Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della...

265

Transcript of Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della...

Page 1: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando
Page 2: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Maurizio Baiata

Gli alieni mi hanno salvato la vita

VerdechiaroEdizioni

Page 3: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

© 2012 Verdechiaro Edizioni Via Montecchio, 2942031 Baiso (Reggio Emilia)

isbn 978-88-6623-058-8

Nessuna parte di questa pubblicazione, inclusa l’immagine di copertina, può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

Page 4: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

4

Prefazione alla seconda edizione

Quando l’editore mi ha proposto l’idea di una seconda edizione di questo libro a oltre un anno dalla sua prima stesura, ho colto l’occa-sione per rileggerlo. Sono di nuovo emerse le sensazioni e le emo-zioni che mi avevano accompagnato nella scrittura, ma soprattutto la necessità di unire meglio il filo logico di un racconto che poteva essere chiarito, arricchito e completato a beneficio del lettore, con nuovi capitoli e un rinnovato impianto iconografico.

Grazie dunque all’editore e a tutti coloro i quali mi hanno sempre sostenuto.

Maurizio Baiata

Page 5: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

5

Prologo, per mio Fratello

di Carlo Barbera

La storia di ogni essere umano lascia una traccia indelebile nell’esi-stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando il tempo e lo spazio, diviene patrimonio di conoscenza e saggezza condivisa fino alla radice della materia e dell’energia, fino agli elementi fondamentali della vita co-smica. Ogni essere umano è quindi un protagonista dell’universo e, come tale, creatore e distruttore di vita, di realtà e di mondi.

La storia di Maurizio Baiata è quella di un protagonista, con la sua energia, le sue idee, le passioni, la lotta, le vittorie e le sconfitte, le delusioni e i successi, le gioie e le sofferenze, l’amore.

Ha cercato l’amore, Maurizio, quell’amore che «move il sole e l’altre stelle», quella forza motrice dell’universo che lo ha voluto protagonista della sua generazione, lo ha chiamato a vivere, tenace-mente, lo ha voluto fortemente presente nel suo tempo, come un combattente, come un vero karateka, innamorato della vita perché alla vita riportato da quelle invisibili mani che ora scopre essere state con lui, per lui, mani di amici invisibili che lo hanno amato davvero.

Questo ha cercato Maurizio, più o meno consapevolmente, l’a-more che lo ha riportato in vita in quel lontano giorno di tanti anni fa, in cui la vita ha rischiato di perderla, senza sapere che tanto aveva ancora da vivere, che tanto aveva ancora da fare, che tanto era chia-

Page 6: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

6

mato a compiere perché una realtà imponderabile divenisse manife-sta, perché ciò che veniva taciuto fosse rivelato.

Ha cercato l’amore nel suo lavoro di giornalista, là dove dipingeva a parole le evoluzioni spasmodiche e multidimensionali della musica della sua lacerata generazione, là dove si spingeva oltre le nubi, oltre il cielo, scrutando il mistero dei mezzi volanti di origine ignota e dei loro ancor più ignoti piloti, creature viventi di altri mondi, altre realtà, altre dimensioni, manifesti nei cieli della Terra e proprio qui, fra noi.

Così ho visto Maurizio andare, caparbio e a testa bassa verso l’i-gnoto, con l’incedere di un guerriero che non ha più nulla da per-dere, e l’ho visto combattere sì, duramente, e non sempre uscendo vittorioso dalla lotta, ma sempre lottando a onore del vero.

E l’ho visto stringere i denti, serrando la disperazione dentro, chiusa e muta, e graffiare il cielo e la terra, con un amaro sorriso, ma quella, lui sa, è la sua forza e la sua dannazione, la disperazione muta di non incontrare mai il vero amore cercato, di non possederlo, è la forza e il coraggio di continuare a cercarlo.

Nella primavera del 1997 accompagnai Maurizio a conoscere per la prima volta e a intervistare Eugenio Siragusa, famoso e ormai anziano “contattato” dagli extraterrestri dal lontano 1962, anno nel quale Siragusa affermava di aver avuto il primo di una lunga serie di incontri con esseri di altri mondi in missione sul pianeta Terra.

Accompagnai personalmente Maurizio da Eugenio Siragusa avendo avuto negli anni precedenti un’intensa amicizia e un’attiva collaborazione con il contattista siciliano. Lo incontrammo nella sua casa di Nicolosi, alle pendici dell’Etna. Ci accolse com’era solito fare nel suo studio al piano terra e ci trattò amorevolmente come figli, lui anziano padre che aveva molto da raccontare riguardo agli ufo e a quella che lui definiva la “confederazione galattica” in missione sulla Terra. Maurizio visse molto intensamente quella giornata passata insieme perché, mi confidò, Siragusa gli ricordava suo padre, uomo particolare e d’altri tempi, anche lui siciliano ma emigrato giovanis-simo in America, che perse, quando ancora era bambino.

Page 7: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

7

La figura di suo padre e gli Stati Uniti nei quali egli visse buona parte della sua vita rappresentano a tutt’oggi le pietre miliari nella ricerca di Maurizio delle proprie origini.

Come fece suo padre, e come leggeremo in questo libro scritto a cuore aperto, Maurizio ha vissuto in America alcuni anni impor-tanti della sua vita e tuttora vi risiede, forte della sua disperazione di uomo alla ricerca dell’amore e delle proprie origini.

Ma gli Stati Uniti hanno questa volta voluto fare un dono a Mau-rizio, non risparmiandogli tuttavia amare esperienze e difficoltà solo apparentemente insormontabili e solo apparentemente contrarie alla direzione della sua ricerca. Ha ricevuto un dono meraviglioso, quella della consapevolezza. Con il provvidenziale aiuto di Ruth Ho-ver che, come descritta dal lui stesso, è persona competente, respon-sabile e, cosa molto importante e rara per chi vuole aiutare gli altri nelle esperienze di contatto e abduction, dotata di una vasta consape-volezza, egli è riuscito ad aprire quella porta che gli ha dato accesso al suo mondo interiore, alla sua consapevolezza più profonda. E a ricordare ciò che probabilmente lui stesso aveva voluto nascondere negli anfratti più segreti della sua memoria. Aprendo quella porta, Maurizio ha finalmente iniziato una nuova fase del suo percorso, alla quale forse era predestinato fin dall’inizio dei suoi giorni in questo mondo: quella dell’incontro.

Perché quando si varca quella porta e si entra dentro se stessi, si percorrono a ritroso i passi compiuti e si illuminano alla luce della consapevolezza i connotati oscuri del proprio essere, si genera uno straordinario processo di riunificazione del Sé con le proprie radici, con l’amore che genera e alimenta la vita, con la propria natura mul-tidimensionale che rende l’individuo sintesi ed espressione dell’inte-ro universo.

Nel suo viaggio all’interno di sé egli incontrerà suo padre, che in lui sarà presente, nei suoi occhi, nel suo cuore, nei nuovi passi che compirà, nella vita che il suo amore originerà, perché l’amore che ora lascia scorrere nelle sue vene diverrà la forza motrice di ogni

Page 8: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

8

sua azione e la forza coesile che renderà sacra e duratura ogni cosa che da lui si renderà manifesta. Incontrerà quegli esseri avvolti dal mistero, ora che, grazie alla sua scelta di aprire quella porta interiore, cominciano a rivelarsi a lui, lasciando trasparire i connotati del loro essere, la sostanza stellare della quale, come lui, come tutti, essi sono costituiti. Ne conoscerà gli intenti, la volontà, lo spirito che li anima, ora che la paura si dirada e lascia spazio alla fiducia, ora che comin-cia a comprendere che l’ombra e tutti i demoni che vi prendono dimora altro non sono che la sua stessa energia vitale relegata nel regime caotico dell’inconsapevolezza.

Non è un augurio che faccio a Maurizio, è una certezza la mia, dichiarata a ragion veduta. Come è una certezza il fatto che in quel momento avrà un’altra sorpresa. Ovvero che tutto ciò che ha da sem-pre cercato, per cui ha combattuto e si è disperato, è sempre stato lì, a portata di mano, non dissimile né separato da se stesso, presente nella sua coscienza e lo ha sorretto e guidato attraverso la sua rocam-bolesca esistenza. Era la speranza di raggiungere il suo obiettivo, che invariabilmente genera la paura di non raggiungerlo e di perderlo, a tenerlo lontano dalla chiarezza e dalla certezza che tutto ciò che stava cercando non lo ha mai lasciato, neppure per un attimo, che da sem-pre è stato parte di lui, luce del suo firmamento interiore.

Infine vorrei riferirmi a un’ultima nota, un’osservazione che la dottoressa Ruth Hover gli ha fatto pervenire, e che non cito per rispetto del lettore, che potrà arrivarci seguendo gradualmente il percorso di vita narrato dall’autore nelle pagine del suo libro. Sì, è la preziosità e la purezza dell’oro forgiato dal fuoco, il simbolo che rappresenta il nuovo cammino che ora il nostro caro amico e fratello dovrà compiere.

Negli occhi risplenda il lucente colore dell’oro, riflesso interiore di un universo che ci attende, meravigliosa presenza di luce che tutti noi siamo, in questo preciso momento.

Buon viaggio, Maurizio.

Page 9: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

9

Il sapere in una canzone

di Ernesto Assante

Conosco Maurizio Baiata da molto prima che lui conoscesse me. Ero un lettore di Ciao 2001, un avido consumatore di letteratura rock e lui era una delle “figure di riferimento” per me, che sognavo di fare il suo lavoro, il giornalista musicale. Leggendo le cose che scriveva ho imparato a fidarmi di lui, dei suoi pensieri, delle sue idee.

E solo anni dopo, quando l’ho conosciuto davvero ed è diventato mio amico, ho avuto conferma che quello che pensavo era vero: Maurizio vedeva più lontano degli altri. Bene, il libro che state per leggere parla esattamente di questo, di guardare oltre, sempre e co-munque, di vedere quello che normalmente non si vede, sentire quello che normalmente non si sente, provare quello che normal-mente non si prova. Ovvero la vita di Maurizio Baiata, una straor-dinaria esistenza che può diventare materia, come in questo caso, di letteratura, di un racconto, di un “romanzo”, fatto però di vita vera e vissuta.

In fondo, fare il critico musicale è esattamente questo, provare a vedere quello che non si vede, a sentire quello che non si sente e raccontarlo agli altri. Maurizio non ha cambiato mestiere affrontan-do altri argomenti e lo si vede, lo si legge benissimo, nelle pagine di questo libro. Maurizio ci porta altrove, sempre, sia che parli di musica, sia che ci racconti di esperienze sensoriali differenti, sia che

Page 10: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

10

parli di ufo. E l’altrove è un luogo meravigliosamente ricco, affasci-nante, dove non tutti possono, vogliono, riescono ad arrivare. Mau-rizio vede più lontano e ci racconta la sua storia, con la semplicità di chi non considera la sua esistenza qualcosa di “strano”, perché è abituato, da sempre, a vedere oltre, a vivere oltre. Il rock, gli ufo, o qualsiasi altra cosa catturi la sua attenzione, la sua inarrestabile pas-sione, la sua creatività, i suoi sentimenti, diventano immediatamente materia per vivere, per respirare, materia da condividere con gli altri, cibo per la mente e per l’anima.

Ed è di questo che è fatto questo libro. Cibo per la mente e per l’ani-ma, una storia, mille storie che diventano una, percorsi di una lunga avventura fatta di luci, di ombre, di passioni, di sogni, di visioni, di amori, di amicizie, di parole. Bisogna leggerla con il cuore aperto, bisogna provare a vedere oltre quello che Maurizio Baiata scrive, capire cosa scrive, come scrive. Perché la sua è una stupefacente canzone e, in ogni canzone, è nascosta la vita. Non c’è bisogno di credere a quello che leggete. Dentro di voi, come quando ascoltate i brani di Hendrix, o degli Who, o entrate nelle spirali di Terry Riley, sapete già tutto. Tutti noi sappiamo tutto.

Page 11: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

11

Introduzione

Los Angeles, 20 febbraio 2011

Nello scrivere, il Mac mi riporta sempre alla realtà, chiedendomi di definire la lingua da usare. Se sto scrivendo in italiano, le lettere appaiono tutte sottolineate in rosso. Se scrivo in inglese, le lettere mi appaiono tutte sottolineate in rosso. Allora, c’è un comando che consente di non fare apparire le sottolineature e di comporre il testo nella lingua desiderata. Aiuta. E aiuta la musica degli Editors, la mia band preferita in questi ultimi due anni, da quando Pino Morelli me li ha fatti scoprire e di questo – e di altre cose – gli sono grato. Ho vissuto con lui e sua moglie Roberta alcuni momenti molto intensi. Momenti bellissimi di riconoscimento negli altri, in quello che siamo veramente, fragili creature che hanno una loro interiorità inspiegabi-le, in cui ogni vittoria e ogni sconfitta sono uguali e si bilanciano, poi ci diciamo: «In fondo cosa importa?»

Roberta e Pino hanno una cagnetta Labrador, dal pelo nero, bel-lissima e che adoro, si chiama Kina. L’ho avuta in braccio sin da cuc-ciola e, ora che è grande, è ancora tenera e coccolosa, un po’ come tutti i Labrador che, si dice, siano la razza più giusta per essere tuoi amici. Lo stesso mi venne detto circa tre anni fa dalla mia prima mo-glie Silvia, che mi scrisse in un sms: «Felicità sono gli occhi di un La-brador che ti guardano quando esci di casa al mattino e ritorni a casa

Page 12: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

12

la sera». Molti di noi hanno avuto la fortuna di crescere cuccioli, ai quali diamo e dobbiamo la vita. Alcuni di noi non hanno avuto que-sta fortuna, che credo ci distingua fra gli esseri che abitano il cosmo, perché dotati di ogni bene che scaturisce dalla carne e dall’anima. Chissà se ci invidiano, di lassù. Chissà se è questa la ragione prima del loro interesse per noi. Io questo interesse l’ho sempre sentito ed è reciproco. Sono disponibile a incontrarli di nuovo, quando e come vogliono loro. Non vivo di tale attesa, ma mi piace credere che anche per loro sia lo stesso e che ricambiano il sentimento. Sarebbe importante manifestassero le loro intenzioni, a ciascuno di noi.

Questo libro è dedicato a chi vive nel dubbio e non riesce a com-prendere le ragioni di tali visite. Non ho la pretesa di risolvere il pro-blema. Ogni nostro atto nella realtà che viviamo ha molteplici facce. Spesso non ci rendiamo conto delle conseguenze delle nostre azioni e arriva qualcuno a ricordarcele. Spesso, reagiamo ritirandoci in noi stessi, ci eclissiamo per evitare il confronto rifugiandoci nella quiete apparente della nostra coscienza, a volte invece reagiamo con rabbia alle vicissitudini e alle incomprensioni. Il più delle volte non per-doniamo. Credo che il concetto di perdono sia fondamentale, per capire chi siamo e cosa gli altri sono, con noi e anche contro di noi. Se vivessimo sempre e soltanto in base alla legge karmica di cau-sa ed effetto saremmo costantemente sepolti dall’odio e dal livore, dall’invidia e dalla separazione, dall’orgoglio ferito e dalle lacerazioni più intime. Purtroppo tante persone vivono così, nel bianco e nero, positivo e negativo, nella contrapposizione dualistica. Non desidero discutere e filosofeggiare, ma di amore in queste pagine introduttive possiamo parlare e, nel farlo, sarò brevissimo, lasciando un argo-mento così centrale ad altre pagine che forse verranno presto. Molti sanno chi era Jim Morrison, James Douglas Morrison, la voce del gruppo The Doors. Jim era un poeta. Ne siamo certi perché le paro-le delle canzoni dei Doors erano sue poesie, nude e crude, migrate su un’intelaiatura musicale. Il tessuto che ne nasceva era un misto di rock scarno ed essenziale basato sulla punteggiatura delle tastiere di

Page 13: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

13

Ray Manzarek e la base ritmica creata dal chitarrista Robbie Krieger e dal batterista John Densmore. In pratica, un trio. La voce di Mor-rison dominava, come un urlo di luce nel buio della notte. Il gruppo si formò a Los Angeles, California, nel 1965 e il nome The Doors derivò dal titolo del libro dello scrittore visionario Aldous Huxley, The Doors of Perception, “Le porte della percezione”. In breve, per la serie “la storia della grande musica rock”, personalmente inserisco i Doors nella top ten delle band più importanti di sempre e il nome Jim Morrison al primo posto in assoluto fra le voci soliste maschili. Ora, Jim morì nel 1971, una meteora nella nostra vita. Ray Manzarek lo paragonò a una stella cadente, con queste parole: «Jim Morrison disse una volta di vedersi come un’immensa cometa infuocata, una stella cadente. Tutti restano attoniti al suo apparire, la indicano e dicono: “Ehi, guarda!” E poi, whoosh, io non ci sono più… e loro non vedranno più nulla del genere… e loro non potranno mai di-menticarmi». Possiedo la registrazione in audiocassetta dell’intervi-sta in cui Manzarek riportò la profetica frase di Morrison.

Al quale ora devo questa spiegazione sull’amore. Jim disse: «Sex starts Life, Death Ends it». “Il sesso inizia la vita, la morte la fa termi-nare”. Morrison contrappone i due estremi, il sesso come primaria espressione della vita biologica umana e, nella morte, la sua chiu-sura. In mezzo, nel dualismo vita-morte, Morrison colloca dunque l’Amore. Almeno questa è la mia interpretazione.

Spunta l’alba nel cielo di Los Angeles. È il mio momento di pre-parazione finale al viaggio di ritorno verso l’Italia, il mio Paese, Roma la mia città, sapendo anche che rivedrò la Sicilia, la terra della mia famiglia. Non so quanto durerà questo ritorno. Lo posso im-maginare di alcuni mesi, forse un paio. L’importante è sapere che quello che sto per affrontare ha un senso. Difficile scriverne. Mi sono ripromesso di non farlo, assolutamente. Mi sono detto e ho deciso di narrare la mia storia senza parlare del mio ultimo anno a Phoenix, trascorso fra Tempe e Ahwatukee. Infatti, ma devo co-munque, fa parte del viaggio. Tempe, l’arrivo in Arizona, per cinque

Page 14: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

14

mesi la solitudine, il lavoro, la concentrazione e dinamiche perso-nali che non potevo e non volevo affrontare, preso dall’impegno e dall’importanza del compito professionale che mi era stato affidato. Poi Ahwatukee, la mia oasi nel deserto. Che un giorno rivedrò, ma con uno spirito vincente, perché vista solo come tappa di un viaggio.

Allora, cari amici, in quasi due anni trascorsi un po’ pericolosa-mente ho vissuto il sogno americano e lo vivo ancora, ringraziando il destino che mi ha portato qui, nella mia terra promessa. Una terra che a molti non piace, perché è nella natura dell’uomo vivere di passioni e di contrapposizioni e gli Stati Uniti d’America incarnano tutto questo. Vorrei però invitare chi mi leggerà a capire che io sono solo un viaggiatore, un cronista e che la storia che sto per raccontare è la mia verità.

Una poesia di Jim Morrison:

Cold electric musicDamage meRend my mindwith your dark slumber

Cold temple of steelCold minds aliveon the strangled shoreVeterans of foreign warsWe are the soldiers of Rock & Roll Wars.1

1 Fredda musica elettrica / Feriscimi / Strappa la mia mente / con il buio del tuo dormire / Tempio di freddo acciaio / Vive menti fredde / sulla riva strangolata / Veterani di guerre straniere / Noi siamo i soldati delle /Guerre Rock & Roll.La poesia è tratta dal libro Wilderness: The Lost Writings of Jim Morrison, Villard Books, New York, 1988.

Page 15: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

gli alieni mi hanno salvato la vita

«L’unica cosa che conta nella vita è la testimonianza della coscienza».

Grillot de Givry

Page 16: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Dediche

Al Mio Maestro

E alle molte persone importanti nella mia vita:

La Mia FamigliaMarcella Iaforte Baiata, Giuseppe Baiata Bates †, Claudio Baiata, William B. Bates, Lucia Bates, Frank Bates †, Dena Bates, Michelle ed Elaine Bates, Maria, Patrizia, Vitaliano e Mimmo † Limonciello.

Il Mondo (in ordine alfabetico)Joseph Apollo, Stephen Bassett, Melania Bettarelli, Bob Brown, Vinny Cammisa, Philip J. Corso †, Scott Davis, Robert Dean, Scott Deans, Karyn e Richard Dolan, Ann Eller, Andrea Fiano, Paola Leopizzi Harris, Ruth Hover †, Linda Moulton Howe, Nicole Irvine, Massimo Jaus, Lynne Dumin Kitei, Barbara Lamb, Ken Liljegren, Larry Lowe, Jim Mann, Andrea Mantineo, Philip Mantle (Gran Breta-gna), Daniel Sheehan, Peter Robbins, Mary Rodwell (Australia), Lisa e Stan Roma-nek, Lori e Kent Sandell, Yvonne Smith, Aimee Sparrow, Cece Stevens, Wendelle Stevens †, Lori Wagner, Dana e Travis Walton, Michael Kruvant Wolf †.

L’Italia (in ordine alfabetico)Silvia Agabiti Rosei, Angela Ancorini, Eleonora ed Ernesto Assante, Annalisa Aversa, Alessia e Pablo Ayo, Enrico e Pierpaolo Barbanera, Ketty Barbaro, Cristo-foro Barbato, Carlo Barbera, Devi e Surjo Seminara Barbera, Antonello Bartolo-meo, Riccardo Bertoncelli, Dawn Bissell, Gaetana e Alessia Bonasera, Tom Bosco, Enzo Braschi, Paola Buttaci, Piergiuseppe Caporale, Annarosa Silvia Carnovale, Gino Castaldo, Mario Cingolani †, Paolo Ciotoli, Marco Columbro, Marina Costa, Dado, Eufemio Del Buono, Cinzia Di Biagio, Wendy d’Olive, Elio Donato †, Ga-briella D’Onofrio, Nikola Duper, Giulio e Sara Fabbri, Adriano, Alberto e Paolo Forgione, Renato Franchi, Massimo Fratini, Silvia Frattolillo, Luciana Gavarini, Paola Giovannini, Carmen Gironi, Gabriella e Michel Le Monnier, Alessandra e Massimo Libutti, Gianna e Corrado Malanga, Emanuela Malusardi, Maurizio Mancini †, Rita Mattioli, Roberta e Pino Morelli e Kina, Ivan Novelli, Lavinia Pal-lotta, Gino Pitaro, Piera e Gianluca Paladini, Vincenzo Pinelli, Giovanna Podda, Gabriella e Max Poggi, Pietro Ponzo, Carla Purificato, Stefano Putignano, Mauro Radice †, Fabio Saccomani, Stefano Salvatici, Lia Staropoli, Vincent Stone, Um-berto Telarico, Biagio Teseo, Laura Tommasi, Maurizio Trivilini, Antonio Urzi, Giampiero Vigorito, Maurizio Villanacci †, Monica Vinci, Ornella Volpe, Valeria e Pietro Volpe, Alessandra e Gianni Vulpes, Max e Luigi Zollo.

Page 17: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

i

Aqualung e il tunnel di luce

Ricordare esattamente la data è impossibile, ma era certamente la seconda settimana dell’aprile 1971. All’epoca avevo quasi vent’anni e scrivevo per il settimanale musicale Ciao 2001 diretto da Saverio Ro-tondi, un direttore burbero ma buono che mi diceva sempre che avevo un certo stile, ma dovevo imparare a scrivere in dieci righe quello che avevo scritto in una cartella di trenta, l’arte della sintesi non era il mio forte. Andavo di getto, spesso privo di punteggiatura, sospinto dai suoni, stralunato e visionario come le musiche che mi piacevano. Ero fra i collaboratori esterni, con Enzo Caffarelli, Ma-nuel Insolera, Marco Ferranti e diversi altri, il fotografo Piero Togni, mentre in redazione c’erano Tonino Scaroni, Luigi Cozzi e Fabrizio Cerqua. I nostri corrispondenti sarebbero divenuti famosi anni dopo entrando nella famiglia Arbore: da Londra scriveva Michel Pergolani, Armando Gallo, fotoreporter, andava e veniva da Los Angeles. La rivista vendeva decine di migliaia di copie la settimana e non aveva concorrenza, si era imposta sul mercato editoriale/musicale italiano come fonte di informazioni provenienti soprattutto dall’Inghilterra, che all’epoca viveva ancora dei fervori post anni Sessanta ed era all’a-vanguardia nel campo del progressive rock. La fantasia e la ricerca della perfezione nel suono, che in realtà fluiva dalle vene del blues/rock bianco, costituivano la matrice di molti gruppi elettrici, ma le radici scendevano sino al folklore rurale e alle leggende e ai salterelli

Page 18: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

18

dell’antica terra d’Albione e i Jethro Tull ne erano commercialmente la punta di diamante. Aqualung, il loro album di maggior successo, era uscito per la Island Records in Gran Bretagna un mese prima e me ne ero procurato una copia, con copertina in rilievo, un’opera d’arte in ogni senso, che oggi, penso, se l’avessi varrebbe centinaia di euro, anche perché me l’aveva autografata Ian Anderson, il leader del grup-po, incantatore di serpenti flautista sublime dalla voce possente e dai modi eleganti, che avevo intervistato grazie a Luigi Mantovani, allora manager international della Ricordi. Andavo in moto. Da poco mi avevano rubato una Lambretta 150 modificata e in quel periodo mio fratello Claudio mi aveva prestato il suo Gilera 5V. Era tarda sera. Alle 21:15 – l’ora è rimasta impressa nella memoria – percorrevo via Filippo Turati nei pressi della Centrale del latte, a ridosso della stazio-ne Termini, a Roma. Ero stanco. Con la mano destra manovravo il gas, la sinistra reggeva sul serbatoio della moto l’album dei Jethro. Una cunetta e un sobbalzo. Il disco cade in mezzo alla strada. Fermo la moto accanto al marciapiede, la metto sul cavalletto centrale. La mia unica preoccupazione era recuperare il 33 giri che giaceva sull’a-sfalto a pochi metri da me. La memoria è lucida. In un attimo avvie-ne. All’improvviso a fari spenti un’auto a forte velocità, una Volkswa-gen Maggiolino scuro, blu o verde. Vedo nell’abitacolo una ragazza che alza le mani verso il viso a coprire gli occhi, lancia un urlo che non sento. La macchina mi investe in pieno. Urto violentissimo. Volo per alcuni metri, forse una decina. Scaraventato a terra. Cerco di rial-zarmi, mentre il Maggiolino non si ferma e sparisce in un istante. Non ci riesco, sono piegato sullo stomaco, ho il viso insanguinato. Mi accascio sul bordo della strada sopraffatto dal dolore allo stomaco. Passano pochi secondi e sento lo stridio delle gomme in frenata di una vettura, piccola, una Fiat 600. Ha le portiere controvento. Vedo uscire un ragazzo, un militare che mi si avvicina. Mi dice: «Ehi, ti sei fatto male, ti porto in ospedale». Mi aiuta a rialzarmi, mi sostiene premuroso, cingendomi la vita e le spalle, braccia forti. Mi depone sul sedile davanti. Il ragazzo spinge sull’acceleratore, per quanto possibi-

Page 19: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

19

le su una scatoletta simile, e non siamo distanti dal Policlinico Um-berto Primo. Mi rassicura. Mi dice che andrà tutto bene. Non è di Roma, dall’accento mi sembra del Sud. Arriviamo al pronto soccor-so, penso, in meno di cinque minuti. Ferma la macchina, scende, apre lo sportello e mi solleva dal sedile. Di nuovo con gentilezza mi sor-regge. Le luci dell’ospedale sono diafane, quella dell’ingresso del pronto soccorso è più luminosa. Arriva un portantino. Il militare gli dice qualcosa, che ha visto l’incidente da poca distanza. Ma deve scappare via, deve rientrare in caserma. Il portantino gli chiede di restare e firmare un verbale, lui risponde di no, che non può e che si occupino di me perché gli sembro piuttosto grave. Non faccio nep-pure in tempo a ringraziarlo. Mi mettono su una lettiga lungo il cor-ridoio del pronto soccorso. Trascorrono alcuni minuti. Arriva un medico di turno. Mi puliscono e medicano il viso. Le abrasioni sono estese, ma superficiali, nessuna lacerazione. Dico che mi fa molto male la pancia, che ho crampi fortissimi. Il medico mi tasta l’addome e non riscontra alcunché e le ossa sono a posto. Mi piazzano in una camerata molto ampia, dove giacciono tanti poveretti ricoverati. Sul letto. Ho l’impressione che le cose non vadano per il verso giusto, i dolori addominali sono troppo forti e cerco di non lamentarmi per non disturbare gli altri. Un vecchio nel letto accanto al mio ha gli occhi fissi nel vuoto, rantola penosamente. Io provo a controllare il respiro lentamente. Inspiro ed espiro, ma ho un singulto e un fiotto di sangue scuro mi esce dalla bocca, cerco di non sporcare le lenzuo-la, mi rannicchio su un fianco e il sangue smette di uscire. È stato solo un attimo, ora andrà meglio, mi dico. Non va così. Un altro singulto e ancora sangue dalla bocca. Passano due portantini e uno mi dice: «Ehhh, hai bevuto tanto vino rosso, bravo!» Ridacchiano e si allonta-nano. Vorrei saltargli addosso, ma non riesco a muovermi e neppure a rispondere, ho il sangue in gola, gorgoglia e invade la trachea, mi sento soffocare. Cerco di non pensare. Mi dico che devo riuscire a dormire un po’ e che passerà. Chiudo gli occhi e mi lascio andare. Ho la sensazione di addormentarmi. E accade qualcosa. Il dolore cessa

Page 20: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

20

all’istante. Sento un’onda diffusa di strano torpore caldo provenire dall’addome. Sale verso il torace, rapidamente, mi riempie i polmoni, il cuore batte forte… una luce fioca, biancastra mi appare davanti agli occhi, devo per forza riaprirli, per vedere meglio e il dolore lancinan-te torna immediatamente, mi contorco nel letto. Sono come spinte di una lama affilata che penetra nelle viscere. Il silenzio della sala è rotto dalle mie grida che provo ad attutire e nessuno sembra sentire. Chiu-do gli occhi e… la sensazione di calore sale ancora dal ventre più forte ora. Vedo di nuovo quella luce che è come alla fine di un imbu-to scuro, un punto chiaro nell’oscurità. Mi attrae. Sento il mio corpo che si muove verso la luce, distendo le braccia a toccare le pareti in-visibili che diventano multicolore. Il dolore non c’è più, sono sovra-stato da una sensazione di benessere totale e di calore che mi pervade ovunque, a ondate sempre più aggressive… Ma riapro gli occhi e torno alla mia agghiacciante realtà. Mi volto verso il vecchio nel letto accanto al mio. Boccheggia, il suo respiro si fa più affannoso, poi con un singulto cessa del tutto. Oddio! È morto così, a due metri da me. È la prima (e sola) volta che vedo una persona morire. Chiudo gli occhi. E di nuovo succede, stavolta la luce alla fine del tunnel è vivida e in fondo una sagoma indistinta, esile, scura sembra pulsare di luce propria, i contorni si delineano e distinguo una figura umana. E sen-to una voce dapprima flebile che si fa parole: «Vieni da me… Vieni qui…» Mi muovo nel tunnel con i lati multicolori che diventano come nella sequenza finale del film 2001: Odissea nello Spazio, dove l’astronauta David Bowman compie il viaggio ultimo verso il mondo nuovo, l’eternità della nuova vita che sorge all’orizzonte cosmico. Strisce luminose lampeggianti, flash continui che aumentano di in-tensità a ogni secondo… Ohhh… sono pronto. La forza dolce mi sospinge verso la figura che resta lì, immobile.

È la mia meta ed è bello andare con i brividi caldi che nascono dal mio ventre e ormai mi hanno preso completamente… mi stupisce non sentire le musiche che adoro, i suoni astrali dei quali scrivo già

Page 21: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

21

da tempo, i brividi diventano maestosi ed è amore allo stato puro, lo sento: «Apri le tue braccia e accoglimi, oh morte. Tu sei la vita. Ven-go da te». In realtà, sono fermo. Il tempo e lo spazio scorrono in-sieme davanti ai miei occhi. Vedo sulle pareti del tunnel multicolore scene che non ho mai visto, il passato e il futuro all’unisono. Scene di vite lontane. Sogni veloci, passaggi ultraluminali… allora ecco, que-sto è il presente che sto vivendo. Sto morendo. Ho vent’anni. E sto morendo. Come l’uomo vicino a me. Non voglio morire ora. Amo da impazzire la mia ragazza, non posso lasciarla, ha solo sedici anni. Ma la voce mi dice di andare, ancora, e la sensazione di benessere è diventata abbandono totale che mi risucchia verso la fine del tunnel e mi avvolge come il più tenero e focoso degli amplessi. Un orga-smo mistico. Irresistibile. Fra l’amore per lei e l’amore che provo per la fine della mia vita, scelgo di riaprire gli occhi. Il dolore insorge di nuovo e mi riporta in coscienza. Sento il sapore del sangue in bocca, aspro e dolce. E ora inizio a urlare con tutta la forza che mi resta: «Aiuto!!! Per favore». Si avvicina una suora, piccolina. Le afferro il polso, glielo contorco e non mollo la presa. Le dico che voglio vede-re la mia faccia e d’incanto nelle sue mani si materializza un piccolo specchio, che mette davanti al mio viso. Inorridisco. È verdastro. Le dico che mi sento morire. Lascio il suo polso e si dilegua. Dopo un paio di minuti torna, insieme a un dottore. Giovane, incredibile, os-serva la cartella clinica, appoggia le mani sul mio ventre e ordina: «In sala operatoria, immediatamente!» e va via. La suora resta. Ancora pochi minuti e appaiono due portantini. Mi sollevano e mi adagiano su una lettiga. Percorriamo un corridoio e arriviamo davanti alla porta di un ascensore, che si apre, entriamo, un portantino mi dice che ora mi operano. La sala è già pronta. L’anestesista mi dice: «Ora farai un bel sogno, ragazzo» e la mistura di ossigeno e narcotico fa effetto in tre, quattro secondi. Bello scivolare nel mondo dei sogni.

