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MIGRANTI,WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA ITALIA OLTRE LE QUOTE MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVA INDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE maggio 2006

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MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA

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MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 4 - WWW.CARITASITALIANA.IT

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FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVAINDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA

DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE

maggio 2006

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editoriale di Vittorio NozzaIL SERVIZIO COME SCELTA, NON DIMENTICHIAMO I POVERI 3parola e parole di Giovanni NicoliniOFFRIRE SE STESSI, L'ARMA CHE VINCE L'INIMICIZIA 5verso verona di Salvatore FerdinandiLA VITA È “TRADIZIONE”, CONSEGNAMO LA SPERANZA 6

nazionaleSANATORIA MASCHERATA, “QUOTE” DA SUPERARE 8di Oliviero Forti e Giancarlo Peregodall’altro mondo di Luca Disciullo 12WELFARE PER LO SVILUPPO, APPUNTI PER RIPARTIRE 13di Paolo PezzanaLEGITTIMA DIFESA, UNA SCELTA PREISTORICA 15di Giancarlo Peregodatabase di Walter Nanni 16FRIULI, QUANDO L’ITALIA SI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO 17di Pietro Gavacontrappunto di Domenico Rosati 22

panoramacaritas RAPPORTO ANNUALE, LOCRIDE, IRAN 23progetti AIUTO ALL’EUROPA 24

internazionaleACEH, PROVE DI DIALOGO TRA I DETRITI DELL'ONDA 26testo di Alberto Chiara foto di Nino LetoCOME RAYMOND DOPO IL SISMA È DIVENTATO UN “UOMO NUOVO” 30di Barbara DettoriPAD E PRADEEP, VITTIME DI UNA GUERRA CHE NON SI ARRESTA 32di Francesco Palettiguerre alla finestra di Paolo Beccegato 33casa comune di Gianni Borsa 34DEBITO, PESO CHE RESTA. MA IN ZAMBIA ORA SI SPERA 35di Massimo Pallotino e Stefano Verdecchiacontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

ritratto d’autore di Claudia KollCERCARE SASSI PER GIULIA CHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE 47

sommario ANNO XXXIX NUMERO 4

IN COPERTINAGiovani italiani e immigrati

al lavoro in un centrodi formazione professionale.

Una gestione dell’immigrazionepiù razionale, idee per il welfare:

dopo le elezioni, la politicaè chiamata a scelte cruciali

foto Romano Siciliani

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

- Banca Popolare Etica, piazzetta Forzaté 2, PadovaCin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100conto corrente 11113Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113Bic: CCRTIT2T84A

- Banca Intesa, piazzale Gregorio VII, RomaCin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032conto corrente 10080707Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707Bic: BCITITMM700

● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 541921Cartasì anche on line, sul sitowww.caritasitaliana.it (Come contribuire)

5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditie indicare il codice fiscale 80102590587

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceiviale F. Baldelli, 4100146 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA

ITALIA OLTRE LE QUOTE

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FRIULI TERREMOTO E SOLIDARIETÀ, UNA MEMORIA VIVAINDONESIA PROVE DI PACE E DIALOGO TRA I DETRITI DELL’ONDA

DEBITO L’AFRICA CHE REAGISCE A UN PESO OPPRIMENTE

maggio 2006

IL SERVIZIO COME SCELTA,NON DIMENTICHIAMO I POVERI

editoriale

l’evasione e dell’elusione fiscale. Chi denuncia tutto vieneescluso, chi denuncia meno del dovuto ottiene beneficicui non avrebbe diritto. Welfare,cittadinanza e compatibi-lità: il metodo da seguire è l’individuazione delle esigenzebasilari delle persone, delle famiglie, delle comunità e,conseguentemente, la predisposizione delle risorse ne-cessarie per affrontarle. Devoluzione, federalismo e… benecomune: il capitolo della finzione devolutiva si inserisceagevolmente nel quadro già preoccupante della corrosio-ne della democrazia e denota un’ulteriore difficoltà nonsolo per le politiche sociali, ma soprattutto per la politicatout court, come scienza e arte del bene comune. Di posi-tivo c’è soltanto il fatto che la maggior parte delle regioniha cominciato a operare sulla base dell’unico strumentodisponibile, in materia di politiche sociali, vale a dire la

sempre più inadempiente verso gliobblighi di contribuzione obbligato-ria alle agenzie delle Nazioni Uniteche hanno tra i loro obiettivi lo svilup-po del Sud del mondo. Ma quello chepreoccupa è soprattutto l’assenza diun dibattito pubblico sui nostri impe-gni per l’aiuto allo sviluppo, che noncorrisponde alla diffusa sensibilitàdegli italiani in materia. Oggi siamo,tra i paesi donatori, all’ultimo postocon al cifra dello 0,13% del Pil, nono-stante qualche timido tentativo dicorreggere la tendenza.

Educare di nuovo alla legalitàIn ambito nazionale, diverse sono lequestioni che preoccupano. E chevanno sottoposti all’attenzione delnuovo governo e del nuovo parla-mento. Solo alcuni cenni. Solidarietà,fisco e condoni: come sono vissuti egestiti, oggi i doveri inderogabili disolidarietà di cui parla la Costituzio-ne? Non è cessato il malcostume del-

V iviamo in un momento di cambiamenti epocali. SecondoJim Wolfensohn, ex capo della Banca Mondiale, nel 2040vi saranno sul nostro pianeta altri due miliardi di abitan-

ti. E l’80% sarà nato nei paesi in via di sviluppo. La classificamondiale delle potenze economiche registrerà colossali cam-biamenti: già nel 2025-30 la Cina potrebbe occupare il primoposto nella gerarchia delle potenze economiche e India, Brasilee Russia potrebbero figurare ai primi posti, sottolineandoil ridimensionamento degli Stati Uni-ti e quello ancor più profondo diGiappone e paesi europei. Nello stes-so tempo viviamo in un mondo in cuile disuguaglianze appaiono semprepiù inaccettabili. Nel 2004 le speseper armamenti hanno raggiunto i 975miliardi di dollari, il 2,6% del prodot-to interno lordo mondiale, ossia 162dollari per abitante della terra. Secon-do la Banca Mondiale 2,7 miliardi dipersone vivono con meno di 2 dollarial giorno, ma ogni mucca europea ri-ceve più di due dollari al giorno. In-tanto 1,4 miliardi di persone non hanno accesso all’acquapotabile e 800 milioni di persone soffrono per malnutri-zione grave. Ma, nello stesso tempo, il mondo non ha maiposseduto tanta ricchezza. L’inaccettabilità di un similemondo sta per raggiungere livelli di pericolo: le attuali cor-renti di emigrazione ne sono un segno tangibile.

La grande forza di attrazione che l’Europa ha esercita-to negli ultimi decenni verso molti altri paesi risiede anchenel fatto che insieme ai principi di pace, giustizia e libertàl’Unione europea ha sempre indicato la solidarietà con learee più deboli del mondo come uno dei valori fondantidella sua collettività. L’Italia, per molti anni, è stato uno deipaesi maggiormente impegnati su questo fronte. E proprioper questo si segnala ora con una certa preoccupazione larecente inversione di tendenza, che vede il nostro paese

Le disuguaglianze, a livello planetario,

si fanno sempre più aspre.E il panorama nazionalepresenta forti contrasti.

Le responsabilità della politica.E il ruolodella chiesa, chiamata

ad annunciare una “civiltà dell’amore”

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato,Renato Marinaro, Francesco Marsico, Francesco Meloni, Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romatel. 06 541921 (centralino)

06 54192226-7-77 (redazione)offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 54192205inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 54192202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 21/4/2006

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editoriale

legge 328/00. La famiglia: purtroppo viene vista, di voltain volta, solo come fattore di contrasto del decrementodemografico oppure come fattore di compensazione del-le lacune del welfare.

I soggetti sociali: l’esperienza accumulata consente dimettere meglio a fuoco il ruolo dei vari soggetti sociali inrapporto al welfare, distinguendo quelli che hanno voca-zione imprenditoriale (impresa sociale) regolata dal pro-fitto, anche se non redistribuito, e quelli che hanno voca-zione compassionevole o meglio solidaristica, regolatadalla logica del dono. In ogni caso va posto in evidenza ilproblema dell’indipendenza dei soggetti e delle opere. Leopere cattoliche potrebbero assumere al riguardo un ruo-lo di prima linea.

I comportamenti pubblici negativi: le convenienze del-la politica tendono ad ammortizzare gli aspetti etici nega-tivi dei comportamenti pubblici. La catechesi di GiovanniPaolo II, basata sul Salmo 100, si è concentrata sulle virtùdell’onestà, della lealtà, del rigore, del disinteresse perso-nale come caratteristiche del servizio agli altri. Il mancatocontrasto di comportamenti eticamente riprovevoli si ri-percuote sul popolo come una sorta di lasciapassare: se siaccetta una situazione moralmente riprovevole in alto,perché censurarla in basso? Va ripresa senza riserva l’edu-cazione alla legalità.

I riferimenti costituzionali: nella ricerca dell’etica co-mune i riferimenti ai principi costituzionali hanno un va-lore importante. Si tratta di concetti costruiti sulla base di

un consenso espresso da soggetti diversi, con matrici eorientamenti difformi. Potersi richiamare a principi con-divisi in materia di famiglia, lavoro, tutele sociali, regoledel buon governo è un vaccino contro le derive degenera-tive della democrazia, che fallisce quando si riduce a me-ra legge del numero.

Sprerare dentro il quotidianoDobbiamo nutrire soprattutto un sogno: che quantodiciamo in difesa degli ultimi a livello internazionale enazionale (ma anche locale e diocesano) risuoni comecondiviso nei nostri territori, non perché diremo paro-le meno esigenti, ma in quanto saranno parole familia-ri, ascoltate e vissute, che hanno già aperto il cuore e lamente delle nostre comunità parrocchiali, che le han-no già liberate dai luoghi comuni, dagli slogan di divi-sione, dalle culture di esclusione. L’essere a servizio de-ve essere sempre più una scelta consapevole e matura,non un fardello pesante da portare, una servitù ingrataa un mondo e a un territorio spesso difficili, a storie e avolti che faticano a liberarsi dalle schiavitù a cui sonocostretti. L’essere a servizio deve portare a sperare den-tro l’orizzonte, pure difficile, del quotidiano. Non c’èche da accogliere, tutti, l’invito di Benedetto XVI rivoltoai cardinali nel Concistoro: «Conto su di voi perché,grazie all’attenta valorizzazione dei piccoli e dei poveri,la Chiesa offra al mondo in modo incisivo l’annuncio ela sfida della civiltà dell’amore».

Prendere le parti di tuttiQuesto Pastore delle pecore non lo èdi un solo ovile. Non è un pastore “diparte”, non si identifica con una na-zione o una cultura. Se mai, è capa-ce di entrare in tutte le etnìe e in tut-te le culture, di purificarle, e di rin-novarle per la potenza della sua Pa-rola, che è Spirito e Vita. La sua si-gnorìa non è quella fragile, estrinse-ca, di un impero mondano. È inveceil potere che gli viene riconosciutoda chi ascolta la sua voce, ed entranella sua sapienza d’amore.

Il Pastore, infatti, non solamentesalva, ma anche comunica il suopotere a chi lo accoglie. A partire daltessuto più ordinario della vita quo-tidiana, tutti possiamo esprimere eaffermare la potenza del Pastore.Non si tratta di sperare in un illuso-rio disarmo, ma nell’assunzionedella nuova arma del “dono di sé”.Dono reciproco, s’intende. E nessu-no può toglierci questa vita nuova

che abbiamo ricevuto da Lui. Siamo noi, e solo noi, chepossiamo offrirla per poi riprenderla di nuovo.

Dice un antico canto cristiano che la morte ha in-ghiottito la vita. Ma ha dovuto poi vomitarla, perchè è im-possibile che la morte possa tenere prigioniera la vita. Lecomunità cristiane sono caldamente invitate dal loro Si-gnore a ritrovare la loro forza pasquale. Davanti alla gran-de ferita del mondo non si può essere di parte. E neancheneutrali. Bisogna prendere le parti di tutti perchè tutti so-no cari al Padre, fino al Sangue del Figlio. E per fare que-sto bisogna abbattere il muro di separazione, il muro del-l’inimicizia, da Gerusalemme a Pechino, da casa nostraalle nostre relazioni più preziose e delicate. Il Vangelo delSignore e il Signore del Vangelo: questa è l’arma.

potente: ed è la potenza-potere di“offrire la vita per le pecore”.

Il vecchio gesto di Caino si rivelasempre più non solo inadeguato arisolvere il dramma della storia, maaddirittura fonte di nuovi mali,spesso ben più gravi di quelli che sivorrebbero risolvere. Non molti me-si fa, guai a protestare per l’inutilestrage della guerra nell’antica terratra i due fiumi, la terra della famigliadi Abramo! Oggi questo non lo sisente ricordare dai censori di ieri,tutti infervorati (allora) intorno alladifesa dei valori dell’occidente e solerti esportatori del-le democrazie occidentali.

La Pasqua è invece l’assunzione della storia da partedi questo Pastore Buono, che ci regala l’arma più poten-te, veramente l’unica, per abbattere il grande Nemico,che è l’Inimicizia. Noi, i suoi amici, suoi discepoli e fra-telli, dispersi nelle nostre piccole chiese in mezzo ai po-poli, abbiamo il dono e la responsabilità di essere i te-stimoni del Pastore. Di Lui si dice che conosce le sue pe-core con la preziosità di una relazione intima e profon-da, paragonabile solo alla conoscenza tra il Figlio e il Pa-dre. Anche l’agnello più piccolo e ferito Egli conosce pernome. E lo chiama e lo conduce fuori da ogni prigioniaperchè gli è caro.

Il vecchio gesto di Caino non risolve

il dramma della storia e si rivela, anche oggi,

fonte di nuovi mali.Invece il Buon Pastore,

che si offre per le pecoredi ogni ovile, ci salva.

E comunica il suo potere

a chi lo accoglie

OFFRIRE SE STESSI,L’ARMA CHE VINCE L’INIMICIZIA

Anni fa un importante prelato, rimproverandomi per quello che lui

ritiene un mio eccessivo “pacifismo”, citava il Vangelo secondo

Giovanni e l’immagine del Buon Pastore per ricordarmi che l’as-

salto del lupo richiede la difesa delle pecore. Un certo timore reveren-

ziale per il personaggio non mi consentì di rispondere con prontezza, e

quando volli provarci era già scomparso tra i suoi molti impegni. Avrei

voluto dirgli che il lupo è talmente potente che non è pensabile abbat-

terlo con i sistemi della solita violenza. Ne occorre una nuova e ben più

parola e paroledi Giovanni Nicolini

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. (Giovanni 10, 11-18)

MONSIGNOR VITTORIO NOZZACONFERMATO DIRETTORE DI CARITAS ITALIANAIl Consiglio episcopale permanente della Cei, nel corso della sessione primaverile svoltasi a Roma dal 20al 22 marzo, ha proceduto a varie nomine. Tra queste, figura la conferma di monsignor Vittorio Nozza a di-rettore della Caritas Italiana per un altro quinquennio. Nato nel 1948, sacerdote della diocesi di Bergamo,già cappellano del carcere orobico e direttore della Caritas diocesana, monsignor Nozza era stato nomina-to direttore di Caritas Italiana nel marzo 2001, dopo aver ricoperto l’incarico di responsabile dell’area Pro-mozione Caritas diocesane e formazione. A monsignor Nozza Italia Caritas formula i migliori auguri di buonlavoro per il nuovo importante mandato pastorale.

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LA VITA È “TRADIZIONE”,CONSEGNIAMO LA SPERANZA

verso verona

zione integrale. Questo è lo spazio proprio della chiesaper “contribuire al costituirsi di una tradizione di verità”di cui parla la Traccia Cei verso Verona, evitando che lacultura si appiattisca sulla dimensione oggettivo-de-scrittiva, riducendosi a formalità esteriore.

Occorre essere consapevoli dell’“immenso patrimoniodella nostra tradizione culturale, impregnato di valori cri-stiani” (n. 27 della Nota pastorale dopo Palermo) per attua-re validamente l’esercizio del trasmettere e per risponderealla vocazione educativa, illuminati e sorretti dalla speran-za. Per favorire e stimolare questa consapevolezza, è perònecessario recuperare la memoria della nostra dignità. So-lo la consapevolezza gioiosa della rigenerazione nel miste-ro pasquale per mezzo dello Spirito ci rende capaci di tra-smettere ciò che abbiamo ricevuto.

mi. E spinge la collettività verso unaconvivialità delle diversità, terreno didialogo tra le culture, unica alternati-va al conflitto.

Infine, la tradizione è tale in quan-to è narrata e il racconto rappresentalo strumento privilegiato per la com-prensione del reale e la comunicazio-ne dell’identità individuale e colletti-va. Questo è vero soprattutto per ilnarratore cristiano, portatore della“buona notizia”, in grado di risponde-re alle esigenze di fondo che muovonoil cuore umano, avendo non solomaggior consapevolezza del dono ri-cevuto, ma anche maggior fiducia nel-la proposta cristiana e nell’uomo chia-mato alla speranza e alla salvezza inGesù Cristo.

La memoria della dignitàRiguardo al compito educativo, laChiesa è chiamata ad aiutare l’uo-mo a scoprire e a realizzare dentrola storia la sua dignità e la sua voca-

Il termine “tradizione” non gode oggi di buona fama, perché sa di

staticità e conservazione. È accolto positivamente solo se si presen-

ta al plurale e accompagnato da aggettivi: tradizioni popolari, etni-

che, folkloristiche. Ma la tradizione rimanda all’azione del “trasmettere”

(tradere) in riferimento al “patrimonio vitale e culturale della società”. La

riflessione avviata da Cei e Caritas Italiana in vista del Convegno eccle-

siale di Verona evidenzia che la comunicazione del Vangelo passa attra-

verso il dialogo con la cultura e che il credente è invitato a entrare

nel dibattito con creatività e origi-nalità, sia per contribuire al costi-tuirsi di una tradizione di verità, siaper far presente la propria tradizio-ne religiosa, salvaguardando la sanalaicità dello stato.

Il mutamento epocale e l’appiatti-mento sul presente, tratti tipici dellanostra cultura, sono una delle causedella difficoltà di trasmettere la fedesia tra generazioni diverse, sia all’in-terno della stessa generazione. Eppureè innegabile che la vita stessa è “tradi-zione”; e il primo bene che viene con-segnato da una generazione all’altra è proprio la vita. Allo-ra, come attivare percorsi capaci di recuperare passato e fu-turo? Come aiutare famiglie, parrocchie, scuola, i luoghiclassici della trasmissione, a esercitare il loro compito?

Anzitutto la tradizione è legame rispetto al tempo.La visione cristiana della storia emerge proprio in que-sta tensione tra la memoria dell’opera redentiva com-piuta da Gesù Cristo, l’esperienza di questa nel presen-te e l’attesa del suo compimento.

Ma la tradizione è anche legame rispetto alle persone,si attua sempre in un rapporto interpersonale, tra un sog-getto che “consegna” e uno che “riceve”. Di conseguenza èun legame rispetto alla collettività, in quanto diventa patri-monio prezioso per ogni gruppo sociale, conferisce sensodi appartenenza e identità collettiva. È legame e crea lega-

Nell’epoca attuale non è facile realizzare

la trasmissione della fede.Tempo, persone, racconto:

le dimensioni della tradizione vannopercorse dalla Chiesa,

per aiutare l’uomo a scoprire la sua

“vocazione integrale”

di Salvatore Ferdinandi

Leggo doppioLeggo solidale

valoriAnno 6 numero 39. Maggio 2006. € 3,50

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.

Fair Trade > Raddoppiano le vendite di prodotti equo solidali in EuropaMessico > Il muro statunitense di mattoni e norme contro tutti i migrantiPedavena > La storica birra batte la globalizzazione e torna in attività

Dossier > Oltre le intimidazioni la lotta contro la ‘ndrangheta è continua

L’ora del riscatto

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Fotoreportage > Mafia

Mensile di economia sociale e finanza eticanuovepovertàLa risposta della città d’arte e cultura alla scarsità di alloggi e ai bassi redditi: Pisaapre le porte delle istituzioni ai migranti e alla solidarietà

osservatorio

MIGRANTI, WELFARE, LAVORO: PROMEMORIA PER LA POLITICA

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Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro Per aderire:• versamento su c/c postale n. 28027324 intestato a

Soc. Cooperativa Editoriale Etica, via Copernico 1, 20125 Milano• bonifico bancario: c/c n. 108836 intestato a

Soc. Cooperativa Editoriale Etica presso Banca Popolare EticaAbi 05018 - Cab 12100 - Cin AIndicare la causale “Valori + Italia Caritas” e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91

Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro Per aderire:• versamento su c/c postale n. 39208202 intestato a

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• bonifico bancario: c/c 05733 intestato a PimEdit Onlus presso Credito Artigiano - Abi 03512 - Cab 01601 (inviare copia dell’avvenuto bonifico, fax 02.46.95.193)

È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana.

È il mensile del Pime: una rivista missionaria dinamica e attenta all’attualità internazionale ed ecclesiale.

Italia Caritas + Mondo e Missione

Italia Caritas + Valori

Novità 2006 per i lettori: Italia Caritas a casa vostra, insieme a un altro periodico, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà.Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.

