Mediazione e Ascolto Attivo
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Tecniche di mediazione
COMPETENZE COMUNICATIVE E DI ASCOLTO ATTIVO
Avv. Andrea De Bruno e Dott. Nicola Patti
“Una prima analisi dell’impatto della mediazione a livello comunitario tra svolte di sistema e
nuove prospettive professionali in cui il compito del mediatore è quello di ristrutturare i
termini del conflitto tra le parti attraverso adeguate competenze comunicative e di ascolto
attivo: facendo emergere gli interessi e i desideri impliciti è possibile esplorare il punto di vista
dell'altro in vista di un accordo".
Con due distinti gravami, alcune associazioni degli avvocati hanno chiesto al TAR del Lazio di
annullare il regolamento di che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del d.lgs 4.3.2010, n.
28, reca la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli
organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché l’approvazione
delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
Il regolamento a detta dei ricorrenti sarebbe lesivo degli interessi della categoria forense e,
attesa la discrepanza tra il d.lgs 28 del 2010 e la relativa legge delega, affetto da eccesso di
potere sotto vari profili.
Il TAR, investito del grave, con ordinanza del 12 aprile 2011, ha sospeso il giudizio e trasmesso
gli atti alla Consulta, non ritenendo palesemente infondate le questioni di legittimità
costituzionale, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, degli artt. 5 e 16 del decreto
legislativo 28 del 2010, comma 1.
Le disposizioni del decreto legislativo che hanno sollevato i dubbi e le perplessità del TAR e che
sono cruciali nel sistema della mediazione per come strutturata dal Ministero della Giustizia,
riguardano in primo luogo, la previsione del tentativo di conciliazione come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale; in secondo luogo l’affidamento ad enti pubblici e privati
la costituzione di organismi di mediazione.
Sotto esame finisce dunque la corrispondenza tra le misure del decreto delegato e le misure
previste dalla legge delega n. 69 del 2009.
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Quanto agli effetti pratici del rinvio alla Consulta, va sottolineato che per ora la legge resta in
vigore così com’è, senza alcuna modifica o sospensione.
Nel merito, se da un lato, il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale non costituisce un giudizio
anticipato di incostituzionalità, dall’altro lato, le censure sollevate sotto il profilo dell’eccesso
di delega posso risultare decisive per le sorti dell’istituto.
E ciò, non tanto con riferimento al tema della professionalità dei mediatori e dei formatori (per i
quali il Ministero della Giustizia ha deciso di dettare nuove norme che prevedono, tra le altre,
l’obbligo di un tirocinio ‘assistito’ con la partecipazione del mediatore ad almeno 20 atti di
conciliazione), ma, piuttosto, per quanto concerne l’obbligatorietà del tentativo quale
condizione di procedibilità.
A tal ultimo riguardo infatti, la stessa ordinanza del TAR ricorda come le direttive comunitarie
che hanno disciplinato il tema della mediazione in materia civile e commerciale e la stessa legge
delega non prevedono che il tentativo di mediazione, seppur obbligatorio, sia causa di
improcedibilità della domanda giudiziale.
In tale scenario si inserisce la recente risoluzione del Parlamento dell’Unione Europea del 13
settembre 2011 in tema di attuazione della direttiva sulla mediazione nei paesi membri,
sull’impatto della stessa sulla mediazione, e in tema di adozione da parte dei tribunali.
Il Parlamento, osserva i differenti aspetti del recente strumento della mediazione e il suo
approccio nei diversi sistemi giudiziari dei paesi membri.
In particolare il Parlamento ha anzitutto osservato che ai sensi dell'articolo 6 della direttiva, la
maggior parte degli Stati membri dispone di una procedura per conferire all'accordo transattivo
di mediazione la stessa autorità di una decisione giudiziaria; autorità che può essere conseguita
mediante la presentazione dell'accordo al tribunale o mediante la sua autenticazione notarile.
Tra le due pare che più legislature nazionali hanno optato per la prima soluzione, mentre in
molti Stati membri l'autenticazione notarile e altresì un'opzione disponibile ai sensi del diritto
nazionale.
