 78% degli intervistati passa oltre o si ferma del tutto. Catturare un lettore su un dispositivo mobile è una questione di millisecondi”.

    INSTANT ARTICLES DI FACEBOOK: SUCCESSO IMMEDIATO AD UN GIORNO DALL’ATTIVAZIONE

  • Dillo con un Fiore

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    o smartphone è sempre più protagonista nelle at-tività di acquisto. E non solo per navigare tra gli e-commerce ma anche e soprattutto per pagare. Il settore del mobile payment, nel 2015, ha raggiunto un giro di affari di 64 miliardi di euro grazie alla diffusione dei sistemi di pagamento più evoluti.Il nostro Paese si sta abituando più lentamente al cambiamento nelle abitudini d’acquisto -gli italia-ni del resto sono affezionati utilizzatori del vec-chio contante- e già 3 intervistati su 4 dichiarano irrinunciabile l’utilizzo del telefonino nel loro shopping.

    Nel 2015 il settore dei pagamenti digitali è cresciu-to del +5,6% e ha raggiunto i 164 miliardi di euro: questi i dati messi in evidenza dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano che mostrano una crescita da attribuire alla categoria “New Digital Payment” (+21%) che in-clude le tipologie di pagamento digitale più evolu-te come ad esempio MobilePOS, Contactless Pay-ment e Mobile Payment.Vero è che l’Italia, rispetto ad altri Paesi, vive una situazione ancora poco sviluppata in materia di Mobile Payment: gli italiani sono, un po’ per in-dole un po’ per caratteristiche, molto affezionati al tangibile contante, ma senza dubbio qualcosa si sta muovendo e questi numeri positivi fanno ben sperare.

    Un purchase journey orientato alla mobilità

    Un processo d’acquisto che si interfaccia sempre più alla mobilità: per 3 italiani su 4 lo smartphone è immancabile e irrinunciabile nello shopping. Il device è utilizzato sempre di più per confrontare prezzi o fare infocommerce, ma anche come aiuto nella “To do list” o nella consultazione di volanti-ni.E proprio nelle attività di promozione questo devi-ce diventa sempre più rilevante: la percentuale dei consumatori che utilizza il mobile per confrontare prezzi o sfogliare volantini con promozioni fuori dal negozio aumenta e raggiunge il 55% nel 2015 (45% nel 2014), mentre chi lo fa direttamente in sto-re passa dal 31% al 34%.Le app, un mondo sempre più brandeMa quali sono le Top branded app del mobile sur-fer?Secondo la ricerca Doxa Mobile B2c Strategy, in primis spiccano le app dedicate all’eCommerce: il 63% dichiara di possedere App come Amazon, Ebay, Groupon o Zalando; seguite da App Telco; Aggregatori (DoveConviene, Subito ecc.) e App dei grandi player della GDO (ad esempio Carre-four, Lidl, Conad, Coop ecc.).Senza dubbio le App sono un ambiente in costante evoluzione, inserito in un contesto in cui i brand stanno sperimentando nuove tattiche di ingaggio di un consumatore che trascorre sempre più tempo in mobilità e soprattutto in questo su App.

    IN CRESCITA ESPONENZIALE IL SETTORE DEL MOBILE PAYMENT

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    E’ l’ultima novità di Twitter che si conferma così il social amico dei giornalisti. Apre all’utente una serie di possibilità fino ad ora impensabili per condividere in streaming video live. Si chiama Periscope e con il piccolo pulsante “start broa-dcast” trasforma tutti in registi. Ma la vera unicità del servizio sta nella connessione con il proprio profilo Twitter che consente a tutti i followers di un utente di vedere chi sta trasmettendo live. An-che se usato in Italia specialmente per motivi di puro intrattenimento, le potenzialità di Perisco-pe in circostanze particolari come alluvioni, ter-remoti o eventi spiacevoli in territori di guerra, sono immense.

    Tutti pazzi per Periscope, l’app di Twitter che per-mette di vedere i video in diretta di testate giorna-listiche, sportivi e semplici amatori. Il suo funzio-namento è molto semplice: si scarica l’app gratuita per iOS (per ora niente Android) ci si iscrive col-legando il profilo di Twitter e si abilita l’accesso a fotocamera e microfono per chi vuole trasmettere; gli altri possono anche solo guardare. Basta un pulsantino, “Start Broadcast”, per trasformarsi in novelli Weather Man.Il mondo live su TwitterIl punto forte non è solo lo streaming ma la possibi-lità di far sapere a un bel po’ di persone quando co-minciano le trasmissioni. App del genere non sono nuove. Quattro o cinque anni fa con un iPhone era già possibile mostrate a tutti cosa si aveva davanti agli occhi in real time attraverso Ustream ma con la premessa di dover accedere alla piattaforma per sfogliare i canali on air. Con l’acquisizione all’ini-zio di quest’anno di Periscope da parte di Twitter, ogni singolo stream ha invece l’opzione che apre il mondo della diretta ai followers di un utente, no-tificandoli quando sta partendo un video. Risulta dunque facile scorrere il proprio flusso di notizie e scoprire chi sta trasmettendo live.Fiorello, Jovanotti, J-AxIn Italia Periscope c’ha messo poco a sfondare. Pri-