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Tullio Burzachechi, operatore dello sportellodi consulenza legale per gli immigrati della Caritasdiocesana di Trieste, denuncia che non solo gli immigrati, ma anche i datori di lavoro italiani hanno incontrato problemi nella compilazione dei kit di marzo per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Il servizio in cui opera è promosso dal 1991, cioè da quando ha aperto i battenti, dalla Caritas e dalle Acli provinciali, in convenzione con il comune di Trieste.Chi si rivolge al vostro sportello?Il servizio è molto conosciuto in città, la tipologia di chi chiede informazioni è molto varia, dagli studentiuniversitari stranieri ai soggetti che richiedono asilopolitico. In occasione del decreto sui flussi, a marzo, ci hanno chiesto aiuto anche molti anziani interessati a mettere in regola i lavoratori domestici.Quante persone sono venute da voi?Abbiamo offerto 560 consulenze per la compilazione dei kit, non poche ai datori di lavoro. Per sceltasosteniamo in modo particolare i lavoratori domestici,

per quanto riguarda il lavoro subordinato è giustosiano direttamente le aziende ad occuparsi dellepratiche. Abbiamo compilato 100 kit, li abbiamo avuti direttamente dalle poste e sono stati rilasciati alle persone solo una volta inseriti i dati. Valutiamo caso per caso l’opportunità di accompagnare le persone presso i servizi sociali e demografici,generalmente abbiamo un’attenzione particolare per le persone arrivate da poco nel nostro paese.Purtroppo esiste un mercato nero dei kit, in certimomenti sembravano introvabili, esistono i “bagarini”in questo settore...Come sono i vostri rapporti con il comune, la questura e la prefettura?Con la questura e la prefettura abbiamo buonissimerelazioni. Siamo ascoltati, si fidano della nostraesperienza, lavoriamo molto insieme. Con il comuneabbiamo minori occasioni di contatto. Pur rinnovandola convenzione, negli ultimi anni la giunta di centrodestra ha tagliato i fondi destinati al nostro servizio. [Pietro Gava]

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ma normativo che appare inadeguato a gestire un feno-meno complesso quale l’ingresso e l’inserimento di citta-dini stranieri nel mercato del lavoro. Da diverso tempoCaritas Italiana ribadisce i numerosi elementi critici e dirigidità di questa normativa, ma i tavoli di confronto a li-vello istituzionale in questi anni sono stati pochi. E so-prattutto è venuta meno nel tempo la volontà di ascoltaresistematicamente gli organismi del mondo della societàcivile, che a vario titolo lavorano in questo ambito. Di que-sti elementi critici dovrà tenere conto il nuovo governo,uscito dalle urne del 10 aprile.

La gestione dei flussi è ormai, d’altro canto, una que-stione europea. Lo ribadiscono recenti prese di posizione,come quella del ministero degli interni olandese e soprat-tutto quella del ministro dell’interno tedesco, WolfgangSchauble, che ha parlato con preoccupazione dell’elevato

A questo punto si impone una riflessione circa la vali-dità di un modello che ha mostrato tutta la sua debolez-za e la sua ipocrisia, costringendo le parti interessate, mi-nistero dell’interno compreso, a muoversi in una zonagrigia, nella quale la legalità troppo spesso contrasta conla realtà delle cose. Insomma, da un lato c’è una normasull’immigrazione che afferma con chiarezza la neces-sità, per il datore di lavoro che intenda assumere un im-migrato residente all’estero, di affrontare la complessaprocedura dei flussi attraverso la presentazione di unadomanda alle Poste. Dall’altro ci troviamo di fronte a fileformate al 90% da lavoratori già impiegati irregolarmen-te e che presentano al posto del proprio datore di lavorola domanda della loro assunzione.

Rigidità e mancato ascoltoNon è allora scorretto parlare di una sanatoria maschera-ta né, al contempo, si dovrebbe essere troppo severi con ilministro della giustizia del governo Berlusconi, RobertoCastelli, quando se l’è presa provocatoriamente con il col-lega dell’interno, Giuseppe Pisanu, per non aver intercet-tato davanti agli uffici postali coloro che per legge non so-no altro che irregolari o addirittura clandestini, quindisoggetti da espellere.

Purtroppo il torto questa volta non è né di chi chiederigidamente l’applicazione della legge né di chi cerca diinterpretarla in modo estensivo, ma piuttosto di un siste-

SANATORIA MASCHERATA,“QUOTE” DA SUPERAREdi Giancarlo Perego e Oliviero Forti

La corsa all’accaparramento di quote, in occasione del recente decreto sui flussi di in-gresso nel nostro paese, ha proposto ancora una volta la questione dell’efficacia diun sistema che non sembra riuscire a soddisfare né i lavoratori (o aspiranti tali) stra-nieri, né i datori di lavoro italiani. Lo scorso 14 marzo alle Poste italiane sono statepresentate circa mezzo milione di domande, a fronte di una disponibilità di 170 mi-la posti fissata dal governo uscente. Tutto ciò, senza considerare che i kit ritirati per

la compilazione delle domande sono stati oltre un milione. Il fatto che non si siano verificatiparticolari problemi in sede di presentazione delle domande non toglie dall’imbarazzo chi an-cora oggi cerca di capire come mai a presentare la domanda ci fossero soprattutto quegli stessilavoratori che, per la legge, in quel momento dovevano trovarsi nel proprio paese, e non invecei loro potenziali datori di lavoro.

L’ingresso di lavoratori stranieri in Italia non può essere affrontatocon le norme attuali.La chiusuranon premia: tre consigli per il nuovo governo. E un monito:le politiche del lavoro e perl’integrazione non vanno separate

MODELLOIPOCRITAL’attuale sistemadelle quoterichiederebbeai lavoratoristranieridi avanzaredomandadall’estero.Ma loro sonogià in Italia...

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Trieste: «Difficoltà per tutti, esiste un mercato nero dei kit»

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La corsa al posto in Italia quest’anno ha avuto perteatro gli uffici postali. A metà marzo quasi mezzomilione di persone hanno avanzato domanda perottenere (o vedere riconosciuto) un posto di lavoro inItalia. Gli sportelli postali sono stati destinati adaccogliere le buste di assicurata postale, con all’internola documentazione per la richiesta dei lavoratori, aisensi del decreto che ha fissato le quote di ingresso inItalia per il 2006. Il decreto sui flussi pubblicato sullaGazzetta Ufficiale del 7 marzo ha previsto un tettomassimo di 170 mila assunzioni di lavoratoriextracomunitari, ripartite come nella tabella sopra.Poste Italiane ha distribuito un milione e mezzo di kitper la presentazione dei moduli di richiesta. Ledomande avanzate sono state circa 470 mila.

QUOTE INGRESSI 2006

Lavoratori non stagionali (quote riservate ai cittadini di paesisottoscrittori di accordi di cooperazione) 38.000

Lavoratori dall’America Latinadi origine italiana 500

Lavoratori non stagionali 78.500

Lavoratori autonomi 3.000

Lavoratori stagionali 50.000

TOTALE QUOTE DISPONIBILI 170.000

TOTALE DOMANDE AVANZATE 470.000

Formia: «Era forte il timoredi sbagliare le domande…»Suor Cleofe Falletta assiste le persone immigrate al centro d’ascolto San Vincenzo Pallotti a Formia, in provincia di Latina, nella diocesi di Gaeta. Oltre ad ascoltare i bisogni, la struttura della Caritasdiocesana offre un servizio mensa, a pranzo, da lunedì a sabato, la possibilità di lavarsi due volte a settimana,distribuisce vestiti e offre informazioni sui servizi socialie sanitari. Dopo l’uscita del decreto sui flussi, il centrod’ascolto si è attivato per promuovere una rete di volontari in grado di offrire la propria professionalitàper la compilazione dei kit.Ci sono state difficoltà nel trovare volontari?Abbiamo buoni contatti. In particolare, un commercialistaci ha aiutato tantissimo. Compilare i kit non era affattosemplice. Il timore di fare sbagli e compromettere l’esito delle domande era alto, così abbiamo deciso di mettere in contatto le persone immigrate con lo studiodel commercialista.Come avete avuto i kit?Abbiamo potuto contare su 40 kit resi disponibili dalla prefettura di Latina, li ha ritirati il responsabile del centro d’ascolto.Sono venuti da voi anche i datori di lavoro?Sì, abbiamo cercato di dare informazioni utili a tutti,naturalmente anche dopo aver finito i kit. [Pietro Gava]

Crotone: «L’informazione è vitaleper indirizzare gli stranieri»

Francesco Vizza, 36 anni, responsabile dell’area immigratidella Caritas diocesana di Crotone, racconta il servizioofferto dallo sportello di orientamento e assistenza alle persone immigrate, che serve tutte le 84 parrocchiepresenti nel territorio diocesano.Dopo la pubblicazione del decreto sui flussi quantilavoratori avete accolto?Abbiamo aiutato 400 persone, grazie anche alla collaborazionedi un commercialista. In particolare, per quanto riguarda la compilazione dei moduli di colf e badanti siamo riusciti a sostenere 100 richieste direttamente allo sportello.Come accompagnate i percorsi di regolarizzazione?Valutiamo caso per caso. Alcune volte ci rechiamo con loro agli uffici competenti per le pratiche, altre volte è sufficiente una nostra lettera di presentazione.Cerchiamo di curare i rapporti con le istituzioni e facilitiamo le relazioni degli immigrati con esse.Cosa comporta l’organizzazione di un servizio dedicato alla compilazione dei moduli?Un’informazione puntuale è vitale. Ci siamo aggiornati in modo costante sui modelli da riempire, internet è statauna risorsa fondamentale. È stata preziosa la collaborazionecon la Caritas diocesana di Roma, abbiamo ricevuto notizieutilissime e 200 kit. Li abbiamo potuti distribuiregratuitamente. [Pietro Gava]

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sperienza italiana, in questo senso, è emble-matica. L’approvazione della legge Bossi-Fi-ni, nel 2002, attraverso la quale è stato rilettoin maniera restrittiva il testo unico sull’im-migrazione del 1998, non sembra aver risol-to il problema dell’irregolarità, stimata inItalia in oltre 500 mila persone; davanti agliuffici postali si sono in effetti presentate, duemesi fa, circa 470 mila persone che risiede-vano irregolarmente in Italia. Restringere icanali di ingresso regolare, in altre parole,non produce altro effetto che l’aumento del-l’irregolarità. Funziona come un efficacissi-mo sistema di vasi comunicanti: se si riduceil flusso da una parte, aumenta dall’altra.

Recupero periodicoA fronte di una seria e reale difficoltà di ge-stione dei flussi di lavoratori migranti sonoopportuni, dunque, nuovi approcci in ter-mini di politica migratoria. Essi devonosempre tenere in considerazione la per-

centuale fisiologica di irregolarità che connota ogni si-stema, anche se in possesso di un’ottima legge sull’im-migrazione. Gli obiettivi da proporre alla nuova stagionepolitica sono quindi molteplici.

Anzitutto, occorre ridurre sensibilmente le occasionidi irregolarità, cominciando a riformare il mercato del la-voro nazionale attraverso incentivi ai datori di lavoro che

optano per le vie della legalità e colpendo chi, nonostanteciò, si ostina a considerare il lavoratore una semplice mer-ce da sfruttare a basso costo.

In secondo luogo, bisogna superare il sistema dellequote, permettendo, ogni volta che si presenti l’opportu-nità, l’assunzione di lavoratori extracomunitari dietro pre-cise garanzie, tramite domanda da rivolgere agli Sportelliunici per l’immigrazione. In questo modo si potrebbe re-cuperare la posizione di tutti i cittadini che risiedono irre-golarmente, ma che nel frattempo sono venuti in contattocon un datore di lavoro che si è dimostrato disponibile adassumerlo (recupero periodico della irregolarità fisiologi-ca); in sostanza, si legalizzerebbe una prassi ormai conso-lidata. E d’altro canto si potrebbe rispondere efficacemen-te alle esigenze di imprenditori e famiglie nel corso del-l’anno e nelle diverse stagioni; costoro, a fronte di una do-manda di assunzione, vedrebbero soddisfatta la propriarichiesta senza dove sopportare il calvario oggi previsto

Decreto flussi,corsa alle poste: le richieste sono il triplo delle quote

numero di lavoratori immigrati presenti nel suo paese. LaGermania, d’altronde, ha approvato una legge che limitafortemente l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati,rendendo più complicato presentare una domanda di re-golarizzazione e facilitando le espulsioni.

Si tratta di un diffuso atteggiamento di chiusura, cheperò non premierà né nel breve né nel lungo periodo. L’e-

dalla normativa. Inoltre un sistema così flessibile sarebbemolto meno oneroso per la pubblica amministrazione.

Infine, questo impianto andrebbe rafforzato attraver-so la previsione di un permesso di soggiorno per ricercadi lavoro valido da sei mesi a un anno, che consentirebbedi far incontrare regolarmente domanda e offerta di lavo-ro innescando un circuito virtuoso che, pur non debel-lando completamente il fenomeno della irregolarità, loconterrebbe molto.

Per governare l’immigrazione, comunque, la politi-ca del lavoro e della sicurezza non va mai disgiunta daserie politiche di integrazione, che manifestino atten-zione ai ricongiungimenti familiari, alla casa, al dialogoculturale e religioso, alla scuola. Una politica inadegua-ta sul fronte del lavoro, ma anche distante dai problemidi chi lascia il proprio paese per costruirsi una vita mi-gliore, genera solo disagio ed esclusione sociale, con-trapposizioni e conflitti.

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MANODOPERA A PREZZI STRACCIATIStranieri in un’azienda agricola. Gli stagionali ammessi per il 2006 sono 50mila, ma il ricorso al lavoro nero resta elevato

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l compimento di scelte e l’assegnazione di priorità sono tra i compiti principali della poli-tica e ne costituiscono una fondamentale responsabilità. Passata la virulenta campagnaelettorale ed esercitata la scelta fondamentale dei cittadini, ora tocca al parlamento e al go-verno eletti fare la propria parte. Il quadro socio-economico del paese è sconfortante e vaaffrontato con rigore e coerenza. Se, come tutti ritengono necessario, crescita e sviluppodevono essere le determinanti dell’azione del nuovo governo, è fondamentale che le scel-te esplicitino da subito il modello di sviluppo che intendono adottare.

Caritas ritiene, sapendo di non essere la sola, che non possa esserci vero sviluppo senza inclu-sione e coesione sociale, dunque senza giustizia e solidarietà. Qualunque crescita, anche quella delPil, va accompagnata e sostenuta con politiche sociali reali ed efficaci, che attivino la comunità, ri-fiutino l’assistenzialismo, contrastino lapovertà, governino gli squilibri del mer-cato del lavoro e del rapporto tra doman-da e offerta di servizi. Tutto questo non èimpossibile, ma occorre che l’agenda po-litica assuma, coraggiosamente e definiti-vamente, il welfare come fattore di svilup-po e non come costo.

Politiche tout courtIn campagna elettorale abbiamo ascoltato su questo pun-to le affermazioni più disparate. Ora è tempo di fatti. Icampi di azione non mancano, ma alcuni sono essenzialie più urgenti di altri: lotta alla povertà; promozione delmezzogiorno; garanzia dei livelli essenziali dei servizi edelle prestazioni sociali in tutto il territorio nazionale; tu-tela della non autosufficienza; integrazione degli immigra-ti; accesso all’abitazione. Si tratta quasi sempre di aree dibisogno che sollecitano risposte multidimensionali, com-plesse e integrate. E non richiedono soltanto politiche so-ciali, bensì politiche tout court, al tempo stesso economi-che, sociali, sanitarie, previdenziali, fiscali e del lavoro, ca-paci di mobilitare tutti gli attori sociali, non solo quellioperanti nell’ambito della solidarietà. Per ciascuna di que-ste aree esistono interventi possibili, da costruire con ilconcorso responsabile delle parti sociali, magari adottan-do criteri di applicazione graduale ma in una logica di ef-fettività nel lungo periodo, non di mera sperimentazione.

Alcuni di questi interventi non possono più essere ri-

nazionalepolitiche sociali

WELFARE PER LO SVILUPPOAPPUNTI PER RIPARTIRE

LO SVILUPPODEVE INCLUDEREVolontaria di una rondacon una homeless.Tra le scelteprioritarieper parlamentoe governo,figura la lottaalla povertà

di Paolo Pezzana

Inclusione e coesione sociale non possono esseretrascurate dall’agenda politica. Lotta alla povertà,mezzogiorno, livelli essenziali dei servizi, non autosufficienza: ecco le priorità che interpellano il nuovo parlamento e governo

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dall’altro mondo

di Luca Disciullo

LA FATICA DI INTEGRARE,ITALIA A VELOCITÀ VARIABILI

cazione si basa sulla diversa capa-cità di richiamo dell’immigrazioneda parte dei singoli territori e sullediverse potenzialità economiche esociali. Le differenze che caratte-rizzano il paese (specialmente ilMezzogiorno) anche in altri ambitiritornano anche nel Rapporto; siaccredita, così, l’obiettivo di con-durre politiche nazionali e localiatte a favorire un più omogeneo te-nore di vita per tutti.

Dal Veneto alla CampaniaSpesso le distanze riscontrate sonorilevanti: tra la regione a più alto po-tenziale d’integrazione (Veneto con1.543 punti) e l’ultima (Campaniacon 464) la differenza è di circa1.000 punti; tra le province il pun-teggio va dai 1.356 punti di Trevisoai 531 di Napoli. Il Rapporto cerca dispiegare questi divari e incentiva idecisori pubblici a meglio indivi-duare cosa fare nel futuro o per

mantenere buoni standard o per raggiungerli.In generale gli eventi – anche drammatici – di questa

fase storica, l’aumento significativo degli immigrati e lamolteplicità delle nazionalità presenti (portatrici di dif-ferenze etniche, culturali e religiose) impongono che siarrivi a un modello di integrazione né lesivo dei princi-pi che reggono la nostra società, né spregiativo delle dif-ferenze degli immigrati, che possono essere armonizza-te in maniera costruttiva. È il grande compito che ci at-tende e dal quale dipende se la nostra società riuscirà aessere coesa e prospera. Il quarto Rapporto sull’integra-zione è un sussidio conoscitivo che spinge in questa di-rezione, senza ripetere gli errori del passato, valorizzan-do quando di valido è emerso e mantenendo l’aperturaa quanto di positivo si può ancora fare.

L’integrazione degli immigrati nella nostra società è una dina-mica complessa, solo in parte misurabile attraverso le statisti-che. Perché i numeri esprimano il potenziale di integrazione

di cui ogni regione e provincia italiana è capace, bisogna che sianoutilizzati in maniera corretta. Ma il fenomeno è sempre più marcato:lo testimoniano, ad esempio, il numero in costante aumento deglistranieri, le famiglie che si ricompongono, i minori che vanno a scuo-la, l’acquisto delle case. Il 22 marzo è stato presentato il quarto Rap-porto sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, che il Cnel(organismo nazionale di coordina-mento delle politiche di integrazionesociale dei cittadini stranieri) hanuovamente commissionato all’é-quipe del Dossier statistico immi-grazione Caritas - Migrantes. Tre so-no gli indici considerati dal rappor-to (capacità di attrarre e tratteneresul territorio la popolazione stranie-ra; grado di radicamento stabile e diinserimento sociale; livello e qualitàdell’inserimento lavorativo) e ven-tuno gli indicatori che li compongo-no: il confronto tra territori che ne èscaturito non aveva l’intento di assegnare la pagella aregioni e province, ma intendeva acquisire informazio-ni utili dalle situazioni locali, cercando di capire perchéalcuni territori vengano a trovarsi prima o dopo di altri.E puntava, senza far torto ad alcun contesto territorialee tanto meno ai rispettivi amministratori locali, a favo-rire una riflessione attraverso un’analisi comparativa.

L’anno più recente a cui il Rapporto si è riferito è il2003, quando gli immigrati regolari erano circa2.600.000 (oggi sono più di 3 milioni). È innegabile ildifferente potenziale di integrazione tra le diverse areeterritoriali: al primo posto troviamo il nord, in partico-lare il nord-est; segue il centro, quindi il meridione. Inciascuna area, ovviamente, alcune realtà territorialesono meglio caratterizzate dalle altre. Questa stratifi-

nazionale

L’integrazione degli immigrati

è una dinamica semprepiù marcata, anche

se difficile da valutarecon oggettività.

Un rapporto analizza la capacità

di integrazione di province e regioni:

emergono forti disparità

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La questione della casaUltima, ma non ultima, è la questione dell’abitazione, be-ne ormai irraggiungibile per moltissime famiglie, fonte diinsicurezza per le giovani coppie, ostacolo alla mobilitànel paese, oggetto di speculazione finanziaria e immobi-lizzazione improduttiva di risorse. In questo campo, comenegli altri, non esistono ricette semplici, ma oggi più chemai non può essere abbandonata la logica dell’interventopubblico nel mercato delle locazioni, in termini di soste-gno agli affitti, di garanzia ai proprietari che accettino dilocare a canone concordato i loro immobili, di manteni-mento, riqualificazione e potenziamento del patrimoniodi edilizia residenziale pubblica a favore delle famigliemeno abbienti.

