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RAPPORTO DELLA COMMISSIONE: LA POLITICA DEVE DECIDERE CPT, GABBIE DA SVUOTARE MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA VITE FRAGILI LA SCUOLA DELLE RIFORME NON INTEGRA I DISABILI LIBANO MIGRANTI, VITTIME DELLA GUERRA. E DEI “PADRONI” MOZAMBICO IL PARCO APRE AL TURISMO, MA LA FORTUNA È PER POCHI febbraio 2007

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RAPPORTO DELLA COMMISSIONE: LA POLITICA DEVE DECIDERE

CPT, GABBIE DA SVUOTARE

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA. IT

Italia Caritas

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VITE FRAGILI LA SCUOLA DELLE RIFORME NON INTEGRA I DISABILILIBANO MIGRANTI, VITTIME DELLA GUERRA. E DEI “PADRONI”

MOZAMBICO IL PARCO APRE AL TURISMO, MA LA FORTUNA È PER POCHI

febbraio 2007

I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7 3

editoriale di Vittorio NozzaCONTRO IL MALE GLOBALE, GUARDIAMO LA TERRA DAL CIELO 3parola e parole di Giovanni NicoliniLA “VIOLENZA” DELLA MITEZZA, NUOVA SAPIENZA DELL’UMANITÀ 5paese caritas di Antonio PezzettiLUPO, MA FRATELLO. IL CARCERE È QUESTIONE DI TUTTI 6

nazionale“OSPITI” DIETRO LE SBARRE, I CPT SERVONO DAVVERO? 8di Lê Quyên Ngô ÐìnhSTRUTTURE DA “SVUOTARE”, NECESSARIE CORSIE DIFFERENZIATE 10dall’altro mondo di Franco Pittau 13FINANZIARIA: IL FISCO NON BASTA PER RISOLLEVARE I POVERI 14di Paolo Pezzanadatabase di Walter Nanni 17LA SCUOLA DELLE RIFORME NON SA INTEGRARE I DISABILI 18di Pietro Gavacontrappunto di Domenico Rosati 22

panoramacaritas ALLARGAMENTO UE, SOMALIA, FILIPPINE 22progetti DIRITTO ALLA SALUTE 24

internazionaleLIBANO, I “PADRONI” E LA GUERRA: MIGRANTI, VITTIME DUE VOLTE 26di Paolo Lambruschi e Silvio Tessaricasa comune di Gianni Borsa 31«CRISTIANI IN TURCHIA, LA MISSIONE È L’AMICIZIA» 31di Paolo Briviocontrappunto di Alberto Bobbio 35MOZAMBICO: TURISTI NEL GRANDE PARCO, FORTUNA PER POCHI? 36di Maria Cecilia Graiff foto di Alberto Maria Rigonguerre alla finestra di Paolo Beccegato 39

agenda territori 40villaggio globale 44

storie di speranza di Claudia TorreIL GIOCO DELL’ARMANDO, LA VITA RICOMINCIA ALLA STAZIONE 47

IN COPERTINAImmigrati clandestini

“trattenuti” in un Centrodi permanenza temporanea.

La commissione ministerialeha completato a fine gennaio

il suo rapporto; ora toccaalla politica decidere

sul futuro di queste strutturefoto Romano Siciliani

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

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● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 66177001Cartasì anche on line, sul sitowww.caritasitaliana.it (Come contribuire)

5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditie indicare il codice fiscale 80102590587

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

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CPT, GABBIE DA SVUOTARE

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA. IT

Italia Caritas

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VITE FRAGILI LA SCUOLA DELLE RIFORME NON INTEGRA I DISABILILIBANO MIGRANTI, VITTIME DELLA GUERRA. E DEI “PADRONI”

MOZAMBICO IL PARCO APRE AL TURISMO, MA LA FORTUNA È PER POCHI

febbraio 2007

CONTRO IL MALE GLOBALEGUARDIAMO LA TERRA DAL CIELO

editoriale

sguardo non meno intenso, non meno appassionato siposa sull’Europa, che è talmente a rischio da spingereBenedetto XVI ad augurarsi che anche in essa “i valorifondamentali che sono alla base della dignità umanasiano pienamente protetti”.

Ma il papa non si limita alla denuncia e oppone almale globale il bene globale, che si basa sull’impegnouniversale a favore della persona, di ogni persona: sal-vaguardare la piena dignità e ogni diritto è non soltantoun punto essenziale dell’umana convivenza, è anche ilmodo più efficace per abolire ogni forma di violenza. Inaltre parole, il compito che ci viene assegnato sta “nelpromuovere e consolidare tutto ciò che c’è di positivonel mondo e nel superare con buona volontà, saggezzae tenacia tutto ciò che ferisce, degrada e uccide l’uomo”.

questi, il dialogo tra le culture e lereligioni (“una necessità vitale”), o lacrescente presa di coscienza da par-te della comunità internazionale digravissime ingiustizie, come l’“inac-cettabile scandalo della fame”. Taleè, in sintesi, il tono dominante deldiscorso di inizio anno tenuto daBenedetto XVI al Corpo diplomati-co. È un tono che colpisce, in quan-to accompagna il quadro “preoccu-pante” che lo stesso papa traccia, aproposito della globalizzazione delmale: dai conflitti, tuttora numerosie sanguinosi, alla pace “fragile espesso derisa”, per esempio in TerraSanta; dai pericoli per la libertà reli-giosa agli “attentati” planetari allavita e alla famiglia tradizionale, fon-data su valori classici.

Il papa guarda con attenzioneall’Africa dove, come se gli altri malinon bastassero, oggi “si tenta di ba-nalizzare surrettiziamente l’aborto”,all’Asia, all’America Latina. Ma uno

Buona fine e miglior principio. Sul piano dei simboli, gli au-guri al mutar dell’anno avvertono che la storia umana nonè una giostra mossa dalla ruota del caso, ma un cammino

verso un traguardo, che possiamo raggiungere o fallire. La fine el’inizio di un anno è il tempo sospeso che capovolge la clessidra,e la sabbia perduta nel ventre dell’ampolla torna in cima e ridi-venta promessa, inverte il rapporto tra memoria e speranza.

La sabbia della memoria dell’anno passato è sporca einsanguinata. Le fiamme di guerra,divampanti o discontinue, dall’Af-ghanistan alle Filippine, dallo SriLanka al Sudan, dal Libano, Israele ePalestina al Corno d’Africa; i massa-cri quotidiani in Iraq, picco d’orrore,cui non è rimedio l’aver consegnatoal boia, ostentando il cappio, il corpodi un detronizzato dittatore. E i con-flitti dimenticati e le guerre “invisibi-li” nelle regioni del mondo dove lafalce prende il nome di fame, priva-zione, vita negata, malattia senzafarmaci, disperazione.

Quando ci piovono addosso le sventure, qualcunoallarga rassegnato le braccia: «Pazienza, è quel che Diovuole». E no! Dio non vuole il male, e il male non vieneda Dio. Sono gli uomini, siamo noi, nella nostra sciagu-rata insipienza, nei nostri errori, con i nostri bersaglimancati, le mete fallite, le strade perdute, a fare delmondo un mistero d’iniquità. Siamo noi a darci sven-tura rinnegando l’amore. Saremo noi a sostenere spe-ranza e a gustare pace, dono di Dio, se ne faremo uncompito “come Dio vuole”.

La piena dignità, ogni dirittoI tempi sono certamente difficili, ma la fiducia non puòe non deve venir meno, anche perché alla nostra dram-matica epoca non mancano gli “elementi positivi”. Tra

Anche quello trascorsoè stato un anno

insanguinato e denso di attentati

alla dignità dell’uomo.Ma papa Benedettoci invita a scorgere

gli “elementi positivi”dell’oggi. Per affrontare

scelte decisive

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Francesco Meloni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romaredazionetel. 06 66177226-502offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 66177205inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 26/1/2007

sommario ANNO XL NUMERO 1

4 I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7 I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7 5

LA “VIOLENZA” DELLA MITEZZA,NUOVA SAPIENZA DELL’UMANITÀ

parola e parole

reagisce con la “violenza” della suamitezza. E lo fa perché la salvezza eil bene di chi lo ha colpito gli im-portano tanto quanto la propria ve-rità e la propria pace.

Scoprire la perla preziosaTutto chiaro? Sì! Però qui dentro c’èun problema enorme, che è impos-sibile ignorare. Veniamo da secoli incui questi atteggiamenti, queste “ri-sposte al male”, sono stati confinatinella sfera del comportamento indi-viduale, della testimonianza profe-tica di individui superiori, di episodiisolati e, proprio per questo, nonesemplari. Oggi però la vicenda sto-ria delle chiese e dei popoli, dalle re-lazioni più intime e immediate aigrandi e sanguinari conflitti, ci ap-pare troppo stringente e tumultuo-sa, sino al pericolo di una universa-le autodistruzione.

Proprio oggi è allora necessariointraprendere coraggiosamente un

cammino di riflessione e preghiera, un contatto piùcontinuo e serrato con il Testo Sacro, un impegno stori-co delle comunità cristiane più responsabile, per trarredalle parole di Gesù una sapienza nuova, una prospetti-va nuova della storia che faccia di queste perle evange-liche una provocazione a tutte le legislazioni, le istitu-zioni, i patti. Invece la storia sembra malinconicamentesubire la prepotenza del Signore della morte, e si fa ti-mida e restìa fino a concedere l’etica veramente evan-gelica solo all’obiezione di coscienza del singolo. E, an-che questo, non sempre! Aiutiamoci, dunque, a scopri-re insieme la “perla preziosa” di una nuova sapienzadell’umanità, che faccia veramente del Vangelo la testi-monianza concreta e collettiva delle comunità cristiane,come bene per il mondo intero.

forte della morte stessa.Ed ecco l’audacia delle parole

del Salvatore: “Amate i vostri nemi-ci, fate del bene a coloro che vi odia-no, benedite coloro che vi maledi-cono, pregate per coloro che vi mal-trattano”. Perché questo è il mondo:invaso dall’inimicizia, dall’odio,dalla violenza dei pensieri e delleopere. Ma ecco la potenza divina li-berata nella storia e donata agli uo-mini e alle donne di tutto il mondo:l’amore, la misericordia, la preghie-ra. Ecco le “terribili” armi di Dio! Adesse niente e nessuno può resistere. Da qui il comandoperentorio, rivolto ai cristiani e alle chiese, di ripudiareogni mondanità e ogni giustificazione del vecchio do utdes e di una legge del taglione che, essendo puramentevendicativa, moltiplica il male e non crea il bene.

Gesù ci regala anche qualche esempio, qualche “li-nea di comportamento”, qualche “tecnica di pace”: “Achi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra”. Ricor-do sempre con gratitudine la grande del lezione di Lu-ciano Eusebi, valente studioso e cristiano limpido e ge-niale. Il “porgere l’altra guancia” ce lo indicava come ilgesto forte, ben più forte del restituire la violenza subì-ta. È il costringere l’altro ad assumersi la responsabilitàdella sua violenza, fino a indurlo a pensare se ripeterla.Il “pacifista assoluto” non reagirebbe, ma il cristiano

Il mondo è invaso da odio e inimicizia.

Ma Dio lo amacosì com’è. E tramite

Gesù ci insegna“tecniche di pace”

che anche oggi indicanouna diversa prospettiva

della storia,non sottomessa alla

prepotenza della morte

Il cristianesimo non è né ideologia né utopia né idealismo. È la

grande avventura della Parola di Dio nella storia dell’umanità. È

il precipitare di Dio nella nostra ferita, sino al farsi Carne del

Verbo e sino alla Croce di nostro fratello, il Figlio di Dio. Non una vi-

cenda asettica, ma l’immersione del Signore nella nostra povertà.

Per la salvezza dell’umanità, che Dio ama così com’è. Un povero

mondo malato, e prigioniero del Male e della Morte, un mondo che

Egli salva e riempie della sua potenza di bene, potenza d’Amore più

Ma a voi che ascoltate, io dico:(…) A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra. (Luca 6,27-38)

editoriale

Uno sguardo di speranzaÈ, questo, un compito non lieve, affidato a ciascuno e atutti. Esso impone una serie di scelte che vanno attuateguardando la terra dal cielo, cioè con uno sguardo di spe-ranza a tutta l’umanità. Innanzitutto la scelta di una eco-economia: possiamo continuare con i modelli esistenti,andando incontro a un disastro economico e sociale sen-za precedenti, oppure adottare un nuovo modello econo-mico, che sostituisca alla mera ricerca del profitto la giustaconsiderazione del futuro della terra. C’è poi la scelta diun rapporto armonico tra popolazione mondiale e am-biente, a partire dalla constatazione che gli uomini sistanno concentrando nelle città, si sono insediati in mo-do massiccio lungo le coste, nelle valli dei grandi fiumi enelle sconfinate megalopoli urbane; l’ambiente e la cura olo sfruttamento della terra spostano intere popolazioni eacuiscono le disparità di ricchezza, di servizi, di aspettati-ve di vita. La scelta della dimensione del vivere urbanomuove dal fatto che la metà degli oltre sei miliardi degli at-tuali abitanti della terra vive in aree urbane: è difficile resi-stere all’attrattiva della città, per i vantaggi che essa offre eper il fascino dei suoi modelli di vita. Tuttavia essa è vitti-ma del suo stesso successo: aumentano bidonville e peri-ferie-dormitorio; molte città sono prossime alla paralisi.

E altre scelte si impongono. La scelta di valorizzaretutte le agricolture del mondo: la concorrenza di agricol-tori dotati di attrezzature e mezzi sofisticati provoca dadecenni l’arresto dello sviluppo e l’impoverimento deisoggetti più deboli. Eppure, per nutrire i nove miliardi diuomini che nel 2050 si prevede popoleranno la terra, sarànecessario il concorso di tutte le agricolture del mondo,anche di quelle medio-piccole.

La scelta dell’acqua come patrimonio dell’umanità:beviamo acqua ogni giorno, ma molti abitanti della ter-ra soffrono di malattie provocate dalle falde contamina-te o sono costretti a percorre molti chilometri per pro-curarsi questo bene prezioso. L’acqua non abbonda: oc-corre preservarla.

La scelta della consapevolezza che gli oceani e i marisoffrono: la pesca incontrollata e la domanda sempre cre-scente dei prodotti del mare stanno portando alla deva-stazione dei fondali oceanici, dei coralli e degli equilibritra le specie marine. Di fronte a questo disastro, l’uomo èchiamato a reagire tempestivamente.

La scelta tra dubbi e certezze sul clima del futuro: sap-piamo tante cose sul clima, ma siamo lenti a trarne le con-seguenze. Bisogna agire prima che sia troppo tardi.

La scelta di reinventare le energie del mondo: le risor-se di petrolio, gas e carbone diminuiscono e, comunque,producono molti guasti. Le energie rinnovabili sono unapriorità. Un mutamento energetico dovrà cambiare il no-stro mondo; ma esso esige un adattamento mentale e cul-turale, politiche previdenti e una conversione economica.

La scelta di sostenere il microcredito: la povertà col-pisce oggi quasi tre miliardi di persone. E se non si farànulla, la cifra raddoppierà nel volgere di trent’anni. Percontrastarla, sarebbe efficace che tutti gli adulti delmondo avessero accesso al credito per acquistare stru-menti di lavoro. È questo il senso della microfinanza,che già oggi permette a oltre 80 milioni di persone diuscire dalla povertà.

Scelte impegnative. Ma improrogabili. Sfide per unmondo più umano. Non è più tempo di tergiversare…diamoci una mossa!

Salvaguardare la piena dignità e ogni dirittoè non solo un punto essenziale dell’umana convivenza,

ma il modo più efficace per abolire ogni violenza

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di Giovanni Nicolini

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LUPO, MA FRATELLOIL CARCERE È QUESTIONE DI TUTTI

La presenza in città di una casa circondariale non è solo occasione

di scandalo e timori. A Cremona, la Caritas diocesana ha pro-

mosso nel 2001, all’interno della struttura, la presenza di un cen-

tro d’ascolto, strumento principe di prossimità ai soggetti detenuti. Fi-

no ad allora la Caritas diocesana aveva sostenuto un’associazione pro-

vinciale impegnata nell’ambito carcerario, con l’invio di alcuni giovani

in servizio civile; inoltre aveva realizzato inserimenti abitativi di emer-

genza e di semiautonomia nella Casa dell’accoglienza diocesana.

Ma è importante che la comunitàcristiana trasmetta segni di speranza,sia fuori che dentro al carcere. Così, lacosa più naturale da fare è apparsaquella di raggiungere, tramite il centrod’ascolto, il bisogno là dove si manife-stava nella maniera più debole e alcontempo più significativa. All’esternodel carcere, nel tessuto diocesano e nelcuore delle comunità parrocchiali, ab-biamo invece pensato di fare brecciaportando la testimonianza degli ope-ratori diocesani e dei detenuti stessi.Ne è nato “Fratello Lupo”, un progettoche (anche grazie ai fondi 8xmille) dopo un anno di ascoltoe di accoglienza ha alzato il tiro: non più solo colloqui, ac-coglienze occasionali e qualche indumento, bensì un’at-tenzione più forte all’inserimento nel mondo del lavoro.Abbiamo coinvolto aziende e cooperative locali, abbiamocostituito una nuova cooperativa sociale e abbiamo cosìrealizzato in proprio inserimenti lavorativi e abitativi. Allacomunità abbiamo tentato di restituire fratelli un po’ più re-sponsabili, alle famiglie congiunti un po’ meno disperati.

Riparazione e catechesiAttualmente Progetto Lupo garantisce un tempo diascolto individuale rivolto ai 300 ospiti della casa circon-dariale, il contatto con le famiglie, la fornitura di pacchimirati di indumenti e di ausili e presidi medici, la formu-

le, tra essi, può fruire della catechesisettimanale, garantita in tutte le sei lesezioni del carcere.

Le parrocchie più coinvolte, oltrea promuovere testimonianze e in-contri di approfondimento, hannofatto proprie alcune azioni concrete.Una grande spinta motivazionale èderivata dalla marcia silenziosa, pro-mossa e guidata dal vescovo di Cre-mona in occasione dell’annuale Set-timana della carità: diverse centinaiadi persone sono confluite nelle viedella città, alternando il cammino a

soste di riflessione profonda e concludendo con canti epreghiere nel cortile interno al carcere, davanti ai portoniche separano la libertà dalla pena.

E ci sono state altre azioni, anche nel tentativo dicoinvolgere i sempre troppo latitanti enti istituzionali.Siamo partiti dall’ascolto, e per quante azioni si mettanoin atto è sempre dall’ascolto che si riprende il camminoper ogni attività. Dall’ascolto degli ultimi in carcere è na-to il desiderio di essere scandalo per le nostre comunità,a volte quasi asettiche di fronte al problema dei detenuti,solitamente considerati diretti responsabili del loro statoe quindi da ignorare, nemmeno da compatire. Con l’insi-stenza del cuore è stato possibile vincere l’indifferenzadella mente: le parole hanno dato forma ai gesti, i luoghicomuni hanno ceduto il passo al valore del perdono.

lazione di progetti individualizzati(percorsi lavorativi e assegnazione diun alloggio esterno, dove riscoprire ilvalore della propria intimità) per de-tenuti in possibilità di misura alter-nativa. Ma promuove anche servizicomunitari nella struttura di acco-glienza diocesana, che rappresenta-no un gesto di restituzione sociale eun tentativo di riparazione da partedel detenuto o ex detenuto; chi vuo-

Un centro d’ascolto nella casa circondariale. Dal quale, con il tempo,

nasce un articolatoprogetto di reinserimento

sociale. Che coinvolgeanche le parrocchie.

Dove la testimonianzadegli ultimi diventa

motore dell’aiuto

Nel 2004 abbiamo cambiato veste.Da allora abbiamo migliorato sempre. Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.Storie che raccontano l’Italia e il mondo.Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”

Occasione 2007ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORIÈ un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Propone ogni mese“Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana.Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro. Per fruire dell’offerta• versamento su c/c postale n. 28027324

intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano

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RAPPORTO DELLA COMMISSIONE: LA POLITICA DEVE DECIDERE

CPT, GABBIE DA SVUOTARE

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 1 - WWW.CARITASITALIANA.IT

Italia Caritas

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VITE FRAGILI LA SCUOLA DELLE RIFORME NON INTEGRA I DISABILILIBANO MIGRANTI, VITTIME DELLA GUERRA. E DEI “PADRONI”

MOZAMBICO IL PARCO APRE AL TURISMO, MA LA FORTUNA È PER POCHI

febbraio 2007 valoriAnno 7 numero 46. Febbraio 2007. € 3,50

Rinnovabili > Fine corsa per il mercato drogato dell’energia e dei rifiuti Gas naturale > Dove va Gazprom mentre la Svezia punta a uscire dal petrolio

Gens > La vera storia dei banchieri Rotschild

Dossier > Prezzi gonfiati, rimedi inutili, pandemie inesistenti. Ma i titoli volano

La salute truffata

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paese caritasdi Antonio Pezzetti

direttore Caritas Cremona

sogno. Almeno nel contesto normativo attuale, che attri-buisce ai Cpt il compito di trattenere gli stranieri da rim-patriare, per consentirne l’identificazione e in attesa ditrovare il modo per rimandarli nel paese da cui provengo-no. Eppure dietro le inferriate non si incontrano crimina-li incalliti. Alla mensa delle donne, per esempio, incon-triamo molte colf o assistenti di anziani, alcune delle qua-li in passato erano state addirittura in regola con le normesul soggiorno. Provengono perlopiù dall’Europa orientale,hanno dai 30 ai 50 anni, parlano un italiano a volte ottimo,a volte stentato, si lasciano avvicinare senza diffidenza.Raccontano speranze, infrantesi il giorno in cui sono sta-te fermate da un controllodi routine e condotte alCpt. «Non siamo delin-quenti! Non abbiamo maifatto nulla di male. Io erosolo uscita per comprarequalcosa per la signora chemi dava lavoro. Non sonomica una di quelle…», eparte uno sguardo sprez-zante al gruppo di prosti-tute poco lontano.

