Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro
Numero 6 – Giugno 2016
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sommario
APPROFONDIMENTI
Sicurezza e interpelli – 1 GLI ADEMPIMENTI DI SICUREZZA NEGLI STUDI ASSOCIATI DI INFERMIERI Con interpello n. 5 del 12 maggio 2016 la Commissione per gli interpelli costituita presso il Ministero del Lavoro ha affrontato una tematica di rilevante interesse, ovvero l’ambito di applicazione della vigente normativa prevenzionale agli studi associati degli infermieri. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)
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Sicurezza e interpelli – 2 GLI INTERPELLI DEL MESE DI MAGGIO Lavori in appalto e modalità di verifica dell’avvenuta formazione - Obblighi di sorveglianza sanitaria in caso di distacco - Valutazione dei rischi da agenti chimici presenti sul luogo di lavoro - Gestione dell’amianto negli edifici (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)
10 Sicurezza e interpelli – 3 LAVORATORI MOBILI E SICUREZZA: IL MINISTERO CHIARISCE SOLO A METÀ IL REGIME APPLICABILE Nell'ambito della già di per sè complessa disciplina sull'orario di lavoro il legislatore, com'è noto, ha previsto per alcuni settori disposizioni particolari che tengono conto delle specificità che caratterizzano l'esecuzione della prestazione lavorativa… (Mario Gallo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 19 maggio 2016)
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Sicurezza ed Europa LA CAMPAGNA EUROPEA "AMBIENTI DI LAVORO SANI E SICURI AD OGNI ETÀ" La Commissione europea e l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), in collaborazione con la presidenza nederlandese dell'UE, hanno lanciato il 15 aprile 2016 a Bruxelles una campagna paneuropea di durata biennale dal titolo "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età". (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 5 maggio 2016)
20 Sicurezza e INAIL INAIL CONFERMA IL TAGLIO DELLE TARIFFE Inail è pronta a confermare la riduzione tariffaria introdotta dal Governo Letta con la legge di Stabilità 2014 come misura ponte e che ha garantito un taglio in termini cumulati di 3,3 miliardi del cuneo fiscale e contributivo per circa 2,7 milioni di imprese. (Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 27 maggio 2016)
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Sicurezza e unità produttiva POSIZIONE ASSICURATIVA SENZA CERTEZZE Non solo l’Inps, anche l’Inail ha scelto di individuare l’unità produttiva tenendo conto della definizione che la magistratura ne ha dato con riferimento all’articolo 35 dello Statuto del lavoratori. Solo che le finalità delle norme non sono esattamente le stesse. (Nevio Bianchi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 17 maggio 2016)
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Sicurezza estesa – 1 MISURE DI PREVENZIONE ESTESE A TUTTI GLI «ATIPICI» Le norme previste per la sicurezza sul lavoro si applicano sempre: non solo quando nell’ambiente di lavoro sono presenti dipendenti ma anche quando ci sono altre persone legate all’azienda da un rapporto giuridico diverso da quello di natura subordinata, o parenti che aiutano il datore di lavoro in modo occasionale. Anche queste persone sono considerate infatti lavoratori, o ad essi equiparati. (Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)
29 Sicurezza estesa – 2 ANCHE GLI ESTRANEI PROTETTI DAI RISCHI Le norme per la sicurezza sul lavoro tutelano anche gli estranei, vale a dire le persone, né dipendenti né equiparati per legge a essi, che siano comunque presenti nell’ambiente di lavoro. (Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)
33 L’ESPERTO RISPONDE
35 RASSEGNA DI NORMATIVA
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Chiusa in redazione il 1 giugno 2016
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Sicurezza e interpelli - 1
Gli adempimenti di sicurezza negli studi associati di infermieri
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)
Con interpello n. 5 del 12 maggio 2016 la Commissione per gli interpelli costituita presso il
Ministero del Lavoro ha affrontato una tematica di rilevante interesse, ovvero l’ambito di
applicazione della vigente normativa prevenzionale agli studi associati degli infermieri.
I quesiti cui il Ministero ha inteso offrire indicazioni riguardano i seguenti aspetti:
- se gli infermieri associati rientrano o meno nella definizione di “lavoratore”;
- se gli studi professionali a cui gli infermieri sono associati sono considerati “datori di lavoro”;
- se agli infermieri è applicabile l’art. 21 del D.Lgs. 81/08;
- se gli infermieri che prestano la loro attività in strutture esterne (RSA e case di cura) e queste
strutture esterne sono datori di lavoro rientrano nel campo di applicazione dell’art. 26;
- se, infine, tale articolo 26 è fuori causa quando è diretto il rapporto fra lo studio associato e il
cliente.
Preliminare ad ogni altra considerazione di merito è la definizione di studio associato. Quest’ultimo
è generalmente un’associazione professionale tra soggetti autonomi (liberi professionisti, senza
dipendenti). In questo caso occorre far riferimento all’art. 2222 c.c. che prevede che ricorra la
figura del lavoratore autonomo quando una persona si obbliga a compiere dietro un corrispettivo
(1351 c.c.) un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di
subordinazione nei confronti del committente.
Tipici sono i casi di seguito elencati, purché la prestazione lavorativa venga svolta in assenza di
altri prestatori d’opera, con o senza contratto di lavoro subordinato:
- Agenti e rappresentanti;
- Agenzie immobiliari;
- Agenzie ippiche;
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- Agenzie marittime e aeree;
- Agenzie di assicurazioni;
- Agenzie di comunicazione;
- Agenzie di intermediazione immobiliare;
- Amministratori di condominio;
- Autoscuole;
- Studi di consulenza alla proprietà immobiliare;
- Studi professionali;
- Avvocati;
- Notai;
- Consulenti del lavoro;
- Medici;
- Commercialisti.
Con riferimento specifico agli studi professionali di infermieri, la Commissione, con la risposta
all’interpello in commento, rileva che la materia è oggi disciplinata dall’art. 10 della legge 12
novembre 2011 n. 183, che ha profondamente novellato la previgente disciplina - costituita dalla L.
23 novembre 1939 n. 1815 - eliminando lo storico divieto di costituire società per l’esercizio delle
professioni c.d. “ordinistiche” e prevedendo la possibilità di ricorrere ai modelli societari di cui ai
Titoli V e VI del Libro V del codice civile.
La forma organizzativa dell’associazione professionale (c.d. “studio associato”) disciplinata dalla L.
1815/39 è, invero, sopravvissuta alla riforma, essendo espressamente fatta salva dall’articolo 10
succitato: ne deriva, pertanto, che oggi è ancora possibile esercitare tali professioni nella forma di
“studio associato” costituito sotto la vigenza della L. 1815/39.
Quanto ai rapporti tra studi associati di infermieri e normativa prevenzionale, la Commissione
ricorda che l’articolo 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 81/08 definisce come “lavoratore” la “persona
che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito
dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al
solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi
domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di
società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso;
l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile (…)”.
La successiva lettera b), del medesimo articolo 2, definisce il “datore di lavoro” come il “soggetto
titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e
l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la
responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri
decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
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legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i
poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui
quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di
vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli
uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di
omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro
coincide con l'organo di vertice medesimo”.
Fatte queste premesse la Commissione evidenzia come, al caso di specie, debba essere anche
considerato l’art. 3 del D.Lgs. 81/08, il quale, dopo avere esposto, al comma 4, che esso trova
applicazione nei confronti di tutti i “lavoratori e lavoratrici, subordinati ed autonomi”, statuisce al
comma 11 che: “Nei confronti dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del codice civile si
applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26”, dove l’art. 21 impone l’uso di attrezzature di
lavoro e dispositivi di protezione individuali conformi alle previsione del “Testo unico” e quello –
limitato alle ipotesi in cui il lavoratore svolga la propria prestazione in un luogo di lavoro ove si
“svolgano attività in regime di appalto o subappalto” – di “munirsi di apposita tessera di
riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità”.
L’art. 26 D.Lgs. 81/08 a sua volta si riferisce al lavoratore autonomo che operi all’interno di una
azienda altrui e, quindi, individuando e puntualizzando, “in una ottica di potenziamento della
solidarietà tra committente ed appaltatore gli obblighi dei datori di lavoro committenti ed
appaltatori nei contratti di appalto o d’opera o di somministrazione”.
In tale contesto la norma, per quanto con riferimento ad un obbligo a carico del datore di lavoro,
richiede al lavoratore autonomo il possesso di una determinata idoneità tecnico-professionale,
desunta anche (per quanto non esclusivamente) dalla iscrizione alla camera di commercio,
industria ed artigianato.
I lavoratori autonomi, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico
hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'articolo 41 del D.Lgs.
81/08, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati
sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all'articolo 37 del D.Lgs. 81/08,
fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
La ricostruzione normativa operata nella risposta all’interpello in commento ha portato la
Commissione a ritenere che gli infermieri associati dovranno essere considerati assoggettati alla
disciplina dettata dall’articolo 21 del D.Lgs. 81/08, qualora gli stessi prestino la propria attività in
autonomia e “senza vincolo di subordinazione” nei confronti del committente o dell’associazione.
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In proposito si evidenzia che non sempre è agevole la distinzione tra lavoratore autonomo e
lavoratore subordinato. L’orientamento dottrinario prevalente ritiene che il criterio discretivo sia
determinato dalla "subordinazione", ovvero la «potenziale dipendenza totale» del lavoratore intesa
non solo come dipendenza alle direttive dell'imprenditore nell'attività specifica ma anche nella
persona stessa del lavoratore per cui questi, una volta inserito nell'organizzazione, è tenuto a
prestare la sua attività con continuità, può essere anche adibito ad altra attività (c.d. mutamento di
mansioni) purché equivalente, può essere trasferito ad altra sede, è tenuto all'osservanza di una
disciplina e nel caso di infrazioni può essere assoggettato a provvedimenti disciplinari: connotati
tutti questi che non ricorrono nel rapporto di lavoro autonomo dove le ingerenze del datore di
lavoro sulla sfera del lavoratore non raggiungono un grado così elevato. Ovviamente la
subordinazione in concreto si presenterà in forme più o meno intese e più o meno attenuate a
secondo del tipo di attività esplicata dal lavoratore. Così sarà certamente più coinvolgente per i
lavoratori svolgenti mansioni a carattere esecutivo e meno per i lavoratori esplicanti mansioni a più
elevato contenuto, quali quelle del medico e del professionista in genere, anche se nella realtà
concreta non mancano forme di forti condizionamenti dell'imprenditore anche su tali lavoratori e
ciò con grave discapito delle stesse regole tecniche e professionali nonché deontologiche.
