MEMORIA DEL FUTURO. Leggere Franco Fortini a cento anni ... · Nasce a Firenze da padre ebreo ......

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MEMORIA DEL FUTURO. Leggere Franco Fortini a cento anni dalla nascita giovedì 23 marzo, h. 17, Biblioteca Pietro Thouar, Piazzo Tasso 3 Letture di Stefano Giovannuzzi giovedì 6 aprile, h. 17, Biblioteca Mario Luzi, via Ugo Schiff 8 Letture di Stefano Carrai giovedì 20 aprile, h 17, BiblioteCaNova Isolotto, via Chiusi, 4/3 A Letture di Paolo Maccari giovedì 4 maggio, h 17, Biblioteca Villa Bandini, via di Ripoli 118 Letture di Caterina Verbaro giovedì 18 maggio, h 17, Biblioteca Filippo Buonarroti, viale Guidoni, 188 Letture di Giacomo Trinci Franco FORTINI (pseudonimo di Franco Lattes, 10.9.1917 28.11.1994) è autore di una produzione vastissima, dalla poesia alla saggistica, dalla traduzione (Brecht, Goethe, Proust, Simone Weil, Éluard...) alla narrativa, imponendosi come figura centrale nello spazio letterario e politico del suo tempo. Nasce a Firenze da padre ebreo antifascista e da madre cattolica, in una famiglia laica e culturalmente stimolante, ma segnata, negli anni formativi del poeta, dalla "diversità" politica e (poi) razziale. La precoce motivazione artistica, tra letteratura e pittura, convive nel giovane con una forte istanza etica, che assume anche aspetto religioso (con una frequentazione, poi feconda, dei testi biblici). Fortini avverte presto un'esigenza di alterità nei confronti della cultura dominante (anzitutto l'ermetismo, del quale comunque a lungo risente) e cerca riferimenti, oltre che nella grande tradizione (letteraria anzitutto Dante ma anche pittorica), o in esperienze novecentesche non canoniche (Michelstaedter...), nella frequentazione della grande cultura europea (a partire da Dostojevskij) e della teologia protestante. Importante è anche il duraturo legame con l'antimoderno Giacomo Noventa. Fortini comincia a pubblicare già negli anni Trenta ma decisiva è per lui l'esperienza della guerra, soprattutto dal '43, con l'esilio svizzero (che porta un profondo ampliamento culturale) e la Resistenza. Del 1946 è la prima raccolta, Foglio di via e altri versi (poi rimaneggiata nel '67), dove emerge in modo originale il conflitto tra eredità ermetica e temi storici e ideologici (con relative esigenze stilistiche) legati alle esperienze recenti. Stabilitosi nel dopoguerra a Milano, iscritto al Partito Socialista, inizia un'intensa attività culturale (collabora, tra l'altro, al "Politecnico " di Vittorini). Dal '47 è impiegato alla Olivetti, mentre negli anni '50 avvia una collaborazione stabile con Einaudi. Insofferente della pesante atmosfera successiva al '48, tra destra dominante e sinistra stalinista, entra in contatto, nel '51, con un gruppo di intellettuali interessati a una riflessione di sinistra non ortodossa, che darà vita, dal '55 al '57 alla rivista "Ragionamenti" (tra essi, oltre a Michele Ranchetti, Renato Solmi, il traduttore di Adorno e di Benjamin, riferimenti fondamentali per Fortini). Mentre, per altro verso, dal '55 al '59', lo scrittore è impegnato (con Pasolini, Roversi, Scalia) nella rivista "Officina", tesa ad un rinnovamento letterario, altre le secche del neorealismo o del tardo ermetismo. Del 1959 è Poesia ed errore, la seconda raccolta, che raccoglie liriche dagli anni trenta al presente; opera complessa, eterogenea, che registra comunque l'allargamento dell'orizzonte culturale e l'atteggiamento di ricerca dell'autore. Già nel titolo è esposta la tensione che investe dall'esterno e dall'interno la poesia. Questa deve contrapporsi all'errore: il negativo che domina la storia ma che contamina la poesia stessa, allorché essa si fa, in vario modo, evasione. La poesia deve approntare strategie di confronto adeguato col reale, che attraverso un uso "astuto" della negazione (con una dialettica aperta) evitino i rischi del ricalco "realistico" (di vario tipo) che ratifica l'esistente o per altro verso dell'autonomizzazione estetica, attraverso la sperimentazione