    ma è arrivato Fiorello, poi Jovanotti ed infine J-Ax. Il più attivo dei tre pare essere proprio Lorenzo Cherubini che lo usa praticamente per tutto, dalla sala prove al pranzo con i colleghi. Le potenziali-tà della piattaforma erano note e sarà per questo che Dick Costolo ha deciso di investirci ben prima che fosse completa come hanno ricordato Kayvon Beykpour e Joe Bernstein, l’ideatori principali. C’è da dire che una buona spinta al successo di Peri-scope è arrivata da Meerkat, un’applicazione molto simile che ne ha precedutol’avvento sugli store mo-bili solo di qualche giorno. Proprio Meerkat aveva riscosso una certa attenzione per la possibilità di avvisare in automatico la partenza della diretta ai seguaci su Twitter; una funzione che il microblog ha eliminato presto per non sfavorire il debutto del suo progetto parallelo.Tutte le dirette in un sitoMa come è possibile sapere quali dirette interes-santi ci sono online in un certo momento? Mettia-mo che il vostro cantante preferito decida di fare una visita ad un collega altrettanto famoso che però non seguite su Twitter; se è quest’ultimo ad avvi-sare i propri fan della diretta difficilmente potrete saperlo, tranne che non vi dirigiate su onPeriscope.com. Il sito non è ufficiale ma è un’ottima vetrina per tenere sott’occhio le dirette presenti, a dire il vero un po’ pochine in certe fasce orarie. Al di là del puro intrattenimento immaginiamo già quanto lo strumento possa essere utile in certe circostan-ze come alluvioni, terremoti o in territori di guerra per tenere viva la coscienza su ciò che accade a po-chi passi da noi ma anche a migliaia di chilometri di distanza.

    PERISCOPE TRASFORMA GLI UTENTI IN BROADCASTER. UN CLICK E IL MONDO È IN STREAMING

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    Lei è Candice Galex, ha fondato Bikini Luxe e ha tro-vato un modo tutto originale per promuovere i suoi costumi. Linkedin, il social dei professionisti, non è proprio la piattaforma più idonea per vendere un pro-dotto ma se stimolato con la provocazione giusta può diventare un bacino di utenza quanto mai fervido per incontrare non solo clienti ma anche possibili partner o investitori.”Qyesto post è appropriato per Linke-din?” ha semplicemente scritto Candice sotto alla foto di una modella. E boom. 50.000 visualizzazioni in po-chi minuti, oltre 400 commenti e migliaia di click diret-ti al suo sito che spesso si sono trasformati in acquisti.Il potere della rete.

    Vende bikini su LinkedIn con un’ottima strategia di marketing. Forbes racconta la storia di Candice Galex, la fondatrice di Bikini Luxe, store che vende costumi fem-minili. Dopo aver fatto promozione su canali più tradi-zionali per un prodotto come il suo (Facebook, Pinterest) sceglie di provare con LinkedIn. Il suo primo post diven-ta virale, 50mila visualizzazione e oltre 400 commenti. Come ha fatto Candice?Come ti vendo bikini su LinkedInIl social network delle professioni non sembra il posto più indicato per promuovere una linea di bikini. E inve-ce Candice capisce che c’è un mare di opportunità per connettersi con potenziali investitori, partner e anche clienti.La sua strategia è molto semplice. Far parlare di sé con un post con immagini di modelli in bikini succinti e una provocazione nel titolo “Questo (post) è appropriato per LinkedIn?”.«Volevo testare il terreno e stimolare il dialogo sull’ar-gomento. Sinceramente non mi aspettavo così tanti ri-scontri e polemiche» spiega a Forbes Candice che con il post ha raggiunto quasi 50mila visualizzazioni. E tanti commenti alcuni incoraggianti, alcuni meno.Ciò premesso i risultati parlano a suo favore. Il traffico al suo sito da LinkedIn ha raggiunto il volume di quello generato da Pinterest, mentre le vendite sono aumentate vertiginosamente.

    Tre cose che la storia di Candice ci insegnaForbes trae tre lezioni utili dalla sua storia sull’uso dei social per promuovere un prodotto o un servizio.#1. Stimola la polemica, ma con equilibrio«Chi prova a provocare sui social per creare un contenu-to virale sbaglia, se non ha una strategia» spiega Forbes. Candice è riuscita a stimolare un dibattito con equilibrio, senza scadere nella pornografia (le immagini scelte non presentano nudi eccessivi), anche se un po’ decontestua-lizzate. Se si fosse spinta un tantino oltre per la smania di provocare, avrebbe ottenuto l’effetto contrario.#2. Provocatorio sì, ma con eleganzaCandice non ha mai reagito – fa notare Forbes – con astio o rabbia ai commenti anche a volte offensivi di alcuni utenti. Ha capito i vantaggi della situazione che lei stessa aveva provocato e non l’ha macchiata con frasi inoppor-tune, dettate dall’impulsività del momento. Risultato: oggi i suoi post hanno lo stesso coinvolgimento di quelli di leader su LinkedIn come Richard Branson o Bill Ga-tes.#3. Cavalca l’ondaQuando arriva l’onda va sempre domata in un certo modo. È quello che ha fatto Candice che ha approfittato dell’improvvisa notorietà per entrare in contatto con im-prenditori, investitori e giornalisti. E non è un caso se è finita su Inc. Magazine (celebre rivista americana di bu-siness) ed è diventata un’influencer su LinkedIn.

