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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro Numero 6 – Giugno 2016

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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro

Numero 6 – Giugno 2016

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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Sommario

APPROFONDIMENTI

Sicurezza e interpelli – 1 GLI ADEMPIMENTI DI SICUREZZA NEGLI STUDI ASSOCIATI DI INFERMIERI Con interpello n. 5 del 12 maggio 2016 la Commissione per gli interpelli costituita presso il Ministero del Lavoro ha affrontato una tematica di rilevante interesse, ovvero l’ambito di applicazione della vigente normativa prevenzionale agli studi associati degli infermieri. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)

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Sicurezza e interpelli – 2 GLI INTERPELLI DEL MESE DI MAGGIO Lavori in appalto e modalità di verifica dell’avvenuta formazione - Obblighi di sorveglianza sanitaria in caso di distacco - Valutazione dei rischi da agenti chimici presenti sul luogo di lavoro - Gestione dell’amianto negli edifici (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)

10 Sicurezza e interpelli – 3 LAVORATORI MOBILI E SICUREZZA: IL MINISTERO CHIARISCE SOLO A METÀ IL REGIME APPLICABILE Nell'ambito della già di per sè complessa disciplina sull'orario di lavoro il legislatore, com'è noto, ha previsto per alcuni settori disposizioni particolari che tengono conto delle specificità che caratterizzano l'esecuzione della prestazione lavorativa… (Mario Gallo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 19 maggio 2016)

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Sicurezza ed Europa LA CAMPAGNA EUROPEA "AMBIENTI DI LAVORO SANI E SICURI AD OGNI ETÀ" La Commissione europea e l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), in collaborazione con la presidenza nederlandese dell'UE, hanno lanciato il 15 aprile 2016 a Bruxelles una campagna paneuropea di durata biennale dal titolo "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età". (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 5 maggio 2016)

20 Sicurezza e INAIL INAIL CONFERMA IL TAGLIO DELLE TARIFFE Inail è pronta a confermare la riduzione tariffaria introdotta dal Governo Letta con la legge di Stabilità 2014 come misura ponte e che ha garantito un taglio in termini cumulati di 3,3 miliardi del cuneo fiscale e contributivo per circa 2,7 milioni di imprese. (Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 27 maggio 2016)

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Sicurezza e unità produttiva POSIZIONE ASSICURATIVA SENZA CERTEZZE Non solo l’Inps, anche l’Inail ha scelto di individuare l’unità produttiva tenendo conto della definizione che la magistratura ne ha dato con riferimento all’articolo 35 dello Statuto del lavoratori. Solo che le finalità delle norme non sono esattamente le stesse. (Nevio Bianchi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 17 maggio 2016)

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Sicurezza estesa – 1 MISURE DI PREVENZIONE ESTESE A TUTTI GLI «ATIPICI» Le norme previste per la sicurezza sul lavoro si applicano sempre: non solo quando nell’ambiente di lavoro sono presenti dipendenti ma anche quando ci sono altre persone legate all’azienda da un rapporto giuridico diverso da quello di natura subordinata, o parenti che aiutano il datore di lavoro in modo occasionale. Anche queste persone sono considerate infatti lavoratori, o ad essi equiparati. (Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)

29 Sicurezza estesa – 2 ANCHE GLI ESTRANEI PROTETTI DAI RISCHI Le norme per la sicurezza sul lavoro tutelano anche gli estranei, vale a dire le persone, né dipendenti né equiparati per legge a essi, che siano comunque presenti nell’ambiente di lavoro. (Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)

33 L’ESPERTO RISPONDE

35 RASSEGNA DI NORMATIVA

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Chiusa in redazione il 1 giugno 2016

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Sicurezza e interpelli - 1

Gli adempimenti di sicurezza negli studi associati di infermieri

(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)

Con interpello n. 5 del 12 maggio 2016 la Commissione per gli interpelli costituita presso il

Ministero del Lavoro ha affrontato una tematica di rilevante interesse, ovvero l’ambito di

applicazione della vigente normativa prevenzionale agli studi associati degli infermieri.

I quesiti cui il Ministero ha inteso offrire indicazioni riguardano i seguenti aspetti:

- se gli infermieri associati rientrano o meno nella definizione di “lavoratore”;

- se gli studi professionali a cui gli infermieri sono associati sono considerati “datori di lavoro”;

- se agli infermieri è applicabile l’art. 21 del D.Lgs. 81/08;

- se gli infermieri che prestano la loro attività in strutture esterne (RSA e case di cura) e queste

strutture esterne sono datori di lavoro rientrano nel campo di applicazione dell’art. 26;

- se, infine, tale articolo 26 è fuori causa quando è diretto il rapporto fra lo studio associato e il

cliente.

Preliminare ad ogni altra considerazione di merito è la definizione di studio associato. Quest’ultimo

è generalmente un’associazione professionale tra soggetti autonomi (liberi professionisti, senza

dipendenti). In questo caso occorre far riferimento all’art. 2222 c.c. che prevede che ricorra la

figura del lavoratore autonomo quando una persona si obbliga a compiere dietro un corrispettivo

(1351 c.c.) un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di

subordinazione nei confronti del committente.

Tipici sono i casi di seguito elencati, purché la prestazione lavorativa venga svolta in assenza di

altri prestatori d’opera, con o senza contratto di lavoro subordinato:

- Agenti e rappresentanti;

- Agenzie immobiliari;

- Agenzie ippiche;

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- Agenzie marittime e aeree;

- Agenzie di assicurazioni;

- Agenzie di comunicazione;

- Agenzie di intermediazione immobiliare;

- Amministratori di condominio;

- Autoscuole;

- Studi di consulenza alla proprietà immobiliare;

- Studi professionali;

- Avvocati;

- Notai;

- Consulenti del lavoro;

- Medici;

- Commercialisti.

Con riferimento specifico agli studi professionali di infermieri, la Commissione, con la risposta

all’interpello in commento, rileva che la materia è oggi disciplinata dall’art. 10 della legge 12

novembre 2011 n. 183, che ha profondamente novellato la previgente disciplina - costituita dalla L.

23 novembre 1939 n. 1815 - eliminando lo storico divieto di costituire società per l’esercizio delle

professioni c.d. “ordinistiche” e prevedendo la possibilità di ricorrere ai modelli societari di cui ai

Titoli V e VI del Libro V del codice civile.

La forma organizzativa dell’associazione professionale (c.d. “studio associato”) disciplinata dalla L.

1815/39 è, invero, sopravvissuta alla riforma, essendo espressamente fatta salva dall’articolo 10

succitato: ne deriva, pertanto, che oggi è ancora possibile esercitare tali professioni nella forma di

“studio associato” costituito sotto la vigenza della L. 1815/39.

Quanto ai rapporti tra studi associati di infermieri e normativa prevenzionale, la Commissione

ricorda che l’articolo 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 81/08 definisce come “lavoratore” la “persona

che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito

dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al

solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi

domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di

società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso;

l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile (…)”.

La successiva lettera b), del medesimo articolo 2, definisce il “datore di lavoro” come il “soggetto

titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e

l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la

responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri

decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto

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legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i

poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui

quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di

vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli

uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di

omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro

coincide con l'organo di vertice medesimo”.

Fatte queste premesse la Commissione evidenzia come, al caso di specie, debba essere anche

considerato l’art. 3 del D.Lgs. 81/08, il quale, dopo avere esposto, al comma 4, che esso trova

applicazione nei confronti di tutti i “lavoratori e lavoratrici, subordinati ed autonomi”, statuisce al

comma 11 che: “Nei confronti dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del codice civile si

applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26”, dove l’art. 21 impone l’uso di attrezzature di

lavoro e dispositivi di protezione individuali conformi alle previsione del “Testo unico” e quello –

limitato alle ipotesi in cui il lavoratore svolga la propria prestazione in un luogo di lavoro ove si

“svolgano attività in regime di appalto o subappalto” – di “munirsi di apposita tessera di

riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità”.

L’art. 26 D.Lgs. 81/08 a sua volta si riferisce al lavoratore autonomo che operi all’interno di una

azienda altrui e, quindi, individuando e puntualizzando, “in una ottica di potenziamento della

solidarietà tra committente ed appaltatore gli obblighi dei datori di lavoro committenti ed

appaltatori nei contratti di appalto o d’opera o di somministrazione”.

In tale contesto la norma, per quanto con riferimento ad un obbligo a carico del datore di lavoro,

richiede al lavoratore autonomo il possesso di una determinata idoneità tecnico-professionale,

desunta anche (per quanto non esclusivamente) dalla iscrizione alla camera di commercio,

industria ed artigianato.

I lavoratori autonomi, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico

hanno facoltà di:

a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'articolo 41 del D.Lgs.

81/08, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;

b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati

sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all'articolo 37 del D.Lgs. 81/08,

fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.

La ricostruzione normativa operata nella risposta all’interpello in commento ha portato la

Commissione a ritenere che gli infermieri associati dovranno essere considerati assoggettati alla

disciplina dettata dall’articolo 21 del D.Lgs. 81/08, qualora gli stessi prestino la propria attività in

autonomia e “senza vincolo di subordinazione” nei confronti del committente o dell’associazione.

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In proposito si evidenzia che non sempre è agevole la distinzione tra lavoratore autonomo e

lavoratore subordinato. L’orientamento dottrinario prevalente ritiene che il criterio discretivo sia

determinato dalla "subordinazione", ovvero la «potenziale dipendenza totale» del lavoratore intesa

non solo come dipendenza alle direttive dell'imprenditore nell'attività specifica ma anche nella

persona stessa del lavoratore per cui questi, una volta inserito nell'organizzazione, è tenuto a

prestare la sua attività con continuità, può essere anche adibito ad altra attività (c.d. mutamento di

mansioni) purché equivalente, può essere trasferito ad altra sede, è tenuto all'osservanza di una

disciplina e nel caso di infrazioni può essere assoggettato a provvedimenti disciplinari: connotati

tutti questi che non ricorrono nel rapporto di lavoro autonomo dove le ingerenze del datore di

lavoro sulla sfera del lavoratore non raggiungono un grado così elevato. Ovviamente la

subordinazione in concreto si presenterà in forme più o meno intese e più o meno attenuate a

secondo del tipo di attività esplicata dal lavoratore. Così sarà certamente più coinvolgente per i

lavoratori svolgenti mansioni a carattere esecutivo e meno per i lavoratori esplicanti mansioni a più

elevato contenuto, quali quelle del medico e del professionista in genere, anche se nella realtà

concreta non mancano forme di forti condizionamenti dell'imprenditore anche su tali lavoratori e

ciò con grave discapito delle stesse regole tecniche e professionali nonché deontologiche.