formalistica o le derive post-ermetiche. Dal '61 Fortini è in rapporto con i marxisti non ortodossi di "Quaderni Rossi" ('61-'65; Renato Panzieri, Mario Tronti...) e col gruppo di giovani (Bellocchio, Cherchi) che dal '62 daranno vita a" Quaderni Piacentini". Con un percorso di chiarificazione politica, che lo porterà ad essere uno dei riferimenti della sinistra alternativa (fondamentale il saggio Verifica dei poteri , 1965) e delle lotte di fine anni '60. Del '63 è la rottura dell'impiego alla Olivetti e della collaborazione con Einaudi. Dal '63 al '71 (quando verrà chiamato, cinquantaquattrenne, all'Università di Siena) Fortini insegna negli Istituti Tecnici. A questa fase, oltre agli aforismi e epigrammi dell'L'ospite ingrato (1966), risale la raccolta Una volta per sempre (1963). Il titolo assertivo esprime la certezza di una "posizione" politico-culturale e poetica. Il che non esclude (anzi implica, in una logica dialettica di assunzione della contraddizione) l'apertura sempre problematica alla sperimentazione, in corrispondenza (mediata) al divenire reale. La scrittura si apre a una varietà di situazioni, attenta anzitutto alla nuova realtà neocapitalistica. Ma il reale è assunto oltre l'immediatezza, attraverso il distanziamento riflessivo e la proiezione su un asse temporale esteso. Il che permette la piena prospettiva della negatività storica e la memoria delle pur deboli istanze di adempimento futuro, nelle quali la poesia trova la sua ragione. Fortini si esprime con un vivace e nitido linguaggio allegorico. La lezione di Brecht è essenziale (una sezione è appunto intitolata Traducendo Brecht). Mentre la sequenza Poesia delle rose, di tensione linguistica estrema, fa pensare a un confronto con l'emergente Neoavanguardia. Tali posizioni giungono a piena maturazione con Questo muro (1973), che segna l'avvio della più alta produzione poetica. All'attenzione per il presente corrisponde la massima tensione estraneante, attraverso il rigore della forma, con il riuso della tradizione alta (il "classicismo" fortiniano). Emergono i motivi della senilità e della relazione con i defunti. Aspetti che si confermano in Paesaggio con serpente (1983) e in Composita solvantur (1994). Dove la sottrazione di sé (nella prospettiva della scomparsa) accentua lo spostamento percettivo, producendo un'attenzione nuova all'esistente, uno sguardo "abbassato" al livello delle cose (anche le piccole vite animali e vegetali), fuori dai modi dell'immedesimazione possessiva e dunque fuori dall'evasione idilliaca. INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE ESSENZIALI: Franco FORTINI, Tutte le poesie, a cura di Luca Lenzini, Mondadori (Oscar), 2014 (con una bibliografie dettagliata); Saggi ed epigrammi, a cura di Luca Lenzini, Mondadori, 2003. Della letteratura critica vanno anzitutto ricordati Luca Lenzini, Il poeta di nome di Fortini. Saggi e proposte di lettura, Manni, Lecce 1999; Romano Luperini, Il futuro di Fortini, San Cesario di Lecce, Manni, 2007; Luca Lenzini, Un’antica promessa. Studi su Fortini, Quodlibet, Macerata 2013. Da FOGLIO DI VIA (1946) Varsavia 1939 Noi non crediamo più alle vostre parole Né a quelle che ci furono care una volta Il nostro cuore l’ha roso la fame Il sangue l’han bevuto le baionette. Noi non crediamo più ai dolori alle gioie Ch’erano solo nostre ed erano sterili La nostra vita è in mano dei fratelli E la speranza in chi possiamo amare. Noi non crediamo più agli dei lontani Né agli idoli e agli spettri che ci abitano La nostra fede è la croce della terra Dov’è crocifisso il figliuolo dell’uomo. Foglio di via Dunque nulla di nuovo da questa altezza Dove ancora un poco senza guardare si parla E nei capelli il vento cala la sera. Dunque nessun cammino per discendere Se non questo del nord dove il sole non tocca E sono d'acqua i rami degli alberi. Dunque fra poco senza parole la bocca. E questa sera saremo in fondo alla valle Dove le feste han spento tutte le lampade. Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