Una signora russa senzafamiglia in patria, che inItalia aveva trovato lavorocome assistente a un mala-to, si dispera perché non lesarebbe stata data la possi-bilità, dopo il fermo che l’hacondotta al Cpt, di tornare a recuperare i suoi effetti perso-nali e il denaro messo da parte: «Mi stanno per rimpatria-re, ma in Russia la temperatura è già rigida e io ho soloqualche maglietta! Non ho parenti qui, nessuno che sipreoccupi di me: l’anziano non vuole storie e si tiene le miecose». Un’altra parla un italiano impeccabile, è in Italia daoltre cinque anni ma è ricaduta nel girone infernale dell’ir-regolarità per un banale quanto tragico problema buro-cratico: costretta a tornare nel suo paese per sbrigare lepratiche del passaporto, al suo rientro in Italia il permessodi soggiorno è scaduto e non è più riuscita a trovare un la-voro in regola. Una signora ucraina, addirittura, dichiara diessere stata fermata perché si era recata al commissariatoper denunciare un furto subìto: hanno accertato la man-canza del permesso di soggiorno, l’hanno condotta a Pon-te Galeria. È costernata, chiaramente a disagio in un con-testo che sembra un carcere; spende tutto il tempo a pro-

clamare la sua onestà. Anche lei, come altri, si rivolgerà aqualche avvocato che potrà ben poco, al cospetto di unanormativa che non consente molti margini di manovra.Tutte lamentano la casualità che le condanna a un rimpa-trio coattivo, con divieto di reingresso per dieci anni in Ita-lia. «Se fosse uscita una sanatoria, avrei potuto farcela. Lasignora da cui lavoravo me lo aveva promesso...».

Con Dio tutto è possibileUsciamo dalla mensa, gravata dall’angoscia delle tratte-nute: qui, come negli altri Cpt, le chiamano “ospiti”, ma èveramente un vezzo semantico. Chiedo di entrare nelle

stanze delle nigeriane. Aun primo sguardo è evi-dente che sono state fer-mate in qualche retata del-la polizia mentre venivanofatte prostituire. Parlanomale l’italiano, un inglesestentato, ma a gesti si co-munica. Cerco di indivi-duare qualche vittima ditratta a cui indicare il ricor-so al famigerato articolo18, che apre la via del recu-pero sociale, ma è eviden-te che occorrono tempi espazi che la visita dellacommissione non consen-te. Si crea però una corren-te di simpatia, che si ac-

centua quando vedo sul muro una croce, fatta con i tap-pi delle bottiglie di acqua minerale, e una scritta: WithGod all is possibile, con Dio tutto è possibile.

Parlo con la psicologa e l’assistente sociale attive daanni nel Cpt romano. Devono fare i conti con numeri ele-vatissimi di “ospiti”, riescono semplicemente a percorrerei corridoi e a chiacchierare con le persone. Non esistonoschede personali e casi seguiti in profondità: la gente arri-va da tutta Italia e spesso è rimpatriata in pochi giorni,meno dei 60 massimi consentiti dalla legge.

Raggiungo i colleghi nell’area maschile: molti romed ex detenuti. Tutti parlano italiano. Tra loro un russo,che è stato in carcere per oltre dieci anni a causa di ungrave reato e ora è qui, in attesa di identificazione! Sem-bra incredibile, ma si cerca di ottenere in 60 giorni ditrattenimento nel Cpt quello che non si è ottenuto in ol-tre un decennio di detenzione.

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nazionaleimmigrazione

entro di permanenza temporanea e assistenza(Cpta, più comunemente Cpt) di Ponte Galeria,sulla via verso l’aeroporto di Fiumicino, a Ro-ma. Metà settembre 2006, giorno della visitadella Commissione ministeriale istituita dalministero degli interni a luglio. Ponte Galeria è

il più grande Cpt d’Italia: trecento persone, tra donne euomini, sono trattenuti in moduli da otto persone, chiusida inferriate tanto geometriche quanto invasive. Lo stessoprefetto di Roma, Achille Serra, ci aveva messo in guardiasull’orrore di quelle sbarre. E il medico di Ponte Galeriaaveva confermato il senso di oppressione che provocano,invocandone l’abolizione come primo, utopico auspicio.

Ma per ora l’eliminazione di quelle barriere resta un

“OSPITI” DIETRO LE SBARREI CPT SERVONO DAVVERO?servizi di Lê Quyên Ngô Ðình Caritas Italiana,membro della Commissione ministeriale sui Cpt

Una commissione del ministerodell’interno ha visitato in questimesi i Centri di permanenzatemporanea sparsi in tutta Italia.Ne ha fatto parte ancheuna rappresentante Caritas.Ecco il suo racconto

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TRATTENUTI, ESPULSIA sinistra, visita di parlamentari a un Cpt. Sopra, espulsionedall’Italia di immigrati clandestini. Il trattenimento è spessocasuale e ha costi elevati; il rimpatrio non sempre è possibile

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Libia, sulla base di una mera valutazione dei tratti somati-ci: chiaro-olivastro di carnagione, “quindi” egiziano o ma-grebino, da espellere; scuro, “quindi” eritreo, liberiano, su-danese, da inviare a Crotone per la verifica. Con il nuovostatus, ora nessuno viene espulso direttamente dall’isolot-to che dista più dal resto d’Italia (120 miglia) che dalla Tu-nisia (66 miglia) e il margine di errore si riduce. La pressio-ne migratoria però non scende e la struttura continua asopportare sbarchi di 500-800 persone, avendo una ricetti-vità teorica di 186 posti. Si lavora alacremente per l’apertu-ra di un altro centro di 336 posti nell’entroterra, ma se sichiude l’attuale Cpa, a ridosso del piccolo aeroporto, la ca-pienza rimarrà insufficiente. Ne sono tutti consapevoli etutti alzano gli occhi al cielo per invocare una soluzioneche né legislatori né amministratori possono inventare,nonostante i noti slogan sul “governo dell’immigrazione”.

Dentro la struttura incontro una giovanissima eritrea,forse minorenne; cerco di farle alcune domande ma è visi-bilmente impaurita dalle matrone che la guardano a vista.Mi fa capire di aver pagato “in natura” il costo del viaggio,dopo mesi trascorsi ad attendere l’agognato viaggio in Li-bia. Si capisce che la sua è la sorte di molte giovani, fragilie disorientate: forse farà domanda di asilo e le si ricono-scerà uno status di protezione umanitaria valido un anno,in attesa di un futuro incerto; forse riceverà un diniego evagherà per l’Italia preda di qualche rete di trafficanti. Se-gnalo il suo caso alla collega dell’Organizzazione interna-zionale per le migrazioni, che insieme all’Alto commissa-riato Onu per i rifugiati opera nel Cpa da marzo. Cerche-

La compresenza di ex detenuti e di persone irregolari,ma senza trascorsi carcerari, costituisce uno dei principa-li problemi denunciati da tutti: forze dell’ordine, enti ge-stori, nonché gli stessi trattenuti. Spesso gli atti di vandali-smo o i tentativi di fuga sono attivati dai leader con tra-scorsi penali. Questo paradosso sarebbe dovuto a unmancato coordinamento tra i ministeri della giustizia edell’interno; non a caso recentemente è stato costituito ungruppo di lavoro sulla materia. La Commissione ministe-riale ribadirà il problema, a dicembre, nel corso di un in-contro con il sottosegretario alla giustizia, Luigi Manconi.La questione va affrontata frontalmente e rapidamente,non rinviandola a un “superamento” dei Cpt di cui si di-scute da anni, senza effetti concreti.

La pressione non scendeLe situazioni incontrate a Roma si ripropongono anchenei Cpt di Torino, Milano, Gorizia, Bologna e Modena. Alsud – in Sicilia, Calabria e Puglia – ci si confronta invececon le conseguenze degli sbarchi e il problema dello smi-stamento. Qui le sigle si confondono anche per gli addettiai lavori: oltre ai Cpt, si visitano Centri di prima accoglien-za (Cpa) e Centri di identificazione per i richiedenti asilo(Cd’i), che però nella pratica non sempre manifestano dif-ferenze rispetto ai Cpt.

A Lampedusa, a fine luglio, entriamo nel Cpa divenutotale solo da marzo, dopo anni di gestione come Cpt, che loavevano visto al centro di polemiche di portata anche eu-ropea, soprattutto dopo le espulsioni brevi manu verso la

ranno di parlarle, ma si capisce agevolmente che la mag-gior parte degli sbarcati ha ricevuto indicazioni, di cui si fi-da ciecamente, da chi li ha condotti fino all’isola. Occorre-rebbero spazi e tempi riservati per aggirare la loro guardia;la diffidenza è alta quanto la barriera linguistica e il con-trollo del gruppo. Il problema della coabitazione tra vitti-me e carnefici resta uno dei principali nodi da sciogliereper una reale efficacia dell’intervento sociale e legale.

Da Lampedusa, comunque, ora i migranti vengono in-viati a Crotone, dove vi è il più grande centro d’Europa (cir-ca mille posti tra Cpa, Cd’i e Cpt), o altrove se mancano iposti. Nei cosiddetti centri “polifunzionali” coesistononella stessa area le tre tipologie di centro, consentendosenza troppe spese il passaggio degli “ospiti” da uno statusall’altro. Peccato che tutto finisca inevitabilmente per ras-somigliare a un grande carcere: sbarre e filo spinato con-traddistinguono la fisionomia anche di queste strutture.

Casualmente e gravementeDopo oltre sei mesi spesi a visitare, insieme alla Commis-sione, i centri italiani, nonché uno in Francia e uno inSpagna, resta una domanda: i centri di trattenimento (diritenzione, di internamento, come li chiamano all’estero)rispondono all’esigenza per cui sono nati?

In Italia si stima che vi siano circa 300 mila irregola-ri, ma i Cpt possono trattenere meno di duemila perso-ne. Anche calcolando che il tasso di identificazione e diespulsione sia del 100% (ciò che è lungi dall’esser vero,soprattutto ora che, con l’entrata della Romania nellaUe, viene meno il gruppo che garantiva il rimpatrio cer-to), quanti potranno essere gli espulsi con divieto direingresso? È evidente che il trattenimento colpisce ca-sualmente e gravemente, con scarso beneficio per lostesso stato, dati i costi (per ogni rimpatrio occorronodue agenti di polizia in trasferta per controllare il pas-

seggero) e gli insuccessi.Senza contare il limitatoentusiasmo che molticonsolati, privi di validiincentivi, manifestano nelcollaborare. Gli addetti ailavori sono consapevolidell’assurdità di certe pro-cedure. Ma la normativaattuale, anche in ambitoeuropeo, quali soluzionipermette?

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nazionaleimmigrazione

a Commissione sui Cpta è stata istituita dalministro dell’interno Giuliano Amato, condecreto del 6 luglio 2006, al fine di proce-dere a una “indagine conoscitiva sulle con-dizioni di sicurezza e di vivibilità di tutte lestrutture destinate al trattenimento tem-

poraneo e all’assistenza degli immigrati irregolari,nonché all’ospitalità dei richiedenti asilo”. È stata pre-vista la consegna al governo, da parte del presidente

della Commissione, l’ambasciatore e funzionario OnuStaffan de Mistura, di una relazione sull’attività svoltacontenente anche “proposte e suggerimenti sulle pos-sibili strategie future”. Della commissione mista han-no fatto parte, oltre a rappresentanti del ministerodell’interno, esponenti di diversi organismi (Anci, Ca-ritas Italiana, Asgi - Associazione per gli studi giuridi-ci dell’immigrazione, Fcei - Federazione delle chieseevangeliche, Arci, Acli e Cir).

16 questure e prefetture competenti per i 13 Cpta, 5 Cpae 4 Cd’i sono pervenute anche risposte a questionari.

Misure alternativeNel suo rapporto conclusivo, elaborato nella secondametà di gennaio, la Commissione ha proposto uno“svuotamento” dei Cpta italiani, attraverso una razio-nalizzazione del sistema che contempli la fuoriuscitadai Cpta di alcune categorie: ex detenuti, vittime di

Strutture da “svuotare”,necessarie corsie differenziate

LIl rapporto presentato al governo dalla commissione De Mistura: fuori daiCpt alcune categorie di irregolari, rimpatri e reingressi vanno rimodulati

Da luglio a gennaio la Commissione ha effettuato vi-site presso i Cpta, i centri di prima accoglienza (Cpa) e icentri di identificazione (Cd’i) di Lampedusa, Crotone,Torino, Roma, Bari, Foggia, Brindisi, Gorizia, Modena,Bologna, Milano, Trapani, Ragusa, Caltanissetta, Siracu-sa, Lamezia Terme. Ogni visita ha previsto incontri conautorità locali, enti gestori, trattenuti, ong, nonché con-ferenze stampa. Le missioni sono state realizzate anchein centri di trattenimento esteri (Parigi e Madrid). Dalle

SBARREE FILO SPINATOUn immigratonel cortile di un Cpt.Tecnicamentenon si tratta di strutturedetentive, ma spessostruttura e gestionesomigliano a quelledi un carcereR

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di Franco Pittau

IMMIGRATI PENSIONATI,GENERAZIONE SENZA SICUREZZE

da parte dell’attuale decade (2006-2009); 20.600 nel periodo 2010-2014;35.500 nel periodo 2015-2020.

Stimando che nel 2015 gli stranieripresenti possano essere 6 milioni eche il flusso di pensionamento dal2006 al 2015 possa coinvolgere 152mila persone, sommandole alle 100mila già in pensione, si arriva a unasomma complessiva di 252 mila unità.

Tra gli italiani oggi vi è un pensio-nato ogni 5 residenti (più di 10 milio-ni), mentre tra gli immigrati nel 2015,secondo la stima, completata con lerisultanze dell’archivio Inps, vi sarà unpensionato ogni 24 residenti. Nel pe-riodo 2006-2015 il flusso dei pensio-nati immigrati, comunitari e non, ri-guarderà anzitutto la Lombardia (32mila unità) e a seguire Lazio (25 mila),Emilia Romagna (14 mila), Piemonte(10 mila), Campania (9 mila), Sicilia (5mila), Liguria, Friuli Venezia Giulia eMarche (4 mila), Trentino Alto Adige ePuglia (3 mila), Abruzzo e Calabria (2

mila), Sardegna (mille), Molise e Basilicata (meno di mille).La retribuzione media percepita dai lavoratori immi-

grati nel 2003 è stata pari a 9.423 euro annuali (785,25 almese), circa il 40% in meno rispetto alle retribuzioni me-die degli italiani. Partendo dal presupposto che una car-riera assicurativa di quarant’anni consente di arrivare al60% della retribuzione, ne consegue che, salvo un nume-ro ridotto di casi, le retribuzioni percepite dagli immigra-ti daranno luogo a una pensione integrata al minimo.Pertanto gli immigrati di prima generazione, dopo aversvolto un ruolo estremamente positivo a beneficio delpaese di arrivo (tramite il loro lavoro) e del paese di origi-ne (tramite l’invio delle rimesse), sono destinati ad ali-mentare le fila dei nuovi poveri. A meno che non venga-no adottate per tempo adeguate contromisure.

Gli stranieri immigrati sono una popolazione più giovane di quel-la italiana originaria: il 19,3% si collocano nella fascia 0-18 anni,il 54,7% nella fascia 19-40 anni, il 23% nella fascia 41-60 anni, il

3% oltre i 60 anni. I cittadini stranieri hanno un’età media di 31,3 anni,contro i 44 dell’intera popolazione residente. Il ritmo d’aumento dellapopolazione immigrata si può quantificare, per i prossimi anni, nellamisura di almeno 300 mila unità l’anno: più di 50 mila nuovi nati in Ita-lia, 100 mila ricongiungimenti familiari, circa 150 mila nuovi ingressiper lavoro. Questo ritmo porta a ipotizzare per il 2010 il raddoppiodella popolazione immigrata eun’incidenza sulla popolazionecomplessiva intorno al 10%.

Questi numeri disegnano un fu-turo non privo di insidie, sul frontedell’accesso al pensionamento. Inuovi insediamenti non eserciteran-no un impatto previdenziale in tem-pi ravvicinati; i fattori sui quali impo-stare le stime sul futuro pensionisti-co degli immigrati sono quattro: leclassi di età, la normativa sull’etàpensionabile per i cittadini extraco-munitari non rimpatriati (60 per ledonne, 65 per gli uomini e 57 anni di età e 35 di contri-buzione per la pensione di anzianità, secondo la norma-tiva vigente nel 2006), la ripartizione di genere e lo sca-glionamento degli anni del prossimo pensionamento.

Contributori nettiLa stima del Dossier statistico immigrazione Caritas-Mi-grantes si estende fino al 2020 e non prende in conside-razione la classe di età 19-40 anni; essa include1.659.000 persone, lavoratori che per 20-25 anni saran-no contributori netti del sistema pensionistico italiano.

Il flusso di pensionamento dei lavoratori stranieri,nella stima condotta dal Dossier in collaborazione conl’Inps, è contrassegnata dai seguenti ritmi annuali: 4 mi-la domande di pensione saranno avanzate nella secon-

Secondo una stimaCaritas-Inps, i lavoratori

venuti dall’estero che andranno

in pensione entro il 2015 saranno 250 mila.

Ma saranno comunqueuno ogni 24 stranieri

residenti. E molti avranno pensioni

integrate al minimo

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dall’altro mondo

nazionalenazionale

tratta, colf e assistenti familiari, rom. Per costoro siauspicano corsie differenziate, in ragione della loroparticolare condizione. Gli ex detenuti andrebberoidentificati già nella fase detentiva; le vittime di trattadovrebbero essere filtrate da sportelli ad hoc presso lequesture; colf e assistenti familiari offrono sufficientirequisiti di reperibilità, stabilità del lavoro e utilità so-ciale per evitare loro un trattenimento nei Cpta; per irom occorrerebbe una valutazione a parte, dato chemolti non sono rimpatriabili.

Il superamento dell’attuale sistema risulta tantopiù necessario, alla luce della nuova condizione ri-guardante i rumeni, principale gruppo nazionale deitrattenuti (oltre il 31%) nei Cpta, ma ora a tutti gli ef-fetti cittadini europei della Ue, quindi inespellibili.

La riforma del sistema poggia sul ricorso a misurealternative al Cpta e all’allontanamento forzato, cherisultano molto onerose (ai costi di gestione e di vigi-lanza dei Cpta si aggiungono, di norma, quelli dei duepoliziotti che devono scortare l’espellendo), oltre cheinefficaci senza la collaborazione alla propria identifi-cazione da parte degli stranieri. Il rimpatrio assistito eun dosato uso del divieto di reingresso potrebbero ri-sultare utili per convincere gli irregolari a collaborareper la propria identificazione, sinora il principaleostacolo all’allontanamento.

La Commissione ha proposto di distinguere, fra gli

irregolari, tre categorie:■ irregolari di ritorno - overstayers: se non costitui-

scono un pericolo per l’ordine e la sicurezza pub-blica, i lavoratori un tempo in regola non dovreb-bero essere inviati nei Cpta e per loro si potrebbe-ro immaginare percorsi di regolarizzazione attra-verso un permesso di soggiorno per ricerca di la-voro, grazie anche alla collaborazione di enti loca-li e ong;

■ immigrati identificati o che collaborano fattiva-mente alla propria identificazione: per loro vannoprevisti l’accesso a un programma di rimpatrio as-sistito e un divieto di reingresso per uno-due anni;

■ immigrati non identificati e che resistono all’identi-ficazione: trattenimento nei Cpta e rimpatrio senzaincentivi, con divieto di reingresso per dieci anni.Dal lavoro svolto dalla Commissione emergono

pertanto alcune necessità: diversificazione delle rispo-ste; gradualità e proporzionalità degli interventi; in-centivazione della collaborazione tra immigrato e au-torità; coinvolgimento della società civile. Tutto ciò sitraduce in una proposta che prevede il trattenimentonei Cpta solo per le categorie di soggetti pericolosi perl’ordine e la sicurezza pubblica; il rimpatrio assistitoper quanti collaborano alla propria identificazione; unpercorso di regolarizzazione, anche ad personam, percoloro che presentano requisiti affidabili.