Gli infermieri associati dovranno invece essere considerati “lavoratori”, come definiti all’art. 2,
comma 1, lett. a) del D.Lgs. 81/08, qualora svolgano la propria attività professionale “nell’ambito
dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato”, oppure prestino la propria attività per
conto di una società, un’associazione o un ente in qualità di soci lavoratori fermo restando il
rispetto della normativa giuslavoristica.
In proposito si ricorda che, nel caso in cui un lavoratore autonomo si avvalga di prestazioni
lavorative, anche non retribuite, di soggetti diversi, andranno applicati per intero tutti gli obblighi di
sicurezza disciplinati dal D.Lgs. 81/08, diversamente cadenzati in relazione al numero dei lavoratori
utilizzati. È il caso, ad esempio, dell’avvocato o del commercialista che utilizzi nel proprio studio
l’attività di uno o più praticanti: tale circostanza comporta l’equiparabilità del professionista
(avvocato o commercialista) alla figura del datore di lavoro e la conseguente applicazione degli
adempimenti di sicurezza per esso previsti.
Nei casi prospettati (studio associato di più professionisti con uno o più lavoratori alle dipendenze
dello studio associato) ricoprirà la qualifica di datore di lavoro, ai fini della sicurezza, il soggetto
titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e
l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la
responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri
decisionali e di spesa. Quindi, in sostanza, datore di lavoro sarà il professionista che formalmente
ha sottoscritto il contratto di assunzione del lavoratore.
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Gli obblighi di sicurezza variano in relazione al numero di lavoratori presenti. Assumendo un
numero inferiore a 10, e a titolo meramente esemplificativo, il datore di lavoro dovrà effettuare la
valutazione di tutti i rischi ed elaborare i documenti previsti e designare il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione dai rischi (può ricoprire l’incarico anche lo stesso datore di lavoro). Il
datore di lavoro dovrà, inoltre (articolo 18, D.Lgs. 81/08):
- nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti.
- designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione
incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e
immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;
- fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile
del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;
- richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle
disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione
collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;
- adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio;
- adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;
- consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;
- comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema
informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla
ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli
infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello
dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza al
lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino
un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della
denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;
- adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di
lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla
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natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone
presenti;
- nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori
di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del
lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;
- aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che
hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della
tecnica della prevenzione e della protezione;
- comunicare annualmente all’INAIL i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla
mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità;
- comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema
informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, in caso di nuova elezione o
designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima
applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei
lavoratori già eletti o designati.
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Sicurezza e
interpelli - 2
Gli interpelli del mese di maggio
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 19 maggio 2016)
Lavori in appalto e modalità di verifica dell’avvenuta formazione
Ministero del Lavoro, Interpello n. 7 del 12 maggio 2016
L’articolo 97 del D.Lgs. 81/08 prevede che il datore di lavoro dell'impresa affidataria debba
verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle
prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Il successivo comma 3-bis del medesimo
articolo prevede poi che, per lo svolgimento delle predette attività, il datore di lavoro dell’impresa
affidataria, i dirigenti e i preposti devono essere in possesso di adeguata formazione.
Sul punto, la Federazione Sindacale Italiana dei Tecnici e Coordinatori della Sicurezza
(Federcoordinatori) ha avanzato al Ministero del Lavoro istanza di interpello in merito alle “modalità
con le quali assicurare l’attuazione degli obblighi in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 100 del
D.Lgs. 81/08”. In particolare l’istante ha chiesto di sapere in che modo il committente ovvero il
responsabile dei lavori “possono assicurare che il datore di lavoro dell’impresa affidataria abbia
provveduto a formare adeguatamente: il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti per lo svolgimento
delle attività di cui all’art. 97 del D.Lgs. 81/08”.
Il Ministero del Lavoro, con Interpello n. 7 del 12 maggio 2016 – premessa una breve ricostruzione
dei vari obblighi normativi – ha evidenziato che il legislatore non ha stabilito il livello di formazione
minima degli addetti all’attuazione del citato art. 97.
Ha pertanto ritenuto che il committente o il responsabile dei lavori, acquisendo attraverso la
verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese (allegato XVII D.Lgs. 81/08) “il nominativo
del soggetto o i nominativi dei soggetti della propria impresa, con le specifiche mansioni, incaricati
per l’assolvimento dei compiti di cui all’articolo 97”, dovrà verificarne l’avvenuta specifica
formazione con le modalità che riterrà più opportune, anche attraverso la richiesta di eventuali
attestati di formazione o mediante autocertificazione del datore di lavoro dell’impresa affidataria.
Obblighi di sorveglianza sanitaria in caso di distacco
Ministero del Lavoro, Interpello n. 8 del 12 maggio 2016
Con Interpello n. 8 del 12 maggio 2016 il Ministero del Lavoro ha affrontato il tema della "corretta
interpretazione all’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs. 81/08”.
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In particolare il quesito che veniva posto al Ministero era di conoscere, “nei casi di distacco del
personale dalla società capogruppo a società controllate, o viceversa, su quale delle due società,
distaccante ovvero distaccataria, sorge l’obbligo della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 D.Lgs.
81/08 e di tutti i procedimenti ad essa connessi e/o collegati”.
Con la risposta in commento il Ministero del Lavoro ha premesso che:
- l’art. 3 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che “nell’ipotesi di distacco del lavoratore di cui all’articolo 30
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, tutti gli obblighi di
prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del
distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo
svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato (...)”;
- l’art. 30 del D.Lgs. 276/03 prevede che “l'ipotesi del distacco si configura quando un datore di
lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a
disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa”.
Tanto premesso il Ministero ha ritenuto che, in caso di distacco dei lavoratori, gli obblighi in
materia di salute e di sicurezza sul lavoro incombono, in modo differenziato, sia sul datore di lavoro
che ha disposto il distacco che sul beneficiario della prestazione (distaccatario).
Sulla base della normativa indicata in premessa, sul primo grava l’obbligo di “informare e formare il
lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli
viene distaccato”.
Al secondo (distaccatario) spetta invece l’onere, a norma del medesimo articolo, di ottemperare a
tutti gli altri obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro inclusa, quindi, la sorveglianza
sanitaria.
Valutazione dei rischi da agenti chimici presenti sul luogo di lavoro
Ministero del Lavoro, Interpello n. 9 del 12 maggio 2016
Con l’Interpello in oggetto il Ministero del Lavoro si è espresso sulla possibilità, per il datore di
lavoro, di utilizzare il metodo indicato nel Manuale operativo pubblicato dall’Inail “Il rischio chimico
per i lavoratori nei siti contaminati” ai fini della valutazione e della gestione dei rischi da agenti
chimici pericolosi presenti a qualsiasi titolo nei siti contaminati e non impiegati in dirette attività di
bonifica.
Sul punto occorre premettere che il Manuale citato – predisposto dal Dipartimento Innovazioni
Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici (DIT) dell’INAIL –
contiene criteri e procedure utili per operare in sicurezza e per proteggere la salute dei lavoratori,
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presenti a qualsiasi titolo, in un sito contaminato o potenzialmente tale. In particolare, il manuale
operativo è finalizzato alla proposta di strumenti operativi per la valutazione e gestione del rischio
per la salute da esposizione ad agenti chimici per i lavoratori presenti a qualsiasi titolo su di un sito
contaminato o potenzialmente tale.
Si evidenzia che il documento riguarda la sola gestione del rischio chimico, ma il datore di lavoro
ha comunque l’obbligo di individuare tutte le possibili fonti di pericolo e valutare tutti i rischi ai
quali il lavoratore è potenzialmente esposto ai sensi del D.Lgs. 81/08.
Inoltre, nel manuale è stata presa in esame la procedura di gestione del rischio chimico ponendo
principalmente l’attenzione sugli aspetti legati alla salute, fermo restando l’obbligo di valutazione
del rischio per la sicurezza. Tale scelta è motivata dal fatto che essendo state individuate quali fonti
di pericolo il suolo insaturo e/o le acque sotterranee contaminate, ad eccezione di casi particolari, il
rischio per la salute risulta preponderante rispetto a quello per la sicurezza.
Nel caso in cui come fonti di pericolo si considerassero le sorgenti primarie di contaminazione, ossia
gli elementi causa dell’inquinamento (ad esempio accumuli di rifiuti, serbatoi, oleodotti, tubature,
interrati o fuori terra, contenenti sostanze pericolose), i rischi per la sicurezza potrebbero risultare
tutt’altro che trascurabili.
Quindi, l’applicazione di un corretto protocollo di gestione e la messa in atto, ove necessario, delle
misure di prevenzione e protezione, così come definite nei successivi capitoli e allegati del Manuale,
consente di garantire un adeguato livello di salute per i lavora tori esposti ad agenti chimici
provenienti da un suolo contaminato.
Il documento è articolato nel seguente modo:
- Nel capitolo 1 e relativi allegati (1.A, 1.B e 1.C) viene fornito un inquadramento normativo di
settore. In particolare vengono descritte le tipologie di attività che si possono svolgere in un sito
contaminato, o potenzialmente tale. Sono poi sinteticamente illustrati i documenti che è necessario
redigere per la valutazione dei rischi e gli adempimenti normativi da attuare per la tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori ai sensi del D.Lgs. 81/2008. Sono inoltre elencati i ruoli e le
responsabilità delle figure professionali coinvolte nelle attività di cantiere temporaneo e mobile.
- Nel capitolo 2 viene proposto un modello concettuale di valutazione del rischio chimico per i
lavoratori nei siti contaminati. Sono quindi descritte le potenziali sorgenti di contaminazione, le vie
di migrazione delle specie chimiche, i bersagli della contaminazione e le corrispondenti modalità
espositive.