Gli infermieri associati dovranno invece essere considerati “lavoratori”, come definiti all’art. 2,

comma 1, lett. a) del D.Lgs. 81/08, qualora svolgano la propria attività professionale “nell’ambito

dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato”, oppure prestino la propria attività per

conto di una società, un’associazione o un ente in qualità di soci lavoratori fermo restando il

rispetto della normativa giuslavoristica.

In proposito si ricorda che, nel caso in cui un lavoratore autonomo si avvalga di prestazioni

lavorative, anche non retribuite, di soggetti diversi, andranno applicati per intero tutti gli obblighi di

sicurezza disciplinati dal D.Lgs. 81/08, diversamente cadenzati in relazione al numero dei lavoratori

utilizzati. È il caso, ad esempio, dell’avvocato o del commercialista che utilizzi nel proprio studio

l’attività di uno o più praticanti: tale circostanza comporta l’equiparabilità del professionista

(avvocato o commercialista) alla figura del datore di lavoro e la conseguente applicazione degli

adempimenti di sicurezza per esso previsti.

Nei casi prospettati (studio associato di più professionisti con uno o più lavoratori alle dipendenze

dello studio associato) ricoprirà la qualifica di datore di lavoro, ai fini della sicurezza, il soggetto

titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e

l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la

responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri

decisionali e di spesa. Quindi, in sostanza, datore di lavoro sarà il professionista che formalmente

ha sottoscritto il contratto di assunzione del lavoratore.

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Gli obblighi di sicurezza variano in relazione al numero di lavoratori presenti. Assumendo un

numero inferiore a 10, e a titolo meramente esemplificativo, il datore di lavoro dovrà effettuare la

valutazione di tutti i rischi ed elaborare i documenti previsti e designare il responsabile del servizio

di prevenzione e protezione dai rischi (può ricoprire l’incarico anche lo stesso datore di lavoro). Il

datore di lavoro dovrà, inoltre (articolo 18, D.Lgs. 81/08):

- nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti.

- designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione

incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e

immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

- fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile

del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;

- richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle

disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione

collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

- adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio;

- adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;

- consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,

l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

- comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema

informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla

ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli

infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello

dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza al

lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino

un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della

denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria

contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

- adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di

lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla

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natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone

presenti;

- nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori

di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del

lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;

- aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che

hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della

tecnica della prevenzione e della protezione;

- comunicare annualmente all’INAIL i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

- vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla

mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità;

- comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema

informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, in caso di nuova elezione o

designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima

applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei

lavoratori già eletti o designati.

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Sicurezza e

interpelli - 2

Gli interpelli del mese di maggio

(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)

Lavori in appalto e modalità di verifica dell’avvenuta formazione

Ministero del Lavoro, Interpello n. 7 del 12 maggio 2016

L’articolo 97 del D.Lgs. 81/08 prevede che il datore di lavoro dell'impresa affidataria debba

verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle

prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Il successivo comma 3-bis del medesimo

articolo prevede poi che, per lo svolgimento delle predette attività, il datore di lavoro dell’impresa

affidataria, i dirigenti e i preposti devono essere in possesso di adeguata formazione.

Sul punto, la Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza

(Federcoordinatori) ha avanzato al Ministero del Lavoro istanza di interpello in merito alle “modalità

con le quali assicurare l’attuazione degli obblighi in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 100 del

D.Lgs. 81/08”. In particolare l’istante ha chiesto di sapere in che modo il committente ovvero il

responsabile dei lavori “possono assicurare che il datore di lavoro dell’impresa affidataria abbia

provveduto a formare adeguatamente: il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti per lo svolgimento

delle attività di cui all’art. 97 del D.Lgs. 81/08”.

Il Ministero del Lavoro, con Interpello n. 7 del 12 maggio 2016 – premessa una breve ricostruzione

dei vari obblighi normativi – ha evidenziato che il legislatore non ha stabilito il livello di formazione

minima degli addetti all’attuazione del citato art. 97.

Ha pertanto ritenuto che il committente o il responsabile dei lavori, acquisendo attraverso la

verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese (allegato XVII D.Lgs. 81/08) “il nominativo

del soggetto o i nominativi dei soggetti della propria impresa, con le specifiche mansioni, incaricati

per l’assolvimento dei compiti di cui all’articolo 97”, dovrà verificarne l’avvenuta specifica

formazione con le modalità che riterrà più opportune, anche attraverso la richiesta di eventuali

attestati di formazione o mediante autocertificazione del datore di lavoro dell’impresa affidataria.

Obblighi di sorveglianza sanitaria in caso di distacco

Ministero del Lavoro, Interpello n. 8 del 12 maggio 2016

Con Interpello n. 8 del 12 maggio 2016 il Ministero del Lavoro ha affrontato il tema della "corretta

interpretazione all’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs. 81/08”.

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In particolare il quesito che veniva posto al Ministero era di conoscere, “nei casi di distacco del

personale dalla società capogruppo a società controllate, o viceversa, su quale delle due società,

distaccante ovvero distaccataria, sorge l’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 D.Lgs.

81/08 e di tutti i procedimenti ad essa connessi e/o collegati”.

Con la risposta in commento il Ministero del Lavoro ha premesso che:

- l’art. 3 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che “nell’ipotesi di distacco del lavoratore di cui all’articolo 30

del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tutti gli obblighi di

prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del

distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo

svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato (...)”;

- l’art. 30 del D.Lgs. 276/03 prevede che “l'ipotesi del distacco si configura quando un datore di

lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a

disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa”.

Tanto premesso il Ministero ha ritenuto che, in caso di distacco dei lavoratori, gli obblighi in

materia di salute e di sicurezza sul lavoro incombono, in modo differenziato, sia sul datore di lavoro

che ha disposto il distacco che sul beneficiario della prestazione (distaccatario).

Sulla base della normativa indicata in premessa, sul primo grava l’obbligo di “informare e formare il

lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli

viene distaccato”.

Al secondo (distaccatario) spetta invece l’onere, a norma del medesimo articolo, di ottemperare a

tutti gli altri obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro inclusa, quindi, la sorveglianza

sanitaria.

Valutazione dei rischi da agenti chimici presenti sul luogo di lavoro

Ministero del Lavoro, Interpello n. 9 del 12 maggio 2016

Con l’Interpello in oggetto il Ministero del Lavoro si è espresso sulla possibilità, per il datore di

lavoro, di utilizzare il metodo indicato nel Manuale operativo pubblicato dall’Inail “Il rischio chimico

per i lavoratori nei siti contaminati” ai fini della valutazione e della gestione dei rischi da agenti

chimici pericolosi presenti a qualsiasi titolo nei siti contaminati e non impiegati in dirette attività di

bonifica.

Sul punto occorre premettere che il Manuale citato – predisposto dal Dipartimento Innovazioni

Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici (DIT) dell’INAIL –

contiene criteri e procedure utili per operare in sicurezza e per proteggere la salute dei lavoratori,

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presenti a qualsiasi titolo, in un sito contaminato o potenzialmente tale. In particolare, il manuale

operativo è finalizzato alla proposta di strumenti operativi per la valutazione e gestione del rischio

per la salute da esposizione ad agenti chimici per i lavoratori presenti a qualsiasi titolo su di un sito

contaminato o potenzialmente tale.

Si evidenzia che il documento riguarda la sola gestione del rischio chimico, ma il datore di lavoro

ha comunque l’obbligo di individuare tutte le possibili fonti di pericolo e valutare tutti i rischi ai

quali il lavoratore è potenzialmente esposto ai sensi del D.Lgs. 81/08.

Inoltre, nel manuale è stata presa in esame la procedura di gestione del rischio chimico ponendo

principalmente l’attenzione sugli aspetti legati alla salute, fermo restando l’obbligo di valutazione

del rischio per la sicurezza. Tale scelta è motivata dal fatto che essendo state individuate quali fonti

di pericolo il suolo insaturo e/o le acque sotterranee contaminate, ad eccezione di casi particolari, il

rischio per la salute risulta preponderante rispetto a quello per la sicurezza.

Nel caso in cui come fonti di pericolo si considerassero le sorgenti primarie di contaminazione, ossia

gli elementi causa dell’inquinamento (ad esempio accumuli di rifiuti, serbatoi, oleodotti, tubature,

interrati o fuori terra, contenenti sostanze pericolose), i rischi per la sicurezza potrebbero risultare

tutt’altro che trascurabili.

Quindi, l’applicazione di un corretto protocollo di gestione e la messa in atto, ove necessario, delle

misure di prevenzione e protezione, così come definite nei successivi capitoli e allegati del Manuale,

consente di garantire un adeguato livello di salute per i lavora tori esposti ad agenti chimici

provenienti da un suolo contaminato.

Il documento è articolato nel seguente modo:

- Nel capitolo 1 e relativi allegati (1.A, 1.B e 1.C) viene fornito un inquadramento normativo di

settore. In particolare vengono descritte le tipologie di attività che si possono svolgere in un sito

contaminato, o potenzialmente tale. Sono poi sinteticamente illustrati i documenti che è necessario

redigere per la valutazione dei rischi e gli adempimenti normativi da attuare per la tutela della

salute e della sicurezza dei lavoratori ai sensi del D.Lgs. 81/2008. Sono inoltre elencati i ruoli e le

responsabilità delle figure professionali coinvolte nelle attività di cantiere temporaneo e mobile.