PANORAMI GRIGIDue inquietanti vedute del Cpt di Ponte Galeria, a Roma

immigrazione

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La Finanziaria 2007, nella controversa for-ma di un unico articolo con 1.365 commi,è dal 1° gennaio legge dello stato. In questaselva di parole e numeri che spazio è statoriservato al “sociale”? L’aspettativa verso ilnuovo governo era elevata e in effetti unamaggiore sensibilità sociale, nel segno del-

l’equità, dalla manovra emerge. L’atteso cambio di pa-radigma (da un welfare assistenziale, mero costo socia-le, a un welfare per lo sviluppo, pensato come investi-mento per la crescita sostenibile del paese) tuttavianon c’è stato. Né si può dire che il welfare venga ripor-tato al centro della vita pubblica.

Gli strumenti di politica sociale utilizzati dal legislato-re sono stati due: l’impiego della leva fiscale e la creazione

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di fondi specifici per finanziare interventi e servizi sociali.La novità fiscale di maggiore rilievo è la rimodulazionedell’Irpef, con l’annessa riforma degli assegni famigliari ela reintroduzione delle detrazioni per carichi di famiglia(figli, anziani e portatori di handicap). A tale scopo sonostati stanziati più di tre miliardi di euro, che, senza pena-lizzare troppo i ceti più abbienti, porteranno un significa-tivo risparmio fiscale alle famiglie più numerose o conredditi più bassi. Agevolazioni fiscali specifiche e possibi-lità di detrazione sono state previste anche per le spese so-stenute per badanti, alloggi per studenti fuori sede, veico-li per disabili. Sono inoltre state estese le indennità di ma-lattia e i congedi parentali Inps anche ai lavoratori cosid-detti “precari”. Fiscalmente esenti da Iva sono state resetutte le prestazioni rivolte da onlus a soggetti svantaggiati.

Per creare lavoro torna infine il credito di imposta per ilmezzogiorno, così da consentire una fiscalità di vantaggioa chi faccia impresa in quelle aree; questa misura si som-ma alla più generale riduzione del costo del lavoro, opera-ta con il taglio del cosiddetto “cuneo fiscale” e le altre age-volazioni alle imprese.

Si tratta di misure apprezzabili, anche se la leva fiscaleopera solo in favore di chi ha un reddito superiore alla co-siddetta “no tax area”, ossia un reddito annuo superiore aimporti che vanno da 4.500 a 8 mila euro l’anno. Poiché lamaggior parte delle famiglie (11 milioni) che l’Istat con-teggia sotto la soglia di povertà relativa non raggiungonotali livelli di reddito (sono i cosiddetti “incapienti”), è evi-dente che attraverso la leva fiscale non si incide sulla lorocondizione. Il governo, in extremis, ha inserito in Finan-ziaria la previsione di destinare a misure di sostegno agliincapienti parte dell’eventuale extragettito fiscale che siprodurrà nel 2007, se i cittadini pagheranno le tasse oltrele previsioni, come avvenuto nel 2006. È un piccolo segnodi consapevolezza, ma nientepiù; ben altre e più ampieavrebbero dovuto essere le mi-sure per combattere la povertàattraverso lo strumento del so-stegno al reddito.

Natura sperimentaleQuanto ai fondi, il primo e for-se più importante segnale è ilrifinanziamento del Fondonazionale per le politiche so-ciali, reintegrando i tagli degli ultimi due anni: si trattadi circa 1,62 miliardi di euro, da ripartire tra le regioni,secondo l’impianto previsto dal titolo quinto della Co-stituzione e dalla legge 328/00, della quale si spera pos-sa rivivere lo spirito di integrazione e sussidiarietà. Talirisorse non basteranno tuttavia a realizzare né un siste-ma compiuto di servizi e interventi sociali, né i livelli es-senziali delle prestazioni assistenziali, che vengono fi-nalmente previsti nel campo della non autosufficienza,ma non sono ancora definiti né realizzati.

Il sistema è completato da un fondo per la famiglia,uno per realizzare un piano di servizi socio-educativi e al-tri per i diritti e le pari opportunità, l’immigrazione e l’asi-lo, le non autosufficienze, l’inclusione sociale degli immi-grati, le politiche giovanili, le comunità giovanili, le cosid-dette “zone franche urbane” (aree di città del sud degra-date sotto il profilo sociale e urbanistico, in cui realizzare

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Più fondi, ma non per le pandemie552 milioni di euro: pochi rispetto al bisogno e per centrarel’obiettivo dello 0,33% del Pil entro il 2007, non molti in piùrispetto agli anni precedenti. I fondi stanziati dalla Finanziaria2007 per la componente a dono della cooperazione allo sviluppo rappresentano una svolta rispetto ai 382 milioni del 2006. Ma l’inversione di tendenza rischia di essere pesantementeridimensionata se si dovrà attingere a questi fondi per rispettarel’impegno preso nel 2001 con il Fondo globale per la lotta adAids, tubercolosi e malaria (Gfatm): 280 milioni tra contributi2006-2007 e debiti del 2005, di cui non vi è traccia nella Finanziaria, mancanza che ribadisce l’insensibilità versopandemie che compromettono lo sviluppo di un continente,l’Africa, e mietono milioni di vite nel mondo.

Ai 552 milioni di euro vanno comunque aggiunti i fondi gestitidal ministero dell’economia, che disporrà, per il 2007, di circa

900 milioni di euro per la cooperazione allo sviluppomultilaterale (420 per il Fondo europeo di sviluppo,442 per il Fondo speciale), che garantiranno lapartecipazione italiana a Banche e Fondi di sviluppo.

Nonostante l’aumento delle risorse dellacomponente a dono, il rapporto tra aiuti per lo sviluppoe Pil scenderà ulteriormente rispetto al 2006, quandoera tenuto a galla dalla contabilizzazione dellacancellazione del debito di Iraq e Nigeria. Una positivanovità è costituita proprio dalla modifica della legge209 sul debito: attraverso la Finanziaria sarà possibilecancellare e riconvertire il debito non solo dei paesi

colpiti da disastri umanitari, ma anche di quelli che si impegneranno a finanziare programmi di sviluppo. Ciò renderàpossibile, secondo il ministero dell’economia, la cancellazione di 2,3 miliardi di euro di debiti, una cifra consistente.

Una sfida aperta è quella dell’efficienza. La razionalizzazionedelle spese dovrà essere perseguita con forza dal ministero degli esteri: è improcrastinabile un’azione volta a evitare gli sprechi e a valorizzare le risorse, seppur limitate, resedisponibili. Tale impegno potrebbe essere esercitato anche sul fronte multilaterale: il nostro paese è, in termini assoluti, unodei maggiori finanziatori delle agenzie di sviluppo delle NazioniUnite e sarebbe importante che esercitasse pressioni per unariduzione consitente di sprechi e costi di gestione, che in alcunicasi superano il 50% del budget dei programmi di cooperazionedelle agenzie Onu. [Danilo Feliciangeli]

nazionalefinanziaria

IL FISCO NON BASTAPER RISOLLEVARE I POVERILa Finanziaria 2007manifesta una certasensibilità sociale. La rimodulazionedell’Irpef e altremisure sono nel segno dell’equità. Ma per gli “incapienti” si fa poco. Bene i nuovi Fondi,bisognerà vigilaresulla loro attuazione

di Paolo Pezzana

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ASPETTANDOIL SOSTEGNO AL REDDITOIn Finanziaria alcune misure

favorevoli alle famiglie.Ma il welfare non torna

al centro della vita pubblica

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esclusione socialepolitiche socialidatabase

addirittura superati gli anziani, per iquali (almeno al centro-nord) l’inci-denza della povertà appare in dimi-nuzione: a livello nazionale per ipiccoli è al 17%, per gli anziani al14%. L’incidenza della povertà fra iminori del centro-nord è più bassarispetto alla media nazionale, pari al7,7%, ma in tali regioni le quote dipovertà sono complessivamentepiù basse in tutte le classi di età (glianziani poveri sono il 7%, i giovanipoveri costituiscono il 5,2%, gliadulti poveri il 4,3%). Le regioni conla maggior incidenza di povertà tra iminori sono Sicilia (41%), Campania(34,5%) e Calabria (30,6%). I minoripoveri nelle regioni del centro-nordfanno solitamente parte di famigliemonoparentali, mentre al sud di fa-miglie numerose.

Fra i bambini, i più poveri sonoquelli che appartengono alla fasciatra 0 e 5 anni. La percentuale di in-cidenza della povertà fra questi è

infatti del 17,8% (ma al sud è quasi il doppio, 32,5%). Frai 6 e i 10 anni l’incidenza arriva al 17,6% (sud 32,6%), fragli 11 e i 13 anni al 16% (28,7%), fra i 14 e i 17 anni al16,1% (27,3%).

I minori che vivono in famiglie sicuramente pove-re (al di sotto dell’80% della linea di povertà), cioè i piùpoveri fra i poveri, sono 799 mila (cioè il 7,9% dei mi-nori) e vivono al sud nell’80,9% dei casi. Molto preoc-cupante appare la situazione delle famiglie, con mi-nori al proprio interno, che non hanno i soldi percomprare cibo (346 mila, 178 mila delle quali al sud) e ivestiti (1.347.000, 820 mila a sud), per pagare le spesesanitarie (721 mila, 468 mila) e scolastiche (740 mila, 475mila), e persino i trasporti (750 mila, 474 mila) o le tasse(1.060.000, 720 mila).

In occasione della Giornata internazionale dell’infanzia, voluta dal-

le Nazione Unite (il 20 novembre di ogni anno) per non dimentica-

re i diritti dei più piccoli, l’Istituto nazionale di statistica ha diffuso

alcuni dati inediti sulla povertà economica e la condizione sociale dei

bambini e adolescenti in Italia. Secondo i dati Istat, nel nostro paese vi

sono quasi 10 milioni di minori; il 17% di costoro (1.718.000 minori) è in

situazione di povertà economica. Si tratta di bambini che vivono in fa-

miglie con livelli di consumi inferiori alla soglia nazionale di povertà,

BAMBINI INDIGENTI,IN ITALIA SONO QUASI DUE MILIONIdi Walter Nanni

che per il 2005 era pari a una spesamedia mensile di 936,58 euro al meseper una famiglia di due componenti.

Tenuto conto che in Italia risiedo-no 7.577.000 persone in condizioni dipovertà, secondo i parametri Istat, ibambini poveri rappresentano il22,6% di tutti i poveri italiani. Inoltre,la ricerca evidenzia che nel 2005 il14,1% di tutte le famiglie italiane conalmeno un minore al proprio internoerano in condizione di povertà eco-nomica (stesso valore del 2004).

In generale, le difficoltà economi-che associate alla presenza di più figli all’interno della fa-miglia si fanno più evidenti quando i figli sono minori.L’incidenza di povertà, che è pari al 13,6% se in famiglia cisono due figli e al 24,5% se i figli sono tre o più, si innalza fi-no al 17,2% (con due figli) e al 27,8% (con tre o più figli)quando i figli sono di età inferiore ai 18 anni. Il fenomenorisulta assai diffuso nelle regioni meridionali, dove risiedeanche la maggior parte di tali famiglie: nel mezzogiorno èpovero circa il 42,7% delle famiglie con tre o più figli mino-ri. In altri termini, nelle regioni meridionali è povero unbambino ogni tre (30,4%, pari a 1.257.000 soggetti).

A rischio i piccolissimiTra i minori si registra la più alta incidenza di povertà, ri-spetto alle altre fasce di età della popolazione; vengono

L’Istat ha diffuso i datisulla povertà minorile: i problemi riguardano il 17% degli under 18,

in difficoltà si trovaquasi un quarto

dei minori italiani.La situazione

si fa più difficilenelle famiglie numerose

e nelle regioni del sud

nazionale

I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7 17

nazionalefinanziaria

interventi straordinari di bonifica). Gli obiettivi sono mol-teplici: si va dal sostegno delle famiglie numerose allariforma dei consultori, dalla costruzione di asili nido aiservizi per non autosufficienti, dalla presenza di mediato-ri culturali nelle scuole alle emergenze derivanti daglisbarchi di clandestini. Complessivamente si tratta di circa600 milioni di euro, diversamente ripartiti tra i fondi cita-ti, i quali hanno, il più delle volte, natura sperimentale esono destinati a fare da catalizzatori per le misure che iministeri coinvolti prevedono di attivare entro le rispetti-ve competenze. Bisognerà monitorare con attenzionel’attuazione di tali fondi, resa complessa dalla necessità dicoordinare diverse competenze e strutture, ministeriali eregionali. Senza contare l’esigenza di ottimizzare le risor-se, puntando in maniera forte sull’integrazione socio-sa-

nitaria, sulla quale la Finanziaria non è esplicita.Quanto al terzo settore e alla sua integrazione in ta-

le scenario, la Finanziaria ripropone il 5 per mille, esclu-dendo dal novero dei destinatari le amministrazionipubbliche, e limitando a 250 milioni annui, contro i 460stimati nel 2006, l’importo massimo della misura. Con-tinuano a mancare invece impegni sui fronti della lottaall’Aids, della cooperazione internazionale, del poten-ziamento del servizio civile, a fronte di un aumentocomplessivo delle spese militari. In definitiva, ricono-sciuta una certa sensibilità sociale del governo, occorresottolineare l’insufficienza degli sforzi compiuti, lavo-rando insieme per un’evoluzione futura di segno diffe-rente. Verso un nuovo welfare, motore di sviluppo, inuna cornice europea.

SERVIZIO CIVILE

Si spende per le armi, non per la paceNonostante alcuni segnali positivi negli ultimi mesi del 2006 (un bando straordinario a settembre, la modifica dei criteri di valutazionedei progetti in favore del volontariato, un bando straordinario per Napoli)il mondo del servizio civile e dell’associazionismo per la pace giudica con profonda delusione la Finanziaria 2007. La Cnesc (Conferenzanazionale enti per il servizio civile), di cui Caritas Italiana fa parte, ha denunciato che, ancora una volta, si aumentano le risorse destinatead armamenti e strutture militari (per il 2007, in totale, oltre 12 miliardidi euro, circa 330 milioni in più rispetto al 2006), mentre per la difesacivile e in particolare per il Servizio civile nazionale l’investimentocontinua a essere insufficiente.

I fondi stanziati dalla Finanziaria (257 milioni) non bastano a garantire la partenza allo stesso numero di giovani, circa 53 mila,che hanno potuto avviare il servizio civile nel 2006 e che in ogni casosono molti meno di quanti vorrebbero impegnarsi in questaesperienza, ogni anno circa 100 mila. Per il 2007 gli enti hannopresentato progetti per più di 100 mila richieste. E il rapporto sul servizio civile presentato dalla Cnesc il 12 dicembre ha evidenziatoil notevole investimento, oltre 11 milioni di euro solo nel 2005 e soloin risorse umane, per garantire una sempre maggiore qualità dellaproposta, da parte degli enti di servizio civile membri della Cnesc. Il rapporto evidenzia un alto grado di soddisfazione dei volontari per l’esperienza compiuta, soprattutto in ordine alla crescita umana e alla dimensione civica e di cittadinanza. Anche in questo caso glienti, espressione della società civile, e soprattutto i giovani superanola politica in termini di sensibilità e impegno. [Fabrizio Cavalletti]

PARTONO IN POCHIUna volontaria in servizio civilein un ente per minori convenzionatocon Caritas. Nella Finanziaria 2007fondi inadeguati rispetto alle domandeavanzate dai giovani

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e centrodestra hanno ribadito in maniera esplicita la ne-cessità dell’integrazione degli alunni disabili. Ma per-mangono seri problemi. Esasperati da alcuni aspetti cri-tici della riforma Moratti, ma dovuti in primo luogo acattive prassi e a negligenze. «La mancata formazionedei docenti curriculari riguardo al tema dell’integrazionescolastica ha determinato in Italia, specie nelle scuolesecondarie, una delega totale del progetto di integrazio-ne ai soli docenti per il sostegno – spiega Salvatore No-cera, autore di un saggio sull’argomento in Vite fragili, ilsesto rapporto su povertà ed esclusione sociale pubbli-cato a ottobre per il Mulino da Caritas Italiana e Fonda-zione Zancan –. Ciò ha provocato un innalzamento del-la domanda di sostegno da parte dei genitori, sollecitatatalora anche in modo più o meno scoperto dagli stessidirigenti e docenti, per poter “coprire” tutte o quasi le oredi insegnamento che spettano all’alunno con disabilità».

Tale meccanismo ha però finito con il determinare

una corsa alla magistratura amministrativa e civile, daparte delle famiglie, per ottenere in via d’urgenza l’au-mento di ore di sostegno insufficienti, o ridotte dall’am-ministrazione scolastica. Nell’arco di meno di due anni,fra il 2004 e il 2005, si sono avute oltre duecento deci-sioni giudiziali, che hanno ribaltato l’orientamento mi-nisteriale a ridurre le ore di sostegno nei singoli casi. Co-sì molti dirigenti scolastici, invece di richiedere agli Uf-fici scolastici regionali ulteriori ore di sostegno, hannopreferito ridurre ore di sostegno assegnate ad altri alun-ni per aumentare le ore assegnate ai vincitori dei ricor-si, finendo con lo scatenare una penosa guerra fra pove-ri. Le vittorie giudiziarie, in altre parole, non si sono ri-percosse sull’amministrazione, ma sugli alunni con di-sabilità che non avevano fatto ricorso alla magistratura.

Nel suo saggio Nocera denuncia un altro fenome-no: le uscite dalla classe degli alunni con disabilità,mandati in corridoio in compagnia dei bidelli, nelle

CAPACI DI SGUARDO AMPIODelegati al Convegno ecclesiale nazionaledi Verona, durante una fase dei lavori in assemblea.Nelle pagine precedenti, preghiera sugl spalti dell’Arenadurante la cerimonia di apertura del Convegno

nazionalevite fragili

diritti degli studenti disabili? Restano sulla carta.A causa di ritardi atavici. Di scelte di decenni. E,ultimi solo in ordine di tempo, degli effetti dellariforma scolastica varata dal precedente governo.Il “taglio” notevole del numero dei posti dei do-centi di sostegno, che accompagnano i minori

disabili nei loro percorsi di integrazione e apprendimen-to, risale a scelte politiche dei primi anni Novanta: allora siintrodusse il criterio della riduzione annuale di una certapercentuale degli organici, motivato dalla diminuzionedel numero di studenti, dovuta al calo della natalità. An-che la riduzione delle ore di sostegno ha radici ormai de-cennali: il fenomeno si deve alla Finanziaria del 1997, pri-ma della quale si prevedeva un posto di sostegno ogniquattro alunni con disabilità, mentre dopo l’introduzionedel nuovo criterio si è stabilito di istituire un posto di so-stegno ogni 138 alunni (disabili o non), valore modificabi-

le con deroghe di nuovi posti precari annuali.Il numero dei docenti di sostegno è comunque condi-

zionato dall’aumento o dalla riduzione della popolazionescolastica. Con l’estensione dell’obbligo scolastico da 14 a16 anni, avvenuto nel 1999, numerosi alunni disabili cheprima non frequentavano le scuole superiori hanno co-minciato a popolare soprattutto gli istituti tecnici, profes-sionali e d’arte, proprio nel periodo in cui si registrava ilcalo del numero complessivo degli alunni, quindi la dimi-nuzione dei posti di sostegno in organico di diritto. A cau-sa di ciò Letizia Moratti, ministero dell’istruzione del pre-cedente governo, si è trovata costretta a concedere dero-ghe sempre crescenti: oggi quasi la metà dei docenti di so-stegno sono precari con nomine annuali.

Secondo i dati degli ultimi cinque anni scolastici, pub-blicati dal ministero dell’istruzione, il rapporto fra numerodi alunni con disabilità frequentanti le scuole statali e nu-mero di posti per il sostegno è rimasto costante (circa un

posto ogni 1,87 alunni con disabilità), mentre i dati disag-gregati per regione mostrano un panorama squilibrato.Umbria e Lazio sono le regioni con una percentuale più al-ta di alunni costretti a un rapporto penalizzante (un do-cente ogni quattro alunni): è una situazione che capita al38,8% degli studenti disabili umbri e al 41,8% dei quelli la-ziali. Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna sono invecele regioni con una percentuale più alta di alunni con disa-bilità che devono condividere il loro insegnante di soste-gno con uno o al massimo due altri alunni disabili, mentrele regioni del mezzogiorno assegnano più frequentementeun docente di sostegno ogni alunno disabile. Tale situazio-ne ottimale si registra a livello nazionale in circa il 20% deicasi; in Sicilia e Basilicata ciò avviene una volta su tre.

Una guerra tra poveriLe contestate (da sponde opposte) riforme scolasticheintrodotte negli ultimi anni dai governi di centrosinistra

LA SCUOLA DELLE RIFORMENON SA INTEGRARE I DISABILI

Idi Pietro Gava

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Insegnanti di sostegno pochi e precari. Mancata formazione dei docenti curriculari. Ricorsi che danneggiano altri alunni. Si succedono i governi, ma i problemi restano

DIRITTI SULLA CARTARagazzi diversamente abili in un istituto specializzato.