    VENDERE BIKINI SU LINKEDIN: LA STARTUPPER CHE SI INVENTA UNA STRATEGIA VIRALE

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    Fu il padre ad avvicinarlo, fin da giovanissimo, all’informatica, probabilmente ignaro di quello che avrebbe scatenato. Oggi Sean Parker ha 37 anni, vive e lavora a San Francisco e rientra nella lunga lista degli impren-ditori self-made milionari che hanno abbandona-to l’università per seguire le proprie intuizioni. Ideatore di Napster (il primo servizio di file sha-ring al mondo), braccio destro di Zuckerberg dopo un fortunato incontro, sostenitore di Spotify agli albori del suo successo, Mr. Parker vanta oggi un patrimonio che si aggira attorno ai 2,4 miliardi. E pensare che alle superiori, dalla sua cameretta, si divertiva semplicemente ad entrare nei sistemi di multinazionali e basi militari…Di seguito tutta la sua storia.

    Forse non tutti conoscono Sean Parker, 37 anni, di San Francisco. Ideatore di Napster, il primo servizio di file sharing al mondo, è stato uno dei primi a credere in Facebook e ha investito in star-tup di successo come Spotify. Ieri la notizia che l’ex hacker ha donato 250 mi-lioni di dollari per creare un centro per la lotta contro i tumori. Si chiamerà Parker Institute for Cancer Immunotherapy e farà ricerche nel cam-po dell’immunoterapia, una tecnica che combat-te il cancro agendo sul sistema immunitario del malato.Il centro sarà un consorzio per unire i migliori centri di ricerca americani nel campo (Memorial Sloan Kettering Cancer Center, Stanford Medici-ne, the University of California). In totale 40 laboratori, 300 ricercatori tutti insie-me per un unico obiettivo: «Il nostro modello è semplice. Mettere insieme le persone migliori in una delle ricerche più ambiziosi» ha dichiarato Sean. Ma chi è e quale storia ha l’imprenditore e il venture da 2.4 miliardi di patrimonio? Ecco la sua storia e cosa può insegnarci.

    La gioventù da hacker

    Il suo lato anticonvenzionale emerge sin dagli al-bori della sua carriera. Originario della Virginia, è “iniziato” all’informatica dal padre, oceanografo per il Governo americano, che a sette anni gli in-segna a programmare. Durante le scuole superiori si diverte a entrare nei sistemi informatici di mul-tinazionali, università basi militari, per indicare a queste istituzioni dove si trovano le falle nei loro sistemi.Fino a che un giorno l’Fbi irrompe nella sua came-retta, per sequestrargli carte e computer. Un’espe-rienza che gli costerà un periodo di servizio civile. A 16 anni, dopo aver partecipato a una fiera dell’in-formatica con il suo web crawler (programma per la raccolta delle pagine Web), riceve una proposta di lavoro dalla Cia. Ma lui preferisce fare uno stage da Marc Pincus (futuro fondatore di Zynga), che ha appena avviato la sua prima startup, Freeloader.

    Non c’è argomento che non conosce

    Durante l’ultimo anno delle superiori, nel 1999, Sean, tra un lavoretto e uno stage, ha già uno sti-pendio che ammonta a 80mila dollari. Abbastanza per convincere i suoi genitori a lasciargli saltare l’u-niversità e far sì che si unisca a Shawn Fanning, un teenager di San Francisco che aveva appena avuto

    VI PRESENTO SEAN PARKER, EX HACKER MILIARDARIO, IDEATORE DI NAPSTER E MOLTO PIÙ

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    un’idea rivoluzionaria.«Fanning aveva inventato una piattaforma attra-verso la quale ogni utente poteva vedere (e scarica-re) i file mp3 posseduti dagli altri utenti» intervie-ne Gianluca Dettori, venture capitalist (www.dpi – xel.it) e creatore nello stesso anno di Vitaminic, piattaforma che vendeva musica online in formato digitale. «Si trattava della prima grande tecnologia peer-to-peer». Un’idea della quale Parker intravede subito le potenzialità, tanto che si trasferisce a San Francisco e diventa il cofondatore della società, che si chiamerà Napster.«Napster è stata un’azienda leggendaria» continua Dettori. «Milioni di giovani avevano la possibilità si scambiarsi gratuitamente file musicali. Nel periodo di massimo successo, all’inizio del 2001, gli utenti erano arrivati a 60 milioni»Non passa molto tempo che la società subisce un poderoso assalto legale da parte delle case di sco-grafiche, che la accusano di violare le norme sul di-ritto d’autore. Fanning si difende facendo appello alla costituzione, Parker scrive incautamente delle email in cui ammette che gli utenti di Napster in re-altà rubano la musica, che saranno utilizzate come prova nel processo che porterà nel 2001 alla chiusu-ra della società.

    Sean, l’artista del business

    Sean è un artista del business «Più che una star-tup, Napster era uno strano insieme di persone che credevano di far parte di un movimento sociale ai limiti della legge» si legge su Forbes, che nel set-tembre 2011 dedica la copertina a Parker, tra i 400 uomini più ricchi d’America.Il primo tentativo di creare una vera società sarà Plaxo, un servizio online che aiuta gli utenti a man-tenere aggiornati i propri contatti: quando qualcu-no fa delle modifiche al proprio indirizzo o numero di telefono, sto automaticamente si aggiorna nelle rubriche di tutti gli altri utenti.In poco tempo Plaxo guadagna milioni di dollari e centinaia di migliaia di utenti. Ma anche questa volta le cose non si mettono bene per Parker: qual-cuno accusa Plaxo di spamming, e lui viene estro-messo dalla società da Sequoia Capital.