- Nel capitolo 2 viene proposto un modello concettuale di valutazione del rischio chimico per i

lavoratori nei siti contaminati. Sono quindi descritte le potenziali sorgenti di contaminazione, le vie

di migrazione delle specie chimiche, i bersagli della contaminazione e le corrispondenti modalità

espositive.

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- Nel capitolo 3 e relativi allegati (da 3.A a 3.D) viene proposta una procedura per la valutazione e

gestione del rischio chimico per inalazione di vapori e polveri.

- Nel capitolo 4 viene proposta una procedura per la valutazione e gestione del rischio chimico per

contatto dermico.

Infine, nel capitolo 5 viene descritta la procedura per la gestione del rischio nelle fasi di indagine

del sito.

Il documento può essere utilizzato come strumento di supporto per l’esecuzione della valutazione

dei rischi, che il datore di lavoro è tenuto ad effettuare ai sensi del D.Lgs. 81/08 in riferimento alle

attività di bonifica dei siti contaminati.

Tanto premesso, il Ministero del Lavoro, con l’Interpello in commento, premette che:

- l’art. 2 del D.Lgs. 81/08 definisce la valutazione dei rischi come “valutazione globale e

documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito

dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate

misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il

miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”:

- l’art. 28, primo comma, del decreto in parola stabilisce l’obbligo che la valutazione dei rischi

debba riguardare “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”;

- l’art. 28 del D.Lgs. 81/08 impone al datore di lavoro di indicare nel documento redatto a seguito

della valutazione di cui all’art. 17, co 1, lett. a) del citato decreto, le “misure di prevenzione e di

protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati”.

Alla luce della normativa richiamata, il Ministero conclude che il manuale operativo “il rischio

chimico per i lavoratori nei siti contaminati” redatto dall’Inail nel 2014 propone una procedura utile

per la valutazione e gestione del rischio chimico ponendo essenzialmente l’attenzione sugli aspetti

legati alla salute, fermo restando l’obbligo di valutazione del rischio per la sicurezza.

Atteso che la scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, l’utilizzo

del manuale sopra indicato può costituire un valido riferimento per la relativa valutazione dei rischi

in tale tipologia di siti e soddisfi la previsione normativa.

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Gestione dell’amianto negli edifici

Ministero del Lavoro, Interpello n. 10 del 12 maggio 2016

Con Interpello n. 10 del 12 maggio 2016 il Ministero del Lavoro ha offerto alcune importanti

indicazioni in merito all’ambito di applicazione della normativa in tema di gestione dell’amianto

negli edifici, con riferimento alla Legge 27 marzo 1992 n. 257 ed al d.m. 6 settembre 1994.

Il tema affrontato dal Ministero riguarda, in particolare, il quesito se gli impianti tecnici produttivi,

strettamente correlati all’attività imprenditoriale e funzionali al ciclo di produzione delle attività ivi

esercite, rientrino o meno nella definizione di “impianti tecnici in opera all’interno ed all’esterno

degli edifici” di cui al D.M. 6 settembre 1994. Tale quesito nasce dalla circolare ministeriale n. 7 del

12 aprile 1995, emanata in risposta a dei quesiti pervenuti al Ministero della salute, che precisa che

“la normativa contenuta nel decreto ministeriale 6 settembre 1994, oltre che alle strutture edilizie

con tipologia definita nella premessa del decreto medesimo, si applica anche agli impianti tecnici

sia in opera all'interno di edifici che all'esterno, nei quali l'amianto utilizzato per la coibentazione di

componenti dell'impianto stesso o nei quali comunque sono presenti componenti contenenti

amianto”.

Con la risposta in commento, il Ministero del Lavoro premette che la legge 257/92 che dispone la

cessazione dell’impiego dell’amianto disciplina – direttamente ed attraverso il rinvio ad un apposito

decreto ministeriale attuativo – gli interventi relativi agli edifici nei quali siano presenti materiali o

prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile. La citata normativa rimanda ad un

successivo decreto del Ministro della Sanità, la regolamentazione degli strumenti necessari ai

rilevamenti e alle analisi del rivestimento degli edifici, nonché alla pianificazione e alla

programmazione delle attività di rimozione e di fissaggio e le procedure da seguire nei diversi

processi lavorativi di rimozione.

Il decreto attuativo emanato nel 1994 - d.m. 6 settembre 1994 – definisce in via preliminare il

proprio ambito applicativo, prevedendo in proposito che “la presente normativa si applica a

strutture edilizie ad uso civile, commerciale o industriale aperte al pubblico o comunque di

utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può

derivare una esposizione a fibre aerodisperse”. A maggior chiarimento, lo stesso decreto precisa

opportunamente che “sono pertanto esclusi da tale normativa gli edifici industriali in cui la

contaminazione proviene dalla lavorazione dell'amianto o di prodotti che lo contengono (quindi siti

industriali dismessi o quelli nei quali è stata effettuata riconversione produttiva) e le altre situazioni

in cui l'eventuale inquinamento da amianto è determinato dalla presenza di locali adibiti a

stoccaggio di materie prime o manufatti o dalla presenza di depositi di rifiuti” e la successiva

circolare ministeriale n. 7 del 12 aprile 1995 che “la normativa contenuta nel decreto ministeriale 6

settembre 1994, oltre che alle strutture edilizie con tipologia definita nella premessa del decreto

medesimo, si applica anche agli impianti tecnici sia in opera all'interno di edifici che all'esterno, nei

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quali l'amianto utilizzato per la coibentazione di componenti dell'impianto stesso o nei quali

comunque sono presenti componenti contenenti amianto”.

Ad avviso del Ministero, la legge n. 257/1992 e le relative precisazioni amministrative, ivi

compreso il riferimento agli “impianti tecnici in opera all’interno che all’esterno” è diretta ai soli

edifici, ed è da intendersi riservata ai soli impianti posti a servizio dell’edificio (ad es. impianti

termici, idrici, elettrici).

Pertanto, atteso che in ogni caso si vuole garantire la salubrità dell’ambiente e la salute dei

lavoratori, l’interpello in commento chiarisce che che eventuali materiali contenenti amianto

debbano essere gestiti:

- mediante l’applicazione delle disposizioni del d.m. 6 settembre 1994 da parte del

proprietario/conduttore e del D.Lgs. 81/08 da parte del datore di lavoro che opera nell’immobile,

nel caso di materiali contenenti amianto presenti in impianti funzionali all’immobile;

- attraverso le previsioni normative del D.Lgs. 81/08 a cura del Datore di Lavoro, nel caso di

materiali contenenti amianto presenti in impianti produttivi strettamente correlati all’attività

imprenditoriale e per questo non funzionali all’esercizio dell’immobile.

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Sicurezza e

interpelli - 3

Lavoratori mobili e sicurezza: il Ministero chiarisce solo a metà

il regime applicabile

(Mario Gallo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 19 maggio 2016)

Nell'ambito della già di per sè complessa disciplina sull'orario di lavoro il legislatore, com'è noto, ha

previsto per alcuni settori disposizioni particolari che tengono conto delle specificità che

caratterizzano l'esecuzione della prestazione lavorativa; è il caso, ad esempio, del lavoro prestato

dalla gente di mare la cui disciplina sull'orario di lavoro è contenuta in parte nel Dlgs n.108/2005

ed in parte nel Dlgs n.271/1999 e dei lavoratori mobili, dove si regista una coesistenza, non

sempre "pacifica", tra la disciplina generale del Dlgs n.66/2003, e quella speciale del Dlgs

n.234/2007.

Proprio in relazione al riposo giornaliero minimo da garantire al personale mobile nell'arco di 24 ore

l'Organizzazione Sindacati Autonomi e di base (OR.S.A.) ha presentato alla Commissione per gli

interpelli in materia di sicurezza sul lavoro (articolo 12 Dlgs n.81/2008) due quesiti in cui ha

chiesto di sapere se può il datore di lavoro, in deroga alle disposizioni del citato Dlgs n. 66/2003,

predisporre servizi per il personale mobile (personale che svolge attività connesse con la sicurezza)

che comprendano due distinte prestazioni lavorative intervallate con RFR (riposo fuori residenza)

senza la garanzia delle 11 ore di riposo giornaliero minimo previsto a partire dall'inizio della

prestazione e con una quantità di lavoro superiore alle 13 ore in un arco temporale di 24 ore, e se

può lo stesso datore di lavoro predisporre i servizi in parola senza una specifica valutazione del

rischio.

Il primo quesito francamente non appare molto chiaro; il riferimento, infatti, è al personale mobile,

ma non viene precisato altro tranne che svolge attività connesse con la sicurezza.

La Commissione, comunque, non ha fornito alcuna risposta in merito ritenendo non di sua

competenza tale materia in quanto si «...esprime su quesiti di ordine generale sull'applicazione

della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro e pertanto non ritiene di potersi

esprimere in merito a questioni riguardanti l'interpello di cui all'articolo 9 del Dlgs n. 124/2004».

In ordine a tale posizione assunta dalla Commissione sorgono, tuttavia, alcune perplessità in

quanto va ricordato che tutta la disciplina sull'orario di lavoro è finalizzata non solo a regolare i

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profili quantitativi della prestazione ma anche (e soprattutto) a porre dei limiti alla stessa proprio

per garantire la salute e la sicurezza del lavoratore.

Rapporto generale tra il Dlgs n.66/2003 e il regime speciale del Dlgs n. 234/2007 sul

lavoro mobile.

Al di là di ciò, tuttavia, sia pure in assenza di indicazioni da parte della Commissione è possibile

fare alcune considerazioni di carattere generale; la prima è che il Dlgs n. 66/2003, concernente

l'organizzazione dell'orario di lavoro, si applica in tutti i settori di attività pubblici e privati, con le

eccezioni previste dall'articolo 2, comma 1, tra le quali i «lavoratori mobili per quanto attiene ai

profili di cui alla direttiva 2002/15/CE».