Gli effetti della mediazione sui termini di decadenza e prescrizione costituiscono una
disposizione essenziale in quanto assicura che le parti che scelgono la mediazione nel tentativo
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di comporre una disputa, non siano ulteriormente private del diritto di essere ascoltate in
tribunale, a causa del tempo trascorso in mediazione.
In tale contesto alcuni Stati membri hanno scelto di andare oltre i requisiti fondamentali della
direttiva in due ambiti: gli incentivi finanziari per la partecipazione alla mediazione e i requisiti
vincolanti di mediazione: tali iniziative nazionali contribuiscono a una composizione delle
controversie più efficace e riducono il carico di lavoro dei tribunali.
Il Parlamento evidenzia quindi il ruolo dell'articolo 5, paragrafo, 2, della direttiva che consente
agli Stati membri di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione o di sottoporlo a incentivi o a
sanzioni, sia prima che dopo l'inizio della procedura giudiziaria, a condizione che ciò non
impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.
Il Parlamento non dimentica di sottolineare l’atteggiamento assunto dall’Italia che ha fatto
ricorso a norme che rendono obbligatorio avvalersi della mediazione e che non consentono di
avviare un’azione giudiziaria in tribunale fino a quando le parti non avranno prima tentato di
risolvere le questioni tramite la mediazione.
Il caso italiano viene portato all’attenzione degli operatori anche perché attraverso la
mediazione, rileva il Parlamento, l’Italia tenta di riformare il sistema giuridico alleggerendone il
carico di lavoro dei tribunali, notoriamente congestionati, riducendo i casi e il tempo medio di
nove anni per risolvere un contenzioso in una causa civile.
Nel sistema giuridico italiano, prosegue il Parlamento, la mediazione obbligatoria sembra
raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali; ciononostante sottolinea che la
mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a
basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura
giudiziaria.
Ai fini di una sostanziale diffusione e accettazione della mediazione, il Parlamento ritiene che
siano necessarie una consapevolezza e una comprensione maggiori di tale istituto e richiede
ulteriori azioni a favore dell'istruzione, della sensibilizzazione alla mediazione, del
rafforzamento del ricorso alla mediazione da parte delle imprese e dei requisiti per l'accesso alla
professione di mediatore.
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In tale scenario, il Parlamento osserva che le autorità nazionali dovrebbero essere incoraggiate a
sviluppare programmi per promuovere una conoscenza adeguata delle composizioni alternative
delle controversie e riconosce l'importanza di stabilire norme comuni per l'accesso alla
professione di mediatore per promuovere una migliore qualità della mediazione e assicurare
standard di formazione professionale elevati e l'accreditamento in tutta l'Unione.
Come osservato dal Parlamento, l’introduzione dell’istituto della mediazione in Italia è stato
accolto in modo assai discordante.
Ad ogni modo, a voler prescindere dalle ragioni dei contendenti, quello che va considerato e
compreso è che la mediazione è istituto di risoluzione condiviso da tutti i membri dell’Unione
Europea.
Un’eventuale limitazione di questo istituto non farebbe altro evidenziare in sede comunitaria
l’anomalia italiana ed acuire i problemi cronici della giustizia e di giustizia con detrimento a
carico anche degli stessi operatori del settore.
Visto il quadro normativo e lo stato attuale della legge, passiamo adesso ad analizzare il
processo di mediazione inizialmente chiarendo quelli che sono i suoi elementi costitutivi e
caratterizzanti, in seconda istanza cercando di focalizzare le specifiche competenze del
mediatore.
Il primo aspetto che vogliamo mettere a fuoco è il 'conflitto' cercando inizialmente di capire che
rapporto intercorra tra questo e la 'mediazione'.