Quando riapro gli occhi, mi vedo nel letto in una stanza d’ospeda-le, con mia madre e mio fratello accanto. Osservo la scena dall’alto, sospeso in un angolo del soffitto e vedo tutto.

Page 22: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

22

Vedevo la stanza e la parete sulla destra del letto, trasparente, die-tro la quale c’erano persone che sembravano in attesa. Erano miei amici. Non so, non ricordo e sinceramente non voglio sapere chi avesse avvisato la mia famiglia.

Ma erano tutti lì e io fluttuavo morbidamente nell’aria. Vedevo per-sino le cannule nelle mie narici. Brusio di voci, sospiri, volti preoccu-pati. Lacrime sul mio viso che, in fondo, non sembrava così detur-pato dall’incidente, e d’altronde stavo benissimo nel mio angoletto di mondo che mi riportava alla vita. Come rientrai dal corpo astrale al corpo fisico non sono mai riuscito a capirlo. Ripresi conoscenza e la prima cosa che dissi a mia madre fu se era stata avvertita Diletta, mio primo grande amore adolescenziale. Mi disse di sì e la fece subi-to entrare. Eccola. Graziosa davvero. Non disse una parola, rimase solo un paio di minuti. E presero a entrare anche gli altri, uno a uno, in fila indiana. Poi un’infermiera intimò a tutti di uscire. Restai solo e mi accorsi che avevo una seconda cannula infilata nello stomaco. Drenava liquidi. Ormai ero rientrato completamente nel mio corpo, senza accorgermene. E sentivo una forte pressione allo stomaco, la linea verticale di una ventina di punti esterni bruciava un po’. Entrò un dottore. Mi disse che era stato lui a operarmi e che in un paio di settimane sarei stato di nuovo in piedi. Con un filo di voce chiesi: «Ma potrò tornare a giocare a pallacanestro?»

«Sì certo, torni in palestra al San Leone Magno presto, non pre-occuparti».

Come poteva sapere che giocavo nella squadra del San Leone? E aggiunse: «Sono il fratello di Massimo, il tuo compagno di ban-

co al liceo». «Cosa?» «Sì, sono Maurizio Moretti, ti ho operato io. Ora continuo il mio

giro, ma ti rimetteremo presto in piedi. Passo di nuovo domani». Cosa fu, un miracolo? Non l’ho mai capito. Aveva ragione il dot-

tor Moretti, perché mi dimisero dall’ospedale una settimana dopo e iniziai a riprendermi velocemente. A quell’età il fisico reagisce bene

Page 23: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

23

anche a un trauma simile. Mi cadde però una tremenda tegola sulla testa. La mia ragazza, Rita, quella per la quale mi ero aggrappato alla vita, per alcuni giorni non si era fatta viva. Un pomeriggio mi telefo-nò e mi disse: «Vedi Maurizio, io ti voglio bene, ma tu sei troppo… impegnativo. Scusami, non possiamo stare insieme». Capii all’istante che aveva ragione, perché era ancora troppo piccola e quell’inciden-te che mi aveva quasi ammazzato era stato troppo per lei. Il mondo si fermò. Erano anni belli, ma difficili per la mia generazione. Per le strade c’era aria di rivoluzione. Dopo la morte di mio padre, nel novembre del 1960, ero stato in collegio per cinque anni, con mio fratello e solo l’amore per il basket e per la musica – Radio Luxem-bourg ascoltata di nascosto la notte con l’auricolare di una radiolina a transistor – mi aveva aiutato a uscire da un’educazione cattolica che ora rifiutavo completamente. Un sistema oppressivo e tetro che imponeva ai bambini di pregare dalla mattina alla sera, di salmodiare il messalino nell’austera cappella del Collegio San Giuseppe Istituto De Merode di piazza di Spagna. Di imparare a pensare alla salvezza della tua anima invocando tutti i santi del paradiso e ad avere terrore della morte che portava alla corruzione della carne.

Ripresi gli allenamenti con la squadra di basket del liceo San Leone Magno impegnata nel torneo di Promozione (anticamera della serie d), due settimane dopo essere stato dimesso, come aveva predetto il dottor Moretti. Nel giro di un mese me la cavavo piuttosto bene, ma il tono muscolare era calato. Considerando la mia scarsa altezza, mi stava bene il ruolo di playmaker, avevo un buon tiro da fuori e di-screta visione di gioco, ma prendevo troppe botte, gomitate sul viso appena cercavo di infilarmi nell’area degli avversari e andare al rim-balzo in mezzo a marcantoni di quasi due metri era una tortura. De-cisi allora che il karate era la mia via. L’esempio di un amico di destra (io no) e cintura nera fu importante. Mi spiegò che non si diventava come Bruce Lee e che mi sarebbe costato molti sacrifici, ma la mia situazione psicologica ancora piuttosto scossa e il forte desiderio di

Page 24: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

24

apprendere un’arte marziale mi avrebbero aiutato ad affrontare me-glio anche la vita di tutti i giorni. Non certo per menare le mani, ero allora e sono tuttora un pacifista. Il karate mi prese nel profondo. I contatti, sia al viso sia in ogni altra parte del corpo, erano continui. Avevo paura che il ricevere colpi all’addome potesse causare proble-mi allo stomaco e ci andavo cauto. Invece, i colpi arrivavano e gli addominali reggevano bene. Mi ero ristabilito dall’incidente e l’ope-razione aveva avuto effetti positivi, avevo perso una decina di chili, mi sentivo in forma e andavo di nuovo in motocicletta. Scrivevo per Ciao 2001. La redazione e soprattutto il direttore, Saverio Rotondi, mi tenevano in considerazione. Erano i tempi dei grandi concerti. Degli sfondamenti delle transenne fuori dai palasport e delle batta-glie all’università. Esistevano i “collettivi” e la musica, si diceva, non si pagava. Scrivevo, scrivevo e gli articoli portavano anche qualche soddisfazione economica, pagati quarantamila lire l’uno, un paio di recensioni e un pezzo a settimana rappresentavano un gruzzoletto che peraltro dissipavo continuamente comprando dischi di impor-tazione alla discoteca Città 2000 di viale Parioli e da Consorti. In-somma, cercavo di sostentarmi come giornalista musicale. Le grosse case discografiche mi rifornivano in continuazione. La musica che mi interessava era psichedelica. Volevo scoprire, attraverso la musi-ca, come arrivare alle porte del cosmo. Non capivo che alle porte del cosmo ero già arrivato durante il coma, sia nella prima fase di nde (Near Death Experience, esperienza di pre-morte) durante la notte del ricovero in ospedale, sia nella seconda di obe (Out of Body Experience, esperienza fuori dal corpo) e vivendo la successiva in “astrale” al mio risveglio. La ragione per la quale non me ne rendevo conto e non me ne sarei reso conto per altri vent’anni fu che l’intera espe-rienza dell’incidente era stata cancellata, insieme alla sindrome post-traumatica, dalla mia memoria cosciente.

Non ne ricordavo assolutamente nulla e quindi non ne avevo mai parlato con nessuno, parenti o amici, nonostante spendessimo lun-

Page 25: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

25

ghe ore a conversare, ad ascoltare musica e a “sperimentare” con l’aiuto di derivati dalla cannabis, mai droghe pesanti, sia ben chiaro. Inoltre, praticavo karate agonistico e il mio maestro, Paolo Ciotoli (che adoro come un padre ancora oggi) ci voleva vigili e pronti a lottare per il bene della nostra squadra, il kiai di Roma, fortissima e fra le prime in Italia. Ciotoli basava nostri intensissimi allenamenti sulle tecniche tradizionali del karate stile wado ryu, eseguivamo i kata (forme di combattimento figurato contro avversari immaginari) cer-cando la concentrazione e la distensione dell’energia, il segreto del ki (chi in Cinese), la forza interiore alla base del karate. Inoltre, con il saluto cerimoniale all’inizio e alla fine di ogni allenamento resta-vamo a lungo in ginocchio, una forma di meditazione zazen, con la quale ottenere il vuoto mentale. Se tutto questo non era bastato a riportare alla luce il mio viaggio verso la morte/vita doveva esserci una ragione.

Ora so qual è questa ragione. Ora ho quasi sessant’anni, vivo ne-gli Stati Uniti, a Phoenix, in Arizona. E da oltre vent’anni studio il fenomeno ufo in tutte le sue sfaccettature. Scrivo e scrivo, ancora. E solo pochi mesi fa ho realizzato che tutto avvenne per colpa di Aqualung – che per la cronaca non fu recuperato dopo l’incidente – ma anche, probabilmente, della mia avventatezza. Con troppa foga mi ero lanciato nel mezzo della strada e quel Maggiolino guidato da un pregiudicato che sarebbe stato ucciso in uno scontro a fuoco con dei finanzieri nella zona di Ardea alcuni anni dopo, era la macchina che avrebbe cambiato per sempre il mio destino. È l’amore che pro-vi, che uguaglia il dolore che ti attraversa dentro, nella vita di ogni giorno a farti andare avanti. E intanto Altri osservano. Vengono da lontano, scavano nel profondo della tua psiche, invisibili. Non sai chi siano, continuerai a non saperlo, sin quando gli occhi ti si schiu-deranno alla realtà della quarta dimensione.

Page 26: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

26

ii

New York e dintorni

Incontrai per la prima volta il giornalista Maurizio Costanzo a New York nel 1983, in occasione di una puntata speciale del suo show dal ridotto del Madison Square Garden. Il programma, un misto di talk show e spettacolone musicale, era presentato da Walter Chiari e la sala era gremita di italiani d’America. Costanzo fu molto gentile e mi rilasciò una breve intervista pubblicata due giorni dopo dal quotidia-no per il quale ero redattore della pagina spettacoli, Il Progresso Italo-Americano. Diciassette anni dopo, dirigevo la rivista mensile Stargate, all’avanguardia su campi che già esulavano dall’Ufologia “viti e bullo-ni”, trattando diverse tematiche scomode e scienze di frontiera. Il po-polarissimo conduttore televisivo si ricordava ancora di me, quando la sua redazione mi invitò a partecipare a una puntata in qualità di gior-nalista e ufologo. Sul palco andò bene, come in molte altre occasioni, anche quelle in cui mi sono dovuto confrontare con esperti del cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Attività Paranormali) e scet-tici di professione, intenzionati solo a distruggere chiunque avesse da raccontare e discutere di fenomeni paranormali e di ufo. In partico-lare, però, il Costanzo Show che ricordo con maggiore emozione risale (credo) al 2003, quando venni invitato a parlare della mia esperienza di pre-morte. La redazione non conosceva nessuno disposto a farsi avanti in quel campo. Accettai subito perché il velo che aveva coperto la mia memoria cosciente per tanto tempo si era gradualmente dissi-

Page 27: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

27

pato e ormai avevo preso coscienza di ciò che era realmente accaduto e sì, ne volevo parlare, sentivo anzi un impulso interiore che mi spin-geva a farlo. Quelli del cicap, a conclusione del mio racconto dissero, seppure educatamente, che il mio vissuto non era reale, in quanto frutto di uno stato allucinatorio causato dalle endorfine e che tutti quelli che riportavano le stesse esperienze le avevano descritte così perché il cervello gli si era spappolato in seguito al trauma. Mentre in cuor mio auguravo loro di continuare a vivere nell’ignoranza, me li guardavo sornione. Il vostro è un gioco sporco, cari signori, pensa-vo. Tornai a casa dalla registrazione del programma al Teatro Parioli con la convinzione di aver fatto benissimo a raccontare la mia storia. Un paio di settimane dopo ricevetti una telefonata dalla redazione del programma televisivo. Era successa una cosa strana e bella. Una signora aveva chiamato e aveva detto di essere la moglie del giovane militare che mi aveva raccolto su via Filippo Turati e che ricordava bene come erano andate le cose, perché il marito gliele aveva riferite tali e quali. Aggiunse che il marito era morto da alcuni mesi e che ora lei desiderava incontrarmi per parlarne davanti alle telecamere del Co-stanzo Show. Declinai l’invito, non me la sentivo. In trasmissione credo di aver detto che avrei voluto ringraziarlo di persona, ma lui non c’era più e, anche se sentivo la sua energia, la cosa era troppo dolorosa e sa-rebbe stato uno spettacolo strappacuore del quale non volevo essere protagonista. La signora, a me rimasta sconosciuta, fu avvisata della mia decisione e forse se ne dispiacque. Non lo so per certo, ma fu la dimostrazione che la televisione quella volta aveva fatto centro. Infatti venni contattato da altre persone che mi ringraziavano e che desidera-vano condividere con me le loro esperienze di pre-morte. Parlandone con loro, sempre meglio definiti flash di memoria affioravano dal mio subconscio. E iniziavo a definirne non solo i contorni, ma soprattutto i contenuti. Era stato un sorprendente processo di acquisizione gra-duale di dati sepolti nei meandri della mia coscienza. Gli studi ufolo-gici e soprattutto il versante della ricerca che da sempre mi ha mag-giormente affascinato, quello delle abduction, o rapimenti alieni, sono

Page 28: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

28

stati il terreno nel quale qualcuno aveva piantato i semi che sarebbero germogliati, per me, sul finire degli anni Novanta.

È però necessario tornare indietro nel tempo.

Credo che il primo input sia emerso a New York, durante una medi-tazione al termine di un allenamento nel dojo del maestro Wilfredo Roldan, allora quinto dan di karate, stile nisei goju ryu creato da Shihan (titolo onorifico che contraddistingue i fondatori di un determinato stile di karate) Frank Ruiz. Roldan, portoricano sin nel midollo, ave-va baffetti e pizzo e coda di cavallo e sorrideva sempre, ma nel kumi-te (combattimento libero) qualsiasi mia tecnica veniva vanificata e mi ritrovavo annodato e schienato in men che non si dica. La palestra era a pochi passi da casa, in un angolo della Sesta Strada, affacciato sui giardini allora piuttosto depressi di Tompkins Square Park, fra le avenue b e c, nella cosiddetta Lower East Side.

Eravamo nel cuore dell’East Village, quartiere poco raccoman-dabile e a cinque isolati dalla Bowery, la strada della disperazione dove sono ambientati drammatici film neorealisti americani degli anni Cinquanta e dove era stato aperto il cbgb, il club dove era nato il punk newyorchese e dove avevano suonato gli “spostati” di allora, i mirabolanti Ramones, i poetici Television di Tom Verlaine, la musa Patti Smith, i Talking Heads dello spilungone folletto David Byrne e, dall’Inghilterra, i Clash. Oggi l’East Village è divenuto di gran moda e i prezzi degli affitti sono allucinanti. Io dividevo un piccolo appartamento con il mio amico Vinny Cammisa, sulla Sesta Strada, che dava su Tompkins Square Park. Avevo conosciuto Vinny, italo-americano di seconda generazione, perché mi era stato consigliato come videoperatore indipendente, ben inserito nell’ambiente musi-cale di Manhattan. Di lì a breve Vincenzo avrebbe fatto il grande sal-to e sarebbe stato assunto agli archivi elettronici della cbs Television, dove lavora ancora oggi. Con noi viveva Dado, il gigante gentile, un magnifico esemplare di Cane da montagna dei Pirenei che mi aveva seguito da Roma e del quale parlerò più avanti.

Page 29: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

29

Come Paolo Ciotoli a Roma, anche sensei Roldan richiedeva agli al-lievi, all’inizio e alla fine degli allenamenti, di porsi in ginocchio davan-ti alla parete sulla quale c’erano le foto dei grandi maestri dello stile goju ryu. Una sorta di altare. Si praticava zazen, una tecnica simile a un viaggio all’interno dell’io attraverso il vuoto mentale. Ci si predispone cercando una condizione di rilassamento totale, fisico e psichico teso a superare il dolore muscolare alle gambe, al bacino e alle ginocchia data la postura che si assume sul tatami, il sottile strato di gomma, o un semplice parquet che ricopre il pavimento della palestra. Quello che passa attraverso il corpo nasce dal contatto con ciò che sostie-ne tutto il corpo, mantenendo la colonna vertebrale eretta. Si opera contemporaneamente sul respiro, con una forma leggera di pranayama (respirazione yoga) attuata espirando e inspirando con le narici chiuse e aperte a intermittenza. In breve, si può entrare in uno stato alterato di coscienza. Una sensazione indescrivibile. Le pagine degli album fo-tografici della coscienza razionale si aprono e chiudono velocemente mentre il cervello si assenta e lascia posto a un flusso energetico che parte dal tanden, il punto del basso ventre ove, secondo lo zen, si anni-da la vera forza di ciascun essere vivente. Così, improvvisamente, du-rante la meditazione vidi nuovamente quella luce alla fine del tunnel e la figura diafana che mi invitava ad andare. La “visione” si interruppe bruscamente quando sensei Roldan schioccò le dita dandoci l’ordine di rientrare nella coscienza vigile. Aprii gli occhi ed ero stupefatto. Avevo visto il tunnel. Il che significava, stando agli studi di Raymond Moody, che anche io avevo vissuto un’esperienza di pre-morte, che ci ero andato assai vicino, ma ero stato in grado di ritornare, quasi avessi avuto la possibilità di compiere una scelta. Non era però un campo che all’epoca mi interessava. Erano solo squarci su un’altra realtà che avevo avuto modo di “rivedere” vent’anni dopo, vivendo a Manhat-tan, con il cuore e l’anima staccati dall’Italia.

La necessità primaria era la sopravvivenza, basata su bonifici che non arrivavano mai da un paio di testate musicali italiane per le quali

Page 30: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

30

ero corrispondente e sulle collaborazioni radiofoniche con Rai Tre, con programmi che registravamo negli splendidi uffici della Rai Corporation, fra la 57° Strada e la Avenue of the Americas. Avevo peraltro una condizione privilegiata di vita, in una piccola comunità di amici, giovani tutti venuti dall’Italia per studiare, nell’immensa metropoli dalle mille luci, dove la sera c’era sempre qualcosa da fare, sul metronomo della musica rock che percorreva ogni strada e sul-le onde sonore emesse ad altissimo volume dagli altoparlanti dei boombox, le grosse radio portate a spalla da ragazzi di ogni colore. Dollari in tasca sempre pochi. Poco importava perché ci aiutavamo l’un l’altro, si cucinava all’italiana e le occasioni per riunirsi a casa di questo o quello non mancavano mai. Ed era importante che si potesse accedere gratuitamente nei locali con il Baiata che aveva il pass della casa discografica. Miriadi di concerti al Bottom Line, al Peppermint Lounge, al cbgb e al Max’s Kansas City, o nei grandi palasport, il Nassau Coliseum e la Meadowlands Arena e le crona-che poi le scrivevo a notte fonda e le inviavo via fax a Ciao 2001. Una sera andai al Meadowlands con Elio Donato, carissimo amico che aveva fatto lo stesso mio percorso, lasciando l’Italia nel 1981 e che allora scriveva per il settimanale Giovani. Era la prima volta che vedevo gli ac/dc. L’apertura fu Hells Bells, le campane dell’inferno si elevarono lugubri nella totale oscurità. Fu tutto talmente dirom-pente e da cuore in gola che alla fine Elio e io ci dimenticammo di affrettarci verso il parcheggio esterno del mastodontico complesso sportivo di East Rutherford, dove giocavano le squadre di baseball. Del bus della casa discografica degli ac/dc che ci aveva portato sin lì non c’era traccia e sconsolati, senza sapere come tornare a Man-hattan, restammo nel buio del New Jersey, una quarantina di miglia nella notte. Sinceramente oggi non ricordo come arrivammo a casa, forse chiedemmo un passaggio che un’anima pia ci diede, ma poco importa, avevo assistito a un concerto straordinario, per energia e potenza di puro metallo infuocato.

Page 31: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

31

Manhattan era la mia città d’adozione. L’avevo raggiunta nel 1980 con l’intenzione di restarci definitivamente, dopo una prima visita di un mese l’anno prima. A Roma avevo circa cinquemila album (qual-cuno, di recente, mi ha detto quindicimila). Moltissime interviste registrate su cassetta e libri di musica. Dirigevo l’edizione mensile italiana del quindicinale americano Rolling Stone, da sempre punto di riferimento di ciò che la musica rock rappresenta nel mondo, ma leggevo molto di ufo, misteri e paranormale. Con la mia prima mo-glie Silvia avevamo deciso che New York sarebbe stata la meta giu-sta. Non sopportavo più il clima di veleni, odi sommersi e rivalità fatte di coltellate alle spalle che permeava tutto l’ambiente romano della critica musicale rock. E ci seguirono il nostro cane Dado e altri cinque amici tutti dell’ambiente musicale e creativo romano, stanchi di come andavano le cose in Italia e in cerca di un futuro negli usa. I primi sei mesi furono molto difficili. Per rendere l’idea, non avendo soldi per comprare i letti, la sera tardi giravamo nelle strade in cerca di pallets, le pedane di legno su cui adagiammo i materassi acquistati dai rigattieri cinesi di Canal Street ai confini di quella che un tempo era stata Little Italy. Vivevamo tutti insieme in un grande loft al nu-mero 81 di Murray Street, nel quartiere di Tribeca. Le nostre finestre davano su un mega edificio che ora non esiste più, una delle torri del World Trade Center.

Ritrovai due amici che si erano già stabiliti a New York. Li avevo conosciuti nei primi anni Settanta quando lavoravo alla rca, la più grande casa discografica italiana, una multinazionale che aveva gli stabilimenti sulla via Tiburtina, all’uscita del raccordo anulare. Io ero nel settore marketing international, ma mi incaricarono di se-guire due tour del Perigeo, la band jazz-rock-avantgarde capitanata dal contrabbassista Giovanni Tommaso, con Franco D’Andrea alle tastiere, Bruno Biriaco alla batteria, Claudio Fasoli al sax e Tony Sidney alla chitarra elettrica. Le atmosfere che il Perigeo creava, in un momento in cui il progressive rock italiano aveva come alfieri politicizzati gli Area di Demetrio Stratos, eguagliavano se non sor-

Page 32: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

32

passavano gli americani Weather Report. Girammo tutta l’Italia, iso-le comprese, e fu un’esperienza per me indimenticabile. Il gruppo si spostava ogni giorno a bordo di un mini pullman e gli strumenti viaggiavano su un altro veicolo guidato dai roadies, i ragazzi del set-tore tecnico, che facevano la vita più dura. Con loro mi trovavo benissimo. Tric era alla consolle, Kent Sandell (oggi ingegnere alla Lucas Aerospace) era il tecnico del palco, Maurizio Mancini fungeva da percussionista e tuttofare. Diventammo amici e con Kent e Mau-rizio a New York anni dopo avrei diviso tutto, la casa, le ansie e le speranze di allora.

Maurizio Mancini aveva la naturale predisposizione alla conquista dell’altrui simpatia. Aveva contatti con molti musicisti di stanza a New York, con alcuni dei quali fummo sul punto di avviare delle produzioni: Afrika Bambaata, Billy Idol, Zodio Doze, Lounge Li-zards, Michael Shrieve, il grande batterista dei Santana che a dicias-sette anni incantò Woodstock con uno dei più memorabili assolo di tutti i tempi. Non riuscimmo a lavorare con nessuno di loro e mi rammarico soprattutto per Billy Idol, che di lì a breve sarebbe diven-tato un’icona del rock, ma in fondo a noi importava la musica, non fare i soldi con i musicisti. Non mi ci vedevo come impresario che litiga ogni sera con i manager dei locali o delle major discografiche. Restavo dall’altra parte. Quella creativa. Basti il ricordo di una sera nella quale ebbi la fortuna di incontrare Jaco Pastorius e vederlo in un piccolo locale del West Village squassare il Marshall con le corde del suo basso a mille fu come passare nella quarta dimensione per la scorciatoia della follia. Di lì a poco il suo destino segnato dal germe dell’autodistruzione si sarebbe palesato.

Mancini divenne amico di Clive Stevens, compositore inglese, poli-strumentista (sax, flauto, lyricon, tastiere elettroniche e sintetizzato-re) dai britannici Manfred Mann, divenuti famosi alla metà degli anni Sessanta con Mighty Quinn e già spalla di grossi calibri come Larry Coryell, Alan Price, Billy Cobham, Jan Hammer e Gilberto Gil. Fu

Page 33: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

33

in un afoso pomeriggio dell’estate 1981 che incontrammo Clive Ste-vens. Personaggio appena uscito da una puntata di Star Trek, sguardo meccanico, occhi blu elettrico, capelli biondi a spazzola, un inglese sulla quarantina che nulla aveva del gergo di Manhattan. Entriamo. Siamo all’East Village, appartamento grande, composto da stanze concentriche, disordine ovunque, un salotto demodé, raccattato pro-babilmente come avevo fatto io con le pedane/giaciglio.

Lì, al centro, un tavolino con su dei libri. Uno, molto più grande degli altri, attrae la mia attenzione. Si intitola Contact from the Pleiades e sulla copertina reca un’incredibile fotografia. Un disco volante, nella sua forma più classica, campeggia sulla sinistra, in un ambiente rurale, montano. Resto impietrito. Mai visto nulla del genere prima. Clive è in un’altra stanza, è andato a prendere la lacca del suo nuovo singolo. Arriva e nota la mia espressione stupita davanti a quella foto.

«È un’astronave delle Pleiadi. La foto è vera. L’ha scattata uno svizzero che conosco da alcuni anni, si chiama Billy Meier».

«Posso sfogliarlo?» «Ma certo, pensa che questo mio nuovo disco è dedicato al pilota

di una nave pleiadiana, è una donna, si chiama Semjase». «Chi?»«Se-mee-ase» scandisce Clive. Sino a quel giorno la mia concezione fotografica di disco volante,

o ufo che dir si voglia, era stata coerente con quanto era stato divul-gato, in Italia e negli usa. Miriadi di immagini, quasi sempre confuse e mai ravvicinate, scattate ovunque nel mondo, che nulla avevano a che vedere con ciò che i miei occhi vedevano in quel momento. Una sequenza di foto a colori bene definite, impaginate alla perfezione in un volume di grande formato, con note, didascalie e appendici tec-niche che rendevano il tutto ancora più impressionante. «Ma queste foto sono vere?», logico e lecito chiedere.

«Maurizio, ora ascolta questo pezzo». Su un giradischi un po’ ma-landato Clive poggia il disco, un ep (extended play, edito dalla Guer-rilla Records di New York) contenente quattro brani dei Brainchild,

Page 34: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

34

il gruppo da lui guidato. Il primo pezzo è Semjase. Mi colpisce il riff vocale che si appoggia dolce su una ritmica disco, con quel gusto di jazzato e di ipnotico che piace al suo autore. Mi aspettavo qualcosa di più metallico, per descrivere delle atmosfere spaziali e glielo faccio notare. La canzone è così e basta.

«Mi racconti la storia del pezzo?» Clive mi spiega che i contatti di Meier sono iniziati almeno dieci-

quindici anni prima, ma che solo nel 1975 l’agricoltore svizzero era riuscito a scattare le foto e a girare i suoi filmati.

«Filmati, quali filmati, se sono come le foto è pazzesco!» Non perfetti come le foto, ma stupefacenti comunque e Clive

mi promette che non mancherà occasione di guardarli insieme, appena gli arriveranno dall’Arizona. Qualcuno gli ha promesso delle copie in videocassetta. Credo di poter dire oggi, senza dub-bio alcuno perché vivo in Arizona da quasi due anni e conosco abbastanza bene le persone in questione, che a farglieli pervenire sia stato il colonnello Wendelle Stevens, il quale con Lee e Britt El-ders e Chris Welch era stato fra i primi a investigare il caso Meier. Jim Dilettoso le aveva analizzate. I negativi e molti degli originali restavano in possesso di Meier, ma Wendelle Stevens aveva ottime copie di prima generazione, alcune delle quali aveva inviato a Clive Stevens e non facevano parte del libro. Le avevo in mano in quel momento ed erano strabilianti. Clive mi promette che non appena ha i filmati mi avverte.

Ci mancherebbe altro, che non li vedessi. Mi prenoto e trascorro con Maurizio e Clive Stevens un paio d’ore a discutere del progetto Brainchild che implica una serie di concerti live, il primo album 33 giri da realizzare entro l’anno e il lancio della band a New York. Nel frattempo Clive cercherà di stabilire un contatto diretto con Billy Meier. Passano un paio di mesi e Clive mi telefona. «Vado in Inghilterra per un po’ e ho intenzione di fare un salto in Svizzera, Meier sta tirando fuori altro materiale, me lo hanno detto Britt e Lee Elders, che sono suoi amici e hanno creato il collegamento con Billy

Page 35: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

35

per me» mi spiega. Dopo questa telefonata non ho più sentito Clive Stevens, ne ho perso le tracce.

Vedere quelle foto fu una folgorazione. Mi misi alla ricerca di qua-lunque informazione possibile su Billy Meier e presto scoprii che si trattava di un caso ufologico molto controverso e che gli esperti si dividevano tra sostenitori dell’autenticità e detrattori, convinti che Meier fosse un truffatore, seppure non da quattro soldi, perché aveva incantato anche i giapponesi. Intanto, però, su una bancarella di uno dei mille mercatini di Manhattan avevo trovato una copia del libro. Più le foto mi rapivano, più mi convincevo che dietro tutta quella faccenda ci dovesse essere di più e che se Clive Stevens aveva solo un po’ di ragione, la storia meritava di essere approfondita e prima o poi si sarebbe fatta luce. Mi sbagliavo di grosso. La storia di Billy Meier, con le sue sfaccettature fra il tecnologico, il messianico e il visionario, era destinata a restare un rebus inestricabile, per quanti si siano dati la pena di capirci di più. Nel mio caso, ringrazio Clive Stevens per aver-mi scosso dal mio torpore e per avermi fatto intuire che esisteva un ponte che collegava direttamente la musica rock con gli ufo, con un universo diverso. Capii allora che Jimi Hendrix, il figlio del Voodoo, era da anni entrato nel mio cuore perché era sceso su questo pianeta e ci aveva teso una Fender Stratocaster sfiorata da dita divine.

Page 36: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

36

iii

Le barriere della fisica e le arti marziali

Credo che a molti oggi interessi soprattutto sapere con quali raz-ze aliene l’umanità prima o dopo dovrà confrontarsi, piuttosto che sapere se gli ufo esistono, da dove vengono e con quale sistema di propulsione viaggiano nello spazio a bordo delle loro fantastiche macchine volanti.

Interrogativi, questi, a mio avviso obsoleti, perché la coscienza planetaria è sveglia da secoli sulla realtà dell’esistenza di intelligenze aliene visitatrici, soprattutto presso le etnie che gli occidentali con-siderano il Terzo mondo. Altrettanto stantio è l’assioma secondo il quale il giorno del contatto palese con una civiltà extraterrestre per il nostro mondo lo shock socio-culturale sarà tale da provoca-re conseguenze inimmaginabili. Tale assioma è sostenuto da tronfi ricercatori gelosi del proprio sapere che elargiscono ammonimenti solo per indurre la gente alla paura del “diverso” e per giustificare il potere degli ordini sociali e politici dominanti, ai quali demandare il compito di proteggerci, ovviamente con le armi, da qualsiasi in-trusione esterna. Varrebbe citare il fisico Stephen Hawking, le cui esternazioni in merito al pericolo di invasioni aliene hanno sicura-mente indotto il sospetto, non certo un’apertura, nei confronti di chi potrebbe un giorno palesarsi apertamente. Ben vengano, invece, queste tremende ripercussioni se porteranno a un cambiamento ra-dicale e al sovvertimento dei sistemi di potere vigenti. Ben vengano, se questo contribuirà a portare uguaglianza e pace.

Page 37: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

37

Trovatemi una rivoluzione che non abbia richiesto dolore e sa-crificio al popolo. D’altra parte, ognuno di noi percorre una strada della vita breve, tortuosa, costellata di miriadi di momenti fatti di gioie, ma anche di brucianti delusioni, di tradimenti e prese di co-scienza che ci accompagnano sempre. Per questo, non posso ancora definire con quale razza aliena ho avuto a che fare. Ci penso e non lo so. Sono certo che è successo veramente, ma devo andare più a fondo in me stesso, probabilmente ancora con l’aiuto di una regres-sione ipnotica.

Intanto, quel poco che ho appreso vorrei qui esporlo lentamente, per forza di cose, cercando il bandolo della matassa con Voi.

Sono giunto all’idea che chi ha avuto i mezzi per visitarci sin dai tempi più antichi non solo abbia avuto a disposizione macchine che penso noi ancora non possediamo, ma soprattutto sistemi per viag-giare nello spazio/tempo pressoché istantanei, non necessariamente tecnologici, ma in grado di trasferire attraverso mat/demat (materializ-zazione/smaterializzazione) il corpo fisico di un qualunque oggetto o essere vivente da una dimensione all’altra. Riferendoci invece alla tecnologia terrestre nota, l’esistenza di macchine temporali è solo ipo-tizzabile. Non vi sono prove o certezze che strumenti simili esistano in qualche laboratorio segreto, americano, russo, o cinese. Gli alieni, questo è plausibile, potrebbero disporre invece di strumenti in grado di superare le barriere della materia e delle leggi della fisica accettate. Il fenomeno ufo non esisterebbe se fosse altrimenti. Il fenomeno ufo esiste perché razze extraterrestri sono padrone del tempo. Lo control-lano. Vi entrano ed escono a piacimento, senza che per loro il tempo trascorra, per come lo intendiamo e percepiamo noi.

Sono arrivato a questa conclusione non per aver razziato documen-ti e archivi di anziani ricercatori prossimi a lasciare questa vita, o per aver collezionato pile di libri di Ufologia, o per aver passato lunghe ore in inutili appostamenti di skywatch (osservazioni del cielo) notturni.

Ci sono arrivato dopo aver ascoltato migliaia di ore di musica che considero “iniziatica”, dopo aver percorso strade di città lontane,

Page 38: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

38

dopo aver ricevuto l’aiuto di amici e sconosciuti, dopo aver ascol-tato tante storie impossibili, aver sofferto per la lingua diversa, aver gioito del sole del mattino e delle luci della notte.