Successivamente all'entrata in vigore del Dlgs n. 66/2006, la direttiva 2002/15/CE è stata recepita

nell'ordinamento italiano con il Dlgs n. 234/2007, concernente i «profili di disciplina del rapporto di

lavoro connessi all'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni

mobili di trasporto» (articolo 1), e secondo l'articolo 2, comma 1, di tale decreto lo stesso trova

applicazione «ai lavoratori mobili alle dipendenze di imprese... che partecipano ad attività di

autotrasporto di persone e merci su strada contemplate dal regolamento (CE) n. 561/06».

Di conseguenza attualmente il Dlgs n.66/2006 definisce il regime generale in materia di lavoro,

mentre il Dlgs n.234/2007 e il regolamento (CE) n.561/2006 del 15 marzo 2006 – che fissa una

serie articolata di paletti finalizzati al corretto contenimento dei tempi di guida a tutela sia del

lavoratore che dei terzi – quello speciale per i lavatori mobili.

Il campo di applicazione del Dlgs n.234/2007.

Occorre considerare che, tuttavia, non tutti i lavoratori mobili rientrano nella disciplina del Dlgs

n.234/2007; si consideri, infatti, che in base a quanto dispone il citato il regolamento (CE)

n.561/2006, rientrano nel campo applicativo del Dlgs n.234/2007, le attività di trasporto su strada:

a) di merci, effettuato da veicoli di massa massima ammissibile, compresi eventuali rimorchi o

semirimorchi, superiore a 3,5 tonnellate;

b) di passeggeri effettuato da veicoli che, in base al loro tipo di costruzione e alla loro attrezzatura,

sono atti a trasportare più di nove persone compreso il conducente e destinati a tal fine (art. 2).

Lo stesso regolamento (CE) n. 561/2006, stabilisce inoltre all'articolo 3 i casi non regolati da tale

disciplina e, dunque, esclusi anche dal campo di applicazione della direttiva n. 2002/15/CE e, con

riferimento al diritto interno, del Dlgs n. 234/2007; di conseguenza se l'attività ricade in tale

ambito di esclusione trova applicazione la disciplina generale del Dlgs n. 66/2003.

Pertanto il Dlgs n. 234/2007 è applicabile a tutti i lavoratori di aziende che svolgono autotrasporto

di persone o merci, purché effettuino spostamenti (escluso, quindi, il personale addetto

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esclusivamente a mansioni di tipo amministrativo) e, ovviamente, purché le attività rientrino nel

campo di applicazione del citato Regolamento (CE) n. 561/2006.

L'elemento rilevante, pertanto, non è tanto l'attività espletata dall'impresa bensì le concrete attività

svolte dai lavoratori mobili; in relazione a tali profili giova, inoltre, ricordare anche che già in

passato il ministero del Lavoro si è espresso nell'interpello 20 marzo 2009, n. 27, discostandosi da

un suo precedente orientamento (cfr. ministero del Lavoro, interpello 9 novembre 2006), in cui ha

escluso l'applicabilità contestuale delle due differenti discipline.

In altri termini troverà applicazione l'una o l'altra normativa e la scelta sul regime applicabile deve

essere orientata da un criterio di prevalenza rispetto alle attività normalmente svolte dal lavoratore

interessato; sul piano operativo, pertanto, sarà il datore di lavoro a dover stabilire se trovano

applicazione le disposizioni del Dlgs n. 66/2003, oppure del Dlgs n. 234/2007, verificando se il

lavoratore svolga «normalmente e prevalentemente» un`attività compresa nel campo di

applicazione dell’una o dell’altra normativa, con la precisazione sempre da parte del Ministero che

laddove tale operazione risulti particolarmente complessa si suggerisce di applicare la disciplina di

maggior tutela per il lavoratore.

I vincoli del Dlgs n.66/2003 e del Dlgs n. 247/2007.

Di conseguenza, se l'attività del lavoratore mobile rientra nel campo applicativo del Dlgs n.

66/2003, il datore di lavoro dovrà osservare tassativamente il regime limitativo definito dagli

articoli 7, 8 e 9; si osservi, in particolare, che secondo quanto prevede l'articolo 7, ferma restando

la durata normale dell'orario settimanale (cfr. articolo 3), il lavoratore ha diritto a undici ore di

riposo consecutivo ogni ventiquattro ore e il riposo giornaliero deve essere fruito in modo

consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o

da regimi di reperibilità.

Qualora, invece, l'attività sia attratta da campo di applicazione del Dlgs n. 247/2007, il riferimento

è alla disciplina limitativa di tale decreto tenendo altresì presente che l'articolo 8, comma 6, del

predetto Regolamento (CE) n. 561/2006, stabilisce che nel corso di due settimane consecutive i

conducenti effettuano almeno due periodi di riposo settimanale regolare, oppure un periodo di

riposo settimanale regolare ed un periodo di riposo settimanale ridotto di almeno 24 ore; la

riduzione è, tuttavia, compensata da un tempo di riposo equivalente preso entro la fine della terza

settimana successiva alla settimana in questione.

Inoltre, il successivo comma 7 dell'articolo 8 stabilisce che qualsiasi riposo preso a compensazione

di un periodo di riposo settimanale ridotto è attaccato a un altro periodo di riposo di almeno 9 ore;

alla luce di ciò occorre anche ricordare che nella Circolare 29 aprile 2015, prot. n. 37/0007136, il

ministero del Lavoro ha fatto rilevare che il testo della norma, nella sua versione letterale, non

impedisce di considerare compensata la riduzione del riposo settimanale anche attraverso la

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«fruizione del riposo equivalente in più frazioni, a condizione che le stesse siano prese entro la fine

della terza settimana successiva e che siano attaccate ad un altro periodo di riposo di almeno nove

ore».

Orario di lavoro e obbligo della valutazione dei rischi.

Per quanto, invece, riguarda infine il secondo quesito inoltrato da OR.S.A., la Commissione anche

in questo caso ha ritenuto di non potersi esprimere completamente «...in quanto lo stesso non è di

carattere generale poiché correlato ad una specifica situazione organizzativa» e si è limitata a

richiamare l'applicabilità del principio generale per il quale la valutazione dei rischi non può non

tener conto degli aspetti connessi all'organizzazione del lavoro.

Sotto tale profilo si consideri, infatti, che poiché la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la

salute e la sicurezza dei lavoratori (articolo 28, comma 1, Dlgs n.81/2008) il datore di lavoro deve

prendere in considerazione ancora con maggiore attenzione gli orari dei turni di lavoro, quando si

tratta di autotrasporto, in quanto consentono di stabilire l'entità del rischio trasversale di tipo

organizzativo e da stress lavoro-correlato ai quali sono esposti i lavoratori addetti alla guida e di

supporto e, conseguentemente, adottare le necessarie misure di prevenzione e protezione.

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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Sicurezza ed

Europa

La campagna europea "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni

età"

(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 5 maggio 2016)

La Commissione europea e l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), in

collaborazione con la presidenza nederlandese dell'UE, hanno lanciato il 15 aprile 2016 a Bruxelles

una campagna paneuropea di durata biennale dal titolo "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni

età". La campagna, la più ampia al mondo in questo settore, promuove il lavoro sostenibile e la

sicurezza e la salute sul lavoro nel contesto dell'invecchiamento della popolazione attiva, e ci

ricorda che i giovani lavoratori di oggi saranno i lavoratori anziani di domani.

La campagna "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età" persegue quattro obiettivi principali:

- promuovere il lavoro sostenibile e l'invecchiamento in buona salute fin dall'inizio della vita

lavorativa;

- prevenire i problemi di salute nel corso dell'intera vita lavorativa;

- offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori modalità per gestire la sicurezza e la salute sul lavoro nel

contesto di una forza lavoro che invecchia;

- incoraggiare lo scambio d'informazioni e buone prassi.

Il tema proposto è innovativo ma, al tempo stesso, di assoluta attualità. La forza lavoro europea

sta infatti invecchiando, l'età pensionabile sta crescendo e le vite lavorative probabilmente si

allungheranno. Il lavoro è positivo per la salute fisica e mentale, e una buona gestione della

sicurezza e salute sul lavoro incrementa la produttività e l'efficienza. Il cambiamento demografico

può tuttavia causare problemi, ma garantire una vita professionale sostenibile aiuta a far fronte a

queste sfide.

Questa campagna si propone quindi di sensibilizzare sull’importanza di una buona gestione della

sicurezza e della salute sul lavoro nel corso della vita lavorativa e di adattare il lavoro alle abilità

individuali, dall’inizio al termine della vita lavorativa.

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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Tramite un'adeguata gestione della sicurezza e delle diversità che contraddistinguono la forza

lavoro, è possibile infatti ottenere un invecchiamento sano nel luogo di lavoro e un pensionamento

in buona salute.

Su questo fronte numerosi possono essere gli interventi da realizzare in azienda. Si pensi, ad

esempio:

- alla considerazione della diversità di età nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro e nella

gestione delle risorse umane (ad esempio attraverso politiche di gestione dell’età);

- alla valutazione del rischio sensibile all’età e il conseguente adattamento dei luoghi di lavoro;

- allo sviluppo e all’attuazione di interventi e/o strumenti pratici per la gestione di una forza lavoro

che invecchia;

- alla prevenzione della disabilità e alle politiche o misure per il reinserimento sul lavoro;

- alle misure specifiche indirizzate ai lavoratori in età avanzata e/o legate ai pericoli e rischi

specifici per i lavoratori più anziani.

In proposito si consideri che il legislatore ha considerato l’età (assieme al genere, allo stress-lavoro

correlato, etc.) come uno dei parametri fondamentali per una corretta valutazione dei rischi.

Grande attenzione deve quindi essere prestata alla valutazione dei rischi cui sono esposti i

lavoratori che superano i 45/50 anni definiti atecnicamente “maturi”.

In conseguenza di alcune oggettive caratteristiche psicofisiche, tali lavoratori risultano infatti

maggiormente vulnerabili ai pericoli connessi a determinate condizioni di lavoro e per tale motivo,

a seguito di una specifica valutazione dei rischi, per essi devono essere predisposte misure

tecniche, organizzative e procedurali capaci di tutelare adeguatamente la loro salute e sicurezza.