Le recenti riforme non hanno miglioratola situazione dei disabili nelle scuole italiane

I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7 21

contrappunto

legge una disincantata riflessione:“Come credere che il presidente diuna provincia di 50 mila abitanti ri-nunci all’auto blu con l’autista? Cheil parlamentare rinunci alla lautapensione? Che un partito con il2,5% di consensi rinunci a tre mini-steri e al giornale di partito con rela-tivi contributi?”.

Si può allora concentrare l’atten-zione su due grappoli di questioni.In primo luogo c’è da constatare chei processi di “decentramento” istitu-zionale non sono avvenuti a costozero, ma spesso hanno moltiplicatoi centri di spesa, accrescendo glioneri senza avvantaggiare i cittadi-ni. Non è un pollice verso riguardo afederalismo e dintorni; è un invitoalla vigilanza sul funzionamento deipunti di erogazione.

In secondo luogo c’è da chiamarein causa il popolo sovrano, nei suoiatteggiamenti di fronte al potere. Glieccessi di spesa non sono forse legatianche al fatto che le cattive pratiche

vengono alimentate dai cittadini, con richieste particolariche il potere di turno asseconda per ottenere consenso?

Così l’accento si sposta sulla qualità della politica.Sul banco degli imputati non c’è la democrazia, comevalore e come metodo, ma una degenerazione dei com-portamenti politici, che aumenta i costi senza verificarei ricavi. Ma se questo è vero, accanto alle correzioni le-gislative e istituzionali, bisogna mettere in cantiere unavera pedagogia democratica, che rompa il circuito delleclientele e abitui il potere, a ogni livello, a sentirsi “mar-cato” da un controllo popolare intelligente e assiduo.Mosso dalla consapevolezza che se non cresce la bollet-ta dei costi pubblici, può anche diminuire quella dei co-sti privati di ciascuno.

Quanto costa la politica? Dipende. In dittatura i costi ci sono ma nonsi vedono, perché il regime di turno non li rivela e il popolo, ab-brutito dalla propaganda, ci crede. In democrazia, invece, i costi si

vedono e anzi, se si va a scavare, si scopre che ve ne sono di aggiuntivi ri-spetto a quelli dichiarati. Così, periodicamente e da ogni parte, si avvia-no cordate di buoni propositi per alleviare il peso degli “oneri di funzio-namento”. Con o senza valore aggiunto di moralizzazione generale.

Ultimamente in Italia del problema si sono fatti carico tre parla-mentari di sinistra, con una proposta di legge che, si sostiene, farebberisparmiare circa sei miliardi di euro. Applausi intensi e prolungati?La lotta agli sprechi è sempre popola-re fino al momento di entrare nell’a-rea delle scelte pratiche. È come per letasse. Che le paghino tutti, ma si co-minci dagli altri... Solo a parlare di ri-duzione del numero dei parlamenta-ri e dei membri del governo, di aboli-zione di enti inutili, di limiti ai tratta-menti dei rappresentanti del popoloa tutti i livelli (in Italia sono più altiche altrove) si suscitano reazioni ne-gative. Le quali però non sfociano inun grande dibattito pubblico suglioneri della “bolletta”, ma si diluisconoin un grande, diffuso, partecipato silenzio. Figlio di unagenerosa tolleranza, se non di un’ineluttabile fatalità.

La logica della resaGli annali della nostra breve democrazia registrano deci-ne di iniziative volte a introdurre misure calmieratrici.Tante volte si è pensato a regole meno elastiche e più tra-sparenti per il finanziamento dei partiti. Ma l’apporto deiprivati continua a mantenersi in buona parte invisibile,perché le elargizioni avvengono in nero. E quello pubbli-co si risolve in operazioni di mera erogazione finanziaria,senza accertare se siano democratici i comportamentiinterni delle strutture portanti della democrazia.

In uno dei blog apertisi dopo la proposta citata, si

QUANTO COSTA LA POLITICA?NON ARRENDIAMOCI AL SILENZIOdi Domenico Rosati

Gli “oneri di funzionamento”

in democraziaspesso sono più pesanti

di quanto si dichiara.In Italia molte iniziativeper calmierarli, rimaste

però lettera morta. Anche perché

il “popolo sovrano”non “marca” il potere

nazionale

20 I TA L I A C A R I TA S | F E B B R A I O 2 0 0 7

nazionalevite fragili

Sostegno, assistenza, classi:così si discrimina chi è debole

Un genitore di un ragazzo disabile che frequenta una scuolamedia pubblica di Roma ha vinto una causa, lo scorso anno,ottenendo che le ore di sostegno per suo figlio passassero da nove a diciotto. Il dirigente scolastico non ha chiestoulteriori ore di sostegno all’Ufficio scolastico regionale; si è limitato a togliere ore ad altri ragazzi, le cui famiglie non avevano intrapreso la via giudiziaria. Purtroppo, la decisione ha avuto come conseguenza il conflitto fra i genitori e, soprattutto, la mancata copertura di ore di sostegno durante l’anno scolastico.

È una piccola storia, ma emblematica degli ostacoli che la scuola italiana pone all’integrazione degli alunni disabili.Le scarse risorse disponibili, per esempio, stanno provocandola riduzione del numero dei “collaboratori scolastici”, i tradizionali bidelli, che sono le figure addette, secondoquanto prevede il loro contratto collettivo nazionale, a fornireassistenza igienica agli alunni con disabilità non autosufficienti.Così non sono mancati casi di genitori che hanno trovato i lorofigli, al termine delle lezioni, in condizioni igieniche penose,o non li hanno potuti portare a scuola fino a quando le Direzioni scolastiche regionali o decisioni urgenti dei tribunalihanno disposto un aumento dei collaboratori scolastici. E anche il rispetto per la privacy degli alunni si è rivelato un problema: collaboratori maschi sono stati assegnati ad alunne disabili, o viceversa. In alcuni casi, sono statechiamate le mamme per farle venire da casa a pulire i figli.

Le annuali ordinanze sugli organici di fatto del personaleausiliario consentono ai dirigenti scolastici di ottenere dai direttori scolastici regionali ulteriori assegnazioni di bidelli.Ma i dirigenti scolastici e i direttori scolastici regionali, per non apparire in contrasto con gli orientamenti ministerialidi taglio della spesa nelle scuole statali, spesso fanno di tutto per non concretizzare tali richieste.

Infine, anche pratiche improprie di applicazionedell’autonomia scolastica influiscono sui percorsi di integrazione. Alcuni dirigenti hanno disposto la nascita di classi nelle quali sono stati raggruppati per buona partedelle ore del giorno e della settimana tutti gli alunni con disabilità presenti in una scuola, facendo ruotare attorno a loro i docenti di classe e gruppetti di compagni, rompendocosì stabilmente l’unità delle classi di riferimento. Alcuni dirigenti sono stati denunciati dalle associazioni di genitori e condannati per abuso di potere.

ore in cui manca il docente di sostegno, pratica in pa-lese contrasto con il principio dell’integrazione scola-stica. E non dimentica di sottolineare altre prassi di-scutibili: la riapertura di fatto di classi speciali o diffe-renziali per disabili, gli scaricabarile tra scuole ed en-ti locali sull’impiego di assistenti per l’autonomia e lacomunicazione (previsti dalla legge 104/92), la man-cata assistenza igienica agli alunni con disabilità nonautosufficienti, che i collaboratori scolastici e i bidellidovrebbero garantire in base al loro contratto colletti-vo nazionale.

La continuità dimenticataIl panorama, insomma, è tutt’altro che confortante. Loconfermano le denunce contenute in una lettera aper-ta, pubblicata in occasione delle elezioni dello scorsoaprile dal Coordinamento italiano degli insegnati di so-stegno. Il loro presidente, Evelina Chiocca, segnalavache “i vari ministri dell’istruzione che si sono succedutinegli ultimi decenni sono intervenuti più volte e in piùoccasioni sia sui percorsi formativi e professionalizzan-ti del docente di sostegno, sia su aspetti concernentil’integrazione, destando spesso negli insegnanti diso-rientamento e incertezze”.

Alcuni degli esempi proposti dal coordinamento ap-paiono tristemente eloquenti: “I percorsi di formazionedei docenti di sostegno hanno subito oscillazioni signi-ficative riguardo alla durata (corsi annuali, biennali, di800, 400 o 700 ore), spesso giocata al ribasso, dando lasensazione di rispondere a logiche estranee all’integra-zione”. Quanto alla continuità educativo-didattica, essa“è condizionata dal continuo turn over di insegnanti disostegno, determinato da logiche di rispetto formaledelle graduatorie”. La discontinuità, oltre a ledere il di-ritto all’istruzione, “impedisce la costruzione della rela-zione fra docente e discenti, presupposto essenziale perla positiva realizzazione dell’integrazione. Di continuitàeducativo-didattica tutti parlano, ma di fatto, quando sitratta di applicarla, tutti se ne dimenticano”. Infine, “ilruolo di operatori quali l’assistente ad personam e il fa-cilitatore per l’autonomia e per la comunicazione risul-ta non ancora definito e definibile nella prassi, creandosituazioni preoccupanti rispetto al diritto all’istruzionericonosciuto a tutti gli alunni, anche ai gravissimi”. E l’e-lenco potrebbe continuare. I docenti di sostegno, maancor più i disabili e le loro famiglie, si augurano di nondoverlo aggiornare in peggio, in occasione del prossimopassaggio elettorale.

panoramacaritas

CHIESA ITALIANAMarcia per la pace,tremila a Norcia

Ultimo dell’anno incammino per la pace. Si è svolta a Norcia il 31dicembre la 39a marcia(nella foto), sul tema “Lapersona umana cuore dellapace”, organizzata dallaCommissione episcopaleper i problemi sociali e illavoro, la giustizia e la pacedella Cei, Caritas Italiana

e Pax Christi, oltre alladiocesi di Spoleto-Norcia e al comune di Norcia. La giornata – testimonianzee cammino silenzioso – ha visto partecipare tremilapersone e si è conclusacon la liturgia eucaristicapresieduta dal cardinaleRenato Martino, presidentedel Pontificio consiglio dellaGiustizia e della Pace.

EUROPARumeni e bulgarinella Ue: saràun’opportunità

L’ingresso di Romania e Bulgaria in Europa saràun’opportunità. Benché“non bisogna ignorare la diffusa preoccupazione di quanti temono un pericoloinvasione, specialmente da parte di cittadini rumeni,e al loro interno, dei nomadi”:

così, in una nota, CaritasItaliana ha commentato, a inizio anno, la cittadinanzaeuropea conquistata dagliimmigrati provenienti da duepaesi neocomunitari. Essa“costituisce un’opportunità,in particolare, per l’Italia che in questi anni ha potutocontare sul loro lavoro”.Positiva, in particolare, è “la possibilità di questilavoratori di circolareliberamente e di continuare a inserirsi nel mercato del lavoro come badanti, colf,operai edili, metalmeccanicie stagionali, senza esserepiù soggetti alla complicataprocedura del decreto flussie dello sportello unico”.Secondo le stime Caritassaranno almeno 60mila i nuovi ingressi nel nostropaese nel 2007 dopol’apertura delle frontiereeuropee: una pressionemigratoria sostenibile, dato“l’elevato fabbisognoannuale di nuovi lavoratori in Italia”. E il fatto che giànegli ultimi anni gli ingressidai due paesi si attestavanosu questi livelli.

SOMALIANo alla guerra,continua a Baidoal’impegno Caritas

Fermare il bagno di sanguein Somalia. E lasciare apertele frontiere per consentire di aiutare la popolazione. Lo ha chiesto Caritasitaliana, a fine dicembre, nei giorni del conflitto che ha visto le forze militarietiopi, alleate al governo di transizione, cacciare dalpaese le Corti islamiche.

«Il conflitto di questi giorni è l’ennesima prova di unastoria di sofferenze senzafine – affermava, nella notaCaritas, monsignor GiorgioBertin, vescovo di Gibuti e presidente di CaritasSomalia –. La gran partedella popolazione è in baliadegli eventi bellici, tutte lefazioni ambiscono al potere».Secondo il prelato anchel’ingresso delle truppeetiopiche «invece di risolvereil problema, sembraingarbugliarlo sempre più».Gli scontri si sonoassommati a una situazioneumanitaria già gravissima.Nel 2006, dopo un periododi siccità, imponentiinondazioni hanno colpitoalcune regioni somale;secondo le Nazioni Unitesarebbero 1,8 milioni lepersone coinvolte. Nella cittàdi Baidoa, dove sono iniziatigli scontri, da alcuni mesi è aperto un dispensariogestito da uno staff sanitariodi Caritas Somalia, l’unico intutto il distretto che fornisceassistenza gratuita a migliaiadi persone. Caritas Italianacontinua a sostenere questoimpegno e fa appello allagenerosità dei donatoriitaliani per poter contribuiread altre iniziative d’aiuto.

FILIPPINEPesanti alluvionia fine novembre,aiuti agli sfollati

Una colata di fango, terrae sassi ha travolto leabitazioni. Centinaia i morti,migliaia gli sfollati. Il tifoneDurian, abbattutosi sulleFilippine a fine novembre, ha colpito una zona allependici del vulcano Mayon,nella regione di Bicol, a suddella capitale Manila. Le violente precipitazioni si sono mescolate alle cenerivulcaniche, peggiorandol’effetto. La Caritas delleFilippine (Nassa – NationalSecretariat of Social Action)si è attivata a fianco delleCaritas diocesane delle areecolpite dal disastro perprestare i primi soccorsi.Caritas Italiana, che insiemealla rete internazionalesostiene da più di trent’annile azioni della chiesa locale,con progetti rivoltiprioritariamente alle fascepiù deboli e dimenticate, ha espresso solidarietà e vicinanza nella preghiera e ha messo a disposizione50 mila euro per i primiinterventi; le offerte dei donatori consentirannoaltri aiuti nel medio periodo.

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Arriva una barca vuota,gli ultimi li avremo sempre

Guido Di Bella, 29 anni, è volontario nell’oratorio salesiano SanDomenico Savio di Messina per l’Ispettoria salesiana sicula. Conil racconto “Senza nome” ha vinto il concorso letterario “Vo.Ci”, ilprimo rivolto a chi opera o ha operato nel settore del servizio ci-vile. Promosso dalla delegazione regionale Caritas Piemonte eValle d’Aosta, ha visto pervenire 46 racconti, di cui 13 finiti nel li-bro “VoCi – Servizio civile volontario. Una scelta di pace”, edito dal-le Edizioni Gruppo Abele e scaricabile dal sito www.progettovoci.it.

* * *È la prima volta che scrivo un racconto. Tutto potevoaspettarmi, fuorché vincere un concorso letterario. Certo, iltema mi tocca profondamente e quando ho saputo del bandoho scritto la prima bozza di getto, con la stessa passione cheha caratterizzato il periodo del mio servizio come obiettore.

“Senza nome” cammina su due percorsi paralleli: da un lato il sogno, un mondo in cui si muovono bambini che giocano allegri, mai stanchi. E il protagonista disteso sulla spiaggia, affascinato dall’immensità della notte. Sembra tutto perfetto, scandito da un ritmo quasi magico, mal’innocenza di questo sogno viene turbata da una barca vuotache arriva dal mare. All’inizio i bambini sono presi dall’euforiadel gioco e salgono sulla nave. Ma non è un gioco, e quandola barca si allontana dalla riva il dramma si consuma.

In parallelo scorre il mondo reale, con il protagonista che, come ogni giorno, va a svolgere il suo servizio in oratoriopercorrendo la solita strada, fino all’angolo dove aspetta dei bambini – fratelli – che però quel giorno non arrivano. Il giovane si ritrova così in una zona degradata della città,entra nella casa dei bambini, ascolta il racconto disperato dellamadre e scopre che i suoi figli sono stati venduti, schiavi nelnostro tempo. Un mercato di cui il ragazzo non immaginaval’esistenza. Decide allora che bisogna fare qualcosa.

Alla fine i due mondi sembrano fondersi. Un’immagineforse più onirica che reale, che lascia al lettore la conclusione.Ho dedicato questo racconto “ai volontari sempre in servizio”,perché il servizio civile non è un’esperienza fine a se stessa,ma un punto di partenza per una storia ancora più grande, che non può avere termine. Gli “ultimi” ci sono sempre.

Io oggi sono ricercatore di ingegneria all’Università diPalermo. Sono passati quattro anni da quando ho svolto il mioanno di servizio civile. Quel periodo mi ha avvicinato ancora dipiù all’ambiente salesiano che ho sempre frequentato. Proprioqualche giorno fa sono diventato salesiano cooperatore. Sonoentrato nella famiglia salesiana come laico, per vivere nelmondo il carisma di don Bosco. Con i giovani, per i giovani.

I GIOVANI CHE SERVONO

Rapporto discriminazione,legge sullo sfruttamento

RAPPORTO EUMC 2006 SULLA DISCRIMINAZIONE IN EUROPA. L’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (Eumc) ha pubblicato a novembreil suo Rapporto annuale, dal quale emerge che migranti e minoranze etniche continuano a subire discriminazioniin tutta l’Unione europea per quanto riguarda lavoro,scuola e casa. Oltre ai dati riguardanti discriminazionerazziale e reati di matrice razzista, viene offerto un panorama delle iniziative per combatterli.http://eumc.europa.eu/eumc/index.php

STORIA DI UN ALLARGAMENTO. Il 1 gennaio 2007, con l’entrata di Bulgaria e Romania, si è completato il quinto allargamento dell’Unione europea. Il primo passo,nel 1957, fu la Comunità economica europea (Cee)composta da sei stati (Belgio, Francia, Germania, Italia,Lussemburgo e Olanda), ai quali se ne sono aggiunti 19,secondo le seguenti tappe: 1973, Danimarca, Irlanda e Regno Unito; 1981, Grecia; 1986, Portogallo e Spagna;1995, Austria, Finlandia e Svezia; 2004, Cipro, Estonia,Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca,Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Il camminodell’allargamento è destinato a proseguire nei prossimianni con l’adesione dei paesi dei Balcani occidentali e quello controverso della Turchia. www.europafacile.net

SFRUTTAMENTO LAVORATORI: NUOVO DISEGNO DI LEGGE.Il consiglio dei ministri del 17 novembre 2006 ha approvatoun disegno di legge sul contrasto del fenomeno dellosfruttamento della manodopera di stranieri irregolarmentepresenti in Italia. La possibilità che allo straniero vengaconcesso uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, quando emergano concreti pericoli per la sua incolumità, era già prevista dall’ordinamento e viene integrata con una più puntuale individuazione della fattispecie di reato. www.asgi.it

UN NUMERO VERDE AIUTA I RIFUGIATI. Da fine 2006richiedenti asilo e rifugiati hanno a disposizione unostrumento in più per accedere ai servizi e conoscere le procedure utili per muoversi nel nostro paese. Si tratta di un numero verde in grado di fornire risposte adeguate,orientamento e assistenza legale; risponde al numero verdenazionale 800.90.55.70 ed è gratuito.www.integrarsi.anci.it

PILLOLE MIGRANTI

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progetti > diritto alla saluteinternazionale

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L’11 febbraio 2007, memorialiturgica della Beata Vergine di Lourdes, si celebra a Seul la 15ª Giornatamondiale del malato. È un appuntamento cheporta alla ribalta, almenoper un giorno, situazionidi disagio che meriterebberoattenzione costante. La Caritas ha avviatointerventi nel settoresanitario in tutto il mondo, a sostegno delle comunitàlocali, con particolareattenzione alla tuteladei diritti e della dignitàdi ogni persona malata eal ruolo che questa può avere nella comunità ecclesiale e nella società civile.