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MEMORIA DEL FUTURO. Leggere Franco Fortini a cento anni dalla nascita

giovedì 23 marzo, h. 17, Biblioteca Pietro Thouar, Piazzo Tasso 3 Letture di Stefano Giovannuzzi giovedì 6 aprile, h. 17, Biblioteca Mario Luzi, via Ugo Schiff 8 Letture di Stefano Carrai giovedì 20 aprile, h 17, BiblioteCaNova Isolotto, via Chiusi, 4/3 A Letture di Paolo Maccari giovedì 4 maggio, h 17, Biblioteca Villa Bandini, via di Ripoli 118 Letture di Caterina Verbaro giovedì 18 maggio, h 17, Biblioteca Filippo Buonarroti, viale Guidoni, 188 Letture di Giacomo Trinci

Franco FORTINI (pseudonimo di Franco Lattes, 10.9.1917 – 28.11.1994) è autore di una produzione vastissima, dalla poesia alla saggistica, dalla traduzione (Brecht, Goethe, Proust, Simone Weil, Éluard...) alla narrativa, imponendosi come figura centrale nello spazio letterario e politico del suo tempo.

Nasce a Firenze da padre ebreo antifascista e da madre cattolica, in una famiglia laica e culturalmente stimolante, ma segnata, negli anni formativi del poeta, dalla "diversità" politica e (poi) razziale. La precoce motivazione artistica, tra letteratura e pittura, convive nel giovane con una forte istanza etica, che assume anche aspetto religioso (con una frequentazione, poi feconda, dei testi biblici). Fortini avverte presto un'esigenza di alterità nei confronti della cultura dominante (anzitutto l'ermetismo, del quale comunque a lungo risente) e cerca riferimenti, oltre che nella grande tradizione (letteraria – anzitutto Dante – ma anche pittorica), o in esperienze novecentesche non canoniche (Michelstaedter...), nella frequentazione della grande cultura europea (a partire da Dostojevskij) e della teologia protestante. Importante è anche il duraturo legame con l'antimoderno Giacomo Noventa.

Fortini comincia a pubblicare già negli anni Trenta ma decisiva è per lui l'esperienza della guerra, soprattutto dal '43, con l'esilio svizzero (che porta un profondo ampliamento culturale) e la Resistenza. Del 1946 è la prima raccolta, Foglio di via e altri versi (poi rimaneggiata nel '67), dove emerge in modo originale il conflitto tra eredità ermetica e temi storici e ideologici (con relative esigenze stilistiche) legati alle esperienze recenti.

Stabilitosi nel dopoguerra a Milano, iscritto al Partito Socialista, inizia un'intensa attività culturale (collabora, tra l'altro, al "Politecnico " di Vittorini). Dal '47 è impiegato alla Olivetti, mentre negli anni '50 avvia una collaborazione stabile con Einaudi. Insofferente della pesante atmosfera successiva al '48, tra destra dominante e sinistra stalinista, entra in contatto, nel '51, con un gruppo di intellettuali interessati a una riflessione di sinistra non ortodossa, che darà vita, dal '55 al '57 alla rivista "Ragionamenti" (tra essi, oltre a Michele Ranchetti, Renato Solmi, il traduttore di Adorno e di Benjamin, riferimenti fondamentali per Fortini). Mentre, per altro verso, dal '55 al '59', lo scrittore è impegnato (con Pasolini, Roversi, Scalia) nella rivista "Officina", tesa ad un rinnovamento letterario, altre le secche del neorealismo o del tardo ermetismo.

Del 1959 è Poesia ed errore, la seconda raccolta, che raccoglie liriche dagli anni trenta al presente; opera complessa, eterogenea, che registra comunque l'allargamento dell'orizzonte culturale e l'atteggiamento di ricerca dell'autore. Già nel titolo è esposta la tensione che investe dall'esterno e dall'interno la poesia. Questa deve contrapporsi all'errore: il negativo che domina la storia ma che contamina la poesia stessa, allorché essa si fa, in vario modo, evasione. La poesia deve approntare strategie di confronto adeguato col reale, che attraverso un uso "astuto" della negazione (con una dialettica aperta) evitino i rischi del ricalco "realistico" (di vario tipo) che ratifica l'esistente o per altro verso dell'autonomizzazione estetica, attraverso la sperimentazione formalistica o le derive post-ermetiche.