Aver capito di sapere di non sapere. Insomma, la vita di noi tutti. E anche avendo praticato a lungo le arti marziali.

Una dozzina di anni fa, in una bella sera di cielo stellato, al termine di una conferenza a Lucca, una gentile signora mi chiese cosa pensassi della capacità di esseri alieni di superare distanze interstellari. Rispo-si riferendomi a una pratica tipica del karate, quella del tameshiwari, la rottura delle tavolette di legno, sottolineando che tale risultato non si ottiene solo attraverso l’apprendimento della tecnica, ma piuttosto del divenire tutt’uno, nel nostro corpo fisico, con l’oggetto da attra-versare. Va da sé, infatti, che se ci si pone di fronte a una tavoletta di legno solida e spessa due centimetri e mezzo e la si colpisce con tut-ta la forza e velocità impresse dalla nostra biodinamica, ci si può fare molto male alle dita e alla mano e la tavoletta resta indenne. La mo-dalità giusta è un’altra. Primo, in pochi secondi si deve fare il vuoto mentale. Il secondo passo avviene spontaneamente, non scaturisce dalla nostra volontà di rompere la tavoletta: mente, corpo e spirito si uniscono in una sola molecola che si orienta come un punto di luce al centro della tavoletta. Il pugno non è più legato alla materia fisica, la materia della tavoletta non oppone alcuna resistenza alle nocche della mano che la attraversano senza sforzo, in quanto fatte della stessa non-materia. Non so se i praticanti di arti marziali converran-no su questo, che resta la mia visione. Alla signora la risposta (che peraltro esposi in poche parole) piacque.

Un esempio illuminante riguarda una dimostrazione di karate da parte di un contingente di grandi maestri giapponesi che si tenne al Palazzetto dello Sport di viale Tiziano a Roma, approssimativa-mente nel 1975. La manifestazione, imperniata su dimostrazioni di kyudo (tiro con l’arco), aikido (l’arte del non combattimento) e

Page 39: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

39

naturalmente karate, era stata organizzata e coordinata dal maestro Augusto Basile, fondatore della fik (Federazione Italiana Karate, sti-le wado ryu). Al termine, tutti attendevamo il massimo maestro giap-ponese presente, un decimo dan, del quale purtroppo non ricordo il nome. Un uomo imponente. Andò così: un altro maestro gli si mise davanti con una tavoletta di legno che tenne con due dita sospesa nel vuoto. Per alcuni secondi la tavoletta oscillò impercettibilmente. Poi, il grande maestro, in un attimo, la folgorò con un giaku tsuki, una tecnica di pugno talmente rapida che in pochi riuscimmo a per-cepirla. L’oggetto si ruppe in due parti nette. Il che, se si considera che era trattenuto solo da un debole appiglio che non poteva offrire alcuna resistenza, ritenni fisicamente impossibile. Fu come se la ta-voletta fosse stata sezionata da una forza invisibile.

Un’altra esperienza che merita di essere riferita accadde durante una dimostrazione del maestro Hiroshi Shirai, a Roma, nella pale-stra del liceo Cristo Re, negli stessi anni. Collaboravo con il mensile Samurai e la presenza di Shirai, shihan (come detto, titolo onorifi-co dal sesto dan in su), fondatore della scuola Shotokan in Italia, era da non perdere. Il mio fotografo, Alessandro Branco, munito di una potente Nikon a motore ovviamente non digitale, si accinse a immortalare Shirai durante l’esecuzione di un kata. Sandro si po-sizionò, pronto agli scatti. Io, con gli occhi, vidi il maestro eseguire il primo movimento da un punto all’altro del tatami in una frazione di secondo. La Nikon riprese invece una scia multicolore che per-correva tutta l’immagine in orizzontale, simile al cosiddetto “effetto smear” che si determina in foto e riprese digitali notturne su forti fonti di luce. Di quello spostamento di Shirai sulla pellicola restava una scia luminosa, una sagoma energetica, in cui il corpo fisico del maestro non esisteva più. Se mi si chiede come accadde, risponderei che è così che gli ufo si muovono. Anche questa, però, resta solo una mia ipotesi. Qualcuno pregò Shirai di ripetere il kata, perché era stato troppo veloce per la percezione di tutti i presenti. Paziente-mente, il maestro acconsentì ed eseguì di nuovo la stessa tecnica di

Page 40: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

40

combattimento contro avversari immaginari. Sandro stavolta riuscì a fermare un fotogramma del maestro in quello che noi chiamiamo il nostro tempo reale.

Ora, un altro episodio riguardante un maestro di karate, Raniero Abeille, il cui dojo nel quartiere Talenti di Roma, frequentai per oltre un anno prima di approdare al kiai di Ciotoli. I due maestri sono amici ancora pienamente in attività e, insieme al maestro Aurelio Bonafede, rappresentano i massimi punti di riferimento del karate tradizionale e agonistico italiano, non solo della capitale. Abeille era molto duro e inflessibile con i suoi allievi, mi stava bene perché il karate è soprattutto sacrificio. C’era anche un’altra ragione. Talenti nei primi anni Settanta era una zona “nera”, abbastanza elegante e fatta di palazzine nel verde, abitate da famiglie “perbene”, molti nuclei nostalgici lieti di aver cresciuto figli “di destra”. Il dojo era frequentato da un sessanta per cento di ragazzi neo-fascisti e gli altri o erano di sinistra o erano lì per imparare a menar le mani. Temevo comunque di scontrarmi con le cinture più alte, io alla cintola por-tavo quella arancione, da principiante. E infatti accadde una dome-nica mattina, durante un allenamento che Abeille riservava solo agli agonisti. Al termine della lezione il maestro ci divise in coppie e mi ritrovai a fronteggiare una cintura nera dallo sguardo un po’ truce. Forse prese la cosa alla leggera, perché mi guadagnai un punticino (wazari) con una tecnica di pugno. Ne uscii con due costole incrinate da un suo mawashi geri, un calcio circolare che mi centrò longitudi-nalmente il torace, tirato con le dita rialzate “a rompere” e mi lasciò senza fiato per un minuto e passa piegato in due. Non dissi niente. Sul tatami non ci si lamenta. Il ragazzotto non aveva controllato. Anzi, lo aveva fatto di proposito, per darmi una lezione. Ancora oggi, ogni tanto, le costole scricchiolano. Me lo ricordo, oh se me lo ricordo, peccato non aver mai avuto la possibilità di rifarmi, ma questo è un pensiero negativo che prima o poi mi passerà dalla testa.

Page 41: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

41

Per un certo periodo la palestra di Abeille restò chiusa per ragioni che non conosco. Qualcuno disse che il maestro aveva dato segni di squilibrio mentale. Non ci credetti e feci bene perché altrimenti oggi non sarei qui a riferire quanto accadde in una bella mattina che dedi-cai a Dado, il mio cane, che avevo portato a caracollare in un grande prato su una collinetta di Talenti. Eravamo soli, Dado e io su quella grande distesa di verde, lontana dal cemento. Dado se ne stava tran-quillo, al pascolo, come mi piaceva dire dato il suo carattere pacioso, a una dozzina di metri da me. D’un tratto, sul crinale della collinetta vedo apparire una figura in nero. Un uomo che viene verso di me e che riconosco subito. È il maestro Abeille. Mi si pianta davanti, ci salutiamo e mi dice, «Maurizio sono qui per parlarti di cose molto importanti». Cosa mai avrà da dirmi?

E Abeille inizia: «La palestra è chiusa solo temporaneamente. Mi sono preso un po’ di tempo per riflettere. Vedi, una mattina mi sono svegliato e mi sono ritrovato in grado di leggere la Bibbia e di me-morizzarne le pagine e interpretarne il contenuto in maniera del tut-to personale. Talmente personale che ora devo portare avanti questi studi che sono molto impegnativi. C’è un collegamento con i tuoi interessi per la vita nel cosmo e gli extraterrestri, ma ne parleremo un’altra volta. Poi… Tu lo sai che il Vaticano possiede un osservato-rio astronomico a Castelgandolfo?»

«Certo che lo so», risposi. «Bene, allora saprai anche che è stato costruito sulle rovine di un

altro osservatorio che andò distrutto in un incendio?» No, questo non lo sapevo. «Quello che il primo osservatorio custodiva era un grande pa-

trimonio di conoscenze sulla vita nel cosmo e sugli extraterrestri. Esistono. Continua a cercare, Maurizio, ci vediamo presto».

Mi lasciò inebetito, con quegli interrogativi per i quali mi aveva dato un indizio, una strada da percorrere. Non ci siamo più visti. Ci siamo sentiti recentemente. L’ho cercato e trovato attraverso Face-book perché volevo conferma sui contenuti di quel nostro strano

Page 42: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

42

incontro. Il maestro Abeille mi ha spiegato come in seguito alla sua “ricerca dell’assoluto” abbia compiuto un lungo percorso spirituale che lo avrebbe portato nella seconda metà degli anni Novanta a de-dicarsi interamente alla filosofia e alla mistica orientale.

Quella mattina, comunque, alla fine della nostra conversazione Abeille si allontanò e io richiamai Dado e ci avviammo verso la mac-china, una scalcinata Citroën Ami 8 station wagon color verde pisel-lo. Dado era ancora un giovane cagnone in gran forma, ma quando giungeva il momento di saltare dentro il portabagagli con il portel-lone alzato, recalcitrava guardandomi con occhi interrogativi, come a dire: «Perché devo sempre fare questa faticaccia?»

E allora lo abbracciavo e lo aiutavo a tirarsi su e ce la faceva be-nissimo. Era solo un po’ troppo… immenso.

È stato il mio più grande amico, fedele sino all’ultimo momento della sua vita, abbastanza lunga per un cane della sua razza e di mole enorme. Credo abbia vissuto tredici anni. Non posso affer-marlo con certezza perché era un trovatello, abbandonato e legato con una corda da serranda al cancello di una villa di Talenti. Lo vide Silvia una mattina presto e la sera, di ritorno dall’Accademia di Costume e di Moda, lo aveva visto di nuovo, tutto solo. Le dissi che la mattina dopo avremmo dovuto ripassare da quella strada insieme e così facemmo. Il grande cane bianco era ancora lì, ac-cucciato. Fermammo la macchina e timidamente ci avvicinammo. Ci guardò e scodinzolò subito. Un segno inequivocabile di affetto e contentezza. Ci seguì docilmente e salì sulla Ami 8 con noi. Per una volta, una sola volta al mondo, non abbiamo mai biasimato chi lo aveva abbandonato. Ci ha reso felici. Eravamo una famiglia e Dado era la sicurezza, la gioia, l’amore incondizionato. Non si può avere di più da questa vita.

Quando ero dell’età giusta, diciannove anni, ho scoperto Allen Ginsberg e i vati della Beat generation americana. Kerouac, Corso, Ferlinghetti. Appena passato il furore del Sessantotto ogni giorno

Page 43: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

43

scorreva lento, sofferto e ignaro. Sull’onda del Beat una delle cose che rifuggivo, nello scrivere, era la punteggiatura. Non mi veniva di impormi la regola delle virgole, i punti e punto e virgola, le frasi mi uscivano di getto, a fiotti e, tranne qualche pausa, mi inventavo un modo di descrivere la musica che mi appassionava, che scaturiva da Jimi Hendrix, dai King Crimson e da quelli che si definivano i “cor-rieri cosmici” tedeschi, Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, Klaus Schulze, Popol Vuh soprattutto. Il suono creato da queste forma-zioni tedesche nate a cavallo del 1970 era maestoso e lirico, a volte nevrastenico, sempre mirato al cuore e al cervello dell’ascoltatore. Spesso, erano mantra dilatati all’infinito, con intelaiature provenienti da altri mondi. Avrei dovuto capirlo sin da allora che, nel corso degli anni, sarei passato dai dischi ai dischi volanti, perché l’origine del Tutto era la stessa, la matrice universale che ci unisce verso l’Uno. Il tempo era inforcare una moto, vibrare sulle note di un Norton bicilindrico e del metallo urlante, per poi trasferire il tutto sulla carta. Non era vera fatica, dicevano i miei amici. «Tu lavori per scherzo», sentenziavano. Avevo una sdrucita macchina da scrivere Olivetti 32 e ogni volta che portavo un pezzo in redazione il mio cuore tremava, c’era quell’ansia di sapere se il mio articolo sarebbe stato pubblica-to, aspettavo il lunedì (il giorno di uscita in edicola di Ciao 2001 nel 1970) e spesso capitava che avessero preferito un pezzo sulla musica italiana o un’altra cosa e non lo sopportavo. Pensavo che il direttore mi avesse fatto un torto. Tornavo a casa sconsolato e meditabondo su cosa scrivere ex novo, mi riattaccavo alla musica, ma a volte il mo-mento giusto era passato. Una delle svolte fu conoscere Francesco Guccini. Non so se lui lo ricorda. Andai a trovarlo a casa sua a Mo-dena e nel pomeriggio lo intervistai. La serata all’Osteria delle Dame a Modena, dove il lambrusco scorreva a fiumi, fu memorabile. Era appena uscito il suo album L’isola non trovata con canzoni bellissime. C’era Un altro giorno è andato che parlava del tempo che passa e che deve ancora passare, aveva uno di quei ritmi lenti che ti stregavano

Page 44: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

44

facendoti sentire qualcosa di struggente dentro. Francesco, dinocco-lato e suadente, voce gentile e calda, aveva un’aria affabile, paterna e familiare. Francesco cantava il tempo. Lui era più grande di me. Lui pensava. Sapeva che il tempo non è la vera natura delle cose, ma amministra la nostra vita, come «parole appese ai muri delle città», immagini di sole, di città vuote, di Mina, di Battisti, di figure che si affannano a cercare qualcosa nella loro giornata. Intanto battevo sui tasti della Olivetti, pensando a quando avrei fatto un altro viaggio e sarei uscito dalla cerchia di casa, quando avrei potuto viaggiare, non per intervistare un certo artista rock, ma per cambiare. Dieci anni, quasi tutti i Settanta, trascorsi con un senso di smarrimento dentro perché la tua isola non l’hai ancora trovata. Così, ogni momento del tuo quotidiano diventa trasgressione, sprezzo del pericolo, rischio, metti in gioco la tua vita senza neppure capirlo, per esempio infor-cando la mia Norton John Player Special nera e oro con il respiro che manca a ogni apertura di gas. Il casco, allora, mi toccava indossarlo, con un misto di tristezza e sufficienza e solo perché, in fondo, alla vita ci tenevo. La gente ti guardava, negli anni Settanta, con il perenne “chiodo” di pelle nera, ancora come un “diverso”, reduce dalle bat-taglie fra i Rockers e i Mods dei Sixties. Ribelli si nasce, se poi scendi dalla due ruote e vuoi rientrare nella massa, è una tua scelta. Ne sono la riprova vivente oggi, che ho lasciato l’Italia da un anno e mezzo ed è la seconda volta che passo l’oceano per inseguire un sogno. Stavolta non sulla East Coast, non più a New York City, che continuo a con-siderare la mia prima città d’adozione negli Stati Uniti.

Vivo in Arizona, dall’altra parte degli States, dove ci sono deserto e montagne e deserto e montagne che percorrono lo Stato, vicini al Nevada, patria dell’Area 51, l’installazione in cui gli apparati militari americani custodirebbero i loro più inaccessibili segreti sulle forme di vita biologica e la tecnologia aliene, recuperate in seguito agli ufo crash, dagli anni Quaranta a oggi. Se ne è detto e scritto tanto. Ma il manto di segretezza, seppur con qualche strappo qua e là, tiene an-cora, è fatto di un tessuto robusto, di una trama troppo fitta perché

Page 45: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

45

noi ufologi la si possa strappare e penetrare, fosse solamente per dare uno sguardo dentro e poter dire cosa si nasconda in quei bunker sotterranei costruiti nel mezzo di un vasto territorio arido che un tempo remoto era la distesa d’acqua del Papoose Lake. Mi ci sono avvicinato, all’Area 51, per quanto è stato possibile senza incorrere in rischi inutili, nel 2009. È stata una magnifica ed emozionante pas-seggiata in auto, in un tardo pomeriggio a primavera appena iniziata.

Un lungo serpente di asfalto si snoda nel Sud Nevada sulla statale Route 375, la cosiddetta Extraterrestrial Highway, e poi su strade bian-che e l’ultimo tratto su uno sterrato che porta alla barriera fantasma vigilata da sensori elettronici quasi invisibili e da grossi suv privi di insegne a bordo dei quali ci sono gli uomini della famigerata agenzia di sicurezza paragovernativa Wackenhut ss, che ti scrutano e sono pronti a fare fuoco se oltrepassi i segnali che vietano l’accesso oltre quella linea immaginaria tracciata sulla terra brulla costellata di cac-tus. Una quindicina di chilometri più in là c’è la base militare, che una volta definii “il tabernacolo di tutti i segreti”.

Per me, i più grandi misteri della storia dell’umanità sono le prove che non conosciamo sull’esistenza di esseri alieni provenienti da un altrove indefinibile, forse da Aldebaran, forse da Zeta Reticuli, forse da Orione, o dal centro della nostra Terra, comunque interagenti con noi. Che restiamo in attesa.

Page 46: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

46

iv

L’epopea di Muzak

Da sempre amo la musica rock e chi sia in grado di creare e superare la barriera del suono. Sul finire degli anni Sessanta, il Piper club di via Tagliamento a Roma era il cuore delle molte nuove proposte in arrivo soprattutto dalla Gran Bretagna, raramente dagli usa. Fra i gruppi americani ricordo solo i californiani Byrds. Non dimentico invece la minigonna vertiginosa di Nicoletta Strambelli, in arte Patti Pravo sulle pedane del Piper e poi con i Cyan, già voce e arte sexy inarrivabile, la nostra musa di allora. E ricordo la sera in cui suona-rono i Pink Floyd. Prima formazione, se non sbaglio con Syd Bar-rett, forse nascosto da qualche parte. Ufficialmente, se si scorrono le cronache dei tour europei dei Pink Floyd, la prima data italiana riportata è quella del 20 giugno 1971 al Palasport di Roma. Io li vidi invece al Piper, nel maggio 1968. I Pink Floyd (Dave Gilmour, Roger Waters, Nick Mason, Rick Wright e Barrett) incarnavano la musica aliena, spaziale/psichedelica e si accompagnavano con il light show, fantasmagorico spettacolo di luci proiettato alle loro spalle in assonanza con i suoni. Aprirono con assurde note liquide che sci-volavano via lievemente dagli amplificatori Marshall piazzati ai lati del palco. Feci un madornale errore. Non conoscevo il pezzo e, per ascoltare meglio, mi sistemai accanto al Marshall sulla destra. D’un tratto, il tiepido percorso di atmosfere sognanti si trasformò nella furente apertura di Astronomy Domine. Fu come se un’astronave fosse

Page 47: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

47

entrata nell’iperspazio con un fragore che anche gli arcangeli degli Amon Duul ii avrebbero giudicato assordante. Così fu che la mia capacità uditiva tramite timpano sinistro subì un colpo tremendo. Mi allontanai di corsa, rifugiandomi dietro le file dei tavoli al centro della sala e ascoltai il resto del concerto con l’orecchio dolorante e la testa squassata dalle martellate di Interstellar Overdrive e dalle fughe galattiche di Set the Control for the Heart of the Sun. Il battesimo dell’a-ria, per un quasi diciottenne che sognava di fare il critico rock.

Non pretendo di descrivere la storia del rock in Italia per come ebbi il privilegio di viverla, piuttosto di riportarne solo alcuni episodi che, come in un’ideale colonna sonora, facciano comprendere come tut-to sia collegato agli alieni, o meglio alla musica aliena. Collegamento che esisteva, per me, fra i solchi dei dischi 33 giri di un tempo, prede oggi di avidi collezionisti di quel che, dopo l’avvento del digitale, avremmo chiamato “il vile vinile”, concerti live e il mio pensiero sempre rivolto alle stelle.

Purtroppo, i Beatles, Jimi Hendrix e i Led Zeppelin non li ho mai visti dal vivo. Nel caso del quartetto di Liverpool, perché all’epoca della loro esibizione al teatro Adriano a Roma, nel 1965, avevo quat-tordici anni e non riuscii, con mio fratello Claudio allora dodicenne, a superare la resistenza e la diffidenza di mia madre. Pianti e strepiti, nulla da fare. Ci consolammo al cinema con lo stralunato film Help poco tempo dopo. Nel caso di Jimi, il figlio del Voodoo, perché non sapevo che sarebbe stato di passaggio nella capitale e avrebbe suonato al Titan Club, il 24 maggio 1968. Me lo persi. Però, ho la testimonianza di Alberto Marozzi, principiante batterista e poi pro-moter discografico con la cbs italiana, di una notte di scorribanda nella capitale, dopo una jam session in cui Alberto suonò la batteria con Jimi, che non aveva i musicisti della Experience con lui. Alberto possedeva una Fiat 500, a bordo della quale Jimi fece da passeggero e turista. Alberto, suo malgrado, si dovette disfare della vettura una ventina di anni dopo. L’aveva conservata come una reliquia, con le

Page 48: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

48

fotine di Jimi sul cruscotto come quelle di “Papà non correre” e dei santi protettori.

E mi mancano i Led Zeppelin, perché nella loro prima data al Vigorelli di Milano ci furono scontri violentissimi tra la polizia e i gruppi di autonomia con le molotov e il concerto fu interrotto nel fumo dei lacrimogeni. Il gruppo di Robert Plant decise di non suo-nare mai più in Italia. Con Santana al Palasport di Roma accadde lo stesso e della violenza assurda fui testimone diretto, nel 1977. Non era dunque più la Woodstock Generation di otto anni prima, inneg-giante “pace, amore e musica”. Erano gli anni di piombo. Fu la fine della grande stagione dei concerti rock in Italia.

Ho egualmente avuto la fortuna di assistere a centinaia di concer-ti, anche in Inghilterra in quegli anni e negli Ottanta, a New York. Si pagava il biglietto, certo, non si dovevano abbattere le transenne e finire manganellati dai celerini o dai compagni dell’ultrasinistra solo perché vuoi assistere al concerto in santa pace. Poco ci mancò che succedesse anche il 6 aprile 1973 con i King Crimson al Palasport, la tensione era alle stelle, ma andò tutto bene. Passai la prima parte del concerto nel retro palco con il pass da giornalista e la seconda in platea. E per la prima volta vidi qualcuno sbattere la testa sul pavi-mento spinto da irresistibili vibrazioni, non violente, ma di certo au-tolesioniste. Il rock, soprattutto il progressive che ti entra nelle vene e finisce per prenderti al cervello, fa anche questi effetti. Quella sera salutai il mio amico Maurizio Villanacci, che il giorno dopo sarebbe partito per il servizio militare. Piangemmo abbracciandoci. Abbia-mo fatto un lungo percorso di vita insieme, viaggiato per il mondo, vissuto i primi amori, ci siamo innamorati di Totò e dei suoi film distrutti dalla critica, visti agli spettacoli del pomeriggio e sapevano tutte le battute a memoria… «Cresce e matura il grano… passa la gioventù…» e ridevamo a crepapelle per ore, ricordandole. Eravamo molto uniti e con lui discutevo di dischi volanti. Era fra i pochi miei amici che non mi mandasse a quel paese per la mia ossessione per gli extraterrestri. E guarda caso, come vedremo in seguito, fu con

Page 49: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

49

lui che nel 1985 ebbi il mio primo avvistamento ufo, a Coba, uno sperduto villaggio nel territorio di Quintana Roo, in Mexico.

Dunque, musica e politica negli anni Settanta. Un autore sconosciu-to (sulla copertina non appariva alcun nome) scrisse un memorabile Libro bianco sul pop in Italia pubblicato dalla Arcana nel 1976. Vi si contavano le perdite, le vittorie e le sconfitte dei venti di rivoluzione che soffiarono su di noi allora. E lo lessi con un grande senso di tristezza, ormai offuscato dal tempo trascorso e dal cuore che mi si colma di emozione mentre scrivo ora.

Nulla di più sbagliato, nello scrivere, partendo da un’idea che ti frulla nella testa e tu la trasformi in regola e concetto, almeno secon-do me. L’unica soluzione è il flusso del pensiero, libero, inarrestabile, fruibile così per tutti.

Ricordo le discussioni nella redazione di Muzak, il più grande gior-nale “giovanile” di tutti i tempi (per me), fortemente politicizzato sul versante dell’ultra sinistra. Eravamo un “Collettivo di redazione”, gui-dato da un grande direttore, Giaime Pintor (che saluto con il cuore, perché so che dall’alto mi guarda con un po’ di affetto) e io cercavo di coniugare il grosso dei miei pensieri con una dovuta azione politica in qualità di coordinatore della redazione rock, mentre Gino Castaldo era responsabile delle pagine di jazz. Ero sempre in difficoltà. Alle riunioni di un formidabile team formato dalle menti di Giaime Pintor, Lidia Ravera, Fernanda Pivano, Giovanni Lombardo Radice, Danilo Moroni, Sandro Portelli, e con collaboratori del calibro di Goffredo Fofi, Mario Schifano, Corrado Sannucci, Marcello Sarno fra gli altri, sostenevo il mio punto: «Il rock non si può ridurre in un concetto po-litico», e non potevo capire, allora, quanto fosse importante il tempo. Per esempio, per scrivere da anni ho bisogno degli occhiali da lettura, il computer con il suo schermo mi guarda, ma non distinguo le lettere, sono offuscate, allora metto gli occhiali, mi alzo, vado a cambiare il cd, torno e rimetto gli occhi sullo schermo e scrivo.

Page 50: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

50

Dedicai la chiusura di un mio lungo articolo sul rock tedesco2 all’im-menso Klaus Schulze:

Poco più che ventenne, organista, compositore, ex Ash Ra Tempel, ex Tangerine Dream, Schulze ha al suo attivo il massimo sforzo di esprimere sinfonicamente il rock futuribile, darne una visione spaziale piana e mae-stosa, offrirne il supremo anelito verso il cielo dell’armonia. In lui è tutta la schiuma dell’artista vero: è un io che si apre in esecuzioni elettroniche in assoluto. Tra generatori e oscillatori di frequenza a riflettere un mondo poetico assurdo e pur sempre semplice, scene di vita irreale e luci di un amore divino per la natura, le cose e gli uomini. Le sue composizioni, raccolte in due album stupendi, Irrlicht e Cyborg sono il passaggio dalle tenebre alla luce, sono un tessuto sonoro che non ha eguali nell’intera storia della musica moderna, da Stravinsky in poi. Musicalmente, Schulze è solo perché in lui convergono le vene e il sangue della vera arte libera, la musica divaricata all’infinito, i timbri sparsi e l’un l’altro annientati vicen-devolmente… di volta in volta le immagini si fanno aeree, limpide nella struttura e nelle conclusioni, estraniate in un io espressivo che ha il solo meraviglioso difetto di vivere nella più completa e intima solitudine…

Questo scrivevo di un genio, quello di Schulze. Mentre ora cito i Popol Vuh, nelle parole del loro leader, Florian

Fricke:

La musica (del sistema) è usata come un velo che serve a coprire la ra-gione, per impedire di scegliere e di decidere… cogliamo la magia della libertà e della parola: ciò che vale per esse dovrebbe valere mille volte di più per la musica… lasciateci fare della musica, della musica che faccia del bene, che renda interiore ciò che è esteriore. E una volta perve-nuti a tanto, restiamo uniti.

Florian Fricke ci ha lasciati nel dicembre 2001. Lo incontrai, con Rosi, voce del gruppo e sua compagna, e Daniel Fichelscher, poliedrico polistrumentista e inarrestabile percussionista nella canonica di una 2 Muzak, n. 10/11, agosto/settembre 1974.

Page 51: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

51

chiesa sconsacrata di Colonia, in Germania. Fu una tappa di un folle tour in treno, partito da Milano e diretto a Monaco, credo nel 1973. Ero con Paul Alessandrini, grandissimo critico musicale francese e il giornalista milanese Daniele Caroli, con capelli che gli scendevano giù sino ai fianchi. Il viaggio organizzato dal produttore Rolf Ulrich Kaiser, ideatore e mastermind dell’etichetta discografica Die Kosmichen Kuriere, portava i “corrieri cosmici” in giro per l’Europa. Così, ci fer-mammo a vedere i Popol Vuh. Ora immaginate. Se Werner Herzog ha voluto le musiche dei Popol Vuh (il nome nasce dal testo sacro Maya) in quasi tutti i suoi magnifici film, da Fitzcarraldo ad Aguirre, da Nosferatu a L’enigma di Kaspar Hauser, una ragione doveva pur esserci. Eccome se c’era. Adoro Florian, provo rispetto per lui. La sua musica, epica o etnica che fosse, resta una delle cose più belle per la quale il sentimento che mi lega alla Terra meriti di essere vissuto.

Le riunioni di redazione, a Muzak, il cui ufficio si trovava in via Ales-sandria al centro di Roma, erano sempre piuttosto animate. Si discu-teva di tutto e il timone del giornale comunque spettava al direttore, Giaime Pintor. La cosa più paradossale era che la musica rock dei primi anni Settanta, una formidabile macchina da combattimento per liberare le menti di una generazione, quindi fatta di tutto e di niente – dal silenzio di Cage alle fantastiche tirate di Jimi Hendrix – sembrava dovesse essere libera e altresì libera avrebbe dovuto essere la critica. Invece no, quasi fossimo soloni alla Arrigo Polillo (il massimo critico jazz italiano) o tromboni sfiatati, ci si chiedeva di rientrare nei cano-ni critici benvisti dalla sinistra partitica, ovvero da apparati che già lasciavano presagire ammiccamenti, compromessi e clientelismi con chi al potere ci stava già da anni. Soprattutto ci si doveva allineare alla riduttiva critica marxista. Altrimenti, si finiva tacciati di fascismo intellettuale dall’ultrasinistra che rifiutava in blocco tutto ciò che arri-vava dagli invisi Stati Uniti d’America che mandavano a combattere in Vietnam i ragazzi della Woodstock Generation, o dalle frontiere del cosmo germaniche, a loro dire nipoti del nazismo. Bel rebus. Io cer-

Page 52: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

52

cavo di starne fuori e restavo a guardare quegli intellettuali scontrarsi. Epico, il confronto dialettico fra Pintor e Gian Emilio Simonetti, le-ader della Cramps, l’etichetta degli Area, a proposito di John Cage, la cui tematica del silenzio, ricordava Giaime, nasceva da Webern, com-positore austriaco padre con Schönberg della musica dodecafonica e seriale. Sembrerebbe ridicolo che tanta energia positiva potesse o dovesse infrangersi su bastioni culturali oggi ingialliti come partiture per fanfare militari, eppure questo accadeva.

In Ufologia, in Italia ho riscontrato situazioni assai simili. Il giornali-smo musicale rock nostrano non faceva fronte unito contro il nemico comune: la totale ignoranza del sistema politico dominante. Le nostre forze si disperdevano in mille rigagnoli di acque progressivamente av-velenate dal diffondersi programmato dell’eroina. L’eroina ha ucciso molti di noi. Dentro e fuori. In Ufologia, pur avendo ancora lo stesso nemico comune, l’ignoranza della massa e quella del potere costituito, è avvenuta la stessa cosa. Mi sono bastati i quasi quindici anni in cui ho avuto modo di frequentarne gli ambienti più altolocati, dispensato-ri di cultura fasulla, fatta di nozioni e di casistiche ben sotto controllo da chi di dovere. L’eroina dell’Ufologia è il veleno della calunnia.

Torniamo a Muzak e all’epica conclusione del suo sogno editoriale, politico ed editoriale. Nel 1976 pubblicammo un inserto staccabile contenente un questionario sulla sessualità rivolto ai giovani dei licei romani. E finimmo, tutto il Collettivo, sotto processo, perché di sesso a scuola non si poteva parlare, men che meno si poteva chiedere a ra-gazzi di sedici anni se facevano l’amore (e non la guerra), o se usavano contraccettivi, come aveva già dimostrato il processo a La Zanzara a Milano. Su segnalazione di una mamma molto apprensiva, il preside e il corpo insegnante del liceo Visconti ci denunciarono per corruzione di minorenni. Esperienza indimenticabile, il giorno del processo, ce-lebrato nella grande palestra del Foro Italico, in seguito divenuta la fa-mosa aula bunker dove si sono dibattuti i più importanti casi giudiziari italiani degli ultimi trent’anni. Tutti i componenti del Collettivo erano

Page 53: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

53

stati chiamati a testimoniare e a rispondere delle accuse. Il nostro di-fensore, il radicale Gianfranco Spadaccia, ci raccomandò di avvalerci della facoltà di non rispondere. Sfilammo sul banco degli imputati silenziosamente, uno a uno. Alla fine fu il turno di Fernanda Pivano, la scrittrice, mamma della Beat Generation in Italia. Percorse a passettini la sala, gremita di gente, senza neppure un brusio. Arrivò sin sotto il grande scranno del giudice. Si fermò. In mano aveva una rosa bianca che depose sul tavolo del giudice, con un sorriso innocente. Esplose un applauso da capogiro. Un’ondata di energia pura. Il giudice si alzò. Aveva «una strana espressione nei suoi occhi». Disse: «L’udienza è tol-ta. Potete andare, tutti assolti. Il fatto non costituisce reato».

Accadde però che dopo la sentenza, per almeno due mesi, fummo bloccati nella distribuzione e la rivista subì un contraccolpo irrepa-rabile, nonostante le vendite fossero molto consistenti (circa tren-tacinquemila copie al mese). Inoltre, si vociferava che l’eccessivo impegno politico della testata fosse piuttosto scomodo per l’editore, che andava a gonfie vele con le sue pubblicazioni tecniche e di alta fedeltà. Chiudemmo i battenti. Sul mercato restò l’altro mensile, il milanese Gong, con talenti critici formidabili quali Riccardo Berton-celli, Marco Fumagalli, Giacomo Pellicciotti. Ma la linea editoriale era troppo sofisticata e anche Gong sparì dalla circolazione.