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- Nel capitolo 3 e relativi allegati (da 3.A a 3.D) viene proposta una procedura per la valutazione e
gestione del rischio chimico per inalazione di vapori e polveri.
- Nel capitolo 4 viene proposta una procedura per la valutazione e gestione del rischio chimico per
contatto dermico.
Infine, nel capitolo 5 viene descritta la procedura per la gestione del rischio nelle fasi di indagine
del sito.
Il documento può essere utilizzato come strumento di supporto per l’esecuzione della valutazione
dei rischi, che il datore di lavoro è tenuto ad effettuare ai sensi del D.Lgs. 81/08 in riferimento alle
attività di bonifica dei siti contaminati.
Tanto premesso, il Ministero del Lavoro, con l’Interpello in commento, premette che:
- l’art. 2 del D.Lgs. 81/08 definisce la valutazione dei rischi come “valutazione globale e
documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito
dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate
misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il
miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”:
- l’art. 28, primo comma, del decreto in parola stabilisce l’obbligo che la valutazione dei rischi
debba riguardare “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”;
- l’art. 28 del D.Lgs. 81/08 impone al datore di lavoro di indicare nel documento redatto a seguito
della valutazione di cui all’art. 17, co 1, lett. a) del citato decreto, le “misure di prevenzione e di
protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati”.
Alla luce della normativa richiamata, il Ministero conclude che il manuale operativo “il rischio
chimico per i lavoratori nei siti contaminati” redatto dall’Inail nel 2014 propone una procedura utile
per la valutazione e gestione del rischio chimico ponendo essenzialmente l’attenzione sugli aspetti
legati alla salute, fermo restando l’obbligo di valutazione del rischio per la sicurezza.
Atteso che la scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, l’utilizzo
del manuale sopra indicato può costituire un valido riferimento per la relativa valutazione dei rischi
in tale tipologia di siti e soddisfi la previsione normativa.
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Gestione dell’amianto negli edifici
Ministero del Lavoro, Interpello n. 10 del 12 maggio 2016
Con Interpello n. 10 del 12 maggio 2016 il Ministero del Lavoro ha offerto alcune importanti
indicazioni in merito all’ambito di applicazione della normativa in tema di gestione dell’amianto
negli edifici, con riferimento alla Legge 27 marzo 1992 n. 257 ed al d.m. 6 settembre 1994.
Il tema affrontato dal Ministero riguarda, in particolare, il quesito se gli impianti tecnici produttivi,
strettamente correlati all’attività imprenditoriale e funzionali al ciclo di produzione delle attività ivi
esercite, rientrino o meno nella definizione di “impianti tecnici in opera all’interno ed all’esterno
degli edifici” di cui al D.M. 6 settembre 1994. Tale quesito nasce dalla circolare ministeriale n. 7 del
12 aprile 1995, emanata in risposta a dei quesiti pervenuti al Ministero della salute, che precisa che
“la normativa contenuta nel decreto ministeriale 6 settembre 1994, oltre che alle strutture edilizie
con tipologia definita nella premessa del decreto medesimo, si applica anche agli impianti tecnici
sia in opera all'interno di edifici che all'esterno, nei quali l'amianto utilizzato per la coibentazione di
componenti dell'impianto stesso o nei quali comunque sono presenti componenti contenenti
amianto”.
Con la risposta in commento, il Ministero del Lavoro premette che la legge 257/92 che dispone la
cessazione dell’impiego dell’amianto disciplina – direttamente ed attraverso il rinvio ad un apposito
decreto ministeriale attuativo – gli interventi relativi agli edifici nei quali siano presenti materiali o
prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile. La citata normativa rimanda ad un
successivo decreto del Ministro della Sanità, la regolamentazione degli strumenti necessari ai
rilevamenti e alle analisi del rivestimento degli edifici, nonché alla pianificazione e alla
programmazione delle attività di rimozione e di fissaggio e le procedure da seguire nei diversi
processi lavorativi di rimozione.
Il decreto attuativo emanato nel 1994 - d.m. 6 settembre 1994 – definisce in via preliminare il
proprio ambito applicativo, prevedendo in proposito che “la presente normativa si applica a
strutture edilizie ad uso civile, commerciale o industriale aperte al pubblico o comunque di
utilizzazione collettiva in cui sono in opera manufatti e/o materiali contenenti amianto dai quali può
derivare una esposizione a fibre aerodisperse”. A maggior chiarimento, lo stesso decreto precisa
opportunamente che “sono pertanto esclusi da tale normativa gli edifici industriali in cui la
contaminazione proviene dalla lavorazione dell'amianto o di prodotti che lo contengono (quindi siti
industriali dismessi o quelli nei quali è stata effettuata riconversione produttiva) e le altre situazioni
in cui l'eventuale inquinamento da amianto è determinato dalla presenza di locali adibiti a
stoccaggio di materie prime o manufatti o dalla presenza di depositi di rifiuti” e la successiva
circolare ministeriale n. 7 del 12 aprile 1995 che “la normativa contenuta nel decreto ministeriale 6
settembre 1994, oltre che alle strutture edilizie con tipologia definita nella premessa del decreto
medesimo, si applica anche agli impianti tecnici sia in opera all'interno di edifici che all'esterno, nei
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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quali l'amianto utilizzato per la coibentazione di componenti dell'impianto stesso o nei quali
comunque sono presenti componenti contenenti amianto”.
Ad avviso del Ministero, la legge n. 257/1992 e le relative precisazioni amministrative, ivi
compreso il riferimento agli “impianti tecnici in opera all’interno che all’esterno” è diretta ai soli
edifici, ed è da intendersi riservata ai soli impianti posti a servizio dell’edificio (ad es. impianti
termici, idrici, elettrici).
Pertanto, atteso che in ogni caso si vuole garantire la salubrità dell’ambiente e la salute dei
lavoratori, l’interpello in commento chiarisce che che eventuali materiali contenenti amianto
debbano essere gestiti:
- mediante l’applicazione delle disposizioni del d.m. 6 settembre 1994 da parte del
proprietario/conduttore e del D.Lgs. 81/08 da parte del datore di lavoro che opera nell’immobile,
nel caso di materiali contenenti amianto presenti in impianti funzionali all’immobile;
- attraverso le previsioni normative del D.Lgs. 81/08 a cura del Datore di Lavoro, nel caso di
materiali contenenti amianto presenti in impianti produttivi strettamente correlati all’attività
imprenditoriale e per questo non funzionali all’esercizio dell’immobile.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sicurezza e
interpelli - 3
Lavoratori mobili e sicurezza: il Ministero chiarisce solo a metà
il regime applicabile
(Mario Gallo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 19 maggio 2016)
Nell'ambito della già di per sè complessa disciplina sull'orario di lavoro il legislatore, com'è noto, ha
previsto per alcuni settori disposizioni particolari che tengono conto delle specificità che
caratterizzano l'esecuzione della prestazione lavorativa; è il caso, ad esempio, del lavoro prestato
dalla gente di mare la cui disciplina sull'orario di lavoro è contenuta in parte nel Dlgs n.108/2005
ed in parte nel Dlgs n.271/1999 e dei lavoratori mobili, dove si regista una coesistenza, non
sempre "pacifica", tra la disciplina generale del Dlgs n.66/2003, e quella speciale del Dlgs
n.234/2007.
Proprio in relazione al riposo giornaliero minimo da garantire al personale mobile nell'arco di 24 ore
l'Organizzazione Sindacati Autonomi e di base (OR.S.A.) ha presentato alla Commissione per gli
interpelli in materia di sicurezza sul lavoro (articolo 12 Dlgs n.81/2008) due quesiti in cui ha
chiesto di sapere se può il datore di lavoro, in deroga alle disposizioni del citato Dlgs n. 66/2003,
predisporre servizi per il personale mobile (personale che svolge attività connesse con la sicurezza)
che comprendano due distinte prestazioni lavorative intervallate con RFR (riposo fuori residenza)
senza la garanzia delle 11 ore di riposo giornaliero minimo previsto a partire dall'inizio della
prestazione e con una quantità di lavoro superiore alle 13 ore in un arco temporale di 24 ore, e se
può lo stesso datore di lavoro predisporre i servizi in parola senza una specifica valutazione del
rischio.
Il primo quesito francamente non appare molto chiaro; il riferimento, infatti, è al personale mobile,
ma non viene precisato altro tranne che svolge attività connesse con la sicurezza.
La Commissione, comunque, non ha fornito alcuna risposta in merito ritenendo non di sua
competenza tale materia in quanto si «...esprime su quesiti di ordine generale sull'applicazione
della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro e pertanto non ritiene di potersi
esprimere in merito a questioni riguardanti l'interpello di cui all'articolo 9 del Dlgs n. 124/2004».
In ordine a tale posizione assunta dalla Commissione sorgono, tuttavia, alcune perplessità in
quanto va ricordato che tutta la disciplina sull'orario di lavoro è finalizzata non solo a regolare i
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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profili quantitativi della prestazione ma anche (e soprattutto) a porre dei limiti alla stessa proprio
per garantire la salute e la sicurezza del lavoratore.
Rapporto generale tra il Dlgs n.66/2003 e il regime speciale del Dlgs n. 234/2007 sul
lavoro mobile.
Al di là di ciò, tuttavia, sia pure in assenza di indicazioni da parte della Commissione è possibile
fare alcune considerazioni di carattere generale; la prima è che il Dlgs n. 66/2003, concernente
l'organizzazione dell'orario di lavoro, si applica in tutti i settori di attività pubblici e privati, con le
eccezioni previste dall'articolo 2, comma 1, tra le quali i «lavoratori mobili per quanto attiene ai
profili di cui alla direttiva 2002/15/CE».
Successivamente all'entrata in vigore del Dlgs n. 66/2006, la direttiva 2002/15/CE è stata recepita
nell'ordinamento italiano con il Dlgs n. 234/2007, concernente i «profili di disciplina del rapporto di
lavoro connessi all'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni
mobili di trasporto» (articolo 1), e secondo l'articolo 2, comma 1, di tale decreto lo stesso trova
applicazione «ai lavoratori mobili alle dipendenze di imprese... che partecipano ad attività di
autotrasporto di persone e merci su strada contemplate dal regolamento (CE) n. 561/06».