Una rete di 63 ambulatori rurali, gestiti dalle sette Caritasdiocesane del paese, da quasi tre anni fornisce assistenzasanitaria di base a più di 500 mila persone in aree rurali tra le più povere del paese. La maggior parte dagli ospedali del Bangladesh si trova nelle grandi città: l’assistenza sanitarianei molti piccoli villaggi rurali è quasi inesistente. Il ruolo degliambulatori Caritas è dunque cruciale per i territori non urbani,sia nell’attività quotidiana, sia in occasione delle moltissimecalamità naturali che flagellano il paese come strutture di pronto intervento sanitario. Il progetto si propone di rafforzare la rete degli ambulatori, consentendo loro difornire assistenza sanitaria attraverso visite ambulatoriali e

Una rete di ambulatori, unico riferimento per gli abitanti delle campagne

BANGLADESH

MICROPROGETTI

medicinali, di fornire un’educazione sanitaria di base ai beneficiari, di organizzare corsi di formazione per il personale, di contribuire al programma di vaccinazioni delgoverno, diretto soprattutto ai bambini. Il contributo richiestosarà impiegato per l’acquisto di medicinali e attrezzaturemediche, nonché per l’educazione sanitaria della popolazionelocale e la formazione e retribuzione dello staff locale.> Costo 45.986 euro > Durata tre anni> Beneficiari in un anno 446.400 assistiti esterni, 93 mila

assistiti interni, 18.900 partecipanti ai corsi formativi> Causale Bangladesh/ambulatori

CONGOProgramma nutrizionale da sostenereIl centro nutrizionale-sanitario Malaika è promosso dallaCaritas diocesana di Isangi. Chiede un contributo perl’acquisto di piccole attrezzature, per assicurare i servizinell’ambito di un programma nutrizionale coordinato dallaCaritas nazionale. Il contributo locale è pari a 340 euro.> Costo 3.825 euro> Causale MP 476/06 Rep. Dem. Congo

COSTA D’AVORIONuovo centro sanitario dopo la guerraIl centro sanitario del quartiere di Tchekelezo di Korhogo,sinistrato a causa della guerra civile, necessita di unafornitura di piccole attrezzature, materiale sanitario emedicinali reperibili sul mercato locale. L’intervento miraa ripristinare l’attività della struttura, in una zona situataall’estremo nord del Congo, in una zona tra le più poveree più provate dai disordini causati dalla guerra civile.> Costo 1.500 euro> Causale MP 478/06 Costa d’Avorio

TANZANIAAssistenza ai malati di AidsBambini e orfani, ma anche anziani: sono i destinatariprivilegiati del programma di sostegno sanitario e di integrazione alimentare in favore di persone vittimedell’Aids nella comunità di Kihesa. Il programma, che prevede di fornire assistenza a 350 persone (165 uomini e 185 donne), si articola in due interventiparziali: fornitura di medicinali e di alimenti integrativi.> Costo 5.800 euro> Causale MP 479/06 Tanzania

HONDURASLaboratorio dentistico per i più poveriAll’estrema periferia della capitale, la parrocchia di San Juan Bautista intende avviare un laboratoriodentistico in favore della popolazione più povera del quartiere Colonia Kennedy. La parrocchia è organizzatain diverse pastorali: una di esse è la pastorale dellasalute, che si assumerebbe il compito di far funzionare il laboratorio. Beneficiari diretti saranno tutti gli abitantidella parrocchia che non hanno la possibilità di pagare un dentista. Per contribuire al progetto vengono richiestiattrezzature e materiali; il contributo locale, della parrocchia, coprirà i costi di allestimento dei locali.> Costo 5.440 euro> Causale MP 409/06 Honduras

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più consistente – spiega Najla Chahda, direttrice delCentro migranti della Caritas nazionale a Beirut – so-prattutto la presenza di cristiani sudanesi in fuga dallepersecuzioni. In molti casi si tratta di studenti universi-tari che, terminati gli studi, non vogliono tornare in unstato che pratica la sharia, la legge islamica, e che li di-scrimina. Da settembre, poi, a causa della recrudescen-za degli scontri e della pulizia etnica a Bagdad, arrivadall’Iraq in media una famiglia di cristiani caldei al gior-no. La metà sono bambini e per noi è difficile trovare so-luzioni. In alcuni casi, al seguito ci sono malati psichici odisabili. Cerchiamo di far avere loro un permesso di sog-giorno e di trovare un’occupazione ai capi famiglia, main questo momento l’economia libanese è ferma e la di-soccupazione molto alta. Riusciamo a trovare alloggi neirifugi, ma fare progetti di permanenza è molto difficile».

Nessuna libertà di movimentoIl Centro migranti si trova in un palazzo moderno nellaparte settentrionale di Beirut, nel centro direzionale edi-ficato durante il programma di ricostruzione degli anniNovanta. Da qui sembrano lontani anni luce, e non soloun’ora di auto nel traffico congestionato della capitale li-banese, i quartieri meridionali e la zona occidentale diDahyeh, dove vive la maggior parte degli immigrati.

Ma durante i 33 giorni di bombardamenti israelianidell’estate 2006, è stato questo palazzo di vetro e cemen-to l’unico riferimento per migliaia di persone che fuggi-vano da case distrutte e abbandonate dai “padroni”. Oche scappavano da zone rimaste isolate e divenuteobiettivo bellico. Il centro migranti ne ha aiutate almeno15 mila, accogliendole nei rifugi ricavati in parrocchie,monasteri, scuole e ospedali cattolici, dove hanno rice-

decimo della popolazione libanese –, che pescano ma-nodopera a costi molto bassi sia i ricchi signori per i ser-vizi domestici, sia il business fiorente e in continuaespansione della ricostruzione edilizia postbellica. “I la-voratori stranieri – rivela un rapporto del Centro mi-granti della Caritas libanese – sono arrivati nel paese ne-gli anni Settanta, ai tempi del primo boom petrolifero,per lavorare principalmente nel settore domestico. Pro-venivano dall’Asia (Sri Lanka, Filippine, Vietnam), in-centivati dai loro governi, che volevano ricevere le ri-messe. Non c’erano accordi diplomatici formali, maquesta pratica si è consolidata nel tempo”. Anche per-ché questi lavoratori accettavano salari inferiori a quel-li dei siriani e di altri lavoratori di origine araba.

Così oggi nel paese ci sono 80 mila srilankesi, 30 mi-la filippini e altrettanti etiopi. «Sta diventando sempre

Nel Libano che continua a vivere in bilicosull’abisso di una nuova guerra civile, stapassando inosservato il dramma degli im-migrati sfruttati. Sono circa 140 mila, han-no vissuto finora in una sorta di limbogiuridico: i permessi di soggiorno nel pae-se dei cedri durano solo un anno, poi si fi-

nisce in una sorta di terra di nessuno da cui è difficileuscire, ostaggi della povertà e della violenza. A questi“invisibili” si aggiungono altri 400 mila palestinesi rifu-giati e richiedenti asilo: vivono da sessant’anni in unacondizione di precarietà, nei campi dove invecchiano legenerazioni e si allevano kamikaze. Non possono esserecittadini, sono senza patria e sono esclusi da ben 72 tipidi impiego, praticamente possono fare solo lavori pocoqualificati. È in questo bacino di esclusione – più di un

Nel Libano travagliato dai danni di guerra e dalla crisi politica,rimane sotto silenzioil dramma di 140 milastranieri. Sfruttati,senza documenti,abbandonati durante il conflitto: per molti l’unico riferimento è stata la Caritas

libanointernazionale

di Paolo Lambruschi

I “PADRONI” E LA GUERRA: MIGRANTI, VITTIME DUE VOLTE

NORMALITÀ DA RICONQUISTAREFerite di guerra nel territorio libanese. A sinistra, devastazionicausate dai bombardamenti israeliani in un quartiere sciitadi Beirut. Sopra, ricerca di bombe inesplose in un uliveto

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Medio Oriente. «In quei giorni – ricorda Najla – le am-basciate vennero prese d’assalto da persone che aveva-no perso tutto ed erano state abbandonate senza viverie spesso senza passaporto. Famiglie intere si erano ac-campate nei giardini delle sedi diplomatiche. Sotto lebombe israeliane erano morti anche una decina di im-migrati, nella maggior parte dei casi rimasti sotto le ma-cerie o fatti a pezzi dalle schegge, e le notizia aveva let-teralmente scatenato il panico. Molti volevano tornare acasa. Sono stati rimpatriati, sino a fine 2006, 15 mila la-voratori attraverso la Siria; la metà erano srilankesi, cir-ca seimila filippini».

Samudra, segregata in casaIn questo scenario la Caritas ha raccolto, nei centri pre-disposti per il rimpatrio, diverse testimonianze di traffi-co e sfruttamento. Come quello delle due domestichefilippine che, scaduto il permesso, sono state segregatedal datore di lavoro e picchiate fino a rompere loro

braccia e schiena e a renderle invalide permanenti,mentre per due settimane le famiglie tentavano invanodi contattarle. O come quella della domestica srilanke-se, Samudra, sposata e madre di due figli, arrivata a Bei-rut la scorsa primavera e che, all’esplodere del conflitto,venne segregata in casa, affinché la vigilasse, dalla fami-glia per cui lavorava. Riuscì a scappare, voleva tornaredai figli; arrivò dall’agenzia di lavoro che l’aveva aiutataa migrare ma il titolare le chiese una somma elevata incambio del disbrigo delle pratiche. Quando la donna ri-spose che aveva finito i soldi, venne rimandata in stradasotto le bombe, finché non trovò chi la accompagnò al-la Caritas. O come la storia di Nishanti, pure lei sri-lankese, minacciata con il coltello dal datore di lavoro

vuto generi di prima necessità e aiuti di tipo medico, ol-tre al conforto umano. Sono stati trattati come sfollati,ma giuridicamente erano diventati illegali o clandestini.In molti casi si è attivato il servizio legale della Caritas,che quando possibile ha organizzato i rimpatri o è riu-scito a ottenere un nuovo permesso di soggiorno, se il la-voratore aveva ancora un’occupazione.

«“Padroni”? È il termine giusto – conferma Najla –. Lafuga dei proprietari verso Europa, America o Siria ha fat-to scappare anche i domestici, facendo emergere situa-zioni di sfruttamento al limite della schiavitù. Molti si so-no rivolti a noi e abbiamo scoperto che, in diversi casi, ilavoratori stranieri non venivano pagati, non avevano li-bertà di movimento perché erano stati loro sequestrati idocumenti, erano oggetto di abusi e maltrattamenti,non avevano diritto a giorni di riposo né a cure medichein caso di malattia».

In altre parole, la guerra ha rivelato come il Libanosia oggi una delle mete del traffico di esseri umani in

della Caritas eravamo il primo punto di riferimento pergli sfollati, ma anche per quelli che non osavano uscire dicasa. Abbiamo aiutato tutti, ci imbattevano in particola-re in urgenti problemi di igiene; è stata l’occasione perimparare cose che non conoscevamo, del modo di vive-re dei nostri vicini musulmani. Anche dopo essere tor-nate a casa, le famiglie vengono a trovarci per ringraziar-ci e farci piccoli regali. Questa difficile guerra ha avuto treconseguenze positive: ci ha insegnato a vivere il Vangelonel quotidiano, ci ha avvicinato ai poveri grazie a un’a-zione quotidiana sul terreno, ci ha rafforzato nella nostraazione di Caritas».

Jacqueline Hokayem viene da Qlaaya, vicino aMarjeyoun, nel sud, zona di intensi combattimenti. Ilsuo è un villaggio cristiano considerato “traditore”, per-ché alcuni abitanti hanno collaborato con gli occupantiisraeliani, rimasti lì fino al 2000 nel corso della prece-

dente occupazione del sud del Libano: «In estate, duran-te la guerra, abbiamo accolto 400 famiglie, circa tremilapersone; anche alcuni wazzani (beduini nomadi) si so-no avvicinati al nostro villaggio. Abbiamo accolto tutti esiamo persino intervenuti a calmare le tensioni tra sun-niti e sciiti che rifiutavano di coabitare nell’edificio cheavevamo messo a disposizione. I problemi non sonomancati. Ad esempio le tende fatte smontare dagli Hez-

bollah, perché donate daun’organizzazione ingleseche ci aveva messo soprala bandiera della GranBretagna…».

Il dialogo dal bassoCostruire la pace e il dialo-go. Dal basso. Lo si è co-

minciato fare proprio nei giorni più violenti e angoscian-ti. Marie-Rose Awad è un matura assistente sociale dellaperiferia nord di Beirut. «Non è stato facile per noi acco-gliere rifugiati sciiti. Sapevamo che dovevamo volergli be-ne e accettarli con le loro differenze; c’è anche chi li haaiutati a malincuore. Eppure mi hanno insegnato molto: ilfatto di non piangere i morti, il loro abbandono davanti al-la volontà di Dio, la loro pace interiore. Ho imparato ad

«Il vostro Gesù, non ci piaceva. Ma dopo que-sta guerra, ci auguriamo che resti con noi».Pronunciata da un libanese sciita accolto aJezzine da Sonia Azar, una volontaria di Ca-ritas Libano, anche questa frase è un risulta-

to inatteso della veloce e distruttiva guerra dell’estate2006. Fra i tremila volontari che si sono messi all’operaper accogliere la massa degli sfollati che si precipitava suBeirut, è facile trovare chi racconta di come questo con-flitto abbia paradossalmente aperto percorsi di pace. Ecosì Hilda Dammous narra del rischio degli spostamen-ti, poiché gli aerei israeliani colpivano ogni automezzosospetto. Ma parla di un rischio che non ha calcolato,quando è stata chiamata da alcune donne sciite di AliNahri, che non avevano ricevuto aiuti da Hezbollah per-ché rifiutavano di portare il velo. Le fa eco Joséphine elKhoury di Deir el Ahmar, località vicina a Baalbeck: «Noi

Oltre l’odio, paradossi di pace:«Ci siamo conosciuti meglio»La guerra ha avuto un “impatto educativo” negativo, soprattutto sui giovani.Ma ha avvicinato persone di religione diversa. Superando i timori reciproci

di Silvio Tessari

GENERAZIONISENZA PATRIARagazzi palestinesinel campo profughidi Borj El Barajneh.I palestinesi rifugiatiin Libano da decennisono 400 mila

perché non partisse, e che riuscì a convincerlo dando-gli i suoi gioielli. Invece Kidist, etiope, stava buttando laspazzatura quando vide la casa dove lavorava distruttadalle bombe e la famiglia dei datori di lavoro moriresotto le macerie: è stata trovata dai volontari Caritas do-po dodici giorni di vagabondaggio senza mangiare ebere ed è tornata a casa a ottobre.

I 33 giorni di guerra dell’estate 2006 hanno dunquesollevato il velo sul dramma di migliaia di persone im-migrate. Ma nonostante i progetti e il lavoro di rete del-le ong, degli organismi umanitari e della Caritas, l’opi-nione pubblica internazionale continua a non essereinformata. Eppure le storie di sfruttamento del Libanosono la punta dell’iceberg di una situazione molto dif-

fusa in Medio Oriente,uno degli aspetti dell’e-clisse dei diritti umanisulle sponde est e suddel Mediterraneo.

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amarli e ad ammirarli. Quando sono ripartiti, mi hannolasciato un grande vuoto».

Si potrebbe continuare a lungo. Decine di testimo-nianze, raccontate quasi con distacco. Ma un denomina-tore comune: l’aver vissuto, malgrado tutto, un’esperien-za di fraternità, come dimostrano le testimonianze di rin-graziamento degli sfollati, espresse anche con bigliettiniappesi ai muri. O con scritte sulle lavagne delle scuole cheerano servite da alloggio.

Tutti i mali non vengono per nuocere? Purtroppo i se-mi dell’odio sono ancora presenti. Anche negli occhi dei

bambini che hanno vissuto una guerra improvvisa, con-dotta dal Libano, «la più grande potenza del mondo», co-me affermano i ragazzini di Furn el Chebbak, quartiere diBeirut. Ibrahim ironizza: «Conservo nella mia camera daletto un pezzo di obice con messaggi scritti dai bambiniisraeliani…».

Imparare a cedere qualcosaVi è dunque, ha scritto Caritas Libano in una sua pubbli-cazione, a novembre, un “impatto educativo della guerra”che bisogna contrastare, oltre ogni pur indispensabileoperazione umanitaria. La non discriminazione fra le va-rie religioni del paese è la prima condizione: su questofronte, la funzione di mediazione vissuta sul campo daivolontari di Caritas Libano costituisce un patrimonio rile-vante per la comunità cristiana. Questa mediazione in fu-turo potrò condurre ad attività comuni fra cristiani e mu-sulmani, per risolvere problemi e necessità comuni.

Se una lezione si può trarre dall’ultimo conflitto è,appunto, che una guerra può non essere l’ultima paro-la, ma può avvicinare comunità contigue, che però nonsi frequentavano molto. E forse, ancora più importan-te, emerge un’altra lezione: per convivere non ci si deveadoperare per far fruttare le proprie posizioni di forza,si deve imparare, reciprocamente, a cedere qualcosa.«C’è chi ha ceduto l’appartamento, chi un po’ di orgo-glio, chi ha lasciato un po’ di sicurezza… ora siamoamici», riepiloga un anziano, seduto al bar, mentre fu-ma il narghilè.

internazionalelibano

L’IMPEGNO CARITASCaritas Italiana sostiene finanziariamente l’imponente sforzo avviato da Caritas Libano all’indomani della guerra con Israele. Dopo aver aiutato 91.646profughi di tutte le confessioni, Caritas Libano ha varato un programma di interventi,fino a febbraio 2008, di circa 6,3 milioni di euro. Beneficiari diretti degli interventisaranno circa 77 mila persone, scelte tra i soggetti più vulnerabili e residenti nel Libano del sud (distretti di Tyr, Marjayoun, Bint Jbeil), nella valle della Bekaa, a est di Beirut e nei villaggi di pescatori lungo la costa. Grazie ai suoi operatori e volontari, attivi in 36 centri sociali e 8 cliniche mobili, Caritas proseguirà nelle attivitàdi prima assistenza (alimentazione, sanità, ricostruzione e riparazione di alloggi) e attiverà interventi finalizzati alla riabilitazione delle attività economiche (agricoltura,pesca, artigianato). Particolare attenzione sarà assicurata alla situazione di immigratie rifugiati, grazie all’azione del Centro migranti. Azioni sono previste anche sul versante della riconciliazione fra le componenti religiose della società libanese,puntando a condurre percorsi e attività pluriconfessionali, con lo scopo di diminuire le tensioni, identificare le fonti di conflitto e gli ostacoli alla coesistenza pacifica.

internazionalecasa comune

STOP AI NEGOZIATI,“TRE C” PER ENTRARE NELL’UNIONE

to d’ora in poi si fonderà su “consolida-mento, condizionalità e comunicazio-ne” e sarà “combinata con la capacitàdell’Ue di integrare nuovi membri”.

Approdo per i BalcaniAi paesi che bussano, viene chiesto ilpieno rispetto dei Criteri di Copena-ghen; si avvalora la necessità di spie-gare ai cittadini significato e vantaggidi prossimi eventuali ampliamenti; sistabilisce al contempo che “l’Unionedeve poter effettivamente funzionaree svilupparsi”. L’allargamento, in altritermini, non deve essere in contrastocon il complessivo processo di inte-grazione. Vale per la Turchia, comeper gli altri paesi candidati, a partiredai Balcani occidentali, dei quali ilsummit ha ribadito il necessario, fu-turo approdo comunitario.

Il presidente francese JacquesChirac, tra i leader più tiepidi verso ilmatrimonio con Ankara, ha spiegato:«Sono sempre stato a favore dei ne-

goziati con la Turchia, anche se sono consapevole che sa-ranno lunghi e difficili e impongono» ad Ankara «riformeimportanti nella cultura e nell’insieme del paese».

Alla Turchia non resta che convincersi: se vuole tim-brare il cartellino a Bruxelles deve riconoscere la piena so-vranità della repubblica di Cipro; deve effettuare significa-tive riforme nell’amministrazione di stato, giustizia, tuteladei diritti umani e delle minoranze; deve far crescere l’e-conomia in senso liberista e aprire i suoi mercati alla con-correnza; deve confermare il suo ruolo di “ponte” traoriente e occidente. Quest’ultimo aspetto è forse quello sucui Ankara può maggiormente contare: l’Europa ha biso-gno di guardare a est e al mondo islamico. E la Turchia ap-pare una carta vincente. La visita del papa lo ha autore-volmente confermato.

Il primo: l’Europa non è più dispo-sta a fare sconti, come in parte è avve-nuto con i dieci stati entrati nell’Ue il1 maggio 2004: per essere parte della“casa comune” occorre guadagnarsi ilbiglietto d’ingresso. Il concetto, in ter-mini diplomatici, è spiegato così nelleConclusioni del Consiglio Ue: “L'an-damento del processo di adesione di-pende dai risultati delle riforme at-tuate nel paese che partecipa ai nego-ziati e ogni paese sarà valutato in ba-se ai suoi meriti”. E per non illuderenessuno, un ulteriore chiarimento:“L’Unione eviterà di stabilire scadenze del processo di ade-sione fintantoché i negoziati non siano prossimi al com-pletamento”. Il presidente della Commissione, José Ma-nuel Barroso, si è spinto oltre, sostenendo che “per la Tur-chia occorreranno forse ancora 15 anni di negoziati”.

L’Ue ha infine compreso – ed è il secondo punto chiave– che l’allargamento, pur essendo un processo positivo e inqualche modo doveroso (tende a portare i confini comuni-tari fino agli angoli estremi del continente, affermando de-mocrazia, pace, diritti e sviluppo), rischia di far crollare l’edi-ficio Ue. Il corpo cresce ma le gambe – politiche, istituziona-li, finanziarie – che dovrebbero reggerlo rimangono semprele stesse. Logica vuole che l’Ue si irrobustica all’interno, perpoi procedere a nuovi ampliamenti. Le stesse Conclusionisanciscono la regola delle “tre C”: la strategia di allargamen-

Le trattative proseguono.Ma i colloqui tra Ue

e Turchia hanno subitoun serio stop.

L’Unione non vuoleripetere errori

del recente passato:l’Europa, per ampliarsi,

deve prima rafforzare la costruzionecomunitaria

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

Infine l’annunciato – da molti atteso – stop alla Turchia è arri-

vato. I capi di stato e di governo dell’Ue, riuniti a Bruxelles

per il consueto summit di dicembre, hanno decretato la so-

spensione parziale dei negoziati (8 dossier su 35) avviati nel 2005

con Ankara, che hanno per obiettivo finale l’adesione del paese

eurasiatico all’Unione. Ufficialmente nessuno sbatte la porta in

faccia al popolo e ai governanti turchi: le trattative proseguono.