Questo breve squarcio della nostra storia editoriale musicale, rappre-sentativa di un’informazione alternativa e di controcultura, mi riporta a un episodio che mi è rimasto nel cuore. La mia unica intervista, pia-nificata con la casa discografica Ricordi, a un mostro sacro della mu-sica alternativa americana, Tim Buckley. L’intervista che non feci mai. Eppure ero a Milano, con un giornalista francese e un tedesco e credo persino una giapponese, in un salotto fuori dalla stanza d’albergo di Tim, in attesa di incontrarlo. Tim Buckley era un cantore leggendario di ballad assurde, dall’estensione vocale capace di sovracuti impensabili, un maestro della vibrazione ribelle scaturente dalla gola, uno spirito libero, nessuno in grado di esprimere meglio di lui l’urlo della più vera America di quegli anni. Doveva essere l’inizio del 1975. Tim, lo sape-

Page 54: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

54

vamo, stava piuttosto male. Andava e veniva da stati di torpore derivato dall’assunzione continua di allucinogeni, anche se non è stato mai ac-clarato che facesse uso di droghe pesanti. La casa discografica italiana confidava in questa serie di colloqui con alcuni critici musicali selezio-nati per lanciarlo nel nostro Paese. Aspettavo. La porta della stanza del cantante si dischiuse e fece capolino la promoter americana che ci lanciò un’occhiata e poi invitò a entrare Marco Fumagalli, giornalista di Gong (con lui mi sembra ci fosse Giacomo Pellicciotti). La stessa si-gnora uscì pochi minuti dopo, confabulò con il manager della Ricordi, sul cui viso si dipinse un’espressione sconsolata e mi disse: «Maurizio, Tim ha detto che vuole parlare solo con Marco, mi dispiace, non puoi intervistarlo, devi rientrare a Roma». Ero sbigottito, affranto, ci tenevo tantissimo a incontrare Tim Buckley, anche solo stringergli la mano per un attimo. Sapevo come stavano le cose.

Marco Fumagalli era malato di leucemia. Lottava contro il male con l’aiuto della macrobiotica, un regime molto stretto al quale si era sottoposto rigorosamente e lo aveva tenuto in vita sino ad allora. Non volle mai assumere farmaci. Chiesi di poter salutare Tim. Qual-cuno aprì la porta quel tanto per farmi passare di mezzo metro. Lo vidi, era sul divano, lo sguardo un po’ assente sotto una cascata di riccioli neri. Mi fece un cenno di saluto con la mano al quale risposi e chiusi la porta. Tornai a Roma la sera stessa. Non scrissi il pezzo, ovviamente, ma sono certo che Fumagalli lo fece, anche se non lessi mai la sua intervista.

Il 29 giugno 1975 Tim Buckley moriva a Dallas, Texas, stroncato da una mistura di alcool ed eroina che si era fatto – sembra – per rispondere a una sconsiderata sfida allo sballo totale con uno del suo entourage. Marco Fumagalli morì poco meno di un anno dopo. Ca-valcarono le onde del suono insieme e sono felice di averli ricordati, perché il tempo per loro non si è mai fermato.

Questo testo dei Dead Can Dance è dedicato a Tim e Marco.

Page 55: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

55

The Carnival Is OverOutside The storm clouds gathering, Moved silently along the dusty boulevard. Where flowers turning crane their fragile necks So they can in turn Reach up and kiss the sky. They are driven by a strange desire Unseen by the human eye Someone is calling. I remember when you held my hand In the park we would play when the circus came to town. Look! Over here. Outside The circus gathering Moved silently along the rainswept boulevard. The procession moved on the shouting is over The fabulous freaks are leaving town. They are driven by a strange desire Unseen by the human eye. The carnival is over We sat and watched As the moon rose again For the very first time.3

3 Il Carnevale è finito.Lì fuori / Grappoli di nubi in tempesta, / Si muovevano silenziosamente lungo il pol-veroso viale. / Dove gli steli dei fiori di strelitzia ruotano il loro collo esile / Così a turno possono / Toccare e baciare il cielo. / Spinti da uno strano desiderio / Invisibile all’occhio umano / Qualcuno ora sta chiamando. / Ricordo come mi tenevi per mano / Per andare a giocare nel parco, / quando il circo arrivò in città. / Guarda! Da questa parte. / Lì fuori / I carrozzoni del circo / Si muovevano silenziosamente lungo il viale / battuto dalla pioggia. / La processione si allontanò e le grida cessarono / I mostri delle favole stanno lasciando la città. / Spinti da uno strano desiderio / Invisibile a occhio umano. / Il carnevale è finito / Ci sedemmo a guardare / La luna che sorse di nuovo / Per la prima volta.

Page 56: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

56

v

La terra promessa

Una delle prime cose che feci sbarcando a New York nell’agosto del 1980 fu occuparmi del mio cane. Dado aveva viaggiato nella stiva dell’aereo, nel freddo e fuori ci attendeva una temperatura da Infer-no dantesco. All’interno dell’aeroporto jfk, la sala di ritiro bagagli era ormai quasi libera dei passeggeri provenienti da Roma. Il tapis roulant scorreva semivuoto, ipnoticamente, nella luce diafano-elettrica. Poi il marchingegno si ferma. Dall’altra parte di una parete si sentono concitate voci di uomo che dicono qualcosa. La gabbia metallica ex-tralunga, con dentro Dado, appare sul tapis roulant. Il cagnone bianco è stordito, le due pillole narcotizzanti che gli ho somministrato alla partenza hanno avuto effetto. Dado sarà sempre tranquillo, un gi-gante gentile, tranne che in poche occasioni in cui si rivelerà molto cattivo con i cani maschi che almeno tre, quattro volte lo hanno ag-gredito e se ne è sbarazzato a modo suo, senza brutte conseguenze, tranne che una volta per me: per salvare un pastore tedesco che gli era finito fra le mascelle, finii all’ospedale con venticinque punti alla mano sinistra lacerata dai denti dell’aggressore (il che mi impedì di partecipare al Campionato italiano della Federazione Italiana Ka-rate, per arrivare a cintura nera, ottenuta ad honorem nel 2010). Gli accarezziamo il testone, mi guarda con occhi acquosi. Un bar, ci sarà

Page 57: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

57

pure un punto di ristoro dove prendergli qualcosa. Nulla. Allora attendiamo le formalità dell’immigrazione, esperite dagli agenti del us Homeland Security. Formalità? Si apriva un decennio domina-to da Reagan e che avrebbe aperto le porte ai Bush, passando per Bill Clinton. C’era poco da stare allegri, davanti alle due righe gialle dell’Immigration. La gente è in fila lungo un serpentone che si sno-da, ordinatamente; bisbigliano o giù di lì, quelle facce piene di razze, molto più vitali di una sola speranza. L’agente farà delle domande, di questo ero certo. Chiederà perché sei lì, cosa ci vuoi fare negli usa, dove sei diretto, chi conosci. I più imbastiscono risposte veloci, alcu-ni non spiccicano una parola di Inglese. Si voltano smarriti in cerca dello sguardo del parente o dell’amico con cui hanno viaggiato. Se sono soli, qualcuno, con il consenso dell’agente dell’Immigrazione, supera la linea gialla, si avvicina al bancone e dà una mano, fornen-do le informazioni che servono a consentire di entrare. Quando è il mio turno, sfodero la mia pronuncia più yankee, spiegando che sono un giornalista, munito di un visto i. L’officer controlla, poi apre un librone su cui presumo ci siano centinaia di nomi di persone inde-siderate negli States, gente segnalata, malviventi e clandestini che da qui non passano, ma i giornalisti italiani sì, seppure col cuore in gola. In quell’esatto momento, quando l’omone davanti a te solleva gli occhi e appone un bel timbro sul tuo passaporto, ti viene voglia di prendere a saltare come un pazzo, inneggiando all’America, a quan-to è grande e bella e come è buono il presidente, che all’epoca era Jimmy Carter. Carter richiese al Congresso di consentirgli l’accesso agli archivi segreti sugli ufo e, ovviamente, gli fu negato. Io, molto umilmente, non pretendo tanto, mi basta passare la dogana con il visto di ingresso e permanenza confermato per un anno, il tempo giusto e sufficiente per cominciare una nuova vita, ma anche perché, per molti versi, ci credevo.

Credevo al fatto che in America era nato Muhammad Alì, il più grande, che aveva cambiato il suo nome da Cassius Clay. Il giorno in cui se ne andrà il mondo intero perderà una stella tanto fulgida e

Page 58: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

58

non solo perché sul ring è stato inarrivabile – anche se ho sempre pensato che un incontro con Rocky Marciano sarebbe stato equili-brato e forse… – ma come uomo, rifiutando di andare a combattere in Vietnam, schierandosi a favore della causa della sua gente, dive-nendo un simbolo assoluto di libertà e di fratellanza per il popolo dei neri, ma anche per il popolo della Terra.

Credevo al fatto che c’era stato Woodstock. Tre giorni di pioggia, fango, musica, sballo, freedom to the people raccolta nel catino verde del podere di Max Yasgur dove il palco era stato messo su a forza di brac-cia in poche ore e cinquecentomila ragazzi avevano raggiunto la zona agricola upstate New York a bordo di macchine scassate e variopinte come i loro corpi. Non sono stato a Woodstock, se non per una visita che feci quattordici anni dopo e trovai un villaggio lindo e pinto, stile Svizzera, con tanti ninnoli e ricordini della tre giorni più bella della storia del rock. Ci andò il mio amico Vinny, che mi raccontò quanto fosse stato difficile arrivarci, dietro una fila interminabile di auto a passo di lumaca lungo stradine polverose che portavano alle recin-zioni che tutti scavalcavano, per non pagare il biglietto. Vinny e il suo amico (di cui non so il nome) arrivarono a concerto già abbondante-mente iniziato e sotto una pioggia battente. Non furono mai in grado di avvicinarsi e ascoltarono da alcune centinaia di metri. Due giorni dopo tornarono a casa, frastornati e stanchi. Il suo amico, Vinny però non lo rivide mai più. Era partito per il Vietnam ed era finito come altri cinquantacinquemila ragazzi americani morti in nome dell’odio. All’epoca non sceglievi tu, eri arruolato e basta.

In Italia, il film del concerto uscì nelle sale un anno dopo. Lo vidi con Maurizio Villanacci. Uno spettacolo incredibile che meriterebbe da solo un libro. E solo un anno fa circa, ho acquistato il doppio dvd della performance di Jimi Hendrix a Woodstock. Chiunque possa vederlo e sentirlo è pregato di farlo. Sono più di due ore di musica che nessun essere umano a questo mondo è in grado di eseguire. Sono la chiara, netta, spiegazione del perché Jimi era una creatura

Page 59: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

59

diversa da noi, un extraterrestre figlio della creazione e dell’assoluto, il massimo e più alto momento di contatto fra noi piccoli uomini e la forza che tutto muove, tutto vivifica e tutto distrugge. Non solo amore, come saremmo propensi a credere. Credo che Jimi rappre-senti per tutti noi le lacrime che scendono dal viso di un bambino, il viso di una donna che ami trasfigurato nell’estasi dell’orgasmo, il soffio del vento e le spighe che si piegano magicamente in un crop circle. Jimi è il mantra elettrico di Dio. Inizio a capire che Dio esiste in questi momenti. E so che non sono solo. Capivo o mi ostinavo a credere che l’America fosse ancora la terra promessa. Eppure, dentro di me, continuavo a ripetermi che «ogni posto è un posto» e quel che conta non è dove ti trovi, ma come sei.

Sentivo il richiamo della Montagna Sacra di Jodorovsky, il visiona-rio regista cileno che spiega come, una volta giunto sulla vetta, devi fare marcia indietro e il film della tua vita riprende in un altro luogo e in un altro tempo.

La montagna sacra degli Indiani Lakota, che si erge come un mo-nolito nel Wyoming, chiamata Devils Tower, prima o poi ci andrò, ma non ora. Spielberg sapeva quel che faceva scegliendola come luogo di atterraggio delle fantasmagoriche astronavi aliene di Incontri ravvicinati del iii tipo. Quel giorno, all’anteprima per la stampa al cine-ma Barberini di Roma, ci andai con Silvia e Gino Castaldo. Il finale mi fece commuovere e piansi come un bambino. Cos’era, una favo-la, o la realtà raccontata sotto forma di fiaba drammatica e astrale?

Troppe quindi le ragioni romantiche che mi portavano in Ameri-ca. Per tutti c’era un posto, dove andare, crescere, mettere su casa, trovare una compagna, oppure – se eri già in coppia – avresti fatto fatica a tenerla insieme, per via della vulcanica forza che si sprigiona come per incanto dal sottosuolo di Manhattan, la metropoli che al-largava le braccia per accoglierti, ma chiudeva le gambe come a dire: «Però mi devi meritare».

Page 60: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

60

Con questi sentimenti mi avviai con Silvia e Dado lungo i corridoi dell’aeroporto verso l’ultimo controllo doganale. Una volta espleta-to, avremmo ascoltato il lontano battito cardiaco di New York.

Il caldo asfissiante ci avvolse d’un tratto, superata la barriera dell’aria condizionata. Agosto, pomeriggio tardi, 18:30 o giù di lì. Con mia moglie e il cagnone saliamo su un taxi che si avvia verso un albergo, il Riviera Motor Inn, ai margini, se non sbaglio, di Long Island. L’albergo era stato scelto previa convulsa serie di telefonate per richiedere dove accettassero un cane di taglia un po’ grandicella, oltre ottanta chili. «No sir, sorry, small pets only» rispondevano educa-tamente. Sicché arrivammo al Riviera, in mezzo al nulla, alle prime dense ombre della notte. Alla reception vedono Dado. Attoniti. Si scambiano battute che non capiamo. La mia richiesta, a parte la con-ferma della stanza prenotata telefonicamente, è se hanno qualcosa da mangiare per il cane. Ovviamente, nulla di specifico. Due ham-burger però vanno bene. Glieli preparano subito. Chiavi della stan-za, non proprio confortevole, ma nuova come l’albergo. Arrivano gli hamburger. Li taglio a fette. Dado le trangugia in due secondi, poi si accascia, stremato. Silvia e io vorremmo fare lo stesso. Il tempo di guardarci in faccia e poi, senza cena, è ora di andare a nanna. Non prima però di aver fatto una passeggiatina con Dado, per i suoi biso-gni. Volevo anche guardare un po’ in giro. Dico a Silvia che tornia-mo subito. L’escursione sarà brevissima. Fuori dall’albergo non c’è niente. Una landa desolata. Cumuli di spazzatura ammonticchiati sul fondo di una strada bianca che porta, secondo me, da nessuna parte. Vedo, a una decina di metri da noi, due signori neri che scrutano i due bianchi, il grande cane e me. Chissà cosa avranno pensato. A me balenò solo un pensiero, meglio togliersi di torno, Dado comprese al volo e fu velocissimo a fare le sue cose.

Ero nella terra di mio padre, l’America. Le notizie sul suo primo arri-vo negli Stati Uniti, da Marsala dove era nato, non sono chiare. Il pri-mo documento ufficiale che sono riuscito a recuperare dal sito della

Page 61: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

61

Ellis Island Foundation, testimonia che Giuseppe Baiata era sbarcato in America nel 1920, ma vi era già giunto due volte in precedenza, nel 1912 e nel 1915. Il diario passeggeri della Re di Napoli lo dimo-stra. Ad attendere mio padre a New York c’era il fratello Giovanni e, naturalmente, lo attendeva anche Ellis Island, la “sala d’attesa” per tutti gli immigrati di allora. Degli anni successivi si sa poco. Diverso tempo dopo lo raggiunsero i genitori, i miei nonni. So che la loro vita fu molto aspra. Mio padre ogni tanto mi raccontava qualcosa dell’A-merica. Aveva fatto i lavori più umili e duri, fra i quali il lavavetri sui grattacieli perché, sembra, all’epoca solo gli emigrati e i diseredati si arrischiavano a quelle altezze, tanto se si sfracellavano non importava niente a nessuno. Erano soprattutto italiani, polacchi e nativi ameri-cani, che avevano un equilibrio eccezionale. Mi disse che da giovane aveva tirato di boxe, ma nessuno nella mia famiglia americana lo ha potuto confermare. In assenza di notizie certe, cinquant’anni di vita di mio padre negli Stati Uniti per me sono un mito avvolto nel mistero. Fece fortuna, come molti altri picciotti siciliani, nel periodo del proi-bizionismo, con distillerie clandestine e il traffico di alcolici. Dal sito Saccoevanzetti.com traggo questo testo che spiega:

Negli Stati Uniti, dopo la prima guerra mondiale, la classe dirigente aveva scatenato una forsennata campagna di odio contro i lavoratori che lotta-vano per un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Persecuzioni di ogni genere colpirono i socialisti, gli anarchici, i militanti dei sindacati, che erano chiamati col termine di “rossi”. Tra costoro i più odiati erano gli stranieri, ossia coloro che erano immigrati negli Stati Uniti da poco tempo. L’episodio più ignobile di questa campagna fu il processo inten-tato a due anarchici italiani: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Nel 1927 Sacco e Vanzetti finirono bruciati sulla sedia elettrica, inno-centi. Il film di Giuliano Montaldo interpretato da Riccardo Cucciolla e Gianmaria Volonté ricostruisce perfettamente la storia, l’assurdità di una condanna a morte per due italiani rei solo di essere tali, apparte-nenti a una minoranza, diversi. Mio padre mi parlò di quella storia così

Page 62: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

62

tragica, una pagina di storia americana dipinta dei cupi colori del raz-zismo. E mi disse che per gli italiani era davvero dura e che per questo aveva deciso di cambiare il proprio nome da Giuseppe Baiata a Joseph B. Bates. Il cognome dei miei fratellastri americani, nati dal suo pri-mo matrimonio con una donna ebrea americana, infatti, è Bates. Solo William (Bill) è ancora vivo e vegeto, nonostante gli acciacchi dell’età, a ottantasei anni. Ricostruire la storia di mio padre è impresa ardua. Il tempo passa e le tracce del suo passato si perdono inesorabilmente alla sua morte, avvenuta a Roma nel 1960, quando avevo dieci anni. Non ho avuto la possibilità di crescere fra le sue braccia. Ho una sua lettera, indirizzata a mia madre che inizia e termina con un abbraccio «ai suoi pargoletti» e ho una foto che ho portato qui con me in Arizo-na, che lo ritrae nel suo ufficio, a Roma, seduto al suo tavolo con su una copia del Daily American. La foto, poi, è diventata il regalo per mio fratello Bill in occasione del Natale 2010. Joe, come lo chiamavano un po’ tutti, aveva un cervello da paura, parlava correntemente quattro lingue e aveva capacità imprenditoriali che nessuno di noi è mai stato capace di emulare. Soprattutto io. Parlerò di lui nuovamente, in merito a un episodio che definire “paranormale” sarebbe eufemistico, ma per ora eccoci di nuovo nella New York in cui arrivai io, una settantina d’anni dopo Giuseppe Baiata.

Notai subito rispetto all’Italia una netta differenza. A New York non ti si fila nessuno. E la lingua è una barriera, un ostacolo spesso insormontabile. Io ero convinto di sapermi destreggiare abbastanza bene dopo i tanti anni trascorsi in campo musicale dove l’inglese imperava, ma non era così. Incespicavo, mi bloccavo, non capivo, ma lentamente le cose miglioravano, fra alti e bassi.

Per un italiano trapiantato in America, quando credi di aver impa-rato la lingua è perché capita di tanto in tanto di sognare in inglese. Allora ti dici che ce l’hai fatta. Be’, è vero che nella nostra dimensio-ne onirica hai accesso a un’altra realtà, ma nella vita di tutti i giorni hai ancora tutto il fardello che ti sei portato appresso, cultura, abitu-dini, tradizioni, radici profonde.

Page 63: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

63

Per me, che mi trovo in Arizona da oltre un anno e ho pochissimi contatti con gli italiani, i sogni sono ancora in italiano. Sono stra-niero in terra straniera e il mio “simpatico” accento aiuta, come il passaporto, e me ne servo e mi fa piacere essere d’aiuto, se posso, a chi ne abbia bisogno.

Tornando agli anni Ottanta, quando per la prima volta nella redazio-ne del Progresso Italo-Americano giunse un enorme calcolatore Harris e trovammo pronti sulle nostre scrivanie gli schermi del computer al posto delle macchine da scrivere, il trauma lo sentii. Diversi miei colleghi che a New York si erano stabiliti da tanti anni ed erano di-ventati residenti o cittadini americani non volevano mollare la mac-china da scrivere neppure morti, resistenza passiva e ostinata al cam-biamento. Era il 1984. Pensai di non farcela, poi grazie alla pazienza del mio direttore, Andrea Mantineo, e del vicedirettore, Massimo Jaus, nel giro di poco tempo mi adeguai. Internet non esisteva. Le notizie arrivano sul filo delle telescriventi, dalle agenzie americane e italiane. I pezzi venivano ancora tagliati “a manovella” e composti su una carta gommata a costruire un bel mosaico che diventava una pagina di giornale quotidiano. Il lavoro era più veloce, ma meno romantico. La mattina presto, appena arrivato in redazione, ero fra quelli che dovevano tagliare gli articoli e le news dalle telescriventi. A volte, arrivavano notizie sugli ufo. Un presunto avvistamento qua, un atterraggio profetizzato là e di solito se la cosa sembrava avere fonti concrete scrivevo un pezzo. Gli avvistamenti del 1984 sullo Stato di New York ebbero ampia risonanza. Testimonianze atten-dibili, le indagini del cufos guidate da uno scienziato come Allen Hynek, fotografie e filmati. Ce n’era abbastanza anche per una testa-ta “etnica” come la nostra, ma non mi diedero l’incarico. Gli anni al Progresso furono belli, vivendo a Emerson, New Jersey, dove mi ero trasferito per evitare il lungo commuting quotidiano da pendolare, an-data e ritorno da Manhattan sul bus 11A che prendevo alla stazione di Port Authority. Il New Jersey è verde e affittai una bella casa con

Page 64: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

64

un enorme giardino, dove Dado scorrazzava felice e gli scoiattoli gli facevano i dispetti. Ed era a duecento metri dalla redazione. Ma nel cuore ero newyorchese e i primi tre anni li trascorsi in quella città che cerchi di prendere al laccio, imbrigliandone il ritmo e adeguar-si non è facile. Musicalmente, il mio punto di riferimento erano le stazioni radio fm. Fantastici, soprattutto, i programmi notturni dai quali appresi molto, sul come si dovesse fare radio. Così, nelle mie corrispondenze da Manhattan, cercavo di trasmettere le sensazioni e il respiro della metropoli. Era difficile comunicare con la gente, dal microfono istituzionale di Rai Tre, così lontani dall’Italia.

Fuori, nelle strade e nelle case, nei negozi e negli uffici di Manhat-tan altoparlanti mandavano continuamente messaggi musicali. Men-tre un dj la musica non la può creare e vive cercandola fra i solchi dei dischi e le sue note mentali recuperate, a New York arrivava a ogni cambio di canzone una mazzata micidiale e non sapevi perché te la vivevi. Poi si distendeva, per un attimo lasciava spazio alle tue riflessioni, poi perfetta come era venuta ed era finita veniva sostituita da un’altra canzone, una colonna sonora infinita e permanente.

E le strade non avevano nome. Perché chiamare per nome le stra-de? Serve a qualcosa? No, ne ero certo, le strade avevano bisogno solo di un numero. Oppure ero solo io che diventavo troppo new-yorchese?

La sera dell’8 dicembre 1980 filava tranquilla, nel loft di Murray Stre-et, con Silvia, gli amici e Dado. Avevamo appena cenato e, come al solito, a tv spenta, avevo sintonizzato la radio su wplj fm, la stazione che a Manhattan imperava fra le aor (Album Oriented Rock) insie-me a wnew fm. Erano le mie preferite, con una rotazione standardiz-zata di brani tratti dai grandi album dagli anni Sessanta agli Ottan-ta. Improvvisamente, all’interno di una programmazione piuttosto vivace e metallica, durante una canzone di cui non ricordo il titolo, parte Imagine di John Lennon. Strano, mi dico. Giro su wnew e stan-no trasmettendo un pezzo dei Beatles. Coincidenza. Scelgo la molto

Page 65: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

65

più istituzionale cbs fm e in onda c’è un’altra canzone di Lennon. Forse è una notte speciale dedicata a loro. Ma ora la cbs si collega con il Roosevelt Hospital di Manhattan. Un chirurgo dell’ospedale annuncia con voce rotta dall’emozione che ogni tentativo di salvare la vita di John Lennon è stato inutile. Lennon è morto poco dopo essere stato trasportato in ospedale da un’auto della polizia. Ci guar-diamo increduli. Decidiamo di non andare al Dakota, nonostante avessi il passi come giornalista emesso dalla polizia di New York. Non me la sentivo.

Chiesi a Paolo Frajese, allora corrispondente del Tg 1 dalla Rai Corporation sulla 57° Strada, se potevo coprire io la notizia. Mi rispose seccamente che il servizio lo avrebbe fatto lui. Faceva un freddo micidiale, nella media di quell’inverno glaciale che si era ab-battuto sulla Grande Mela, dieci-quindici gradi sottozero e lavo-rare in quelle condizioni era disagevole. La mattina dopo andai al Dakota sulla 72° Strada affacciata su Central Park, dove Lennon e Yoko Ono vivevano. Ero con il mio amico Vinny, pronto con la sua videocamera professionale. C’era un mare di gente accalcata lungo file sui marciapiedi, dall’una e dall’altra parte della 72°. Fiori dovun-que sui marciapiedi, candele accese, altoparlanti che diffondevano canzoni dei Beatles. Una scena irreale. Lacrime ghiacciate sui visi affranti. Dissi, al microfono che mi tremava in mano mentre Vinny mi riprendeva per un servizio che non è mai andato in onda su nessuna emittente italiana: «Gli anni Ottanta saranno bellissimi». Il gelo e l’emozione mi facevano balbettare. E purtroppo non sapevo quello che dicevo.

Page 66: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

66

vi

Messico e stelle cadenti

Agosto 1985. Questo è il resoconto del mio primo avvistamento ufo e la cronaca di un viaggio in Messico con due miei amici di Roma, uno dei quali ci ha lasciati pochi mesi fa, ucciso da un cancro.

In quel periodo vivevo a Emerson, New Jersey, un’oasi di tran-quillità lontana dalla frenetica Manhattan e a due passi dalla reda-zione del giornale. Gli amici avevano deciso di venire a trovarmi a Emerson e poi avremmo raggiunto lo Yucatan per una vacanza nell’isola di Cozumel, che un anno dopo sarebbe stata colpita da un maremoto che devastò tutta la penisola dello Yucatan. Maurizio, grande viaggiatore, ottimo fotografo, spirito da esploratore per mari e per monti, e Fernando, ingegnere, mente matematica, razionale, mio compagno di banco al liceo. Non ci vedevano da almeno cinque anni. Partimmo da New York alla volta di Cancún, breve viaggio aereo, meno di un paio d’ore. Nella caotica città balneare affollata di turisti americani ci saremmo fermati solo per una notte. Così la mattina dopo raggiungemmo Playa del Carmen, spiaggia bianca a perdita d’occhio e il molo d’attracco dei traghetti per Cozumel. Mare incantato, oceano sconfinato, sabbia finissima, la visione di Playa del Carmen. Ciudad del Carmen è stata teatro di uno degli incontri ravvicinati più importanti della moderna storia ufologica, quello di Campeche, che nel 2004 vide l’equipaggio di un aereo della poli-zia militare messicana in perlustrazione anti-narcotraffico, alle prese

Page 67: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

67

con una formazione di oggetti volanti luminosi registrati con la vi-deocamera di bordo a infrarossi. A tutt’oggi il caso, suffragato dalle testimonianze dei militari che lo vissero in diretta e dalle immagini videoregistrate, resta inesplicabile e a nulla sono valse spiegazioni di rito per sminuirne l’autenticità. D’altra parte, il Messico, dall’eclissi totale di sole del luglio 1991, è divenuta la terra del contatto per eccellenza, con migliaia di avvistamenti e di incontri ravvicinati che ancora oggi si susseguono con continuità. Questo, però, allora non potevo saperlo.

Cozumel ci apparve di una bellezza brulla e selvaggia che mi avrebbe ricordato, anni dopo, Pantelleria, l’isola del vento fra la Si-cilia e l’Africa, il nero rifugio roccioso per anime inquiete e spiriti imbelli, dove crescono e si coltivano capperi, origano e le viti danno nettare da tredici gradi in su.

A Cozumel, albergo per tre giorni, spiaggia, mute conversazioni con grosse e tranquille iguane e ristorantini, insomma vita da turisti. Un po’ noiosa, a dire il vero. Con Maurizio e Fernando, muniti di una mappa dello Yucatan, decidiamo di visitare l’interno e di arrivare al confine con il Belize. Per farlo, torniamo a Cancun e noleggiamo un maggiolino Volkswagen verde e senza tappo della benzina. Ci dirigia-mo verso Tulum, città Maya che si erge su un costone roccioso a picco sul mare. Una visione mozzafiato, restiamo alcune ore, in contempla-zione delle monumentali opere Maya e del mare. Un ragazzo ci dice che se vogliamo vedere le vere rovine Maya, non prese d’assalto dai turisti, dobbiamo andare a Coba, nello stato di Quintana Roo. Coba, ci spiega, è la città morta dei loro antenati. Ci arriviamo nel tardo pomeriggio, dopo una cinquantina di chilometri a nord di Tulum sbal-lottati su un’interminabile strada malmessa e siamo molto stanchi. Il villaggio di Coba è poco più di un filare di case ai lati dell’unica strada, che punta dritta alla laguna. Il primo essere umano che notiamo è un indio che sbuca dalla vegetazione fittissima che avviluppa la strada. Indossa lunghi calzari, pantaloncini e a tracolla porta un machete che scende a sfiorare la terra. Sulle spalle ha dei serpenti, le sue prede di

Page 68: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

68

caccia. Le case sono erette su terra rossa. Non hanno porte. All’in-terno sembrano semi abitate, non vediamo bambini. Sappiamo che esiste un solo albergo. Immerso nella giungla e a poca distanza dalla zona archeologica, è a gestione americana, molto confortevole, di lus-so coloniale. Chiediamo se c’è una stanza. Purtroppo no. Sfiduciati, torniamo indietro, sulla sola strada di Coba. Avevamo visto di sfuggita l’insegna della Posada Francisco. Una stanza c’è, a due letti e un’amaca. Alla Fantozzi, baldanzosamente esclamo: «Ci dormo io!» Mal me ne incolse. Per cena la trattoria offre – nella saletta da pranzo dove una coppia di giovani tedeschi sgrana gli occhi nel vedere tre italiani – gallina bollita in una cuccuma enorme e tortillas. Perfetto. Alla fine, la mamma di Francisco ci chiede se vogliamo assaggiare il Mezcal fatto da lei. Ci serve il liquore distillato dall’agave in minuscole brocche di ceramica. Una a testa. Francisco ci spiega che un tempo Coba era una grandiosa città della civiltà pre-colombiana Maya, con decine di mi-gliaia di abitanti. Andarono via. Sparirono improvvisamente e miste-riosamente. I Maya di oggi pensano che i loro antenati si siano ritirati nel sottosuolo, in caverne e gallerie sotterranee, sotto la laguna e oltre. E lì vivrebbero ancora.

Il sito di Coba si estende per una cinquantina di chilometri. Nel 1985 Coba non era segnata sulle mappe turistiche e l’intendenza alle antichità del Messico non se ne curava affatto. Ma Francisco ce ne decantava le meraviglie: la città, risalente al 600 a.C., era sepolta nella giungla. L’avremmo visitata da soli il giorno dopo, Francisco aveva altro da fare, ma per quella sera, al termine della frugale cena ci con-sigliò di andare alla laguna, per assistere allo spettacolo delle stelle cadenti. Dovevamo inoltrarci lungo un sentiero che portava sino alla laguna e ci disse di fermarci prudentemente almeno a una decina di metri dall’acqua, infestata dagli alligatori, con il terreno che diventava fangoso e infido. Lo specchio d’acqua era nero, lucido, in alto il cielo era pieno di stelle. Nessuna luce intorno. Silenzio totale. Ci sediamo e non ricordo di cosa si parlasse, mentre contavamo distrattamente le stelle cadenti. Improvvisamente, dalla destra della volta celeste a noi

Page 69: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

69

visibile, una luce intensissima si muove verso il centro del cielo… una stella cadente, pensiamo. Non proprio. Brilla, ma è lenta e a un certo punto si ferma, restando immobile per qualche istante e poi inizia a scendere a una velocità impossibile da stimare, a perpendicolo verso terra. Scende e diviene più splendente. Scende, mentre vediamo altre stelle che percorrono il cielo e in un guizzo scompaiono, quella invece continua il suo lento percorso verso di noi. La cosa straordinaria è che non fa impressione, non genera alcun moto di timore in noi, solo la meraviglia di seguirla con gli occhi.

Ancora una manciata di secondi e la luce gradualmente rimpic-ciolisce sino a divenire una sfera luminosa di piccole dimensioni. Ora scende più velocemente, arriva a pelo d’acqua e ci si tuffa senza sollevare spruzzi, come inghiottita magicamente. L’acqua si illumina tutto intorno per una decina di metri, poi la sfera riemerge, sosta per un istante sulla superficie, schizza via in cielo e svanisce al nostro sguardo. Restiamo ammutoliti.