    L’incontro con Zuckerberg

    Nel frattempo Sean, che condivide la casa con alcu-

    ni studenti di Stanford a Palo Alto, entra in contatto con gli imprenditori della Silicon Valley, quali Reid Hoffman e Marc Pincus, e costruisce una rete di re-lazioni che si rivelerà fondamentale per il futuro. A parlargli di Thefacebook, un social network di studenti, sarà un’amica della sua fidanzata, con la quale ha appena trascorso la notte.A fine marzo del 2004 Parker scrive un’email a Zuckerberg, offrendosi di presentarlo agli investi-tori più forti di San Francisco. duardo Saverin, il socio di Zuckerberg, risponde all’email. E decidono di vedersi a cena a New York». Zuckerberg ha una visione grandiosa sul futuro di Thefacebook, ma è uno studente di college e non sa come muoversi. Parker ha solo qualche anno più di lui, ma conosce un mucchio di gente, e sa come farsi ascoltare.A settembre Zuckerberg lo nomina presidente del-la società. Raffinato ed elegante, diventerà il vol-to di Thefacebook, soprattutto con gli investitori. “Sean è stato fondamentale nel trasformare Facebo-ok da un progetto universitario a una società vera” ha scritto Zuckerberg in un’email. “Cosa ancora più importante, ha fatto in modo di assicurare che chiunque fosse interessato a investire in Facebook non avrebbe acquistato soltanto un pezzo di società ma anche una visione: rendere il mondo più aperto attraverso la condivisione”. Parker per prima cosa contatta Hoffman, che all’inizio decide di non inve-stire in Facebook per via del suo coinvolgimento in LinkedIn.

    La fine dell’avventura con Facebook

    Una sera durante un party, alcuni poliziotti irrom-pono con i cani antidroga e trovano della cocaina. Sean viene arrestato, ma poi rilasciato immediata-

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    mente. Non sarà mai accusato di niente, ma que-sto incidente segnerà la sua uscita da Facebook. Ancora una volta, saranno i venture : capitalist ad avere voce in capitolo: Jim Breyer di Accel Partners, membro del Cda, ritiene che Parker sia un rischio per Facebook e un elemento di instabilità per la sua cultura aziendale. Anche Peter Thiel gli consiglia di andarsene. Mark sente però una profonda lealtà nei confronti dell’amico. Dopo una lunga discussione, Sean accetta di farsi da parte. È la terza volta che Parker viene cacciato da un’azienda, ma stavolta riesce a farsi dare delle garanzie. Cederà circa la metà della sue azioni, che attualmente ammontano al 4%.

    L’investimento in Spotify

    È così che quando nel 2009 un amico gli parla di un sito svedese che offre canzoni illimitate scarica-bili legalmente, senza neanche vederlo scrive un’e-mail al suo fondatore, Daniel Ek, descrivendo come dev’essere la sua piattaforma ideale, sperando che Spotify calzi in questa descrizione. L’email colpisce l’attenzione di Ek, che era stato un fan di Napster. Dopo uno scambio di corrispondenza, Parker si convince a investire in Spotify: 30 milioni di dollari. «Una conferma di come anche l’Europa sia in gra-do di generare progetti interessanti e che attirano l’attenzione degli investitori importanti» commenta Dettori.

    Cosa insegna la sua storia: la lezione di Sean

    Sii anticonformista. Durante le superiori Sean fa uno stage da Marc Pincus (fondatore poi di Zynga) e nell’ultimo anno di scuola guadagna già 80mila dollari, il che convincerà i suoi genitori a fargli sal-tare l’università.Anche se il tuo progetto fallisce, guarda al “big pi-cture”. Mentre c’è chi identifica Napster come un epico fallimento, in realtà la società rinnova un set-tore arcaico e spiana la strada ad altre aziende che nasceranno subito dopo (iTunes, Spotify). Se guar-di al “big picture” e aggiusti la tua prospettiva tro-verai che non tutto è perduto.Se fondi un’azienda, puoi essere licenziato. Par-ker è stato estromesso da ben tre società che aveva contribuito a fondare: Napster, Plaxo e Facebook. Ma è accaduto anche a Steve Jobs e a Rob Kalin di Etsy. Sembra un paradosso, ma nelle startup più i risultati sono buoni più è probabile che i fondatori siano sostituiti da manager. impara dall’esperien-za Quando Parker se ne va da Facebook, lascia a Zuckerberg il suo seggio nel consiglio di ammini-strazione, consentendogli di tenere così il control-lo della società. Dalle due esperienze precedenti in Napster e Plaxo ha imparato a essere più saggio.Alza le antenne e connettiti. Parker sente parlare di Spotify e contatta direttamente il suo fondatore. Investirà in questa società e oggi siede nel suo con-siglio di amministrazione. Uno dei modi più veloci di portare la tua azienda a un livello più alto è con-netterti a qualcuno e lavorare con lui.