L’individuazione del limite dei 50 anni quale parametro in base al quale stabilire uno specifico

obbligo di valutazione discende dallo stesso D.Lgs. 81/08 che impone (comma 3 dell’art. 176) al

datore di lavoro l’obbligo di sottoporre i lavoratori addetti al videoterminale che abbiano compiuto il

cinquantesimo anno di età alla visita medica di idoneità alla mansione non più ogni 5 anni, bensì

ogni 2 anni, riconoscendo, evidentemente, nel superamento di tale soglia di età, un maggiore

rischio per l’apparato visivo del lavoratore addetto a tali attrezzature.

I cambiamenti dovuti all’età possono essere letti in positivo (accresciuta esperienza lavorativa,

maggiori competenze professionali e interrelazionali maturate, arricchita sensibilità verso gli

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interessi dell’azienda) ma va tenuto presente che alcune capacità funzionali, fisiche e sensoriali

diminuiscono per effetto del processo di invecchiamento. Questi eventuali possibili cambiamenti

delle capacità funzionali devono essere presi in considerazione nella valutazione dei rischi e per far

fronte a tali cambiamenti potrebbero essere modificati l’ambiente di lavoro e i compiti lavorativi.

I cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età variano da soggetto a soggetto e pertanto i

lavoratori più anziani non costituiscono un gruppo omogeneo in quanto possono sussistere

differenze considerevoli tra persone dalla stessa età.

Molti cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età sono più rilevanti in alcune attività

professionali rispetto ad altre. Ad esempio i cambiamenti dell’equilibrio, di una riduzione della

capacità di valutare le distanze od oggetti in movimento hanno implicazioni per i dipendenti che

effettuano lavori pesanti o guida notturna, ma non hanno influenza su una attività d’ufficio.

La valutazione dei rischi con riferimento alle differenze di età, deve tener conto dei possibili

cambiamenti delle capacità funzionali e dello stato di salute.

I rischi riguardanti i lavoratori più anziani possono comprendere in particolare:

- lavoro fisico pesante;

- pericoli connessi al lavoro a turnazione;

- lavoro in ambienti rumorosi o in condizioni di temperatura bassa o elevata.

Quando le capacità cambiano, anche il lavoro deve subire delle modifiche compensative, quali ad

esempio:

- una riprogettazione o una rotazione del lavoro;

- brevi pause più frequenti;

- una migliore organizzazione dei turni lavorativi;

- un più frequente controllo dell’illuminazione e dei rumori;

- una buona ergonomia dei macchinari.

Una valutazione dei rischi per le categorie di lavoratori maggiormente esposti, che elimini i rischi e

affronti i pericoli all’origine, va a vantaggio di tutti i lavoratori indipendentemente dall’età, dal

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sesso, dalla nazionalità e dalle caratteristiche fisiche. Ecco alcuni ulteriori esempi di misure che

potrebbero avvantaggiare l’intera forza lavoro:

- adeguamenti dei locali o delle postazioni di lavoro (per accogliere lavoratori anziani, ecc.), per

esempio installando rampe di accesso, ascensori, interruttori di illuminazione e scalini bordati di

una vernice chiara ecc.;

- adozione di strumenti più ergonomici (adattabili alle specificità di ciascun lavoratore

indipendentemente dalla statura e dalle caratteristiche). In tal modo il lavoro o il compito possono

essere svolti da una gamma più ampia di lavoratori (donne, lavoratori anziani, persone di bassa

statura ecc.), per esempio rendendo necessaria una minore forza fisica;

- fornitura di tutte le informazioni in materia di salute e di sicurezza in formati accessibili (allo

scopo di renderle più comprensibili ai lavoratori immigrati);

- elaborazione di metodi e strategie per mantenere in attività in particolare i turnisti anziani; tali

strategie avvantaggeranno tutti i lavoratori (indipendentemente dall’età) e renderanno il lavoro a

turni più accettabile per i nuovi dipendenti.

Una particolare attenzione deve essere poi prestata alla formazione, dove, sul piano psicologico e

motivazionale il lavoratore ultra50enne potrà trovare nuovi stimoli non solo nell’acquisire ulteriori

conoscenze, ma anche nel riscoprire un ruolo attivo nel proprio contesto lavorativo.

Sul piano della partecipazione attiva la formazione diventa così un elemento fondamentale per

rendere i lavoratori maturi in grado di rispondere alle trasformazioni del mercato del lavoro e del

contesto lavorativo con abilità, conoscenze e competenze adeguate.

Parallelamente alla campagna “Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età 2016 -2017”, l’Agenzia

europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha invitato a presentare le candidature per la 13a

edizione del premio per le buone pratiche. Il concorso si prefigge di assegnare un riconoscimento

alle organizzazioni che forniscono un contributo eccezionale e innovativo per la sicurezza e la salute

sul lavoro sul tema dell’invecchiamento della forza lavoro e mira a dimostrare i vantaggi di una

buona sicurezza e salute sul lavoro, fungendo da piattaforma per lo scambio di informazioni sulle

buone pratiche e la loro promozione in tutta Europa.

Esso si propone inoltre di dare risalto agli esempi di organizzazioni che si sono distinte nella

gestione attiva della salute e sicurezza sul lavoro nel contesto dell’invecchiamento della forza

lavoro.

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Vengono accettate le candidature di datori di lavoro e lavoratori provenienti da tutti i paesi europei,

nonché di intermediari quali parti sociali, operatori e professionisti del settore della salute e della

sicurezza e consulenti in materia di gestione della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

Tra gli elementi che verranno presi in considerazione, la giuria ricercherà elementi che comprovino

i seguenti aspetti:

- un approccio olistico alla sicurezza e salute sul lavoro, comprendente tutti gli aspetti della

gestione dell’età;

- un approccio alla prevenzione durante tutto l’arco della vita;

- miglioramenti concreti e dimostrabili nel campo della sicurezza e della salute e del benessere sul

lavoro;

- la partecipazione e il coinvolgimento effettivi della forza lavoro e dei relativi rappresentanti;

- l’attribuzione della priorità alle misure collettive nell’ambito degli interventi, con particolare

attenzione all’individuo (la promozione della salute deve essere coniugata alla tutela della salute);

- la sostenibilità dell’intervento nel tempo;

- la trasferibilità ad altri luoghi di lavoro (in altri Stati membri, in settori differenti e in diverse

dimensioni di impresa);

- la novità (l’intervento deve essere recente oppure poco pubblicizzato).

Inoltre, l’intervento deve soddisfare, e possibilmente superare, i pertinenti requisiti di legge dello

Stato membro in cui è stato messo in atto. Prodotti, strumenti e servizi sviluppati per scopi

commerciali non saranno presi in considerazione nell’ambito del concorso.

I vincitori riceveranno il premio in occasione di una cerimonia che si terrà nell’aprile 2017, durante

la quale saranno inoltre presentati i risultati raggiunti da tutti i partecipanti.

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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Sicurezza

e INAIL

Inail conferma il taglio delle tariffe

(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 27 maggio 2016)

Inail è pronta a confermare la riduzione tariffaria introdotta dal Governo Letta con la legge di

Stabilità 2014 come misura ponte e che ha garantito un taglio in termini cumulati di 3,3 miliardi del

cuneo fiscale e contributivo per circa 2,7 milioni di imprese.

Lo hanno anticipato al Sole 24Ore il presidente dell'Istituto assicurativo pubblico, Massimo De

Felice, e il direttore generale, Giuseppe Lucibello. «I dati degli ultimi esercizi ci rendono confidenti

che le ultime verifiche in corso saranno positive per una conferma del taglio sulle tariffe

obbligatorie, fermo restando che l'impatto finanziario di questa misura continuerà ad essere

monitorato negli anni a venire e dovrà essere compatibili con i ratios dell'Istituto» ha spiegato

Massimo De Felice, che presenterà la Relazione annuale dell'Inail il 22 giugno, a pochi giorni dalla

scadenza del suo mandato.

La riduzione delle tariffe, di cui in questi anni hanno beneficiato l'80% circa delle imprese che

compongono il portafoglio Inail (sono 3,25 milioni), è oscillato tra il 14 e il 16% ed è stata

finanziata anno dopo anno con 500 milioni di euro a carico dell'Inail e a regime con 700 milioni di

trasferimenti statali.

Il taglio, che quest'anno è arrivato al valore di 1,2 miliardi, era soggetto appunto a una verificare di

sostenibilità economica, finanziaria e attuariale che sembra acquisita. La buona notizia arriva in

coincidenza con il click day (si veda altro articolo in pagina) che ha suggellato il sesto bando Isi per

finanziare investimenti destinati a migliorare gli standard di salute e sicurezza nelle imprese; una

iniziativa che erogato finanziamenti a fondo perduto per un valore di oltre 1,2 miliardi tra il 2010 e

il 2015.

Il taglio strutturale della quota Inail del cuneo è al netto di un altro sconto di cui hanno potuto

beneficiare migliaia di imprese (negli ultimi quattro anni, s'è partiti da 28mila nel 2010 per arrivare

alle oltre 52mila nel 2014; ultimo anno per il quale sono stati resi disponibili i dati, con uno sconto

complessivo di quasi 1,4 miliardi in termini cumulati). Si tratta della cosiddetta “oscillazione per la

prevenzione”, uno sconto riconosciuto alle imprese che hanno realizzato migliorie delle condizioni di

sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro andando oltre i livelli minimi previsti dalla legge: «e

quest'anno la procedura è stata ulteriormente semplificata, riducendo il numero delle sezioni e

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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utilizzando voci puntuali che contengono chiarimenti e definizioni, per evitare incertezze

interpretative» hanno spiegato i vertici dell'Istituto.

Inail nel corso del 2016 garantirà altri finanziamenti a favore delle imprese che investono in

sicurezza. Con bando in corso Fipit verranno distribuiti 30 milioni alle piccole e medie imprese

(comprese quelle individuali) attive nei settori dell'agricoltura, dell'edilizia e dell'estrazione e

lavorazione dei marmi, mentre entro luglio scatterà il bando per finanziare investimenti in

tecnologia e macchinari agricoli (45 milioni del Fondo innovazione previsto in Stabilità 2016). Resta

infine il bando per progetti formativi nelle Pmi sempre finalizzato al rafforzamento delle conoscenze

e delle pratiche per la salute e la sicurezza (14,5 milioni resi disponibili e il termine per le domande

di ammissione è stato prorogato fino al 10 agosto).