Secondo me, si era stabilita una forma di contatto con una forza aliena, perché il tempo era sospeso. Ed ebbe inizio uno show celeste che non dimenticherò mai. Altre luci apparivano alte nel cielo stella-to, si fermavano e poi scendevano verso la laguna di Coba seguendo la stessa dinamica: arrivano, si tuffano, restano sott’acqua, ne esco-no e schizzano di nuovo verso l’alto. Ne contai almeno dieci, forse quindici. Sinceramente, in quel momento, razionalmente, non capii cosa avessimo visto. Però il mio ricordo, nel tempo, non è mai cam-biato. Quello dei miei amici sì. E questo rientra nel meccanismo del contatto visivo con gli ufo, in ragione della percezione che ciascuno di noi ha in quei momenti, mutevole e diversa da persona a persona. Soprattutto, in ragione di ciò che altre intelligenze hanno in serbo per noi e decidono di elargirlo manifestandosi sotto le più svariate forme, stabilendo modalità di contatto a variabili infinite. Per noi, fu un evento che vivemmo in modo naturale, nulla di sovrannaturale, apparentemente… poi il tempo avrebbe elaborato diversamente le nostre rispettive percezioni.

Page 70: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

70

Dopo alcuni minuti, in silenzio, ci riavviammo verso la posada di Francisco. Non facemmo parola di ciò che avevamo visto. Raggiun-gemmo la nostra stanza e, come accennato, avevo detto di voler dormire sull’amaca. Era molto tardi, forse le due del mattino. Ora, sono quasi certo che fummo protagonisti di un episodio di missing time, perché il tempo trascorso fra il nostro arrivo alla laguna verso le 22 e il nostro ritorno nella stanza verso le 2 del mattino era di circa quattro ore, ma noi vivemmo coscientemente un’esperienza di non più di quaranta minuti, sul bordo del lago di Coba. C’era molta umidità ed eravamo intirizziti e stanchi dal viaggio di quel giorno. Qualcosa, dunque, avvenne, ma non ce ne rendemmo conto. Io salii sull’amaca e mi giravo e rigiravo come un pollo allo spiedo senza trovare una posizione comoda per addormentarmi. Insonne, sino alle quattro del mattino, quando chiesi a Maurizio di sostituirmi. Lo fece volentieri, avvezzo com’era al trekking in Nepal e Tibet e al rollio dei mercantili, per lui l’amaca era il massimo della comodità.

Il giorno dopo, di buonora, ci avviammo verso la città sepolta, co-steggiando di nuovo la laguna. Francisco ci aveva indicato il viottolo da percorrere, alla fine del quale avremmo trovato un cancello, con un lucchetto non chiuso e una catenella appoggiata. Ci inoltrammo così da soli, raccomandandoci vicendevolmente solo di restare uniti e di non perderci di vista. Niente scavi archeologici, incuria totale, il verde aveva inghiottito quasi tutto, delle cinquanta strade che la percorrevano restavano solo le vestigia. Scoprimmo una città fatta di strutture piramidali apparentemente scollegate e lontane fra loro anche centinaia di metri. Alcune piramidi erano talmente piccole da essere costituite solo da tre rocce, due alla base e una sopra. Altre invece erano costruzioni vere e proprie, alte un paio di metri. Am-massi di rovine che respiravano clorofilla. Antichi blocchi di pietre, stele istoriate, occhieggiavano qua e là. Giungemmo a una radura e davanti a noi si ergeva una piramide imponente, forse alta una qua-rantina di metri, a dominare l’antica città di Coba. I miei due amici, come scoiattoli si inerpicarono agevolmente, nonostante non ci fos-

Page 71: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

71

sero corrimano o catene, come a Tulum, o nella maestosa Chichén Itzá. Loro andavano su e io li guardavo, impietrito. Mi arrischiai a seguirli, ma feci solo pochi gradini. Avevo scoperto di soffrire di vertigini e, voltandomi, ebbi la sensazione di precipitare nel vuoto. Mi fermai a metà e da lì, attorno alla piramide, un mare verde. Ma-gico, sospeso nel tempo, intatto da secoli.

Lasciammo Coba e nel pomeriggio visitammo Chichén Itzá, poi in serata eravamo di nuovo a Cancún dove riconsegnammo il Maggio-lino. La mattina dopo, di nuovo a Playa del Carmen imbarcati per Cozumel. Nell’isola trascorremmo altri tre giorni e quindi prendem-mo di nuovo l’aereo per New York.

Fu a bordo dell’aereo che i sintomi della famigerata “vendetta di Montezuma” si fecero sentire in tutta la loro dirompente e sto-machevole potenza. Eravamo stati più che attenti a bere acqua in bottiglia e mangiare cibi cotti per evitare la temutissima infezione in-testinale. Ma Montezuma ebbe il sopravvento e ogni altra descrizio-ne qui risulterebbe fuori luogo. Maurizio e Fernando si fermarono da me a Emerson per la notte, poi ripartirono per Roma. Era stata una vacanza splendida e dovevo riprendere a lavorare al giornale, Il Progresso Italo-Americano.

Di quella notte delle “stelle cadenti” a Coba non feci più parola con nessuno. Esperienza rimossa, per una decina d’anni. Poi il ricor-do affiorò, in tutta la sua forza e in breve mi convinsi che quello al quale avevo assistito era stato un fantasmagorico fenomeno ufolo-gico nel cuore del Messico più antico e sacro.

Le strade della vita ci divisero. Sentivo Maurizio Villanacci ogni tanto, telefonicamente. Si era sposato ed era felice con la moglie e i suoi due bambini a Canale Monterano, una quarantina di chilometri di Roma. Lavorava ancora come agente di vendita per una grande azienda ita-liana, ma amava trascorrere tutto il tempo con i suoi adorati figli e i suoi cavalli. Andai a trovarlo, in moto, un paio di volte. Gli chiesi se

Page 72: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

72

ricordava quella notte a Coba. Mi rispose: «Ma sì, vedemmo qualcosa, perché cosa pensi che fosse?»

«Erano ufo, fratellino». «Non so» rispose Maurizio, «eravamo troppo stanchi e quel goc-

cio di Mezcal forse ci aveva fatto vedere delle cose strane». Replicai che non era così, che il Mezcal in così minima quantità

non poteva aver provocato alcun effetto allucinogeno e che neppure se ne avessimo bevuto un barile avremmo visto entrare e uscire le luci nel laghetto di Coba, in tre. Ero convinto di aver visto gli ufo. Maurizio mi lasciò, sorridendo un po’ sornione, come faceva sempre, conscio del fatto di avere un amico toccato nel cuore (e nella testa) da qualcosa di profondo e di alieno. Fernando, l’ingegnere, invece mi ha sempre detto di non ricordare nulla di quelle luci. Alle mie rimostran-ze, ha sempre risposto con aria interrogativa, benevola, ma scettica a oltranza. Opinione rispettabile, la sua, come quella di migliaia di altre persone. Eppure io sono certo che anche lui vide. E che il processo di contatto e di rimozione avviene secondo regole che ancora non conosciamo. Siamo qui per apprendere, con il cuore, con la mente e con l’anima ciò che siamo, senza che altri ci dicano come pensare e cosa credere, lungo la nostra strada. Per questo ritengo necessario un parallelo, mentre mi aggiro in una stanza d’albergo, in preda a ogni sorta di pensiero che mi aiuti a comprendere, perché sono ancora in-tenzionato a seguire un filo logico in questo libro e non posso scrivere di ciò che mi accade oggi, lasciandolo, forse, per il finale.

Alcuni mesi fa il mio più grande amico di gioventù, Maurizio, ci ha lasciati. Sono venuto a saperlo solo attraverso telefonate convulse con altri amici, a cose fatte, perché diventi l’ultima ruota del carro, tu che hai deciso di lasciare l’Italia, ho pensato sulle prime, ma ora non lo penso più. La famiglia ha mantenuto tutto nel massimo riserbo ed è stata certamente decisione di Maurizio di non divulgare notizie del suo male incurabile. Anche per questo gli vorrò bene per sempre.

Allora, veniamo a un possibile parallelo con il nostro avvista-mento a Coba. Un parallelo cinematografico, ovvero il film di Peter

Page 73: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

73

Weir Picnic a Hanging Rock uscito nel 1975. La pellicola narrava della misteriosa sparizione di alcune allieve dell’Appleyard College sulla formazione rocciosa di Hanging Rock, in Australia, nel giorno di San Valentino, il 14 febbraio 1900. Peter Weir, il regista de L’attimo fuggente e La grande onda – solo per citare due tra i suoi titoli che mi hanno maggiormente colpito – adattò la sceneggiatura dalla novel-la omonima scritta da Joan Lindsay, pubblicata nel 1967. A detta dell’autrice, «Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nel 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza». Personalmente, ne convengo. Ritengo che tentare di risolvere un mistero impenetrabile, basato con tutta probabilità su fatti realmen-te accaduti e successivamente ampiamente romanzati, a distanza di un secolo sia impossibile. Sono state condotte ricerche storiche e cronachistiche che collocano comunque la vicenda nell’Australia vittoriana, in un’atmosfera coloniale che si mischia alla leggenda e alle antiche tradizioni degli aborigeni australiani, un’etnia deprivata di tutto, ma certamente in grado di comunicare telepaticamente e di conoscere la storia mitica di remoti contatti con esseri divini venuti dalle stelle, i Wondjina. Ciò che va sottolineato è il “senso”, ovvero la percezione che si ha nell’assistere al visionario film di Weir. Delle quattro ragazze (Miranda, Irma, Marion ed Edith) che, durante un picnic con le compagne e tre istitutrici del collegio, si inerpicarono sulla roccia sospinte da un richiamo ancestrale, due fecero ritorno traumatizzate e sconvolte, le altre sparirono per sempre. Di Miran-da, fanciullesca bellezza botticelliana, non si seppe più nulla. Saliro-no verso la cima in tre. E qualcosa accadde. Forse, vennero prese a bordo di un oggetto volante. Forse furono inghiottite in un’altra dimensione. Forse il loro destino che nulla ha di fiabesco, possiede gli stilemi della metafora delle abduction aliene. Come il missing time, o tempo mancante che le ragazze vivono adagiandosi in trance su una piattaforma della roccia, come gli orologi che si fermano inspie-

Page 74: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

74

gabilmente bloccati da un campo magnetico, come le inspiegabili cicatrici sulla fronte e altre componenti di ordine psicologico che il film sfiora, ma non può approfondire. Il cardine resta l’inquietante Hanging Rock, con le sue gole e squarci e il suo proiettarsi verso l’infinto. Simile, in chiave metaforica, alla Devils Tower di Spielberg. Sopravviene anche il concetto numerico del “tre”. Tre i protagonisti della scalata verso la cima della Devils Tower, ma solo uno avrà la possibilità di scegliere e di andare con “loro”. Tre le ragazze che ar-rivano sulla cima di Hanging Rock. Tre, ancora, gli amici italiani che una notte di venticinque anni fa videro le luci inabissarsi e riemer-gere dallo specchio d’acqua di Coba. Qualcosa coincide, seppure molto resti avvolto nel mistero. Il fenomeno del contatto alieno è il tramite più potente che consente di avvicinarci al mistero della cre-azione, della vita e della morte e del tempo che mi dico non esiste, ma scorre inesorabile nel comporre queste pagine elettroniche che segnano una tappa fondamentale della mia vita. L’ora di tornare a casa, forse, si sta avvicinando.

Page 75: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

75

vii

Alchimia e strani ambasciatori

Non avevo altro da fare a New York, nel 1986, al profilarsi della chiu-sura del quotidiano Il Progresso Italo-Americano a seguito di insanabili divergenze con la proprietà, che tornare in Italia. I giornalisti ormai divenuti cittadini americani, o permanentemente residenti con la green card, che consente di lavorare negli usa, avrebbero scelto di restare, formando una cooperativa, impresa difficile, ma ce l’avrebbero fat-ta e sarebbe nato America Oggi, tuttora pubblicato ogni giorno. Per me, invece, si prospettò un rientro in Italia imprevisto, ma favorito da un’offerta della Virgin Records italiana, capo ufficio stampa dell’uffi-cio di Roma, con un contratto da freelance. Salutare Emerson, che mi aveva ospitato per tre anni, Manhattan, la cui aria avevo respirato per sette anni, gli amici e i colleghi, non fu facile, ma non avevo legami che mi trattenessero in America e tornare nel mondo della musica, operando con l’etichetta di Richard Branson essenzialmente basata su progressive rock era allettante. Le mie precedenti esperienze da di-scografico con la rca e la discreta cultura musicale mi sarebbero state d’aiuto. Per i due anni che seguirono il lavoro in Virgin fu un’altalena di momenti esaltanti e altri deludenti. Musicalmente, gli Ottanta erano stati contrassegnati dal riflusso patinato, dalle paillettes e le musichette insulse, che avevano risposto alla furia iconoclasta del punk troppo scomodo per essere gestito dalle major discografiche. Si puntava tutto sull’immagine, poco sui contenuti. I vecchi leoni del progressive bri-

Page 76: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

76

tannico però non avevano messo la testa a posto ed erano sorte eti-chette indipendenti, come la 4AD, fondata da un pazzo di nome Ivo. Era distribuita della Virgin che, ormai, puntava su artisti consolidati, quali Brian Ferry e i Genesis e su astri nascenti come David Sylvian e Sakamoto. Giostravamo fra genialità pure e ammiccamenti alla Boy George. Il budget soprattutto.

La 4AD aveva in catalogo i Dead Can Dance, i Cocteau Twins e i This Mortal Coil. Queste tre band sono state per me il massimo che la musica inglese degli ultimi anni abbia prodotto. Formazioni miste, spesso in collaborazione fra loro, una fucina di cervelli le cui punte di diamante espressive restano a mio avviso Lisa Gerrard e Brendan Perry dei Dead Can Dance. Musiche dionisiache, ossianiche, liriche, silenziose, etniche, ritmiche e alchemiche, le loro. Ne avevo acqui-stato i primi album a 33 giri a New York al meganegozio della Tower Records. Ascoltandoli, gli orizzonti del suono si allargavano e, a un tempo, divenivano introspettivi. Solve et coagula (“separa e unisci”) dice un principio fondamentale dell’alchimia, materia di studi alla quale ero stato iniziato a New York poco tempo prima di lasciarla. La sublimazione dell’essere alla ricerca della quintessenza. Il segreto della vita, l’accesso alla nostra origine primordiale. Lo spogliarsi del proprio io basato sul Sé (maschile e femminile) per riconquistare l’e-lemento primario, la dualità umana nell’Uno. Purtroppo non ho con me i miei preziosi libri di alchimia, da Raimondo Lullo a Fulcanelli a Grillot de Givry, dai quali potrei attingere ora, ma tant’è, so che la mia testimonianza è nel cuore e che la Grande Opera o si compie da soli o con la propria amata. Una scelta obbligata, che dura per tutta la vita e impone il silenzio, un muto sincretismo che costringe alla solitudine. L’iniziazione alchemica non ha un cerimoniale, è un dono, che può giungere all’improvviso, quando meno te lo aspetti. Così accadde per me. E il mio maestro mi disse di farne buon uso e scrisse queste parole su un foglietto di blocco notes giallino che ho conservato gelosamente e porto sempre con me: «Solo colui che sarà in grado di ricordare, dopo la vita, ciò che ha vissuto potrà

Page 77: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

77

capire veramente (e finalmente) da dove è venuto e dove è desti-nato» (fm). Mi disse di apprendere l’arte minuziosa dell’amanuense, copiare su un libricino i pensieri del suo maestro, Grillot de Givry, perché è essenziale il ripetere, sulla carta, ciò che è stato scritto in passato per poterlo fissare nel tempo. Come nelle arti marziali e nei mantra il ripetersi ossessivo di una tecnica o di un suono passa attraverso il tessuto del nostro corpo, permeando gli organi interni di nuova energia vitale, così i pensieri ne fuoriescono purificati e si diffondono nell’etere armonicamente, e possono essere captati da altre persone che hanno intuizione e visione. Questo a me appare come un modello di comunicazione più alta, dove l’unione con altri esseri avviene spontaneamente e seppure continueremo a chiederci come avvenga, giacché è un mistero, esiste e si moltiplica continua-mente, in un processo inarrestabile. La solitudine, però, è il prezzo da pagare, per questo dono.

Oggi, qui, in una periferia di Phoenix abitata prevalentemente da ispanici, non splende il sole. Una pioggia fine e fredda cade senza scrosciare, silente, si poggia sul metallo della mia auto parcheggiata qui di fronte, in un ampio spazio vuoto di altre macchine. Oggi il processo alchemico della scrittura è in me e mi aiuta. Ho avuto modo di riflettere molto, nelle due ultime due settimane, sul mio de-stino, che mi ha portato nuovamente tanto lontano dall’Italia. Non ho ancora una risposta, ma so che nello scrivere scendo nei meandri della mia anima, pesco le parole e i pensieri che girano in tondo come nei mulinelli mentali di Edgar Allan Poe e nelle spirali eteriche dei This Mortal Coil. Ecco, ora un loro testo ci vuole, ma lo com-pose Tom Rapp, altro genio disarticolato dell’America alternativa, leader di un gruppo folk psichedelico, i Pearls Before Swine che pubblicavano per una piccola etichetta indipendente, la esp. Sulla copertina del loro primo album One Nation Underground decisero di riprodurre lo scomparto centrale di un trittico del pittore visionario olandese Hieronymous Bosch, Il giardino delle delizie.

Page 78: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

78

Ecco il testo di The Jeweler, “Il gioielliere”.

The Jeweler has a shop on the corner of the boulevard.In the night, in small spectacles he polishes old coins.He uses spit and cloths and ashes.He makes them shine with ashes.He knows the use of ashes.He worships God with ashes.

The coins are often very old by the time they reach the jeweler.With his hand and ashes he will try the best he can.He knows that he can only shine them, cannot repair the scratches.He knows that even new coins have scars so he just smiles.He knows the use of ashes.He worships God with ashes.

In the darkest of the night both his hands will blister badly.They will often open painfully and the blood flows from his hands.He works to take from black coin faces, the thumb prints from so many ages.He wishes he could cure the scars.When he forgets he sometimes cries.He knows the use of ashes.He worships God with ashes.He knows, He knows.He worships God with ashes.4

4 Il gioielliere ha una bottega all’angolo del viale. / Alla sera, inforca gli occhialetti e puli-sce le vecchie monete. / Usa la saliva e un panno e la cenere. / Le rende brillanti con la cenere. / Lui sa come usare la cenere. / Lui venera Dio con la cenere. / Spesso le mo-nete sono molto vecchie quando arrivano nelle mani del gioielliere. / Con la sua mano e la cenere cerca di fare del suo meglio. / Lui sa che può solo renderle brillanti, ma non può ripararne le graffiature. / Lui sa che persino le monete nuove hanno cicatrici, quin-di sorride. / Lui sa come usare la cenere. / Lui venera Dio con la cenere. / Nella notte più oscura. / Le sue mani si riempiono di vesciche. / Spesso si aprono dolorosamente e il sangue esce dalle sue mani. / Si impegna per togliere dalle facce annerite delle mo-nete, le impronte di tante epoche. / Vorrebbe riuscire a lenire le cicatrici. / Quando lo dimentica a volte piange. / Lui sa come usare la cenere. / Lui venera Dio con la cenere. / Lui sa, Lui sa. / Lui venera Dio con la cenere.

Page 79: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

79

Ecco, il compimento dell’opera alchemica narrato metaforicamente, come è giusto che sia, in questo testo di Tom Rapp.

Sul finire degli anni Ottanta, a Roma, incontrai nuovamente il mio maestro. Anche lui aveva lasciato l’America ed era ancora giornali-sta. Mentre io discografico. Fu un bell’incontro, che di lì a breve mi portò a frequentare un ambiente massonico. Mi si disse che ero sta-to sotto osservazione per anni e che il mio interesse per gli ufo e per gli studi esoterici aveva fatto di me un candidato ideale per entrare in una loggia. Conoscere dei massoni e decidere di diventare massone sono due cose profondamente diverse. Non sono neppure conse-quenziali, ma ammetto di esserne stato lusingato e intrigato, perché alcuni principi della Massoneria possono essere facilmente condivi-sibili da chi non voglia fermarsi sempre e soltanto a guardare il pro-prio ventre allargarsi e diventare gonfio come il portafoglio di gente poco raccomandabile. Declinai però l’invito (il primo che mi è stato rivolto), in quanto non mi sarei mai assoggettato alla regola e non accettavo, né oggi accetto di far parte di ingranaggi di potere, siano essi istituzionali o connessi a strutture occulte. Al contrario, nella mia ricerca in campo ufologico, già nei primi Novanta, ebbi modo di constatare come la grande guerra sotterranea – spesso molto palese peraltro – tra il mondo dell’intelligence, costituito da tutte le possibili ramificazioni militari, civili, religiose e quant’altro a esse collegate, e l’Ufologia tesa a conoscere la verità, non potesse mai avere fine. Anzi, ne segna lo spartiacque. Chiarisce quali siano i fronti in gioco.

Per fare un parallelo, immaginiamo le trincee italiane sul Carso, a poche centinaia di metri da quelle austriache, durante la Grande Guerra. Vivere nel fango e nel gelo, fantaccini e graduati, la gavet-ta putrida e il sangue annerito dei propri compagni stroncati dalle pallottole del nemico, corpi aggrovigliati come marionette al filo spinato. Vite spezzate. Dall’una e dall’altra parte. In quella guerra, abbiamo scoperto con la storia, agli assalti alla baionetta facevano seguito ore di calma, in cui l’intelligence di entrambe le parti si indu-striava per stabilire, conti delle perdite previste alla mano, di quanti

Page 80: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

80

metri si sarebbe avanzati e dei vantaggi strategici che ne sarebbero derivati. Vennero usati anche i gas, vigliaccamente. E questo è anche il tipo di conflitto che ho visto accadere in Ufologia, quella nostrana soprattutto. Ci si professa per la verità e per essa apparentemente si lotta, si va avanti di qualche metro e poi si torna indietro e tut-to ritorna come prima. Qualcuno decide tra le quinte, o negli stati maggiori, che poi hanno i propri terminali nei servizi segreti. E si usano anche i gas, per avvelenare tutto l’ambiente, premunendosi con maschere antigas ultimo modello e di tute protettive anti-con-taminazione. Così alla luce del giorno si appare belli freschi e puliti e in televisione si va a braccetto con esponenti dell’Aeronautica Mi-litare Italiana che di ufo o non sanno nulla, o stanno lì apposta per tranquillizzare la massa e per emarginare dal contesto della comuni-cazione istituzionale menti troppo vivaci, non “allineate e coperte” e troppo propense al “cospirazionismo”. Il che è avvenuto per anni in Italia dopo l’11 settembre 2001, quando le ipotesi alternative alla versione ufficiale del governo usa non erano neppure pronunciabili pubblicamente. Non credo che ne riparlerò, perché fa male dentro e ogni ricercatore italiano che si rispetti queste cose le sa benissimo senza che gliele debba raccontare io.

Un episodio che va oltre il paradosso di tale situazione devo però riportarlo, perché ha segnato profondamente il mio percorso di ri-cercatore in campo ufologico. Dunque. Lasciai la Virgin Records per approdare a una grande azienda italiana specializzata in cultura multi-mediale, la Video Electronics Club, collegata alla Fonit Cetra. Nuova-mente, capo ufficio stampa, ma anche manager per le acquisizioni di documentari dall’estero. Nel 1990 partecipai al mip tv di Cannes, il più importante mercato internazionale del settore televisivo, una rassegna che raccoglie il meglio delle produzioni documentaristiche e fiction per la televisione. Il Palais des Festivals, sede del Festival Cinemato-grafico di Cannes, è un bunker dove ogni sei mesi si danno appunta-mento le major, i distributori, i produttori e i registi di mezzo mondo.

Page 81: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

81

Accedervi è un privilegio riservato a pochi, dati gli alti costi di iscri-zione e i proibitivi alberghi che si affacciano sulla Croisette di Cannes, nel cuore della Costa Azzurra inondata del primo sole primaverile. Gli espositori sono centinaia e orientarsi non è agevole, ma me la cavai di-scretamente, puntando la mia attenzione su quanto la mia azienda cer-cava sul mercato per poi diffonderlo in Italia sotto forma di prodotti home video e multimediali. Mancava un giorno alla chiusura della mani-festazione, vissuta a ritmi caotici, con appuntamenti e trattative che si sovrappongono costantemente, quando il mio sguardo venne attratto da un flyer, una brochure pieghevole infilata in un supporto di plastica trasparente, come sulle nostre edicole dei giornali. Sul bordo in alto della brochure notai la sigla ufo, l’afferrai di scatto e rimasi di stucco. Si trattava di una serie documentaristica intitolata ufo Miracle of the Unknown che la casa distributrice, la Fox Lorber di Los Angeles pre-sentava come documentazione sensazionale delle prove dell’esistenza del fenomeno ufo e, soprattutto, a tutta pagina campeggiava una foto a colori del viso di profilo di un essere alieno, chiuso in una tuta argen-tea. La didascalia recitava: «La prima immagine di un extraterrestre re-cuperato dall’incidente di Roswell». Mi prese un colpo. Avevo già visto immagini di alieni, quasi tutte probabilmente contraffatte, o in ogni caso non sorrette da alcuna prova attendibile o verificabile. Quella serie, invece, sembrava un’opera documentaristica di alto livello e pro-metteva informazioni e testimonianze sul fenomeno ufo che, in un format di duecentosettanta minuti totali, avrebbe costituito una base eccellente per una serie educational senza precedenti in Italia. Chiesi e ottenni immediatamente un appuntamento con Rena Ronson, mana-ger delle vendite internazionali della Fox Lorber, fissato per il gior-no dopo, l’ultimo di quel mip tv. Ci incontrammo e nel salottino del suo stand mi mostrò il trailer della serie. Decisi, senza pensarci su due volte, di piazzare un’opzione per l’acquisizione dei diritti sia televisivi sia home video per l’Italia. Il rischio di un rigetto dell’idea, dato il costo molto elevato della doppia licenza, valeva comunque il gioco. Ne avrei discusso al mio rientro a Roma. Destino volle però che di lì a breve

Page 82: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

82

lasciai la mia azienda per entrare in società con amici di Roma, dispo-sti a finanziare l’operazione. Si era profilata la possibilità di cedere i diritti tv della serie al programma giornalistico Mixer di Rai Due, con-dotto dall’anchorman, eccellente giornalista e capostruttura Giovanni Minoli, che avevo incontrato alcuni anni prima alla Rai Corporation di New York. Il trailer lo aveva convinto e mai prima d’allora la televisio-ne italiana aveva dedicato agli ufo uno spazio così importante come quello di Mixer. Per concludere le trattative con la Fox Lorber dovetti però attendere circa sei mesi, per il mip com, il mercato autunnale di Cannes. Nel frattempo, con la Columbia TriStar Home Video siglavo un contratto per la distribuzione nei punti vendita di videocassette, centinaia di negozi che costituivano un impressionante bacino di mer-cato in Italia. Le due operazioni dovevano peraltro coincidere come tempistica, privilegiando la programmazione televisiva. Giunto al mip com, la Fox Lorber mi pose una condizione. Avrei dovuto incontrare il produttore della serie, il tedesco Gerd Burde, che avrebbe deciso se accettare o meno la nostra offerta. La Ronson mi disse che Burde era un soggetto da prendere con le molle e, quando mi ritrovai davanti un giovanotto sulla trentina, alto e atletico, chioma bionda raccolta a coda lungo la schiena, blazer blu e jeans, pensai si trattasse di un im-presario di musica rock. Tutt’altro. Burde era serissimo e ci sedemmo a un tavolo di un bar al secondo piano del bunker, lontano dal viavai del mercato. Quanto mi disse è indelebile nella mia memoria. Non gli interessava il lato economico della faccenda. Voleva invece infor-marmi che non operava da solo, ma per conto di un’organizzazione supersegreta che definì gli “Illuminati” e che era appena tornato dal Tibet dove una delegazione aliena aveva avuto incontri per determina-re ed effettuare la divulgazione graduale delle informazioni in materia ufologica e della presenza et sulla Terra. In cuor mio, non avendo mai sentito parlare di “Illuminati” e di ambasciatori alieni, non capii con chi avessi a che fare in quel momento. Burde mi spiegò che la strategia prevedeva inizialmente la divulgazione del suo documentario – co-prodotto con l’antropologo e ufologo tedesco Michael Hesemann e

Page 83: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

83

diretto dalla regista Yin Gazda – attraverso i media dell’immagine, per una fase iniziale di circa cinque anni. La seconda fase invece mi avreb-be visto partecipe della divulgazione mediante riviste per alcuni anni ancora. La terza e ultima mi disse che non l’avrei vissuta in Italia, ma negli Stati Uniti. Ci lasciammo con una stretta di mano e un abbraccio. Due ore dopo la Fox Lorber mi confermò che l’accordo era pronto. Non ho più rivisto Gerd Burde. Venni a sapere un paio di anni dopo che aveva organizzato un incontro ufologico in Egitto, che non si sa-rebbe mai realizzato e Hesemann, un collega che ho sempre stimato per autorevolezza e competenza, mi rivelò che i passati trascorsi e le convinzioni di Burde erano di stampo filonazista e che erano diventati nemici acerrimi. Quel giovanotto, dunque, potrebbe aver inventato tutto, raccontandomi un mare di frottole. Eppure la mia vita ebbe una svolta improvvisa, divenni un ufologo/giornalista di professione e sia Mixer sia la serie ufo della Columbia TriStar Home Video ebbero un successo senza precedenti, fra il 1991 e il 1995. Con la Columbia rea-lizzai dieci video documentari e a quel punto cominciai a pensare se-riamente che fosse giunto il momento di testare il mercato editoriale, producendo e pubblicando riviste in un settore specializzato ancora vergine. Questa è però un’altra storia, meno romantica e misteriosa, della quale tratterò in altra sede. Delle tre fasi vaticinate da Gerd Bur-de due si sono compiute esattamente nei tempi previsti. La terza e ultima si sta compiendo in questo momento di mia permanenza negli Stati Uniti, fra mille ostacoli e difficoltà. E sia chiaro, i servizi segreti non c’entrano. O almeno così ritengo.

Page 84: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

84

viii

Il disco volante di Antonello Venditti

L’intervista che segue, risalente al marzo 2000, fu pubblicata sul men-sile Stargate il mese successivo. Per la prima volta, il cantautore roma-no, con il quale avevo condiviso un lungo periodo di collaborazione nei primi anni Settanta, mi raccontava nel dettaglio la sua esperienza di avvistamento ufo, avvenuto a Roma con tutta probabilità nel 1954.

La mia amicizia con Antonello Venditti è ripresa da poco tempo. Ci unì la musica, quando Antonello era al terzo album, Le cosa della vita, e io lo accompagnavo come tour manager per conto della rca. Lui guidava da pilota provetto e un po’ spericolato una Citroën gs sportiva, io fungevo da navigatore e percorremmo migliaia di chilo-metri verso serate emozionanti, intense, sempre diverse. Erano gli anni di piombo e Antonello lanciava messaggi che alla ultra sinistra non piacevano e a volte gli autonomi si facevano vivi durante il concerto per contestarlo. Ma finivano sempre per prevalere il buon-senso e, in fondo, la sua poesia da menestrello romano nell’anima. Ne nacque una conoscenza profonda, una stima reciproca che non si è mai interrotta. Già allora parlavamo di musica “alle frontiere del cosmo” e, una volta, durante un viaggio sulla gs, Antonello mi parlò di un suo avvistamento ufo a Roma. Era molto piccolo, ma lo ricordava perfettamente. Così, molti anni dopo, per inaugurare Stargate con una degna copertina, l’ho contattato e mi ha rilasciato l’intervista che segue. Una testimonianza importante.

Page 85: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

85

maurizio baiata: Il prezzo della benzina sale, vivere costa sempre di più, forse è in atto un processo di strangolamento della coscienza, oltre che del nostro vivere quotidiano. antonello venditti: Il mondo è pressato dal mondo, cioè la Ter-ra sta vivendo una specie di gravità eccezionale che pesa sui nostri cervelli e sulle nostre membra e sui nostri cuori, veramente insop-portabile, per cui stiamo occupando tutte le zone del sapere, dello spirito, del nostro corpo e le stiamo sfruttando tanto male, non nella direzione giusta.

Questo viene imposto da qualcuno, evidentemente. Sì, perché stiamo procedendo alla globalizzazione, al potere mon-diale che escluderà completamente quelli che non si adeguano alle nuove tecnologie, alla nuova politica globale.

A Seattle c’è stata una critica di piazza molto aperta contro il sistema economi-co globale e in Italia abbiamo a che fare con un sistema di governo che sembra abbastanza acquiescente a tutto ciò… No, seguiamo l’ombra di Blair e di Clinton. Siamo una mutandina di Clinton.

E della nato. Abbiamo fatto da trampolino di lancio per la guerra in Kosovo. Non ci fosse stata l’Italia la guerra non si sarebbe fatta. No.

Quindi, l’Italia sembra ben poco impegnata in una crescita evolutiva. E gli italiani? Una strada personale, una politica autonoma è troppo complicata. Noi siamo un Paese fragile che industrialmente conta pochissimo, dove le industrie vendono tutto quello che possono, non ultima la Fiat. Il mercato non sappiamo cosa sia perché creiamo fittiziamente due soggetti, al massimo tre, e diciamo che è il mercato, mentre inve-ce c’è un trust su tutto, perché le stesse tre società che si dovrebbero fare concorrenza entrano ognuna nell’altra, quindi è troppo semplice,

Page 86: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

86

non ci vogliamo complicare la vita. Nel nostro dopoguerra siamo nati come colonizzati e intendiamo seguire questa strada per – apparen-temente – ottenere dei risultati e stare bene. Molte volte non è così, perché alla fine il più forte ti tratterà come una colonia. C’è il tre-no vincente, quello del dollaro e quello del perdente, di “cancellate il debito”, di coloro che purtroppo non possono nemmeno aspirare a tendere verso lo sviluppo.

I poveri, i diseredati, i senza casa, a New York li ho incontrati e qualcuno di loro ha una laurea, potrebbe lavorare, condurre una vita normale, ma lo fa per scelta, come antitesi al sistema… Qui è diverso. Non capita mai che un ingegnere, se non è impazzito, se ne stia sotto i ponti e viva in mezzo alla strada. Qui si va in strada per necessità. È pieno di extracomunitari, muoiono nelle baracche bruciate. Diciamo che l’Italia sta come l’America negli anni Sessanta, per cui non c’è una filosofia di vita dietro, una necessità. Il permesso di lavoro, la cittadinanza… In America, in tanti Stati questo è stato superato e anche comunità come quella portoricana, quella italiana, cinese, si sono integrate, la vita è diversa. L’America schiude altri scenari e l’America, forte del suo dominio industriale, riuscirà a dare quella specie di giustizia sociale che adesso non ha, perché se non hai la carta di credito o la tessera sanitaria muori per strada. Qui l’interesse sociale per l’individuo è maggiore.