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    REPUTAZIONE E RECENSIONI: COME CAMBIA LA FIDUCIADELL’ESTRANEO NELLA SHARING ECONOMY

    Accogliamo quotidianamente estranei nelle no-stre auto, scambiamo la nostra abitazione con sconosciuti, li ospitiano sui nostri divani. Al di là del guadagno che deriva dalle mille fac-ce della sharing economy, cosa davvero ci con-vince a fidarci? Le motivazioni che ci spingono a condivideresono molteplici, le aveva scoperte Ovidio diversi anni fa e ci vengono oggi con-fermate da un recente studio dell’Università di Standford.In primis si è portati ad instaurare un vincolo di fiducia con i nostri simili (es. coetanei o chi abi-ta vicino a noi) poi ci si affida al giudizio altrui. Intere piattaforme sono basate sul valore delle recensioni. Da 1 a 3 commenti positivi cambia poco, ma dal decimo in su la fama aumenta no-tevolmente.

    Accogliere sconosciuti in casa, in cambio di tren-ta euro. Far salire in macchina facce mai viste, per dividere le spese. L’economia della condivi-sione è ormai entrata nelle nostre vite. In Italia, recentemente, si è guadagnata l’attenzione del Parlamento. Uno degli aspetti al contempo più affascinanti (o inquietanti), riguarda però le mo-tivazioni che ci spingono a condividere. Perché ci fidiamo a far salire estranei in macchina? Perché ci fidiamo ad ospitare sconosciuti dentro casa? C’è il riconoscimento di un controvalore econo-mico, certo. Ma chi metterebbe seriamente a re-pentaglio se stesso, pur di guadagnare qualche spicciolo?

    Vincolo di fiducia

    C’è dell’altro, naturalmente. E attiene a quel vin-colo di fiducia che decidiamo di instaurare con la controparte. Vincolo di fiducia più solido dei pregiudizi che in altre occasioni, evidentemente, ci frenano. Spingendoci a fidarci soltanto di chi conosciamo. «Abbiamo fatto una scoperta. In uno studio condotto con l’università di Stanford, ab-

    biamo notato che le persone tendono a fidarsi dei coetanei e di chi vive vicino a loro. Nessuna sor-presa: ci fidiamo di chi è simile a noi. Ma provate ad aggiungere la reputazione a questo ingranag-gio. Ebbene, fino alla terza recensione positiva non cambia niente. Dalla decima in poi, cambia tutto. Un’alta reputazione è in grado di convin-cerci a fidarci di chi non conosciamo e consideria-mo diverso», ha spiegato di recente Joe Gebbia, cofondatore di AirBnb.

    I giudizi degli altri ci influenzano

    Potere della fama, bellezza. Del resto se n’era già accorto Ovidio due millenni fa: i giudizi degli al-tri sono in grado di influenzare le nostre opinio-ni. E di conseguenza le decisioni che assumiamo. Compresa quella di affittare una stanza a un av-ventore di cui si dica un gran bene, oppure salire sulla macchina di qualcuno ritenuto un ottimo guidatore da altri passeggeri. Duemila anni dopo, dal palco di una conferenza, Gebbia ha proposto un esperimento per dimo-strare quanto i giudizi degli altri influenzino l’o-pinione che ci facciamo di una persona. Ciascuno spettatore è stato invitato a sbloccare il suo smar-tphone e cederlo al dirimpettaio. Gli spettatori hanno confermato di sentirsi responsabilizzati dall’avere libero accesso allo smartphone altrui, quasi a disagio, con la sola prospettiva di volerlo

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    restituire al più presto.

    L’ospite e l’accoglienza

    «Pensate di dover avere a che fare con chi ha avu-to per le mani tanti smartphone di altri e ha una reputazione altissima per averli restituiti com’e-rano. Non vi fidereste di lui?», ha chiesto il co-fondatore di AirBnb. Allo stesso modo – questa la tesi – siamo portati ad accogliere e fidarci di un ospite particolarmente apprezzato da chi l’ha già ospitato, sebbene sconosciuto. L’esperimento dello smartphone, pur in un con-testo inedito, dimostra che nella stragrande mag-gioranza dei casi, l’ospite ha cura dell’ambiente che gli viene affidato, e punta a restituirlo nelle stesse condizioni. E chi è pronto ad accogliere qualcuno in casa sua, ripone fiducia nella cura che l’ospite avrà di ciò che gli viene affidato, perché a parti invertite sa che farebbe lo stesso. A parte il riconoscimento del controvalore eco-nomico, insomma, la voglia di condividere rive-la la volontà di mettere in gioco una parte di se

    stessi, nella speranza che si dimostri una scelta lungimirante.

    Il valore delle recensioni

    «Un ospite di AirBnb ha subìto un infarto. I pro-prietari dell’abitazione l’hanno salvato, portan-dolo in ospedale e donando il loro sangue per l’operazione. La sua recensione? “Casa eccellente per malati di cuore. Javier e Alejandra vi salveranno la vita, no-nostante non vi conoscano. Vi accompagneranno in ospedale mentre starete per morire, restando-vi accanto fino a quando non vi monteranno un bypass. Dopodiché, vi lasceranno dormire gratis per altre notti. Consigliatissima!”», ha raccontato Joe Geb-bia. Difficile quantificare il valore di una recen-sione di questo genere. Ma dopotutto, la fama non è scoperta dei giorni nostri. E Ovidio, bontà sua, dovrebbe chiedere i diritti d’autore.