Di conseguenza attualmente il Dlgs n.66/2006 definisce il regime generale in materia di lavoro,
mentre il Dlgs n.234/2007 e il regolamento (CE) n.561/2006 del 15 marzo 2006 – che fissa una
serie articolata di paletti finalizzati al corretto contenimento dei tempi di guida a tutela sia del
lavoratore che dei terzi – quello speciale per i lavatori mobili.
Il campo di applicazione del Dlgs n.234/2007.
Occorre considerare che, tuttavia, non tutti i lavoratori mobili rientrano nella disciplina del Dlgs
n.234/2007; si consideri, infatti, che in base a quanto dispone il citato il regolamento (CE)
n.561/2006, rientrano nel campo applicativo del Dlgs n.234/2007, le attività di trasporto su strada:
a) di merci, effettuato da veicoli di massa massima ammissibile, compresi eventuali rimorchi o
semirimorchi, superiore a 3,5 tonnellate;
b) di passeggeri effettuato da veicoli che, in base al loro tipo di costruzione e alla loro attrezzatura,
sono atti a trasportare più di nove persone compreso il conducente e destinati a tal fine (art. 2).
Lo stesso regolamento (CE) n. 561/2006, stabilisce inoltre all'articolo 3 i casi non regolati da tale
disciplina e, dunque, esclusi anche dal campo di applicazione della direttiva n. 2002/15/CE e, con
riferimento al diritto interno, del Dlgs n. 234/2007; di conseguenza se l'attività ricade in tale
ambito di esclusione trova applicazione la disciplina generale del Dlgs n. 66/2003.
Pertanto il Dlgs n. 234/2007 è applicabile a tutti i lavoratori di aziende che svolgono autotrasporto
di persone o merci, purché effettuino spostamenti (escluso, quindi, il personale addetto
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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esclusivamente a mansioni di tipo amministrativo) e, ovviamente, purché le attività rientrino nel
campo di applicazione del citato Regolamento (CE) n. 561/2006.
L'elemento rilevante, pertanto, non è tanto l'attività espletata dall'impresa bensì le concrete attività
svolte dai lavoratori mobili; in relazione a tali profili giova, inoltre, ricordare anche che già in
passato il ministero del Lavoro si è espresso nell'interpello 20 marzo 2009, n. 27, discostandosi da
un suo precedente orientamento (cfr. ministero del Lavoro, interpello 9 novembre 2006), in cui ha
escluso l'applicabilità contestuale delle due differenti discipline.
In altri termini troverà applicazione l'una o l'altra normativa e la scelta sul regime applicabile deve
essere orientata da un criterio di prevalenza rispetto alle attività normalmente svolte dal lavoratore
interessato; sul piano operativo, pertanto, sarà il datore di lavoro a dover stabilire se trovano
applicazione le disposizioni del Dlgs n. 66/2003, oppure del Dlgs n. 234/2007, verificando se il
lavoratore svolga «normalmente e prevalentemente» un`attività compresa nel campo di
applicazione dell’una o dell’altra normativa, con la precisazione sempre da parte del Ministero che
laddove tale operazione risulti particolarmente complessa si suggerisce di applicare la disciplina di
maggior tutela per il lavoratore.
I vincoli del Dlgs n.66/2003 e del Dlgs n. 247/2007.
Di conseguenza, se l'attività del lavoratore mobile rientra nel campo applicativo del Dlgs n.
66/2003, il datore di lavoro dovrà osservare tassativamente il regime limitativo definito dagli
articoli 7, 8 e 9; si osservi, in particolare, che secondo quanto prevede l'articolo 7, ferma restando
la durata normale dell'orario settimanale (cfr. articolo 3), il lavoratore ha diritto a undici ore di
riposo consecutivo ogni ventiquattro ore e il riposo giornaliero deve essere fruito in modo
consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o
da regimi di reperibilità.
Qualora, invece, l'attività sia attratta da campo di applicazione del Dlgs n. 247/2007, il riferimento
è alla disciplina limitativa di tale decreto tenendo altresì presente che l'articolo 8, comma 6, del
predetto Regolamento (CE) n. 561/2006, stabilisce che nel corso di due settimane consecutive i
conducenti effettuano almeno due periodi di riposo settimanale regolare, oppure un periodo di
riposo settimanale regolare ed un periodo di riposo settimanale ridotto di almeno 24 ore; la
riduzione è, tuttavia, compensata da un tempo di riposo equivalente preso entro la fine della terza
settimana successiva alla settimana in questione.
Inoltre, il successivo comma 7 dell'articolo 8 stabilisce che qualsiasi riposo preso a compensazione
di un periodo di riposo settimanale ridotto è attaccato a un altro periodo di riposo di almeno 9 ore;
alla luce di ciò occorre anche ricordare che nella Circolare 29 aprile 2015, prot. n. 37/0007136, il
ministero del Lavoro ha fatto rilevare che il testo della norma, nella sua versione letterale, non
impedisce di considerare compensata la riduzione del riposo settimanale anche attraverso la
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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«fruizione del riposo equivalente in più frazioni, a condizione che le stesse siano prese entro la fine
della terza settimana successiva e che siano attaccate ad un altro periodo di riposo di almeno nove
ore».
Orario di lavoro e obbligo della valutazione dei rischi.
Per quanto, invece, riguarda infine il secondo quesito inoltrato da OR.S.A., la Commissione anche
in questo caso ha ritenuto di non potersi esprimere completamente «...in quanto lo stesso non è di
carattere generale poiché correlato ad una specifica situazione organizzativa» e si è limitata a
richiamare l'applicabilità del principio generale per il quale la valutazione dei rischi non può non
tener conto degli aspetti connessi all'organizzazione del lavoro.
Sotto tale profilo si consideri, infatti, che poiché la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la
salute e la sicurezza dei lavoratori (articolo 28, comma 1, Dlgs n.81/2008) il datore di lavoro deve
prendere in considerazione ancora con maggiore attenzione gli orari dei turni di lavoro, quando si
tratta di autotrasporto, in quanto consentono di stabilire l'entità del rischio trasversale di tipo
organizzativo e da stress lavoro-correlato ai quali sono esposti i lavoratori addetti alla guida e di
supporto e, conseguentemente, adottare le necessarie misure di prevenzione e protezione.
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Sicurezza ed
Europa
La campagna europea "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni
età"
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 5 maggio 2016)
La Commissione europea e l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), in
collaborazione con la presidenza nederlandese dell'UE, hanno lanciato il 15 aprile 2016 a Bruxelles
una campagna paneuropea di durata biennale dal titolo "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni
età". La campagna, la più ampia al mondo in questo settore, promuove il lavoro sostenibile e la
sicurezza e la salute sul lavoro nel contesto dell'invecchiamento della popolazione attiva, e ci
ricorda che i giovani lavoratori di oggi saranno i lavoratori anziani di domani.
La campagna "Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età" persegue quattro obiettivi principali:
- promuovere il lavoro sostenibile e l'invecchiamento in buona salute fin dall'inizio della vita
lavorativa;
- prevenire i problemi di salute nel corso dell'intera vita lavorativa;
- offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori modalità per gestire la sicurezza e la salute sul lavoro nel
contesto di una forza lavoro che invecchia;
- incoraggiare lo scambio d'informazioni e buone prassi.
Il tema proposto è innovativo ma, al tempo stesso, di assoluta attualità. La forza lavoro europea
sta infatti invecchiando, l'età pensionabile sta crescendo e le vite lavorative probabilmente si
allungheranno. Il lavoro è positivo per la salute fisica e mentale, e una buona gestione della
sicurezza e salute sul lavoro incrementa la produttività e l'efficienza. Il cambiamento demografico
può tuttavia causare problemi, ma garantire una vita professionale sostenibile aiuta a far fronte a
queste sfide.
Questa campagna si propone quindi di sensibilizzare sull’importanza di una buona gestione della
sicurezza e della salute sul lavoro nel corso della vita lavorativa e di adattare il lavoro alle abilità
individuali, dall’inizio al termine della vita lavorativa.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Tramite un'adeguata gestione della sicurezza e delle diversità che contraddistinguono la forza
lavoro, è possibile infatti ottenere un invecchiamento sano nel luogo di lavoro e un pensionamento
in buona salute.
Su questo fronte numerosi possono essere gli interventi da realizzare in azienda. Si pensi, ad
esempio:
- alla considerazione della diversità di età nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro e nella
gestione delle risorse umane (ad esempio attraverso politiche di gestione dell’età);
- alla valutazione del rischio sensibile all’età e il conseguente adattamento dei luoghi di lavoro;
- allo sviluppo e all’attuazione di interventi e/o strumenti pratici per la gestione di una forza lavoro
che invecchia;
- alla prevenzione della disabilità e alle politiche o misure per il reinserimento sul lavoro;
- alle misure specifiche indirizzate ai lavoratori in età avanzata e/o legate ai pericoli e rischi
specifici per i lavoratori più anziani.
In proposito si consideri che il legislatore ha considerato l’età (assieme al genere, allo stress-lavoro
correlato, etc.) come uno dei parametri fondamentali per una corretta valutazione dei rischi.
Grande attenzione deve quindi essere prestata alla valutazione dei rischi cui sono esposti i
lavoratori che superano i 45/50 anni definiti atecnicamente “maturi”.
In conseguenza di alcune oggettive caratteristiche psicofisiche, tali lavoratori risultano infatti
maggiormente vulnerabili ai pericoli connessi a determinate condizioni di lavoro e per tale motivo,
a seguito di una specifica valutazione dei rischi, per essi devono essere predisposte misure
tecniche, organizzative e procedurali capaci di tutelare adeguatamente la loro salute e sicurezza.
