Mediazione e Ascolto Attivo

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Copyright Wolters Kluwer Italia 2012 1 Tecniche di mediazione COMPETENZE COMUNICATIVE E DI ASCOLTO ATTIVO Avv. Andrea De Bruno e Dott. Nicola Patti “Una prima analisi dell’impatto della mediazione a livello comunitario tra svolte di sistema e nuove prospettive professionali in cui il compito del mediatore è quello di ristrutturare i termini del conflitto tra le parti attraverso adeguate competenze comunicative e di ascolto attivo: facendo emergere gli interessi e i desideri impliciti è possibile esplorare il punto di vista dell'altro in vista di un accordo". Con due distinti gravami, alcune associazioni degli avvocati hanno chiesto al TAR del Lazio di annullare il regolamento di che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del d.lgs 4.3.2010, n. 28, reca la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi. Il regolamento a detta dei ricorrenti sarebbe lesivo degli interessi della categoria forense e, attesa la discrepanza tra il d.lgs 28 del 2010 e la relativa legge delega, affetto da eccesso di potere sotto vari profili. Il TAR, investito del grave, con ordinanza del 12 aprile 2011, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Consulta, non ritenendo palesemente infondate le questioni di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, degli artt. 5 e 16 del decreto legislativo 28 del 2010, comma 1. Le disposizioni del decreto legislativo che hanno sollevato i dubbi e le perplessità del TAR e che sono cruciali nel sistema della mediazione per come strutturata dal Ministero della Giustizia, riguardano in primo luogo, la previsione del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale; in secondo luogo l’affidamento ad enti pubblici e privati la costituzione di organismi di mediazione. Sotto esame finisce dunque la corrispondenza tra le misure del decreto delegato e le misure previste dalla legge delega n. 69 del 2009.

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Tecniche di mediazione

COMPETENZE COMUNICATIVE E DI ASCOLTO ATTIVO

Avv. Andrea De Bruno e Dott. Nicola Patti

“Una prima analisi dell’impatto della mediazione a livello comunitario tra svolte di sistema e

nuove prospettive professionali in cui il compito del mediatore è quello di ristrutturare i

termini del conflitto tra le parti attraverso adeguate competenze comunicative e di ascolto

attivo: facendo emergere gli interessi e i desideri impliciti è possibile esplorare il punto di vista

dell'altro in vista di un accordo".

Con due distinti gravami, alcune associazioni degli avvocati hanno chiesto al TAR del Lazio di

annullare il regolamento di che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del d.lgs 4.3.2010, n.

28, reca la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli

organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonché l’approvazione

delle indennità spettanti ai suddetti organismi.

Il regolamento a detta dei ricorrenti sarebbe lesivo degli interessi della categoria forense e,

attesa la discrepanza tra il d.lgs 28 del 2010 e la relativa legge delega, affetto da eccesso di

potere sotto vari profili.

Il TAR, investito del grave, con ordinanza del 12 aprile 2011, ha sospeso il giudizio e trasmesso

gli atti alla Consulta, non ritenendo palesemente infondate le questioni di legittimità

costituzionale, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, degli artt. 5 e 16 del decreto

legislativo 28 del 2010, comma 1.

Le disposizioni del decreto legislativo che hanno sollevato i dubbi e le perplessità del TAR e che

sono cruciali nel sistema della mediazione per come strutturata dal Ministero della Giustizia,

riguardano in primo luogo, la previsione del tentativo di conciliazione come condizione di

procedibilità della domanda giudiziale; in secondo luogo l’affidamento ad enti pubblici e privati

la costituzione di organismi di mediazione.

Sotto esame finisce dunque la corrispondenza tra le misure del decreto delegato e le misure

previste dalla legge delega n. 69 del 2009.

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Quanto agli effetti pratici del rinvio alla Consulta, va sottolineato che per ora la legge resta in

vigore così com’è, senza alcuna modifica o sospensione.

Nel merito, se da un lato, il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale non costituisce un giudizio

anticipato di incostituzionalità, dall’altro lato, le censure sollevate sotto il profilo dell’eccesso

di delega posso risultare decisive per le sorti dell’istituto.