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    SPUNTI: LE 8 COSE CHE I GRANDI PENSATORI FANNO OGNI GIORNO PER STIMOLARE BUONE IDEE

    Tutti i grandi della storia avevano un pen-siero fuori dal comune, perché per fare cose eccezionali occorre pensare in modo eccezio-nale. Certo, la genetica e le esperienze gui-dano la mente, ma ci sono alcune accortezze che conviene seguire per stimolare creatività e risultati e ottenere, non solo una generale positività, ma anche migliori soddisfazioni professionali. Tra queste, scegliersi persone costruttive con cui passare il tempo, mangiare sano e fare esercizio fisico, avere una visione a lungo ter-mine, ricercare la solitudine.

    Cogito ergo sum. Tutto ciò che siamo e tutto ciò che non siamo è il risultato finale del nostro at-tuale modo di pensare. Ed ogni grande successo, ogni grande inven-zione, ogni grande scoperta nella storia è stata generata grazie a grandi pensatori, persone in grado di pensare fuori dal coro, innovare e cam-biare la vita dell’intera umanità.Ricordiamo Aristotele o Seneca, ma anche Cri-stoforo Colombo o Leonardo da Vinci, fino a Ga-lileo Galilei e Marie Curie, perché ogni uomo e ogni donna che sia riuscito ad arrivare all’apice della propria professione, fino a rimanere im-presso nella storia aveva un pensiero fuori dal comune, era un pensatore eccezionale.Prima di giungere alla formulazione della sua più famosa locuzione, Cartesioera alla ricerca di un metodo che desse la possibilità all’uomo di distinguere il vero dal falso, non soltanto per un fine strettamente speculativo, ma anche in vista di un’applicazione pratica nella vita.

    I grandi pensatori partono dalla mente per rag-giungere risultati concreti

    Qualsiasi uomo d’azione che abbia raggiunto

    grandi successi è stato anche un grande pen-satore: sentimenti, emozioni, capacità di rag-giungere risultati, felicità a livello professionale sono infatti aspetti diversi dell’uomo che sono influenzati dal nostro modo di pensare, ogni giorno.Se oggi non sei felice del tuo lavoro e del tuo percorso professionale, probabilmente la rispo-sta va ricercata proprio lì, nel tuo modo di pen-sare.Senza voler banalizzare le quotidiane difficoltà lavorative che tutti possono incontrare, c’è mol-to che ognuno di noi può fare, concentrandosi ogni giorno, per cambiare le proprie abitudini di pensiero.Ecco otto regole da seguire per concentrarti sui tuoi obiettivi, perseguire la via per il succes-so professionale ed entrare nel novero di quei grandi pensatori.

    #1 Concentrati sulle cose positive

    Ogni giorno della nostra vita, quando ci sveglia-mo al mattino, possiamo scegliere se dirigere la nostra attenzione sulle cose positive o su quelle negative.

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    I grandi pensatori conoscono l’importanza di fo-calizzare i propri pensieri sulla positività. L’impatto del tuo livello di energia e determina-zione può aiutarti ad eliminare preoccupazione, stress e ansia semplicemente scegliendo di con-centrarti sulle cose positive.Sforzati di vedere il buono di ogni situazione, anche la peggiore. Non importa quanto minu-scolo possa essere, quel singolo granello di po-sitività ti aiuterà a superare la montagna delle difficoltà che si frappone tra te e il successo.

    #2 Trascorri del tempo da solo

    I grandi pensatori sono consci del fatto che vi-viamo in un mondo rumoroso e ricco di distra-zioni. L’importanza di trascorrere del tempo da soli diventa prioritario in alcuni momenti: leggi la biografia del tuo inventore preferito, o di un famoso atleta, o di un grande imprenditore. Ti renderai subito conto del fatto che tutti hanno trascorso un po’ di tempo per riflettere e pensa-re in solitudine.

    #3 Pensa con una visione a lungo termine

    Tutti i pensatori eccezionali hanno una visione chiara di dove vogliono essere in futuro, ma an-che di tutto ciò che è necessario fare perché que-sta visione si realizzi.Non scoraggiarti davanti agli imprevisti, non ri-manere deluso se lungo il percorso incontrerai ostacoli. Le difficoltà a breve termine si supe-rano proprio in funzione della visione a lungo termine della tua vita.

    #4 Segui una routine per sviluppare la tua mente

    Che si tratti di una routine particolare per ini-ziare al meglio la giornata o della lettura di un libro come prima cosa da fare al mattino, o an-cora l’ascolto di un podcast mentre vai al lavoro, i grandi pensatori non restano in attesa che gli capiti qualcosa di bello. Sono proattivi verso lo sviluppo positivo delle proprie capacità e della propria mente.Il primo passo tocca a te, comincia al meglio ogni giorno.

    #5 Passa il tempo con persone costruttive

    Non c’è nulla di più dannoso per il tuo modo di pensare che circondarti di gente che pensi in modo negativo, esaurendo tutte le tue energie tra discorsi che non hanno nulla di costruttivo.Stare in buona compagnia, circondandosi di persone che pensino in modo positivo, signifi-ca poter incanalare anche le buone energie che riceviamonei nostri progetti di lavoro e di vita.

    #6 Mangia sano

    La stragrande maggioranza della popolazione è ignara che ciò che introduce nel proprio cor-po ogni giorno condiziona anche il suo modo di pensare. Ciò che bevi e mangi ha un notevole impatto sul tuo cervello, ad esempio. Comincia-re la giornata con qualche mandorla non è solo una buona abitudine alimentare, ma dà la giusta carica di energia per affrontare la giornata. Ti è mai successo di dover affrontare una lunga gior-nata di lavoro dopo una colossale bevuta della sera prima? Prova a ricordare esattamente quel momento, questa regola sarà subito più chiara!