Il conflitto, da cum-fligere ovvero "sbattere contro/urtare", è uno degli aspetti fondativi della
realtà nel suo senso più ampio. Il confronto dialettico ha assunto sin dall'antichità, all'interno
della tradizione filosofica occidentale, un ruolo centrale. Il dià-legein, nel suo doppio significato
di "parlare attraverso' e di 'raccogliere', diventa così uno dei perni per la costruzione (o la ri-
costruzione) della realtà: porre dei limiti, riconoscere l'altro, diviene essenziale anche solo per
iniziare un'esperienza di pensiero. Vedremo come questo aspetto si trovi ad avere, anche in
mediazione, un ruolo fondativo: non c'è mediazione senza conflitto. Va tuttavia evidenziato
come il compito della mediazione non sia quello di eliminare il conflitto, ma di scioglierlo, di
trasformarlo: la mediazione ha infatti il compito di superare il conflitto attraverso una
ristrutturazione dei suoi termini. Questa differenza tra 'eliminazione' e 'trasformazione' è
essenziale per comprendere a fondo il senso della mediazione.
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Il senso comune ci fa collegare in maniera diretta il termine conflitto al tema dello scontro,
dell'aggressività e quindi della violenza. Siamo abituati a vedere il conflitto come una situazione
distruttiva al cui termine avremo necessariamente un vincitore contro un vinto, secondo la
logica dei 'giochi a somma zero': ovvero quei giochi nei quali ciò che un partecipante vince viene
perso dall'altro. In quest'ottica si preferisce rischiare tutto pur di battere l'avversario e le
alternative possibili sono varie, tra cui la fuga o la passività. Tutte queste possibilità sono
accomunate da un aspetto fondamentale: non vanno nella direzione di trasformare il conflitto,
ma lo lasciano com'è o addirittura lo alimentano secondo quella che viene definita la spirale
della escalation.
Per uscire da questa prospettiva diventa essenziale riuscire a cambiare punto di vista
considerando il conflitto non più come 'scontro posizionale' ma come un momento della relazione
tra due o più individui che attraversano una fase di contrasto all'interno del loro rapporto.
Diventa quindi centrale, in questa prima fase, riuscire a vedere il conflitto come un'opportunità
di confronto e di crescita.
Le caratteristiche fondamentali della mediazione possono essere così riassunte:
1. il suo essere alternativo al procedimento ordinario;
2. la sua assoluta volontarietà in quanto fondata esclusivamente sulla libera volontà delle parti
di trovare un accordo;
3. la riservatezza, in quanto ciò che viene detto in mediazione non potrà essere utilizzato in
sede legale per un eventuale giudizio successivo.
Il mediatore è quindi una parte terza, neutrale ed equidistante tra le parti.
Solo questi prerequisiti gli permetteranno di definire (attraverso precise competenze
comunicative e di ascolto) il contesto di riferimento in cui si è instaurato il conflitto, il tipo di
conflitto in atto, il livello di conflittualità delle parti e gli interessi, nonché gli obiettivi impliciti
attorno ai quali costruire un terreno negoziale adeguato.
Trasformazione e comunicazione: sono questi, due degli aspetti più importanti del processo di
mediazione. Inizialmente cercheremo di chiarire cosa si intenda per 'trasformazione' e per fare
ciò dovremo distinguere tra due modi di intendere il 'cambiamento'.
'Cambiamento' può essere inteso in prima istanza come il tentativo di cambiare alcune regole
marginali all'interno di un contesto che rimane immutato. Questo tipo di cambiamento
presuppone che la struttura del sistema non si modifichi e che le regole che lo determinano
rimangano a loro volta le stesse. In questo caso parliamo di 'Cambiamento di primo livello'.
Un secondo tipo di cambiamento può riguardare sia le regole marginali che la struttura del
sistema stesso. Questo secondo modello, comunemente chiamato 'Cambiamento di secondo
livello', va a toccare le strutture del sistema, permettendo di ridefinire il conflitto e aprendo
così la strada a soluzioni veramente nuove. Affinché ciò sia possibile è necessario prendere le
distanze dal proprio punto di vista attraverso l'esplorazione di punti di vista diversi.