Ricordi quando negli anni Sessanta avevamo un piede da una parte e uno dall’altra? Allora c’era l’orso comunista che faceva paura al mondo occidenta-le… l’Unione Sovietica, non si poteva fare tutto quello che si voleva.

La nostra generazione viveva una dicotomia: da una parte gli Stati Uniti del Flower Power, la musica, Jimi Hendrix e quanto ne conseguiva; dall’altra il Vietnam e il napalm, uno stato di cose contro cui lottavamo. Oggi il lottare per ogni ideale politico sembra perduto, ci resta il… niente.

Page 87: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

87

Gli ideali sono rimasti in alcuni di noi, ma non c’è più la vocazione alla politica, alla piazza, al dibattito. C’è una vocazione all’interesse personale, all’egoismo, non essendoci più una società che fa da pa-racadute ai fallimenti che uno può avere, rimani da solo depresso e quindi presumibilmente vai verso il suicidio. Da solo, in mezzo alla vita piuttosto che con la speranza che tutti quelli che stanno come te possano avere un riscatto. Prendi i suicidi di massa delle sette, ieri seicento morti, questo vuol dire che si sta recuperando un tipo di spiritualità negativa, che non vorrei mai, che si accoppia a religioni storiche, che cercano di dialogare tra loro, fenomeni di cancri per-sonali che portano al rifiuto della vita e poi invece è l’affermazione di un altro tipo di vita. L’impotenza di una persona che nasce oggi in Africa, o in un Paese sottosviluppato, è come quella di chi nasce in una nazione sviluppatissima e ancor più priva di speranza, come l’America, il Paese più progredito del mondo, con le possibilità più grandi del mondo… e si sta male. Che fare? L’unica cosa è la morte.

Se questo pianeta fosse un essere biologico che fa parte di un sistema planetario molto piccolo relativamente già noto, noi dovremmo fare i conti con due estremi, il primo che siamo inseriti in un Universo, il secondo che i dominanti su questa Terra sono i servizi segreti. Dopo la guerra fredda fra le superpotenze, oggi c’è una trama fittissima di rapporti che cercano di creare un’economia basata sulla guerra e sugli armamenti e il mercato della droga. È chiaro che l’individuo ne esce annientato. Si chiama capitalismo. Il capitalismo porta a questo. La ricerca spa-smodica del profitto fa le vittime. L’economia è protagonista del pianeta. Gli esseri umani sono misere pedine di un gioco che porta al massacro.

Non sono d’accordo su un punto. L’essere umano è un microcosmo uguale all’es-sere biologico che è la Terra, che è uguale a tutto l’Universo. Se ci fosse più gente che pensa al bene, in positivo, muoverebbe qualche pedina, anche in termini di rapporto con gli altri, la famiglia e i figli. Partecipando a un gioco di trasforma-zione ed evoluzione potremmo superare il problema economico.

Page 88: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

88

Sì, anche l’amore è cultura. Se tu non hai il senso dell’amore, se non ti insegnano i sentimenti… la cosa strana è che l’uomo cambia, che qualcuno sta cambiando per farci cambiare i valori, per metterci al-tri valori in termini negativi. Dai servizi segreti a internet. Ormai è tutto telematico, cambia anche la nostra funzione fisiologica. Oggi, dopo l’esplosione del jogging anni Settanta, che ti portava a correre, a sviluppare il tuo fisico guardando la natura, è cambiato il rapporto con lo sport, del nostro fisico. Oggi ci si chiude nelle palestre a svi-luppare una nostra coscienza fisica in solitario.

Tu lo fai? No. Sono nato nel 1949. Un ragazzino che nasce oggi ha una bella poltrona cosmica che lo metterà davanti a un video e dalla sua po-stazione farà tutto. Loro vorranno farci votare senza le cabine elet-torali, informaticamente attraverso internet. La cosa più grave è che stiamo eliminando il paese fisico, la realtà. Ci svegliamo solo quando capiamo che la natura è ancora più forte di noi, ci meravigliamo quando ci sono i terremoti che portano via la terra, o i cataclismi naturali perché ci sentiamo superiori. L’uomo non si considera più un animale, si considera il padrone di questo mondo che poi invece esploderà. Gli equilibri si devono ripristinare.

Senti, qualora arrivino “gli altri”, cosa pensi che possa accadere?Non lo so. Gli altri, esistenti o non esistenti, hanno contato sempre di più nei periodi di grande crisi dell’umanità. Per esempio, i dischi volanti classici si vedevano nei momenti di guerra, quasi sempre. Era la nostra coscienza che aspetta gli angeli. Noi ci aspettiamo o i diavoli o gli angeli. È un discorso buono con noi stessi. È un problema di fede, di credere in qualcosa, come credere in Dio o nel diavolo, come aspetto negativo. Il problema è che oggi se ne vedono sempre meno.

Non è vero, se ne vedono a iosa dovunque. È il bisogno di altro. Tutto il discorso sugli extraterrestri è stato basato su una morale qualche volta un po’ retriva, quella del bene, che dob-

Page 89: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

89

biamo mantenere il pianeta in ordine, che i buoni devono fare i buoni. Su una cosa universalistica e cosmogonica che molte volte è un po’ superficiale. La verità è che come per gli angeli, come per Dio, bisogna vedere se gli alieni possono intervenire nel nostro pianeta.

Non credo. Perché ammesso ci sia una federazione galattica della quale noi facciamo parte… Allora noi saremmo una colonia in questo modo…

Loro sono all’esterno, non intervengono assolutamente, svolgono i loro ruoli, tra di loro si combattono in accordo o meno con le superpotenze, o le potenze occulte che possono esistere sulla Terra. Ecco, appunto. Questo presupporrebbe comunque che ci sia un go-verno fantasma.

Che ne pensi, esiste o no questo governo fantasma? Non lo so.

Pensiamoci un attimo. La storia ci dice che ogni potere forte che resiste… come per esem-pio Fatima, la chiesa cattolica e i suoi misteri, ogni religione ha i suoi misteri, le sue profezie e quindi si presuppone che il capo della chiesa, il Papa, sappia molte più cose di me e di te rispetto all’occulto e al mistero della fede. Così io penso che il presidente degli Stati Uniti, o della Russia, sappia molto più di quel che appare su questa faccenda; e per un certo periodo di tempo, almeno trent’anni, si è pensato tutti che il mondo occidentale possedesse tecnologia, avesse contatti preci-si abbastanza diretti, anche fisici con gli extraterrestri. Però da tempo mi sembra che si parli più di tecnologia che di dialogo tra gli esseri.

Può darsi che ci sia un cambiamento di paradigma nei rapporti: da una parte un dialogo tecnologico, che dura da molti anni e dall’altra un dialogo legato alla co-scienza e alla spiritualità. Non è detto che questi esseri esterni abbiano il nostro stesso livello di coscienza e spiritualità, ma oggi, più che in passato, anziché con i

Page 90: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

90

governi e i governi occulti, potrebbero voler interagire con gli individui, mediante gli avvistamenti, stabilendo con chi vede un ufo un contatto, così l’esperienza di coscienza è iniziata e rimane dentro per tutta la vita. Questo è vero. Io ho avuto un contatto visivo, più volte, e più volte anche a livello parapsicologico, che poi mi pare sostanzialmente più interessante. Ma non mi ha cambiato così tanto. Forse ha affermato quello che pensavo, ma non mi ha reso più sereno, non ha rafforzato la mia idea della vita. Le ha segnate da ulteriore mistero. Mentre l’es-sere umano ha bisogno di certezze, il fatto di aver avvistato o sentito qualcosa a me non ha apportato questa… pace.

Potrebbe averti dato la forza di portare avanti determinate cose per la gente. Può darsi, lo si ha dentro. Non vedo il rapporto diretto. Qualora ci fosse è del tutto inconscio. Oltretutto sono rari i casi in cui l’avvistamento di un ufo diventa un rapporto che continua nel tempo. Poi alla fine anche il ricordo si consuma lasciandoti qualcosa che, se non riesci a far pro-durre in modo forte, poi ti rimane così, un processo molto lento.

Però tu ricordi perfettamente le prima volta. Vuoi parlarne? Certo. Ero un ragazzino, avevo forse dodici anni. Doveva essere il ’58 o il ’59. Fu un grande avvistamento. Mia madre lo ricorda meglio di me. Eravamo insieme a Villa Paganini. Una domenica mattina verso le undici e mezzo in questo parco arrivò un disco volante a forma di… cactus, l’hanno visto in tanti, e quando dico un cactus era proprio un cactus, verde, con sotto una cupola gialla con tre sof-fietti per tenerlo collegato alla terra, tre protuberanze che dovevano essere dispositivi per atterrare, gialle. E questo oggetto era enorme, stava sopra di noi, enorme. Stava a venti, trenta metri sopra di noi. Era su di noi in modo lampante. E cadde del silicio, una specie di manna che poi mia madre mi disse essere silicio. L’oggetto ondeg-giava facendo vedere la cupoletta e si muoveva, mostrando anche gli oblò per tanto tempo, almeno trenta secondi, fino a che sparì in un attimo. Svanito senza alcun rumore. Tutta la gente nel parco ha visto questo oggetto, che poi mi dicono essere andato verso Firenze e si

Page 91: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

91

è fermato sullo stadio di Firenze facendo lo stesso giochetto che ha fatto a Roma. In seguito ho visto una palla di fuoco, anche se quelli possono essere fenomeni meteorologici. Ero a Olevano Romano e nella valle apparve questa palla di fuoco che tutta Roma vide, ma non aveva lo stesso valore di un disco volante sopra di te. Ma la cosa che mi sta più dentro è un’esperienza parapsicologica vissuta insieme a un mio amico, Rino Gaetano. Eravamo in macchi-na, di notte, lui allora faceva teatro e io andavo spesso a vederlo e lo portavo a casa. Tornavamo da Fiuggi, nel bosco che la costeggia, tutti e due avemmo la sensazione che dentro a questo bosco ci fosse una presenza enorme, non propriamente felice, non buona. Assi-stemmo entrambi al fenomeno della… vecchietta, una cosa letta e riletta, ma che però abbiamo vissuto. Come spiegare? A un certo punto vedemmo una vecchietta sul bordo della strada e insieme pro-vammo la stessa sensazione. Dopo una quarantina di chilometri ver-so Roma ritrovammo la stessa vecchietta davanti a noi, impossibile.

Che fattezze aveva? Una donna piccolina, simile a quello che uno pensa sia la Befana. Mi sembrava così strana l’idea che in questo bosco ci fosse qualcosa di non buono, di enorme, non ti dico il diavolo, ma quasi. Poteva anche essere un disco enorme. Dopodiché, la visione di questa vecchietta incappucciata, e non era inverno. Dopo ritrovi la stessa entità dopo quaranta chilometri, ed era anche notte, andavi veloce, non ti hanno superato in diciotto, non puoi neppure dire che aveva fatto l’autostop.

Quando hai visto per la prima volta Incontri ravvicinati del iii tipo, cosa hai pensato? Che poteva essere completamente plausibile e che la cinematografia americana andava verso qualcosa che poi sarebbe diventato usuale, gli uomini bionici, Alien, la clonazione, cui il cinema ci ha abituato, rendendo normale qualcosa di assolutamente stravolgente. Quindi pensavo che dopo Incontri ravvicinati ed et, dovesse accadere qualco-sa velocemente, invece non è successo nulla, questa cosa si è persa.

Page 92: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

92

Si è persa perché in questo pianeta e nell’uomo che lo abita probabilmente la trasformazione sta avvenendo ora. Adesso, credo, è come se questo mondo sia stato abbandonato da Dio, ho questa impressione. Malgrado il Papa provi a riportarlo alla storia dell’anima in qualche modo, ho l’impressione che questo mondo sia perso spiritualmente.

Però nel disco non dici queste cose. No.

Ci metti dentro molte speranze. Assolutamente. Proprio perché la speranza è qualcosa che mi ap-partiene fortemente. Però io vedo quanto sono diverso dagli altri. Quindi questo mondo non è fatto a mia immagine e somiglianza. Io non l’avrei fatto così.

Come lo avresti fatto? Avrei fatto un mondo un po’ più lento, meno invadente. Oggi tutti pensano al proprio discorso, sono delle trasmittenti che ti buttano le loro cose.

Sei mai stato in Egitto, hai visto le piramidi? Lì c’è ancora molto da scoprire, di noi stessi e dell’Universo. No, non ci sono ancora stato, ma ho letto tanto sulle piramidi, sulla nascita dell’Universo. La tradizione azteca. Il fatto che si dovrebbe fissare la data di costruzione delle piramidi molto prima di quanto dicono, che ognuna punta verso una costellazione e tutto il resto. Di-ciamo che è sicuro. La nostra capacità di ragionare in termini scienti-fici sull’uomo azzeccandoci sempre: vuol dire che l’uomo è qualcosa di costruito che somiglia… Nell’album Quando verrà Natale ho anche scritto una canzone che ne parla, Figli del domani. Noi siamo sicura-mente cloni di qualcosa che c’è stato, forse un esperimento, quindi tutto il discorso del paradiso e dell’inferno e della vita, sono tutte metafore. Noi soffriamo e pensi che la Terra sia una colonia penale,

Page 93: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

93

come in Blade Runner. Più si va avanti più è così. Il fatto che con il dna riusciremo a creare altri di noi, i pezzi…

Basta che tutti questi poteri non siano solo nelle mani di alcuni che li ammini-strano negativamente, i militari… Questo diventa meno interessante rispetto al chi siamo, dove andia-mo e perché; somiglia molto alla teoria, alla robotica.

Per andare fuori da questo sistema solare dobbiamo cambiare noi stessi dentro, anche meccanicamente, perché non funziona. Ogni volta che si è cercato di arri-vare su Marte, la gran parte delle missioni è finita misteriosamente. Tu ragioni in termini biologici, io in termini diversi: probabilmente alla fine del proprio viaggio su noi stessi troveremo il computer che ci ha generato, il sistema. Quando risaliremo verso Dio sarà come risalire verso un cervello elettronico diverso che esiste da qualche parte, oppure è morto, come parlare di storia.

Sei credente? Sì, però Dio ormai assume questi enormi contorni scientifici. Cioè, Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza, ma può darsi sia il frutto di un microchip… per cui cosa c’è dietro a Dio? Noi siamo la miniatura di qualcosa avvenuto a livello cosmico. Stiamo andando scientificamente verso Dio. Forse avremo qualche delusione, perché mentre troveremo la vita biologica, ancora non troveremo i sentimen-ti, a meno che un giorno o l’altro scopriremo un gene, una compo-sizione chimica che ci dirà perché uno è buono o cattivo. Una volta che nel nostro cervello appare il dolore, nell’emisfero del dolore, già lì puoi manomettere l’uomo. Il dolore è uno dei sintomi più forti di un malessere, una malattia, un disagio, se tu elimini il dolore all’ottanta per cento elimini la tua sofferenza, ma è il dolore morale che ti porta a discernere il bene e il male, cioè l’anima. E l’anima fortunatamente, ancora non l’abbiamo trovata. Però la troveremo e allora saremo soli.

Page 94: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

94

Cosa pensi per il futuro dei nostri bambini… Io ho un figlio, Francesco Saverio, e due nipoti, Alice e Tommaso, che è in arrivo. Il mio percorso l’ho già fatto, l’aspetto della salvaguar-dia della specie l’ho espletato, quindi qualora avessi un figlio sarei in un discorso temporale un po’ contradditorio. Una nuova vita? La vita porta sempre alla morte, per cui è già un atto di crudeltà mettere al mondo un figlio, esporlo all’umanità, sapere che soffrirà o gioirà come te… il punto non è fargli passare una vita migliore o peggiore, quanto l’atto, che può essere di estremo egoismo o di estremo amore, di renderlo umano, di crearlo su questa Terra. Certo, possiamo dire che sarebbe più fortunato perché possiede dei mezzi che altri non hanno… però se questo mio figlio si ammala dentro, o ha qualcosa che non va, la sua vita è indipendente dalla mia. Insomma: muoiono i ricchi e muoiono i poveri. Il problema è la morte dell’uomo. Tutto quello che ci muove nella vita è l’idea di superare la morte. Questo ci porta anche al bene e al male. Perché se tu non avessi l’idea della fine o di un giudizio superiore, la Terra sarebbe una terra di banditi, non ci sarebbero leggi. Tu dici: devo passare sulla Terra una media di settantaquattro anni, quindi mi prendo tutto quello che voglio, che m’importa di comportarmi bene? Tanto morirò!

È probabile che tutto questo sia un passaggio verso qualcosa di superiore. Certo, e meno male che noi lo pensiamo, che ci sono diversi livelli di vita, perché se non fosse così noi ci scanneremmo del tutto. Ognuno per sé, per la famiglia, gli amici, cercherà di viverla.

Hai seguito la vicenda della canzone Arcobaleno di Mogol? Sono cose che esistono, ma in questo caso non lo so. Le forze… i rapporti tra l’uomo e l’aldilà… Anche noi ogni sera compiamo tutto questo con il sogno, che è libero, è una zona franca in cui noi non trasmettiamo ma siamo riceventi, in cui la mente tace. Tutte le grandi cose avvengono in sogno. Aspetti che qualcuno, non fisico, venga da te e ti parli. Non a caso poi c’è l’interpretazione dei sogni. Quello che

Page 95: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

95

è vero nei sogni poi a livello psicologico è tutta un’altra cosa. In sogno andiamo per mare e poi invece la vita è un’altra, ecco. Chiaro che può accadere. Se ti capita una cosa strana, hai l’opportunità di dirla? Con una televisione basata sulle scempiaggini, al telegiornale va l’attore che fa amicizia con la cameriera e ci fanno un servizio, figurati se qualcuno vede un disco volante… ma non stiamo dimenticando qualcosa?

Antonello, gli argomenti da dibattere sarebbero ancora molti… Stiamo dimenticando la musica. La musica è una delle cose che unisce gli esseri. Non a caso nel film Incontri ravvicinati il primo incontro è attraverso la musica. La musica è razionalità e quindi scienza, ma an-che intuito, intuizione, naturalezza, istinto. Se uno guarda la musica, la sente, vede come cambia l’uomo. È quanto di più libero possa esserci.

Tu davanti a cinquantamila persone trasmetti musica, loro ricevono delle vibra-zioni e te le ritrasmettono, ma in quel momento cosa accade? Accade qualcosa che vorremmo tanto, che si chiama armonia. Quin-di la creazione di una specie di galassia, di bolla di sapone che per un momento è perfetta, dove tutti i partecipanti sono nello stesso mo-mento in sintonia, un grande amplificatore. Ogni singolo trasmetti-tore di musica segue il suo viaggio. Ed è importante stabilire quale genere di viaggio segue l’umanità attraverso la musica che ascolta, che è quella che aggrega. Oggi c’è una frammentazione, ma la mu-sica è l’unica arte che si chiede sempre del pianeta, anche di come stanno gli altri, anche politicamente. Ha una possibilità di testimo-nianza fisica che nessun’altra arte può avere. Analizzando la musica occidentale si può capire anche dove va il mondo. La musica è un messaggio che viene dal cielo, o che viene dalla Terra e si propaga verso il cielo e ritorna. L’idea che la musica possa essere una delle armi del bene o del male per me è molto bella e affascinante.

Lo è anche per me. Grazie, Antonello.

Page 96: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

96

ix

Mio padre

Ho parlato molto di New York e ho detto qualcosa dell’America di mio padre ma, anche se non rispetto la cronologia che avrei voluto impormi, spero di non essere troppo insistente su alcuni argomenti che mi stanno più a cuore.

Io sono nato per un atto d’amore fra una ragazza romana di vent’anni, Marcella, di nobile casato catanese, e un uomo di cin-quantaquattro anni, Giuseppe, nato a Marsala, in Sicilia ed emigrato negli Stati Uniti nei primi del 1900.

Si conobbero a Roma, in circostanze che sarebbe troppo lungo raccontare e Joe se ne innamorò all’istante. Si sposarono nel 1950 e posso solo immaginare lo scalpore che suscitò un matrimonio fra persone di età così lontane, egualmente immagino che la loro unio-ne fosse talmente forte e bella da non consentire altra scelta. Un anno dopo nacqui io, nel 1953 venne alla luce mio fratello Clau-dio. Eravamo una famiglia piuttosto agiata, per l’epoca. Mio padre era un facoltoso uomo d’affari, sempre preso dal lavoro e da viaggi continui fra l’Italia e gli usa, dove vivevano i suoi primi tre figli, nati da un precedente matrimonio, conclusosi dopo due divorzi dalla prima moglie. Una vicenda, la sua, che si inserisce perfettamente nel

Page 97: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

97

periodo del boom economico che caratterizzò un’Italia in grande crescita, a due lustri dalla guerra che l’aveva ridotta alla fame e pe-raltro indirizzata verso una ripresa che l’avrebbe posta in maggiore equilibrio rispetto alle altre nazioni europee. Con i primi frigoriferi e gli apparecchi televisivi in bianco e nero.

Nei momenti che poteva dedicare alla famiglia, mio padre, cor-pulento, calvo e dolcissimo con noi bambini, amava farci sedere a cavalcioni sulle sue gambe e insieme si guardava la sera un po’ di te-levisione, sino a Carosello. Dovevamo indovinare il Carosello successi-vo e, come sanno tutti quelli della mia età, poi si andava a nanna. Un corridoio, ampio, ma non molto lungo, separava la nostra stanza da letto dal salone, dove i nostri genitori ascoltavano la musica, spesso. Joe era appassionato di musica lirica. Aveva molti dischi a 78 e 33 giri che suonava su un impianto stereo di gran classe per l’epoca, un Grundig mi sembra, incastonato in un bel mobile in legno chiaro che, chissà perché, mi attraeva tantissimo. A dire il vero a me la lirica, a sette, otto anni non piaceva e neppure le canzoni melodiche. Mi piaceva invece Renato Carosone, con le sue filastrocche partenopee a ritmi sbilenchi e le acute punteggiature di pianoforte e la batteria di Gegé Di Giacomo. Poi si ascoltavano i grandi cantanti americani degli anni Cinquanta, Nat King Cole, Harry Belafonte, Perry Como, Frank Sinatra. Ma la Callas… be’, la Callas era sempre presente e fonte di grandi e accesi discorsi sia in famiglia sia quando riceve-vamo amici. La Callas e i suoi amori sconvolgenti, la Callas e la sua rivalità con la Tebaldi, la Callas e le sue cure dimagranti, insomma la Callas, la divina. Fra le amiche di mia madre c’era poi una cantante lirica che non ha mai sfondato, ma aveva una voce stupenda e a vol-te, con il favore del bicchierino dopo cena, mio padre le chiedeva di interpretare un’aria della Callas, di solito dalla Madama Butterfly. Per quanto bambino buono potessi essere, e non lo ero, comunque io preferivo il Carosone di Io, mammeta e tu.

Sento di dover parlare della morte di mio padre. Erano i primi di novembre del 1960. Premessa, mr. Joe era un accanito fumatore di

Page 98: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

98

sigari Havana, non so se li aspirasse, ma fumava eccome. Così come io sono un fumatore di pipa e so che mi fa molto male. Detto questo, la sua salute non era buona e spesso tossiva molto rumorosamente, ma noi eravamo bambini e cosa capivamo? Mio padre aveva deciso di portarci in visita a Napoli, agli scavi di Pompei e sul Vesuvio. In macchina, guidata dall’autista, facemmo una Roma-Napoli (l’autostra-da non esisteva ancora) che sinceramente non ricordo. Visitammo Pompei e l’unica sezione che ci fu proibita fu quella del lupanare, con gli affreschi erotici sulle mura degli ambienti restati in piedi dopo l’e-ruzione del Vesuvio. Visitammo anche le stanze dove erano raccolti i colpi calcificati delle vittime, molte delle quali supine in pose dor-mienti, come se non avessero avuto neppure il tempo di svegliarsi. Mi colpì moltissimo, ma si sa, la morte esercita un fascino misterioso sui bambini. Dopo Pompei, quindi, la salita in auto verso il cratere del Vesuvio, che con Claudio volevamo assolutamente vedere e quanto più vicino possibile. La Giulietta avanzava agile sulla strada un po’ dissestata di allora. Noi ridevamo felici nel vedere per la prima volta una meraviglia della natura così incredibile, tetra e maestosa. La tem-peratura si faceva più fredda man mano che avanzavamo e a un certo punto l’autista chiese a mio padre per quanto ancora avremmo dovu-to continuare, forse era stato avvertito delle sue condizioni precarie. Ma Joe Bates, sommerso dalle nostre implorazioni – «Più su, più su, ancora ancora…» – gli disse di andare avanti. C’era anche una nebbio-lina fredda. Ma anche la mia memoria si appanna. Perché arrivammo davvero molto in alto, troppo in alto per la salute di mio padre e si-curamente ci fermammo su una piazzola. Papà disse all’autista: «Vai su con loro, accompagnali, fate attenzione, io resto qui in macchina», e noi tutti contenti non ci eravamo accorti che respirava a fatica, la pressione atmosferica gli stava aggredendo i polmoni. Andammo su, arrivammo in cima e ci affacciammo al bordo, fin dove era consentito, assistendo allo straordinario spettacolo della bocca socchiusa del vul-cano che emetteva fumi danteschi. Restammo solo un paio di minuti, poi l’autista ci ricondusse giù, alla piazzola dove avevamo fermato la

Page 99: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

99

macchina e, di nuovo, la memoria si annebbia. Non ricordo di aver visto mio padre accasciato sul sedile. So solo che stava molto male. Morì pochi giorni dopo, di broncopolmonite, un male all’epoca quasi incurabile, nonostante al suo capezzale ci fossero luminari come Val-doni e Dogliotti. Non riesco a scrivere altro di quegli ultimi giorni, che comunque vivemmo a casa, consci di quanto stesse male. Lo salutam-mo, un pomeriggio, e ci portarono a casa di parenti. Così se ne andò Joe Bates, lasciando una giovane mamma sola con due bambini che presto finirono in collegio. E tutto cambiò per noi.

La storia ha un seguito, stranissimo e sconvolgente. Per alcuni anni, nelle mie orecchie, nella mia testa, da piccolo, sentivo ogni tanto risuonare la voce di mio padre che chiamava mia madre “Margie”, Marcella in slang americano. Era il ritorno della sua voce. Credo che a molti sia accaduto, perdendo una persona tanto cara.

Dopo qualche tempo, però quella voce dal timbro così particolare non la sentii più.

Durante gli anni Settanta, divenuto giornalista musicale, mi ritrovai ai microfoni radiofonici della Rai, per condurre diverse serie di pro-grammi. Esordii, credo nel 1976, come speaker e autore di uno spazio settimanale di quaranta minuti dedicato alla musica elettronica intito-lato Atmosfere 2000. Parlavo poco, ma passavo suoni mai sentiti prima in radio in Italia, Tangerine Dream, Schulze e tutto ciò che secondo me andava oltre la soglia del “normale”, accennando piuttosto spesso alla vita extraterrestre. Poi passai a un contenitore notturno guidato da diversi dj, tutti bravissimi, da Max Catalano a Fiorella Gentile e molti altri critici che vi si sono alternati al microfono. Divenni amico di Michele Maiorano, uno speaker di Bari, alto ed elegante, che fumava sempre le Gauloises. Michele fece carriera, passando ai programmi televisivi della Rai, come programmista regista. Era bravo, sincero e dotato di un’ironia lieve ma caustica, a volte.

Ci sentivamo di tanto in tanto, verso la metà degli anni Novan-ta quando lavorava per Chi l’ha visto?, il programma di Rai Tre, e

Page 100: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

100

prendevamo un caffè dalle parti di viale Mazzini. Ricordo che una volta gli chiesi cosa pensasse dei rapimenti alieni e del perché la sua redazione non avesse mai contemplato certe ipotesi alternative ed estreme, ma giustificate dal mistero assoluto che aleggiava su casi di sparizione inspiegabili altrimenti. Mi rispose facendo spallucce, lasciandomi capire che non era assolutamente il caso di proporre qualcosa del genere. Non lo avrebbero capito, né minimamente pre-so in considerazione e mi consta che a tutt’oggi Chi l’ha visto? non abbia mai esplorato tali versanti di indagine. Peccato, perché in fon-do la parapsicologia è venuta più volte in soccorso degli inquirenti, se non altro individuando indizi importanti per risolvere casi di spa-rizioni assurde. Michele però era di mente aperta. E così, date le sue conoscenze in Rai Tre, fu logico mi rivolgessi a lui per riferirgli di un episodio che mi era capitato appena un paio di notti prima.

Era circa la mezzanotte. Ero nella mia stanza, in un bell’apparta-mento di largo Benedetto Marcello, a Roma, dove avevamo stabilito la redazione della rivista Notiziario ufo che allora dirigevo con Ro-berto Pinotti del cun (Centro Ufologico Nazionale). Come al solito, si era fatto tardi e guardavo la tv sul divano letto. Selezionavo i canali con il telecomando e, a un certo punto, la mia attenzione fu attratta da suggestive immagini in onda su Rai Tre, accompagnate da una musica salmodiante, una voce di donna che intonava una sorta di coro angelico. Le immagini mostravano il viale principa-le del cimitero monumentale del Verano, a Roma. Si soffermavano sulle statue, sui mausolei marmorei, sul verde e sui fiori. La cosa mi incuriosì subito e smisi di fare zapping. C’ero stato tante volte in quel posto, in visita alla tomba di famiglia. La musica mi avvolge-va e la voce ora si era fatta parole, chiarissime: «Io ti amo… Io ti amo… Io ti amo», mentre l’inquadratura riprendeva un altro viale, che cominciavo a riconoscere, nonostante l’enorme estensione del Verano e le sue innumerevoli opere d’arte siano tali da non poter essere visitato nello spazio di un giorno anche per mero fine turi-stico. Riconoscevo quel viale. La voce femminile continuava inces-

Page 101: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

101

santemente a ripetere le stesse parole: «Io ti amo… Io ti amo», e ora l’inquadratura, probabilmente ottenuta usando una steadycam, si fissa per un attimo sugli scalini che portano a un altro vialetto. Lo rico-nosco subito e mi balza il cuore in gola. Quella stradina, fiancheg-giata da un mausoleo funerario dopo l’altro, porta alla mia tomba di famiglia. E non posso credere a quello che accade. L’immagine va, decisa, senza tentennamenti, verso la nostra tomba. Inquadra prima dall’alto, poi scende lentamente verso la piccola e semplice croce di marmo sistemata sulla grande lapide. La croce, dove le braccia si intersecano ha una foto, quella di mio padre, e immediatamente sotto il suo nome c’è una scritta, fra virgolette: «Darling». Così mia madre chiamava sempre mio padre, in inglese vuol dire semplice-mente “caro”, ma in modo amorevole. L’immagine ormai è stretta sulla foto di mio padre, resta così per tre o quattro secondi che mi appaiono interminabili. Sono sconvolto, la voce chiude il suo ultimo «Ti amo» e l’occhio della telecamera si rimpicciolisce velocemente e diventa un punto nero. Le immagini terminarono lì. Avevo vissuto un’esperienza straordinaria, assolutamente inspiegabile. Impossibi-le dare una spiegazione razionale. Impossibile capire o solamente ipotizzare come una troupe di Rai Tre o di una struttura esterna appaltata forse appositamente per quelle riprese, le avesse realizzate in quel modo… e per me. Solo per me. Lacrime mi solcavano il viso, ero piegato in due, non capivo. E non ci credevo. Com’era possibile che fra le migliaia di tombe del Verano, fra centinaia di personaggi illustri, fosse stata scelta proprio quella. E com’era possibile che le immagini dell’ultima sequenza fossero puntate sulla foto del viso di mio padre? Chi era stato il regista? Chi aveva montato quel servizio? Come si intitolava il programma? Erano gli interrogativi razionali che mi ponevo, travolto dall’emozione della notte. Non ho mai avu-to risposte. Passarono le ore e, dopo essermi arrovellato per trovare una logica a quel fatto incredibile, chiamai Michele Maiorano e glielo riferii punto per punto. Certo, era una cosa molto strana anche per lui e avrebbe interpellato dei colleghi di Rai Tre per saperne di più.

Page 102: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

102

Mi telefonò alcuni giorni dopo. Aveva individuato il titolo del pro-gramma e gli orari della messa in onda coincidevano. Ma non sapeva chi avesse realizzato il servizio, sicché mi fornì un numero telefonico e mi disse: «Vedrai che ne vieni a capo, di questa cosa». Purtroppo, in quel periodo ero troppo preso dal lavoro. La mia redazione stava compiendo uno sforzo immane per realizzare la prima enciclope-dia ufologica multimediale pubblicata a fascicoli nelle edicole dalla Rizzoli-Fratelli Fabbri Editori e, contemporaneamente, una rivista mensile sugli ufo. Non composi mai quel numero telefonico e, con il tempo, mi convinsi che non era necessario appurare di più. Non avevo sognato ed era stato tutto reale e surreale a un tempo. Il sottile margine che ci separa da chi non è più con noi, apparentemente, in verità non esiste. Solo che non siamo noi a decidere il momento, il luogo e le modalità di queste esperienze di contatto con la quarta dimensione, non siamo di certo i soli a farlo. Ci vuole un amore grande per riuscirci. L’amore di un padre che aveva avuto troppo poco tempo da vivere con i suoi figli e, accostando la guancia alle loro guancie di bambini ora diventati grandi, potesse sussurrargli per sempre: «Ti amo… Ti amo».