E ciò, non tanto con riferimento al tema della professionalità dei mediatori e dei formatori (per i

quali il Ministero della Giustizia ha deciso di dettare nuove norme che prevedono, tra le altre,

l’obbligo di un tirocinio ‘assistito’ con la partecipazione del mediatore ad almeno 20 atti di

conciliazione), ma, piuttosto, per quanto concerne l’obbligatorietà del tentativo quale

condizione di procedibilità.

A tal ultimo riguardo infatti, la stessa ordinanza del TAR ricorda come le direttive comunitarie

che hanno disciplinato il tema della mediazione in materia civile e commerciale e la stessa legge

delega non prevedono che il tentativo di mediazione, seppur obbligatorio, sia causa di

improcedibilità della domanda giudiziale.

In tale scenario si inserisce la recente risoluzione del Parlamento dell’Unione Europea del 13

settembre 2011 in tema di attuazione della direttiva sulla mediazione nei paesi membri,

sull’impatto della stessa sulla mediazione, e in tema di adozione da parte dei tribunali.

Il Parlamento, osserva i differenti aspetti del recente strumento della mediazione e il suo

approccio nei diversi sistemi giudiziari dei paesi membri.

In particolare il Parlamento ha anzitutto osservato che ai sensi dell'articolo 6 della direttiva, la

maggior parte degli Stati membri dispone di una procedura per conferire all'accordo transattivo

di mediazione la stessa autorità di una decisione giudiziaria; autorità che può essere conseguita

mediante la presentazione dell'accordo al tribunale o mediante la sua autenticazione notarile.

Tra le due pare che più legislature nazionali hanno optato per la prima soluzione, mentre in

molti Stati membri l'autenticazione notarile e altresì un'opzione disponibile ai sensi del diritto

nazionale.

Gli effetti della mediazione sui termini di decadenza e prescrizione costituiscono una

disposizione essenziale in quanto assicura che le parti che scelgono la mediazione nel tentativo

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di comporre una disputa, non siano ulteriormente private del diritto di essere ascoltate in

tribunale, a causa del tempo trascorso in mediazione.

In tale contesto alcuni Stati membri hanno scelto di andare oltre i requisiti fondamentali della

direttiva in due ambiti: gli incentivi finanziari per la partecipazione alla mediazione e i requisiti

vincolanti di mediazione: tali iniziative nazionali contribuiscono a una composizione delle

controversie più efficace e riducono il carico di lavoro dei tribunali.

Il Parlamento evidenzia quindi il ruolo dell'articolo 5, paragrafo, 2, della direttiva che consente

agli Stati membri di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione o di sottoporlo a incentivi o a

sanzioni, sia prima che dopo l'inizio della procedura giudiziaria, a condizione che ciò non

impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.

Il Parlamento non dimentica di sottolineare l’atteggiamento assunto dall’Italia che ha fatto

ricorso a norme che rendono obbligatorio avvalersi della mediazione e che non consentono di

avviare un’azione giudiziaria in tribunale fino a quando le parti non avranno prima tentato di

risolvere le questioni tramite la mediazione.

Il caso italiano viene portato all’attenzione degli operatori anche perché attraverso la

mediazione, rileva il Parlamento, l’Italia tenta di riformare il sistema giuridico alleggerendone il

carico di lavoro dei tribunali, notoriamente congestionati, riducendo i casi e il tempo medio di

nove anni per risolvere un contenzioso in una causa civile.

Nel sistema giuridico italiano, prosegue il Parlamento, la mediazione obbligatoria sembra

raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali; ciononostante sottolinea che la

mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a

basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura

giudiziaria.

Ai fini di una sostanziale diffusione e accettazione della mediazione, il Parlamento ritiene che

siano necessarie una consapevolezza e una comprensione maggiori di tale istituto e richiede

ulteriori azioni a favore dell'istruzione, della sensibilizzazione alla mediazione, del

rafforzamento del ricorso alla mediazione da parte delle imprese e dei requisiti per l'accesso alla

professione di mediatore.

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In tale scenario, il Parlamento osserva che le autorità nazionali dovrebbero essere incoraggiate a

sviluppare programmi per promuovere una conoscenza adeguata delle composizioni alternative

delle controversie e riconosce l'importanza di stabilire norme comuni per l'accesso alla

professione di mediatore per promuovere una migliore qualità della mediazione e assicurare

standard di formazione professionale elevati e l'accreditamento in tutta l'Unione.