Ma i leader dei 27 hanno voluto affermare due punti essenziali.

BACINO DI ESCLUSIONEAltre scene di vitanel campo palestinesedi Borj El Barajneh.I profughi si aggiungonoai circa 140 mila immigratistranieri presenti in Libano e come loro sono costretti ad accettare lavori precari

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Benedetto scalzo nello splendore della Mo-schea Blu. Un assorto momento di pre-ghiera, e sembrano svaporare ruggini ti-gnose, fattesi più opprimenti dopo Rati-sbona. Ma com’è vivere, credere, testimo-niare e lavorare da cristiano, nella Turchiain biblico tra Europa e Oriente, tra procla-

mi di modernità e rigurgiti di intolleranza? L’abbiamochiesto a Sleiman Saikali. Libanese, cattolico melchita,sul Bosforo dirige da lunghi anni – in qualità di segreta-rio generale – una Caritas nazionale piccola e dinamica.Che dal lavoro sociale prova a trarre, ogni giorno, prati-che di apertura e di dialogo.

Cominciamo dalla visita papale di fine novembre.Anche secondo i turchi è stata un trionfo inaspettato,sul fronte dei rapporti con le istituzioni e con il mon-do islamico?

Sì, anche in Turchia abbiamo avuto questa impressione.Le visite del papa a Santa Sofia e poi alla Moschea Blu so-no stati i momenti più forti nella prospettiva del dialogocon l’islam. A Santa Sofia (basilica cristiana bizantina, poimoschea, oggi monumento nazionale laico, ndr) il papa harispettato la sensibilità delle autorità e del popolo turchi,non facendo alcun gesto religioso. Più tardi, entrando nel-

la Moschea Blu, si è tolto le scarpe: è stato un gesto bellis-simo, significa unirsi ai sentimenti religiosi profondi deimusulmani, riconoscere che per loro un certo luogo è ca-sa di Dio. Poi, quando l’imam di Istabul ha proposto unmomento di serenità e riflessione, rivolgendosi verso laMecca, altrettanto ha fatto il papa, manifestando un at-teggiamento di preghiera, senza però fare il segno dellacroce. Con queste attenzioni, ha dimostrato sensibilità erispetto, che non hanno tolto niente al valore cristianodella sua visita e della sua preghiera.

Pregare insieme: in Turchia le occasioni di scambiospirituale si manifestano anche nella vita delle per-sone comuni?

La Turchia è un paese laico, in cui l’esperienza religiosa espirituale viene considerata come una cosa personale.Dunque anche il dialogo non avviene sul piano pubblico.Però esistono porte aperte, nella vita di ogni giorno. Peresempio tanti musulmani ogni martedì vengono allachiesa conventuale di Sant’Antonio, nel centro di Istan-bul, perché sanno che è aperta e possono partecipare agliincontri. Il dialogo non si fa pregando: ciascuno ha i pro-pri riti, il proprio stile, che non si possono cambiare. Masi può puntare sulle conseguenze di questa preghieranella vita quotidiana. Non possiamo restare chiusi nei

«CRISTIANI IN TURCHIA,LA MISSIONE È L’AMICIZIA»

internazionale

di Paolo Brivio

religioni e dialogo

Intervista a Sleiman Saikali,segretario generale di CaritasTurchia. La visita del papa, a fine novembre, ha confermatol’impegno all’apertura e al dialogo.L’analisi dei problemi sociali. E il ricordo di don Santoro

PREGHIERAALL’UNICO DIOIl papa e l’imamdi Istanbul nellaMoschea Blu:momento storicoper le relazionitra cattolicesimo e islam

L’IMPEGNO CARITASL’attività di collaborazione tra Caritas Italiana e Caritas Turchia ha assunto aspetti diversi nel corso del tempo. L’emergenza causata dal terremoto di Adapazari,nel 1999, ha intensificato la collaborazione. Dopo gli aiuti di emergenza Caritas Italiana ha contribuito a diverseiniziative: ad Antiochia e Iskenderun, alloggi per anziani e supporto a gruppi femminili di mutuo aiuto; a Smirne,costruzione di un auditorium per il Centro internazionale per bambini autistici (fondato da una fondazione islamica),ristrutturazione di una colonia per vacanze di bambini autisticie poveri e sostegno all’uffico regionale Caritas; a Buça(Smirne), costruzione di una casa di riposo; a Duzce(Adapazari), sostegno alla formazione professionale delle donne; a Istanbul, sostegno alle iniziative di aiuto ai rifugiati da Medio Oriente e Iraq, ai programmi di assistenzaa donne vittime di violenza e adolescenti a rischio, alla ricostruzione della facciata della chiesa caldea (distrutta dalle bombe all’ambasciata inglese). Altri aiuti di emergenza hanno fatto seguito, dal 2000 a oggi, ai terremoti di Bingol e Batman e alle alluvioni di Mersin.

nostri recinti, perché rischieremmo di soffocare, anchespiritualmente.

Un anno fa, a inizio febbraio, un fanatico islamico uc-cise don Andrea Santoro. Che idea si è fatta di queldramma?

Ho una mia convinzione sul brutale omicidio del martiredon Andrea. Ritengo che si sia voluta accreditare, per cer-ti interessi, l’impressione generale che si trattasse di unavicenda di musulmani contro cristiani. Ma a Trabzon(Trebisonda), dove abitava don Andrea, nel nord dellaTurchia, c’era anche tanta confusione. C’erano e ci sonoproblemi sociali causati soprattutto dal traffico di personeumane; sono questioni che vedono coinvolte le mafie, an-che internazionali.

Dunque la chiave di lettura religiosa non basta aspiegare la tragedia?

Non è la sola valida. Anzi, non lo è per nulla. Don Andrea –quest’uomo un po’ solo, questo prete poco sostenuto, mol-to sensibile, che si impegnava ad aiutare le persone, so-prattutto quelle che subivano ingiustizie sociali e violazio-ni dei diritti umani – era mio amico, so cosa stava per fare.Penso che si sia intromesso in una storia molto complica-ta. Allora certe persone hanno cominciato a vedere in luiun pericolo, perché ostacolava grossi interessi. Di fronte almio ufficio c’è una sua foto: mi guarda ogni giorno. Siamofaccia a faccia, quando lavoro non posso non vederlo. È unmartire della carità e dell’aiuto alle persone bisognose.

Ma dopo l’omicidio altri sacerdoti, fedeli e comunitàhanno dovuto subire forme di pressione ed episodi diintimidazione violenta. Quel clima persiste?

Non ha senso questa storia di gente che grida in nome diDio e ammazza le persone innocenti. Come mai accadeall’improvviso? Era un momento ben preciso, in Turchianon era mai successo prima e non succederà in futuro.Dopo un omicidio grave si possono anche organizzarepiccoli fatti non influenti, solo per far credere che sia in at-to un clima di contrasto tra religioni. Quello turco non èun islam che uccide. Sicuramente ci sono persone chetentano di cambiare questa impostazione, ma i turchi, sindal tempo ottomano, pur volendo conservare la propriafede sanno accogliere l’altro, sanno ascoltare.

Parliamo di Caritas Turchia. Una realtà molto attiva,anche se espressione di una comunità cristiana mol-to piccola: a quali principi ispirate la vostra azione?R

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EUROPA PIÙ LARGA,MA QUALI SONO I SUOI VALORI?

pa, quali devono essere le sue radiciculturali, religiose, quali i suoi limitigeografici e geopolitici. Ci si accani-sce a discutere su quale sia l’“euro-zona”, intendendo con essa unospazio buono solo per i mercanti.Nessuno che cerchi di svincolare lequestioni legate all’euro da quellelegate allo spazio culturale: per co-me stanno le cose oggi, l’“eurozona”potrebbe andare da Lisbona a Pe-chino, dalla Finlandia a Città del Ca-po e alla Terra del Fuoco. Colpa diun dollaro debole, di chi cambia leriserve in euro e di chi sogna che ungiorno il prezzo dell’energia vengavalutato in euro.

L’Europa forse ha un problema ela cancelliera Merkel, che ne assumela presidenza per i primi sei mesi del2007 per conto della Germania, l’av-vertirà. Ha un problema di identità,ma la soluzione non sta nella chiu-sura del club e nella definizione deiconfini. L’Europa deve dire cos’è.Così l’adesione dei nuovi paesi potrà

essere stretta attorno a sensibilità culturali, a radici au-tentiche, non solo alle istituzioni comunitarie.

Benedetto XVI lo ha detto con grande chiarezza duran-te il viaggio in Turchia. Non possiamo rischiare che l’Euro-pa la facciano solo i mercanti, a volte senza scrupoli. Ange-la Merkel ha spiegato che lei vuole un’Europa fatta di per-sone e per le persone, non un spazio buono per lobby e bu-rocrazie. Bisogna rileggere i grandi padri dell’Europa re-cente, ma forse sarà opportuno anche rileggere gli intellet-tuali dei tempi in cui l’Europa era quella delle grandi catte-drali, dei cammini, degli intrecci di popoli e culture. Te-nendo presente che le idee hanno sempre viaggiato e han-no contribuito a costruire uno spazio identitario a collo-quio con le culture. Anche oltre le rive del Bosforo.

Lo scenario continentale forse si arricchisce. Ma sicuramente sicomplica. L’Europa che si apre sul 2007 e corre verso il futuro deitrenta o quaranta paesi, s’inchioda per ora a quota 27 con Romania

e Bulgaria, ultime stelle d’oro nella bandiera blu. Ma si sa che non tutti ipaesi sono uguali e i problemi che Bruxelles dovrà affrontare sono forsemaggiori dei benefici che potranno venire. Eppure la via sembra obbliga-ta, anche perché c’è un allargamento politico trascinato dall’allargamen-to economico, un’Europa dei mercanti e delle merci che è disposta a fareda sola quello che le istituzioni non sanno o non vogliono fare. Oggi la Ro-mania, per esempio, è una colonia economica italiana – ogni tanto

è bene chiamare le cose con il pro-prio nome –, nella quale i nostri bra-vi padroni sfruttano poveracci e fan-no quattrini a palate. È un paese do-ve il reddito medio raggiunge i 200euro mensili se va bene. Dove c’è unacorruzione spaventosa, dove è in-stallato il più grande ufficio all’esterodelle polizie d’Europa, dove una col-tre di nebbia avvolge buoni e cattivi.In Italia, d’altronde, ci sono romeniche vivono come bestie, perché cosìpossono mandare a casa anche solocento euro. Che in Romania fanno la differenza.

Rileggere i grandi padriSorge dunque spontanea una domanda capitale: qualidiritti si rispettano, quali criteri si devono soddisfare peressere ammessi al club di Bruxelles? Le risposte sono va-ghe. Per la Turchia ci sono lacrime e bastonate, per altri iproblemi politici, dei diritti e della libertà contano meno,e le porte si aprono più facilmente. Dice il presidente del-la Commissione Ue, Barroso, che entreranno tutti coloroche sono pronti ad accettare regole e valori dell’Unione.È una buona cosa. Ma quali sono i valori dell’Unione?

Sulla Costituzione, cioè la carta dei valori, non ci simette d’accordo. Neppure si sa cosa s’intende per Euro-

contrappunto

Con l’ingresso di Romania e Bulgaria,

le stelle d’oro sullabandiera dell’Unione

sono diventate 27. Ma i criteri di

ammissione li decidonoi mercati o le istituzioni?

L’Ue ha un chiaroproblema d’identità.

Però non deve chiudersi

di Alberto Bobbio

internazionale

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internazionale

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religioni e dialogo

Fino all’agosto 1999 in genere il nostro lavoro si era limi-tato ai bisognosi delle nostre comunità, si era svolto tra icristiani. Ma dopo lo spaventoso terremoto nella regionedi Izmir – decine di migliaia di morti, centinaia di migliaiadi senza tetto – Caritas non poteva stare a guardare: cosìdecidemmo di mescolarci a quelle persone, vivendo e sof-frendo con loro, per aiutarli ma anche per cominciare uncammino comune. In poco tempo abbiamo avuto unaquarantina di volontari musulmani, che si sono affiancatia quelli cristiani. Sulla scia di quell’intervento Caritas hapoi deciso di avviare progetti in ambiti diversi (handicap,bambini di strada, adolescenti a rischio, anziani, donnemaltrattate). Abbiamo vinto le resistenze di chi non vole-va che si continuasse nell’apertura alla società turca. La-vorando insieme, convergendo sulla difesa dei diritti e deivalori umani più profondi, che derivano da principi reli-giosi riconosciuti dal cristianesimo e dall’islam, si superala paura reciproca e si fa vera amicizia. Benedetto XVI,quando è venuto, ha confermato questa impostazione,dicendo che non bisogna testimoniare Cristo con l’accu-mulo di ricchezze o con il potere, ma attraverso un amoregratuito che si apre agli altri. Dobbiamo avere fiducia inDio, che ci aiuta a costruire questa amicizia.

Quali sono i problemi sociali più acuti, oggi, nella so-cietà turca?

Uno dei problemi più importanti è l’istruzione. E non permancanza di muri, di scuole o di università. Un bambino

a scuola dovrebbe imparare a interpretare la realtà. Oggi inTurchia non è così, l’istruzione che si impartisce è ancoratroppo autoritaria. Buona parte dei nostri giovani – anchese qualcosa sta cambiando – non sono abituati a essere cri-tici e creativi. Se la ricchezza si basa sulla libertà di sceglie-re, credo che oggi noi siamo molto poveri. Perché dietro atutte le povertà sociali c’è sempre una povertà culturale.Esistono poi i problemi legati alle dinamiche demografi-che, all’immigrazione interna, alla cattiva redistribuzionedella ricchezza. Anche il costo della vita è un problema gra-ve, che provoca l’impoverimento della classe media e chesi avverte maggiormente nelle grandi città. Istanbul ha or-mai 18 milioni di abitanti, l’80-90% arrivano dall’Anatolia,immigrati che si accumulano in sterminate periferie. Sen-za provvedimenti politici adeguati, tra cinque anni po-tremmo avere problemi di povertà molto gravi, anche sesul fronte assistenziale e previdenziale ci sono stati dei mi-glioramenti. Però, ripeto, è l’istruzione il punto essenziale.

La Turchia ha dovuto subire, a fine 2006, un congela-mento nei negoziati di adesione all’Unione Europea.Lo stop rischia di peggiorare la situazione economi-ca e sociale?

Questo rischio esiste. L’ingresso nella Ue può diventareun’occasione per rendere la Turchia più forte e più vicinaagli altri paesi. Quando si è soli si rischia sempre l’impo-verimento. Dopo l’apertura dei colloqui con l’Unione Eu-ropea, in questi anni si è formata una vera e propria so-cietà civile: sono nate centinaia di associazioni non gover-native, ognuna con proprie ideologie e propri interessi,che però rappresentano una Turchia nuova. Bisogna pro-seguire, anzitutto sul fronte interno, sforzandosi di mi-gliorare le condizioni di vita della popolazione, di garanti-re livelli minimi di istruzione e di costruire un sistema so-cio-sanitario all’altezza delle altre realtà europee.

Alcuni giovani italiani in servizio civile operano aIstanbul nell’ambito dei progetti di Caritas Turchia.Come giudicate questa presenza?

È molto positiva, in primo luogo per le nostre comunità.Questi giovani, con la loro testimonianza, rafforzano lanostra speranza di creare esperienze forti di volontariatoanche in Turchia, dove tutti si preoccupano prevalente-mente di lavorare e guadagnare di più per assicurarsi unminimo per il futuro. La presenza dei giovani volontariitaliani dimostra ai nostri giovani quanto sia importantedonare agli altri le proprie energie, il proprio tempo, ipropri talenti.

VOLO DI PACEAlla cattedrale del Santo Spirito, a Istanbul, Benedetto XVIlibera una colomba, auspicio di dialogo tra le religioni

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edro, 8 anni, si alza ogni giorno alle 4, poco prima dell’alba. Insieme allamamma, si incammina verso il fiume Save, che dista otto chilometri dallacapanna in cui vive insieme alla numerosa famiglia. Vanno a prendere l’ac-qua e bisogna tornare entro le 7 per la scuola. Ma Pedro si ritiene fortuna-to: molti suoi coetanei non possono studiare e devono aiutare in casa. C’ètanto da fare, non ci si ferma mai fino al tramonto. Vita dura ma tutto som-mato lineare, quella di Covane, una delle quattro comunità che si trovano

all’interno del parco nazionale dello Zinave, provincia diInhambane, Mozambico centro-meridionale. Vita dura elineare, che nuove strategie di gestione dei parchi rischia-no di sconvolgere, con il pretesto dello sviluppo turistico.

Il parco dello Zinave è il più antico del Mozambico. Co-stituito nel 1973, ricopre un’area di circa 40 mila ettari. Sa-vana, grandi foreste, piccole lagune e a nord il fiume Savecostituiscono i principali ecosistemi. Le comunità all’in-terno del parco sono molto distanti tra loro: Covane, Ma-chaquete, Malindile e Tanguane contano circa 4.500 resi-denti, che vivono in capanne di paglia. Un’Africa autenti-

ca e ancestrale, plasmata da una natura che la modernitànon ha sinora intaccato.

Dipendere dalla naturaLa maggior parte della popolazione adulta delle quattrocomunità è costituita da donne. Gli uomini migrano allaricerca di lavoro, verso le città del sud (Inhambane, Ma-puto) o verso il Sudafrica, per lavorare nelle miniere. Mol-ti non fanno ritorno: in Sudafrica formano una nuova fa-miglia, così quella d’origine deve provvedere a se stessa.La poligamia è pratica consueta, si stima che circa il 40%dei matrimoni siano poligami. All’interno delle comunitàconvivono l’autorità amministrativa e tradizionale. Il cu-randeiro (sciamano, guaritore) è una figura fondamentalenella vita comunitaria: tutti lo temono e lo rispettano.

Le comunità del parco vivono in condizioni di purasussistenza. Dipendono totalmente dalle risorse naturalidel parco, piante e animali: raccolgono i cuori di palmaper spremerne una bevanda tradizionale alcolica, il vinhode palma, destinata al consumo diretto e a un limitatocommercio locale; praticano un’agricoltura di sussisten-za, soprattutto mais e manioca; spesso allevano capre egalline. Un’importante fonte di sostentamento, soprattut-to per le comunità relativamente più vicine al fiume, è lapesca nel Save, condotta con metodi tradizionali.

Le comunità vivono in uno stato di isolamento. Vi so-no solo due piste di sabbia in pessime condizioni che at-traversano il parco. Invece tra i villaggi, che distano tra lo-ro da 30 a 120 chilometri, non esistono piste dirette. Perandare da Covane a Mabote, sede del distretto, ci voglionodue giorni di bicicletta o ancora di più a piedi, lungo unapista difficile di poco più di 90 chilometri. Non esistono te-

lefono né corrente elettrica, l’unica possibilità di comuni-care è costituita dalle radio, bene prezioso che nessunacomunità finora ha posseduto.

Comunicare, per sentirsi meno isolati, è uno dei prin-cipali bisogni espressi dalle comunità. Ognuna delle qualiha una scuola, sotto una capanna di paglia, in cui i giova-ni maestri, che spesso non hanno neppure terminato il ci-clo di studi superiore, sono costretti a riunire due classi inuna. Solo a Covane la scuola riesce a coprire fino alla sestaclasse (la nostra prima media), nelle altre comunità si arri-va alla terza. Per frequentare la settima classe bisogna arri-vare fino a Mabote e solo chi ha la fortuna di avere qualcheparente in grado di ospitarlo può continuare a studiare.Così, solo il 7% della popolazione adulta ha avuto accessoa una qualche forma di istruzione.

Altre situazioni critiche riguardano la salute e l’accessoall’acqua. L’unica struttura sanitaria, che garantisce la pre-senza di un’infermiera, è situata nella comunità di Tan-guane, l’unica a possedere un pozzo (di acqua salmastra)che serve per il posto di salute e la scuola, ma a cui gli abi-tanti non possono accedere. Fonti d’acqua potabile acces-sibili sono il Save e i piccoli laghi ad esso collegati. Ma il fiu-me non scorre sotto casa: la comunità di Malindile è a 15chilometri dalle sue sponde, ogni giorno donne e bambi-ni coprono la distanza per procurare da bere alla famiglia.

L’arroganza degli investitoriMa a questi problemi strutturali se ne sta aggiungendouno inedito, relativo alla gestione del parco. Nel 1992, altermine della guerra civile che per un ventennio ha insan-guinato il paese, tutte le strutture del parco erano distrut-te e gli animali quasi scomparsi. Solo nel 2000 lo stato mo-zambicano ha stanziato fondi per il recupero e il control-lo della riserva. Nel 2005 è stato firmato un accordo fraMozambico, Sudafrica e Zimbabwe per creare un’areaprotetta transfrontaliera, ovvero un grande parco estesonelle zone di confine fra i tre paesi. Investimenti stranierie fondi della Banca Mondiale hanno dato impulso allaprotezione dei parchi già esistenti. D’altra parte il turismoè stato inserito nelle politiche del Mozambico quale mez-zo di sviluppo e settore prioritario nel quale investire.