Nella prospettiva delle nuove iniziative cui sta lavorando il Governo per rafforzare i canali di

finanziamento non bancario alle imprese, l'atteso decreto «finanza per la crescita 2.0», Inail

potrebbe giocare un doppio ruolo come ente nazionale. «Stiamo guardando con grande interesse

all'ipotesi di partecipazioni dirette in quote di capitale di start up che potrebbero essere costituite

nei prossimi mesi a partire dalla realizzazione della mano robotica sviluppata con una

collaborazione tra Inail e l'Iit di Genova» spiega il presidente De Felice. Operazioni di private equity

che potrebbero estendersi ad altre iniziative sul fronte delle tecnologie riabilitative e della sicurezza

sul lavoro «sostenute – precisa il presidente – tenendo conto che Inail sarebbe un investitore

istituzionale e dunque di lungo periodo, attento però a valutare la compatibilità di ogni

partecipazione con i coefficienti di rischio e di solvibilità che dobbiamo rispettare».

L'altro canale di finanziamento alternativo che si dischiude per Inail lo indica il direttore, Giuseppe

Lucibello: «Inail è autorizzata ad investire su un portafoglio titoli per un miliardo cui si aggiungono

460 milioni di disponibilità liquide. Ebbene di queste somme potrebbero essere resi disponibili circa

800 milioni per investimenti alternativi, sempre naturalmente compatibili la natura pubblica

dell'ente e nel rispetto dei vincoli di sostenibilità finanziaria e patrimoniale dell'Istituto».

Inail ha poi diversi miliardi destinati al settore immobiliare. E vale infine ricordare che le riserve

tecniche dell'Istituto ammontano a circa 27 miliardi, di cui 24 vincolati a deposito in Tesoreria unica

con rendimento nullo. Uno svincolo graduale di queste risorse sarebbe tuttavia possibile se

utilizzato in investimenti in economia reale capaci di compensare l'impatto sul debito pubblico e il

fabbisogno.

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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Sicurezza e unità

produttiva

Posizione assicurativa senza certezze

(Nevio Bianchi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 17 maggio 2016)

Non solo l’Inps, anche l’Inail ha scelto di individuare l’unità produttiva tenendo conto della

definizione che la magistratura ne ha dato con riferimento all’articolo 35 dello Statuto del

lavoratori. Solo che le finalità delle norme non sono esattamente le stesse.

Nello statuto dei lavoratori l’esigenza era di individuare il campo di applicazione delle tutele in

particolare con riferimento al licenziamento o al trasferimento. È lo stesso legislatore che, a questi

fini, ritiene che la sede di lavoro, lo stabilimento, la filiale, l’ufficio o reparto debbano essere

caratterizzati da «autonomia» e giustamente la magistratura ha dato particolare rilevanza a questo

aspetto.

Per quanto riguarda gli enti previdenziali, invece, si tratta di definire una sede di lavoro rilevante ai

fini degli adempimenti assicurativi, previdenziali e della sicurezza sul lavoro e forse i parametri

dovrebbero essere più oggettivi che organizzativi. Il rischio è rendere difficile l’individuazione delle

sedi di lavoro a cui fanno capo obblighi assicurativi perché bisogna misurare l’autonomia, il grado

di completezza del ciclo produttivo (se c’è un ciclo produttivo) la sostanziale indipendenza tecnica:

tutti concetti non di facile misurazione.

A questo si aggiunge la non chiarezza delle disposizioni amministrative. Emblematica è la

situazione dell’Inail dopo la riforma organizzativa definita dal decreto legislativo 38/2000 che

introdusse le «posizioni assicurative territoriali» e che, secondo lo stesso Istituto, dovevano essere

istituite (circolare 9/2002) in ogni sede di lavoro, intesa come «unità produttiva» secondo la

definizione dell’articolo 2, comma 1, lettera i) del Dlgs 626/1994 , e cioè ogni stabilimento e ogni

struttura facente capo alla medesima azienda e dotata di autonomia finanziaria e tecnico

funzionale.

Da questa impostazione ne consegue che ci dovrebbe essere coincidenza tra sede di lavoro intesa

come unità produttiva e la posizione assicurativa territoriale (Pat). Successivamente, tuttavia, lo

stesso Istituto si è riproposto il problema dell’unità produttiva, per via dei richiami e degli obblighi

previsti dal decreto legislativo 81/2008, e ha invitato nuovamente le aziende a segnalare le proprie

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Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6

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unità produttive (circolare 69/2012) attraverso una specifica procedura, non tenendo conto che le

stesse erano già individuate, almeno così sembrava, attraverso le Pat.

La confusione aumenta quando nelle “Faq” relative alla unità produttive si trova scritto che «si

ricorda inoltre che per ogni Pat si possono associare una o più unità produttive e che per ogni unità

produttiva si possono associare una o più Pat». Sarebbe il caso a questo punto che venisse chiarito

con riferimento a quale entità debba essere istituita la posizione assicurativa territoriale.

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Sicurezza

estesa - 1

Misure di prevenzione estese a tutti gli «atipici»

(Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)

Le norme previste per la sicurezza sul lavoro si applicano sempre: non solo quando nell’ambiente

di lavoro sono presenti dipendenti ma anche quando ci sono altre persone legate all’azienda da un

rapporto giuridico diverso da quello di natura subordinata, o parenti che aiutano il datore di lavoro

in modo occasionale. Anche queste persone sono considerate infatti lavoratori, o ad essi equiparati.

È il principio generale che si desume dalla legislazione, confermato anche dalla giurisprudenza più

recente.

Il quadro normativo

L’articolo 2 comma 1 lettera a) del Dlgs 81/2008 considera come lavoratore ai fini della sicurezza

sul lavoro qualsiasi persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di rapporto, svolga

un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato. Ciò

anche se la persona partecipa all’attività al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una

professione.

Il legislatore, inoltre, estende la tutela prevenzionale anche agli “equiparati”, intendendo per tali,

ad esempio, il socio lavoratore di cooperativa o di società che presta la sua attività per conto delle

società e dell’ente stesso, l’associato in partecipazione (articolo 2549 del Codice civile), il soggetto

beneficiario di tirocini formativi e iniziative di orientamento previste da leggi, l’allievo degli istituti

di istruzione e universitari e il partecipante a corsi di formazione professionale nei quali si faccia

uso di laboratori, attrezzature di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici, comprese le

apparecchiature con videoterminali.

Soci di fatto e irregolari

La giurisprudenza di Cassazione ha esplicitato questo principio in modo articolato. Così, la sentenza

11388/2016, consolidando principi espressi da giurisprudenza precedente (17218/2009,

37840/2009), ha stabilito che il Dlgs 81/2008 protegge anche l’artigiano-socio di fatto, perché la

normativa antinfortunistica si applica anche all’equiparato che sia socio di fatto, prestando la sua

attività per conto di una società.

La sentenza 12678/2016 ha deciso nel senso che la disciplina antinfortunistica si applica anche al

lavoratore “in nero”. In questo caso, la Cassazione riconosce come logico il ragionamento del

giudice di merito che, sulla base di obiettivi e univoci riscontri alle dichiarazioni accusatorie della

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persona offesa, ha escluso l’incidente domestico e ha ritenuto soggetto a tutela il lavoratore privo

di contratto, quindi “in nero”, che aveva prestato attività lavorativa nell’organizzazione di un

datore.

In chiave più generale, la sentenza della Cassazione 18073/2015 ha specificato che è lavoratore ai

fini della sicurezza sul lavoro chi è autorizzato ad accedere nell’ambiente di lavoro (nel caso

specifico un cantiere), chi vi accede per ragioni connesse all’attività lavorativa e chi si reca o sosta

anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.

Analogamente, la pronuncia 45056/2015 ha stabilito che anche gli “irregolari” rientrano nella tutela

prevenzionale, giudicando convincente la sentenza di merito che ha ritenuto meritevole di

protezione per la sicurezza anche il lavoratore irregolare che si sia infortunato, qualora egli, anche

se immigrato clandestino, risultasse svolgere attività lavorativa in base a congrui elementi (quali il

rapporto relativo all’infortunio del servizio di prevenzione e sicurezza e la testimonianza della

moglie del titolare dell’impresa).

Collaborazioni saltuarie

Nella decisione 17581/2010 la Corte ha riconosciuto che la normativa antinfortunistica tutela la

sicurezza in tutte le forme di lavoro, ivi compresa quella di chi collabori saltuariamente e al di fuori

di un formale rapporto di lavoro.

Anche in questo caso, la mancanza di un formale rapporto di lavoro tra la vittima dell’infortunio

(nel caso peculiare il figlio del titolare) e il titolare dell’attività non esclude la responsabilità del

datore di lavoro per la sicurezza.

È molto interessante la sentenza 11487/2016 che ha confermato la condanna di un titolare di

laboratorio di analisi, indipendentemente dal fatto che al momento del controllo ispettivo non

fossero presenti lavoratori.

Il principio, anche in questo caso, è che l’obbligo del datore di garantire la sicurezza nel luogo di

lavoro si estende a tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, indipendentemente dalla

forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione.

LE PRONUNCE

L’ISPEZIONE IN ASSENZA DI DIPENDENTI

Il titolare di un laboratorio di analisi è condannato dai giudici di merito per non avere applicato la

normativa sulla prevenzione, indipendentemente dal fatto che, al momento del controllo ispettivo,

non ci fossero lavoratori. La Cassazione ha confermato la decisione di merito, stabilendo che

l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro sussiste in relazione ai

soggetti che collaborano nell’impresa, al di là della forma giuridica usata per la loro prestazione.