L’individuazione del limite dei 50 anni quale parametro in base al quale stabilire uno specifico
obbligo di valutazione discende dallo stesso D.Lgs. 81/08 che impone (comma 3 dell’art. 176) al
datore di lavoro l’obbligo di sottoporre i lavoratori addetti al videoterminale che abbiano compiuto il
cinquantesimo anno di età alla visita medica di idoneità alla mansione non più ogni 5 anni, bensì
ogni 2 anni, riconoscendo, evidentemente, nel superamento di tale soglia di età, un maggiore
rischio per l’apparato visivo del lavoratore addetto a tali attrezzature.
I cambiamenti dovuti all’età possono essere letti in positivo (accresciuta esperienza lavorativa,
maggiori competenze professionali e interrelazionali maturate, arricchita sensibilità verso gli
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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interessi dell’azienda) ma va tenuto presente che alcune capacità funzionali, fisiche e sensoriali
diminuiscono per effetto del processo di invecchiamento. Questi eventuali possibili cambiamenti
delle capacità funzionali devono essere presi in considerazione nella valutazione dei rischi e per far
fronte a tali cambiamenti potrebbero essere modificati l’ambiente di lavoro e i compiti lavorativi.
I cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età variano da soggetto a soggetto e pertanto i
lavoratori più anziani non costituiscono un gruppo omogeneo in quanto possono sussistere
differenze considerevoli tra persone dalla stessa età.
Molti cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età sono più rilevanti in alcune attività
professionali rispetto ad altre. Ad esempio i cambiamenti dell’equilibrio, di una riduzione della
capacità di valutare le distanze od oggetti in movimento hanno implicazioni per i dipendenti che
effettuano lavori pesanti o guida notturna, ma non hanno influenza su una attività d’ufficio.
La valutazione dei rischi con riferimento alle differenze di età, deve tener conto dei possibili
cambiamenti delle capacità funzionali e dello stato di salute.
I rischi riguardanti i lavoratori più anziani possono comprendere in particolare:
- lavoro fisico pesante;
- pericoli connessi al lavoro a turnazione;
- lavoro in ambienti rumorosi o in condizioni di temperatura bassa o elevata.
Quando le capacità cambiano, anche il lavoro deve subire delle modifiche compensative, quali ad
esempio:
- una riprogettazione o una rotazione del lavoro;
- brevi pause più frequenti;
- una migliore organizzazione dei turni lavorativi;
- un più frequente controllo dell’illuminazione e dei rumori;
- una buona ergonomia dei macchinari.
Una valutazione dei rischi per le categorie di lavoratori maggiormente esposti, che elimini i rischi e
affronti i pericoli all’origine, va a vantaggio di tutti i lavoratori indipendentemente dall’età, dal
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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sesso, dalla nazionalità e dalle caratteristiche fisiche. Ecco alcuni ulteriori esempi di misure che
potrebbero avvantaggiare l’intera forza lavoro:
- adeguamenti dei locali o delle postazioni di lavoro (per accogliere lavoratori anziani, ecc.), per
esempio installando rampe di accesso, ascensori, interruttori di illuminazione e scalini bordati di
una vernice chiara ecc.;
- adozione di strumenti più ergonomici (adattabili alle specificità di ciascun lavoratore
indipendentemente dalla statura e dalle caratteristiche). In tal modo il lavoro o il compito possono
essere svolti da una gamma più ampia di lavoratori (donne, lavoratori anziani, persone di bassa
statura ecc.), per esempio rendendo necessaria una minore forza fisica;
- fornitura di tutte le informazioni in materia di salute e di sicurezza in formati accessibili (allo
scopo di renderle più comprensibili ai lavoratori immigrati);
- elaborazione di metodi e strategie per mantenere in attività in particolare i turnisti anziani; tali
strategie avvantaggeranno tutti i lavoratori (indipendentemente dall’età) e renderanno il lavoro a
turni più accettabile per i nuovi dipendenti.
Una particolare attenzione deve essere poi prestata alla formazione, dove, sul piano psicologico e
motivazionale il lavoratore ultra50enne potrà trovare nuovi stimoli non solo nell’acquisire ulteriori
conoscenze, ma anche nel riscoprire un ruolo attivo nel proprio contesto lavorativo.
Sul piano della partecipazione attiva la formazione diventa così un elemento fondamentale per
rendere i lavoratori maturi in grado di rispondere alle trasformazioni del mercato del lavoro e del
contesto lavorativo con abilità, conoscenze e competenze adeguate.
Parallelamente alla campagna “Ambienti di lavoro sani e sicuri ad ogni età 2016 -2017”, l’Agenzia
europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha invitato a presentare le candidature per la 13a
edizione del premio per le buone pratiche. Il concorso si prefigge di assegnare un riconoscimento
alle organizzazioni che forniscono un contributo eccezionale e innovativo per la sicurezza e la salute
sul lavoro sul tema dell’invecchiamento della forza lavoro e mira a dimostrare i vantaggi di una
buona sicurezza e salute sul lavoro, fungendo da piattaforma per lo scambio di informazioni sulle
buone pratiche e la loro promozione in tutta Europa.
Esso si propone inoltre di dare risalto agli esempi di organizzazioni che si sono distinte nella
gestione attiva della salute e sicurezza sul lavoro nel contesto dell’invecchiamento della forza
lavoro.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Vengono accettate le candidature di datori di lavoro e lavoratori provenienti da tutti i paesi europei,
nonché di intermediari quali parti sociali, operatori e professionisti del settore della salute e della
sicurezza e consulenti in materia di gestione della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
Tra gli elementi che verranno presi in considerazione, la giuria ricercherà elementi che comprovino
i seguenti aspetti:
- un approccio olistico alla sicurezza e salute sul lavoro, comprendente tutti gli aspetti della
gestione dell’età;
- un approccio alla prevenzione durante tutto l’arco della vita;
- miglioramenti concreti e dimostrabili nel campo della sicurezza e della salute e del benessere sul
lavoro;
- la partecipazione e il coinvolgimento effettivi della forza lavoro e dei relativi rappresentanti;
- l’attribuzione della priorità alle misure collettive nell’ambito degli interventi, con particolare
attenzione all’individuo (la promozione della salute deve essere coniugata alla tutela della salute);
- la sostenibilità dell’intervento nel tempo;
- la trasferibilità ad altri luoghi di lavoro (in altri Stati membri, in settori differenti e in diverse
dimensioni di impresa);
- la novità (l’intervento deve essere recente oppure poco pubblicizzato).
Inoltre, l’intervento deve soddisfare, e possibilmente superare, i pertinenti requisiti di legge dello
Stato membro in cui è stato messo in atto. Prodotti, strumenti e servizi sviluppati per scopi
commerciali non saranno presi in considerazione nell’ambito del concorso.
I vincitori riceveranno il premio in occasione di una cerimonia che si terrà nell’aprile 2017, durante
la quale saranno inoltre presentati i risultati raggiunti da tutti i partecipanti.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sicurezza
e INAIL
Inail conferma il taglio delle tariffe
(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 27 maggio 2016)
Inail è pronta a confermare la riduzione tariffaria introdotta dal Governo Letta con la legge di
Stabilità 2014 come misura ponte e che ha garantito un taglio in termini cumulati di 3,3 miliardi del
cuneo fiscale e contributivo per circa 2,7 milioni di imprese.
Lo hanno anticipato al Sole 24Ore il presidente dell'Istituto assicurativo pubblico, Massimo De
Felice, e il direttore generale, Giuseppe Lucibello. «I dati degli ultimi esercizi ci rendono confidenti
che le ultime verifiche in corso saranno positive per una conferma del taglio sulle tariffe
obbligatorie, fermo restando che l'impatto finanziario di questa misura continuerà ad essere
monitorato negli anni a venire e dovrà essere compatibili con i ratios dell'Istituto» ha spiegato
Massimo De Felice, che presenterà la Relazione annuale dell'Inail il 22 giugno, a pochi giorni dalla
scadenza del suo mandato.
La riduzione delle tariffe, di cui in questi anni hanno beneficiato l'80% circa delle imprese che
compongono il portafoglio Inail (sono 3,25 milioni), è oscillato tra il 14 e il 16% ed è stata
finanziata anno dopo anno con 500 milioni di euro a carico dell'Inail e a regime con 700 milioni di
trasferimenti statali.
Il taglio, che quest'anno è arrivato al valore di 1,2 miliardi, era soggetto appunto a una verificare di
sostenibilità economica, finanziaria e attuariale che sembra acquisita. La buona notizia arriva in
coincidenza con il click day (si veda altro articolo in pagina) che ha suggellato il sesto bando Isi per
finanziare investimenti destinati a migliorare gli standard di salute e sicurezza nelle imprese; una
iniziativa che erogato finanziamenti a fondo perduto per un valore di oltre 1,2 miliardi tra il 2010 e
il 2015.
Il taglio strutturale della quota Inail del cuneo è al netto di un altro sconto di cui hanno potuto
beneficiare migliaia di imprese (negli ultimi quattro anni, s'è partiti da 28mila nel 2010 per arrivare
alle oltre 52mila nel 2014; ultimo anno per il quale sono stati resi disponibili i dati, con uno sconto
complessivo di quasi 1,4 miliardi in termini cumulati). Si tratta della cosiddetta “oscillazione per la
prevenzione”, uno sconto riconosciuto alle imprese che hanno realizzato migliorie delle condizioni di
sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro andando oltre i livelli minimi previsti dalla legge: «e
quest'anno la procedura è stata ulteriormente semplificata, riducendo il numero delle sezioni e
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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utilizzando voci puntuali che contengono chiarimenti e definizioni, per evitare incertezze
interpretative» hanno spiegato i vertici dell'Istituto.
Inail nel corso del 2016 garantirà altri finanziamenti a favore delle imprese che investono in
sicurezza. Con bando in corso Fipit verranno distribuiti 30 milioni alle piccole e medie imprese
(comprese quelle individuali) attive nei settori dell'agricoltura, dell'edilizia e dell'estrazione e
lavorazione dei marmi, mentre entro luglio scatterà il bando per finanziare investimenti in
tecnologia e macchinari agricoli (45 milioni del Fondo innovazione previsto in Stabilità 2016). Resta
infine il bando per progetti formativi nelle Pmi sempre finalizzato al rafforzamento delle conoscenze
e delle pratiche per la salute e la sicurezza (14,5 milioni resi disponibili e il termine per le domande
di ammissione è stato prorogato fino al 10 agosto).