Affinché tutto questo non prolunghi passate e falli-mentari logiche assistenzialiste è necessario coinvolgerecomunità ed enti locali, in una logica di welfare pluraledelle responsabilità, in cui l’ente pubblico lasci dove pos-sibile le funzioni gestionali a soggetti privati accreditati,preferibilmente non profit, e assuma più fortemente ilruolo di regia e controllo, promuovendo la qualità degliinterventi, l’efficienza della spesa pubblica e la responsa-bilità sociale dei territori e delle forze sociali. Alla base stal’esigenza di una rinnovata “tensione morale” verso lequestioni sociali, da sviluppare nel paese a partire dalleforze politiche, ma senza pretendere da queste ciò che lealtre componenti della società non esigono da loro stesse.È forse questa la principale sfida che, insieme al nuovo go-verno, ci lancia il futuro prossimo.

mandati. Nel campo della lotta alla povertà è indifferibilel’adozione di una misura universale di sostegno al reddito,riprendendo e migliorando la sperimentazione del reddi-to minimo di inserimento, mai adeguatamente valutata.Quanto al mezzogiorno, occorre investire subito nei servi-zi pubblici essenziali, lasciando perdere sprechi di risorselegati a infrastrutture di dubbia utilità e definendo piutto-sto un’accurata programmazione delle risorse aggiuntiveche i fondi strutturali europei per la politica regionale an-cora destineranno al sud Italia nel periodo 2007-2013. Perquanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni e deiservizi sociali, non è più tollerabile che l’articolo 117 dellaCostituzione resti lettera morta: va in primo luogo rifinan-ziato e potenziato il fondo nazionale per le politiche socia-li, dimezzato dal precedente governo, in modo che regionied enti locali siano stimolati a fare la propria parte; va inol-tre abbandonata la politica inefficace dei bonus diretti indenaro ai cittadini, che lasciano sole le famiglie a procu-rarsi sul mercato servizi spesso inesistenti o inaccessibili;va infine approntato un rigoroso piano di definizione e at-tivazione progressiva dei livelli essenziali delle prestazioniin tutto il territorio nazionale, a partire dal diritto a un red-dito minimo, dal segretariato sociale, dal diritto a un’acco-glienza di prima necessità in caso di perdita della dimora.Anche la tutela della non autosufficienza di anziani e por-tatori di handicap, emergenza per molte famiglie, va as-sunta come priorità, istituendo un fondo per la non auto-sufficienza in collaborazione con le regioni e riconoscen-do il lavoro domestico di cura prestato dai famigliari.

Alcune cifre, indizi di una situazione socio-economica che il nuovo parlamento e il nuovo governo dovrannoincaricarsi di correggere.■ Il tasso di povertà relativa è rimasto sostanzialmentestabile (dati Istat), ma negli ultimi tre anni (2002-2004) le famiglie in condizioni di povertà sono cresciute di 220mila unità; gli individui di circa 450 mila unità. Sono il 20%(una su cinque) le famiglie sicuramente, appena o quasipovere. Nessun dato è invece disponibile circa le povertàestreme, ma l’esperienza di chi lavora in questo settoredimostra che sono in forte aumento.■ Occupazione: pur essendo generalmente cresciutanell’ultimo quinquennio, è stata caratterizzata da un’ampiadiffusione di forme di precariato dovute alla flessibilità;

Povera una famiglia su cinque, Fondo politiche sociali dimezzato

inoltre nel 2005 è tornata a scendere dopo molti anni(meno 102 mila posti di lavoro rispetto al 2004).■ Il Fondo nazionale per le politiche sociali è statotagliato di oltre il 50% negli ultimi due anni: da oltre un miliardo a 518 milioni di euro.■ I finanziamenti statali per la sanità sono diminuiti di 5 miliardi di euro: le spese sanitarie a carico delle famiglie sono cresciute di 1,35 miliardi e il costodei medicinali è salito del 29%.■ Immigrazione: secondo la Corte dei Conti, nel 2005sono state impiegati 115 milioni di euro nell’attività di contrasto all’immigrazione clandestina e solo 29 milioni in iniziative di sostegno e integrazione (nel 2001 il rapporto era uno a uno).

nazionalepolitiche sociali

vescovi italiani, a conclusione dell’ultimo Consiglio permanente della Cei (23-26 gennaio2006), commentando la modifica dell’articolo 52 del codice penale, hanno auspicato “chela normativa sull’uso delle armi per la legittima difesa non oscuri o relativizzi il valore del-la vita umana e non indebolisca l’impegno delle istituzioni per la difesa e la tutela dei cit-tadini”. Su questa scia i circa trecento partecipanti all’incontro nazionale dei giovani inservizio civile (provenienti da più di 40 Caritas diocesane) hanno approvato a Trani il 12marzo, giorno dedicato alla memoria di san Massimiliano, martire per obiezione di co-

scienza al servizio militare, una mozione in cui si chiede al parlamento italiano di rivedere la leggesulla legittima difesa e, più in generale, di avviare una politica di drastica riduzione delle spese mi-litari, potenziare le forme di difesa civile e nonviolenta, lavorare per il rafforzamento di organi so-vranazionali che sottraggano agli stati il potere dell’uso della forza.

coscienza” (come Franz Jaegerstaetter e Josef Mayr-Nus-ser, che rifiutarono a costo della vita di imbracciare le ar-mi), dimostra che il non uccidere, la nonviolenza e l’amo-re disarmato per il nemico sono “l’arma di gran lunga piùpotente del mondo” (Martin Luther King).

Con l’impegno quotidiano nel servizio civile, accantoai poveri, sul territorio e in tanti paesi del mondo, in pro-getti di solidarietà, giustizia e salvaguardia del creato, 40mila giovani ogni anno difendono senza armi la nostra pa-tria ed educano alla pace, come “utopia”, cioè come desi-derio e interesse forte, luogo da creare ogni volta, ricono-scendo e abitando i piccoli e grandi conflitti di ogni giorno.Davvero si può così ribadire con Benedetto XVI l’interro-gativo contenuto nel messaggio per la Giornata della pace2006: “Quale avvenire di pace sarà mai possibile, se si con-tinua a investire nella produzione di armi e nella ricercaapplicata a svilupparne di nuove?”. Una domanda che nonpuò non risuonare anche nelle nostre case e famiglie.

Le recenti modifiche alla legge sulla “legittima difesa”prevedono che i singoli cittadini, legalmente in possessodi un’arma, la possano utilizzare di fronte a un pericolo diaggressione che metta a rischio l’incolumità propria o al-trui oppure i beni propri o altrui. La legge, oltre a metteresullo stesso piano il valore della vita dell’uomo e quello deisuoi beni, criterio che contrasta palesemente con la mo-rale cristiana e i numerosi appelli del papa sul valore in-violabile e preminente della vita umana, restituisce al cit-tadino il potere dell’uso delle armi: potere che il dirittodelle società moderne ha sottratto ai singoli per affidarloallo stato, che lo esercita nell’interesse delle persone, mi-surando anche la proporzione tra minaccia e reazione.Questa legge, pertanto, non solo ripropone le difficoltàdella politica e della cultura a prendere in considerazioneuna seria opzione nonviolenta e non armata, ma addirit-tura costituisce un passo indietro riguardo al diritto ela-borato nei secoli sull’uso delle armi.

Una domanda nelle nostre casePurtroppo occorre constatare che, insieme alle armi, laviolenza continua a costituire l’ombra inquietante di Cai-no sul cammino della storia dell’uomo e lo riporta verso lapreistoria, invece di proiettarlo verso il futuro. Nel tempopasquale i giovani in servizio civile hanno dunque volutoinvitare tutti a un impegno quotidiano in nome della non-violenza, facendo memoria della figura di san Massimilia-no. Costui, insieme ad altri straordinari “testimoni della

nazionalesicurezza e pace

LEGITTIMA DIFESA,UNA SCELTA PREISTORICAdi Giancarlo Perego

Sparare all’aggressore: la modificadell’articolo 52 del codice penale viola il principio del primato della vita umana e costituisce un passo indietro per il nostro diritto. Appello al parlamentodei giovani in servizio civile

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esclusione socialepolitiche socialipolitiche socialidatabase

atteggiamenti strumentali da partedei familiari: il 12,2% degli anziani af-ferma che “i parenti si rivolgono a mesolo quando hanno bisogno”. Inveceil 19,1% si definisce “fragile, spesso in-deciso sulle cose da fare”.

Sì all’impegno, no al PartitoLa condizione anziana non significadisinteresse verso la realtà socio-poli-tica. Il rapporto Censis si soffermaquest’anno sulle relazioni degli an-ziani con la politica e le istituzioni.Oltre l’86% degli intervistati ha di-chiarato che alle elezioni politiche sisarebbe recato a votare. Il 30,6% deglianziani dichiara inoltre di essere “in-teressato alla politica, anche se noncon continuità”, il 27,6%“la segue, an-che se di rado”, oltre il 17% si dichiara“molto coinvolto, e di seguirla con at-tenzione”, mentre la quota di estraneialla politica è il 24,7%.

La grande maggioranza degli an-ziani, il 63,2%, ha però la percezione

che la politica guardi alla terza età come a un peso, per isuoi effetti sui costi del welfare e per l’incidenza sulla spe-sa pubblica; la metà del campione, il 50,7%, ritiene che so-lo impegnandosi direttamente in politica gli oltre quattor-dici milioni di voti “anziani” potrebbero finalmente con-tare; ma l’11,6% non vorrebbe affatto un Partito degli an-ziani, e decisamente contrari a questa ipotesi è il 26,9%.

Infine, la maggioranza degli anziani (62%) è convin-ta che la propria vita negli ultimi cinque anni sia com-plessivamente peggiorata. Si raggiungono punte di in-soddisfazione del 75,1% nel centro Italia, del 72,3% fra ipossessori di diploma media inferiore, di oltre il 72% frale persone con bassi redditi, di oltre il 66% nelle famigliecon più di due componenti e del 77,4% nelle famigliemonogenitoriali.

Gli anziani italiani si sentono “utili”, ma ritengono peggiorati al-

cuni aspetti della loro vita quotidiana. È, in sintesi, ciò che

emerge dal quinto Rapporto Censis - Salute La Repubblica sul-

le condizioni di vita della popolazione anziana in Italia, condotto su

un campione rappresentativo di mille anziani over60. Anzitutto, il

rapporto evidenzia che gli anziani italiani sono sostanzialmente in

buona salute: il 94,9% è autosufficiente (82,4% totalmente, 12,5% con

qualche aiuto per il disbrigo di alcune attività quotidiane).

ANZIANI UTILI E FRAGILI,MOLTI AMICI MA LA VITA PEGGIORAdi Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana

Tra i sessantenni la quota di autosuf-ficienza raggiunge il 98%, mentre tragli ottantenni scende all’85%.

Gli anziani italiani sembrano ave-re una vita relazionale abbastanza in-tensa: il 42% dichiara di avere moltiamici (più di sei) e il 33,3% di averneda quattro a sei. Gli anziani non vivo-no isolati dalle altre generazioni: il57% dice di avere molti (22,1%) o ab-bastanza (34,7%) amici di altre gene-razioni; il 53,3% dichiara di non averedifficoltà a “dialogare con le altre ge-nerazioni”.

Per l’anziano risulta importante la fiducia delle perso-ne: in Italia, il 71% è convinto che le persone che lo circon-dano confidino in lui/lei; il 78,1% si definisce “sicuramen-te utile agli altri”; il 73,2% è “appagato da quello che ha giàfatto nella vita”; il 68,1% si ritiene “libero di fare quello chedesidera”; il 57,2% si considera “aperto a nuovi incontri,conoscenze, amicizie”. Gli anziani non sono privi di pro-getti e speranze per il futuro: il 37,4% si dichiara “impe-gnato e proiettato verso nuovi obiettivi e nuovi progetti”.

Gli aspetti più negativi della condizione anziana inte-ressano quote meno elevate. Non è però da sottovalutareche il 32,6% si dichiari “stanco e con tanta voglia di riposa-re”; il 28,4% “troppo preso dai propri problemi”; il 26,1%“deluso perché si aspettava più riconoscenza dai familiarie dalla società per quello che ha fatto”. Emergono inoltre

Rapporto Censis - Repubblica:gli “over60” italiani

godono di buona salutee hanno una vita

relazionale intensa, ma ritengono

che negli ultimi cinqueanni le cose siano

peggiorate. Discretointeresse per la politica

nazionale

I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6 1716 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6

rent’anni fa la terra scosse e ferì a morte una regione geo-graficamente periferica, ma forte e fiera. L’Italia non stettea guardare: reagì con quella che è stata giudicata la primamobilitazione su scala nazionale all’indomani di una cata-strofe naturale. Il terremoto che sconvolse il Friuli il 6 mag-gio 1976 (la scossa toccò il grado 6,4 della scala Richter,“doppiata” 15 settembre da un’altra di magnitudo 5) anco-ra oggi è sinonimo, nella memoria collettiva, di morte e di-struzione. Quasi mille persone uccise dai crolli, quasi cen-tomila senza tetto, in macerie case, chiese e fabbriche, ser-vizi sociali senza la possibilità di agire, opere d’arte di valo-re inestimabile gravemente danneggiate.

Il mondo cascò addosso ai friulani alle 21.06 del 6 mag-gio, la paura si mescolò al buio. Dodici ore dopo il governomonocolore Dc, guidato da Aldo Moro, nominò commis-sario straordinario per i soccorsi in Friuli l’onorevole Giu-

nazionaleemergenze

Trent’anni fa un fortissimoterremoto devastò una regione periferica ma fiera.Alla mobilitazionenazionale che ne seguìpartecipò anche la “giovane” Caritas.Un rapporto ripercorre 35 anni di emergenze

Tdi Pietro Gavafoto archivio La vita cattolica di Udine

FRIULI, QUANDO L’ITALIASI SCOPRÌ CAPACE D’AIUTO

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seppe Zamberletti, sottosegretario al ministero degli inter-ni. Era un segnale di reazione da parte delle istituzioni. Mail paese manifestò anche una volontà di reazione sponta-nea: società civile, volontariato e organismi ecclesiali di-mostrarono, sin dalle prime ore dopo il sisma, e poi permesi e anni, che la parola solidarietà non aveva più sensosolo all’ombra dei campanili e in chiave localistica.

Così il 7 maggio il cardinale Antonio Poma, presidentedella Conferenza episcopale italiana, inviò un messaggio amonsignor Alfredo Battisti, arcivescovo di Udine, in cui as-sicurava le preghiere e l’impegno dei vescovi italiani “pervenire incontro alle necessità più urgenti” della popolazio-ne. Lo stesso giorno alla presenza di monsignor GiuseppePasini, segretario generale di Caritas Italiana (organismonato da soli cinque anni), le Caritas diocesane del Trivene-to si radunarono a Venezia, in un incontro presieduto dalpatriarca Albino Luciani. La catastrofe indirizzava l’atten-zione del paese su una regione povera, terra di emigrazio-ne, gelosa delle proprie tradizioni e delle proprie lingue. Ildolore composto di quella terra non lasciò spazio, nem-meno all’inizio, all’abbattimento e alla rassegnazione.

Soldi e condivisionePer la chiesa e per Caritas Italiana il terremoto del Friuli fupalestra di un impegno corale, che vide coinvolte moltis-sime diocesi, comunità e persone, e che ha fatto da mo-

Nelle difficoltà si vede l’amore autentico e gratui-to. Dopo il 6 maggio 1976 il Friuli è stato “invaso”da volontari di tutte le età e condizioni sociali. Igiovani avevano un ruolo dominante. Agesci eComunione e Liberazione si resero presenti con

migliaia di ragazze e ragazzi. Ma anche altre associazioni emovimenti ecclesiali diedero un contributo non trascura-bile, insieme ai gruppi spontanei nati nelle parrocchie ita-liane. Aiuti pervennero persino dall’estero. Anche moltimilitari furono impegnati nei soccorsi. «Come sarebbe bel-lo – scrisse in quel periodo Italia Caritas – se un giorno la

leva fosse semplicemente una chiamata, pur disciplinata,a un anno di “servizio sociale” a favore della comunità permigliaia di giovani che si “annoiano” nelle caserme».

I gemellaggi tra le diocesi italiane e le parrocchie terre-motate si rivelarono un bene spirituale per le comunitàcristiane e un metodo capace di offrire risposte efficaci aibisogni. Le adesioni delle diocesi arrivano a Caritas Italia-na che, insieme alle Caritas di Udine e Pordenone, sce-glieva gli abbinamenti con estrema attenzione, per evita-re iniquità nella distribuzione delle risorse. «Le necessitàdi quelle popolazioni, dopo il primo esplodere generosis-

simo di solidarietà, si faranno acute quando i mezzi di co-municazione sociale cesseranno di parlarne – scrissemonsignor Motolese ai vescovi –. Esse si renderanno con-to completamente di ciò che è successo e si troverannosole ad affrontare l'inverno: si rende perciò necessario unsostegno morale e materiale, che duri durante tutto il pe-riodo della ricostruzione».

Ma la vicinanza di migliaia di volontari non venne me-no, anche a mesi di distanza. Dal 19 al 21 aprile 1977 sisvolse a Udine una conferenza programmatica con tuttele Caritas diocesane gemellate e le parrocchie terremota-

te. Furono concordati diversi tipi di intervento: informa-zione sulla ricostruzione, modalità di comunicazione allapopolazione friulana, animazione delle baraccopoli, si-stemazione degli anziani soli, collaborazione con i comi-tati comunali per la gestione dei Centri della comunità,coordinamento dei volontari di ispirazione cristiana e so-stegno a iniziative locali per la tutela dei beni culturali. Ilruolo dei volontari fu centrale nella ricostruzione e nelperseguimento degli obiettivi dei gemellaggi. Furono 16mila i volontari impegnati con continuità, provenientidalle fila di Azione Cattolica, Agesci, Comunione e Libera-

dello per gli interventi in occasione di successive emer-genze. Già l’8 maggio Caritas Italiana offrì una forte som-ma per gli aiuti; grazie alla Caritas diocesana di Genovaarrivarono in Friuli 30 tendoni. La prima domenica dopoil disastro la Cei indisse una colletta nazionale e invitòtutte le comunità a riunirsi in preghiera. In Friuli le chie-se locali affiancarono l’operato dello stato; a Udine fu co-stituito un comitato interdiocesano. Le autorità civili di-visero il territorio colpito in otto zone operative (Maiano,Gemona, San Daniele, Osoppo, Tarcento, Resiutta e Tol-mezzo in diocesi di Udine, Spilimbergo in diocesi di Por-denone) e i parroci nominano un rappresentante per cia-scuna di esse. Nelle parrocchie nacquero gruppi di vo-lontari per supportare i comitati comunali per la rico-struzione; con il tempo, molti di essi si sono trasformatiin Caritas parrocchiali.

Intanto in Friuli arrivavano volontari da tutto il paese. ECaritas Italiana, oltre ai soldi, cominciò a offrire idee e per-corsi di condivisione, concretizzatisi in quelli che sono sta-ti chiamati “Centri della comunità”, solide strutture poliva-lenti dove i bambini si ritrovano per studiare e gli adulti perricevere assistenza, discutere, partecipare alla messa.

In Friuli si collaudò anche un modello (empirico, nonprogrammato) di collaborazione fra istituzione e forze so-ciali e del volontariato per gestire l’emergenza. All’inizio lamacchina dei soccorsi operò per mantenere l’ordine pub-

blico, poi l’adozione di criteri di autonomia, responsabiliz-zazione e suddivisione del lavoro alimentò un clima colla-borativo tra stato, amministrazioni locali, comitati e singo-li cittadini. La scossa del 15 settembre mise di nuovo a du-ra prova la regione. «Il terremoto del 6 maggio ha demolitoil Friuli; quello di settembre ha demolito i friulani – affermòmonsignor Battisti –. Il primo ha distrutto le case ma ha la-sciato la speranza; il secondo sembra aver intaccato anchela speranza». Il commissario Zamberletti ordinò l’evacua-zione totale della zona disastrata: la tensione tra popola-zione e autorità salì alle stelle, più di 40mila persone do-vettero adeguarsi a un esodo verso le zone costiere della re-gione. Un uguale numero di cittadini decise di non partireper vigilare sui beni rimasti e per continuare il lavoro.

Ringraziarsi a vicendaFu una dura lotta, anche contro i rigori dell’inverno dellaCarnia, e per ottenere in tempi accettabili roulotte e pre-fabbricati al posto delle tende. A quel punto monsignor

Guglielmo Motolese, vicepresidente della Cei e neopresi-dente di Caritas Italiana, con una lettera a tutti i vescovid’Italia lanciò l’iniziativa del gemellaggio: risposero 81diocesi, che affiancarono 73 parrocchie terremotate.

I gemellaggi furono incoraggiati come segno delnuovo volto della chiesa maturato dal Concilio. In al-cune realtà furono la spinta per far nascere le Caritasdiocesane. E costituirono un modello di condivisionee solidarietà, replicato in occasione di numerose altrecatastrofi nei tre decenni successivi. Il rapporto (oltrecento pagine) che dà conto dell’opera di Caritas Ita-liana dalla fondazione, 35 anni fa, a oggi e che ha uncapitolo introduttivo legato alle azioni caritative dellachiesa italiana condotte nel periodo dal dopoguerra alterremoto del Friuli, sarà presentato a Gemona ilprossimo 5 maggio, in occasione della giornata pro-mossa dalla chiesa friulana per ricordare lo strazio e laprova di umanità che scaturì da quei giorni. Sono in-vitati i rappresentanti di tutte le diocesi allora gemel-

late: sarà un modo nonsolo per ricordare, maanche per ringraziarsi avicenda. Gli uni per esse-re stati aiutati, gli altriper essere stati sollecita-ti ad aiutare.

nazionaleemergenze

I giovani e le suore, mille voltidi una solidarietà generosaIn Friuli ebbe un ruolo cruciale l’impegno degli aderenti a organismiecclesiali, ma anche di singoli cittadini. Caritas coordinò 16 mila volontari

DOLORECOMPOSTOFriuli, primavera1976: scene di vita quotidianain una terra feritama non vinta

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nazionaleemergenze

zione, Mani Tese, Comunità di Capodarco, Volontariatovincenziano, Giovani cooperatori salesiani e anche da al-cuni istituti missionari (Comboniani, Consolata e Saveria-ni). Nei campi di lavoro per la riparazione delle case furo-no accettate solo persone che avevano esperienza di lavo-ro in campo edilizio; i volontari vennero inseriti nei can-tieri dall'Associazione alpini d’Italia.