Come osservato dal Parlamento, l’introduzione dell’istituto della mediazione in Italia è stato

accolto in modo assai discordante.

Ad ogni modo, a voler prescindere dalle ragioni dei contendenti, quello che va considerato e

compreso è che la mediazione è istituto di risoluzione condiviso da tutti i membri dell’Unione

Europea.

Un’eventuale limitazione di questo istituto non farebbe altro evidenziare in sede comunitaria

l’anomalia italiana ed acuire i problemi cronici della giustizia e di giustizia con detrimento a

carico anche degli stessi operatori del settore.

Visto il quadro normativo e lo stato attuale della legge, passiamo adesso ad analizzare il

processo di mediazione inizialmente chiarendo quelli che sono i suoi elementi costitutivi e

caratterizzanti, in seconda istanza cercando di focalizzare le specifiche competenze del

mediatore.

Il primo aspetto che vogliamo mettere a fuoco è il 'conflitto' cercando inizialmente di capire che

rapporto intercorra tra questo e la 'mediazione'.

Il conflitto, da cum-fligere ovvero "sbattere contro/urtare", è uno degli aspetti fondativi della

realtà nel suo senso più ampio. Il confronto dialettico ha assunto sin dall'antichità, all'interno

della tradizione filosofica occidentale, un ruolo centrale. Il dià-legein, nel suo doppio significato

di "parlare attraverso' e di 'raccogliere', diventa così uno dei perni per la costruzione (o la ri-

costruzione) della realtà: porre dei limiti, riconoscere l'altro, diviene essenziale anche solo per

iniziare un'esperienza di pensiero. Vedremo come questo aspetto si trovi ad avere, anche in

mediazione, un ruolo fondativo: non c'è mediazione senza conflitto. Va tuttavia evidenziato

come il compito della mediazione non sia quello di eliminare il conflitto, ma di scioglierlo, di

trasformarlo: la mediazione ha infatti il compito di superare il conflitto attraverso una

ristrutturazione dei suoi termini. Questa differenza tra 'eliminazione' e 'trasformazione' è

essenziale per comprendere a fondo il senso della mediazione.

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Il senso comune ci fa collegare in maniera diretta il termine conflitto al tema dello scontro,

dell'aggressività e quindi della violenza. Siamo abituati a vedere il conflitto come una situazione

distruttiva al cui termine avremo necessariamente un vincitore contro un vinto, secondo la

logica dei 'giochi a somma zero': ovvero quei giochi nei quali ciò che un partecipante vince viene

perso dall'altro. In quest'ottica si preferisce rischiare tutto pur di battere l'avversario e le

alternative possibili sono varie, tra cui la fuga o la passività. Tutte queste possibilità sono

accomunate da un aspetto fondamentale: non vanno nella direzione di trasformare il conflitto,

ma lo lasciano com'è o addirittura lo alimentano secondo quella che viene definita la spirale

della escalation.

Per uscire da questa prospettiva diventa essenziale riuscire a cambiare punto di vista

considerando il conflitto non più come 'scontro posizionale' ma come un momento della relazione

tra due o più individui che attraversano una fase di contrasto all'interno del loro rapporto.

Diventa quindi centrale, in questa prima fase, riuscire a vedere il conflitto come un'opportunità

di confronto e di crescita.

Le caratteristiche fondamentali della mediazione possono essere così riassunte:

1. il suo essere alternativo al procedimento ordinario;

2. la sua assoluta volontarietà in quanto fondata esclusivamente sulla libera volontà delle parti

di trovare un accordo;

3. la riservatezza, in quanto ciò che viene detto in mediazione non potrà essere utilizzato in

sede legale per un eventuale giudizio successivo.

Il mediatore è quindi una parte terza, neutrale ed equidistante tra le parti.

Solo questi prerequisiti gli permetteranno di definire (attraverso precise competenze

comunicative e di ascolto) il contesto di riferimento in cui si è instaurato il conflitto, il tipo di

conflitto in atto, il livello di conflittualità delle parti e gli interessi, nonché gli obiettivi impliciti

attorno ai quali costruire un terreno negoziale adeguato.

Trasformazione e comunicazione: sono questi, due degli aspetti più importanti del processo di

mediazione. Inizialmente cercheremo di chiarire cosa si intenda per 'trasformazione' e per fare

ciò dovremo distinguere tra due modi di intendere il 'cambiamento'.