Il ben noto esempio della figura ambigua "coniglio/papero" (vedi figura 1) ci dimostra appunto
come, una volta riconosciute le due immagini, sia impossibile tornare a una visione univoca
rispetto alla figura in questione. Il nostro modo di vedere questa realtà particolare è
definitivamente cambiato.
Avremo modo di approfondire come, lo strumento fondamentale per realizzare questo tipo di
cambiamento di secondo livello, sia l'ascolto attivo.
(figura 1)
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Se come abbiamo visto il conflitto si struttura su due
diversi modi di vedere la realtà, entrambi legittimi
ma apparentemente inconciliabili, il ruolo del
mediatore sarà quello di porsi tra le due
interpretazioni della realtà e di fungere da
"chiarificatore per l'altro".
Chiediamoci dunque su quali basi poggi la possibilità di avere due prospettive così diverse
rispetto al medesimo oggetto o al medesimo problema. Ci viene in soccorso la distinzione
operata del logico e filosofo tedesco Gottlob Frege (Senso e denotazione, 1892) tra il "senso"
(Sinn), ovvero il modo in cui ci rapportiamo a una data entità, e il "riferimento" (Bedeutung),
ovvero quell'entità specifica alla quale ci possiamo rapportare attraverso vari "sensi". Un
esempio, riportato da Frege nel testo, è quello del pianeta Venere al quale si può fare
riferimento attraverso sensi diversi, potendo infatti essere chiamato sia la "stella del mattino",
sia la "stella della sera". Chiaramente il riferimento è lo stesso, ma diversa è la modalità con cui
è dato. La riflessione fregeana, apparentemente semplice, ha rivoluzionato a livello logico-
linguistico il modo in cui ci si rapporta alla realtà e in particolare alla relazione di identità. Dire
"A=A" ("la stella del mattino=la stella del mattino"), è solo apparentemente identico a dire "A=B"
("la stella del mattino=la stella della sera"). Ciò che cambia è il fatto che abbiamo un effettivo
accrescimento della conoscenza: si tratta dell'aggiunta di un qualcosa che non è implicato nel
soggetto a cui ci riferiamo.
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Come trasferire la distinzione fregeana in mediazione? Abbiamo visto come due parti che si
presentano in mediazione, sebbene con un livello di conflittualità variabile, siano solitamente
ancorate ognuno alla propria posizione: la propria prospettiva sul problema. Ecco che la
funzione del mediatore diventa proprio quella di mediare tra due punti di vista diversi (sensi)
sullo stesso problema (rifermento). Il mediatore deve avere quindi specifiche competenze in
ambito comunicativo, tali da consentirgli di mettere a fuoco tutti gli aspetti che riguardano
l'incontro/scontro tra le parti.
A quanto pare, partendo dalla distinzione fregeana tra Sinn e Bedeutung, l'aspetto esplicito
(ovvero ciò che viene detto) non è sufficiente per una piena comprensione del processo
comunicativo, ed è per questo che dovremo spostare la nostra attenzione sull'implicito della
comunicazione.
Paul Grice nel suo saggio Logica e conversazione (1975), parafrasando Wittgenstein, sostiene che
due individui, nel momento in cui conversano, stanno inconsapevolmente conducendo un gioco
che segue regole fisse. Grice ci dice che questa 'impresa comune' si basa su un Principio di
Cooperazione che i parlanti devono sempre rispettare e che viene così definito: "il tuo
contributo sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento
accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato". Se questo Principio viene violato, viene
meno anche la conversazione.
Siamo tuttavia sicuri che due parti in conflitto siano pronte a collaborare pienamente nella
conversazione? Non è più probabile che, pur rispettando il contesto comunicativo, essi
proveranno ad eludere le regole del gioco per avere la meglio e per far valere la propria
posizione? Per rispondere in maniera appropriata a queste domande faremo riferimento al
contributo che Paul Watzlawick, Janet H. Beavin e Don D. Jackson, della scuola di Palo Alto,
hanno dato allo studio della comunicazione con la loro Pragmatica della comunicazione umana
(1967).