Il periodo della diasporaIn Friuli la presenza delle suore ebbe un ruolo straordina-rio. Molte di loro si misero al servizio della popolazione giàdal 7 maggio 1976. Il 21 agosto dello stesso anno a Gemo-na fu elaborato un piano di collaborazione fra la Federa-zione italiana religiose assistenti sociali nazionale, le Su-

periori generali del Triveneto, Caritas Italiana e le diocesidi Udine e Pordenone. Si stabilì che le religiose sarebberorimaste nelle zone terremotate per un periodo di uno odue anni, operando nei Centri della comunità. Al piano,concordato con i parroci delle località colpite dal sisma, eall’appello di monsignor Alfredo Battisti risposero con en-tusiasmo oltre 90 suore provenienti da tutta Italia e appar-tenenti a 34 congregazioni: lavoravano in gruppi inter-congregazionali, inserite nella pastorale della chiesa loca-le e attente alle esigenze dei più soli e deboli. La scossa del15 settembre 1976 diede origine a un’ulteriore emergenza:la popolazione fu costretta a rifugiarsi a Lignano, Grado,Jesolo. Molte religiose seguirono la popolazione nell’eso-do; durante il periodo della diaspora si adoperano anche

per mantenere stretti i legami tra gli sfollati e chi avevapreferito rimanere accanto alle proprie cose.

Nell’introdurre i lavori di gruppo durante il quartoconvegno nazionale delle Caritas diocesane, in program-ma a Pescara il 14 settembre 1977, monsignor GiovanniNervo, direttore di Caritas Italiana, ebbe ad affermare: «Lacomunione ecclesiale che si vive in Friuli, questo piccoloma vivo grano di senapa, non potrebbe diventare un gran-de albero se fosse piantato anche in altre situazioni di dif-ficoltà presenti nella chiesa italiana e diventasse un costu-me di vita, ad esempio nel rapporto fra diocesi del nord ediocesi del sud e all’interno di una stessa diocesi fra par-rocchie più ricche e parrocchie più povere?». Un interro-gativo che risuona ancora attuale.

DANNI E AIUTI,TERREMOTO IN CIFRE

Comuni che hanno riportato seri danni (zona più colpita a nord di Udine) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77Morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .965Persone senza tetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .93.400 Persone costrette a ricorrere a ripari provvisori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .oltre 100 milaPersone in diaspora nelle zone rivierasche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .circa 40 milaVani distrutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .80 milaVani lesionati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100 milaVolontari presenti nell’arco di due anni, provenienti da parrocchie, associazioni e organismi ecclesiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 milaCentri della comunità realizzati tramite Caritas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67Dicesi gemellate che hanno mantenuto un legame attivo per almeno cinque anni con altrettante parrocchie terremotate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81Suore giunte da altre diocesi (di cui rimaste per un lungo periodo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .750 (90)

Don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo,in provincia di Udine, e arcidiacono dellaCarnia, un territorio ricco di storia che è unterzo della diocesi di Udine, è stato uno deiprotagonisti della ricostruzione del Friuli do-

po i terremoti del 1976.

Dove si trovava al momento delle scosse?Ero cappellano ad Artenia, comune che ebbe gravissimidanni, a tre chilometri da Gemona, epicentro dei sisma.La sera del 6 maggio ero in piazza con un gruppo di gio-vani e il parroco don Gelindo Lavaroni, avevamo appenafinito di dire il rosario. Mentre il 15 settembre fu una gior-nata terribile, perché il terremoto arrivò mentre pensava-mo a come superare l’inverno.

Quali sono stati i momenti più duri della ricostru-zione?

Senza dubbio il periodo successivo alla seconda scossa.Avevamo le forze per rialzarci dopo il primo terremoto.Avevamo lavorato tutta l’estate, encomiabile è stato il la-voro svolto dagli alpini per rimettere in piedi i servizi checi sarebbero stati utili durante l’inverno. Le persone non si

fermavano neanche il sabato e la domenica, pur di rista-bilire condizioni di vita accettabili. Ma arrivò il secondoterremoto e spazzò via tutto ciò che avevamo realizzato.

Vi tagliò le gambe...Tantissimi cittadini furono costretti a riparare nella zonacostiera della regione, molti decisero di rimanere ancheper non lasciare il posto di lavoro e passarono l’invernoin tende, roulotte e stamberghe. Io stesso organizzai l’e-sodo della comunità di Artenia a Lignano Sabbiadoro, inaccordo con il sindaco; ci trasferimmo con gli autobusma ottenemmo che ci fossero garantite vie di comunica-zione con le zone evacuate dove si trovavano le fabbri-che. Ogni mattina, molto presto, partivano da Lignanopullman pieni di operai.

Come ricorda le relazioni tra istituzioni e chiesa?Molto tese. Lo stato cercava di far apparire che fosse tut-to sotto controllo, in particolare sui mass media; le ele-zioni politiche erano alle porte, si votò nel giugno 1976.Ma chi era nel territorio si rendeva conto benissimo deiproblemi. Venivano annunciati aiuti che non arrivavano,se le tende bastarono per tutti fu anche grazie a Caritas

Italiana. I dispacci dei comitati cittadini inviati alla sedeAnsa di Trieste non venivano resi noti. Grazie ai rapporticon testate austriache e tedesche alcuni riuscivano a co-municare al mondo notizie dal cuore delle zone colpite.Poi le notizie “rimbalzavano” sui quotidiani italiani. I vo-lontari cattolici venivano scambiati o venivano voluta-mente scambiati dalle autorità per estremisti di destra odi sinistra. I primi giorni di settembre venne in Friuli Giu-lio Andreotti, allora presidente del consiglio; desideravaparlare a porte chiuse nella caserma Goi a Gemona, inprovincia di Udine, con monsignor Battisti. L’arcivescovochiedeva di essere ricevuto con tutti cittadini presenti, vi-de rifiutare la sua proposta e decise di rimanere fuori daicancelli con la popolazione.

Qual è stato il ruolo dei volontari?È stata una stagione magnifica. Da tanto dolore vidi sor-gere in modo inaspettato tanta solidarietà e fratellanza. Inparticolare l’entusiasmo dei giovani: la dedizione e i segniche hanno lasciato nella nostra terra sono stati indimenti-cabili. Nell’estate 1976 si riversarono in Friuli migliaia emigliaia di ragazze e ragazzi; seppero vivere accanto a noie ci dettero un sostegno fondamentale nell’assistere, se-gnalare e comunicare i nostri disagi.

Come valuta l’esperienza dei gemellaggi tra diocesiitaliane e parrocchie friulane terremotate?

Ci furono gemellaggi splendidi. Amo raccontare l’espe-rienza ancora vivissima del rapporto tra la comunità diSammardenchia di Tarcento e la diocesi di Città di Ca-stello. Sono nate relazioni stupende, matrimoni e ancheuna vocazione al sacerdozio. Ancora benedico chi ebbel’intuizione di far sorgere i Centri della comunità, inquei luoghi si recuperava il senso della dignità umana edella speranza. E poi, quando ci fu il terremoto in Irpi-nia, molte persone di Città di Castello e di Sammarden-chia di Tarcento andarono insieme ad aiutare la popola-zione campana…

«La seconda scossa ci piegòe lo stato nascondeva i problemi»Il palpitante ricordo di don Angelo Zanello, oggi parroco di Tolmezzo.«Dopoil sisma di settembre il momento più duro.Ma i gemellaggi furono benedetti»

SENZA TETTODI MONTAGNABaraccatidopo il terremoto del maggio‘76,ai piedidei montidi Carnia

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contrappunto

I limiti della sovranitàIl referendum sarà un’occasioneperduta se non si trasformerà in unmomento di affermazione di unapadronanza popolare sulla Costitu-zione. Meglio, una riappropriazionedi contenuti, principi, valori e rego-le della carta fondamentale. Princi-pi, valori e regole non sono entitàseparabili. Non può ulteriormentedurare l’atteggiamento con cui si èartificialmente disgiunta la primadalla seconda parte della Costitu-zione (il catalogo delle intenzionidella repubblica dal… regolamentodel condominio). E bisogna supera-re ritardi e omissioni gravissimi sulpiano culturale, prima ancora chepolitico. La Costituzione è stata in-fatti più riverita che studiata, piùdeclamata che intesa come una gui-da unitaria del cammino della re-pubblica.

Ma il referendum non interpel-la i cittadini sul punto se siano fa-vorevoli o contrari al “senato delle

regioni” o al “superpremier” o al conferimento esclu-sivo alle regioni di sanità, scuola e polizia (locale?); inrealtà chiede loro di valutare se quelle norme non in-tacchino la pienezza della cittadinanza o non aggravi-no le disuguaglianze territoriali con la rottura dell’u-nità sociale del paese.

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercitanelle forme e nei limiti della Costituzione”, si legge al-l’articolo 1. Ecco: il referendum ci chiede di valutare sele “forme” e i “limiti” ridefiniti dal legislatore siano talida rendere effettivo l’esercizio della sovranità popolare,o se invece non ne riducano raggio e significato. Il “si” oil “no” riguardano, insomma, il cuore – e non solo lemembra – della nostra repubblica democratica.

Il tema della riforma della Costituzione, che aveva infiammato glianimi nella passata legislatura, è stato tenuto sostanzialmente fuo-ri dall’agenda degli argomenti della campagna elettorale in vista del

9 aprile. Né i fautori della riforma (devolution e dintorni) si sono sbrac-ciati a sostenerla, né gli avversari si sono scalmanati a contrastala. Ilmancato dibattito ha però sottratto agli elettori una delle materie fon-damentali del bilancio del governo di centrodestra; anzi, a guardare be-ne la più importante e impegnativa tra quelle trattate (o maltrattate, se-condo i punti di vista) nel quinquennio. Sicuramente una riforma più“strutturale” delle tante leggi e leggine più o meno personalizzate di cui è costellato il consuntivo della exmaggioranza; soprattutto più in-fluente sul futuro del paese.

È vero che il centrodestra non hamostrato entusiasmo nel giudizio sulproprio operato a proposito delle re-gole della vita pubblica, ma proprioper questo su chi si era opposto allariforma incombeva l’onere di richia-mare l’attenzione dei cittadini. Cer-tamente nella campagna referenda-ria ci sarà modo di svolgere i capitolidella riforma in modo esplicito econcentrato: dalla portata di un de-centramento “esclusivo” di competenze, al bilanciamen-to dei poteri tra capo dello stato, parlamento e governo,alle prerogative di un “premier” tendente (si è valutato)all’onnipotenza; dalla trafila delle leggi tra due camerecon competenze non si sa se più differenziate o più con-fuse, alla sequenza indefinita delle norme transitorie.

Ma ne consegue un rischio. E cioè che il dibattito re-ferendario diventi una confronto tra “esperti”, per non di-re tra “iniziati”, consolidando così l’abitudine di conside-rare la Costituzione una materia riservata ai costituziona-listi. Mentre al contrario si tratta di un bene appartenen-te senza mediazioni al popolo sovrano, il quale non a ca-so viene chiamato a confermare o respingere ciò che ilparlamento ha confezionato.

COSTITUZIONE RIFORMATA,NON È FACCENDA PER INIZIATIdi Domenico Rosati

La riforma delle Costituzione è rimasta in ombra

nel confronto elettoraleprima del 9 aprile.

È tempo di rimediare:il referendum di giugno

reclama dai cittadiniuna assunzione

di responsabilità. Senzadeleghe agli esperti

nazionale

panoramacaritas

CARITAS ITALIANA

Rapporto annuale:attività e progettianche in digitaleUna foto grandangolare suun anno di attività, iniziativee progetti. Ma soprattutto ilresoconto della prosecuzionedi un cammino. Vienepubblicato a maggio il “Rapporto annuale 2005”,strumento che registra il percorso di Caritas Italiananelle sue attività istituzionalie di partecipazione(Convegno nazionale delleCaritas diocesane, Gruppinazionali, incontri con le delegazioni regionaliCaritas, luoghi e tavoli dipartecipazione), nelle attivitàdi promozione, formazione,accompagnamento,animazione, comunicazionee documentazione. E che racconta con dovizia di particolari tutte le attività e i progetti in Italia e nelmondo. Quest’anno è anchein versione digitale, con allegato a ogni copiacartacea un cd e schede con dati, grafici, percentuali.INFO: tel. 06.54.19.21 -www.caritasitaliana.it

LOTTA ALLE MAFIE

Solidarietàalle cooperativedi Locri-GeraceLa scomunica «contro coloroche fanno abortire la vita deinostri giovani, uccidendo esparando, e delle nostreterre, avvelenando i nostricampi». Il segnale forte,lanciato nel tempo di

Quaresima dal vescovo di Locri-Gerace, monsignorGiancarlo Bregantini, è venuto dopo i ripetuti attiintimidatori (l’avvelenamentodelle serre, nella foto primadell’attentato, l’incendio di undeposito) che la ‘ndranghetaha perpetrato ai danni delle

cooperative Valle delBonamico e Frutti del Sole,nate in seguito all’iniziativadel vescovo e della chiesalocale, per dare opportunitàdi riscatto e futuro a tantigiovani calabresi. CaritasItaliana ha espresso pienasolidarietà nella preghiera al vescovo, alla chiesalocale, alle famiglie delletroppe vittime dellacriminalità organizzata, ai giovani e a tutti coloro chene sostengono formazione e promozione. «Servire al meglio le chiese locali, neipoveri e nell’intera comunità– ha dichiarato monsignorVittorio Nozza, direttore diCaritas Italiana –, resta pernoi un impegno primario daattuare, accompagnandol’opera efficace e discretadelle Caritas diocesane». Tra le espressioni di vicinanzaalle comunità meridionali,figura il Progetto Policoro(promosso da CaritasItaliana e uffici Cei), grazie

a cui è sorta nella Locride la cooperativa di giovanivittima dei recenti attentati.

FEDERCASSE

Molise,prestiti afamiglie e societàdopo il sismaPer completare l'attività diricostruzione, Caritas Italianae Federcasse (la Federazioneitaliana delle banche dicredito cooperativo e casserurali) hanno sottoscritto un protocollo di intesafinalizzato alla concessionedi prestiti a favore di famiglie(italiane o immigrate) e piccole e medie impresedelle zone colpite dalterremoto dell'ottobre 2002in Molise e alta Puglia. Il protocollo prevedel'erogazione di prestiti(cinque anni per le imprese e tre per le famiglie, importomassimo 30 mila e 15 milaeuro, per un plafondcomplessivo di 2 milioni di euro) per fare fronte a necessità abitative,ricostruire o ristrutturareimmobili, attivare utenze,affrontare spese sanitarie escolastiche, acquistare mezzidi trasporto o strumenti perrealizzare progetti di promozione sociale edeconomica. L'intesa prevedela costituzione di un fondo di garanzia con fondi residisponibili da Caritas Italianapresso la Banca di creditocooperativo del Molise di San Martino in Pensilis e Bagnoli del Trigno (Cb), che erogherà i prestiti.

IRAN

Grave terremotonel Lorestan,aiuti CaritasNella notte tra il 30 e il 31marzo violente scosse diterremoto (tra 4.7 e 6.1 gradidella scala Richter) hannocolpito la provincia diLorestan (Iran occidentale) a circa 400 chilometri daTeheran. Le stime ufficialiparlano di 70 morti e 1.248feriti; i villaggi colpiti sono stati 330, con unapercentuale di distruzione dal 10 al 100%. Almeno 15

mila sono i senzatetto; in almeno40 villaggile scuoledevonoessere

ricostruite, molti centri sanitaridi villaggio sono danneggiati,così come le reti idriche. Dal 1° aprile una delegazionedi Caritas Italiana, presente inIran dopo il terremoto di Bam(26 dicembre 2003), si èrecata sul luogo del disastro.La delegazione ha avuto,insieme ai rappresentanti di organismi internazionali,incontri con le autorità locali,alle quali ha espressosolidarietà e ha offerto la disponibilità ad aiutare le vittime. A Caritas le autoritàhanno chiesto un interventodi sanità pubblica: servono 190 mila euro per 300 docce e 300 serviziigienici da distribuire nei villaggi più colpiti.

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ARMENIA SERBIA

BOSNIA ED HERZEGOVINA RUSSIA

KOSOVO

progetti > aiuto all’europainternazionale

a cura dell’Area internazionale

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Un team di aiuto per gli anziani soli a MoscaLe rigide temperature del recente inverno hanno aggravato i disagiper gli anziani poveri. Caritas Mosca ha attivato una team dioperatori sociali che si prendono cura di 40 anziani soli e nonautosufficienti, inclusi alcuni malati terminali e pazienti con disturbipsichici. Il programma include servizio di cucina a domicilio, puliziadell’abitazione, aiuto per l’igiene personale, servizi medici e curativi,distribuzione di alimenti specifici, medicine e capi di vestiario,assegnazione di articoli ortopedici in caso di necessità, assistenzaper evitare crisi dovute alla solitudine. I pazienti sono visitati daivolontari da una a due volte la settimana, costante è il contattotelefonico.> Costo 10 mila euro (per un anno di attività)> Causale Russia/assistenza anziani

Un centro per le famigliedi scomparsi ed ex detenuti politiciIl Centro kosovaro per l’auto mutuo aiuto è il risultato di tre annidi esperienza e lavoro con 15 gruppi, composti sia da famigliari di persone scomparse che da ex detenuti politici. I gruppi hannorappresentato un’occasione di incontro tra persone unite da uno stesso problema. È stato quindi creato un piccolo centroper continuare a offrire sostegno e servizi a persone e famiglie,fornendo un’assistenza rispondente ai loro bisogni soprattuttonei settori in cui le istituzioni socio-sanitarie locali sono impreparate (dipendenza, traumi, disabilità, ecc.).> Costo 50 mila euro (per un anno di attività)> Causale Kosovo / Auto mutuo aiuto

In cammino con le associazioni di famigliariA oltre dieci anni dalla fine della guerra, il progetto prevede un lavoro di accompagnamento e formazione delle associazionedi famigliari di vittime, persone scomparse, ex prigionieri dei campi di detenzione e prigionieri politici. L’iniziativa mira a potenziare le capacità di queste associazioni nel rispondere a interessi, bisogni e preoccupazioni dei propri membri, oltreche a stimolare il loro coinvolgimento nei processi decisionali in ambito locale e a favorire il lavoro di rete tra associazioni di diverse nazionalità (croate, serbe, musulmane e albanesi).> Costo 50 mila euro (per due anni di attività)> Causale Bosnia e Herzegovina / sostegno associazioni familiari

Acqua potabileper rifornire villaggi e scuoleNella zona settentrionale del paese, in cui operaCaritas Armenia, sono molti i villaggi in cui il servizioidrico non è più agibile da anni. Grazie a tecnicicollegati alla Caritas si prevede di ristrutturare e riattivare due impianti.

Il primo si trova nel villaggio di Voskehask, dove vivono114 famiglie che da sei anni non possono usufruire di acqua potabile per il deperimento di due sezioni del sistema idrico.> Costo 5 mila euro > Causale MP 75/06 Armenia

Il secondo intervento va a beneficio di due scuolesecondarie della cittadina di Metsavan (7.200 abitanti).Verranno ristrutturate e ripristinate le tubature di adduzione di acque bianche e nere; le scuole sonofrequentate da 818 studenti e 86 tra docenti e operatori.> Costo 5 mila euro > Causale MP 76/06 Armenia

Salute mentale e anziani,l’obiettivo è formare volontariCaritas Italiana e Caritas Serbia e Montenegrohanno riavviato con le sette Caritas diocesane locali,per il biennio 2006-’07, un piano di sensibilizzazioneche punta a coinvolgere la comunità locale e le istituzioni nelle attività di salute mentale e di assistenza degli anziani. L’obiettivo è la formazione di volontari che si facciano carico dell’attenzione alle fasce più deboli e bisognose della popolazione. Il piano pevede la preparazione di materiali di animazione e didattici e una serie di incontri,attività pianificate e campagne di lotta ai pregiudizi,di concerto anche con l’ufficio della presidenza della repubblica, altre confessioni religiose e varieorganizzazioni di solidarietà e tutela dei diritti umani.> Costo 25 mila euro> Causale Serbia / pace e dialogo

La nuova Unione europea a 25 paesi pone importanti sfide economiche e sociali,culturali e politiche.Ma corre il rischio di emarginare ancora di più i paesiche ne restano fuori,soprattutto nell’area dei Balcani e dell’ex Urss.Nel 2005 Caritas Italiana ha curato moltol’accompagnamento e il rafforzamento delle Caritasdell’Europa orientale, grazie a stanziamenti per 1.012.364euro, impegnati in progetti di tutela dei diritti umani,attenzione ai fenomeni di esclusione sociale,educazione alla pace e alla riconciliazione,promozione socio-economica,formazione di operatori sociali, dialogo ecumenico,microrealizzazioni nel settore idrico.L’impegnoprosegue nel 2006.

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a normalità desiderata, promessa, ma di fattosospesa tra il già realizzato e il non ancora finitoha lo sguardo mite di Nanda, 9 anni, che a quin-dici mesi dallo tsunami vive sotto una tenda nelcampo di Mon Ikeun, a ridosso della città di

Banda Aceh, alla mercé della precarietà e del fango. E tut-tavia al mattino ha ricominciato ad andare a scuola, im-peccabile nella sua divisa che sa di bucato.