Dal '61 Fortini è in rapporto con i marxisti non ortodossi di "Quaderni Rossi" ('61-'65; Renato Panzieri, Mario Tronti...) e col gruppo di giovani (Bellocchio, Cherchi) che dal '62 daranno vita a" Quaderni Piacentini". Con un percorso di chiarificazione politica, che lo porterà ad essere uno dei riferimenti della sinistra alternativa (fondamentale il saggio Verifica dei poteri, 1965) e delle lotte di fine anni '60. Del '63 è la rottura dell'impiego alla Olivetti e della collaborazione con Einaudi. Dal '63 al '71 (quando verrà chiamato, cinquantaquattrenne, all'Università di Siena) Fortini insegna negli Istituti Tecnici.

A questa fase, oltre agli aforismi e epigrammi dell'L'ospite ingrato (1966), risale la raccolta Una volta per sempre (1963). Il titolo assertivo esprime la certezza di una "posizione" politico-culturale e poetica. Il che non esclude (anzi implica, in una logica dialettica di assunzione della contraddizione) l'apertura sempre problematica alla sperimentazione, in corrispondenza (mediata) al divenire reale. La scrittura si apre a una varietà di situazioni, attenta anzitutto alla nuova realtà neocapitalistica. Ma il reale è assunto oltre l'immediatezza, attraverso il distanziamento riflessivo e la proiezione su un asse temporale esteso. Il che permette la piena prospettiva della negatività storica e la memoria delle pur deboli istanze di adempimento futuro, nelle quali la poesia trova la sua ragione. Fortini si esprime con un vivace e nitido linguaggio allegorico. La lezione di Brecht è essenziale (una sezione è appunto intitolata Traducendo Brecht). Mentre la sequenza Poesia delle rose, di tensione linguistica estrema, fa pensare a un confronto con l'emergente Neoavanguardia.

Tali posizioni giungono a piena maturazione con Questo muro (1973), che segna l'avvio della più alta produzione poetica. All'attenzione per il presente corrisponde la massima tensione estraneante, attraverso il rigore della forma, con il riuso della tradizione alta (il "classicismo" fortiniano). Emergono i motivi della senilità e della relazione con i defunti. Aspetti che si confermano in Paesaggio con serpente (1983) e in Composita solvantur (1994). Dove la sottrazione di sé (nella prospettiva della scomparsa) accentua lo spostamento percettivo, producendo un'attenzione nuova all'esistente, uno sguardo "abbassato" al livello delle cose (anche le piccole vite animali e vegetali), fuori dai modi dell'immedesimazione possessiva e dunque fuori dall'evasione idilliaca.

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE ESSENZIALI: Franco FORTINI, Tutte le poesie, a cura di Luca Lenzini, Mondadori (Oscar), 2014 (con una bibliografie dettagliata); Saggi ed epigrammi, a cura di Luca Lenzini, Mondadori, 2003. Della letteratura critica vanno anzitutto ricordati Luca Lenzini, Il poeta di nome di Fortini. Saggi e proposte di lettura, Manni, Lecce 1999; Romano Luperini, Il futuro di Fortini, San Cesario di Lecce, Manni, 2007; Luca Lenzini, Un’antica promessa. Studi su Fortini, Quodlibet, Macerata 2013.

Da FOGLIO DI VIA (1946)

Varsavia 1939

Noi non crediamo più alle vostre parole Né a quelle che ci furono care una volta Il nostro cuore l’ha roso la fame Il sangue l’han bevuto le baionette.

Noi non crediamo più ai dolori alle gioie Ch’erano solo nostre ed erano sterili La nostra vita è in mano dei fratelli E la speranza in chi possiamo amare.

Noi non crediamo più agli dei lontani Né agli idoli e agli spettri che ci abitano La nostra fede è la croce della terra Dov’è crocifisso il figliuolo dell’uomo.