Nella prospettiva delle nuove iniziative cui sta lavorando il Governo per rafforzare i canali di
finanziamento non bancario alle imprese, l'atteso decreto «finanza per la crescita 2.0», Inail
potrebbe giocare un doppio ruolo come ente nazionale. «Stiamo guardando con grande interesse
all'ipotesi di partecipazioni dirette in quote di capitale di start up che potrebbero essere costituite
nei prossimi mesi a partire dalla realizzazione della mano robotica sviluppata con una
collaborazione tra Inail e l'Iit di Genova» spiega il presidente De Felice. Operazioni di private equity
che potrebbero estendersi ad altre iniziative sul fronte delle tecnologie riabilitative e della sicurezza
sul lavoro «sostenute – precisa il presidente – tenendo conto che Inail sarebbe un investitore
istituzionale e dunque di lungo periodo, attento però a valutare la compatibilità di ogni
partecipazione con i coefficienti di rischio e di solvibilità che dobbiamo rispettare».
L'altro canale di finanziamento alternativo che si dischiude per Inail lo indica il direttore, Giuseppe
Lucibello: «Inail è autorizzata ad investire su un portafoglio titoli per un miliardo cui si aggiungono
460 milioni di disponibilità liquide. Ebbene di queste somme potrebbero essere resi disponibili circa
800 milioni per investimenti alternativi, sempre naturalmente compatibili la natura pubblica
dell'ente e nel rispetto dei vincoli di sostenibilità finanziaria e patrimoniale dell'Istituto».
Inail ha poi diversi miliardi destinati al settore immobiliare. E vale infine ricordare che le riserve
tecniche dell'Istituto ammontano a circa 27 miliardi, di cui 24 vincolati a deposito in Tesoreria unica
con rendimento nullo. Uno svincolo graduale di queste risorse sarebbe tuttavia possibile se
utilizzato in investimenti in economia reale capaci di compensare l'impatto sul debito pubblico e il
fabbisogno.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sicurezza e unità
produttiva
Posizione assicurativa senza certezze
(Nevio Bianchi, Il Sole 24 ORE – Quotidiano del Lavoro, 17 maggio 2016)
Non solo l’Inps, anche l’Inail ha scelto di individuare l’unità produttiva tenendo conto della
definizione che la magistratura ne ha dato con riferimento all’articolo 35 dello Statuto del
lavoratori. Solo che le finalità delle norme non sono esattamente le stesse.
Nello statuto dei lavoratori l’esigenza era di individuare il campo di applicazione delle tutele in
particolare con riferimento al licenziamento o al trasferimento. È lo stesso legislatore che, a questi
fini, ritiene che la sede di lavoro, lo stabilimento, la filiale, l’ufficio o reparto debbano essere
caratterizzati da «autonomia» e giustamente la magistratura ha dato particolare rilevanza a questo
aspetto.
Per quanto riguarda gli enti previdenziali, invece, si tratta di definire una sede di lavoro rilevante ai
fini degli adempimenti assicurativi, previdenziali e della sicurezza sul lavoro e forse i parametri
dovrebbero essere più oggettivi che organizzativi. Il rischio è rendere difficile l’individuazione delle
sedi di lavoro a cui fanno capo obblighi assicurativi perché bisogna misurare l’autonomia, il grado
di completezza del ciclo produttivo (se c’è un ciclo produttivo) la sostanziale indipendenza tecnica:
tutti concetti non di facile misurazione.
A questo si aggiunge la non chiarezza delle disposizioni amministrative. Emblematica è la
situazione dell’Inail dopo la riforma organizzativa definita dal decreto legislativo 38/2000 che
introdusse le «posizioni assicurative territoriali» e che, secondo lo stesso Istituto, dovevano essere
istituite (circolare 9/2002) in ogni sede di lavoro, intesa come «unità produttiva» secondo la
definizione dell’articolo 2, comma 1, lettera i) del Dlgs 626/1994 , e cioè ogni stabilimento e ogni
struttura facente capo alla medesima azienda e dotata di autonomia finanziaria e tecnico
funzionale.
Da questa impostazione ne consegue che ci dovrebbe essere coincidenza tra sede di lavoro intesa
come unità produttiva e la posizione assicurativa territoriale (Pat). Successivamente, tuttavia, lo
stesso Istituto si è riproposto il problema dell’unità produttiva, per via dei richiami e degli obblighi
previsti dal decreto legislativo 81/2008, e ha invitato nuovamente le aziende a segnalare le proprie
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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unità produttive (circolare 69/2012) attraverso una specifica procedura, non tenendo conto che le
stesse erano già individuate, almeno così sembrava, attraverso le Pat.
La confusione aumenta quando nelle “Faq” relative alla unità produttive si trova scritto che «si
ricorda inoltre che per ogni Pat si possono associare una o più unità produttive e che per ogni unità
produttiva si possono associare una o più Pat». Sarebbe il caso a questo punto che venisse chiarito
con riferimento a quale entità debba essere istituita la posizione assicurativa territoriale.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sicurezza
estesa - 1
Misure di prevenzione estese a tutti gli «atipici»
(Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)
Le norme previste per la sicurezza sul lavoro si applicano sempre: non solo quando nell’ambiente
di lavoro sono presenti dipendenti ma anche quando ci sono altre persone legate all’azienda da un
rapporto giuridico diverso da quello di natura subordinata, o parenti che aiutano il datore di lavoro
in modo occasionale. Anche queste persone sono considerate infatti lavoratori, o ad essi equiparati.
È il principio generale che si desume dalla legislazione, confermato anche dalla giurisprudenza più
recente.
Il quadro normativo
L’articolo 2 comma 1 lettera a) del Dlgs 81/2008 considera come lavoratore ai fini della sicurezza
sul lavoro qualsiasi persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di rapporto, svolga
un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato. Ciò
anche se la persona partecipa all’attività al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una
professione.
Il legislatore, inoltre, estende la tutela prevenzionale anche agli “equiparati”, intendendo per tali,
ad esempio, il socio lavoratore di cooperativa o di società che presta la sua attività per conto delle
società e dell’ente stesso, l’associato in partecipazione (articolo 2549 del Codice civile), il soggetto
beneficiario di tirocini formativi e iniziative di orientamento previste da leggi, l’allievo degli istituti
di istruzione e universitari e il partecipante a corsi di formazione professionale nei quali si faccia
uso di laboratori, attrezzature di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici, comprese le
apparecchiature con videoterminali.
Soci di fatto e irregolari
La giurisprudenza di Cassazione ha esplicitato questo principio in modo articolato. Così, la sentenza
11388/2016, consolidando principi espressi da giurisprudenza precedente (17218/2009,
37840/2009), ha stabilito che il Dlgs 81/2008 protegge anche l’artigiano-socio di fatto, perché la
normativa antinfortunistica si applica anche all’equiparato che sia socio di fatto, prestando la sua
attività per conto di una società.
La sentenza 12678/2016 ha deciso nel senso che la disciplina antinfortunistica si applica anche al
lavoratore “in nero”. In questo caso, la Cassazione riconosce come logico il ragionamento del
giudice di merito che, sulla base di obiettivi e univoci riscontri alle dichiarazioni accusatorie della
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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persona offesa, ha escluso l’incidente domestico e ha ritenuto soggetto a tutela il lavoratore privo
di contratto, quindi “in nero”, che aveva prestato attività lavorativa nell’organizzazione di un
datore.
In chiave più generale, la sentenza della Cassazione 18073/2015 ha specificato che è lavoratore ai
fini della sicurezza sul lavoro chi è autorizzato ad accedere nell’ambiente di lavoro (nel caso
specifico un cantiere), chi vi accede per ragioni connesse all’attività lavorativa e chi si reca o sosta
anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Analogamente, la pronuncia 45056/2015 ha stabilito che anche gli “irregolari” rientrano nella tutela
prevenzionale, giudicando convincente la sentenza di merito che ha ritenuto meritevole di
protezione per la sicurezza anche il lavoratore irregolare che si sia infortunato, qualora egli, anche
se immigrato clandestino, risultasse svolgere attività lavorativa in base a congrui elementi (quali il
rapporto relativo all’infortunio del servizio di prevenzione e sicurezza e la testimonianza della
moglie del titolare dell’impresa).
Collaborazioni saltuarie
Nella decisione 17581/2010 la Corte ha riconosciuto che la normativa antinfortunistica tutela la
sicurezza in tutte le forme di lavoro, ivi compresa quella di chi collabori saltuariamente e al di fuori
di un formale rapporto di lavoro.
Anche in questo caso, la mancanza di un formale rapporto di lavoro tra la vittima dell’infortunio
(nel caso peculiare il figlio del titolare) e il titolare dell’attività non esclude la responsabilità del
datore di lavoro per la sicurezza.
È molto interessante la sentenza 11487/2016 che ha confermato la condanna di un titolare di
laboratorio di analisi, indipendentemente dal fatto che al momento del controllo ispettivo non
fossero presenti lavoratori.
Il principio, anche in questo caso, è che l’obbligo del datore di garantire la sicurezza nel luogo di
lavoro si estende a tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, indipendentemente dalla
forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione.
LE PRONUNCE
L’ISPEZIONE IN ASSENZA DI DIPENDENTI
Il titolare di un laboratorio di analisi è condannato dai giudici di merito per non avere applicato la
normativa sulla prevenzione, indipendentemente dal fatto che, al momento del controllo ispettivo,
non ci fossero lavoratori. La Cassazione ha confermato la decisione di merito, stabilendo che
l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro sussiste in relazione ai
soggetti che collaborano nell’impresa, al di là della forma giuridica usata per la loro prestazione.
Corte di cassazione, sezione VII penale, sentenza 11487/2016
LA COLLABORAZIONE DEL FAMILIARE ALL’ATTIVITÀ
Il giovane figlio di un panettiere presta aiuto, saltuariamente, nel laboratorio del padre e si
infortuna mentre lavora con un macchinario. Il genitore viene condannato dai giudici di merito,
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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poiché il figlio, ai fini della sicurezza sul lavoro, è ritenuto un lavoratore e il padre datore di lavoro.