Quel tragico 26 dicembre 2004 morirono suo padre eun suo fratello. Lei e la madre (Zuriah, 45 anni) insiemecon un fratello e una sorella più grandi sono sopravvissu-ti alla furia dell’acqua. A Mon Ikeun sono arrivati un paiodi settimane dopo il maremoto. «Gli sfollati che vivono intenda sono ancora 30 mila», afferma Wahyu Mukti Kusu-

maningtias, dell’Icmc (International Catholic MigrationCommission). A marzo si sarebbero dovuti chiudere tutti icampi. Impossibile rispettare la scadenza, nonostante ilfiorire di cantieri dia la misura degli sforzi febbrili delle au-torità e delle tante organizzazioni non governative (tra lo-cali e straniere ne risultano registrate 438). «Avremo prestoun’abitazione», afferma convinta Nanda, correndo verso icompagni di quarta elementare. La mamma conferma,prima di mostrare orgogliosa come ha cercato di ingenti-lire la tenda: per pavimento un telo di nylon, cinque or-setti di peluche appesi a un sostegno, un ventilatore e unatv con antenna satellitare a rammentare che siamo nell’e-poca hi-tech.

Anticipo di risurrezioneA diversi chilometri di distanza, la gioia trasfigura i 60 an-ni e le rughe di Muhammad Daud. Come lui, tanti agri-coltori riscoprono il sorriso. L’intero villaggio di Keu-neueu, nella provincia diAceh, nord di Sumatra, è infesta. «Oggi cominciamo araccogliere il riso – afferma–. I seimila metri quadratidella mia proprietà produ-cevano 4-5 tonnellate al-l’anno. Lo tsunami ha tra-scinato fin qui detriti d’o-gni genere, per non parlaredi sale e sabbia. È stata du-ra pulire tutto, ma ce l’ab-biamo fatta. La qualità delmio riso quest’anno nonsarà ottimale. E anche laproduzione sarà limitata.Ma si ritorna a vivere».

La festa corona l’impe-gno congiunto di un’orga-nizzazione umanitaria edelle autorità locali. Si trat-ta, in fondo, di poche risaie,32 ettari in tutto; ma perKeuneueu, per la provinciadi Aceh, per l’Indonesia flagellata dal maremoto è un au-tentico anticipo di resurrezione. Una speciale agenzia go-vernativa, la Badan Rehabilitasi dan Rekonstruksi (Brr),coordina gli interventi nella provincia e nelle altre zone di-strutte. Le cifre ufficiali dei suoi rapporti disegnano i con-torni della catastrofe: “In pochi istanti sono stati sconvolti

indonesiainternazionale

reportage di Alberto Chiarafoto di Nino Leto per Famiglia Cristiana

La ricostruzione della provincia,epicentro della catastrofe dello tsunami, ha tempi lunghi.Intanto, però, gli operatori umanitarihanno “imposto” la pace traribelli e governo. E anche islame cristiani cercano di convivere

ACEH, PROVE DI DIALOGOTRA I DETRITI DELL’ONDA

L

800 chilometri di costa (come da Venezia a Taranto, ndr); imorti accertati sono 130 mila; i dispersi (da considerarsiormai morti) 37 mila. Circa 120 mila abitazioni risultanodistrutte. Tra scuole, ambulatori e ospedali, migliaia di lo-cali sono stati gravemente danneggiati. Alla fine, il costocomplessivo dei progetti volti a riparare i danni sarà di 5,8miliardi di dollari”. Il governo centrale di Giacarta ha stan-ziato 2,1 miliardi di dollari. Le autorità locali hanno ap-provato spese straordinarie aggiuntive. Il resto lo ha fattoe lo fa la solidarietà internazionale: governi, agenzie Onu,ong. Caritas in testa.

Heinrich Terhorst, 44 anni, è il capo missione della Ca-ritas tedesca. «Nella provincia di Aceh sono presenti –chiarisce – le Caritas di Usa (Crs), Gran Bretagna, Irlanda(Trocaire), Olanda (Cordaid), Germania, Repubblica Ce-ca, Austria e Svizzera; agiamo inoltre in contatto conIcmc. La situazione politico-sociale a Sumatra è netta-mente migliorata dal 15 agosto, da quando cioè a Helsinki

è stato firmato un accordoche pone fine agli scontritra le forze governative equelle ribelli di Aceh».

Più conveniente che combattereIl trattato ferma una guerracivile che durava datrent’anni e che ha portatoalla morte di 15 mila perso-ne. Lo tsunami ha fattoscoprire all’opinione pub-blica mondiale quest’an-golo travagliato del piane-ta: le centinaia di operatoriumanitari si sono trasfor-mati in una sorta di irresi-stibile missione di pace. Aquel punto le parti in lottahanno convenuto che fartacere le armi – oltrechéeticamente doveroso – eraanche più conveniente che

continuare a combattersi. «Il maremoto ha reso la pacepiù urgente e ha convogliato su Aceh l’attenzione dellacomunità internazionale, unitamente a molti milioni didollari in aiuti – ha dichiarato Liem Soei Liong, noto atti-vista per i diritti umani, all’agenzia di stampa Misna –. Mavanno segnalati anche altri cambiamenti per cui questo

TRA CORANOE VANGELO Fedeli in unamoschea e in una chiesa a Sumatra. L’88% degliindonesianiè musulmano,i cristianisono 16 milioni

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processo di pace è potenzialmente solido. Innanzitutto ilpresidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono, exgenerale dell’esercito, e il suo vice Yussuf Kalla, ex uomod’affari, hanno compreso che il conflitto non aveva solu-zione militare e che le massicce operazioni sul campoavevano costi troppo alti. Da parte loro i leader del Gam (iribelli del Movimento per Aceh libera) hanno compresoche il futuro per Aceh non è nell’indipendenza politica,ma nell’integrazione in un nuovo panorama regionaleasiatico in pieno sviluppo economico».

Rinunciando definitivamente alle rivendicazioni se-cessioniste, i ribelli hanno avuto in cambio dal parlamen-to locale significative autonomie decisionali sulla gestionedei giacimenti di gas naturale e petrolio, tra i più impor-tanti dell’Indonesia. Inoltre il Gam ha ottenuto negli ac-cordi di pace siglati ad ago-sto quello che gli era statosempre negato, cioè l’auto-rizzazione a diventare ilprimo partito politico in-donesiano a connotazioneregionale. «In pochi si sonoveramente resi conto diquali importanti conse-guenze ciò avrà sulla politi-ca interna indonesiana»,afferma Liem. La costitu-zione, infatti, prevede l’esi-stenza solo di partiti nazio-nali, temendo che forzepolitiche locali rafforzino letendenze secessionistepresenti in più parti del va-sto arcipelago indonesia-no. «Sono ottimista; credoche l’esempio di Aceh abbia rotto un tabù e possa alla fi-ne dimostrarsi utile per risolvere altre tensioni, come inPapua o nelle Molucche», conclude Liem Soei Liong.

Suherman va al mercatoE allora si lavora sodo. A Banda Aceh, nel mercato del pe-sce di Lampulo rimesso a nuovo, Suherman, 48 anni,stringe la mano a Ferry Suferilla, della Caritas tedesca.Suherman coordina una cooperativa di pescatori. La tra-gedia gli ha ucciso la moglie e quattro figli su cinque. Luistesso è stato sorpreso dall’onda e trascinato per due chi-lometri. «Non so come abbia fatto a uscirne vivo», ricorda.A Lampulo c’era un efficiente mercato coperto; ora la Ca-

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ritas tedesca ha donato camion frigoriferi e box refrigera-ti per riavviare trasporto e commercio del pesce. E aSengko Pulat o a Lampuyang, due esempi tra i tanti pos-sibili, la rete Caritas ha finito di costruire abitazioni anco-ra provvisorie, ma tutto sommato belle, o case definitive,funzionali e confortevoli. Molti cantieri sono ancoraaperti. Tra i tanti, anche quello che vede crescere la casain cui si trasferirà Nanda, con quello che rimane della suafamiglia.

L’onda lunga degli aiuti è anche un laboratorio per ilpossibile dialogo tra islam e cristianesimo. Al riguardo,l’Indonesia suscita molto interesse. È il quarto stato piùpopolato del pianeta (dopo Cina, India e Usa), ma è so-prattutto il primo paese musulmano al mondo: almenol’88% dei suoi abitanti (tra 210 e 240 milioni, dipende dal-

le stime) crede e prega se-condo il Corano, a fronte diuna minoranza cristianacomposta da circa 10 mi-lioni di protestanti e oltre 6milioni di cattolici.

«Guardi qua». PadreFerdinando Severi, 71 an-ni, romagnolo, missionariofrancescano, posa sul tavo-lo un giornale datato gio-vedì 23 marzo 2006. «È ilquotidiano più diffuso nel-la provincia di Aceh – assi-cura –. La testata la dicelunga. Si chiama SerambiIndonesia, in italiano po-tremmo tradurre “Il porti-co (sottinteso: di La Mecca)in Indonesia”». Una pausa,

un sorso d’acqua, giusto per reagire ai 28 gradi e all’altotasso di umidità che tolgono il fiato. Poi padre Ferdinan-do riprende spedito: «Oggi polemizzano con l’agenzia go-vernativa che coordina il lavoro di ricostruzione ad Acehe nell’isola di Nias perché, a loro dire, non persegue con ilvigore necessario la presunta opera di evangelizzazionecompiuta dal personale di alcune tra le tante ong. E direche l’agenzia voluta dal governo centrale una commissio-ne d’inchiesta l’ha pure istituita. Se non viene fuori nullaè segno che non c’è nulla, non le pare?».

Un’altra pausa. Ancora acqua. «Però io non ribatterò –continua padre Ferdinando –. In passato ho provato a re-plicare, facendo presente il punto di vista mio e della co-

munità cattolica di Banda Aceh. Ma non mi hanno maipubblicato un rigo. Il dialogo è quanto meno faticoso.Tuttavia ho molti amici musulmani. Lo scriva perché èvero. E dica anche che la situazione non è disperata. Hosuperato momenti più brutti, mi creda».

Vero. L’ultima minaccia di morte, padre Ferdinando sel’è vista recapitare da un ignaro postino a ridosso di Nata-le. La lettera era datata 12 dicembre 2005. Firmata (ma inmodo praticamente illeggibile) da due esponenti del“Movimento contro la conversione”, al quartultimo capo-verso prometteva guai seri: “La tigre sta ancora dormen-do. Non azzardatevi a svegliarla. Morirete tutti, uno aduno. Non permetteremo che convertiate i musulmani.Ditelo ai preti, ai pastori, alle suore, e anche al Papa (rigo-rosamente con la maiuscola, ndr). Aspettiamo di capirese lasciate perdere. Morirete tutti, uno a uno. E non c’im-porta se si tratta di un uomo o di una donna, di un giova-ne o un anziano, un indonesiano o uno straniero”.

Padre Ferdinando (che da anni tiene aperti scuole eun centro per disabili, frequentati principalmente da mu-sulmani) sdrammatizza con un sorriso. «Abbiamo de-nunciato il fatto alla polizia, che ci ha protetto per un paiodi settimane. Non è successo nulla, ringraziando il Cielo.Credo si tratti di qualche universitario fanatico. Quando ilmondo islamico s’è infiammato contro le vignette danesiritenute blasfeme, qui si sono radunati giovani che hannoscandito slogan ostili, ma niente di più. In Indonesia il fa-natismo islamico, che pure esiste e ha seguaci, non è ap-

poggiato dalla maggioranza dei musulmani, che è mode-rata. Di certo non è appoggiato dal governo centrale».

Sharia, ma senza pena di morte«È permesso?». Nella stanza entra padre Sebastianus Eka,42 anni, sacerdote che con padre Ferdinando, tre suore emille fedeli costituisce la comunità della parrocchia delSacro Cuore di Banda Aceh. La sua storia personale rac-conta meglio di tante parole cos’era e cos’è ancora, inparte, l’Indonesia. «Sono nato a Giava. I miei quattro non-ni erano musulmani. Papà ha aderito al cristianesimo du-rante gli studi in una scuola cattolica. Mamma ha chiestoil battesimo quando ha deciso di sposare mio padre. Tut-to è stato fatto in piena libertà e senza che le famiglie diorigine osteggiassero la scelta».

Continua a essere così? «Oggi i pochi che si converto-no al cristianesimo devono lasciare Aceh – ammette pa-dre Ferdinando –. Da qualche anno qui si applica la sha-ria. In queste settimane stanno mettendo a punto un re-golamento di attuazione. Il governo centrale di Giacartaha escluso che possa venire comminata la condanna amorte o che si possa procedere all’amputazione di arti,tagliando ad esempio la mano ai ladri. È possibile invecefrustare in pubblico gli adulteri, i giocatori d’azzardo e co-loro che bevono alcolici. Sul finire di gennaio ci hannochiesto di compilare un questionario. Chiedeva un pare-re su una serie di questioni, dalla possibile estensione del-l’obbligo a tutte le donne, non musulmane incluse, di gi-

QUOTIDIANITÀE RADICALITÀDonne velatein un mercatodi Banda Aceh.Da qualche annoqui si applicala sharia,ma senzale asprezzedi altri paesi e contestiislamici

LA CONVENIENZA DEL DIALOGOBambini in una strada di Banda Aceh. Nella provinciaindonesiana gli ingenti aiuti post-tsunami e l’afflusso di operatori umanitari hanno indotto ribelli indipendentisti e governo a stringere un accordo

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internazionaleindonesia

elamat datang di Nias, bevenuta a Nias. Era ilmaggio 2005, quando cominciava la mia avven-tura nella piccola e sfortunata isola dell’Indone-sia, lungo le coste nord-occidentali di Sumatra.Ad accogliermi all’aeroporto, padre Raymond

Laia, cappuccino di 42 anni, originario di Nias centrale, laparte più povera dell’isola.

Padre Raymond ha studiato a Sumatra, poi ha opera-to in Germania per undici anni come cappellano negliospedali e collaboratore di una radio. Così nel dicembre2004 il padre provinciale decise di rimandarlo a Nias, peravviare un’emittente cattolica (i cattolici sono il 20% del-la popolazione dell’isola). Ma tre settimane dopo il mare-moto colpì la parte occidentale di Nias e il 28 marzo 2005un terribile terremoto (magnitudo 8,7) la distrusse quasicompletamente. In un’isola dove c’era pochissimo, il ter-remoto ha lasciato il nulla, solo disperazione.

La chiesa locale si è data da fare per prestare soccorso.Ma già dopo lo tsunami il nunzio apostolico aveva con-vinto i vescovi che serviva una Caritas per prestare aiuto

in maniera organizzata e professionale. Eppure, al mioarrivo a Nias, tutto ciò che ho trovato è stato un ufficio didue metri per tre, equipaggiato di un vecchio computer;due impiegati senza guida; un direttore assente perchéoccupato da mille impegni in diocesi. E padre Raymond.Il quale era stato nominato segretario della Caritas diNias, ma, mi confessò, non sapeva cosa volesse dire. All’i-nizio doveva elemosinare i soldi dal parroco per le spesedell’organismo. Non aveva auto per spostarsi, gli impie-gati non gli obbedivano. Pochi a Nias lo conoscevano,nessuno gli dava corda. E soprattutto il trauma del terre-moto, che colpisce tutti indiscriminatamente, gli toglieval’energia di pensare a prospettive future.

Al lavoro per lo sviluppoMa il futuro dell’isola non poteva essere solo nelle manidei missionari tedeschi o delle ong internazionali. I Niassono oggi un popolo provato da tante vicissitudini, maun tempo la loro è stata una terra di grande cultura e digrande fascino antropologico ed etnologico. La cultura è

stata in gran parte spazzata via dai missionari protestan-ti, che hanno fatto dell’isola un unicum in Indonesia, conla sua maggioranza cristiana.

Così, con padre Raymond, abbiamo cominciato unpercorso di crescita, fatto di mille ostacoli, in cui si haspesso l’impressione di fare cinque passi avanti e dieci in-dietro. Un percorso in cui non è stato facile mettere a fuo-co lo spirito Caritas, anche a causa delle critiche e di al-cune gelosie («Perché un progetto in quella parrocchia, enon nella mia?»). Padre Raymond, nominato nel frattem-po vicedirettore, dopo un periodo di scoraggiamento haperò visto arrivare i primi risultati e i primi apprezza-menti. L’unico centro per bambini disabili rimesso inpiedi, le case per le vittime dello tsunami ricostruite, unprogramma di borse di studio interamente gestito da lui:

altrettanti motivi per ritenere non vana la fatica di tantimesi di lavoro.

Oggi, a un anno dal terremoto, padre Raymond è il ca-pufficio della Caritas diocesana a Nias. Tutti lo conosco-no e lo rispettano. La Caritas ha un bella sede dove tantagente viene a chiedere aiuto. È inserita nella rete di ong eorganizzazioni internazionali che lavorano per la rico-struzione e lo sviluppo. Gestisce sei progetti, un altro staper partire. Quando qualche missionario ancora chiedeperché non si distribuiscono i soldi alla gente, padre Ray-mond spiega con passione che non si fa assistenzialismo,ma si lavora per uno sviluppo sostenibile. E qualcuno ca-pisce. Sono processi lenti, ma cominciano a far breccia.Oggi padre Raymond crede nella Caritas e nell’impattoforte che potrà avere in futuro, quando, finita la ricostru-zione, comincerà a operare per lo sviluppo comunitario.

Me lo ripeteva sempre: «Me lo sono scelto io, il nomeRaymond, quando sono diventato cappuccino. Da Rai-mundus, “uomo nuovo”». E un uomo nuovo è diventato.Un uomo Caritas, adesso.

Come Raymond dopo il sismaè diventato un “uomo nuovo”Un prete cappuccino. Incaricato di avviare la Caritas sull’isola di Nias.Tanteincomprensioni. Ma la voglia di far rinascere la propria terra dà i primi frutti

Sdi Barbara Dettori

rare velate, all’ipotizzata chiusura di tutti i negozi di ali-mentari e dei ristoranti durante i giorni del Ramadan.Può immaginare cosa ho risposto…».

«La popolazione di Aceh non è pronta all’applicazio-ne rigorosa della sharia nei modi e nelle forme di altripaesi – ragiona però H. Ameer Hamzah, teologo musul-mano, giornalista e deputato eletto nel parlamento diAceh –. Sarà il governo di Giacarta a dirci fin dove possia-mo spingerci. Tuttavia non verrà mai meno il rispetto perle altre religioni. Qui in Indonesia siamo sunniti. Esiste unIslam moderato. Sappiamo discernere tra scelte politichecompiute dai governi occidentali e genuine ispirazionireligiose delle popolazioni cristiane. Non dimentichiamocerti apprezzati gesti di Giovanni Paolo II, come la sua vi-sita alla moschea di Damasco, o certe sue prese di posi-zione, come la sua palese contrarietà alla guerra contro

l’Iraq. Per noi musulmani di Aceh, la triste vicenda dellevignette blasfeme non influenza i rapporti con i cristianie le ong. Non abbiamo nulla a che spartire con il terrori-smo cosiddetto islamico, frutto perverso delle politiche diUsa, Gran Bretagna, Francia e Israele. Sappiamo distin-guere. E ci battiamo per una convivenza pacifica».

La partita dei radicaliH. Abdul Rhaffar, 73 anni, è l’imam della piccola moscheaAl Islah (pace), nel villaggio di Lamkruet, fuori città. «Nonc’è nessun scontro di civiltà, nessun conflitto – considera–. Qui, dopo la tragedia dello tsunami, la Caritas ha rico-struito i nostri luoghi di preghiera e le nostre scuole cora-niche. Siamo loro riconoscenti. Accogliamo volentieri co-loro che vengono ad aiutarci senza secondi fini. La vio-lenza? L’Islam insegna solo cose buone. Semmai sono i

singoli che commettono iniquità».Forte di oltre 30 milioni di aderenti, il Nahdlatul Ula-

ma (Nu) è l’organizzazione islamica più grande in Indo-nesia e nel mondo. Il suo leader storico, AbdurrahmanWahid, ha testimoniato più volte l’indole moderata e fau-trice del dialogo propria del movimento. Di recente s’èfatto fischiare a Giacarta dai duri, quando ha difeso unascuola gestita da suore, dicendo che i cattolici sono fratel-li, non nemici. Nell’isola di Nias, il coordinatore di Nahd-latul Ulama è A. Majid, 44 anni. Anch’egli sottolinea che«la benedizione di Dio abbraccia tutti, non solo i musul-mani». E aggiunge: «Condanniamo la violenza. Tutta.Senza sconti».

Quella per la tolleranza religiosa è ovviamente unapartita che va ben oltre l’Indonesia. Se la convivenza resi-ste qui, l’Islam radicale, concordano gli osservatori più at-

tenti, avrà perso la sua battaglia in Asia. E forse in tutto ilmondo musulmano. «A Nias ci si limita a vivere insiemesenza disturbarsi a vicenda. A Sibolga le cose vanno me-glio: gli esponenti delle religioni si trovano una volta ognidue mesi; se sorge qualche problema, le riunioni si fannopiù frequenti. Finalmente ci sono musulmani che de-nunciano con coraggio gli atti di violenza e terrorismofatti da chi si dice islamico», interviene monsignor Barna-bas Winkler, amministratore apostolico della diocesi diSibolga. E mentre diversi settori della chiesa cattolicaprendono le distanze dall’iperattivismo delle sette cristia-ne di stampo fondamentalista, tutti si augurano che nonsi debbano più piangere vittime. O, peggio ancora, marti-ri veri e propri. Come le tre ragazze (di 15, 16 e 19 anni)sgozzate a Poso, nel Sulawesi centrale. Era il 29 ottobre2005. La loro colpa? Essere semplicemente cristiane.