'Cambiamento' può essere inteso in prima istanza come il tentativo di cambiare alcune regole

marginali all'interno di un contesto che rimane immutato. Questo tipo di cambiamento

presuppone che la struttura del sistema non si modifichi e che le regole che lo determinano

rimangano a loro volta le stesse. In questo caso parliamo di 'Cambiamento di primo livello'.

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Un secondo tipo di cambiamento può riguardare sia le regole marginali che la struttura del

sistema stesso. Questo secondo modello, comunemente chiamato 'Cambiamento di secondo

livello', va a toccare le strutture del sistema, permettendo di ridefinire il conflitto e aprendo

così la strada a soluzioni veramente nuove. Affinché ciò sia possibile è necessario prendere le

distanze dal proprio punto di vista attraverso l'esplorazione di punti di vista diversi.

Il ben noto esempio della figura ambigua "coniglio/papero" (vedi figura 1) ci dimostra appunto

come, una volta riconosciute le due immagini, sia impossibile tornare a una visione univoca

rispetto alla figura in questione. Il nostro modo di vedere questa realtà particolare è

definitivamente cambiato.

Avremo modo di approfondire come, lo strumento fondamentale per realizzare questo tipo di

cambiamento di secondo livello, sia l'ascolto attivo.

(figura 1)

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Se come abbiamo visto il conflitto si struttura su due

diversi modi di vedere la realtà, entrambi legittimi

ma apparentemente inconciliabili, il ruolo del

mediatore sarà quello di porsi tra le due

interpretazioni della realtà e di fungere da

"chiarificatore per l'altro".

Chiediamoci dunque su quali basi poggi la possibilità di avere due prospettive così diverse

rispetto al medesimo oggetto o al medesimo problema. Ci viene in soccorso la distinzione

operata del logico e filosofo tedesco Gottlob Frege (Senso e denotazione, 1892) tra il "senso"

(Sinn), ovvero il modo in cui ci rapportiamo a una data entità, e il "riferimento" (Bedeutung),

ovvero quell'entità specifica alla quale ci possiamo rapportare attraverso vari "sensi". Un

esempio, riportato da Frege nel testo, è quello del pianeta Venere al quale si può fare

riferimento attraverso sensi diversi, potendo infatti essere chiamato sia la "stella del mattino",

sia la "stella della sera". Chiaramente il riferimento è lo stesso, ma diversa è la modalità con cui

è dato. La riflessione fregeana, apparentemente semplice, ha rivoluzionato a livello logico-

linguistico il modo in cui ci si rapporta alla realtà e in particolare alla relazione di identità. Dire

"A=A" ("la stella del mattino=la stella del mattino"), è solo apparentemente identico a dire "A=B"

("la stella del mattino=la stella della sera"). Ciò che cambia è il fatto che abbiamo un effettivo

accrescimento della conoscenza: si tratta dell'aggiunta di un qualcosa che non è implicato nel

soggetto a cui ci riferiamo.

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Come trasferire la distinzione fregeana in mediazione? Abbiamo visto come due parti che si

presentano in mediazione, sebbene con un livello di conflittualità variabile, siano solitamente

ancorate ognuno alla propria posizione: la propria prospettiva sul problema. Ecco che la

funzione del mediatore diventa proprio quella di mediare tra due punti di vista diversi (sensi)

sullo stesso problema (rifermento). Il mediatore deve avere quindi specifiche competenze in

ambito comunicativo, tali da consentirgli di mettere a fuoco tutti gli aspetti che riguardano

l'incontro/scontro tra le parti.

A quanto pare, partendo dalla distinzione fregeana tra Sinn e Bedeutung, l'aspetto esplicito

(ovvero ciò che viene detto) non è sufficiente per una piena comprensione del processo

comunicativo, ed è per questo che dovremo spostare la nostra attenzione sull'implicito della

comunicazione.

Paul Grice nel suo saggio Logica e conversazione (1975), parafrasando Wittgenstein, sostiene che

due individui, nel momento in cui conversano, stanno inconsapevolmente conducendo un gioco

che segue regole fisse. Grice ci dice che questa 'impresa comune' si basa su un Principio di

Cooperazione che i parlanti devono sempre rispettare e che viene così definito: "il tuo

contributo sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento

accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato". Se questo Principio viene violato, viene

meno anche la conversazione.