Page 103: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

103

x

Un’autopsia che ha fatto storia

Nel 1995 esplose in tutto il mondo il caso del Santilli Footage, ovvero il filmato di un’autopsia eseguita su un presunto essere alieno, di-vulgato da un documentarista inglese, Ray Santilli. Io ho vissuto la vicenda sia dietro le quinte, sia esponendomi in pubblico, cercando sempre di arrivare alla verità. Non ci sono riuscito, come peraltro è avvenuto per centinaia di ricercatori internazionali che di questo rompicapo non sono giunti a una soluzione. La vicenda ha coinvol-to, destabilizzato e diviso la comunità ufologica internazionale.

Con la questione della “autopsia aliena”, il nostro Paese ha vissu-to e a tratti ha largamente anticipato gli avvenimenti, per una volta senza restare indietro rispetto agli usa, come abitualmente capita. In Italia all’epoca si registrarono risultati mediatici straordinari, polemi-che furenti, la feroce contrapposizione fra i due fronti, “scientista” e “ufologico”, lasciando un gran numero di persone nel dubbio e nell’indecisione di come fossero andate realmente le cose.

Oggi, la storia sembra giunta a una svolta importante, che sin-tetizzerò al termine di questo capitolo necessariamente più esteso degli altri, ma che da solo avrebbe potuto occupare un intero libro.

Molti ricordano ancora con rabbia le tre puntate dello speciale te-levisivo Misteri (Mixer, Rai Due, 1995), incentrate sulla visione di due filmati (segmenti di quello autoptico e dei rottami) e sul conseguente dibattito fra esperti di diversa opinione. Lo spettacolo non mancò e

Page 104: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

104

vennero giocate tutte le carte dell’informazione e della disinformazio-ne. La conduttrice Lorenza Foschini concluse, molto enfaticamente, che il problema era stato risolto e che gli ufo Misteri se li era lasciati alle spalle. Il classico colpo di spugna, anche su Roswell. In quel mo-mento, chiunque si sarà chiesto perché e su quali basi la giornalista Rai si fosse espressa così categoricamente. A mio avviso, fu una mossa politica influenzata dal peso falsamente istituzionale del cicap per il quale in buona sostanza tutto il fenomeno ufo è frutto di allucinazioni e, semmai, di velivoli non convenzionali di fattura terrestre.

Comunque, tutto fa brodo e con la storia dell’autopsia e dell’inci-dente di Roswell i ratings per Rai Due arrivarono alle stelle.

Possiamo immaginare la portata del fuoco incrociato su Santilli e la sua società Merlin Group, in seguito al clamoroso annuncio del 27 marzo 1995 per bocca di Santilli, il quale nei primi mesi di quell’anno aveva concluso le trattative con il fantomatico cineoperatore “Jack Barnett”, aveva acquisito le pellicole originali, le aveva sottoposte alle lavorazioni tecniche più opportune e aveva iniziato la pianifica-zione della loro commercializzazione mediante la cessione dei diritti televisivi e home video in tutto il mondo. Poteva contare sul suo staff, sul suo partner Gary Shoefield (già con la Polygram Video) esperto del mercato internazionale e un consigliere legale, l’americano Chris Cary. Aveva inoltre istituito due reti di collegamenti: la prima, con responsabili e dirigenti dei programmi di network televisivi statu-nitensi e britannici, grazie a John Purdie della Union Pictures; la seconda con alcuni ufologi europei, perché degli americani, mi disse subito Santilli, non si fidava. In Europa aveva scelto il britannico Philip Mantle, il tedesco Michael Hesemann e me.

«Sai qualcosa di Roswell?» Sono queste le prime parole che mi rivol-se Ray Santilli, alle 13 del 9 aprile 1995, in quel di Cannes, in Francia. Ci eravamo dati appuntamento all’hotel Martinez ed eravamo seduti a un tavolino nel giardino dello splendido albergo sulla Croisette. Avevo fatto precedere questo incontro da una precisa serie di ri-

Page 105: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

105

chieste, soprattutto quella di vedere delle immagini. Santilli, al di là di un disarmante sorriso, non aveva immagini, né in video né foto-grafiche, né uno stand al mip, né una stanza al Martinez, a Cannes era solo di passaggio. Ray non aveva alcun background tecnico sugli ufo e sulla storia ufologica, ma mi disse che i filmati si ricollegavano all’incidente di Roswell.

«Quello che si vede è un essere che non ha nulla di umano, per come conosciamo noi l’uomo. Le pellicole che riusciremo a recupe-rare mostrano la dissezione di creature che il cameraman ha definito “freaks”, mostri, o scherzi della natura».

«Mi confermi che il nome dell’operatore Jack Barnett è fittizio?»«Certo, e puoi usare questo nome come vuoi, puoi fare le ricerche

che vuoi. Potete fare tutto quello che volete, voi ufologi, ma non lo troverete finché non sarà lui a decidere di farsi avanti».

«Perché tutto questo mistero?»«Perché così ha deciso il cameraman. E io rispetto il patto di non

divulgarne il nome, soprattutto perché altrimenti l’intero affare va a monte e al punto in cui siamo per me sarebbe un disastro».

«Possiamo tornare agli et?» insisto. «Il cameraman non mi ha mai detto che si trattava di extraterrestri». «Va bene, e allora cosa sono?» Ray non riesce a celare il suo disappunto: «E io cosa ne so! Do-

vete dirlo voi. Dipende dai ricercatori, dagli anatomopatologi e dagli esperti cinematografici. Il Footage è simile alla Sindone. Stampatelo bene in testa e dillo anche in giro. Per anni gli ufologi dibatteranno se è vero o falso, ma non raggiungeranno mai una conclusione».

Le riprese in bianco e nero, a detta di Santilli, erano di buona qualità. C’erano i filmati di due autopsie, più un filmato girato sul luogo dell’incidente che mostrava l’astronave precipitata, i militari americani e il presidente Harry Truman. Il materiale consisteva di diciassette bobine 16 millimetri da tre minuti ciascuna, per un totale di oltre cinquanta minuti di riprese. Il trasferimento dei filmati da pellicola a video avrebbe comportato diverso tempo e costi elevati.

Page 106: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

106

Sulla sua fonte, il cineoperatore, Santilli riponeva la massima fidu-cia e, pur non potendomene rivelare l’identità, le immagini da sole avrebbero rappresentato la prova che il materiale era autentico e di provenienza militare statunitense. Alla fine, fissai con lui un appun-tamento, a Londra, ottenendo la promessa di visionare in quell’oc-casione tutto il materiale in suo possesso. Tornai a Roma con la sensazione di aver fatto centro.

Martedì 25 aprile 1995. Mancavo da Londra da una quindicina d’anni. L’avevo frequentata assiduamente nei Settanta per la mia at-tività di giornalista musicale e amavo quella città, ricca di fascini, suoni e umori che mi riportavano a momenti “epici”, mega-concerti all’aperto, notti fumose al Ronny Scott e nei locali underground dove si suonava il progressive rock. Dall’aeroporto di Heathrow, presi un cab che mi scaricò di fronte agli uffici della Merlin Group, la società di produzioni e distribuzioni video di cui Santilli era titolare. Bal-combe Street si trova nella zona di Gloucester Place, che costeggia Regents Park, una dozzina di minuti di buon passo da Oxford Street. Una via tranquilla in un verde quartiere elegante e, di fronte, un pub. Suono al citofono del numero 40 e mi accoglie una ragazza, Maria, che mi invita a seguirla nell’ufficio di Ray e mi dice di attenderlo lì. Mi aggiro in quel piccolo ambiente, al secondo piano, vinto dalla curiosità. È vero, Santilli si occupa di musica, le pareti sono piene di fotografie di artisti, per il resto ci sono una scrivania, un monitor tv e una libreria stipata di videocassette di concerti e clip musicali.

L’appuntamento era stato fissato per le 14. «Stai a vedere che que-sto non viene» dico fra me e me. Invece Ray Santilli appare, allegro, dinoccolato e occhialuto, e frustra immediatamente le mie speranze. Non mi dà neanche il tempo di salutarlo.

«Ah bravo, ce l’hai fatta… ma purtroppo sono insorti problemi nel riversamento dalle pellicole originali e il video non è pronto».

Lo fisso, incredulo. «Non posso farci nulla, è un problema tecnico. Ti consiglio di

prendere il primo aereo per Roma, poi ci risentiamo».

Page 107: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

107

Alle mie rimostranze, mi indica qualcosa… Dietro la sua scriva-nia, sul pavimento, erano affastellati molti contenitori di metallo, rotondi e grigi. «Quella è una parte delle pellicole che ancora non abbiamo trasferito in video». Prende una scatola, grigio chiaro (al-luminio?) e molto vecchia, una ventina di centimetri di diametro. La apre, svitando il coperchio che reca un’etichetta con dei dati che non riesco a distinguere. Santilli estrae il rollo di pellicola, che mi sembra una 16 millimetri. «È rovinata, incollata, deformata, probabilmente non serve a nulla. Molte bobine sono nelle stesse condizioni, stiamo facendo del nostro meglio, ma è un procedi-mento lento. Vedi, qui, sul lembo iniziale ci sono i codici di identi-ficazione della Kodak».

Il gesto di Santilli fu molto rapido, ma notai due piccoli simboli geometrici impressi sulla pellicola, che non ricordo percorsa da per-forazioni laterali: erano un quadrato e un triangolo.

Chiesi a Santilli se c’era lo spezzone con il presidente Truman. «Fa parte del lotto di bobine, ma è danneggiato, non credo sarà possibile recuperarlo».

Un bravo giornalista dovrebbe essere sempre munito di registra-tore audio e macchina fotografica. Non lo ero. Avrei potuto foto-grafare le pellicole, le etichette sulle bobine, i codici Kodak. Invece, niente prove da riportare a Roma. Comunque, dovevo vedere qual-cosa e sarei rimasto a Londra un altro giorno. «Va bene, ci vedia-mo qui domani alle 12, pranziamo insieme. Forse dal laboratorio mi consegneranno un video in mattinata, ma non posso assicurartelo», fu la sua replica.

È il 26 aprile, ore 12. Appuntamento in un ristorante cinese di prim’ordine, poco distante dall’ufficio della Merlin Group. Gran buffet di antipasti e aperitivi. Gli inglesi bevono come spugne. Con Santilli, seduto a un grande tavolo rotondo c’è un signore sulla cin-quantina, un po’ sovrappeso. Ray fa le presentazioni: «Questo è Reg, Reg Presley, ti ricordi di lui, era il lead singer dei Troggs, grande band

Page 108: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

108

degli anni Sessanta». Eccome no, ma che ci fa lì questo suo amico? Non dovrebbe essere un incontro a due? Non sapevo che Reg era stato il primo ad aver dato notizia dell’esistenza del filmato dell’au-topsia, durante un programma televisivo trasmesso qualche settima-na prima in Gran Bretagna. Reg non aveva ancora visto le immagini, era ansioso come me e particolarmente interessato ai crop circles, i misteriosi pittogrammi che appaiono nei campi di tutto il mondo, specialmente in Inghilterra, e che riteneva di matrice extraterrestre. Cerco di portare il discorso sull’incidente di Roswell, ma di sottecchi Presley mi fa capire che non è il caso. Il pranzo termina. Usciamo dal ristorante, giornata di sole, caldo. Ci avviamo verso l’ufficio di Santilli, che caracolla davanti a noi e Reg mi sussurra: «Credo che il vero nome dell’operatore sia Jack Bartlett».

Alle 14:30 siamo nell’ufficio di Balcombe Street. Proiezione a porte chiuse, telefonate azzerate. Ray colloca due sedie una accanto all’altra a un metro dal monitor, ci anticipa che vedremo la prima au-topsia, il cui montaggio neppure lui ha ancora visto e resta in piedi, accanto a noi. La visione durerà una decina di minuti.

Partono le immagini in bianco e nero, nitide, ma molto contrastate.Appare in primo piano, all’interno di una sala medica, disteso su

un tavolo apparentemente metallico, un essere le cui gambe divarica-te evidenziano una sorta di “vagina”. Il corpo sembra intatto, senza lesioni esterne, privo di peluria, il ventre è rigonfio, la testa spropor-zionatamente grande, gli occhi totalmente scuri. La struttura sembra proporzionata, non esile ed armoniosa. Le dita delle mani e dei piedi sono sei. È diverso dai classici Grigi a quattro dita. Non sono visibili ombelico e capezzoli. Impossibile suggerirne una possibile età, in qualche modo giovanile, ma i lineamenti del viso sembrano contratti in una smorfia mortale. Il personale medico indossa tute protettive che ne coprono anche il viso. Dietro un’ampia vetrata, un individuo con il volto coperto da una mascherina chirurgica sembra essere un “osservatore” che prende nota delle fasi della dissezione. Durante l’ispezione esterna del corpo, i due medici (il chirurgo a tratti prende

Page 109: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

109

appunti su un blocco) si soffermano sulla zona genitale, sul torace e sul viso dell’essere. Ed è subito sugli occhi che un chirurgo si mette al lavoro, prima praticandovi un’incisione quasi impercettibile, poi asportando delicatamente, ma con una certa facilità, con delle lunghe pinzette, una membrana nera che li ricopre. È uno shock, un momento drammatico. I globi oculari sono riversi all’insù. Non ho dubbi. Per me è un evento reale. Non oso distogliere lo sguardo dallo schermo. Il chirurgo pratica un’incisione verticale a i, con un bisturi, dalla giugulare all’inguine. Il torace è stato aperto, ma an-cora non esposto. Il chirurgo si concentra sulla fessura inguinale, i cui bordi appaiono elastici. Dopo averla divaricata con le mani, vi inserisce un sottile strumento, con cui estrae una sostanza bianca filamentosa. A questo punto ci accorgiamo di evidenti tagli di mon-taggio nel video. Chiediamo spiegazioni. Santilli risponde che quello è tutto il materiale visibile della prima autopsia.

Il chirurgo estrae organi non identificabili dalla cassa toracica aperta e da un alveolo nella zona “polmonare” asporta un “cristallo” di un paio di centimetri e a forma di freccia che l’operatore inquadra da vicino, velocemente. È un qualcosa che si riscontrerà anche nella seconda autopsia, forse una “valvola cardiaca”. Gli organi recisi ven-gono posti in vaschette e contenitori di varia foggia. La fuoriuscita di un liquido denso simile a sangue è evidente ovunque. Anche nella resezione cranica, sulle cui immagini si ferma, improvvisamente, la visione. Presley e io siamo ammutoliti. Fu Santilli a chiedermi, quasi a bruciapelo: «Cosa ne pensi?»

Replicai di getto: «Di che colore è il sangue? Ma è un essere umano?» E Santilli, piuttosto risentito: «Vuoi scherzare? Come fai a dire

che è un essere umano? Non hai notato le differenze?» Chiedemmo di vedere una seconda volta il filmato. «Perché? Non

c’è tempo!» replicò Ray, ma ci concesse di vederlo di nuovo. Il vero problema, sottolineò Santilli, è che questa autopsia è scioccante, im-magini troppo crude per un’audience televisiva.

«E il resto dove è, quando lo vedremo?»

Page 110: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

110

«Appena possibile, mostreremo tutto in una proiezione riservata. Sei invitato di nuovo qui a Londra» e con ciò mi congedò.

In serata volai verso casa, a Roma. Confesso – e non me ne vergo-gno affatto – di aver avuto una crisi di pianto nel descrivere alla mia seconda moglie, Wendy d’Olive, ciò che avevo visto. Un’emozione fortissima. Fu il mio “momento della verità”, che mi fece decidere che alla ricerca sul Santilli Footage avrei dedicato il massimo delle mie forze. Dovevo solo ricordare quelle fattezze. Wendy fu bravissima. La sua ricostruzione grafica dell’essere è l’unica immagine esistente al mondo della prima autopsia. Questo filmato Santilli non lo ha mai divulgato ed è stato visionato solo da Philip Mantle e sua moglie Susan, Reg Presley e Colin Andrews, il super esperto di crop circles.

Tornato in Italia, riferii tutto di persona a Giovanni Minoli: il fil-mato esisteva e avremmo avuto la possibilità di vederlo a Londra, alla proiezione del 5 maggio riservata agli addetti ai lavori.

La spedizione sarebbe stata finanziata dalla Rai nel quadro degli accordi per l’acquisto dei diritti televisivi sul materiale. Per la Co-lumbia TriStar, interessata alle immagini per l’home video, era presente la manager del marketing internazionale, Nicky Taylor (la Colum-bia non avrebbe neppure opzionato il materiale, in seguito). Così in volo verso Londra, il contingente italiano era formato da Mino-li e Stefano Rizzelli per la Rai, Nicky Taylor, Roberto Pinotti del cun e me. L’appuntamento era fissato per le l2-12:20 al Museum of London, nei pressi di Buckingham Palace. Al museo ci attende-vamo il ricercatore britannico Philip Mantle e Michael Hesemann, dalla Germania. Una delle ragazze dello staff di Santilli ci scorta al tavolo degli accrediti ed entriamo in sala. Il sistema di sicurezza è ferreo, non sono ammesse macchine fotografiche o da ripresa, o borse. Prendiamo posto, dividendoci: Nicky Taylor, Pinotti e io sulla terza o quarta fila. Minoli e Rizzelli davanti a noi. Sulla sinistra, più in alto, riconosciamo il contattato e stigmatizzato Giorgio Bongio-vanni. La sua presenza mi sorprende. Ci salutiamo fugacemente. La

Page 111: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

111

sala accoglie circa centoventi persone, molti rappresentanti televisivi internazionali ed esperti ufo soprattutto britannici ed europei. Il kit di presentazione dell’evento si compone di un primo foglio di carta gialla e di sette di carta bianca, di una breve introduzione all’inciden-te di Roswell, cui segue un fascicolo marcato «Majestic 12», con il rapporto preliminare su Roswell preparato per Eisenhower, il me-morandum del presidente Harry Truman per il segretario alla Difesa James Forrestal e il memorandum di Robert Cutler, assistente spe-ciale di Eisenhower per il generale Nathan Twining.

La prima pagina del kit, intitolata Roswell, recitava così:

In seguito al primo impiego di armamenti atomici a opera dell’uomo, gli avvistamenti ufo nei pressi delle installazioni militari statunitensi divennero un’occorrenza comune. Questi (avvistamenti) culminarono nell’estate 1947 con il crash di un oggetto nel deserto del New Mexico, a poche miglia dal 509º stormo bombardieri militari di stanza a Roswell, la casa della bomba atomica.Acclusi troverete dei documenti recuperati dagli archivi nazionali degli Stati Uniti. Si presume si tratti di un rapporto informativo preparato dal presidente Truman per il presidente eletto Dwight D-Eisenhower. Gli eventi reali riguardanti Roswell potrebbero non venire mai resi noti, tuttavia con il passare del tempo nuove prove continuano a venire alla luce.Per ulteriori informazioni concernenti il notevole materiale filmato che state per vedere, per favore contattateci presso:international exploitation management

40 Balcombe StreetLondon nw1 6nd

Poca attenzione fu posta ai contenuti di questo laconico comunica-to, che in poche righe mostrava uno scenario implicante la politica e i militari, ovvero chi decise di coprire tutto. Inoltre, la scelta di inclu-dere nel kit documenti mj-12 altamente controversi lascia presagire la regia occulta di un think tank decisionale del Santilli Footage. Forse, quindi, di una struttura che si servì di Santilli e di immagini forti e

Page 112: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

112

scioccanti, vere o false che fossero, per portare clamorosamente alla luce l’incidente di Roswell. In questo modo, finalmente, l’opinione pubblica internazionale, i media, gli scienziati, i filosofi, persino certi apparati militari avrebbero dovuto rispondere agli interrogativi irri-solti di quanto di reale e sconvolgente era accaduto nel deserto del New Mexico nel 1947. E si calcola che circa due miliardi di persone videro le immagini dell’autopsia in quel periodo, nel mondo.

La voce di Santilli, da dietro le quinte, annuncia sbrigativamente: «Ciò che state per vedere non è stato mai mostrato in pubblico e, da quanto ne sappiamo, riguarda l’incidente di Roswell. I nostri addetti vi hanno fornito un kit di documenti che si riferiscono alle immagini che mostreremo. Ma certamente molti di voi li conosceranno già. Sappiate che si tratta di un’autopsia, pertanto la proiezione non è consigliata alle persone troppo sensibili. Buona visione».

Buio in sala. Il silenzio è rotto solo da qualche sommesso bru-sio. Dopo pochi secondi segnalo ai colleghi italiani che non si tratta della stessa autopsia vista da me una decina di giorni prima. Que-sto essere presenta vistose ferite, l’altro era perfettamente integro. Il filmato mostra una seconda autopsia, più lunga della precedente di circa otto minuti, su un corpo fortemente danneggiato, con ver-samenti ecchimotici e una vasta lacerazione alla gamba destra. Il torace viene aperto con un taglio a y, dopo di che il chirurgo estrae degli organi. Le membrane oculari sono asportate e la resezione cra-nica è effettuata con un seghetto per estrarre il cervello. Un paio di persone abbandonano la sala. Minoli mi dice: «Questo non lo possiamo trasmettere, è raccapricciante» (Misteri infatti taglierà una buona parte del filmato). Fine delle immagini, luci. La delusione è grande. Restiamo tutti attoniti, nella vana speranza di vedere altro. Soprattutto io, che avevo visto un’autopsia su un essere diverso, tec-nicamente dissimile e più lunga di otto minuti. Qualcuno si ostina a restare sprofondato in poltrona, ancorato ai braccioli. Ma è finita. Mi precipito nella hall in cerca di Santilli, mentre intorno si scatena il

Page 113: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

113

putiferio. La sensazione generale è che si sia trattato di una colossale presa in giro. Il drappello degli Italiani è sconcertato.

Riesco ad arpionare Santilli. Fissiamo un appuntamento per un’o-ra dopo nel suo ufficio. Le persone giunte con me da Roma non sono ammesse. Usciti dal museo, incontriamo il ricercatore George Wingfield, affranto, mentre i francesi se ne vanno borbottando e imprecando. Non riconosco alcun americano. Ci dividiamo. Mantle dice che andrà a casa, a due ore da Londra. Hesemann è con l’astro-fisico Johannes Von Buttlar.

Quando suono al 40 di Balcombe Street, Santilli è già sulla porta. Entro. «Devo presentarti qualcuno» esordisce e, mentre lo seguo nel suo ufficio, mi imbatto in un individuo biondastro e rubizzo. «Questo è Volger Spielberg, devi parlare con lui». L’uomo che mi si para davanti sembra uscito da un libro fotografico dei backstage dei concerti rock anni Settanta. Il classico impresario con la pistola sotto l’ascella. Gli chiedo del suo coinvolgimento nella faccenda. Mi risponde che il resto del materiale, quello che non è stato mostrato, è in suo possesso. Alle mie rimostranze perché le promesse non sono state mantenute e le trattative con la Rai possono andare a monte, Volger cerca di rabbonirmi. Non sono convinto che la situazione, per Santilli, sia sotto controllo, perché ha voluto evitare il dibattito con gli invitati e non ha fornito spiegazioni, alimentando subito ogni genere di sospetto. Di lì a breve – mi assicura il tedesco – avremmo avuto la possibilità di intavolare discussioni proficue con i diretti interessati. L’entrata in scena di Spielberg verrà resa ancora più ne-bulosa dalle dichiarazioni di Santilli a seguito delle polemiche inne-scate dalla proiezione al Museum of London. Ray, infatti, attribuirà le decisioni riguardanti la divulgazione del restante materiale ad altre imprecisate persone: un magnate della finanza tedesco, un facoltoso uomo d’affari giapponese e via dicendo. Volger Spielberg manterrà comunque un atteggiamento scostante con tutti. L’unica foto che lo ritrae è quella scattata da Nicky Taylor all’interno del pub, dove, nel pomeriggio del 5 maggio, avviene l’incontro fra la Merlin Group,

Page 114: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

114

il gruppo italiano e i tedeschi Hesemann e Von Buttlar. Giovanni Minoli vuole chiudere l’accordo in base a rassicurazioni che Santilli sul momento gli fornisce, con l’assenso di Spielberg: «Vi daremo tutto, anzi potrete godere di un’anteprima sugli altri Paesi». In effet-ti, il master in video formato Beta arriverà alla Rai anticipatamente rispetto a tutti gli altri network internazionali, ma il resto del ma-teriale non sarà mai consegnato. Il master conterrà diciotto minuti della seconda autopsia e quattro minuti della cosiddetta “scena della tenda” che mostra strani rottami disposti su un tavolo e maneggiati da un militare di cui non si vede il volto. Minoli non ha mai gradito la spregiudicatezza di Santilli. Sta forse nelle pieghe psicologiche di questo loro “confronto” la ragione dell’atteggiamento scettico che la redazione di Misteri assumerà già prima della messa in onda in Italia delle immagini del Santilli Footage. Mentre esplodevano le pole-miche, Ray portava avanti le sue trattative in tutto il mondo, facendo soldi a palate con il suo partner Gary Shoefield.

Negli oltre quindici anni trascorsi, lo studio sul Santilli Footage non si è mai interrotto. In Italia è stato fatto molto, grazie al ricercatore partenopeo Umberto Telarico e a uno stuolo di appassionati che, concentrati sul forum Ufologia.net, hanno espresso un lavoro pode-roso. Nessuno però ha trovato il bandolo della matassa.

Una prima svolta si è avuta nel 2006, all’uscita nelle sale del film Alien Autopsy, una fiction fra il serio e il faceto che ricostruiva una trama in cui Santilli e Shoefield, interpretati da due noti attori comici inglesi, si imbattevano in qualcosa di straordinario, filmati autoptici reali, ma irrecuperabili, tranne uno spezzone autentico, in bianco e nero, inserito nel finale. Una scena in cui appaiono militari e mezzi americani dell’epoca, alle prese con il corpo di un alieno a sei dita adagiato su una lettiga. Interpellato da me più volte in merito nel 2010, Santilli ha dichiarato che quelle sono le immagini recuperate dai filmati originali deteriorati e che il loro costo è di duecentomila euro. Tale cifra è stata richiesta da Santilli alla Open Minds Pro-

Page 115: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

115

duction di Tempe, Arizona, per la quale ho lavorato. Le trattative si arenarono subito.

Dal suo canto, Philip Mantle, che per anni è stato impegnato nella ricerca per stabilire l’autenticità del Santilli Footage, ha dichiarato di aver ricevuto dalla Qwerty Films ltd, la casa di produzione cinema-tografica del film Alien Autopsy, ampie informazioni in merito al seg-mento in questione. Anch’esso farebbe parte della loro produzione e nessun fotogramma sarebbe d’epoca. Inoltre, e questo appare più importante, Mantle è giunto alla conclusione che tutta la vicenda del Santilli Footage è una truffa colossale, il falso del secolo, e che non sono mai esistiti i filmati, né il cineoperatore, né fotogrammi origi-nali salvati e serviti per un’operazione di restauro cinematografico, come sostenuto dall’ineffabile Ray Santilli dal 2006 a oggi. Il parere di Mantle è sorretto da prove, quelle fornitegli da un illusionista e regista inglese di origine greca, Spyros Melaris, ingaggiato a suo dire da Santilli per realizzare tutte le riprese in un appartamento di Lon-dra, due manichini in lattice riempiti di interiora di animali e con il concorso del creatore di effetti speciali John Humpreys.

Un team di ricercatori internazionali, fra i quali Mark Center e Dave Vetterick, ha continuato negli ultimi anni ostinatamente a lavorare per appurare la verità. Di questo gruppo mi pregio di far parte. Restiamo in attesa delle prove definitive. Melaris ha promesso di presentarle in un libro e un video documentario ancora latitanti. Santilli, intanto, sta a guardare. E, con lui, chi ha orchestrato il tutto, dietro un sorriso enigmatico degno della Gioconda. La “Sindone degli ufologi” e la Gioconda restano così, mute testimonianze o del genio dell’uomo, o di qualcosa fuori dalla portata di semplici esseri umani.

Page 116: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

116

xi

ufo e intelligence

Negli anni Novanta e nel primo decennio del 2000 ho avuto modo di incontrare e conoscere esponenti dell’intelligence statunitense che, nel corso della loro carriera militare, hanno avuto a che fare con la questione ufo e alieni. Stranamente, invece, in Italia solo una volta ho avuto un contatto diretto con una persona operativa in contesti simili, ovvero negli apparati dei servizi segreti italiani. Non ne farò il nome per ovvie ragioni.

È stato lui a farsi avanti, parlandomene apertamente, dopo mol-ti anni di conoscenza, anni nei quali non mi era mai balenato nel cervello che quell’amico potesse avere una doppia vita. Questo è il primo elemento che mi ha convinto immediatamente della sua sin-cerità. Se avesse voluto “imboccarmi” a suo tempo, vista la comune frequentazione di ambienti ufologici per due lustri, avrebbe potuto farlo tranquillamente. Evidentemente, in coscienza ha deciso così solo quando ha avuto la certezza di non correre alcun rischio e di avere di fronte una persona che non avrebbe tradito la sua fiducia. Non mi ha rilasciato fantasmagoriche rivelazioni nello specifico del-le attività dei servizi segreti italiani connesse al fenomeno ufo. Mi ha detto solo che se ne occupano strutture che non appaiono alla luce del giorno e che gli ufologi tenuti sotto controllo sono quelli più esposti e scomodi. Questo è ampiamente noto. In realtà, comunque, li lasciano fare perché non rappresentano alcun pericolo, sono pe-

Page 117: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

117

sciolini in un acquario infestato dai piranhas. Il mio caso, peraltro, è un po’ sui generis, infatti sin dal 1995 ho diretto e pubblicato riviste sugli ufo e non solo, divenendo inviso soprattutto in quegli ambienti ufologici italiani che si limitano a raccogliere dati statistici, a studia-re i palloni sonda, le lanterne cinesi e, se fosse vivo ancora Allen Hynek, i gas di palude e le anatre, godendo della propria eccellente e opportunistica mediocrità e, affermano, del credito istituzionale. Appena smuovi acque torbide in superficie, o sotto ce ne sono di più pure e quindi con un filtraggio completo le impurità spariscono e le acque tornano limpide, oppure è consigliabile non rimestare lo spesso strato di melma sul fondo. Spero la metafora sia chiara.

Di una cosa sono certo, peraltro. I servizi segreti italiani hanno ben altro di cui occuparsi, cose serie e gravi, anche perché il lavoro di monitoraggio dei ricercatori più coraggiosi, di depistaggio e di insabbiamento delle prove, di tacitamento dei testimoni, lo fanno altri, da anni. I servizi non hanno bisogno di infiltrare agenti speciali camuffati da seri studiosi ed entusiasti della materia all’interno del-le organizzazioni ufologiche: i loro terminali sono già lì, da anni. I servizi non devono (e non interessa loro) agitarsi e palesare alcuna attenzione per la questione ufologica, altrimenti ne dimostrerebbero la fondatezza e questo dal “sistema” non è previsto, né concesso.

Inoltre, ci sono gli interessi economici. Il denaro, innanzitutto. I ser-vizi segreti italiani, come quelli di altri Paesi, eccezion fatta per gli Stati Uniti, non credo abbiano ravvisato alcun vantaggio ottenibile dal ge-stire diversamente la questione ufo, perché essa, qui in Italia, soldi non ne produce. Così si tratta esclusivamente di controllare tutto a distanza, senza intervenire, perché nelle risse tra poveri ci si sporca le mani.

C’è stato però un momento, subito dopo l’esplosione del Santilli Footage nel triennio 1995-97, in cui l’Ufologia italiana non era da sottovalutare. Fra le riviste da me dirette con Roberto Pinotti e quel-le che sarebbero uscite a strascico, il mercato editoriale in edicola si era posizionato oltre le settantamila copie vendute mensilmente.

Page 118: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

118

Poco, si direbbe, rispetto alla sola Focus, la rivista che fa spettacolo della scienza, ma quanto basta per fare rumore. Altri media, poi, si interessavano a noi e il bacino di utenza avrebbe potuto ulterior-mente allargarsi. Lo stesso fenomeno si era registrato in Inghilterra. Insomma, poveri del tutto non eravamo e lo spirito volava alto.

I servizi questo lo sapevano e corsero ai ripari. O meglio, agli av-vertimenti. Era norma, per la mia redazione, decidere collegialmente la copertina di ogni nuovo numero, in base alla rilevanza e attualità delle notizie ed efficacia e completezza degli articoli “in timone”. Nulla si improvvisava, anche se erano possibili e dietro l’angolo mo-difiche all’ultimo istante prima di andare in stampa, con una cover sto-ry del tutto diversa. Questo lo sanno molto bene i grafici che hanno lavorato con me, per quasi quindici anni di stress continui. Mante-nevamo, peraltro, il massimo riserbo sui contenuti in preparazione, il che ci avrebbe evitato indesiderate fughe di notizie.

Un episodio sconcertante, che lo staff redazionale dovrebbe ri-cordare, accadde una sera, poche ore dopo la conclusione di una ri-unione, con relativa decisione della copertina di un numero pronto per andare in tipografia. Era il luglio 1996. Ci concentrammo sulla misteriosa esplosione avvenuta a pochi minuti dal decollo del volo twa 800, il Boeing 747 partito da New York City e diretto a Roma, dopo lo scalo previsto a Parigi. Duecentotrenta persone persero la vita, fra le quali otto italiani. Sulle cause della tragedia in quei giorni di dibatteva aspramente a livello internazionale; erano state avanzate ipotesi alternative a quella ufficiale (un corto circuito), fra le quali la più interessante per noi restava quella del missile. Esistevano i tracciati radar e persino le immagini di un oggetto oblungo nella traiettoria del twa 800. Discutemmo molto animatamente durante la riunione e si parlò di Ustica. C’erano delle singolari coincidenze fra i due inciden-ti, soprattutto una: gli elementi di indagine portavano a ritenere che entrambe gli aerei erano stati abbattuti. Cover story decisa, dunque. In serata, attorno alle ore 22, ero ancora in redazione e ricevetti un’in-quietante telefonata. Una voce maschile dall’altro capo del filo chie-

Page 119: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

119

se: «Signor Baiata, Maurizio Baiata?» Risposi affermativamente. La voce, leggermente roca e nasale, con accento meridionale, continuò: «Sappiamo cosa avete deciso per la prossima copertina. Le posso dire che siete sulla pista giusta».