PADRE RAYMONDE I SUOI RAGAZZIA sinistra, operatori e volontari di Caritas Nias.A destra, padre Raymond Laia,direttore della Caritas sull’isolaindonesiana colpita da un graveterremoto nel marzo 2005

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guerre alla finestra

STRESS DOPO IL TRAUMA,LA MEDICINA È CONDIVIDERE

co intenso di fronte a situazioni cheassomigliano o simbolizzano quellesperimentate; reazioni fisiologicheche simbolizzano alcuni aspetti del-l’evento traumatico. La persona cer-ca in tutti i modi di evitare gli stimoliassociati con il trauma. Il quale cau-sa una marcata riduzione dell’inte-resse e della partecipazione ad atti-vità significative, sentimenti di di-stacco o di estraneità agli altri, ridot-ta capacità affettiva, riduzione delleprospettive future di una vita norma-le. La persona prova difficoltà ad ad-dormentarsi o a mantenere il sonno,irritabilità e scoppi di collera, diffi-coltà a concentrarsi, ipervigilanza,esagerate risposte di allarme. Il di-sturbo provoca anche disagio clini-camente significativo o menomazio-ne del funzionamento sociale, lavo-rativo o di altre aree importanti. Puòcondurre persino al suicidio.

La durata dei sintomi deve esse-re superiore a un mese. Se il dolore

dura meno di tre mesi si considera acuto; dopo i tre me-si si considera cronico. Ci può essere anche un disturboa esordio ritardato, dopo vari mesi dall’evento.

I professionisti della medicina, della psicologia edella psichiatria occidentale non hanno medicine ma-giche per far guarire dai traumi psichici della guerra, fe-rite che lasciano un segno profondo e indelebile nellepersone e nelle comunità. Ma, insieme ad altri uominidi buona volontà, professionisti e volontari, religiosi egente comune, possono prendersi cura delle personetraumatizzate dagli orrori delle guerre, condividendo ilpeso del loro dolore, accompagnandone il lento lavorodi elaborazione del lutto, trasformare il trauma subito intestimonianza per la pace. È anche questo il lavoro del-la Caritas, in tante parti del mondo.

Milioni di morti e feriti costituiscono solo una parte delle vittimeche vengono causate da guerre e violenze. Più di un miliardosono i civili che hanno subito, in oltre cinquanta paesi negli ul-

timi trent’anni, traumi psicologici spesso devastanti, i cui effetti per-durano anche per decenni. La guerra è sporca: in nessuna parola, innessuna metafora, in nessuna etichetta diagnostica può essere con-densata la cifra dell’immenso dolore, spesso silenzioso e dimenticato,che accompagna tutte le guerre di tutti i tempi. Perché, diceva Erodo-to mezzo millennio prima di Cristo, “i grandi dolori sono muti”.

Le invisibili “ferite dell’anima” e itraumi psichici colpiscono da semprei sopravvissuti di una guerra, soldati ecivili. Tuttavia, solo nel 1980 è stata in-trodotta la categoria del “Disturbo po-st-traumatico da stress” nell’edizionedel manuale diagnostico dell’Associa-zione psichiatrica americana. Invent’anni, conosciuta con l’acronimoinglese Ptsd, questa nozione diagno-stica si è perfezionata e diffusa per de-signare le conseguenze psichiatrichenon solo dei traumi delle guerre, maanche delle catastrofi naturali e antro-piche, degli abusi sessuali, delle rapine, degli incidenti, conuna diffusione che, ad esempio, negli Usa è stimata attor-no all’8% della popolazione.

Acuto e cronicoIl trauma colpisce persone che sono state esposte a unevento traumatico che ha implicato morte o minaccia dimorte o gravi ferite all’integrità fisica propria o altrui. Intale contesto la persona ha provato paura intensa, senti-menti di impotenza od orrore. L’evento traumatico vienerivissuto in maniera persistente dalla persona che l’hasubito o ne è stata testimone, attraverso ricordi spiacevo-li che comprendono immagini, pensieri e percezioni; so-gni ricorrenti dell’evento traumatico; reazioni comporta-mentali come se l’episodio si ripetesse; disagio psicologi-

Tra le vittime di guerree violenze ci sono anchemilioni di persone che

si portano appressoanche per decenni

traumi psichicilaceranti.La loro formaclinica è codificata solo

dal 1980.Le rispostemediche non bastano

internazionale

di Paolo Beccegato

I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6 3332 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6

internazionaledopo lo tsunami

i chiamavano Pathmanathan Shanmugaratnam eSalvendra Pradeepkumar, 55 anni e due figli il pri-mo, 29 anni il secondo. Per tutti, negli uffici di Hu-dec - Caritas Jaffna, erano, semplicemente, Pad ePradeep. Sono morti la mattina del 10 aprile, am-

mazzati da una mina di tipo claymore, indirizzata a unacamionetta dell’esercito srilankese. Andavano in auto aKilinochchi, nella uncleared zone, l’area controllata dalleforze ribelli dell’Ltte (le cosiddette Tigri Tamil), un territo-rio devastato da venti anni di guerra civile e duramentecolpito dallo tsunami del dicembre 2004. In quella zonasi trovano alcune delle strutture d’ac-coglienza per orfani e minori in diffi-coltà seguite dal “Children Program-me”, il programma per il quale lavo-ravano i due operatori di Caritas Jaff-na, supportato anche da Caritas Ita-liana e da alcune Caritas diocesane edelegazioni regionali d’Italia.

Chi ha collocato e azionato la mi-na, ovviamente, non ha nome né vol-to: l’attentato non è stato rivendicato,come quasi sempre accade datrent’anni. Ma che dietro questa enne-sima tragedia srilankese vi possano es-sere le Tigri è decisamente più di un sospetto: Tamilnet, lavelina dell’Ltte, ricostruendo l’episodio ha provato ad ad-dossare una parte di responsabilità all’imperizia del condu-cente, “accusato” di aver tentato il sorpasso del convogliomilitare proprio nel momento in cui è stata azionata la mi-na, una mossa che nella uncleared zone non si deve mai fa-re. E, infatti, non c’è stato alcun sorpasso, come ha chiaritoprontamente il nunzio apostolico monsignor Mario Zena-ri: il veicolo di Hudec, vessillo dell’organizzazione ben in vi-sta, procedeva in senso contrario sulla A9, la strada princi-pale, percorsa ogni giorno da tutti i convogli umanitari.

Sangue nonostante i negoziatiCon Pad e Pradeep sono stati ammazzati anche cinque

soldati dell’esercito srilankese, obiettivo della mina. Feriti,invece, il conducente dell’auto (che ha perso un occhio) el’altro operatore di Caritas Jaffna. Altre sette vittime di unastriscia di sangue che non accenna ad arrestarsi, nono-stante il cessate il fuoco stipulato nel 2002 e i negoziati at-tualmente in corso: sono circa 65 mila le vittime dall’iniziodel conflitto, oltre duecento da gennaio all’11 aprile,quando a Trincomalee un ordigno a frammentazione hafatto saltare un autobus della marina militare srilankese,uccidendo dodici persone e ferendone otto.

Ma Pad e Preedep erano due tamil, operatori di un’or-ganizzazione locale che da vent’anniopera sia nella zona in mano alle Tigriche in quella controllata dal governo,senza essere mai stata coinvolta in in-cidenti legati al conflitto. Un elemen-to che ha sconvolto lo staff della Cari-tas diocesana e ha scosso anche unacittà come Jaffna, assuefatta alla vio-lenza da decenni di guerra.

Ferme le parole di condanna delvescovo, Thomas Savundaranaya-gam, durante i funerali: «Invito tutti ariflettere, anche chi crede in certe for-me di lotta, perché questa tragedia,

più di altre, è rivolta contro il popolo Tamil». Dello stessotenore la presa di posizione del segretario generale di Ca-ritas Internationalis, Duncan MacLaren: «Anche in zonedi conflitto l’uccisione di esseri umani non è mai accetta-bile; quando a morire sono civili innocenti impegnati nel-la ricostruzione di un paese devastato dalla guerra, ci tro-viamo di fronte a un vero e proprio oltraggio all’umanità».

Ma soprattutto conta la reazione della città: per quan-to scossa, si è unita attorno alle famiglie delle vittime e aHudec - Caritas Jaffna. Ai funerali hanno partecipato tan-tissime organizzazioni della società civile del distretto, ibambini e gli educatori delle strutture d’accoglienza in cuierano impegnati i due operatori e moltissimi cittadini. Se-gni di speranza, ai bordi di una tragedia.

Pad e Pradeep, vittime innocentidi una guerra che non si arrestaSono saltati su una mina il 10 aprile.Lavoravano per i minori in difficoltà conCaritas Jaffna:morti per una violenza che continua a dilaniare lo Sri Lanka

Sdi Francesco Paletti

MORTI E RINASCITEInaugurazione di case ricostruite dopolo tsunami in Sri Lanka. Ma la guerracontinua a seminare lutti nell’isola

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internazionalecasa comune

STRATEGIA DA RILANCIARE,MA SERVE UN’“ANIMA SOCIALE”

un occhio di riguardo alle “categoriesensibili”: giovani, donne, disabili,immigrati.

Concertare risposteFin qui impegni e promesse. Una co-sa è certa: i mercati mondiali non fa-ranno sconti alle pigrizie della Ue etanto meno lasceranno spazio di ma-novra a 25 sistemi economici nazio-nali. Ciò che però non è emerso dalvertice è l’“anima sociale” cui l’Euro-pa non può più rinunciare. D’accor-do concorrenza e mercati, ma nonsarà solo attorno a essi che si co-struirà la comunità sovranazionale,“unita nella diversità”, sognata daipadri fondatori e delineata nel Tratta-to costituzionale, siglato a Roma nel-l’ottobre 2004 e oggi in stand by dopoil “no” di francesi e olandesi.

Le banlieue parigine in rivolta di-mostrano che c’è bisogno di altro.Così come chiedono altro i disoccu-pati del Mezzogiorno italiano e quelli

delle regioni minerarie dell’Est, le giovani coppie tedescheche non hanno i mezzi per potersi sposare e le famiglie diBucarest costrette alla coabitazione…

È positivo che da qualche tempo i cittadini europei,con i loro problemi e le loro attese, bussino alle porte del-le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo: ne fanno fede lemanifestazioni davanti all’Europarlamento contro la Di-rettiva servizi, o quelle dei portuali o degli agricoltori. Ma-tura, anche per questa strada, una coscienza europea(purché la democrazia comunitaria non diventi ostaggiodelle manifestazioni di piazza). A maggior ragione l’Uedeve assumersi la responsabilità di concertare risposteadeguate, in accordo con gli stati membri e nel rispettodei principi di solidarietà e di sussidiarietà, che sono allabase del processo di integrazione continentale.

e della sostenibilità ambientale.Alla Strategia di Lisbona era dedi-

cato il summit dei 25 capi di stato e digoverno svoltosi a fine marzo aBruxelles. Qualche passo avanti è sta-to compiuto (la “Strategia” finora erapiù o meno rimasta sulla carta). Ma èstata l’emergenza energetica a tenerebanco durante il vertice Ue e si è piùche mai imposta la convinzione cheun unico mercato e un’unica politicaenergetica europea sono indilaziona-bili. Gli stati dell’Unione si sono impe-gnati in azioni efficaci sui temi del ri-sparmio e dell’efficienza energetica, per la promozione difonti rinnovabili e dei biocarburanti; nessun accordo, inve-ce, sul nucleare (ciascuno proseguirà per la sua strada, chia produrre e utilizzare energia atomica, chi a escluderla).

Nel campo della ricerca, i 25 hanno dato il via libera alSettimo programma quadro Ue e al Programma per l’in-novazione. Allo stesso tempo istruzione e formazione siconfermano “fattori critici nel miglioramento della com-petitività e della coesione sociale”. I leader politici hannopoi ritenuto urgente sbloccare il potenziale delle impre-se, soprattutto di piccole e medie dimensioni, per accre-scere la forza d’urto del settore manifatturiero (sgravi fi-scali, riduzione della burocrazia, investimenti per infra-strutture). Altro punto irrinunciabile – almeno nelle in-tenzioni – è la promozione di nuovi posti di lavoro, con

I leader dei 25 hannofatto il punto

sull’applicazione degliaccordi di Lisbona in

materia di concorrenzasui mercati globali.

Qualche passo avantiper l’economia.Ma la coscienza

europea, per rafforzarsi,ha bisogno d’altro

di Gianni Borsa inviato a Bruxelles dell’agenzia Sir

La concorrenza sui mercati mondiali accelera il passo; Cina e India

non guardano in faccia a nessuno e i mercati europei rischiano

una “invasione pacifica” di prodotti d’oriente o battenti bandiera

americana. Per rispondere alla sfida, l’Unione europea ha inventato nel

2000 la Strategia di Lisbona, tesa a favorire la competitività e basata su

un mix di ricerca, innovazione e formazione. Ma l’Europa non può li-

mitarsi alla battaglia produttiva e commerciale. Deve promuovere risul-

tati sui versanti dell’occupazione “di qualità”, della coesione sociale

I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6 3534 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6

Nella definizione dei temi fondamentali per un’agenda di riduzione dell’ingiustizia e del-la povertà nel mondo, il tema del debito merita ancora di essere considerato come prio-ritario. Dopo la grande mobilitazione dell’anno del Giubileo, l’attenzione dell’opinionepubblica è stata sollecitata negli ultimi anni da iniziative spesso più ad effetto che di rea-le efficacia. Ma in termini concreti, il totale del debito dei paesi in via di sviluppo, che nel

1999, prima dell’avvio dell’iniziativa “rinforzata” Hipc (Heavily Indebted Poor Countries è il nomedell’iniziativa internazionale per la cancellazione del debito, ndr) era pari a 2.347 miliardi di dolla-ri, è oggi (dato aggiornato al 2004) pari a 2.597 miliardi; i paesi dell’Africa subsahariana, che nel 1999pagavano 13,6 miliardi di dollari per rimborsare questo debito, ne hanno pagati nel 2004 15,23.

Questi dati bastano a dare una prima indicazione sullo stato dei fatti: l’iniziativa internazionaledi cancellazione del debito non ha risolto il problema. Ha semmai contribuito a evitare una situa-zione ancora più pesante, senza però trovare la via di uscita sostenibile invocata come una delle ra-gioni per procedere alla cancellazione. Ora si tratta di fareogni sforzo perché le iniziative già adottate siano portateavanti in modo efficace e perché vengano introdotti cor-rettivi per gli elementi che ne limitano l’efficacia. In questo,l’attenzione della società civile è fondamentale, se si vuolemantenere una giusta tensione su una questione che con-tinua a influire in modo drammatico sulle condizioni di vi-ta della maggior parte della popolazione mondiale.

Difficoltà dai governiL’iniziativa di conversione del debito promossa dallachiesa italiana, attraverso la Fondazione Giustizia e Soli-darietà (nella quale sono coinvolti numerosi soggetti, tracui Caritas Italiana), è stata portata avanti con un impe-gno faticoso ma efficace, in continuità con la campagnaecclesiale per la riduzione del debito, lanciata nell’annogiubilare a seguito del pressante appello di Giovanni Pao-lo II. Questa iniziativa ha trovato le sue prime concretiz-zazioni in Guinea (dove il fondo di conversione del debi-to è attivo dal giugno 2003) ed è giunta anche in Zambiaa una fase operativa.

Proprio in Zambia la mancanza di un accordo tra ipaesi debitori ha impedito a lungo di negoziare gli accor-di bilaterali di cancellazione del debito e anche successi-vamente i due governi (zambiano e italiano) hanno frap-posto numerose difficoltà all’ipotesi di creare un fondo di

DEBITO, PESO CHE RESTAMA IN ZAMBIA ORA SI SPERA

internazionale

Le iniziative internazionali hannoimpedito l’ulteriore esplosione del debitoestero dei paesi poveri, ma non ne hannoridotto la portata. Primi risultatidell’iniziativa della chiesa italiana in Zambia, dopo quelli in Guinea

di Massimo Pallotino

ANCORAPRIGIONIERIUna famigliain Zambia, paeseche, come moltialtri stati poveri,soprattutto in Africa,continua a risentirein modo rilevantedel pesodel debito estero

africa

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internazionale

conversione del debito, come nel caso della Guinea. Perquesta ragione, alla fine del 2004, il consiglio di ammini-strazione della Fondazione aveva stabilito di aprire unFondo di riduzione della povertà, in accordo con la chiesazambiana e amministrato secondo gli stessi criteri inizial-mente individuati per la gestione del Fondo di conversio-ne del debito, cioè con una larga rappresentanza della so-cietà civile zambiana. L’idea era che l’avvio unilaterale diquesto fondo servisse anche come stimolo ai due governi.Dell’ammontare destinato dalla Fondazione allo Zambia,pari a 10 milioni di euro, la metà è stata in un primo mo-mento attribuita a questo fondo, in attesa di vedere se idue governi avrebbero dato seguito all’impegno circa ilmonitoraggio delle risorse liberate dalla cancellazione.

Rendere conto ai cittadiniOggi, a un anno di distanza, entrambe le prospettive sem-brano aver trovato concretizzazione: il Fondo Giustizia eSolidarietà per la riduzione della povertà (Jsprf) è attivo eha già identificato i primi progetti cui offrire un sostegnofinanziario; i due governi hanno firmato nel gennaio 2006un’intesa per la costituzione di un comitato di informa-zione, che avrà il compito di mettere a disposizione la do-cumentazione riguardante l’impiego delle risorse liberatein seguito alla cancellazione del debito da parte del gover-no italiano (ai sensi della legge 209 del 2000) e in cui sie-deranno i rappresentanti dei due governi, un rappresen-tante della fondazione e un rappresentante della struttu-ra operativa della chiesa zambiana, come garanzia di col-legamento con la società civile locale.

Quest’ultima circostanza è significativa: il monitorag-gio dell’uso delle risorse liberate con la cancellazione deldebito è stato, negli anni scorsi, materia di accesa discus-sione nel dibattito pubblico in Zambia e ora per la primavolta i rappresentanti della società civile vengono coinvol-

ti nello scambio di informazioni tragoverni. Si tratta di un risultato politi-camente importante: si afferma infat-ti il principio per cui è ai cittadini, inprimo luogo dei paesi che beneficia-no della cancellazione, che occorrerendere conto dell’uso delle risorse li-berate. Un concetto di accountabilityverso il basso, ben diverso dalle con-dizioni unilateralmente poste dai go-verni creditori o dalle istituzioni fi-nanziarie internazionali.

Società civile coinvoltaIl comitato di informazione non ha collegamento funzio-nale con il Fondo di riduzione della povertà istituito in col-laborazione con la chiesa zambiana, ma le due iniziativerispondono allo spirito originario della campagna giubila-re, in particolare all’idea di un coinvolgimento diretto del-la società civile nella trasformazione della schiavitù del de-bito in nuove opportunità di sviluppo. Proprio in seguitoalla costituzione del comitato di informazione, il consigliodi amministrazione della Fondazione ha avviato la rifles-sione sull’impiego della seconda metà dei 10 milioni.

Pochi mesi di attività del Jsprf sono sufficienti per trac-ciare un primo bilancio. Il comitato di gestione è presie-duto da una rappresentante della chiesa zambiana ecomprende rappresentanti delle principali reti di societàcivile, inclusa la più grande federazione di produttori agri-coli (i piccoli contadini sono il primo “target sociale” delleattività del fondo); nel comitato siedono anche due rap-presentanti delle espressioni della chiesa italiana in Zam-bia (missionari e volontari). Il comitato, riunitosi per laprima volta nel novembre 2005, ha dato impulso all’inter-vento nei primi quattro distretti (Petauke, Kasempa, Isokae Gwembe). È in corso una riflessione che potrebbe con-durre all’allargamento delle aree coperte, senza tuttaviavenir meno a un principio di concentrazione delle azioni,necessario per evitare interventi a pioggia, poco efficaci edi difficile gestione. Al momento sono stati finanziati 9progetti per 485 mila euro: si tratta soprattutto di progettidi supporto alle attività economiche (produzione, stoc-caggio, trasformazione e commercializzazione di prodot-ti agricoli), ma non mancano iniziative di microfinanza edi miglioramento dei servizi scolastici. Oltre ai progetti giàapprovati, sono oltre 160 le proposte depositate da diver-si attori della società civile e si può prevedere nei prossimimesi un’accelerazione nel ritmo degli stanziamenti.

Diakolidou è un villaggio agli estremi confini del-la Guinea. Si trova nella regione forestale delpaese, vicino alle frontiere con Costa d’Avorio eMali. Per raggiungerlo, durante la stagione sec-ca, si percorrono lunghe piste polverose di terra

rossa. Nonostante la distanza dalla capitale Conakry, iproduttori di riso di Diakolidou hanno appreso e seguitocon particolare attenzione le notizie in arrivo dalla capita-le riguardo lo sciopero nazionale a oltranza, cominciato ilprimo marzo. A Diakolidou s’ignorano i giochi politici che

vedono protagonisti sindacati, partiti e istituzioni e con-tribuiscono a rendere il paese sempre più instabile, mauna cosa è certa: nel villaggio in mezzo alla foresta si ha lapiena consapevolezza dell’aumento costante e incontrol-lato dei prezzi dei beni al consumo. E non si sottovalutanemmeno l’aumento esponenziale delle importazioni diriso e di olio di palma dal sud-est asiatico o di cipolle e pa-tate dall’Olanda, nonostante la Guinea sia un forte pro-duttore di tutti questi prodotti, base della dieta giornalie-ra delle famiglie guineane.