Foglio di via

Dunque nulla di nuovo da questa altezza Dove ancora un poco senza guardare si parla E nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere Se non questo del nord dove il sole non tocca E sono d'acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca. E questa sera saremo in fondo alla valle Dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

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La gioia avvenire

Potrebbe essere un fiume grandissimo Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore Una rabbia strappata uno stelo sbranato Un urlo altissimo

Ma anche una minuscola erba per i ritorni Il crollo d'una pigna bruciata nella fiamma Una mano che sfiora al passaggio O l'indecisione fissando senza vedere

Qualcosa comunque che non possiamo perdere Anche se ogni altra cosa è perduta

E che perpetuamente celebreremo Perché ogni cosa nasce da quella soltanto

Ma prima di giungervi Prima la miseria profonda come la lebbra E le maledizione imbrogliate e la vera morte Tu che credi dimenticare vanitoso O mascherato di rivoluzione La scuola della gioia è piena di pianto e sangue Ma anche di eternità E dalle bocche sparite dei santi Come le siepi del marzo brillano le verità.

Da POESIA E ERRORE (1959)

In lingua mortua

... io sono cresciuto ragazzo nella città di Firenze e il verde di San Miniato non lo posso dimenticare, l'ulivo delle mattine, le rose amare, il lastrico lavato, le vene dei cipressi sulla Mensola, la luna sui sentieri, le colonne beate e le lame turchine di marzo sui tetti e sopra le torri d'OItrarno. Quella città non la posso dimenticare anche se so, anche se so che non posso tornare.

E queste parole che dico erano in bocca a mia madre tra il Lungarno Serristori e la chiesa di San Nicolò dove la lapide dice che l'acqua dell'Arno rubò uomini, case, armenti, alberi e campi, e dove s'era nascosto in quegli antichi tempi, nel danno e nella vergogna Michelangelo Buonarroti...

1945

Dico a te

Dico a te, falso amico, debole come me vittima e come me responsabile.

Il bene che abbiamo voluto: permesso di cantare nella cella dell'ergastolo. La poesia vino di servi.

Rispetto e miseria ci hanno chiusa la gola. E l'ultima parola noi non l'abbiamo detta.

Questa la nostra colpa sola.

1950

Camposanto degli inglesi

Ancora, quando fa sera, d'ottobre, e pei viali ai platani la nebbia, ma leggera, fa velo, come a quei nostri tempi, fra i muri d'edera e i cipressi del Camposanto degli Inglesi, i custodi bruciano sterpi e lauri secchi. Verde il fumo delle frasche come quello dei carbonai nei boschi di montagna. Morivano quelle sere con dolce strazio a noi

già un poco fredde. Allora m'era caro cercarti il polso e accarezzarlo. Poi erano i lumi incerti, le grandi ombre dei giardini, la ghiaia, il tuo passo pieno e calmo e lungo i muri delle cancellate la pietra aveva, dicevi, odore d'ottobre e il fumo sapeva di campagna e di vendemmia. Si apriva la cara tua bocca rotonda nel buio lenta e docile uva. Ora è passato molto tempo, non so dove sei, forse vedendoti non riconoscerei la tua figura. Sei certo viva e pensi talvolta a quanto amore fu, quegli anni, tra noi, a quanta vita è passata. E talvolta al ricordare tuo, come al mio che ora ti parla, vana ti geme, e insostenibile, una pena; una pena di ritornare, quale han forse i poveri morti, di vivere là, ancora una volta, rivedere quella che tu sei stata andare ancora per quelle sere di un tempo che non esiste più che non ha più alcun luogo

anche se io scendo a volte per questi viali di Firenze ove ai platani la nebbia, ma leggera, fa velo e nei giardini bruciano i malinconici fuochi d'alloro.

1947

Per un pittore

Eri le nostre vie vedute a mente nei mali di gennaio;

questo muro di maggio che offre al niente se stesso e noi, Rosai.

1957

Agli amici

Sifa tardi. Vi vedo, veramente eguali a me nel vizio di passione, con i cappotti, le carte, le luci delle salive, i capelli già fragili, con le parole e gli ammicchi, eccitati

e depressi, sciupati e infanti, rauchi per la conversazione ininterrotta, come scendete questa valle grigia, come la tramortita erba premete dove la via si perde ormai e la luce.

Le voci odo lontane come i fili del tramontano tra le pietre e i cavi... Ogni parola che mi giunge è addio. E allento il passo e voi seguo nel cuore, uno qua, uno là, per la discesa.