In questo testo il tema della comunicazione viene affrontato partendo dalla definizione di alcuni
assiomi fondamentali. Il primo assioma ci dice che: "non si può non comunicare". Tale assioma
sembra quasi far da sfondo al Principio di Cooperazione griceano chiarendone decisamente i
contorni: se ogni comportamento umano è comunicativo, lo sarà anche ogni parola, ogni
sguardo, ogni gesto e addirittura ogni silenzio. Se come abbiamo visto la morte di ogni atto
comunicativo coincide con il suo abbandono da parte di uno o di entrambi i soggetti coinvolti,
anche un atteggiamento strategico può essere letto come un elemento vitale per la
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comunicazione e quindi per la mediazione stessa. Compito del mediatore sarà quello di asciugare
il detto dalle negatività e dagli elementi emotivi, per far emergere gli obiettivi e gli interessi
delle parti che si trovano sullo sfondo. Aiutare le parti a riconoscere questi interessi diventerà
centrale per costruire un terreno comune entro il quale le parti potranno negoziare un accordo.
Quali sono gli strumenti adeguati per svolgere questo compito? Per rispondere dobbiamo fare un
ulteriore passo avanti e introdurre il tema dell'ascolto attivo.
Il modo in cui ci rapportiamo alla realtà è influenzato da una serie di variabili: valori, ricordi,
esperienze, aspettative, interessi. La presenza di queste variabili, il loro essere in continuo
mutamento e il loro concatenarsi in maniera via via differente, rende difficile il pensare un'idea
assoluta di realtà.
Ci deve essere qualcosa, nella comunicazione, che va oltre il mero dato oggettivo. Per chiarire
questo aspetto faremo riferimento al secondo assioma della Scuola di Palo Alto: "ogni
comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo
classifica il primo ed è quindi metacomunicazione". Per 'contenuto' qui si intende l'informazione
neutra, il dato oggettivo (il Bedeutung), mentre per relazione si intende ciò che definisce il
rapporto tra coloro che stanno comunicando.
La metacomunicazione è una comunicazione di secondo livello che ci permette di prendere le
distanze dal detto e di metterlo bene a fuoco. Associare questo secondo assioma all'aspetto della
punteggiatura della comunicazione, sempre elaborato dagli studiosi di Palo Alto, ci permetterà
di analizzare uno degli aspetti centrali dell'ascolto attivo.
Cosa si intende per 'punteggiatura della comunicazione'? In sintesi possiamo dire che uno scambio
comunicativo si basa su una continua risposta rispetto a uno stimolo che riceviamo dal nostro
interlocutore (Watzlawick, Beavin e Jackson parlano di un susseguirsi di tre elementi: stimolo-
risposta-rinforzo). Ogni interlocutore tuttavia punteggerà in maniera diversa la sequenza degli
scambi comunicativi. Ecco che in una comunicazione conflittuale la difficoltà, per i confliggenti,
sta proprio nello stabilire quale sia il punto di inizio del conflitto.
Facciamo un esempio per chiarire questo aspetto: marito e moglie vivono un forte conflitto
causato, secondo la moglie, dall'incapacità del marito di prendere decisioni in maniera certa e
sicura "come si compete a un vero uomo" e per questo è costretta a farlo lei nella maggior parte
dei casi. Da parte sua, il marito risponde che la sua "morbidezza" nasce dal non voler andare
contro le decisioni della moglie per non minare la pace familiare. I coniugi stanno punteggiando
la stessa sequenza in modo diverso: per la moglie (1) il marito è "morbido", quindi (2) lei deve
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prendere tutte le decisioni; per il marito invece (1) la moglie ha un carattere forte e
decisionista, quindi (2) lui accetta le sue decisioni per non creare contrasti.
Ecco che l'aspetto relazionale della comunicazione viene compromesso. Per uscire da questa
impasse del rapporto è necessario metacomunicare sul rapporto stesso. Entra in gioco il tema
dell'ascolto attivo con lo scopo di ristrutturare la punteggiatura della comunicazione
conflittuale.