La scommessa di Diakolidou,società civile protagonistaUn villaggio di foresta ai margini della Guinea.Una comunità penalizzata daldebito e dalle importazioni dall’estero.Che prova a reagire, grazie al Foguired...

di Stefano Verdecchia

africa

Evoluzione del debito internazionale (dati in mld di dollari)1982 1996 1999 2001 2003 2004

Paesi in via di sviluppoDebito estero totale [DET] 715,79 2044,97 2346,64 2260,52 2554,14 2597,06Servizio del debito pagato 108,38 262,55 352,22 365,52 419,77 373,80di cui interessi 62,85 96,15 113,88 110,33 101,18 103,14

Asia orientale e Pacifico [DET] 88,17 494,03 538,61 501,98 525,54 536,54Europa e Asia centrale [DET] 88,46 368,32 503,45 507,78 676,00 728,47America Latina e Caraibi [DET] 333,14 638,47 771,83 749,18 779,63 773,46Medio Oriente Nord Africa [DET] 82,33 163,18 155,80 142,14 158,83 155,47Asia Meridionale [DET] 47,35 149,62 161,99 156,25 182,79 184,72Africa sub-sahariana [DET] 76,34 231,35 214,96 203,19 231,36 218,41

Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale

MAI PIÙ SCHIAVI Giovani zambiani in un’area rurale. Per lo sviluppo, occorre puntare sui piccoli contadini

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DIRITTI UMANI,L’ORA DEL CATTIVO CONSIGLIO

quindi dati da fare per cercare ulte-riori mediazioni. Forse a Washingtonbastava che la vecchia Commissionesaltasse al più presto, per evitare cheprendesse in esame il Rapporto suGuantanamo, assai pesante perl’amministrazione americana.

Arnesi imbarazzantiChi siederà nel nuovo consiglio? Imembri verranno eletti dall’Assem-blea generale a maggioranza asso-luta. Ma non è certo che si riesca atener fuori, per esempio, Sudan,Iran o Cuba. E poi chi avrà il corag-gio di analizzare i casi di Cina, Rus-sia o Turchia, insomma di occuparsidavvero di sanzionare chi non ri-spetta i diritti umani?

Nell’ultimo decennio si è pensatoche le sanzioni dovessero essere di ti-po giudiziario, quando il mancato ri-spetto dei diritti umani sfociava nelletragedie dei genocidi. Si è inventatoprima il Tribunale penale dell’Aja perla ex Jugoslavia e poi quello di Arusha

per il Ruanda e quello della Sierra Leone per giudicare icriminali, ma in realtà anche i sistemi politici. Eppure,anche in questi casi, le regole previste hanno bloccatoqualsiasi possibilità di ricostruire memorie giudiziarie epunire i colpevoli. È sufficiente, per la scena mediatica eper la politica scellerata delle consegne in cambio di si-lenzio, rifilare ai tribunali ogni tanto qualche vecchio ar-nese che imbarazza. È accaduto per Milosevic, per il ge-nerale croato Gotovina, recentemente per Taylor, macel-laio della Liberia, arrestato in Nigeria e spedito in SierraLeone. Ma quella dei diritti umani rischia di essere unabattaglia persa, se viene isolata dal contesto della giusti-zia economica e sociale, della costruzione della pace, del-la questione delle armi.

L’ultimo pasticcio si chiama Consiglio Onu per i diritti umani. Èstato appoggiato dai premi Nobel e dalle ong, ma farne unarappresentazione buonista non serve. L’idea di un’entità so-

vranazionale per vigilare sui diritti umani è ottima, però non basta. Oc-corre che cammini e risulti efficace. Proprio quello che il nuovo Consi-glio non è. Finora a occuparsi di diritti umani c’era la vecchia Commis-sione, con sede a Ginevra. Era discreditata soprattutto dopo che, di re-cente, alla sua presidenza era stato eletto il rappresentante della Libia,paese campione del rispetto dei diritti umani… Da qualche tempo, susollecitazione di 160 ong, si discuteva della possibilità di superare la

Commissione con uno strumentopiù agile e ristretto, in grado di reagi-re con rapidità ed efficacia alle viola-zioni dei diritti umani nelle diverseparti del mondo. La costituzione delnuovo Consiglio è stata approvata datutti i paesi membri dell’Onu, eccettoisole Palau, isole Marshall, Israele eStati Uniti. Così si è gridato insiemealla vittoria e allo scandalo.

Ma cos’è il Consiglio? Una cosettasimile alla vecchia Commissione.Sarà composto da 47 membri invecedi 53. Si riunirà almeno tre volte all’anno. Potrà fare studi,indagini, inchieste, ma non avrà poteri decisionali. Perqualsiasi decisione, secondo statuto, occorre la maggio-ranza dei due terzi; essendo la maggior parte dei membridell’Onu paesi deficitari, per varie ragioni, in tema di di-ritti umani, è evidente che il Consiglio è solo uno dei tan-ti modi per ripulirsi pubblicamente la coscienza.

Gli Stati Uniti chiedevano maggiore potere per il Con-siglio, ben sapendo che il livello di compromessi bilan-ciati sui quali si regge qualsiasi decisione che si prende al-le Nazioni Unite avrebbe impedito di arrivare a tanto. Laposizione Usa è schizofrenica: vanno in giro per il mondoa imporre democrazia in punta di fucile, ma consentonol’esistenza di Abu Ghraib e Guantanamo. Non si sono

contrappunto

È stato approvato da tutti i paesi

del mondo meno quattro(tra cui Usa e Israele).Ma non è un grande

affare: il nuovoorganismo Onu

è farraginoso come la vecchia Commissione.

Servirà solo a lavare le coscienze?

di Alberto Bobbio

internazionaleafrica

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internazionale

38 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 0 6

La politica indiscriminata diimportazione di prodotti-chiavestrozza i contadini di Diakolidoue non permette loro di potenzia-re la propria produzione agricola,dunque l’autosufficienza alimen-tare del villaggio. E c’è di più: ognicontadino di Diakolidou ha sulleproprie spalle, come accade aciascuno dei suoi connazionali,un debito immobilizzante, chepaga ogni giorno attraverso una mancanza di opportu-nità per il miglioramento delle proprie condizioni di vitae di quelle della propria famiglia, a cominciare da educa-zione e salute.

Fondo guineano-italianoDiakolidou è solo uno delle migliaia di insediamenti ruralidella Guinea, che nonostante tutto dimostrano una adat-tabilità notevole ai rovesci della natura e della storia, ovve-ro una capacità arcaica di gestire piogge, stagioni secche,invasioni di cavallette, ma anche effetti dell’aggiustamen-to strutturale, del debito estero, di politiche commerciali ir-responsabili.

Diakolidou però ha avuto anche l’opportunità di bene-ficiare di una concreta leva di sviluppo, resa disponibile dalFoguired (Fonds Guineo-Italien de Reconversion de la Det-te, Fondo guineano-italiano di riconversione del debito).Creato nel 2003 per iniziativa della Conferenza episcopaleitaliana tramite la Fondazione Giustizia e Solidarietà, il Fo-guired è lo strumento che sta lavorando, grazie alla com-partecipazione di soggetti istituzionali e della società civileguineani, per tradurre in progetti di sviluppo comunitarioe contro la povertà i fondi raccolti in Italia in vista del Giu-bileo del 2000 e il corrispettivo messo a disposizione dalgoverno guineano. Le sue disponibilità sono pari a 7,5 mi-lioni di euro; 1,5 sono versati dal governo guineano (in va-

luta locale) e corrispondono a una parte del debito versol’Italia cancellato dall’accordo bilaterale, i restanti 6 sonoversati da Giustizia e Solidarietà. Finora sono stati appro-

vati dal Foguired 200 progetti, per2,2 milioni di euro; sono in istrut-toria avanzata circa 500 altri pro-getti (per altri 2 milioni di euro).Ulteriori iniziative sono state giàidentificate e si prevede che entrofine 2006 verrà allocata la totalità oquasi dei fondi disponibili.

A Diakolidou il Foguired stacercando di valorizzare capacità,risorse e saperi locali, con un in-tervento che mira a migliorare leproduzioni rurali. Analoghi pro-getti sono in corso in diverse zonedella Guinea: oltre agli interventi asupporto di attività produttive, ilfondo opera nel settore sanitario,dell’educazione, della formazionedegli adulti e dei diritti sociali.

Nel caso di Diakolidou, come in tante altre comunitàtoccate in questi anni, la scommessa è però più ambizio-sa: si punta, infatti, ad andare oltre il puro e semplice ap-poggio alla produzione, per creare dinamiche virtuosenella società civile, affinché ai diversi livelli di partecipa-zione e nei diversi ambiti istituzionali, in città come in pe-riferia, si organizzino presenze capaci di favorire un cam-biamento, concreto e democratico.

Un altro esempio di partecipazione attiva della societàcivile lo fornisce il Carp (College Acteurs pour la Réductionde la Pauvreté), sostenuto dal Foguired e direttamente daGiustizia e Solidarietà. Questa rete di ong e associazionilavora capillarmente in scuole, università e luoghi di lavo-ro, con l’intento di aiutare gli abitanti di alcuni quartieri diConakry a comprendere i meccanismi che li mantengonoin condizioni di esclusione, cercando di fare luce sullecause politiche, economiche e sociali della povertà. Anchein questo caso, in città come a Diakolidou in piena brous-se, l’obiettivo ultimo è rafforzare la società civile e crearecoscienza. Perché da essa nasca un atteggiamento di re-sponsabilità, da parte della popolazione, nei confronti del“bene comune”. È la sola condizione per influenzare lapolitica, che lasciata a se stessa minaccia di trascinare ilpaese nel baratro della guerra civile. Ed è una scommessadi maturazione collettiva, che prova a fiorire sul terrenodella liberazione dal debito.

Evoluzione del debito nei due Paesi africani oggetto dell’iniziativa italiana (dati in mililoni di dollari)

1982 1996 2001 2004Guinea (Hipc: decision point)

Debito estero totale 1365,60 3240,30 3254,30 3538,40Servizio del debito pagato 88,90 113,50 105,40 171,80

Zambia (Hipc: completion point)Debito estero totale 3658,00 7060,10 6069,10 7245,80Servizio del debito pagato 333,70 250,70 185,00 419,40

Fonte: elaborazione su dati della Banca Mondiale

RIPARTIREDAL BASSOUn progetto rurale finanziato in Guineadal Foguired

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agenda territori

fa parte del “Progetto Dialogo. Prossimitàe cura delle relazioni: la persona comerisorsa” ed è proposta dalla Caritasdiocesana vicentina, in collaborazionecon altri uffici diocesani e altre realtàecclesiali. Il progetto prevede la nascitanel territorio diocesano di centri di ascolto differenziati a seconda dellatipologia delle “fatiche” che fiaccano le famiglie, in particolare quelle legatealle relazioni di coppia, alla genitorialità,alla fragilità giovanile e, appunto, alla sofferenza psichica. L’attività diascolto, accompagnamento e prossimitàrispetto a tali sofferenze prevede anchela creazione di specifici gruppi di auto-mutuo aiuto, sostenuti da équipe di esperti, che si metteranno in rete con i servizi sociali pubblici.

BOLOGNA

Sartoria “solidale”nella bottega“Per filo e per segno”

Tagliano, aggiustano e cuciono in una bottega del centro città. È il nuovolaboratorio di sartoria aperto nel puntovendita “Per filo e per segno. Abiti eabilità sociali”; all’interno del laboratorio,gestito dalle cooperative sociali SiamoQua e Piccola Carovana, lavorano alcunesarte professioniste di nazionalitàstraniera, affiancate da donne italiane e straniere in condizione di grave disagiosociale. Il tutto a prezzi imbattibili: orli e riparazioni a macchina costano 5 euro, eseguiti a mano 7 euro. “Per filo e per segno” è un progettopromosso dalla Caritas diocesana a partire da settembre 2004, con altrienti e cooperative; è uno spazio di incontro tra diverse realtà del territorio,che operano per promuoverel’integrazione sociale, valorizzandoindividui fragili. [redattore sociale]

NAPOLI

Mediatori culturali sugli autobusper viaggi di conoscenza e fiducia

Ventisei mediatori culturali formati dalla Caritasdiocesana di Napoli sono all’opera comefacilitatori di integrazione, da fine marzo, su cinque autolinee della Compagnia di trasportipubblici (Ctp), nell’ambito del progetto Contact 2.I mediatori culturali operano, sui mezzi pubblici,

per creare relazioni e facilitare i rapporti tra viaggiatori italiani e personestraniere, spesso a disagio in un ambiente non sempre accogliente e diversodai loro per cultura e abitudini. «L’autobus è in genere considerato solo un mezzo di trasporto e talvolta isola le persone nonostante la vicinanza – ha spiegato monsignor Vincenzo Mango, direttore della Caritas diocesana di Napoli –. Noi proviamo a favorire un processo di integrazione e dialogo: così il bus diventa un luogo per un viaggio della conoscenza e della fiducia».Contact è un progetto (il primo proposto in Italia da un’azienda di trasportipubblici, sostenuto dalla provincia e realizzato anche grazie alla cooperativasociale La Locomotiva) pone Napoli come capofila per lo sviluppo di buoneprassi per l’integrazione e sarà presto ripreso ad Alessandria e Firenze.

PADOVA E ROVIGO

Microcredito persoggetti in difficoltàe nuove cooperative

Si chiama “Progetto Microcredito” la nuova iniziativa promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione conle Caritas diocesane di Padova e Adria-Rovigo. L’obiettivo è offrire sostegno apersone e famiglie che vivono situazionieconomiche precarie e rischiano l’usurae il progressivo indebitamento, oppure a nuove società di persone o cooperativesociali, costituite per intraprendereun’attività lavorativa. Il progetto prevedeanche il sostegno a necessità abitative(mensilità anticipate, acquisto mobili,attivazione utenze), a spese sanitarie,scolastiche o al mantenimento dellerelazioni con la famiglia di origine da parte degli stranieri. La Fondazione

ha messo a disposizione delle Caritas200 mila euro per un fondo di garanziapresso la Cassa di Risparmio di Padovae Rovigo, che concederà i finanziamenti.La restituzione progressiva consentirà al fondo di garanzia di autoalimentarsi,ampliando il numero dei potenzialibeneficiari. Alle Caritas è affidato il compito di svolgere l’attività istruttoria e di accompagnare i soggetti richiedenticon un’attività di verifica e tutoraggio.

VICENZA

Nuovi centri d’aiutosul disagio psichico,corso per volontari

È partito a fine aprile un corso diformazione in quattro incontri, destinatoa persone motivate a prestare servizio divolontariato a favore di chi soffre un disagio di tipo psichico. L’iniziativa

Palermo,l’apertura al mondo parte dai migrantiE grazie ad Anthony comincia un dialogo con il Ghana

Nel corso di questo anno pastorale, la Caritas diocesana di Palermo ha promosso una serie di iniziative nel campo dell’educazione alla mondialità.La portata innovativa della proposta ha tuttavia incontrato la resistenza di molte comunità parrocchiali: «Perché occuparsi dei poveri che si trovanodall’altra parte del pianeta – hanno obiettato alcuni –, quando i poveri di casanostra bussano con insistenza alle porte delle nostre parrocchie?».

Bisogna ammettere che l’operato di molte parrocchie risulta centrato sulla condizione locale, mentre la prospettiva globale rimane ancora estraneaalle dinamiche della pastorale ordinaria. Inoltre è particolarmente difficilel’impegno per un’azione pastorale coordinata, capace di superare gli ostacoliposti dalla molteplicità degli uffici diocesani che, a vario titolo, si occupano di pace, mondialità, tutela dei diritti fondamentali della persona, diritto allo sviluppo, ecc.

Parimenti, non è semplice coinvolgere le comunità dei religiosi e delle religiose presenti in diocesi: il patrimonio di esperienze, testimonianzee progettualità che tante congregazioni sviluppano con coraggio in terra di missione – con il coinvolgimento di tanti laici – non è ancoraadeguatamente condiviso dall’intera comunità ecclesiale, ma rimane per lo più all’interno dei confini delle comunità di riferimento.

Il dramma, poi la conoscenzaPur tenendo presente questo contesto, irto di condizioni sfavorevoli, la scelta iniziale effettuata dallaCaritas diocesana è stata netta. Per aprirsi alla prospettiva della mondialità, bisogna farsi interrogaredalla presenza delle comunità di immigrati nella città di Palermo: attraverso l’incontro con i volti e le storie di migranti (uomini e donne provenienti da Sri Lanka, Filippine, isole Mauritius, dal Maghrebe dalle regioni dell'Africa centrale) è stato possibile avviare una riflessione sulle povertà che oggisegnano la società globalizzata e tracciano in essa i confini, ai margini dei quali viene violentatal’umanità sofferente.

Nel cammino pastorale non mancano dunque le difficoltà, ma costituiscono un motivo di speranza le esperienze di fraternità e di condivisione che molte parrocchie hanno già sperimentato. La parrocchiaSant’Oliva a Palermo, per esempio, si è fatta carico della situazione di Anthony, un giovane ghanese.Giunto in città nel 1999, Anthony comincia a lavorare ai mercati generali. Nel 2001 accusa problemi di salute e due anni dopo viene colto da un ictus emorragico, che lo ha reso inabile al cento per cento.

La Caritas parrocchiale si è fatta carico della sua situazione, adoperandosi per garantire ad Anthonyun’assistenza adeguata e il riconoscimento del diritto a riunirsi con la propria famiglia che, rimasta in Ghana, era stata contattata e sostenuta economicamente da una rete di famiglie solidali.

La presenza di un sacerdote missionario nel villaggio di origine di Anthony si è rivelata l’occasionepropizia per aprire un dialogo con la moglie e i figli, con il risultato del coinvolgimento dell’interacomunità parrocchiale e, di recente, anche di una scuola media del quartiere, che si è impegnata a sostenere un’iniziativa in favore del villaggio. E questo è solo l’inizio del cammino.

parrocchia e mondialità di Francesco Campagna

SGUARDO OLTRE L’ISOLADue immagini della manifestazione“Palermondo”, che ha vistocoinvolta la Caritas diocesana

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agenda territori

Primavera, solidarietà in mostra. Da Firenzea Padova. Dopo il successo della rassegnatoscana Terra Futura, torna dal 5 al 7

maggio nella fiera del capoluogo veneto Civitas, mostra-convegno della solidarietà e dell’economia sociale e civile. Giunta all’undicesimaedizione, Civitas si concentra quest’anno sul tema “GenerAzioni.Generare partecipazione, buone pratiche, valore, bene comune”. I protagonisti dell’evento sono, come sempre, i cittadini, la societàcivile (associazioni, ong, movimenti), le imprese e le istituzioni, chiamatia momenti di confronto e scambio di esperienze e buone pratiche. Nel 2006 saranno confermati i numeri del 2005, quando gli oltre 680espositori e i 5 mila metri quadrati di esposizione, gli oltre centoconvegni e 600 relatori attirarono circa 50 mila visitatori. CaritasItaliana sarà presente a Civitas con due strumenti. Anzitutto animeràuna tavola rotonda, il 7 maggio, sul tema “Caritas e ambiente: 35 annitra emergenze e salvaguardia del creato”, con la presenza del direttoremonsignor Vittorio Nozza, di un alto dirigente della Protezione civilenazionale e la presentazione di alcune esperienze diocesane; la tavolarotonda servirà anche per presentare alcuni sussidi sul tema. Inoltreuno stand promosso da Caritas Ambrosiana ospiterà anche l’organismonazionale e Caritas Padova.

Confronto nella FortezzaDal 31 marzo al 2 aprile si è invece svoltanella Fortezza da Basso, a Firenze, la terzaedizione di Terra Futura: i 78 mila visitatori,i 390 espositori e gli oltre 190appuntamenti culturali, animazioni

e laboratori hanno decretato il successo dell’evento, che si propone di far dialogare soggetti che operano per costruire un futuro di sostenibilità. Come produrre e utilizzare energie alternative,promuovere filiere corte per economie leggere, vivere con stilesostenibile i consumi quotidiani, gestire in modo partecipato le scelteimportanti per le città, fare pressioni sulle imprese non sostenibili e sui governi, sollecitare politiche ambientali e sociali integrate: suquesti temi si è sviluppato un serrato confronto, al quale ha dato il suocontributo anche Caritas Italiana, copromotore del programma culturale,tramite conferenze, tavole rotonde e testimonianze. Allo stand Caritas,operatori e volontari delle Caritas toscane hanno condotto un ampiosondaggio tra i visitatori sul rapporto tra chiesa e temi ambientali.

bacheca a cura dell’Ufficio comunicazioneROMA

Assistere stranierie persone fragili,lezioni per infermieri

Senza dimora, immigrati, emarginati:l’esperienza dei medici Caritas vienemessa a disposizione degli operatori del 118. A Roma è stato avviato a finemarzo un corso di formazione, rivolto a trenta infermieri in servizio nei centri di emergenza del Lazio, sull’approcciointerculturale nell’assistenza a personefragili ed emarginate. Organizzata dalla Caritas diocesana di Roma, in collaborazione con l’Azienda regionaleAres 118, l’esperienza formativa verteràsugli aspetti medici e sociosanitaridell’assistenza agli immigrati, agliemarginati e in genere a tutti coloro chesoffrono di traumi sociali. L’esperienzadei medici Caritas sarà condivisa con gli operatori dell’Ares 118 per migliorareil loro servizio; essi poi si impegnerannoin servizi di volontariato e campagne di promozione della salute promossi da Caritas Roma. [redattore sociale]

CAMPOBASSO

“Fotopetizione”:volti per batterei commerci di armi

La Caritas diocesanaorganizza dal 7 al 14maggio al convitto“Mario Pagano” diCampobasso la mostra

fotografica “Control Arms”, sostenuta dalgruppo molisano di Amnesty Internationale dal comitato regionale Unicef-Molise.Elaborata dalla campagna internazionaleControl Arms e diffusa in numeroselingue, la mostra consiste in 29 pannellicon immagini e commenti che illustranocome, in ogni parte del globo, la

diffusione incontrollata di armi siadisastrosa per la vita e lo sviluppo delle popolazioni. I visitatori della mostrapotranno aderire alla fotopetizione “Un milione di volti”, strumento visuale di pressione contro la diffusioneincontrollata delle armi nel mondo.L’iniziativa si propone di raccogliere intutto il mondo un milione di ritratti entro il 2006, come supporto a Control Arms,per chiedere la stipula di un trattatointernazionale sul commercio di armi.