La Cassazione, nel ribadire la decisione, stabilisce che anche chi collabora saltuariamente
nell’impresa familiare, pur essendo privo di un formale rapporto giuridico si considera lavoratore, ai
fini della normativa di prevenzione.
Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 17581/2010
L’ARTIGIANO SOCIO DI FATTO
Un artigiano che lavora su un tetto cade e perde la vita. I giudici di merito condannano il titolare
dell’impresa incaricata del rifacimento della struttura, ritenendolo datore di lavoro di fatto. La
Cassazione dà ragione ai giudici e, anche confermando un precedente orientamento
giurisprudenziale, stabilisce che la normativa antinfortunistica si applica anche ai soggetti che le
norme di legge equiparano ai dipendenti, tra i quali rientrano i soci, anche di fatto, che prestino la
propria attività per conto di una società.
Corte di cassazione, sezione IV penale sentenza 11388/2016
IL FALSO INCIDENTE DOMESTICO
In seguito a un infortunio, i giudici di merito condannano il titolare dei lavori sulla base di vari
elementi (tra cui la dichiarazione del lavoratore, il luogo in cui è stato ricoverato in ospedale, il tipo
di infortunio e le dichiarazioni di un testimone), sostenendo che non si tratta di un infortunio
domestico, bensì di lavoro in cantiere, e considerando il titolare come datore. La Cassazione
conferma la coerenza della sentenza, avendo essa riconosciuto l’infortunato come lavoratore ai fini
della sicurezza, in base agli indicatori considerati.
Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 12678/2016
IL LAVORATORE SENZA CONTRATTO
Un lavoratore irregolare, privo di contratto, si infortuna mentre sta tagliando legna in un deposito.
La Cassazione ritiene adeguata la motivazione della sentenza che condanna il titolare, riconosciuto
come datore. La sentenza era fondata sulle dichiarazioni rese dall’infortunato e su quanto emerso
dal «rapporto relativo all’infortunio» del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro dell’Asl
e aveva ritenuto inverosimile la testimonianza secondo cui l’irregolare, dopo essersi presentato
spontaneamente, avesse utilizzato «invito domino» un macchinario dell’azienda.
Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 45056/2015
L’OBBLIGO DI TUTELA SI ESTENDE AGLI ESTRANEI
Un bambino di nove anni entra in un cantiere da un varco nella recinzione. Salito su un solaio,
precipita attraverso un lucernaio e muore. I giudici condannano il datore dell’impresa esecutrice dei
lavori, precisando che le misure di prevenzione antinfortunistiche sono poste a tutela anche delle
persone estranee, il cui ingresso in un cantiere, vicino alla strada pubblica e in un quartiere
popoloso, è prevedibile.
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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La Cassazione, nel confermare la condanna, ribadisce che la qualità di estraneo non è di per sé
incompatibile con l’esistenza di un dovere di protezione in carico al datore.
Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 43168/2014
L’INFORTUNIO DEL COMMITTENTE
Il committente di un lavoro si infortuna gravemente, usando la minipala del titolare dei lavori, che
è quindi condannato. La Cassazione ribadisce la condanna, perché le norme prevenzionali sono
nell’interesse di tutti, compresi gli estranei occasionalmente presenti nell’ambiente lavorativo.
Questo principio, per la Corte, vale anche nel caso in cui l’infortunato sia il committente dell’opera,
poiché non si può sostenere un esonero da responsabilità basato sulla pretesa impossibilità di
impedire la presenza “in loco” del committente.
Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza 23147/2012
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Sicurezza
estesa - 2
Anche gli estranei protetti dai rischi
(Aldo Monea, Il Sole 24 ORE – Norme & Tributi, 9 maggio 2016)
Le norme per la sicurezza sul lavoro tutelano anche gli estranei, vale a dire le persone, né
dipendenti né equiparati per legge a essi, che siano comunque presenti nell’ambiente di lavoro.
Questo è l’orientamento della Cassazione penale, espresso da ultimo nella sentenza 14775/2016 e
più compiutamente, nella pronuncia 43168/ 2014. Già la sentenza 42647/2013 si era espressa nel
senso che la prevenzione ha una valenza generale, tale da imporsi nell’interesse di tutti, compresi
gli estranei al rapporto di lavoro. Più nel dettaglio, la sentenza 22965/2014 ha stabilito che il
cantiere, come ogni luogo di lavoro, non deve presentare pericoli per chiunque vi entri in contatto,
per cui deve essere preclusa l’accessibilità alle fonti di rischio con opportune misure escludenti. Se
vi accedono degli estranei (nello specifico, erano ragazzi) e si infortunano, il datore per la sicurezza
sul lavoro ne risponde.
Il principio ha importanti implicazioni giuridiche e pratiche per il responsabile della sicurezza: egli
ha l’obbligo di garantire la salute di tutti i soggetti che si trovino, anche occasionalmente,
nell’ambiente di lavoro, senza poter escludere gli esterni alla struttura lavorativa. Di conseguenza,
una sua responsabilità per violazioni previste nel Dlgs 81/2008 o nel Codice penale (omicidio
colposo o lesioni personali colpose, aggravate da violazioni di norme prevenzionali) sorge anche
quando l’infortunato sia estraneo alle attività lavorative.
Ma questo orientamento è espresso dalla Cassazione penale con diverse sfumature interpretative:
alcune sentenze (tra le prime la 37840/2009 e la 10842/2008) interpretano nel senso che il datore
di lavoro ha l’obbligo di garantire la salute sul lavoro di tutti i soggetti operanti nell’impresa, senza
distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale. Secondo
queste decisioni, una responsabilità del datore per la sicurezza sorge però solo ove tra esterno e
azienda sussista una particolare relazione: ad esempio se l’esterno sta comunque svolgendo, in
qualsiasi modo, prestazioni lavorative oppure è una persona, a vario titolo, collegata
funzionalmente all’impresa (fornitore o cliente, ad esempio).
Altre decisioni, invece, hanno stabilito che il presupposto perchè l’estraneo entri nel campo di
applicazione della normativa per la sicurezza sul lavoro è che nell’ambiente di lavoro operino
comunque dei dipendenti. In questo caso è del tutto irrilevante che l’infortunato sia estraneo (un
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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precedente in questo senso è già nella 14175/2005). Secondo tali giudici la formula di legge
«lavoratori subordinati e ad essi equiparati» va quindi intesa non nel senso che questi sono gli unici
beneficiari della normativa antinfortunistica, ma che solo in presenza di essi sia da applicare la
normativa prevenzionale, da estendere poi agli eventuali estranei.
Più sottilmente, la sentenza 22965/2014 suddivide le norme per la sicurezza sul lavoro in:
-quelle che impongono misure oggettive, cioè misure da applicare a prescindere da un particolare
destinatario (ad esempio, norme sulle attrezzature di lavoro);
-norme e relative a misure di prevenzione riguardanti una specifica tipologia di soggetti. Ad
esempio, la sorveglianza sanitaria (articoli 41 e seguenti del Dlgs 81/2008) è posta, esplicitamente,
a beneficio del lavoratore e non del soggetto estraneo all’azienda (salvo che questi si trovi in
situazione oggettiva simile al lavoratore).
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
35
� Sicurezza
� VALUTAZIONE DEI RISCHI: NON BASTA IL CODICE ATECO
D. La determinazione del livello del rischio aziendale è data solo dal codice Ateco dell'attività o
anche da altri fattori? Nel secondo caso, che cosa prevale? Le ore di formazione dei lavoratori
vengono determinate dai codici Ateco (capi codice) citati nell'allegato 2 dell'accordo Stato-Regioni
21 dicembre 2011? I codici Ateco individuali (singole attività) valgono anche per stabilire le ore di
corso Rspp (responsabile del servizio prevenzione e protezione)/datore di lavoro?
----
R. Ai fini della formazione alla sicurezza, l’accordo Stato–Regioni del 21 dicembre 2011 ha previsto
il monte ore formativo in funzione di dove il lavoratore presta la propria attività lavorativa, e cioè in
aziende ad alto, medio o basso rischio. Per determinare in quale “classe di rischio” si situa
l’azienda, è stato utilizzato il codice Ateco. Ciò non toglie, però, che si debba tenere conto anche (e
soprattutto) della valutazione dei rischi, senza limitarsi alle sole indicazioni fornite dal codice Ateco.
In altre parole, per determinare il fabbisogno formativo in materia di sicurezza e tutela della salute,
è necessario riferirsi anche alle attività che i lavoratori svolgono effettivamente all’interno
dell’azienda. Pertanto, la classificazione dei lavoratori dev'essere fatta tenendo conto delle attività
concretamente espletate dagli stessi con riferimento alla valutazione dei rischi. Ciò significa che, in
funzione della valutazione di rischi riferita alla singola mansione, ci potrà essere una classificazione
di un livello di rischio più alto rispetto a quanto previsto dal codice Ateco, ma anche una
classificazione di rischio più basso. Pertanto, un impiegato amministrativo, ad esempio, di
un’azienda classificata a rischio alto, essendo esposto non agli stessi rischi di un operatore della
linea di produzione ma semplicemente a quelli tipici dell’attività d’ufficio, e cioè a rischio basso,
effettuerà un percorso formativo di quattro ore per la formazione generale e di quattro ore per la
formazione specifica, mentre i suoi colleghi della produzione effettueranno, oltre alla formazione
generale di quattro ore, una formazione specifica di 12 ore. In merito, poi, alla formazione del Rspp
e del datore di lavoro, il percorso formativo dovrà essere strutturato in funzione della classe di
rischio più alta presente in azienda, sulla base degli esiti della valutazione del rischio.
(Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 9 maggio 2016)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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� DIPENDENTI DI CONDOMÌNI SENZA FORMAZIONE SPECIFICA
D. I condomìni con dipendenti, che rientrano nel campo di applicazione del Ccnl (contratto
collettivo nazionale di lavoro) dei lavoratori dei proprietari di fabbricati sarebbero destinatari non di
tutte le norme di sicurezza (e conseguenti obblighi) del Dlgs 81/2008, ma solo di quelle - limitate -
espressamente previste dal comma 9 dell'articolo 3. Il nostro condominio è invece orientato a
sostenere il principio in base al quale una disposizione generale (quale quella prevista dall'articolo
3, comma 9, del Dlgs 81/2008) non può limitare la portata e l'applicabilità di disposizioni specifiche
rinvenibili in altri contesti normativi settoriali, come quelle in tema di prevenzione incendi. Alla luce
di ciò, il nostro condominio nomina un Rspp (responsabile del servizio prevenzione e protezione) e
affida al portiere gli incarichi di addetto al primo soccorso e prevenzione incendi, eleggendo un Rls
(rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Vorrei sapere se le valutazioni del nostro
condominio sono corrette.
----
R. Le valutazioni del condominio non sono corrette. Nel caso presentato dal lettore, l'obbligo di
nomina del Rspp e di addetti antincendio ed emergenza non è richiesto dalla normativa vigente. Il
Dlgs 81/2008 è la norma che riguarda espressamente la tutela della salute e della sicurezza sul
lavoro, e definisce con chiarezza il “perimetro” dell’applicazione delle regole in esso contenute. In
materia di sicurezza e tutela della salute, gli obblighi di nomina del Rspp, dei lavoratori incaricati
dell’attuazione delle misure di primo soccorso, prevenzione incendi eccetera sono contenuti nel
“Titolo I – Principi comuni” del Dlgs 81/2008. Il “principio di specialità”, ex articolo 298 del decreto
citato, recita testualmente: «Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione prevista dal
titolo I e da una o più disposizioni previste negli altri titoli, si applica la disposizione speciale». Negli
altri titoli non ci sono “disposizioni speciali”, che richiedono espressamente la nomina dei soggetti
citati nel quesito dal lettore, né tantomeno questo è richiesto per i condomìni dalla normativa
antincendio. Pertanto, gli obblighi da adempiere sono solo quelli dell’articolo 3, comma 9, e cioè
l’informazione e la formazione del personale (articoli 36 e 37 del Dlgs 81/2008) e l’eventuale
fornitura di Dpi (dispositivi di protezione individuale).
L’ufficio affari legislativi del dipartimento dei Vigili del fuoco aveva chiarito fin dal 2003 (con lettera
protocollo n. 48245/25209/104C del 17 novembre2003), rispondendo a una richiesta dell’Anaci
(Associazione nazionale amministratori condominiali), che le disposizioni di cui al Dm 10 marzo
1998 ("Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di
lavoro"), non si applicano agli edifici condominiali di civile abitazione. Infine, il ministero del lavoro,
con la risposta all’interpello 13/2013 del 24 ottobre 2013, ha ribadito che, per i lavoratori che
rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati, non sussiste
l’obbligo della formazione specifica per il primo soccorso e antincendio. Se, comunque,
l’amministratore di condominio volesse andare oltre, non essendo quanto sopra richiesto dalla
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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normativa vigente, egli dovrà portare tale richiesta all’assemblea condominiale, ai fini della sua
eventuale approvazione di spesa.
(Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 9 maggio 2016)
� SORVEGLIANZA SANITARIA
D. L'art. 18 del D.Lgs. 81/2008, inerente i compiti del datore di lavoro e del dirigente, prevede alla
lettera g), di inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di
sorveglianza sanitaria. Sebbene il datore ed il dirigente richiedano per tempo al medico competente
lo svolgimento delle visite suddette, può accadere che il nuovo giudizio di idoneità venga espresso
con ritardo rispetto alla scadenza prefissata (per impedimenti del medico o del dipendente, ecc).
Nell'intervallo di tempo che intercorre tra il giudizio scaduto e quello da emettere il lavoratore può
continuare la sua attività o deve essere sospeso? Quali inoltre le responsabilità di datore, medico e
lavoratore?
----
R. Nel caso di specie si è di fronte ad un giudizio di idoneità formalmente scaduto. Un rispetto
scrupoloso della vigente normativa prevenzionale induce a ritenere opportuna la sospensione del
lavoratore dall'attività. Detto per inciso, generalmente nei giudizi di idoneità viene prevista una
tolleranza mensile, essendo riportato nel giudizio solo il mese e l'anno di scadenza e non il giorno.
Sotto il profilo delle responsabilità, occorre valutare se il ritardo con il quale viene espresso il
giudizio di idoneità al lavoro sia causato da fatti o atti imputabili al medico competente, al
lavoratore o allo stesso datore di lavoro. In proposito, si evidenzia che il datore di lavoro e il
dirigente che non inviano i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma
di sorveglianza sanitaria o non richiedono al medico competente l'osservanza degli obblighi previsti
a suo carico sono puniti con l'ammenda da 2.192 a 4.384 euro (Cfr. art. 55, comma 5, let. e), del
D.Lgs 81/08). Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori gli importi della sanzione sono
raddoppiati, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori gli importi della sanzione sono
triplicati. Per quanto riguarda le eventuali responsabilità del medico competente vi sono due profili
da evidenziare. Il primo è dettato dall'articolo 58, comma 1, let. b), del D.Lgs 81/08 che prevede
l'arresto fino a due mesi o ammenda da 328,80 a 1.315,20 euro nei confronti del medico
competente che non programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41
attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli
indirizzi scientifici più avanzati. Altro profilo, di rilevanza più indiretta, è costituito dall'art. 58,
comma 1, let. c) del medesimo decreto in base al quale vi è l'arresto fino a tre mesi o ammenda da
438,40 a 1.753,60 euro per il medico competente che non collabori con il datore di lavoro e con il
servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione,
ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per
la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all'attività di formazione e
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del
servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari
modalità organizzative del lavoro. In ogni caso è ormai ampiamente consolidato in giurisprudenza il
principio della responsabilità datoriale per omessa vigilanza (Cfr., da ultimo, Cass. Civ., Sez. III,
sentenza n. 3695 del 26 febbraio 2016 e Cass. Penale, Sez. 4, sentenza n. 47742 del 2 dicembre
2015) Per quanto riguarda i lavoratori, si segnala l'articolo. 59, comma 1, let. a) del D.Lgs 81/08
che prevede la sanzione dell'arresto fino a un mese o ammenda da 219,20 a 657,60 euro nel caso
non si sottopongano ai controlli sanitari previsti o, comunque, disposti dal medico competente.
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 Risponde, 4 maggio 2016)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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(G.U. 31 maggio 2016, n. 126)
� Sicurezza
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 23 marzo 2016
Procedure applicative del codice internazionale per il trasporto sicuro di granaglie alla rinfusa,
adottato dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) con risoluzione MSC 23 (59) del 23
maggio 1991.
(G.U. 7 maggio 2016, n. 106)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 5 maggio 2016
Approvazione delle linee guida applicative per la determinazione della «massa lorda verificata del
contenitore» (Verified Gross Mass packed container - VGM) ai sensi della regola VI/2 della
convenzione SOLAS 74, emendata dalla risoluzione MSC. 380(94) del 21 novembre 2014.
(G.U. 12 maggio 2016, n. 110)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 29 aprile 2016
Modalità di utilizzo da parte delle Forze di polizia degli aeromobili a pilotaggio remoto.
(G.U. 13 maggio 2016, n. 111)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 8 aprile 2016
Modalità di disattivazione delle armi da fuoco portatili di cui agli articoli 1 e 2 della legge 18 aprile
1975, n. 110 appartenenti alle categorie A, B, C e D dell'allegato I alla direttiva 91/477/CEE del
Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.
(G.U. 21 maggio 2016, n. 118)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 10 maggio 2016
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Attuazione della direttiva 2015/559/UE della Commissione del 9 aprile 2015, recante modifica della
direttiva 96/98/CE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo già attuata con decreto del
Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407.
(G.U. 21 maggio 2016, n. 118)
MINISTERO DELL'INTERNO
DECRETO 12 maggio 2016
Prescrizioni per l'attuazione, con scadenze differenziate, delle vigenti normative in materia di
prevenzione degli incendi per l'edilizia scolastica.
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121)
MINISTERO DELL'INTERNO
COMUNICATO
Classificazione di alcuni manufatti esplosivi
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121)
DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2016, n. 80
Modifiche al decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 194, di attuazione della direttiva 2014/30/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l'armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alla compatibilità elettromagnetica (rifusione).
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)
DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 81
Attuazione della direttiva 2014/28/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati
membri relative alla messa a disposizione sul mercato e al controllo degli esplosivi per uso civile.
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)
DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 82
Modifiche al decreto legislativo 27 settembre 1991, n. 311, per l'attuazione della direttiva
2014/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a
disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione (rifusione).
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)
DECRETO LEGISLATIVO 19 maggio 2016, n. 85
Attuazione della direttiva 2014/34/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati
membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati ad essere utilizzati in atmosfera
potenzialmente esplosiva.
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)
DECRETO LEGISLATIVO 19 MAGGIO 2016, N. 86
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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Attuazione della direttiva 2014/35/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati
membri relative alla messa a disposizione sul mercato del materiale elettrico destinato ad essere
adoperato entro taluni limiti di tensione.
(G.U. 25 maggio 2016, n. 121, s.o., n. 16)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 13 aprile 2016
Disposizioni in materia di determinazione degli importi delle tariffe per l'espletamento dell'attività di
valutazione e di vigilanza degli organismi notificati in materia di attrezzature a pressione.
(G.U. 26 maggio 2016, n. 122)
AVVISO DI RETTIFICA
Comunicato relativo al decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 39, recante: «Attuazione della
direttiva 2014/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, che modifica le
direttive 92/58/CEE, 92/85/CEE, 94/33/CE, 98/24/CE del Consiglio e la direttiva 2004/37/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, allo scopo di allinearle al regolamento (CE) n. 1272/2008,
relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele».
(Decreto legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 61 del 14 marzo 2016).
(G.U. 26 maggio 2016, n. 122)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
COMUNICATO
Prescrizioni tecniche riguardanti l'esercizio e la manutenzione delle funi e dei loro attacchi degli
impianti a fune adibiti al trasporto pubblico di persone.
(G.U. 31 maggio 2016, n. 126)
Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, Giugno 2016, n. 6
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