Tornando al nostro esempio di conflitto tra marito e moglie possiamo facilmente vedere come
ognuno stia ascoltando l'altro secondo i seguenti criteri:
1. la realtà è come la vedo io e l'altro si deve adeguare;
2. devo rimanere in controllo rispetto alle mie emozioni;
3. il fatto è semplice: "le cose stanno così".
Possiamo dire che questi criteri corrispondono a un ascolto di tipo passivo, non pronto cioè ad
assumere una diversa prospettiva.
Il compito del mediatore sarà quello di aiutare le parti a prendere le distanze dal proprio punto
di vista in modo da riconoscere quello dell'altro.
Nel porsi in un atteggiamento di ascolto attivo come operatore, ma anche per stimolare un
analogo atteggiamento nelle parti, il mediatore ricorrerà all'uso della parafrasi di ciò che viene
detto. La parafrasi consiste nel ripetere con parole diverse ciò che abbiamo capito, chiedendo
quindi conferma per correggere eventuali errori di comprensione.
La fase della parafrasi permetterà, alla parte parafrasata, di correggere, prendendo nuovamente
la parola e chiarendosi, eventuali falle nell'interpretazione del mediatore. Questo momento è
importantissimo perché da una parte smuove il soggetto dalla posizione a cui è ancorato rispetto
al conflitto, dall'altra si presenta come una prima fase di avvicinamento a un ascolto di tipo
attivo, volto cioè a dare prova della volontà di comprendere quanto l'altro sta dicendo.
Occorre evidenziare che l'ascolto attivo stimolerà una serie di risposte emotive che non
dovranno essere soppresse, ma che saranno uno strumento centrale per comprendere dove siano
i nodi da scogliere. Per riuscire ad attuare un 'Cambiamento di secondo livello' è infatti
necessario riconoscere e gestire i segnali che ci mettono in guardia rispetto al cambiamento che
sta avvenendo. Dobbiamo quindi modificare la nostra prospettiva sul ruolo delle emozioni. A tal
riguardo Marianella Sclavi nel suo Arte di ascoltare e mondi possibili (2000) opera una
interessantissima distinzione tra 'retorica del controllo' e 'autoconsapevolezza emozionale'. Nella
prospettiva della retorica del controllo, le emozioni sono viste come un elemento di disturbo
rispetto al nostro confrontarci con il mondo circostante. In questo senso si ritiene che, per
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affrontare nel modo adeguato una situazione di confronto contrastivo, sia necessario "mettere
da parte le emozioni" in quanto non ci permetterebbero di affrontare la situazione nel modo
migliore, ovvero razionalmente.
L'approccio dell'autoconsapevolezza emozionale assume una prospettiva diametralmente opposta
che può essere così sintetizzata usando le parole della Sclavi: "prova a interpretare le tue
emozioni non come cause di azioni future, ma come rivelatrici di azioni già in atto". Secondo
questa prospettiva le emozioni assumono allora il valore di veri elementi conoscitivi che ci
aiutano a comprendere cosa stia succedendo e quali siano le nostre reazioni in tale contesto. Il
linguaggio emotivo rientra in quello sfondo dell'implicito che fa parte degli aspetti analogici e
non digitali della comunicazione.
Queste importanti considerazioni sulla funzione che svolge l'autoconsapevolezza emozionale ci
permettono di comprendere come l'ascolto attivo sia un'attività complessa che non si limita
all'esatta "registrazione" del detto ma che implica un atteggiamento e una competenza
comunicativa necessari a far emergere, attraverso il riconoscimento dell'implicito, gli aspetti
relazionali più significativi e utili nel processo di mediazione. Uno dei compiti fondamentali del
mediatore infatti, consiste nel facilitare, nei soggetti coinvolti, la disponibilità ad ascoltare
attivamente per poter esplorare le ragioni diverse che, in ogni conflitto, sono simultaneamente
presenti sul tavolo della mediazione.