Ma la scarsa capacità gestionale del ministero del turi-smo e l’arroganza degli investitori internazionali (soprat-tutto sudafricani) rendono difficile lo sviluppo turistico inMozambico. Aree ricche di bellezze naturali, come è suc-cesso per lunghi chilometri di coste a Inhambane o perl’arcipelago di Bazaruto, vengono monopolizzati dai gran-di investitori privati, che colludono con lo stato per otte-

internazionalemozambico

Lo Zinave del Mozambico, al confine con Sudafrica e Zimbabwe, è inseritoin una vasta area transfrontaliera. Lo sviluppo turistico però non giova alle quattro comunità indigene. Che chiedono politiche diverse

TURISTI NEL GRANDE PARCOUNA FORTUNA PER POCHI?

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PURA SUSSISTENZAA sinistra, attività forestale nel parco dello Zinave. Sopra,membri di una delle quattro piccole comunità del parco

di Maria Cecilia Graiff foto di Alberto Maria Rigon

Così, anche nello Zinave, accade comunemente che lecomunità, sebbene nessuno parli più di delocalizzarle,vengano escluse dallo sviluppo del parco: non hanno pe-so politico e sono esposte alle decisioni assunte dal gover-

no, sotto le pressionidegli investitori e dellaBanca Mondiale. Finoall’anno scorso al mini-stero del turismo si re-spirava un aria di astionei confronti delle co-munità residenti neiparchi. Ora la BancaMondiale fa pressioniperché esse venganocoinvolte nel processodi sviluppo dei parchi.Di fatto il nuovo atteg-giamento non si è peròconcretizzato in sceltepolitiche o investimen-ti di sviluppo a favoredelle comunità indige-

ne. Il turismo, anziché volano di benessere, continuerà arappresentare una minaccia ai legami secolari che l’uomoha creato con il suo ambiente?

nere facilitazioni e costruiscono lodge di lusso, con margi-ni di guadagno altissimi non condivisi con le comunità lo-cali: perfino la manodopera è importata dal Sudafrica. Difatto si tratta di privatizzazioni di grandi aree, rese legali dalministero.

Ma c’è di più. La leg-ge mozambicana suiparchi, che vieta al lorointerno qualsiasi attivitàsociale ed economicache pregiudichi la con-servazione di flora efauna, è stata interpre-tata negli ultimi anni inmodo unilaterale e ra-dicale. “Bisogna caccia-re le comunità dai par-chi”: così hanno tradot-to la legge apparatipubblici e privati. Maper un africano è diffici-lissimo abbandonare lapropria terra d’origine.E per di più lo stato non ha le capacità economiche percreare condizioni adeguate alla dislocazione delle comu-nità da secoli insediate nel territorio che oggi è parco.

TURISMO INSOSTENIBILEBoscaiolo nello Zinave. Il turismo, per ora, non frutta benefici ai locali

guerre alla finestra

INTERESSI, LA CHIAVEPER “DECOSTRUIRE” I CONFLITTI

degli israeliani, grazie alla demilita-rizzazione dell’area.

Il ruolo della “terza parte”Dietro a opposte posizioni di solitogiacciono più interessi di ogni sin-gola parte in gioco. Alcuni sono inopposizione fra loro, altri possonoessere componibili. Occorre unospirito di ricerca e una tenacia co-struttiva, per non abbandonare ilcampo anche di fronte al ri-esplo-dere delle violenze o a difficoltà aprima vista insuperabili.

In molte situazioni le parti tra-sformano il loro problema in una di-sputa aperta e cercano di raggiunge-re i propri scopi attraverso un susse-guirsi di posizioni via via più rigide.È possibile che l’ostilità aumenti eche raggiungere un accordo diventisempre più difficile. Le guerre di og-gi sono sempre più “cicliche”: l’ac-crescersi delle ostilità è seguito dauna guerra violenta; a essa può suc-

cedere una sospirata fase di relativa calma; poi possonoriesplodere nuovi scontri. In questi casi l’intervento diuna terza parte può cambiare la struttura del conflitto.

L’esperienza della rete Caritas in vari contesti delmondo, anche delle Caritas locali in aree di crisi note emeno note, ha provato a rappresentare questo principiodella “terza parte”. In situazioni di conflitti “dimenticati”,le Caritas si sono spinte a mediare la liberazione di bam-bini soldato (ad esempio in Sierra Leone) o ad avviarevere e proprie trattative tra le parti in guerra (è il caso diSri Lanka, nelle prime fasi del conflitto armato tra gover-no e tigri tamil). Ed è in forza di questa esperienza prati-ca, che le riflessioni sui conflitti e sulla riconciliazione as-sumono il valore di una “pedagogia dei fatti”, criterio estile del lavoro di Caritas a ogni livello.

Il mondo non ha pace. Mentre si raggiungono accordi per superare

situazioni di conflitto e avviare transizioni democratiche (è il caso

di Repubblica democratica del Congo, Uganda e Burundi), in altri

territori si manifestano nuovi scenari di guerra, o quantomeno prose-

guono, se non addirittura peggiorano, le violenze organizzate e siste-

matiche. Accade in Sri Lanka, Sudan, Somalia: come decostruire le ra-

gioni delle armi e costruire, al contrario, percorsi di riconciliazione?

Un approccio fondamentale per tentare di trasformare le ostilità –

interpersonali, sociali, fino a quelleinternazionali – in una conflittualitànonviolenta, si basa sulla distinzionefra posizioni e interessi. Gli interessisono ciò che spinge le parti a prende-re determinate posizioni. Inoltre leposizioni cambiano con il tempo, eciò complica l’analisi della situazione.

Un caso storico, tratto da unconflitto internazionale, chiariscemeglio l’utilità di concentrarsi sugliinteressi, prima di analizzare le po-sizioni. Israele occupa la penisoladel Sinai in seguito alla guerra deiSei Giorni, combattuta nel 1967. Nel 1978, durante i ne-goziati fra Egitto e Israele a Camp David, le posizioni ap-parivano incompatibili: Israele non aveva intenzione dilasciare la penisola, l’Egitto affermava che ogni soluzio-ne che non riconsegnasse ogni acro del Sinai agli egizia-ni era inaccettabile. Esplorare e rendere espliciti gli inte-ressi delle parti fu l’azione che rese possibile un accor-do: l’interesse degli israeliani risiedeva nella sicurezza(avere carri armati egiziani al confine, pronti a entrare inogni momento, non rappresentava una condizione disicurezza); l’Egitto era invece interessato alla sovranità(la penisola era stata parte del territorio egiziano daltempo dei faraoni). Fu trovato un accordo accettabile daentrambe le parti, che restituiva la sovranità sul Sinaiagli egiziani, garantendo allo stesso tempo la sicurezza

Dietro le guerresembrano esserci

posizioni lontanissime.In realtà, le parti

possono essere mosse da motivazioni non

sempre inconciliabili. Un tenace spirito

di ricerca può servire,anche quando le ostilità

non si placano

internazionale

di Paolo Beccegato

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internazionalemozambico

L’IMPEGNO CARITASNel 2005 la Caritas Mozambicana ha espresso la volontà di lavorare con le comunità del parco dello Zinave. Caritas Italiana, dal 2002 impegnata nel paese a fianco di Caritas Mozambicana, ha condiviso la proposta, coinvolgendo l’ong piemontese Lvia. Così, attraverso un operatore Lvia e grazie a un finanziamento diCaritas Italiana, Caritas Mozambicana è presente dall’inizio del 2006 nel parco nazionale per realizzare un progettodi sviluppo integrato, che si propone di rispondere ai bisogni primari delle comunità, tentando, nel contempo, di sensibilizzare le persone ai problemi ambientali e di educarle al valore della biodiversità intesa come risorsa.

Il particolare clima (periodi di estrema siccità, alternati a piogge a carattere alluvionale) e le grandi distanzerendono difficile la sopravvivenza dei villaggi del parco. Negli ultimi anni il Programma alimentare mondiale è intervenuto in situazioni di emergenza con programmi di tipo assistenziale, che però hanno creato forme di dipendenza. Caritas Mozambicana cerca di dare risposte alternative: il progetto si propone di migliorare la sicurezza alimentare e l’accesso all’acqua, l’accesso ai medicinali, il livello di alfabetizzazione.

Nel 2006, per esempio, è stato avviato a Covane un progetto di apicoltura, cofinanziato dal Programma di sviluppo Onu, per formare venti apicoltori e dotarli di attrezzature e di cento arnie, garantendo l’acquisto del mieleda parte di una ditta locale. A gennaio 2007 ha preso il via un progetto per formare in ogni comunità levatrici e operatoriper interventi di alfabetizzazione e di educazione igienico-sanitaria. Ogni comunità verrà inoltre dotata di una radio.E a marzo, terminata la stagione delle piogge, si cominceranno i lavori per realizzare un pozzo in ogni comunità.

Nel corso del 2006 è stato inoltre presentato al ministero degli esteri italiano un progetto più ampio per valorizzare il ruolo della popolazione locale nello sviluppo del turismo nella zona costiera della provincia di Inhambane e l’inserimento di strutture turistiche sostenibili nei parchi (in particolare Inhassoro e Zinave), che prevedano il coinvolgimento dalle comunità locali, in termini di progettazione e gestione.

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agenda territori

COMO

Ricerca sui giovani:forte identità,scarsa curiosità

È uscita a gennaio una ricerca sui giovani lariani, condotta insieme da Osservatorio delle povertà e dellerisorse della Caritas di Como, centri di ascolto e Pastorale giovanile.L’indagine prende in considerazione il territorio della sponda ovest del Lario,area geografica segnata da elementicontradditori: accanto a una buonaqualità ambientale e a forti legamiidentitari sono presenti denatalità,dispersione demografica e difficilirapporti sociali. Le nuove generazionisono caratterizzate ancora da una bassascolarizzazione, perché spesso sipreferisce trovare un impiego sotto casapiuttosto che investire nella formazionesuperiore, benché rispetto al passatosiano aumentati gli studenti universitari.Infine, i problemi di mobilità sono allabase di una scarsa curiosità culturale.

NAPOLI

Avvocati di strada,quindici professionistidifendono gli ultimi

Sono arrivati anche a Napoli gli Avvocatidi strada, in difesa dei diritti dei senzadimora. Per ora sono quindici, ma il numero dei volontari (civilisti e penalisti, disposti ad assistere coloroche non possono pagare) prestoaumenterà. Lo sportello di consulenzae assistenza legale trova spazio, da gennaio, nella sede del Binario della Solidarietà, il centro di accoglienzadiurna promosso dalla Caritasdiocesana, e in quella della stessaCaritas. Grazie agli Avvocati di strada, si cercheranno le misure alternative

ROMA

Il papa alla mensa di Colle Oppio«Tra voi si tocca la presenza di Cristo»

«Tra voi è possibile toccare con manola presenza di Cristo nel fratello che hafame e in colui che gli offre da mangiare».Così Benedetto XVI si è rivolto ai volontarie agli ospiti della mensa della Caritasromana di Colle Oppio, durante la sua visita (nelle foto, due momenti) avvenuta il 4 gennaio. Un discorso breve e intenso,

che ha ripreso alcuni passaggi della sua enciclicaDeus Cariats est. A cominciare proprio dall’esordio.«Dio è amore – ha detto il pontefice –: non unamore sentimentale, ma un amore che si è fattodono totale, sino al sacrificio della Croce». PapaRatzinger ha voluto anche sottolineare il senso

profondo dell’opera compiuta ogni giorno all’interno della struttura. Dove, ha spiegato il pontefice, «non si vuole dare soltanto da mangiare, ma servirela persona, senza distinzione di razza, religione e cultura». Semplice ed essenziale anche la cerimonia di intitolazione della mensa. Bendetto XVIha tolto il velo che copriva l’insegna dedicata a papa Giovanni Paolo II,rendendo omaggio al suo predecessore, che visitò la mensa nel 1992. Ha poi ricevuto in dono uno dei grembiuli utilizzati dai volontari e unacoperta, immagine della sofferenza e del disagio, con la richiesta di portarlicon sé nei suoi prossimi viaggi come simboli della vicinanza di Roma ai poveri del mondo. Da parte sua il pontefice ha ricambiato l’omaggio,regalando un assegno di 100 mila euro, diecimila coperte e duemilagiacconi pesanti da distribuire agli indigenti.

BOLZANO

Lotta alle dipendenze,altri quattro annial “Binario 7”

Anche nei prossimi quattro anni il centrodiurno di Bolzano, Binario 7, continuerà a svolgere la sua azione di accoglienza e consulenza verso le persone chevivono situazioni di disagio fisico,psichico e sociale dovute a problemi di dipendenza. La Fondazione Odar, la Caritas diocesana Bolzano-Bressanonee la cooperativa sociale “Farsi prossimo”,

promossa da Caritas Ambrosiana(costituite in associazione temporanead’impresa), si sono aggiudicate la garad’appalto promossa dell’Azienda servizisociali del comune di Bolzano. Nelcentro di via Garibaldi, sei collaboratori e la responsabile accolgono e supportanopersone che hanno esperienze e problemi di dipendenza da sostanzepsico-attive illegali e da psicofarmaci.Binario 7 opera seguendo la strategiadella bassa soglia. Si opera dunqueperché i soggetti maturino nel tempo le motivazioni per uscire dalla dipendenza.

Caritas resta la sigla più nota ai donatori italianiComunicare la solidarietà? Non bisogna mercificare

Nel 2006 un italiano su tre ha fatto donazioni. In media, 68 euro a testa.È quanto emerge dall’annuale indagine Doxa sugli italiani e la solidarietà.Preferita la ricerca medica, resta comunque alto l’interesse per la lotta alla fame e alle povertà, come pure la mobilitazione in occasione di guerree calamità naturali. La Caritas conferma la sua notorietà complessiva: è la sigla più nota in Italia (con Telefono Azzurro), conosciuta dal 77% dei 1.007 intervistati. Caritas Italiana (59%) gode di un livello di notorietàdoppio rispetto a Caritas Internationalis (28%) e alle Caritas diocesane(30%), con un picco del 78% tra gli “alto-donatori” (almeno 50 euro l’anno)e un forte incremento, rispetto al 2005, soprattutto nella fascia 35-54anni. Cresce, in generale, l’immagine di Caritas Italiana come organismoa sostegno di poveri ed emarginati e viene inoltre confermato il riconoscimento come organismo ufficiale della Chiesa cattolica e come punto di riferimento per la difesa dei valori di giustizia e pace.

La ricerca Doxa è stata presentata nel seminario sul rapporto tracomunicazione e animazione, al quale hanno partecipato, a metà dicembre a Roma, una trentina di operatori di Caritas diocesane e Caritas Italiana.Dopo la presentazione dell’indagine, Sandra Bruno (Doxa), Davide Cavazza(Unicef) e Paolo Beccegato (Caritas Italiana), con l’aiuto della giornalista RaiCarmen Lasorella e di don Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, si sonoconfrontati su cosa è solidarietà e cosa vuol dire fare animazione attraversole campagne. Ne sono emersi molti nodi e qualche pista di lavoro

per riuscire a comunicare una solidarietà che vada al di là del gesto episodico e diventi atteggiamento costante.

Essere nel territorio, educare facendoNelle campagne spesso c’è inquinamento tra logica del dono e operazione commerciale. Occorre dunque fareattenzione, per evitare i rischi di mercificazione della solidarietà e dello sfruttamento a fini commerciali di un “logosolidale”. Occorre poi distinguere tra raccolta fondi e campagna di animazione. La raccolta fondi è materia studiata,patrimonio conoscibile. Fare campagne di animazione significa invece addentrarsi in terreno molto meno esplorato e codificato, non riconducibile a mera tecnica, anche se c’è comunque necessità di strutturazione in fasi ben definite.

Tre sono, in definitiva, gli elementi caratterizzanti una campagna capace di fare animazione. Anzitutto la presenza: per poter animare occorre essere nel territorio, capaci di utilizzare (anche a livello di comunicazione)strumenti e opportunità locali; solo da un effettivo radicamento può nascere l’incontro-relazione capace di produrreuna progettualità costruita insieme. In secondo luogo occorre educare facendo: è il solo modo per ampliare il cerchio di condivisione e partecipazione di una campagna. Il coinvolgimento porta pian piano dal dono di cose al dono di sé. Infine, bisogna andare alle cause: una campagna raggiunge il suo scopo di animazione se riesce a far riflettere sulle cause di una certa situazione, e se si rivela capace di attivare circoli virtuosi di advocacye di pressione, tali da indurre cambiamenti. Utile, alla luce di queste sollecitazioni, il confronto su due esperienzedi animazione a livello locale: una sul tema dei conflitti dimenticati, presentata dalla diocesi di Foligno, l’altra sul microcredito, presentata dalla diocesi di Vicenza.

bacheca di Ferruccio Ferrante

COMUNICARE, ANIMAREIl coordinamento comunicatori Caritas:sopra, i partecipanti; sotto, tavolarotonda con Carmen Lasorella

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agenda territori

per piccoli reati, ma si offrirà aiutoanche per reati più importanti, nonchéper vicende riguardanti residenzaanagrafica, permessi di soggiorno,contenziosi, pratiche per pensioni di invalidità,separazioni ediritti genitoriali.Tutto è iniziatoda un romanzodi JohnGrisham,L’avvocato di strada, uscito nel 1998:l’idea fu concretizzata a Bologna, nel2000, dall’associazione Amici di PiazzaGrande, cui fecero seguito le esperienzedi Bolzano, Ferrara, Verona, Padova,Milano, Bari, Foggia, Trieste, Lecce e Venezia. A Napoli il progetto è statoreso possibile grazie al protocollod’intesa tra assessorato alla solidarietàdella provincia, Caritas diocesana e Fondazione Banco di Napoli per l’assistenza all’infanzia, che oltre a erogare un finanziamento curerà uno studio sui diritti della povertà.

OSSERVATORI

Umbria e Sardegna,mappa delle povertàal microscopio

Prosegue la pubblicazione dei Rapportisulle povertà. In Umbria sono 23mila le famiglie povere, tremila in più rispettoal 2001. Lo rivela l’Osservatorioregionale sulla povertà, istituto dallaregione e dalla Conferenza episcopaleumbra, che coinvolge le Caritasdiocesane. Secondo l’indagine,sarebbero 138mila gli umbri poveri o che rischiano di diventarlo, pari al 17% della popolazione. Tra chi vive in condizioni di disagio sociale ci sonogli anziani che percepiscono pensioniinsufficienti (uno su due nella regione), i giovani con un lavoro precario, l’8,2%

delle giovani coppie con figli. Sono,inoltre, molto povere il 4% delle famiglie.L’Osservatorio sottolinea che dal 1997al 2005 l’età media dei poveri estremi è aumentata: si è passati da 37 a 42 anni. Tra costoro sono piùnumerosi gli immigrati degli italiani, le donne degli uomini. La ricerca metteanche in luce che tra le cause chespingono le persone verso la povertà ci sono fenomeni legati all’usura e allemalattie. Invece in Sardegna a trovarsiin condizioni di disagio non sono soloi senza dimora, ma anche quanti vivonosituazioni di fragilità all’interno del proprio nucleo familiare, disoccupati,lavoratori precari, “poveri dell’euro”,immigrati, chi cerca rifugio nell’alcol e nella droga, malati mentali e anzianiche non possono spendere. Il “Rapporto2006 su povertà ed esclusione socialein Sardegna”, presentato a finedicembre e condotto analizzando le richieste pervenute ai centri diascolto Caritas, propone anche storie di vita delle persone in stato di disagioe percezioni degli operatori e di testimoniprivilegiati, unendo l’approccioquantitativo a quello qualitativo. Chiudela pubblicazione un capitolo nel quale si affrontano, in sintesi, i temi crucialirelativi al welfare regionale.

FOGGIA

Riapre il Conventino:anche laboratori oltrea letti, mensa e docce

Dopo tre anni ha riaperto le porte il Conventino di Foggia, una struttura per senza dimora gestita dallaFondazione Fasano-Potenza e promossadalla Caritas diocesana. Il 29 dicembre i locali ristrutturati di via Orientale sonostati bendetti dal vescovo, monsignorFrancesco Pio Tamburino. Nel centro di prima accoglienza sarà trasferita

anche la mensa dei poveri che assicuratre pasti al giorno, dal lunedì al sabato,grazie al servizio di circa 70 volontari.Inoltre si sposterà nella sede rinnovatal’ambulatorio medico, convenzionatocon l’Asl Foggia Tre, nel quale operanotutti i giorni nel tardo pomeriggio diecimedici volontari. Il centro, oltre ad offrire

Battaglia per il permesso di Andrés,Nuovi Vicini crede nell’advocacy

Uno strumento per promuovere maggioregiustizia sociale, ispirato all’idea che la violazionedel diritto di una persona debole non è un fattopersonale, ma ha valore universale: questo è l’advocacy, procedura giuridica ispirata non al principio romanistico di tutela del dirittoindividuale, quanto a quello, più comune nel diritto anglosassone, che allarga gli orizzontia effetti che apportino beneficio alla collettività.