1957

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Da UNA VOLTA PER SEMPRE (1963)

Traducendo Brecht

Un grande temporale per tutto il pomeriggio si è attorcigliato sui tetti prima di rompere in lampi, acqua. Fissavo versi di cemento e di vetro dov'erano grida e piaghe murate e membra anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando ora i tegoli battagliati ora la pagina secca, ascoltavo morire la parola d'un poeta o mutarsi in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli parlano nei telefoni, l'odio è cortese, io stesso credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia chi con dolcezza guida al niente gli uomini e le donne che con te si accompagnano e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici scrivi anche il tuo nome. Il temporale è sparito con enfasi. La natura per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

4 novembre 1956

Il ramo secco bruciò in un attimo. Ma il ramo verde non vuoI morire. Dunque era vera la verità. Soldato russo, ragazzo ungherese, non v'ammazzate dentro di me. Da quel giorno ho saputo chi siete: e il nemico chi è

La partenza

Ti riconosco, antico morso, ritornerai tante volte e poi l'ultima.

Ho raccolto il mio fascio di fogli, preparata la cartella con gli appunti, ricordato chi non sono, chi sono, lo schema del lavoro che non farò. Ho salutato mia moglie che ora respira nel sonno sempre la vita passata, il dolore che appena le ho assopito con imperfetta, di sé pietosa, atterrita tenerezza. Ho scritto alcune lettere ad amici che non mi perdonano e che non perdono. E ora sul punto di dormire un dolore terribile mi morde come mille anni fa quando ero bambino e lo chiamavo Iddio, e Iddio è questo ago del mondo in me.

Fra poco, quando dai cortili l'aria fuma ancora di notte e sulla città la brezza capovolge i platani, scenderò per la via verso la stazione dove escono gli operai. Contro il loro fiume triste, di petti vivo, attraverso la mobile speranza che si ignora e resiste, andrò verso il mio treno.

Da QUESTO MURO (1973)

La posizione

Noi ci troviamo in questo momento in corsa in una lunghissima curva della pista: che è la pianura di nebbia fetida, chioschi, conigli sbranati, fari. Precipita la notte e incanta la regione. Le auto multicolori emettono appelli Bruciano filamenti d’oro. Oh, essere vivi ci è caro.

E se altre notizie volete possiamo dirvi che su nel cielo il freddo animale immaginario piange. E se troverà taluno nel portabagagli una testa recisa che apre e chiude sempre più lente le labbra talaltro avrà i giornali e i mirtilli d’una volta.

Noi porteremo a termine comunque il compito vegliando questo nel piccolo sonno ormai riunito popolo.

Il bambino che gioca.

Il bambino smise di giocare e parlò al vecchio come un amico. Il vecchio lo udiva raccontare come una favola la sua vita.

Gli si facevano sicure e chiare cose che mai aveva capite. Prima lo prese paura poi calma. Il bambino seguitava a parlare.

Da PAESAGGIO CON SERPENTE (1984)

27 aprile 1935

Un orto di rose guardavo dai vetri del liceo trentacinque anni fa. Ottantamila lavoratori inauguravano la metropolitana tutta fatica loro a Mosca, tutta sale splendide.

Un autore che è morto ne diceva le lodi. E le conosco oggi, le traduco. Domandavo amore alle rose bianche, gialle e bianche. La città era chiara. Nell'aria i primi seni. Orazio acuto e amaro.

Lavoratori di Mosca ottantamila la storia ha un modo di ridere che è ripugnante. Non sapevate, non sapevo. Ma e le rose? Nulla vogliono sapere, le pigre rose.

[Il Liceo è il "Dante" di Firenze. L'autore ricordato è Brecht; il titolo della poesia cui si allude è I lavoratori di Mosca entrano in possesso della grande metropolitana il 27 aprile 1935].

Per l'ultimo dell'anno 1975 ad Andrea Zanzotto

Come nel buio si ritrae lento, Andrea, questo anno già da sé diviso.

Ora nel vischio del suo fiele intriso starà cosi per sempre dunque spento.

Ma quel che in noi di anno in anno è deriso o incompiuto o deforme non lamento: se uno è vinto e un altro è stato ucciso, uno ha durato contro lo sgomento.

Qui stiamo a udire la sentenza. E non ci sarà, lo sappiamo, una sentenza. A uno a uno siamo in noi gili volti.

Quanto sei bella, giglio di Saron, Gerusalemme che ci avrai raccolti. Quanto lucente la tua inesistenza.