    #7 Trova il tempo per l’esercizio fisico

    L’esercizio fisico può influire enormemente sui livelli di produttività, e sulla salute stessa del nostro cervello: le endorfine rilasciate durante l’allenamento sono quelle che ci aiutano a pen-sare positivo.

    #8 Sii grato

    Il tuo pensiero e la vita in generale saranno mi-gliori se avrai un atteggiamento di gratitudine. Trovare il modo per ringraziare regolarmente le persone che ti circondano, anche per le piccole cose quotidiane come il caffè la mattina, ti per-metterà di avere una mentalità più positiva: non puoi essere infelice e grato al tempo stesso. Pro-va a vivere seguendo queste regole per una sola settimana: non riscontrerai subito cambiamenti eccezionali nella tua vita professionale, ma cer-tamente ritroverai la carica per rimetterti al la-voro col sorriso e migliorare la tua produttività.

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    ASHTAG SOTTO COPYRIGHT. I BRAND SI TUTELANO SUI SOCIAL MEDIA

    I brand ricorrono alla tutela d’autore non solo del nome ma di tutto ciò che ricorda la maison sui social media. E così le case di moda americane sono state le prime marche a decretare l’inizio del possesso degli degli #hashtag che contengano nome, fra-si, o anche solo un lontano richiamo al proprio brand. Negli ultimi 5 anni sono state schedate oltre 2.800 richieste di proprietà di hashtag al US Pa-tent and Trademark Office, una crescita sproso-titata se si pensa che nel 2010 sono state solo sette.

    Un #hashtag è per sempre. Soprattutto se è legato a un brand. Il valore della marca è inestimabile, figuriamoci dissiparlo sui social media. Ad aprire il nuovo fronte della pro-prietà degli #hashtag sono state le case di moda americane che vogliono tutelare il nome, certo, come ha fatto Madewell, che vanta oltre 47 mila post su Instagram e ha ha registrato #everyday-madewell. Non solo.

    I brand non si accontentano di semplici nomi o marche, ma di tutto quanto contribuisce a crea-re associazione con il brand e l’aura stessa della marca. Ecco allora anche un semplice slogan come #letyourselfgo di Hudson, il tema della campa-gna jeans, rientrare nella grande corsa alla tutela d’autore.Nel 2015 sono state 1.398 le richieste arrivate all’Us Patent and Trademark Office, una molti-plicazione esponenziale se si pensa che nel 2010 erano state sette. Negli ultimi cinque anni sono state globalmente schedate oltre 2.800 richieste. E per la maggior parte riguardano il mondo fa-shion, secondo le rilevazioni di Thomson Reuters che ha appena presentato il report “#CanWeTra-demarkIt?” tra le categorie di hashtag, quelle legate ad abbigliamento e calzature sono le più comuni. Gli Stati Uniti permettono la registrazione degli hashtag solo se funzionali a identificare la com-pagnia che lo richiede. Non tutte le richieste sono accolte. Nel caso di registrazione, chiunque può conti-nuare a diffondere l’hashtag, e la limitazione vale esclusivamente per i competitor del brand pro-prietario.

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    TRA I 100 NOMI ITALIANI NEI PANAMA PAPERS ANCHE STARTUPPER

    Giovanni Ciallella, co-founder di JobRapi-do; Alessandro Palmieri, founder e co-Ceo di DoveConviene.it; e Giulio Valiante, Ad dell’acceleratore Withfounders. Ecco i nomi di startupper italiani che com-paiono nella lista, pubblicata dal magazine l’Espresso l’8 aprile scorso, che rende evi-dente tutto il database degli imprenditori di tutto il mondo con conti off-shore. Tut-tora è da dimostrare l’illegalità di alcune delle attività su cui si basano questi conti viste le continue smentite di alcune denun-ce.

    Ci sono anche gli startupper tra i primi 100 nomi degli italiani coinvolti nei Panama Papers, l’inchiesta internazionale sui con-ti off-shore condotta per un anno da cento gruppi di giornalisti nel mondo. Sono Giovanni Ciallella, co-founder di Jo-bRapido, Alessandro Palmieri, founder e co-Ceo di DoveConviene.it, e Giulio Valiante, amministratore delegato di Withfounders, primo seed accelerator in Italia i cui fonda-tori sono tutti imprenditori startupper.

    I 100 nomi sono stati pubblicati l’8 aprile dall’Espresso che, in esclusiva per l’Italia, ha avuto accesso alla banca dati (qui il link

    all’articolo online con tutti i nominativi dei coinvolti). Naturalmente è da dimostrare che questi conti fossero base di attività illegali, tanto più che molte delle indiscrezioni pub-blicate in questi giorni sono state oggetto di precisazioni e smentite.

    Ma vediamo chi sono i fondatori di startup presenti nella lista.