Abbraccia questa logica il progetto “Tutela & Advocacy”, finanziato grazie a Caritas Italiana con i fondi Cei otto per mille e avviato dal servizio legale di Nuovi Vicini onlus, il braccio operativo della Caritas della diocesi di Concordia-Pordenone, che si propone anche come capofila della reteregionale che coinvolge nella stessa strategia tutte le altre Caritas deicapoluoghi di provincia del Friuli Venezia Giulia. Claudia Murador, avvocato di Nuovi Vicini onlus, sta seguendo alcuni tra i primi casi affrontati conl’innovativa procedura. «Cambiano anche le modalità operative d’intervento– spiega l’avvocato –. Il legale non si sostituisce alla persona che tutela: si cerca di renderla consapevole che il percorso si fa insieme, dialogandocon le istituzioni interessate; la persona seguita, dove può, interviene. È un’impostazione difficile da attuare, perché spesso la persona non ha gli strumenti per fare da sola, anche se questo rimane il nostro obiettivo:promuovere l’autotutela». L’esperienza di Pordenone, tra l’altro, è innovativanon solo per il Friuli Venezia Giulia, ma a livello nazionale.

Un caso che vale d’esempioAndrés Rodriguez gestiva un’attività commerciale con il fratello, in un paesesudamericano, ma è stato consigliato di allontanarsi, perché “nondesiderato” a causa dell’attività politica ”non gradita” che conduceva. La sieropositività ha complicato la sua condizione; nonostante la malattia,ha lavorato in nero per dieci anni in Italia. Ha anche avuto una condannapenale, è stato in carcere, probabilmente perché l’attenuante dello stato di necessità non è stata evidenziata dal legale d’ufficio. È un uomo che ha fatto tesoro delle esperienze passate: oggi assiste una persona malatae vorrebbe cavarsela da solo. Qui si è inserito l’accompagnamento legale di Nuovi Vicini: tutte le memorie depositate in questura hanno avuto esitonegativo e finora non gli è stata riconosciuta la conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in quello per motivi umanitari. Il caso del signor Rodriguez non è isolato: la speranza che la vicenda si concluda in modo positivo, ed esemplare per altri casi simili, non è perduta.

ottoxmille di Martina Ghersetti

L’arte di fare campagne,in un libro le sette regole d’oro

Il problemaVolontari, operatori sociali, dirigenti di cooperative,aggiungete una parola nuova al vostro vocabolario:campaigning. Termine inglese, indica le attività cheenti non profit, ma anche istituzioni, mettono in praticaquando decidono di “scendere in piazza” e di mobilitare l’opinione pubblica, cioè di organizzareun campagna. Ci sono molti modi per farsi notare, per attirare l’attenzione del pubblico, per sensibilizzarlo

su alcuni temi. Ma solo alcuni sono effettivamente efficaci. Chi conosce i segreti di una buona campagna è il campaigner. Secondo gli esperti, una figura in rapida ascesa, che fra qualche anno potrebbe contendere il primato, all’interno delle organizzazioni non profit, al fundraisered emanciparsi dalla subalternità rispetto al comunicatore.

Il sussidioPer la prima volta un libro dedicato al campaigning è stato progettato e pubblicato in Italia, grazie all’editrice Emi e ad Asvi, Agenzia per lo sviluppodel non profit. La pubblicazione (“Campagne per le organizzazioni non profit.Sette regole per i manager del cambiamento”, Emi, pagine 343) è curatada Davide Cavazza, sotto la direzione editoriale di Marco Crescenzi, e spiega i segreti del mestiere, cioè le sette regole d’oro per organizzareun’efficace campagna di sensibilizzazione, dall’individuazione degli obiettivi e dei tempi alla costruzione di alleanze strategiche con i partner migliori,dalla comunicazione dei contenuti all’opinione pubblica all’analisi dei risultati. Dopo la teoria, la prassi: nella seconda parte del volume sono pubblicati alcuni case history, sono cioè raccontate alcune campagneattraverso la voce dei loro promotori, da quella per l’accesso di farmaciessenziali di Medici senza Frontiere a quella per la salvaguarda delleforeste di Greenpeace a quella sui conflitti dimenticati di Caritas Italiana,per citarne solo alcune. Notevole anche l’apparato bibliografico.

sto in campagna di Francesco Chiavarini

NUOVI VICINILa sede della Caritasdi Concordia-Pordenone

64 posti letto nelle sale dormitorioriservate ad ospiti maschi, fornirà a ospiti esterni un servizio docce e di distribuzione di indumenti. Infinesaranno ospitati nella struttura i laboratori multiculturali e artigianalidove si svolgono corsi di italiano perstranieri, di informatica, arti e mestieri.

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villaggio globale

maggio, raccontava,con un linguaggioadatto ai ragazzi,l’odissea di unatavoletta di cioccolatodall’Africa fino alle nostre tavole.

Il secondo, uscito ai primi di dicembre,affronta invece la storia di un palloneda calcio che arriva dal Pakistan e ha il significativo titolo di “Pallonasia”. Protagonista è un ragazzo come tanti altri, Nelson,che fa in sogno un lungo viaggio in compagnia di Chandra, la lunaamica, per conoscere altri bambinicostretti al lavoro e allo sfruttamento.Nato dalla matita del noto disegnatoreFogliazza, La notte di San Nessunospiega in modo colorato l’importanzadel commercio equosolidale e proponeschede storiche e geografiche, oltrealla testimonianza di un missionario. Il terzo episodio, a maggio 2007,porterà Nelson in America Latina.

LIBRI

Honduras violento,la repressionee i suoi meccanismi

Cosa sta dietro i fatti criminali cheinsanguinano l’Honduras? La delinquenzacomune, o qualcosa di più profondo e inquietante, una silenziosa rivoluzionesociale individualista che scardina tutti i paesi centroamericani? Sergio Spina,

già operatore di CaritasItaliana nel paesecentroamericano,racconta nella suaseconda opera,Honduras. Maschere per il dominio (Edizione

Achab, 127 pagine), i meccanismi della repressione messi in atto dal poteree la resistenza ingaggiata dalla societàcivile nel faticoso sforzo di costruire unpopolo. Uno sguardo originale sul CentroAmerica, una lunga inchiesta capace di cogliere le notizie oltre le verità ufficiali

CINEMA

Al Gore raccontai disastri ambientaliai tempi dei gas serra

È uscito il 19 gennaio nelle sale Unascomoda verità, il film di Al Gore suidisastri ambientali provocati dai gasserra. Girato da Davis Gugenheim(regista anche di alcuni episodi dellaserie tv cult E.R.), il cine-notiziarioespone alla maniera di Micheal Moore(9/11), dati scientifici, tabulati e previsioni sul riscaldamento del pianeta, frutto di oltre venti anni di ricerche ambientali del braccio

destro di Clinton che nel 2000 perse, per unamanciata di voti, la suacorsa alla Casa Biancacontro Bush. Per singolarecoincidenza il "quasi-documentario" è statodistribuito in Italia due settimane dopo

uno studio sulla situazione climatica e ambientale della Commissioneeuropea che accredita, per la primavolta, ipotesi drammatiche per il bacinodel Mediterraneo. Secondo questaanalisi, l'aumento della temperaturaprovocato dalle emissione dannosepotrebbe costare all'Europa migliaia di vite entro i prossimi 70 anni.

FUMETTI

Notte di San Nessuno,l’equosolidaleformato striscia

La notte di San Nessuno è il primofumetto equosolidale in Italia, natodalla collaborazione tra la rivista del Pime IM (Italia Missionaria)e l’associazione Botteghe del Mondo.Il primo numero, uscito nello scorso

“Come io vi ho amato”: tratto dal Vangelo di Giovanni, è il tema scelto da Caritas Italiana e dall’Ufficio nazionaleCei per la pastorale della famiglia per il tempo di Quaresima e Pasqua 2007. Come di consueto, sono stati preparati sussidi per vivere nella preghiera e nell’azione caritativa questo particolare tempo liturgico:un opuscolo dedicato alle famiglie, un album per i bambini,

un poster (nella foto), un salvadanaio e una scheda per l’animazione pastorale.Gli uffici Cei propongono dunque di riflettere e pregare, nel cammino di avvicinamento alla Pasqua, sul comandamento di un amore che si misurasu un modello che appare irraggiungibile, ma con la consapevolezza di essereamati gratuitamente e teneramente, che invita a ricambiare.Caritas e Ufficio famiglia propongono l’immagine dell’abbraccio comeesperienza umana alla quale attingere per saper amare gratuitamente e fraternamente tutti, a cominciare da chi fa più fatica.

SUSSIDI

Quaresima: attingere a un abbraccioper imparare a ricambiare nell’amore

a tu per tu di Danilo Angelelli

Per il suo Nuovomondo Venezia ha inventato il Leone d’Argento al film rivelazione. E anche se, pur rappresentando l’Italia agli Oscar, non ce l’ha fatta a entrare nella cinquina dei candidati per il miglior film straniero, sta riscuotendo apprezzamenti anche all’estero. Del resto, già con il precedente Respiro, ambientato in un’assolata e arcaica Lampedusa,Emanuele Crialese aveva ottenuto elogi internazionali. Con Nuovomondo il regista racconta, seguendo le tracce di una famiglia di siciliani che partono per l’America, di “quando gli immigrati eravamo noi”.Un film che parla di emigrazione: un monito per un paese che oggi si trova ad accoglieree che ha già dimenticato il passato? O semplicemente uno strumento per recuperareuna fase importante della nostra storia?Anzitutto non siamo il solo paese a dimenticare. La rimozione è un fenomeno comune

a tutti gli uomini, un meccanismo che serve a difenderci dal peso degli errori che spesso si commettono nella vita o da ricordi di ingiustizie subite. Dettoquesto, l’urgenza di scrivere e realizzare un film dipende da diverse necessità.Nel mio caso ci sono sicuramente le due ragioni dette, ma anche tante altre.Come l’interesse per il sentimento particolare dell’emigrante, che vive unacondizione esistenziale di abbandono del noto per l’ignoto. È grazie alla capacitàdi immaginare e di continuare a sperare in mondi più giusti e più liberi che ci si priva della vita passata, della terra, dei morti, della famiglia e si attraversal’oceano. Per poi condurre un’esistenza quasi sempre legata alla nostalgia dellapropria terra, in un Nuovo Mondo che la prima generazione non sentirà mai suo.Nell’inquadratura della nave con a bordo gli emigranti che si stacca dal porto sembra aprirsi una ferita. Destinata a non rimarginarsi mai…È una lacerazione, come un pezzo unico che si divide. Una parte, quella che si muove, cercherà di riprodursi e di esistere nella nuova terra, continuandoa mantenersi compatta e unita. Come ha fatto la comunità italiana nel mondo.La lacerazione per aver lasciato affetti e radici c’era negli immigrati di ieri e c’è in quelli di oggi. Con quali differenze?Gli emigranti del secolo scorso partivano senza aver mai visto davvero il NuovoMondo; dunque, forse, erano più ottimisti. Oggi coloro che arrivano hanno giàimmagini nella loro testa. L’onnipresente televisione si è sostituita al fuoco intornoal quale gli uomini si riunivano per raccontarsi storie. Ma non avrà mai la stessa

funzione perché in qualche modo, illustrando il mondo da una prospettiva molto precisa, spesso politica, non lascia liberal’immaginazione degli uomini, anzi la intrappola in una rete di schemi manipolati che si mascherano da “cose vere”.Cosa hanno comunicato al mondo gli emigrati italiani?Gli italiani sono arrivati con le loro famiglie in tutti i paesi del mondo. Ci sono arrivati come lavoratori, non con la violenza dei colonizzatori. Ovunque nel mondo essi hanno cominciato dal gradino più basso della scala sociale, per poi integrarsi ed essere rispettati senza perdere mai l’identità. Portano il ricordo della loro terra e lo tramandano di generazione in generazione. È uno degli aspetti che ci rendono molto diversi da tutti gli altri: esistere nel mondocome italiani, anche se si abita un altro paese da tre generazioni.

Crialese e un Nuovomondo tra memoria e identità«L’emigrante? Colui che immaginava. Prima che la tv…»

DESTINAZIONE AMERICAEmanuele Crialese (sopra)e due scene del film Nuovomondo

storie di speranza

Armando è un figlio di Napoli. Nato sul finire della guerra, ultimo di otto fratelli,genitori titolari di un bar-pasticceria-gelateria. In casa non mancava nulla. Ma il padre morì che Armando aveva nove anni e la madre, dovendo badare al bar,

lo iscrisse al collegio dei padri Salesiani insieme a un fratello. Poi anche lei se ne andò:Armando aveva 11 anni e dopo sei mesi il fratello maggiore, che gli faceva da tutore, lo riportò a casa per non pagare la retta.

Armando non andò più a scuola. Passava le sue giornate al bar con i fratelli. Ma i piùgrandi non si preoccupavano dei più piccoli e invece di gestire il negozio con passione e sacrificio, come avevano fatto i genitori, sperperavano e giocavano a carte l’incasso. In meno di dieci anni il bar fallì.

Maggiorenne, a 21 anni, Armando riscosse il buono del tesoro – un milione di lire –lasciatogli in eredità. E scoprì che tutti gli interessi che gli spettavano erano spariti. Tornato a Napoli dal servizio militare, trovò i suoi fratelli sistemati. Uno di loro gestiva un bar con una piccola sala da biliardo; là, nel retrobottega, la sera si giocava a carte e Armando apriva il gioco della “zecchinetta” facendo la “pidocchiosa”, una puntata bassa, che invitava gli altri giocatori a entrare nel gioco e a puntare più alto. Così cominciò a giocare.

Poi lasciò Napoli. Prima una parentesi a Berlino, poi il trasferimento in Liguria, dove cominciò a lavorare come cuoco. In un hotel tre stelle conobbe una ragazza calabrese

che faceva le pulizie delle camere, aveva una figlia ed era separata dal marito.Convissero cinque anni, durante i quali lei smise di fare la cameriera e cominciòcon le supplenze come bidella. Per amore Armando pagava le bidelle ufficiali, per farle restare più a lungo in aspettativa e far salire il punteggio della compagna.Alla fine lei, raggiunti i punti sufficienti, se ne andò a lavorare a Torino. E Armando, giocatore ormai compulsivo, restò solo.

Abitando a Diano Marina, giocava al casinò di San Remo. Oltrepassando la frontiera francese, girava tutti i casinò della Costa Azzurra: Mentone, Nizza,Cannes, Montecarlo. Per un certo periodo si controllò, cullando l’idea di metterequalcosa da parte per acquistare una casa. Era giunto a risparmiare 67 milioni, ma alla soglia dei 60 anni lo ha colto di nuovo la voglia di autodistruggersi.

Armando si è giocato tutto fino all’ultima lira. Allora è tornato a Napoli, dove ha chiesto aiuto ai fratelli, ma si è sentito rispondere che avevano la lorofamiglia a cui pensare. Colto dalla depressione, si è ridotto a dormire nella piazzadella stazione centrale. Ma è stata in qualche modo la sua salvezza. Perché lì

gli hanno indicato il “Binario della solidarietà”, un centro di accoglienza diurno per senzadimora della Caritas diocesana di Napoli. Rosario ha ascoltato la sua vita, suor Giuseppinalo ha invitato a far parte del gruppo dei giocatori anonimi, grazie al quale ha messo a fuocoi suoi errori. Dopo otto mesi Armando è approdato alla redazione di Scarp de’ tenis, giornaledi strada che è anche un progetto per persone in difficoltà. Fa il venditore di strada e in parrocchia. Da due anni è ospite della Caritas e del dormitorio comunale. Ma conta di affittare un monolocale. Armando ha un solo rammarico. Non riesce a tornare in famiglia:«Una cosa vorrei più di tutte. Che capiscano che non desidero altro che il loro amore».

Era nato in una casabenestante. Ma la sua

scuola è stato il bar di famiglia. E la passione

per l’azzardo lo ha rovinato.

Tornato a Napoli, si è ritrovato senza

dimora. Poi è arrivato al “Binario”. E oggi ha un desiderio…

di Claudia Torre

IL GIOCO DELL’ARMANDO,LA VITA RICOMINCIA ALLA STAZIONE

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e di smascherare chi vorrebbeoccultarle. Un libro che hal’immediatezza di un album di fotografiescattate durante un viaggio.

LIBRI

“Blood brothers”,un vescovo in Galileavive per riconciliare

Esce in traduzione italiana BloodBrothers (“Fratelli di sangue”), il bestseller internazione (da cui vennetratto il film Prophet in his own country)

di Elias Chacour, il vescovomelchita di Galilea, per bentre volte candidato al Nobelper la pace. Padre Eliasracconta in queste pagine la sua straordinaria storia e

il suo impegno come cristiano nel tentativodi riconciliare palestinesi ed ebrei. Blood Brothers. Una testimonianza di pace in Medio Oriente, Rubettino, 224 pagine.

RIVISTE

Comunità cristianae 11 settembre,l’analisi di “Oasis”

I cristiani e l’11 settembre. La rivistasemestrale Oasis dedica l’ultimo numeroalle conseguenze per la comunitàcristiana dell’attentato alle Torri Gemelle.Il numero è una buona occasione per conoscere uno strumento culturalenato due anni fa come ponte tra culturacristiana e islam e strumento di approfondimento per i cristiani neipaesi a maggioranza musulmana. Oasisè promossa dai cardinali Scola (Vienna),Barbarin (Lione), Bozanic (Zagabria), Erdö (Budapest), Schönborn (Vienna) e da numerosi vescovi ed esponenti del mondo ecclesiale ed accademico.Esce nelle librerie in quattro edizioni bilingui.

La parola (scritta) ai testimoni:Ingrao voleva la luna,per Magris la storia non è finita

Le giovani generazioni appaiono sempre più orientate a leggere la produzione editoriale che consiste in testimonianze offerte da personalità di spicco del mondo della politica,della letteratura o dell’informazione. Una confermaè l’interesse, editoriale e di critica, suscitato da alcune recenti pubblicazioni.

In Volevo la luna (Einaudi 2006, pagine 376)Pietro Ingrao fornisce un’appassionata ricostruzionedi una parabola personale e sociale, calata nelleinsanguinate e decisive vicende di oltre mezzosecolo fa (il fascismo, la resistenza, l’elaborazione

della carta costituzionale), ma che approda a vicende e drammi a noi più vicini(la rivolta studentesca, gli anni di piombo e il terrorismo, le figure di Moro e Berlinguer, i rapporti tra mondo cattolico e politica).

L’ultimo romanzo di Lidia Ravera, Eterna ragazza (Rizzoli 2006, pagine408) è un’aspra storia di relazioni e legami d’amore fra adulti, ma anche in senso più universale: fra madre e figlio, fra padre e figlia, fra due giovani,fra due che sono nonni dello stesso bambino, fra due amiche. Il personaggioprincipale è Norma, l’eterna ragazza del titolo: sempre giovane, sempreinquieta, mai riconciliata.

Senza Patricio di Walter Veltroni (Rizzoli, seconda edizione 2006) prendele mosse da un giorno qualunque, lungo le strade di Buenos Aires. Su un muro una scritta, tracciata con la vernice: “Patricio, te amo. Papà”. Un graffito insolito, da cui Veltroni ha tratto lo spunto per immaginare cinque storie intense e struggenti sulle angosce e i sogni del nostro tempo, sul passato e sul futuro, ma soprattutto sul rapporto tra padri e figli e sui sentimenti che lo accompagnano: competizione, rispetto, emulazione,ma anche speranza e disperazione.

Claudio Magris raccoglie invece le sue riflessioni sull’attuale situazionepolitica e civile del nostro paese in La storia non è finita (Garzanti 2006,pagine 245). Non scende mai sul terreno delle sterili polemiche politiche;preferisce affrontare alcuni nodi di fondo del dibattito culturale e politico-filosofico contemporaneo: laicità e rapporto dell’individuo con lo stato e con la chiesa; famiglia e sue nuove forme; aziendalismo ed economicismoimperanti; globalizzazione e incontro-scontro tra culture; guerra, pace e pacifismo; strapotere della scienza, sperimentazione biomedica, cellulestaminali, procreazione assistita; devolution e riforma della Costituzione; il significato di “democrazia”.

pagine altre pagine di Francesco Meloni

villaggio globale

ECCO I NUOVI RECAPITI CARITAS ITALIANA VIA AURELIA, 796 - 00165 ROMATEL. 06.66.17.70.01 (CENTRALINO) - FAX: 06.66.17.76.02 [email protected]

Coordinarsi, per un’azione di annuncio, testimonianza e servizio sempre più incisiva.

È il senso del nuovo complesso edificato, a Roma, dalla Conferenza episcopaleitaliana. Nell’edificio, dal 1° gennaio 2007, è ospitata Caritas Italiana, insiemead altri organismi Cei: le fondazioni Migrantes e Missio.

Per tutti il trasferimento equivale a un nuovo impegno: realizzare una sinergiasempre più ampia, sperimentando forme di collaborazione, per continuarea comunicare e testimoniare il Vangelo.

Nuova sede,nel segno della comunione