Siamo tuttavia sicuri che due parti in conflitto siano pronte a collaborare pienamente nella

conversazione? Non è più probabile che, pur rispettando il contesto comunicativo, essi

proveranno ad eludere le regole del gioco per avere la meglio e per far valere la propria

posizione? Per rispondere in maniera appropriata a queste domande faremo riferimento al

contributo che Paul Watzlawick, Janet H. Beavin e Don D. Jackson, della scuola di Palo Alto,

hanno dato allo studio della comunicazione con la loro Pragmatica della comunicazione umana

(1967).

In questo testo il tema della comunicazione viene affrontato partendo dalla definizione di alcuni

assiomi fondamentali. Il primo assioma ci dice che: "non si può non comunicare". Tale assioma

sembra quasi far da sfondo al Principio di Cooperazione griceano chiarendone decisamente i

contorni: se ogni comportamento umano è comunicativo, lo sarà anche ogni parola, ogni

sguardo, ogni gesto e addirittura ogni silenzio. Se come abbiamo visto la morte di ogni atto

comunicativo coincide con il suo abbandono da parte di uno o di entrambi i soggetti coinvolti,

anche un atteggiamento strategico può essere letto come un elemento vitale per la

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comunicazione e quindi per la mediazione stessa. Compito del mediatore sarà quello di asciugare

il detto dalle negatività e dagli elementi emotivi, per far emergere gli obiettivi e gli interessi

delle parti che si trovano sullo sfondo. Aiutare le parti a riconoscere questi interessi diventerà

centrale per costruire un terreno comune entro il quale le parti potranno negoziare un accordo.

Quali sono gli strumenti adeguati per svolgere questo compito? Per rispondere dobbiamo fare un

ulteriore passo avanti e introdurre il tema dell'ascolto attivo.

Il modo in cui ci rapportiamo alla realtà è influenzato da una serie di variabili: valori, ricordi,

esperienze, aspettative, interessi. La presenza di queste variabili, il loro essere in continuo

mutamento e il loro concatenarsi in maniera via via differente, rende difficile il pensare un'idea

assoluta di realtà.

Ci deve essere qualcosa, nella comunicazione, che va oltre il mero dato oggettivo. Per chiarire

questo aspetto faremo riferimento al secondo assioma della Scuola di Palo Alto: "ogni

comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo

classifica il primo ed è quindi metacomunicazione". Per 'contenuto' qui si intende l'informazione

neutra, il dato oggettivo (il Bedeutung), mentre per relazione si intende ciò che definisce il

rapporto tra coloro che stanno comunicando.

La metacomunicazione è una comunicazione di secondo livello che ci permette di prendere le

distanze dal detto e di metterlo bene a fuoco. Associare questo secondo assioma all'aspetto della

punteggiatura della comunicazione, sempre elaborato dagli studiosi di Palo Alto, ci permetterà

di analizzare uno degli aspetti centrali dell'ascolto attivo.

Cosa si intende per 'punteggiatura della comunicazione'? In sintesi possiamo dire che uno scambio

comunicativo si basa su una continua risposta rispetto a uno stimolo che riceviamo dal nostro

interlocutore (Watzlawick, Beavin e Jackson parlano di un susseguirsi di tre elementi: stimolo-

risposta-rinforzo). Ogni interlocutore tuttavia punteggerà in maniera diversa la sequenza degli

scambi comunicativi. Ecco che in una comunicazione conflittuale la difficoltà, per i confliggenti,

sta proprio nello stabilire quale sia il punto di inizio del conflitto.

Facciamo un esempio per chiarire questo aspetto: marito e moglie vivono un forte conflitto

causato, secondo la moglie, dall'incapacità del marito di prendere decisioni in maniera certa e

sicura "come si compete a un vero uomo" e per questo è costretta a farlo lei nella maggior parte

dei casi. Da parte sua, il marito risponde che la sua "morbidezza" nasce dal non voler andare

contro le decisioni della moglie per non minare la pace familiare. I coniugi stanno punteggiando

la stessa sequenza in modo diverso: per la moglie (1) il marito è "morbido", quindi (2) lei deve

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prendere tutte le decisioni; per il marito invece (1) la moglie ha un carattere forte e

decisionista, quindi (2) lui accetta le sue decisioni per non creare contrasti.