    Già founder e Ceo di Astra Te-lecom Do Brasil dal 1996 al 1999, Giovanni Cial-lella ha cofon-dato Jobrapido, dove è rimasto dal 2006 al 2013. Si tratta di sito attraverso il quale milioni di persone pos-sono trovare le offerte di lavoro di oltre quaranta nazioni. Nel 2012 la so-cietà Evenbase del gruppo editoriale Daily Mail ha acquisito il 49% del capitale dai soci tedeschi e italiani, valutando la startup circa 60 milioni di euro. A ottobre 2014 Ciallella ha fondato con Massimo Lepore Ubiter, social network che permette di conoscere i migliori tutor per i propri interessi e le proprie competen-ze professionali, collegandosi con docenti, studenti o colleghi di corso per rimanere costantemente aggiornati su qualunque no-vità riguardante i propri interessi didattici.Nel momento in cui scriviamo, però, la piat-taforma risulta offline. A marzo 2015 Ciallella ha co-fondato Ma-gicPed, società costituita da un team di in-gegneri e focalizzata sullo sviluppo di siste-mi di trasporto personale a basso impatto ambientale.

  • Dal 1949...

    ..ad oggi

    Fonderia Fratelli Carnevale e figli

    "Dal 1949 forniamo arredi in ghisa per enti pubblici, comuni e privati"

    FONDERIA SPECIALIZZATA IN LAVORAZIONI DI ALTO

    PREGIO IN GHISA

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    Nel sito dell’azienda si legge: “Stiamo re-alizzando una serie di articoli innovativi che, una volta immessi sul mercato, cambie-ranno presto il modo di muoversi, di vedere e di connettersi con il mondo”.

    Un altro startup-per che figura nei Panama Papers è Alessandro Pal-mieri , co-founder con Stefano Portu di DoveConviene, una delle poche startup italiane milionarie, ovve-ro che superano il milione di euro di giro d’affari.

    Si tratta di un’edicola digitale geolocalizza-ta che rende disponibili volantini e catalo-ghi dei principali retailer e brand di ogni categoria, dall’alimentare all’elettronica, dall’arredamento al bricolage, dai viaggi all’abbigliamento, e li propone agli utenti che si trovano nelle aree di riferimento dei punti vendita. I servizi offerti da DoveConviene sono ac-cessibili, oltre che dal sito www.dovecon-viene.it, anche dall’omonima applicazione gratuita sviluppata per le principali piatta-forme mobile: iOS, Android, WindowsPho-ne, Windows8, Amazon e BlackBerry. Già product manager di Buongiorno Spa dal 1999 al 2003, Palmieri ha fondato DoveCon-viene nel 2010. A settembre 2015 la società ha chiuso un nuovo funding da 10 milioni di euro con Highland Capital Partners Europe, prima-rio fondo europeo con investimenti in altri leader internazionali tra cui Privalia ePho-toBox. È uno dei maggiori investimenti, se non il maggiore, di un Venture Capital stranie-ro su digitale in Italia. DoveConviene, già partecipata da Principia SGR, attraverso il Fondo Principia II, 360 Capital Partners e Merifin Capital, ha raccolto così complessi-vamente negli ultimi 3 anni oltre 20 milioni di euro. Adesso l’obiettivo è arrivare a essere pre-

    sente in 10 Paesi entro la fine del 2016.

    Il terzo (in ordine alfabetico) coin-volto nei Panama Papers è l’impren-ditore-startupper Giulio Valiante, che, tra le altre cose, ha co-fonda-to Jobrapido in-sieme con Giovan-ni Ciallella. Dopo u n ’ e s p e r i e n z a consolidata come manager in Italia e all’estero in Henkel, Johnson Wax e Barilla, nel 1999 Valiante ha iniziato la sua esperienza nella digital eco-nomy ”perché mi ero accorto che il mondo del largo consumo non dava più prospetti-ve interessanti”, partecipando allo startup di Buongiorno Vitaminic. Oltre a JobRapido, ha contribuito alla nascita e finanziato star-tup come Mytv, Saldi Privati (co-founder ), AutoXY (presidente e founder ), Promoqui.it (presidente e founder ). Startupper di lungo corso, è fondatore e amministratore delegato di Withfounders, seed accelerator che ha fi-nanziato varie startup: da Jusp, che permette a chiunque in possesso di uno smartphone di accettare pagamenti con carte di credi-to e bancomat, a Brandon Ferrari, che por-ta il made in Italy nel mondo selezionando i più noti e promettenti marchi italiani noti e gestendo per loro le campagne di vendita online nel mondo; da Plannify, un motore di ricerca di iniziative, manifestazioni e spetta-coli in Italia e all’estero, a New Vision, che progetta e realizza soluzioni e piattaforme internet-based per la gestione e la condivi-sione di dati e contenuti multimediali. In-tervistato da EconomyUp a settembre 2014, Valiante diceva: “In Italia non manca la ca-pacità imprenditoriale né la creatività, è il resto che è difficile: l’accesso al credito ban-cario, spesso impossibile se non si fornisco-no credenziali personali, una fiscalità ecces-siva e un sistema di regole troppo rigido che spaventa e fa andare oltre confine, le grandi imprese italiane che non investono più in ri-cerca e sviluppo, come succede invece all’e-stero. Qui tutto è lasciato al singolo”.

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    Si chiama Watly, è alimentato interamente dal sole ed è stato ideato da una squadra in buona parte ita-liana. Si tratta del primo computer termodinamico al mondo e racchiude in sé tre funzioni incredibili per l’uomo moderno: è in grado di depurare acqua conta-minata e rendere dolce quella salata, produce energia totalmente sostenibile e infine genera connettività (ovvero porta internet dove sarebbe difficile averlo). Come? Con il solo potere de