Corte di cassazione, sezione VII penale, sentenza 11487/2016

LA COLLABORAZIONE DEL FAMILIARE ALL’ATTIVITÀ

Il giovane figlio di un panettiere presta aiuto, saltuariamente, nel laboratorio del padre e si

infortuna mentre lavora con un macchinario. Il genitore viene condannato dai giudici di merito,

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poiché il figlio, ai fini della sicurezza sul lavoro, è ritenuto un lavoratore e il padre datore di lavoro.

La Cassazione, nel ribadire la decisione, stabilisce che anche chi collabora saltuariamente

nell’impresa familiare, pur essendo privo di un formale rapporto giuridico si considera lavoratore, ai

fini della normativa di prevenzione.

Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 17581/2010

L’ARTIGIANO SOCIO DI FATTO

Un artigiano che lavora su un tetto cade e perde la vita. I giudici di merito condannano il titolare

dell’impresa incaricata del rifacimento della struttura, ritenendolo datore di lavoro di fatto. La

Cassazione dà ragione ai giudici e, anche confermando un precedente orientamento

giurisprudenziale, stabilisce che la normativa antinfortunistica si applica anche ai soggetti che le

norme di legge equiparano ai dipendenti, tra i quali rientrano i soci, anche di fatto, che prestino la

propria attività per conto di una società.

Corte di cassazione, sezione IV penale sentenza 11388/2016

IL FALSO INCIDENTE DOMESTICO

In seguito a un infortunio, i giudici di merito condannano il titolare dei lavori sulla base di vari

elementi (tra cui la dichiarazione del lavoratore, il luogo in cui è stato ricoverato in ospedale, il tipo

di infortunio e le dichiarazioni di un testimone), sostenendo che non si tratta di un infortunio

domestico, bensì di lavoro in cantiere, e considerando il titolare come datore. La Cassazione

conferma la coerenza della sentenza, avendo essa riconosciuto l’infortunato come lavoratore ai fini

della sicurezza, in base agli indicatori considerati.

Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 12678/2016

IL LAVORATORE SENZA CONTRATTO

Un lavoratore irregolare, privo di contratto, si infortuna mentre sta tagliando legna in un deposito.

La Cassazione ritiene adeguata la motivazione della sentenza che condanna il titolare, riconosciuto

come datore. La sentenza era fondata sulle dichiarazioni rese dall’infortunato e su quanto emerso

dal «rapporto relativo all’infortunio» del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro dell’Asl

e aveva ritenuto inverosimile la testimonianza secondo cui l’irregolare, dopo essersi presentato

spontaneamente, avesse utilizzato «invito domino» un macchinario dell’azienda.

Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 45056/2015

L’OBBLIGO DI TUTELA SI ESTENDE AGLI ESTRANEI

Un bambino di nove anni entra in un cantiere da un varco nella recinzione. Salito su un solaio,

precipita attraverso un lucernaio e muore. I giudici condannano il datore dell’impresa esecutrice dei

lavori, precisando che le misure di prevenzione antinfortunistiche sono poste a tutela anche delle

persone estranee, il cui ingresso in un cantiere, vicino alla strada pubblica e in un quartiere

popoloso, è prevedibile.

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La Cassazione, nel confermare la condanna, ribadisce che la qualità di estraneo non è di per sé

incompatibile con l’esistenza di un dovere di protezione in carico al datore.

Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 43168/2014

L’INFORTUNIO DEL COMMITTENTE

Il committente di un lavoro si infortuna gravemente, usando la minipala del titolare dei lavori, che

è quindi condannato. La Cassazione ribadisce la condanna, perché le norme prevenzionali sono

nell’interesse di tutti, compresi gli estranei occasionalmente presenti nell’ambiente lavorativo.

Questo principio, per la Corte, vale anche nel caso in cui l’infortunato sia il committente dell’opera,

poiché non si può sostenere un esonero da responsabilità basato sulla pretesa impossibilità di

impedire la presenza “in loco” del committente.

Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 23147/2012

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Sicurezza

estesa - 2

Anche gli estranei protetti dai rischi

(Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)

Le norme per la sicurezza sul lavoro tutelano anche gli estranei, vale a dire le persone, né

dipendenti né equiparati per legge a essi, che siano comunque presenti nell’ambiente di lavoro.

Questo è l’orientamento della Cassazione penale, espresso da ultimo nella sentenza 14775/2016 e

più compiutamente, nella pronuncia 43168/ 2014. Già la sentenza 42647/2013 si era espressa nel

senso che la prevenzione ha una valenza generale, tale da imporsi nell’interesse di tutti, compresi

gli estranei al rapporto di lavoro. Più nel dettaglio, la sentenza 22965/2014 ha stabilito che il

cantiere, come ogni luogo di lavoro, non deve presentare pericoli per chiunque vi entri in contatto,

per cui deve essere preclusa l’accessibilità alle fonti di rischio con opportune misure escludenti. Se

vi accedono degli estranei (nello specifico, erano ragazzi) e si infortunano, il datore per la sicurezza

sul lavoro ne risponde.

Il principio ha importanti implicazioni giuridiche e pratiche per il responsabile della sicurezza: egli

ha l’obbligo di garantire la salute di tutti i soggetti che si trovino, anche occasionalmente,

nell’ambiente di lavoro, senza poter escludere gli esterni alla struttura lavorativa. Di conseguenza,

una sua responsabilità per violazioni previste nel Dlgs 81/2008 o nel Codice penale (omicidio

colposo o lesioni personali colpose, aggravate da violazioni di norme prevenzionali) sorge anche

quando l’infortunato sia estraneo alle attività lavorative.

Ma questo orientamento è espresso dalla Cassazione penale con diverse sfumature interpretative:

alcune sentenze (tra le prime la 37840/2009 e la 10842/2008) interpretano nel senso che il datore

di lavoro ha l’obbligo di garantire la salute sul lavoro di tutti i soggetti operanti nell’impresa, senza

distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale. Secondo

queste decisioni, una responsabilità del datore per la sicurezza sorge però solo ove tra esterno e

azienda sussista una particolare relazione: ad esempio se l’esterno sta comunque svolgendo, in

qualsiasi modo, prestazioni lavorative oppure è una persona, a vario titolo, collegata

funzionalmente all’impresa (fornitore o cliente, ad esempio).

Altre decisioni, invece, hanno stabilito che il presupposto perchè l’estraneo entri nel campo di

applicazione della normativa per la sicurezza sul lavoro è che nell’ambiente di lavoro operino

comunque dei dipendenti. In questo caso è del tutto irrilevante che l’infortunato sia estraneo (un

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precedente in questo senso è già nella 14175/2005). Secondo tali giudici la formula di legge

«lavoratori subordinati e ad essi equiparati» va quindi intesa non nel senso che questi sono gli unici

beneficiari della normativa antinfortunistica, ma che solo in presenza di essi sia da applicare la

normativa prevenzionale, da estendere poi agli eventuali estranei.

Più sottilmente, la sentenza 22965/2014 suddivide le norme per la sicurezza sul lavoro in:

-quelle che impongono misure oggettive, cioè misure da applicare a prescindere da un particolare

destinatario (ad esempio, norme sulle attrezzature di lavoro);

-norme e relative a misure di prevenzione riguardanti una specifica tipologia di soggetti. Ad

esempio, la sorveglianza sanitaria (articoli 41 e seguenti del Dlgs 81/2008) è posta, esplicitamente,

a beneficio del lavoratore e non del soggetto estraneo all’azienda (salvo che questi si trovi in

situazione oggettiva simile al lavoratore).

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� Sicurezza

� VALUTAZIONE DEI RISCHI: NON BASTA IL CODICE ATECO

D. La determinazione del livello del rischio aziendale è data solo dal codice Ateco dell'attività o

anche da altri fattori? Nel secondo caso, che cosa prevale? Le ore di formazione dei lavoratori

vengono determinate dai codici Ateco (capi codice) citati nell'allegato 2 dell'accordo Stato-Regioni

21 dicembre 2011? I codici Ateco individuali (singole attività) valgono anche per stabilire le ore di

corso Rspp (responsabile del servizio prevenzione e protezione)/datore di lavoro?

----

R. Ai fini della formazione alla sicurezza, l’accordo Stato–Regioni del 21 dicembre 2011 ha previsto

il monte ore formativo in funzione di dove il lavoratore presta la propria attività lavorativa, e cioè in

aziende ad alto, medio o basso rischio. Per determinare in quale “classe di rischio” si situa

l’azienda, è stato utilizzato il codice Ateco. Ciò non toglie, però, che si debba tenere conto anche (e

soprattutto) della valutazione dei rischi, senza limitarsi alle sole indicazioni fornite dal codice Ateco.

In altre parole, per determinare il fabbisogno formativo in materia di sicurezza e tutela della salute,

è necessario riferirsi anche alle attività che i lavoratori svolgono effettivamente all’interno

dell’azienda. Pertanto, la classificazione dei lavoratori dev'essere fatta tenendo conto delle attività

concretamente espletate dagli stessi con riferimento alla valutazione dei rischi. Ciò significa che, in

funzione della valutazione di rischi riferita alla singola mansione, ci potrà essere una classificazione

di un livello di rischio più alto rispetto a quanto previsto dal codice Ateco, ma anche una

classificazione di rischio più basso. Pertanto, un impiegato amministrativo, ad esempio, di

un’azienda classificata a rischio alto, essendo esposto non agli stessi rischi di un operatore della

linea di produzione ma semplicemente a quelli tipici dell’attività d’ufficio, e cioè a rischio basso,

effettuerà un percorso formativo di quattro ore per la formazione generale e di quattro ore per la

formazione specifica, mentre i suoi colleghi della produzione effettueranno, oltre alla formazione

generale di quattro ore, una formazione specifica di 12 ore. In merito, poi, alla formazione del Rspp

e del datore di lavoro, il percorso formativo dovrà essere strutturato in funzione della classe di

rischio più alta presente in azienda, sulla base degli esiti della valutazione del rischio.

(Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 9 maggio 2016)

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� DIPENDENTI DI CONDOMÌNI SENZA FORMAZIONE SPECIFICA

D. I condomìni con dipendenti, che rientrano nel campo di applicazione del Ccnl (contratto

collettivo nazionale di lavoro) dei lavoratori dei proprietari di fabbricati sarebbero destinatari non di

tutte le norme di sicurezza (e conseguenti obblighi) del Dlgs 81/2008, ma solo di quelle - limitate -

espressamente previste dal comma 9 dell'articolo 3. Il nostro condominio è invece orientato a

sostenere il principio in base al quale una disposizione generale (quale quella prevista dall'articolo

3, comma 9, del Dlgs 81/2008) non può limitare la portata e l'applicabilità di disposizioni specifiche

rinvenibili in altri contesti normativi settoriali, come quelle in tema di prevenzione incendi. Alla luce

di ciò, il nostro condominio nomina un Rspp (responsabile del servizio prevenzione e protezione) e

affida al portiere gli incarichi di addetto al primo soccorso e prevenzione incendi, eleggendo un Rls

(rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Vorrei sapere se le valutazioni del nostro

condominio sono corrette.

----

R. Le valutazioni del condominio non sono corrette. Nel caso presentato dal lettore, l'obbligo di

nomina del Rspp e di addetti antincendio ed emergenza non è richiesto dalla normativa vigente. Il

Dlgs 81/2008 è la norma che riguarda espressamente la tutela della salute e della sicurezza sul

lavoro, e definisce con chiarezza il “perimetro” dell’applicazione delle regole in esso contenute. In

materia di sicurezza e tutela della salute, gli obblighi di nomina del Rspp, dei lavoratori incaricati

dell’attuazione delle misure di primo soccorso, prevenzione incendi eccetera sono contenuti nel

“Titolo I – Principi comuni” del Dlgs 81/2008. Il “principio di specialità”, ex articolo 298 del decreto

citato, recita testualmente: «Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione prevista dal

titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri titoli, si applica la disposizione speciale». Negli

altri titoli non ci sono “disposizioni speciali”, che richiedono espressamente la nomina dei soggetti

citati nel quesito dal lettore, né tantomeno questo è richiesto per i condomìni dalla normativa

antincendio. Pertanto, gli obblighi da adempiere sono solo quelli dell’articolo 3, comma 9, e cioè

l’informazione e la formazione del personale (articoli 36 e 37 del Dlgs 81/2008) e l’eventuale

fornitura di Dpi (dispositivi di protezione individuale).

L’ufficio affari legislativi del dipartimento dei Vigili del fuoco aveva chiarito fin dal 2003 (con lettera

protocollo n. 48245/25209/104C del 17 novembre2003), rispondendo a una richiesta dell’Anaci

(Associazione nazionale amministratori condominiali), che le disposizioni di cui al Dm 10 marzo

1998 ("Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di

lavoro"), non si applicano agli edifici condominiali di civile abitazione. Infine, il ministero del lavoro,

con la risposta all’interpello 13/2013 del 24 ottobre 2013, ha ribadito che, per i lavoratori che

rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati, non sussiste

l’obbligo della formazione specifica per il primo soccorso e antincendio. Se, comunque,

l’amministratore di condominio volesse andare oltre, non essendo quanto sopra richiesto dalla

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normativa vigente, egli dovrà portare tale richiesta all’assemblea condominiale, ai fini della sua

eventuale approvazione di spesa.

(Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 9 maggio 2016)

� SORVEGLIANZA SANITARIA

D. L'art. 18 del D.Lgs. 81/2008, inerente i compiti del datore di lavoro e del dirigente, prevede alla

lettera g), di inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di

sorveglianza sanitaria. Sebbene il datore ed il dirigente richiedano per tempo al medico competente

lo svolgimento delle visite suddette, può accadere che il nuovo giudizio di idoneità venga espresso

con ritardo rispetto alla scadenza prefissata (per impedimenti del medico o del dipendente, ecc).

Nell'intervallo di tempo che intercorre tra il giudizio scaduto e quello da emettere il lavoratore può

continuare la sua attività o deve essere sospeso? Quali inoltre le responsabilità di datore, medico e

lavoratore?

----

R. Nel caso di specie si è di fronte ad un giudizio di idoneità formalmente scaduto. Un rispetto

scrupoloso della vigente normativa prevenzionale induce a ritenere opportuna la sospensione del

lavoratore dall'attività. Detto per inciso, generalmente nei giudizi di idoneità viene prevista una

tolleranza mensile, essendo riportato nel giudizio solo il mese e l'anno di scadenza e non il giorno.

Sotto il profilo delle responsabilità, occorre valutare se il ritardo con il quale viene espresso il

giudizio di idoneità al lavoro sia causato da fatti o atti imputabili al medico competente, al

lavoratore o allo stesso datore di lavoro. In proposito, si evidenzia che il datore di lavoro e il

dirigente che non inviano i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma

di sorveglianza sanitaria o non richiedono al medico competente l'osservanza degli obblighi previsti

a suo carico sono puniti con l'ammenda da 2.192 a 4.384 euro (Cfr. art. 55, comma 5, let. e), del

D.Lgs 81/08). Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori gli importi della sanzione sono

raddoppiati, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori gli importi della sanzione sono

triplicati. Per quanto riguarda le eventuali responsabilità del medico competente vi sono due profili

da evidenziare. Il primo è dettato dall'articolo 58, comma 1, let. b), del D.Lgs 81/08 che prevede

l'arresto fino a due mesi o ammenda da 328,80 a 1.315,20 euro nei confronti del medico

competente che non programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41

attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli

indirizzi scientifici più avanzati. Altro profilo, di rilevanza più indiretta, è costituito dall'art. 58,

comma 1, let. c) del medesimo decreto in base al quale vi è l'arresto fino a tre mesi o ammenda da

438,40 a 1.753,60 euro per il medico competente che non collabori con il datore di lavoro e con il

servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione,

ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per

la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all'attività di formazione e

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informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del

servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari

modalità organizzative del lavoro. In ogni caso è ormai ampiamente consolidato in giurisprudenza il

principio della responsabilità datoriale per omessa vigilanza (Cfr., da ultimo, Cass. Civ., Sez. III,

sentenza n. 3695 del 26 febbraio 2016 e Cass. Penale, Sez. 4, sentenza n. 47742 del 2 dicembre

2015) Per quanto riguarda i lavoratori, si segnala l'articolo. 59, comma 1, let. a) del D.Lgs 81/08

che prevede la sanzione dell'arresto fino a un mese o ammenda da 219,20 a 657,60 euro nel caso

non si sottopongano ai controlli sanitari previsti o, comunque, disposti dal medico competente.

(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 4 maggio 2016)

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(G.U. 31 maggio 2016, n. 126)

� Sicurezza

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

DECRETO 23 marzo 2016

Procedure applicative del codice internazionale per il trasporto sicuro di granaglie alla rinfusa,

adottato dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) con risoluzione MSC 23 (59) del 23

maggio 1991.

(G.U. 7 maggio 2016, n. 106)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

DECRETO 5 maggio 2016

Approvazione delle linee guida applicative per la determinazione della «massa lorda verificata del

contenitore» (Verified Gross Mass packed container - VGM) ai sensi della regola VI/2 della

convenzione SOLAS 74, emendata dalla risoluzione MSC. 380(94) del 21 novembre 2014.

(G.U. 12 maggio 2016, n. 110)

MINISTERO DELL'INTERNO

DECRETO 29 aprile 2016

Modalità di utilizzo da parte delle Forze di polizia degli aeromobili a pilotaggio remoto.

(G.U. 13 maggio 2016, n. 111)

MINISTERO DELL'INTERNO

DECRETO 8 aprile 2016

Modalità di disattivazione delle armi da fuoco portatili di cui agli articoli 1 e 2 della legge 18 aprile

1975, n. 110 appartenenti alle categorie A, B, C e D dell'allegato I alla direttiva 91/477/CEE del

Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.

(G.U. 21 maggio 2016, n. 118)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

DECRETO 10 maggio 2016

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Attuazione della direttiva 2015/559/UE della Commissione del 9 aprile 2015, recante modifica della

direttiva 96/98/CE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo già attuata con decreto del

Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407.

(G.U. 21 maggio 2016, n. 118)

MINISTERO DELL'INTERNO

DECRETO 12 maggio 2016

Prescrizioni per l'attuazione, con scadenze differenziate, delle vigenti normative in materia di

prevenzione degli incendi per l'edilizia scolastica.

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121)

MINISTERO DELL'INTERNO

COMUNICATO

Classificazione di alcuni manufatti esplosivi

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121)

DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2016, n. 80

Modifiche al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 194, di attuazione della direttiva 2014/30/UE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle

legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica (rifusione).

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)

DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 81

Attuazione della direttiva 2014/28/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati

membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile.

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)

DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 82

Modifiche al decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, per l'attuazione della direttiva

2014/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a

disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione (rifusione).

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)

DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 85

Attuazione della direttiva 2014/34/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati

membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati ad essere utilizzati in atmosfera

potenzialmente esplosiva.

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)

DECRETO LEGISLATIVO 19 MAGGIO 2016, N. 86

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Attuazione della direttiva 2014/35/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati

membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato ad essere

adoperato entro taluni limiti di tensione.

(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

DECRETO 13 aprile 2016

Disposizioni in materia di determinazione degli importi delle tariffe per l'espletamento dell'attività di

valutazione e di vigilanza degli organismi notificati in materia di attrezzature a pressione.

(G.U. 26 maggio 2016, n. 122)

AVVISO DI RETTIFICA

Comunicato relativo al decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 39, recante: «Attuazione della

direttiva 2014/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, che modifica le

direttive 92/58/CEE, 92/85/CEE, 94/33/CE, 98/24/CE del Consiglio e la direttiva 2004/37/CE del

Parlamento europeo e del Consiglio, allo scopo di allinearle al regolamento (CE) n. 1272/2008,

relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele».

(Decreto legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 61 del 14 marzo 2016).

(G.U. 26 maggio 2016, n. 122)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

COMUNICATO

Prescrizioni tecniche riguardanti l'esercizio e la manutenzione delle funi e dei loro attacchi degli

impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone.

(G.U. 31 maggio 2016, n. 126)

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