RAGUSA

Povertà in diocesi,sempre più donnee coppie in crisi

Donna, separata, italiana, con un’etàcompresa tra i 19 e i 44 anni. Questo è l’identikit della persona che piùfrequentemente si è rivolta ai centri di ascolto della Caritas di Ragusa nel 2005. La relazione annualedell’Osservatorio delle povertà delladiocesi iblea raccoglie i dati relativi a 395utenti, 239 femmine e 156 maschi;gli interventi realizzati dai centri d’ascoltoCaritas sono stati 1.611 e hannoriguardato povertà sottostimate e altrepiù facilmente percettibili. Tra le primeoccupano una posizione di rilievo la situazione dei carcerati e quella dei dipendenti da sostanze o da gioco. Le situazioni più gravi di fragilità, tuttavia,riguardano tre grandi temi. La famiglia èproblematica nel 40% dei casi; i casi diseparati o divorziati sul totale dell’utenzasuperano il 15%, la fine o la crisi di un progetto di coppia coincide spessocon l’inizio di una sofferenza economica.Disoccupazione e lavoro nero risultanoanche molto diffusi. Non mancano infinecasi di impoverimento dovuti alla cattivagestione del reddito o all’indebitamento,con i connessi rischi di usura.

Il mondo in marcia contro la fame,Caritas appoggia l’iniziativa Pam

L’appuntamentoÈ il principale evento mondiale per sensibilizzare l’opinione pubblica sul pressante problema della fame, che falcidia ancora tante persone e in particolare molti bambini in ogni parte del mondo. L’iniziativa “Fight hunger – Walk the world” (“Il mondo in marcia contro la fame”) si svolgerà in contemporanea in tutto il pianeta il 21 maggio. Promossa dal Programma alimentare mondiale (Wfp-Pam) delle Nazoni Unite, conl’adesione di molte organizzazioni della società civile, tra cui la rete Caritas

Internationalis, l’iniziativa vuolecontribuire a raggiungere il traguardo,fissato negli Obiettivi del Millennio, deldimezzamento del numero di personeche soffrono di fame entro il 2015. Un intento tanto ambizioso quantorealizzabile, che necessita però di una

presa di coscienza del problema a livello mondiale, non legata solamente a situazioni di emergenza oppure a eventi straordinari. Ecco quindi un’interagiornata dedicata al problema, una giornata in cui “a tutte le latitudini e lungo tutti i fusi orari, nelle stesse ore, ricchi e poveri, adulti e bambini siuniscono e camminano insieme per dire basta alla fame e alla sofferenzadei bambini”. Anche l’Italia sarà coinvolta nella manifestazione e diversesaranno le città nelle quali si marcerà contro la fame. Oltre a Roma, che siconferma dopo aver già ospitato la scorsa edizione dell’evento, quest’annoci saranno anche Trento, Monza, Firenze, Bologna, Pesaro, Brindisi e Catania, oltre alle città che decideranno di unirsi nelle ultime settimane.

Il progetto e la sua storiaIl Pam-Wfp assiste ogni anno circa 100 milioni di persone in più di 80 paesi,puntando principalmente sul programma “School feeding”, per mezzo del quale viene fornito cibo alle mense scolastiche dei paesi sottosviluppati.Per raccogliere ulteriori fondi in supporto a questa ed altre attività, nel 2003è nata la marcia “Fight Hunger”, grazie alla collaborazione del Programmacon la grande azienda Tnt. Da allora l’iniziativa si è diffusa notevolmente,arrivando lo scorso anno a mobilitare 201 mila persone sparse in ogni partedel globo: le marce si sono svolte in ben 266 località di 91 paesi e 24 fusiorari diversi. Un risultato che ha portato a raccogliere fondi sufficienti per sfamare 70 mila bambini per un intero anno. L’obiettivo per l’edizione2006 è toccare quota 750 mila partecipanti.

Per saperne di più www.fighthunger.org e www.wfp.it

sto in campagna a cura di Paolo Riva

Da “Terra Futura”a “Civitas”,primavera solidale e sostenibile

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villaggio globale

L’oca di Tabucchi difende la libertà di parola:«Dialogo e cittadinanza contro il buio di questo tempo»

a tu per tu di Danilo Angelelli

palinsesto i programmi di Psicoradio(che vertono su salute mentale,cronaca, arte e immigrazione) è la bolognese Radio Città del Capo.L’idea ha riscosso grande entusiasmoanche in alcuni celebri attori: AlessandroBergonzoni, Lella Costa e Paola Pitagorahanno assicurato la loro partecipazionead alcuni programmi. A Mantova, invece,si può ascoltare Rete 180 - La voce dichi sente le voci. È un’emittente in cuilavorano persone che hanno (o hannoavuto) una malattia mentale e sono in contatto con un centro psicosocialedella locale Asl. Su Rete 180 musica ele “pillole” del centro; si può contattareanche il sito internet (www.rete180.it).

LIBRI

“Strettamentepersonale”, lettureper adolescenti

L’adolescenza, con le trasformazioni, la gioia e gli eccessi che lacaratterizzano, non è quasi mai un’isola

felice. Strettamente personale è il titolodi una nuova collana, proposta dalleEdizioni Paoline, di testi narrativi peradolescenti scritti in forma di diario:racconta storie in cui gli adolescentipossono specchiarsi e affronta i temidell’età. La sua particolarità, oltre alla

formadiaristica, ènel contattodiretto conla realtà:

la parte finale di ogni libro è redattainsieme a una associazione vicina agliadolescenti e apre una finestra sulmondo reale, mettendo a disposizioneinformazioni utili. La collana puòdiventare anche uno strumento peroperatori e genitori. Finora sono uscitidue titoli: Solo un anno. Diario di un adolescente (su innamoramento erapporti con l’altro sesso, insieme adAgesci) e Come un pinguino. Storiadi un’amicizia speciale (sulla realtàdei diversamente abili, insiemead Aias - Associazione italianaassistenza spastici).

GIORNALI DI STRADA

“Scarp de’ tenis”,cento passicoi senza dimora

Cento passi, e ancora tanta voglia di camminare. Anche se l’unico veicolo èquello – povero – espresso dalla testata,che rimanda a una nota canzone di EnzoJannacci. Scarp de’ tenis, mensile di strada edito da cooperativa Oltre e promosso dalla Caritas Ambrosiana,ha compiuto ad aprile cento numeri. In dieci anni ha consentito a centinaia di persone senza dimora e con problemidi povertà e disagio di raccontarsi,

ma anche di avereun’opportunità lavorativa,di reddito, di reinserimentosociale. Viene in parte scritto ediffuso (in strada, sui sagrati dicirca 900 parrocchie e in unaventina di aziende non solo a Milano, ma anche a Torino,

Genova e Napoli) da una cinquantina dihomeless, che trattengono un euro percopia venduta. Il numero 100, con DylanDog in copertina, ripercorre le tappe di un lungo cammino, il suo significato, i traguardi raggiunti, la collaborazionecon tanti partner del mondo ecclesiale,del volontariato e sindacale.

RADIO

Psicoradio e Rete 180,nell’etere la vocedi “chi sente le voci”

Programmi radiofonici realizzati dapazienti con problemi psichici, in ondasu emittenti locali e in futuro in internet.È partito a marzo il progetto Psicoradio,promosso dall’onlus Arte e Salute e dal dipartimento di salute mentaledell’Azienda Usl di Bologna. La primaemittente a inserire nel proprio

Al Convegno ecclesiale nazionale di Verona ci si puòpreparare in tanti modi. Anche… con una telecamera. LeAcli, in collaborazione con il Servizio nazionale per il Progettoculturale della Cei, propongono infatti “Lavori in… corto”, un concorso per cortometraggi sui temi del lavoro, rivolto atutte le parrocchie e diocesi italiane, ai centri di promozionedella cultura cristiana e, in generale, ai gruppi che si

occupano di cinema amatoriale. “Lavori in.... corto” è una proposta direttasoprattutto ai giovani e cerca di coniugare il linguaggio cinematografico conl’attenzione alle sempre più complesse questioni del lavoro. Ogni video deveraccontare una o più storie legate al mondo del lavoro e avere una duratamassima di 15 minuti. Nella giuria ci saranno personaggi autorevoli delmondo dell’arte e dello spettacolo, premiazione il 24 giugno a Rimini.INFO Tel. 06.58.40.207; [email protected]; www.lavoriincorto.it

CINEMA

Telecamere sulla via di Verona,“corti”per raccontare il lavoro

LA LEZIONEPORTOGHESEUn bel primo pianodi Antonio Tabucchi;sotto, la copertinadel suo ultimo libro.Pisano, 63 anni,Tabucchi è un profondoconoscitore della letteraturaportoghese (che insegnaall’università di Siena) e dell’operadi Fernando Pessoa,dal qualeha attinto i concettidella saudade, della finzionee degli eteronimi. I suoi romanzi e saggi sono statitradotti in 18 paesi:tra i più famosi,Sostiene Pereira.Una testimonianza(1994) e La testaperduta diDamascenoMonteiro (1997)

In Sostiene Pereira tratteggia la figura di un giornalista simbolo della difesa della libertà di informazione per gli oppositori di tutti i regimi. Nell’ultimo L’oca al passo. Notizie dal buio chestiamo attraversando, pamphlet che raccoglie una serie di articoli pubblicati su alcuni dei piùautorevoli giornali italiani e stranieri, mette in guardia anche da chi possiede il quasi-monopoliodell’informazione. E il premio della Federazione europea della Stampa nel 2004 è andatoproprio a lui, Antonio Tabucchi. Motivazione: «Aver contribuito all’affermazione della libertà di parola in un momento in cui la concentrazione dei mezzi di informazione nelle mani di pochepersone preoccupa l’Europa».Poco è stato scritto su L’oca al passo. Le sue opinioni sono troppo scomode?Può darsi. Colgo adesso in Italia, da parte delle istituzioni, una sorta di prudenza rispetto al pensiero libero espresso dagli scrittori, dagli intellettuali. La prudenza è una grande virtù, ma quando diventa vigliaccheria è un grande difetto e forse un peccato.In questo suo lavoro parla di bellicismo, terrorismo e antiterrorismo, revisionismo, tentazionitotalitarie, razzismo e xenofobia. Lei è considerato il più europeo dei nostri autori: come è percepita negli altri paesi l’accoglienza degli italiani nei confronti degli immigrati?Abbastanza male. Anzitutto penso che l’Europa non abbia ancora elaborato una buona politicadi accoglienza, fatta in maniera intelligente, prudente e nel contempo generosa. Tuttavia mipare che l’Italia sia sicuramente uno dei paesi in cui, anche per l’affermazione di alcuni politici,abbiamo dovuto sentire espressioni che ci ricordano i peggiori momenti del Novecento.Lei ha due patrie, Italia e Portogallo. È un’occasione per capire meglio la disperazione di chi non ha un paese?Penso di sì e per questo insisto sul concetto di cittadinanza. L’Europa dovrebbe elaborarlobene, traendolo da una grande e nobile tradizione culturale che abbiamo, a cominciare dalla polis greca, passando attraverso Aristotele e arrivando fino a Kant, all’Illuminismo e ai pensatori migliori della nostra cultura. Se l’Europa lo facesse, probabilmente riuscirebbe a imporlo in certi paesi in cui la xenofobia è prevalente.Quale dei 253 personaggi citati ne L’oca al passo rappresenta una luce?Il già citato Kant, un economista come Keynes e poi gli artisti – uno su tutti, Stanley Kubrick –che hanno sempre interpretato le esigenze più profonde della persona umana.In una parte del libro ripete più volte: «Se essere italiani significa… lascio questa italianità a voi». A quale italianità, invece, lei tiene con orgoglio?A un’italianità consapevole che la nostra grande cultura è soprattutto frutto di un incontro di culture, credenze, appartenenze, religioni, etnie diverse, e (come direbbe sciaguratamenteanche qualche personaggio dei nostri tempi) “razze” diverse.Sull’affermazione «tratta il prossimo tuo come te stesso» non è possibile equivocare, come ricorda nel libro. Il buio del titolo rende più difficile trattare il prossimo come se stessi?Se intorno è buio è anche più difficile dialogare e amare. Io credo che il fatto di non riconoscere il nostro prossimo come noi stessi fa entrare le persone in una sorta di automatismo e di isolamento personale che diventa una malattia. E la malattia personalepoi si trasforma in malattia sociale, perché diventa una sorta di autismo.

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ritratto d’autore

A inizio aprile ho preso parte a una Via Crucis che ha girato per le diocesi della Puglia. A Monopoli, dove facevamo base, ero solita andare alla santa messa la mattina. Sono stata accolta con grande affetto dalla comunità e dal suo parroco,

don Vito Schiavone. E ho conosciuto Paola, che ogni mattina mi portava in chiesa e poi a fare piccole commissioni, Fernando, che mi ha aiutato con i capelli, Maria, con i suoi regalini. Insieme abbiamo pregato, gioito, condiviso le sofferenze.

Un giorno Maria mi dà un biglietto, è di Giulia: ha una malattia, è sulla sedia a rotelle, le sue parole mi spingono a dire «domani vorrei andare a trovarla». Giulia l’avevoconosciuta a Monopoli la scorsa estate, così semplicemente a una lettura sulla vita di Giovanni Paolo II, era seduta con gli altri, i nostri occhi si sono incrociati, non l’ho dimenticata. Il giorno dopo sono a casa sua: si muove su una sedia con le ruote,l’arredamento è semplice ma mi colpiscono i fiori molti e colorati sul terrazzino e anche nel saloncino. C’è una grazia in questa casa che accoglie, che accoglie. Non possodimenticare Giulia perché comprendo come la sofferenza vissuta nella fede sia sorgente di grazia. Il mio cuore è commosso dalla bellezza della sua anima. Non ricordo moltiparticolari, forse abbiamo bevuto il caffè, Giulia mi ha regalato un crocifisso da lei lavorato,la dedica è questa: “Io, quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” Gv 12, 32 - 5 aprile 2006 “A Claudia perché viva di questo Amore”.

Come lo conosce bene Giulia questo Amore. Ridendo mi ha raccontato che dalla parrocchia, quando ci sono ragazzi problematici al catechismo della Cresima, li mandano da lei a prepararsi. E diventano agnellini. Preparabavaglini ricamati per bambini, in cambio vuole solo una foto del bambino con su il bavaglino, perché ama i bambini. Mi ha anche regalato un sasso con la decalcomania di Gesù Risorto, lei non sa che amo i sassi e a casa ne ho tanti. È un modello per quelli che sta preparando per un convegno. Ne servono un centinaio. L’indomani sono sulla spiaggia a cercare sassi per Giulia.Lei ha un’infiammazione alle articolazioni, la gamba si sta gonfiando e le dàfastidio. Ed è preoccupata. Preghiamo il Signore con Paola, Maria e Angela, tutteinsieme. Accendiamo la candela, i fiori, Gesù Misericordioso che le ho portato è appoggiato ai fiori con grazia. È l’immagine di Gesù benedicente con i segnidella crocifissione nelle mani e nei piedi, i raggi uno pallido e l’altro rosso che fuoriescono dalla veste bianca all’altezza del cuore. È Gesù Risorto che sta per entrare nel Cenacolo come è apparso a suor Faustina Kowalska. Leggiamo

il Vangelo del giorno e da lì parte la meditazione. Preghiamo l’una per l’altra e per la pace,per tutti i figli di Abramo, preghiamo con fiducia, chiediamo la guarigione per la gamba di Giulia nel nome di Gesù. Il controllo del medico il giorno dopo conferma e dissipa le ultime preoccupazioni, la sua gamba è a posto, non ha nulla. Il Signore ha risposto alla nostra preghiera. C’è una frase di Madre Teresa che Giulia incarna perfettamente: “Noi non possiamo fare cose grandi, ma soltanto piccole cose con grande amore”. GrazieSignore perché mi hai fatto incontrare Giulia. Grazie Signore perché Tu sei grande nella TuaMisericordia, perché stai portando a compimento un’opera meravigliosa nella vita di Giulia.

I fiori sul terrazzino, un crocifisso in dono,

i bavaglini per il battesimo,

i ragazzi da prepararealla Cresima:incontro

con una donna costrettaall’immobilità

da una malattia.Ma capace

di accogliere e aiutare

di Claudia Koll attricevillaggio globale

pagine altre pagine di Francesco Meloni

Più che “maestri”, il mondo di oggi reclama e invoca“testimoni”, persone che sulla propria pelle e nell’anima,nei pensieri e nelle riflessioni, nella vita personale e sociale, incarnano e mettono in gioco se stessi,affiancando la loro passione di vivere al tormentato e precario andare di tante altre persone, soprattutto se esili, deboli e indifese. Tra i testimoni di fede cattolicavi sono molti preti, che hanno plasmato la loro vita con il vangelo vissuto. Una figura di testimone che ha lasciatola sua impronta, non solo in ambito ecclesiale o della Caritas, è raccontata nel libro di Pino CiociolaLuigi Di Liegro. Prete di frontiera (Editrice Ancora 2006,pagine 159). L’autore ci presenta un uomo animato da una formidabile passione per l’umanità, che lo portavaa indignarsi davanti alle ingiustizie e a spendersi senzarisparmio. Ideatore e guida per quasi vent’anni dellaCaritas diocesana di Roma, è stato definito “il monsignore

dei poveri”, ma è stato prima di tutto prete di chiunque. Il libro ospita anche i contributi-testimonianza di Alda Merini, Walter Veltroni e Giulio Andreotti.

Poi c’è la figura di don Carlo Gnocchi, che in una sua lettera al cugino Mario Biassoni così sintetizza l’essenza del cristianesimo:“Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono e hannobisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo, e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente, non comandaaltro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”. Don Carlo Gnocchi.Dio è tutto qui - lettere di una vita (Mondatori 2006, pagine 368) è stato curato da Oliviero Arzuffi, Annamaria Braccini, EdoardoBressan, Renata Broggini; prefazione del compianto storico GiorgioRumi. Di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, si occupa invece Zeno, obbedientissimo ribelle. Autobiografia (La Meridiana2006, pagine 280, a cura di Fausto Martinetti). Venendo infine ad anni più recenti, c’è la mite e discreta figura di don Tonino Bello,un altro “prete di frontiera” che ha sempre denunciato le ingiustiziee ha testardamente camminato al fianco dei poveri. Parola di uomo:Tonino Bello, un vescovo per amico, di Domenico Cives (Edizioni San Paolo 2004, pagine 192+8) continua a diffonderne la testimonianza, avendo ormai raggiunto la quarta edizione.

Luigi, Carlo, Zeno e Tonino:il vangelo vissuto e incarnatodi quattro “preti di frontiera”

SEGNALAZIONI

I cittadinia basso costo e le reclute “dentro”

Proponiamo ai lettori libri e audiovisiviche meritano attenzione. Ulteriorisuggerimenti su www.caritasitaliana.it

Arlie Russell Hochschild, Per amore o per denaro. La commercializzazione dellavita intima (Il Mulino 2006,

pagine 256). Il libro teorizza che le“emozioni” quotidiane, se ben osservatee ascoltate, possono sottrarre la nostravita (in famiglia, sul lavoro, a scuola) allatirannia commerciale del mercato.

Massimo Gaggi - EdoardoNarduzzi, La fine del cetomedio e la nascita dellasocietà low cost (Einaudi2006, pagine 142).

Nell’osservare la società contemporanea,gli autori analizzano il fenomenodell’assottigliamento progressivo del cetomedio (impoverimento vero o presunto?) e l’avanzare di una nuova massa di consumatori low cost (a basso costo),sospinta da un capitalismo chestandardizza ogni cosa. Un cambiamentoinsidioso per la politica e l’organizzazionedella vita pubblica e collettiva.Francesco Berté, Nuovi giunti. Raccontidal carcere (editrice Monti 2006, pagine

142). “Nuovi giunti” èun’espressione carceraria cheraffigura coloro che varcano la soglia delle prigione ed entrano in un mondo dove

vengono fotografati, catalogati, visitati,rinchiusi… e spesso lasciati soli. Cometrascorrono le loro giornate? Cosa passanella loro testa e nel loro cuore? Cosavogliono e cosa vorrebbero? In questepagine sono loro a raccontare, a se stessie a noi che stiamo “fuori”, le loro storie.

CERCARE SASSI PER GIULIACHE AMA SU UNA SEDIA A ROTELLE

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www.creativisinasce.it

Sezione manifestiannuncio stampa MENZIONESPECIALE DI MERITOCARITAS ITALIANACorrado Gemini,Azzurra Bongiorno,Mariangela RanieriAccademia di ComunicazioneMilano

Quarta edizione Premiazione a Salerno 2 giugno 2005

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