Ecco che l'aspetto relazionale della comunicazione viene compromesso. Per uscire da questa

impasse del rapporto è necessario metacomunicare sul rapporto stesso. Entra in gioco il tema

dell'ascolto attivo con lo scopo di ristrutturare la punteggiatura della comunicazione

conflittuale.

Tornando al nostro esempio di conflitto tra marito e moglie possiamo facilmente vedere come

ognuno stia ascoltando l'altro secondo i seguenti criteri:

1. la realtà è come la vedo io e l'altro si deve adeguare;

2. devo rimanere in controllo rispetto alle mie emozioni;

3. il fatto è semplice: "le cose stanno così".

Possiamo dire che questi criteri corrispondono a un ascolto di tipo passivo, non pronto cioè ad

assumere una diversa prospettiva.

Il compito del mediatore sarà quello di aiutare le parti a prendere le distanze dal proprio punto

di vista in modo da riconoscere quello dell'altro.

Nel porsi in un atteggiamento di ascolto attivo come operatore, ma anche per stimolare un

analogo atteggiamento nelle parti, il mediatore ricorrerà all'uso della parafrasi di ciò che viene

detto. La parafrasi consiste nel ripetere con parole diverse ciò che abbiamo capito, chiedendo

quindi conferma per correggere eventuali errori di comprensione.

La fase della parafrasi permetterà, alla parte parafrasata, di correggere, prendendo nuovamente

la parola e chiarendosi, eventuali falle nell'interpretazione del mediatore. Questo momento è

importantissimo perché da una parte smuove il soggetto dalla posizione a cui è ancorato rispetto

al conflitto, dall'altra si presenta come una prima fase di avvicinamento a un ascolto di tipo

attivo, volto cioè a dare prova della volontà di comprendere quanto l'altro sta dicendo.

Occorre evidenziare che l'ascolto attivo stimolerà una serie di risposte emotive che non

dovranno essere soppresse, ma che saranno uno strumento centrale per comprendere dove siano

i nodi da scogliere. Per riuscire ad attuare un 'Cambiamento di secondo livello' è infatti

necessario riconoscere e gestire i segnali che ci mettono in guardia rispetto al cambiamento che

sta avvenendo. Dobbiamo quindi modificare la nostra prospettiva sul ruolo delle emozioni. A tal

riguardo Marianella Sclavi nel suo Arte di ascoltare e mondi possibili (2000) opera una

interessantissima distinzione tra 'retorica del controllo' e 'autoconsapevolezza emozionale'. Nella

prospettiva della retorica del controllo, le emozioni sono viste come un elemento di disturbo

rispetto al nostro confrontarci con il mondo circostante. In questo senso si ritiene che, per

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affrontare nel modo adeguato una situazione di confronto contrastivo, sia necessario "mettere

da parte le emozioni" in quanto non ci permetterebbero di affrontare la situazione nel modo

migliore, ovvero razionalmente.

L'approccio dell'autoconsapevolezza emozionale assume una prospettiva diametralmente opposta

che può essere così sintetizzata usando le parole della Sclavi: "prova a interpretare le tue

emozioni non come cause di azioni future, ma come rivelatrici di azioni già in atto". Secondo

questa prospettiva le emozioni assumono allora il valore di veri elementi conoscitivi che ci

aiutano a comprendere cosa stia succedendo e quali siano le nostre reazioni in tale contesto. Il

linguaggio emotivo rientra in quello sfondo dell'implicito che fa parte degli aspetti analogici e

non digitali della comunicazione.

Queste importanti considerazioni sulla funzione che svolge l'autoconsapevolezza emozionale ci

permettono di comprendere come l'ascolto attivo sia un'attività complessa che non si limita

all'esatta "registrazione" del detto ma che implica un atteggiamento e una competenza

comunicativa necessari a far emergere, attraverso il riconoscimento dell'implicito, gli aspetti

relazionali più significativi e utili nel processo di mediazione. Uno dei compiti fondamentali del

mediatore infatti, consiste nel facilitare, nei soggetti coinvolti, la disponibilità ad ascoltare

attivamente per poter esplorare le ragioni diverse che, in ogni conflitto, sono simultaneamente

presenti sul tavolo della mediazione.