Perché alla fine...

«Perché alla fine che cos'è tutto il genere umano a paragone della natura e della universalità delle cose?» I ragazzi corrono senza fiato. Le pinete scricchiolano al sole. Di qui la società è invisibile . Ma se continuiamo a non volere la verità

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sarà terribile la nostra via. È bene che lo sappiamo una volta per sempre. La battaglia ebbe luogo prima del bivio dove la strada fa una larga svolta. Il nome lo rammenta Livio, lo storico antico. E non guardate dove le stelle si riproducono? Non volete

nemmeno osservare le piccole persone che stridono sotto le nostre scarpe? Come l’agonizzante diventa un sasso lo sapete. Come si butta via die Leiche il cadavere spezzato l’avete visto.

Da COMPOSITA SOLVANTUR (1995)

Dimmi, tu conoscevi...

Dimmi, tu conoscevi, è vero, quanto sia indegna questa vergogna di vecchiezza? Con la punta del sandalo hai messo in fuga lo scorpione mentecatto. I microcircuiti gli scattano, arranca verso la cunetta ancora molle.

E i cari amici che ora è qualche anno non vennero in vacanza, li hai più veduti? Davvero li avevi conosciuti? Meravigliosa la maestà di tanta sorte. La nostra debolezza era dunque cosi forte. Lo scorpione tentenna la sua rabbia, il suo programma.

Ma ti prometto, avrai il sonno, avrai la fede nel padre, e nel tuo sonno onnipotenti fiumi dove sarai felice, neri di notte. Al traghetto batte fra le canne della riva una vedova barca pensosa. Lo scorpione ha serrato nel nido di rena la mente, rattratto riposa.

Saba

La mattina di luglio e a volo l'acqua della manichetta va su gradini e foglie e là di certo contenta mia moglie allegra agita lo scintillio ...

Va la memoria ad un verso di Saba. Ma ne manca una sillaba. Per quanti anni l'ho male amato infastidito per quel suo delirio biascicato, per quel rigirío d'esistenza ...

E ora che riposano il suo libro e il mio corpo indifferenti come un sasso o una pianta o una invincibile ombra nel bosco (nel vuoto il sole s'avventa e un'iride ne grida) riconosco con lo stupore di chi vede il vero lunga la poesia, lungo l'errore.

Parevi stanca, parevi ammalata ma t'ho riconosciuta, io che t'ho amata.

Lontano lontano... [Da SETTE CANZONETTE DEL GOLFO]

Lontano lontano si fanno la guerra. Il sangue degli altri si sparge per terra.

Io questa mattina mi sento ferito a un gambo di rosa, pungendomi un dito.

Succhiando quel dito, pensavo alla guerra. Oh povera gente, che triste è la terra!

Non posso giovare, non posso parlare, non posso partire per cielo o per mare.

E sa anche potessi, o genti indifese, ho l'arabo nullo! Ho scarso l'inglese!

Potrei sotto il capo dei corpi riversi posare un mio fitto volume di versi?

Non credo. Cessiamo la mesta ironia. Mettiamo una maglia, che il sole va via

Italia 1977-1993

Hanno portato le tempie al colpo di martello la vena all' ago la mente al niente.

Per le nostre vie ancora rispondevano a pugno su gli elmetti.

O imparavano nelle cantine come il polso può resistere allo scatto dello sparo.

Compagni.

Non andate cosi.

Ma voi senza parlare mi rispondete: «Non ricordi quel ragazzo sfregiato la sera dell' undici marzo 1971 che correva gridando "Cercate di capire questa sera ci ammazzano cercate di capire!"

La gente alle finestre applaudiva la polizia e urlava: "Ammazzateli tutti!"

Non ti ricordi?»

Sì, mi ricordo.

Sopra questa pietra

Sopra questa pietra posso ora fermarmi. Dico alcune parole nello spazio vuoto preciso. Le grandi storie tentennano in sonno, vacillano nelle teche i crani dei poeti sovrani. L'enigma verde ride la sua promessa.

Olmi e oh vetrate di Trinity illuminatevi! Ecco il fulmine di giugno. Batte l'acquata gronde e guglie. Lo spazio dei dilemmi è verde e vuoto. Non può vedermi più nessuno qui, nessuno mi farà male mai più.