Io risposi: «Mi scusi, lei sa chi sono io, ma io non so chi è lei. Questo colloquio per me non ha senso, visto che lei non rivela la sua identità».

E quello replicò: «Non importa. Noi la conosciamo molto bene, la seguiamo con molta simpatia, mi dia ascolto. Lei ha amici che non conosce, che fanno capo alla Commissione Stragi».

Il sangue mi si gelò nelle vene. Uno scherzo non sembrava affat-to. Come facevano a sapere cosa avevamo discusso e deciso quello stesso pomeriggio?

Il mio interlocutore concluse: «Non si preoccupi, la contatteremo nuovamente, ci faremo vivi noi se sarà il caso» e attaccò.

La notte presi sonno a fatica. Il giorno dopo riferii tutto ai redat-tori. Optammo per una copertina diversa. Sul twa 800 pubblicam-mo un’inchiesta di Adriano Forgione sul numero 11 (marzo 1997) di Notiziario ufo, otto pagine intitolate Long Island come Ustica?. Non siamo mai riusciti a scoprire la talpa, ma eravamo spiati, su questo non c’è alcun dubbio e, probabilmente, tenuti sotto osservazione con grande discrezione. Va detto anche che la nostra rivista era pub-blicata da una consociata (e con il placet) dell’Istituto Poligrafico del-lo Stato, ma nel volgere di un anno e mezzo circa ci saremmo messi in proprio e, lentamente, le cose cambiarono, non in meglio. Questa però è un’altra storia, degna di essere esposta in un ipotetico Libro bianco sull’editoria ufologica italiana anni 1995-2000, ma non è nelle mie intenzioni, perché ho cercato di metterci una pietra sopra.

La svolta, per capire meglio quanto l’intera questione ufo fosse ge-stita in primis dai servizi di intelligence, non venne quindi dall’interno, da ambienti italiani, ma attraverso i contatti che stabilimmo a livello internazionale, soprattutto con gli Stati Uniti. Fu inevitabile aprirsi ad

Page 120: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

120

altri livelli, cercando di far arrivare in Italia alcune figure chiave del mondo dell’ufologia e degli apparati militari americani che si erano fatte avanti. Ci riuscimmo più volte grazie all’intraprendenza di Paola Harris, che già allora negli usa conosceva un po’ tutti. Il solo Clifford Stone, ex sergente dell’esercito americano, coinvolto nelle operazioni di ufo crash and retrieval su oggetti alieni precipitati e relativi equipaggi, è mancato all’appello. Clifford è ampiamente giustificato. Avrebbe vo-luto venire in Italia, ma è stato dissuaso con le maniere forti. Il figlio diciottenne è morto in un incidente motociclistico del tutto inesplica-bile. Difficilmente Clifford lascia la sua amata Roswell.

Dunque, qualcuno potrebbe averle definite “gole profonde”, altri “rivelatori”, altri “informatori”, altri ancora “spifferatori” (dall’inglese whistleblowers) ma va da sé che questi uomini non erano rimasti nell’om-bra, perché di fatto, smessa la divisa militare, erano diventati ufologi. Innanzitutto l’ex colonnello dell’usaf Wendelle Stevens (scomparso recentemente, viveva a Tucson, Arizona, a un’ottantina di chilometri da Phoenix) e l’ex sergente maggiore dell’esercito usa, Robert Dean, che vive ad Ahwatukee, nei dintorni di Phoenix. Sulla figura di Do-nald Ware, anch’egli colonnello della us Air Force, congedatosi nel 1983, non posso dire molto: pur avendolo incontrato diverse volte, la sua visione dell’interazione umano-aliena è astrusa e impraticabile in termini logici, almeno per me al momento. Diverso, invece, è quan-to abbiamo appreso da Stevens e Dean, le cui informazioni hanno sempre delineato una logica e una coerente linea di condotta da parte degli apparati militari statunitensi e della nato rispetto alla questione ufologica. Avremo modo di parlarne più avanti. Personalmente, non ho mai dubitato della loro buona fede e sincerità.

Chi dice che Bob Dean è stato al soldo di troppe bandiere di-mentica una cosa fondamentale: Robert Dean è stato il primo mili-tare americano ad aver vuotato il sacco, apertamente denunciando la “strategia del silenzio” sugli ufo del governo statunitense, con il concorso della nato.

Page 121: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

121

Ora però, ricollegandoci a quanto esposto nella prima parte di que-sto capitolo, devo accennare al dottor Michael Wolf. Un personag-gio enigmatico, fuori dal comune e non certo fasullo – come sosten-gono i soloni dell’ufologia statunitense – con il quale ho sempre e soltanto conversato telefonicamente, stabilendo però un rapporto speciale che ci ha reso amici, anche se a distanza, sino a pochi giorni dalla sua morte, avvenuta il 16 settembre del 2000. Una nota curiosa, a proposito delle registrazioni telefoniche su audiocassetta da me realizzate con il suo consenso durante le nostre conversazioni: nes-suna è ascoltabile, sono smagnetizzate o non intelligibili. E pensare che tutta la mia collezione di interviste registrate a New York negli anni Ottanta è ancora in buona salute.

A proposito di Michael Wolf, ci impegnammo a dismisura per pub-blicare in Italia il suo libro The Catchers of Heaven5 in una prima edi-zione ormai da tempo introvabile. Improbo fu soprattutto il lavoro di traduzione, per rendere in Italiano un’opera letteraria a mio avviso fondamentale e sulla quale finalmente sto lavorando, per una nuova edizione italiana che vedrà la luce, per questi stessi tipi, nel 2013.

Michael Wolf mi disse: «Vedi Maurizio, io sto ancora pagando per quello che ho fatto. A loro non è bastato aver eliminato mia moglie e mio figlio, in questi ultimi anni mi hanno lentamente e inesorabil-mente avvelenato e ciò che mi resta da vivere lo devo trascorrere qui, senza poter uscire di casa, sotto il loro costante controllo. E, ironia della sorte, sono ancora al loro servizio. Ma è una scelta che ho dovuto fare tanti anni fa e sapevo quello che mi attendeva».

Loro chi? Glielo chiesi a più riprese. «La nsa (National Security Agency) è la mia appartenenza di facciata. Loro sono altri. Mi ten-gono in vita perché gli servo, come gli sono servito in passato», mi rispose il dottor Wolf.

Quei “loro” senza nome, volti e gradi, costituiscono un’organizza-zione (da lui definita “Cabal”) inserita in una delle scatole cinesi che

5 Afferrando il Cielo, Futuro, 1999.

Page 122: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

122

caratterizza la questione ufologica nel suo complesso? Oppure è indi-pendente e autonoma, che agisce senza tenere conto del need to know di altre strutture a essa correlate? La risposta potrebbe essere la seconda, a ragionarci su dopo dieci anni. Lo desumiamo dalla storia stessa di Michael Wolf, dal fatto che due miei eccellenti collaboratori dell’epoca e amici di oggi, la giornalista italoamericana Paola Harris e Adriano Forgione, lo incontrarono nella sua casa di Hartford, in Connecticut, dove viveva “recluso”, e ne hanno comprovato il curriculm, la ge-nialità e la sincerità. Altri due comuni amici, Gabriella e Max Poggi (pilota, ex comandante Alitalia) gli fecero visita e quando ancora oggi ne parliamo i loro occhi si fanno lucidi, per l’affetto che provano per Michael. Sfortunatamente, non ho avuto modo di incontrarlo di per-sona. Questo davvero mi è mancato e mi mancherà, sempre. Michael però ha scritto nel suo libro e lo ripeteva quasi ossessivamente che noi esseri umani viviamo nel «per sempre», che non esiste separazione tra vita e morte e tra spazio e tempo, che il nostro involucro fisico, così fragile, è deputato solamente a contenere e custodire come un’arma-tura biologica la nostra anima. E le anime sono sempre in contatto fra loro, anche se a volte non ce ne accorgiamo. So che queste parole ora escono attraverso un processo di comunicazione con Michael si-mile a quanto avviene in scrittura automatica ed è quello che lui vuole esprimere, io ne sono solo il tramite. Michael mi fornì le prove di cosa lui fosse in realtà, un potente remote viewer, soprattutto. La visione a distanza era parte del suo lavoro. La sua mente poteva viaggiare ovun-que, localizzare un luogo e vederne i particolari, memorizzandoli.

Una spia psichica, certo. Abbiamo saputo di cosa si tratta, l’impie-go e i compiti di queste persone speciali, a fini militari e non. Nulla di cui stupirsi.

Credere peraltro alla sua storia di “interfaccia” fra umani e alieni è un’altra cosa, che solo la lettura del suo libro, un labirinto quasi ine-stricabile, può contribuire a far comprendere. Stupefacente è però il resoconto che segue.

Page 123: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

123

Nel 1999 la redazione delle riviste ufo Network e Dossier Alieni si trova-va in un villino nella zona di Fonte Nuova, sulla via Nomentana, fuori Roma, una quindicina di chilometri oltre il grande raccordo anulare.

Un giorno, un signore del cui nome posso rivelare solo le iniziali, L.T., mi contatta telefonicamente da Roma. Gli chiedo il motivo della sua telefonata. Mi risponde che è importante e decidiamo di incontrarci nel nostro ufficio. Arriva, sulla sessantina, leggermente claudicante, vestito elegantemente in blu. Ci sediamo al tavolo della sala riunioni. Uno di fronte l’altro. Giornalista, esperto mediorien-talista, cultore di antiche tradizioni e fluente nelle lingue ebraica e araba, L.T. è un po’ affaticato, i toni e i modi sono da gran signore. Non si propone per una collaborazione, come avevo erroneamen-te pensato, ma per il piacere di scambiare quattro chiacchiere. Ed esordisce: «Lei sembra particolarmente interessato ai collegamenti esistenti fra la questione ufo e i servizi segreti. Anche io, per hobby, nutro questo interesse. Ma, vede, frequentando ambienti della diplo-mazia internazionale, è logico».

«Ah sì, e perché sarebbe logico?» replicai. «Lasciamo perdere, piuttosto, lei con chi è in contatto?» «Con ricercatori di mezzo mondo», risposi, specificando che alcu-

ni rapporti, necessariamente, venivano portati avanti solo attraverso gli incontri alle conferenze e che nella maggioranza dei casi quasi tutto avveniva mediante scambi telefonici, fax e posta elettronica.

L.T. sembrava un po’ interdetto. «Fra un paio di giorni parto per Tel Aviv» mi disse, «al seguito di una delegazione di governo, nel mio ruolo di interprete. Giro il mondo, lei invece se ne sta qui tranquillo».

«Mica tanto» replicai, e dissi che anche a me le emozioni non mancavano. Per esempio, la conoscenza di un personaggio come Michael Wolf, azzardai, era di per sé problematica.

«Michael Wolf? Vuoi dire Kruvant, Michael Kruvant?» Era passato da “lei” al “tu” in un istante e il tono non era più

lo stesso. L.T. conosceva il vero cognome di Michael Wolf! E di Kruvant in Italia sapevano solo Paola Harris, Adriano Forgione e il

Page 124: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

124

sottoscritto. Con la Harris, in particolare, ci eravamo accordati per non divulgare il nome Kruvant, per espresso desiderio di Michael. Ora, non solo quell’uomo davanti a me ne era a conoscenza, ma era intenzionato a giocare a carte scoperte. Prova ne sia che mi confer-mò il ruolo di “agente speciale” di Michael Wolf Kruvant, in quanto la sua attività era nota ed era monitorata dalla struttura alla quale L.T. apparteneva, attiva in Italia e in altri Paesi, soprattutto l’Inghil-terra, mi disse. Parte dell’addestramento di Michael Wolf e di L.T. aveva incluso la formazione di personale qualificato in operazioni di diplomazia internazionale. A entrambi, gli ordini pervenivano diret-tamente dal loro “direttore”, James Jesus Angleton. «Un nome top secret, da non rivelare» mi disse L.T., e aggiunse che Angleton era il “grande vecchio” dell’intelligence americana, leggendario e potentis-simo. Ora, Wolf mi aveva fatto lo stesso nome, sottolineando che ne parlava al telefono – consapevole che la chiamata fosse registrata – perché non aveva nulla da perdere ormai. Dal canto suo, L.T. non fece mistero dei suoi incontri con Michael Wolf, avvenuti soprattut-to in occasione di corsi di aggiornamento e “briefing internazionali” ai quali avevano preso parte. «So che Michael sta molto male. Fagli i miei auguri». Di quell’incontro mi resta questo. L’impressione di aver sfondato una porta aperta, di aver squarciato un velo inesi-stente. Ma come? Il giornalista interprete italiano con ascendenze ebraiche e amicizie palestinesi conosce Michael Wolf? Allora non è vero il meccanismo impermeabile dei compartimenti stagni tra i servizi segreti; non è vero, come diceva Philip Corso, che è meglio confidare un segreto al tuo nemico piuttosto che all’amico. Non è vero, soprattutto, che gli italiani siano così fuori dal gioco.

Quel signore che tanto sapeva di Michael Wolf, cosa sapeva di me? Non lo saprò mai. Perché L.T. è morto da diversi anni. Niente necrologi, né coccodrilli di stampa. Niente notizie su di lui. Solo un annuncio funebre, da parte della famiglia, su Il Messaggero, il quoti-diano della capitale che un giorno, sfogliandolo distrattamente, ave-va colpito la mia attenzione.

Page 125: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

125

xii

Philip Corso, l’uomo della svolta

Il colonnello dell’esercito usa Philip James Corso era italoamerica-no. Capiva abbastanza bene la nostra lingua e riusciva, volendo, a rispondere in italiano alle innumerevoli domande che le persone – non solo i giornalisti – desideravano porgli, in occasione delle sue due visite nel nostro Paese. Era un uomo anziano, ma molto lucido. La sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show costituisce uno dei momenti più memorabili – e una tappa fondamentale – della nostra storia ufologica, e non solo. Davanti alla platea del Teatro Pario-li, alla prima domanda tradotta da un’interprete non proprio all’al-tezza, Corso espose tutto quello che aveva vissuto del suo “dopo Roswell”, senza mai essere interrotto da un Costanzo per una volta apparso francamente sconcertato. Impossibile pensare che Corso mentisse, o cercare di metterlo in difficoltà. Con Paola Harris sede-vo in prima fila e ci godemmo lo spettacolo. Corso riferì di quella notte del luglio 1947 a Fort Riley, nel Kansas, quando vide il corpo di una ebe (Entità Biologica Extraterrestre) fluttuare in una sorta di “vasca” inserita in un contenitore di legno. Ce ne erano altre, di quelle “bare” piccole e chiuse ermeticamente, ma a lui era bastato tenere sollevato un coperchio, precedentemente aperto da altri, per qualche secondo osservarne il contenuto e decidere all’istante che sarebbe stato bene riporre quell’immagine in un angolo della sua memoria, forse per sempre.

Page 126: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

126

Quattordici anni dopo, al Pentagono, il suo capo, il generale Ar-thur Trudeau, gli affidò il Roswell file da studiare e non era più possi-bile continuare a dimenticare. «Quindi lei ha davvero visto un et?» gli chiese Costanzo. Corso confermò tutto, davanti alle telecamere di Canale 5, e così, per la prima volta nella storia delle tv italiana, un alto ufficiale dell’intelligence militare americana con un curriculum impressionante e inoppugnabile, dichiarò che l’incidente di Roswell accadde realmente nel luglio 1947 in New Mexico e che gli appa-rati militari ai quali lui apparteneva avevano insabbiato la storia. Finalmente! Finalmente qualcuno lo ammetteva e con grande co-raggio. Abbiamo sempre saputo, noi ufologi, che prima o poi qual-cuno avrebbe detto almeno una parte della verità. Nessuno, però, si aspettava tanto e che questo tanto ci fosse scodellato su un piatto d’argento. Perché è bene si sappia che uno dei giochetti degli ufologi ortodossi è dire: «Non saremo mai in grado di accertare se si tratta di una verità, una mezza verità, o una bufala». È il loro modo di coprirsi il deretano ed evitare disturbi intestinali. Ci sono ricercatori ufo, in tutto il mondo, che su tale assunto hanno costruito la loro esemplare carriera. Fanno parte del grande inganno, tra la segretezza sul fenomeno ufo e le sue implicazioni sociopolitiche, tenendo fer-ma la mano su quel coperchio che Corso aveva sollevato. Corso li ha spiazzati. Anzi, li ha messi fuori gioco. Li ha persino messi a tacere.

Quando Corso arrivò in Italia la prima volta, nel 1997, pochi mesi dopo la pubblicazione negli Stati Uniti del suo libro/memoriale The Day After Roswell, gli descrissi la nostra situazione. Il colonnello fu chiarissimo: «Gli ufologi? Per noi sono degli utili idioti. Schiamazza-no e litigano e servono allo scopo. La nostra politica è stata sempre quella di lasciarli fare, che si scannassero tra loro». Di tutti quelli che gli presentai, durante le sue visite in Italia, ne elogiò solo due, allora entrambi nel cun e con un notevole background scientifico: Corra-do Malanga e Franco Mari. Gli altri, secondo Corso, erano dilettanti o remavano contro.

Page 127: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

127

Corso di quell’ingranaggio di segretezza faceva parte e lo ha am-messo apertamente. Era suo dovere e la sua attività rientrò nelle funzioni logiche di una struttura che, per lunghi anni, cercò di far fruttare la scoperta di tecnologie aliene ai fini di potenziare o mi-gliorare le capacità militari statunitensi mediante la cosiddetta “retro ingegneria”, lo studio e lo sviluppo industriale di apparati e congegni catturati al nemico.

A proposito delle famose ricadute tecnologiche di Roswell, i chip dei circuiti integrati, le fibre ottiche, il laser, le fibre super-tenaci (kevlar), i dispositivi di visione notturna e quant’altro ne sarebbe derivato, solo Jack Shulman, nel 1999 presidente della American Computer Com-pany, importante azienda americana di software elettronico, appoggiò in pieno le rivelazioni di Corso in merito alla “miracolosa” nascita dei microcircuiti. Tutti gli altri sono stati opportunamente zitti, o hanno aspettato che Corso morisse per affermare come avvoltoi che non credevano a nulla di quanto aveva scritto.

Se anche solo una delle dichiarazioni di Corso corrispondesse a verità, l’intera impalcatura dei nostri studi sugli ufo e la politica della segretezza crollerebbero, ma non verrebbe meno la nostra di sete di sapere da dove vengono gli “alieni”, chi e cosa li guida e cosa voglio-no da noi, insomma le loro ragioni e il loro messaggio. Questo per me è ora immensamente più importante. Penso che la segretezza, che Corso definiva «deplorevole, ma necessaria» non nasconda solo una verità. Non riguarda solo segreti militari. Vediamo.

Lo storico americano Richard Dolan nei suoi due eccellenti volu-mi ufo’s and the National Security State ha così introdotto la questione:

… L’argomento ufo ha importanti implicazioni politiche. Non ci pos-siamo permettere di ignorarle. Una di esse è data dai deleteri effetti che la segretezza sugli ufo ha avuto nella nostra società. Effetti che influen-zano profondamente la politica, la sicurezza nazionale e la nostra stessa libertà.

Page 128: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

128

Per Dolan la questione della segretezza, come constatiamo ogni giorno, si riflette sulla nostra libertà di pensiero, ma anche nelle scel-te fondamentali della vita.

In un suo intervento intitolato Dobbiamo far uscire l’Ufologia dal Me-dio Evo, la giornalista Paola Harris ha anticipato di un paio di anni l’avvento del movimento definito “Esopolitica”. Nella sua disamina, a un capo del filo di Arianna ci sono ricercatori, studiosi e divul-gatori, desiderosi di verità; dall’altro c’è un ufo cover-up globale, la strategia dell’insabbiamento che coinvolge tutti i Paesi del mondo, mirabilmente definita dal fisico nucleare canadese e ufologo Stan-ton Friedman “Watergate cosmico”. Il filo viene tirato, si allunga e si accorcia e non si spezza, tenendo a galla e alimentando il dubbio e il mistero, certo di per sé affascinante, ma, se ben guardiamo, già risolto da un pezzo.

Infatti, dall’epoca dei grandi contattisti americani degli anni Cin-quanta, da George Adamski a George Van Tassel, da Daniel Fry a Edward Menger, l’attenzione era stata posta su un altro livello, spiri-tuale, se vogliamo usare questo termine.

I contattisti – in Italia in primis il siciliano Eugenio Siragusa – in sintesi si fecero portatori di un messaggio positivo proveniente dai “fratelli del cosmo”. Fece loro comodo tutto questo, rischiando la derisione, la carriera, la famiglia, gli affetti? Secondo me no. Ne eb-bero vantaggi, soldi, apprezzamento e fama? Solo per Adamski fu in qualche modo così, ma se si guardano le sue foto è difficile trovarne una in cui Adamski sorrida, o abbia un’aria compiaciuta e soddisfat-ta, anzi, dietro una sorta di maschera da indossare in pubblico, si in-tuisce che la sua vita non fu affatto facile. Chi vive queste cose lo sa benissimo. Chi vive questi contatti, nel bene e nel male del dipanarsi lungo la vita, resta incompreso e spesso è lasciato solo.

Dopo sessant’anni di cover-up sistematico, Corso dunque. Certo non un fisico imponente, ma occhi di ghiaccio. Nel backstage del Costan-zo Show, a pochi minuti dall’inizio della registrazione mi dice, d’un

Page 129: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

129

tratto: «Chi è quella bella signora?» e mi indica Spagna, la cantante. Ivana è smagliante, vestita d’argento. «Me la presenti, per favore?» Non conosco Spagna, non l’ho mai incontrata prima, ma le dico subito cortesemente che il colonnello Corso le vorrebbe parlare. Lei annuisce e seguo la scena che ora riferisco. Corso le si avvicina e protende le mani verso di lei. Spagna fa lo stesso e le mani si strin-gono, si guardano negli occhi e l’uomo anziano davanti a lei dice, in inglese: «Non deve aver paura, sento che ha timore in questo mo-mento, ma andrà bene, lei sa usare la sua voce e la gente aspetta solo lei, che canta così bene». Spagna, stupita, scruta i suoi occhi ancora per un lungo istante, lo ringrazia un po’ confusa. Afferro la sua ri-sposta, «Succede sempre quando devo cantare, mi emoziona molto» gli dice, e sorride del suo bel sorriso. Le mani si staccano. Si sente il segnale dell’entrata in scena, in un minuto tutti sul palco.

Chiesi una spiegazione al colonnello. Mi disse che era frutto del suo lungo addestramento nell’intelligence, intuire e captare le sensazioni, l’emotività di una persona. Io però credo di aver capito da dove scaturisca quella sensibilità particolare, che negli usa chiamano “sen-sitività” e che in campo non solo parapsicologico è descritta come “sesto senso”. Un dono che abbiamo tutti, ma dobbiamo scoprirlo. Nasce da percezione e intuizione. Ma resta dentro. Deve accade-re qualcosa affinché se ne abbia coscienza. Non è una tecnica, è un’apertura, un’espansione della nostra aura vitale, forse qualcuno direbbe del nostro “corpo astrale” che si apre verso altre infinite energie che ci circondano. Nello spazio di pochi istanti, Corso aveva sentito quell’energia e aveva comunicato con la cantante italiana, a cuore aperto. Ecco il punto, che sto cercando di esporre qui e che in fondo è la traccia su cui mi sto ponendo da qualche tempo e che mi ha fatto mettere in discussione molte cose della mia vita.

Corso parlava di tecnologie aliene, è vero, ma se è venuto in Italia, ha mangiato con noi, ha camminato per le stesse strade di Roma che aveva percorso sul finire della Seconda Guerra Mondiale – quando

Page 130: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

130

la mia era la “città aperta” di Rossellini, straziata, affranta, impaurita, affamata, nell’incubo delle sirene che preannunciavano i bombarda-menti americani – c’è una ragione diversa. Per il suo essere nuova-mente in Italia, a Roma, all’ultimo crepuscolo della sua vita. Corso ha detto che era suo dovere e compito non fidarsi di nessuno, amici o nemici che fossero. L’ho preso alla lettera. Troppo alla lettera, lo ammetto. Ero affascinato dalla sua inflessibilità, dalle sue convinzio-ni, molte delle quali, politicamente parlando, non condividevo. Ero certo che dicesse cose vere, a tratti ingiuste, ma vere. Poi fu tutto chiaro. Due suoi messaggi fondamentali, meritevoli di essere ricor-dati. Il primo: dobbiamo cercare i presupposti per dichiarare che il mondo intero, per sopravvivere alla catastrofe annunciata, deve dire alla scienza di scendere dal suo piedistallo, dove l’hanno posta i poteri forti e occulti e, molto umilmente, scegliere un’altra strada, quella della “Nuova Scienza”.

Il secondo: quando sentiamo di avere davanti a noi l’alieno, i no-stri occhi coperti dall’ombra della paura di ciò che è diverso, possia-mo porre la stessa domanda che pose Corso: «Sei amico o nemico?» e sentiremo risuonare una voce interiore che risponderà: «Nessuno dei due». Ecco una prima soluzione dell’enigma alieno. Philip Cor-so, in qualità di militare gli Extraterrestri li aveva sempre visti come ostili, un potenziale nemico da tenere d’occhio per quanto possibile ed essere pronti a confrontarli, con tutti i mezzi a disposizione… «Just in case» soleva ripetere, “se per caso”. Riporto qui alcuni stralci di una nostra conversazione, risalente al 1997. maurizio baiata: Cosa può dirci dell’astronave precipitata a Roswell?philip corso: Che a bordo di quel tipo di navicelle non c’è cibo, acqua o altro e un umanoide sopravvive tramite pulsazioni elettro-magnetiche. Come nel nostro mondo gli insetti, i pesci, gli animali e persino gli esseri umani interagiscono con l’ambiente, così l’essere extraterrestre vive integrandosi sia con l’ambiente sia con lo scafo dell’astronave. Questo è il segreto della sua sopravvivenza. Se a un

Page 131: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

131

corpo umano viene sottratto il nutrimento, si spegne velocemente, si deteriora e muore. La stessa identica cosa avviene a un extraterre-stre, che si spegne se viene sottratto al suo ambiente e all’energia del suo campo elettromagnetico. Il nostro sostentamento è dato da cibo e aria, il suo è energia elettromagnetica.

Lei conferma di aver visto solo uno di questi esseri di tipo umanoide?Certo! Conosco solo un tipo di alieno. Nessuno ha mai provato la veridicità di affermazioni inerenti altri tipi di alieni. Quando mi si chiede il mio parere sulle loro sembianze, posso rispondere di aver visto esclusivamente uno di quegli esseri, a Fort Riley. Inoltre con-fermo di aver letto solo un documento autoptico, alla Casa Bianca, mentre non mi sono mai giunte altre informazioni che convalidino altri rapporti o resoconti.

Il rapporto dell’autopsia che lei ha letto coincideva con le caratteristiche fisiche dell’essere che vide a Fort Riley?Sì, era dello stesso tipo. Ribadisco però di non aver mai visto, né di aver sentito voci, né tanto meno di aver mai ricevuto conferme da medici o altri ricercatori, in riferimento all’esistenza di altre forme di vita aliena.

Come è riuscito a celare nel profondo del suo cuore tutto quello che aveva visto, per quindici-sedici anni, prima del suo incarico con il generale Trudeau? Lei riferì a Trudeau di avere visto il corpo di un essere non terrestre nel 1947?Certo. L’ho sempre informato di tutto, nei minimi particolari. Ab-biamo discusso approfonditamente, ma solo dal punto di vista prati-co, delle nostre conoscenze e della loro possibile applicazione. Non siamo mai entrati nei dettagli della progettazione e dell’ipotesi che quella tecnologia potesse appartenere ad altri. Infatti, nei miei ap-punti per il generale Trudeau, ho riportato che non abbiamo mai saputo da dove questi esseri provenissero, né come erano giunti sin qui, né quali fossero le loro intenzioni. Negli stessi appunti però

Page 132: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

132

menzionavo più volte i cloni. Quel tipo di alieni doveva essere stato progettato partendo da un modello, da un esemplare originale. Vo-levo comprendere il motivo di una simile realizzazione, come erano stati costruiti e come riuscivano ad attraversare i buchi dimensionali. Inoltre, perché era stata progettata un’astronave del genere? C’era un valido motivo ed è spiegato nei miei appunti. Credo che sia questo il settore su cui dovreste ora lavorare e dove gli scienziati potranno ottenere delle risposte. Abbiamo ricevuto una nuova progettazione tecnologica, una Nuova Scienza – nuova di zecca. Ci è stata data per iniziarci, ma abbiamo solo e vanamente utilizzato le nostre vecchie tecnologie esistenti per cercare di capire il funzionamento di que-sti veicoli. Non avevamo una preparazione adeguata, non avevamo esperienza né trattati o documentazione cui fare riferimento; solo molta confusione e nient’altro.

Colonnello, lei desidera che queste sue informazioni vengano pubblicate?Certo, perché no. Dovete sferrare un colpo proprio in mezzo agli occhi del mondo. Fate sapere che c’era una nuova scienza e che non abbiamo saputo cosa farne. Mi riferisco ai tedeschi, agli inglesi, agli americani, ai russi, nessuno escluso. L’aeroplano e le nostre navi spaziali non sono altro che un rimpasto di vecchi elementi tecno-logici. Non hanno portato all’inizio di una vera Nuova Scienza. È questa la storia sensazionale. Per comprendere la Nuova Scienza è necessario ripartire da zero. Come ho fatto io. Non sapevo nem-meno cosa avevo, Maurizio, ho consultato tutta la documentazione esistente e non ho trovato assolutamente niente. Non sapevo cosa avevamo, né da dove dovessimo cominciare. Nessuna conoscenza, nessuna preparazione o documentazione a riguardo. Abbiamo fatto solo una piccolissima conquista, ma non nella maniera giusta. Il mio impegno si è esplicitato soprattutto nello sviluppo degli armamenti e delle armi nucleari. Io ho lavorato sulle armi e su progetti di distru-zione. Ma ora è chiaro cosa abbiamo lasciato da parte.

Page 133: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

133

Philip Corso moriva il 16 luglio 1998 a Port St. Lucie, in Florida. Aveva voluto tornare in Italia di nuovo, poco tempo prima, per tra-scorrervi circa un mese, in visita a vecchi amici e dedicandosi a noi. Sono stati quelli i giorni in cui ho avuto modo di conoscerlo meglio. E di capire cosa «avevamo lasciato da parte». Corso parlava dei Cre-atori. Parlava di esseri sconosciuti e misteriosi che sono alla base di Tutto. Così Roswell non era più la Fort Alamo degli ufologi che gridano vendetta contro un nemico soverchiante per mezzi e unità e capacità distruttiva. Roswell diventava uno spartiacque, fra noi che viviamo nel presente e non abbiamo risposte dal passato, né da un futuro che non riusciamo a immaginare. Gli alieni caduti a Roswell ci fecero dono della loro esistenza biologica, assurda e incompren-sibile in quanto apparentemente frutto di una clonazione, mossa da un soffio vitale elettromagnetico, ma priva di anima. Ma dietro di loro c’era altro. Dietro di loro ci siamo noi, uniti dalla stessa infinita forza della creazione.

Le cose dunque vengono a galla un po’ alla volta, ma non sono mai quelle veramente importanti e non stanno negli incartamenti, nei file derubricati da questa o quella nazione. L’Ufologia fatta di casistica di avvistamenti, classificazioni e lavoro di ufficio, non serve a capire chi siamo noi realmente. Oggi, quattordici anni dopo la morte di Philip Corso, è assodato che esistono velivoli (ancora super segreti, ma pagati dal contribuente americano e finanziati in milioni e mi-lioni di dollari in base a stanziamenti di black budget, o fondi neri, in spregio della Costituzione americana) progettati sulla base di tecno-logie aliene, o sviluppati solo ed esclusivamente mediante l’ingegno umano. Sono “quasi ufo”, se si accetta il concetto. Non credo pe-raltro possano apparire e svanire, materializzarsi e smaterializzarsi, o siano capaci delle stesse manovre dei “veri” ufo, possono andarci vicino e agli occhi delle persone appariranno straordinari, ma non sono veicoli extraterrestri.

Page 134: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

134

È vero inoltre che da tempo «la gente, senza subire un rapimento alieno, si trova semplicemente e direttamente invasa da immagini, messaggi e informazioni. Sembra che chiunque sia là fuori abbia deciso di rivolgersi alle persone comunicando loro previsioni e nuo-ve informazioni scientifiche e formule matematiche», come scrive Paola Harris. Il caso di Stan Romanek in questo senso è esemplare e mi sento di condividere il pensiero del compianto psichiatra di Harvard, John Mack, convinto che il fenomeno delle abduction, dei rapimenti alieni faccia parte di «un cambiamento epocale, di una nuova visione del mondo».

Se vogliamo restare sordi ai richiami che ci giungono da più parti e preoccuparci solo delle mere questioni di sopravvivenza quotidia-na, è una nostra legittima scelta.

Il consiglio potrebbe essere quello di correre ad acquistare un apparecchio acustico per il cuore. Che ci faccia sentire i battiti degli altri cuori. The old man, l’anziano colonnello, ne aveva uno. Lo ac-cendeva e lo spegneva in ragione dell’interesse, direi anche della sim-patia che la persona gli suscitava. Quando notavo che se lo toglieva del tutto mi faceva ridere. Anche Robert Dean ha dovuto munirsi di ben due apparecchi acustici. Sapete com’è, con l’età non basta solo avere un cuore aperto, per risuonare alle emozioni e ai misteri della nostra esistenza.

Page 135: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

135

xiii

Energie e risonanze

Io sono un romantico, non un nostalgico. Per me il passato, inteso nella sua accezione classica, non esiste, ma sto imparando a ricono-scere il valore delle esperienze vissute, che appartengono a una sfera più elevata, delle emozioni, dell’amore e dell’essere interiore. Dunque, molto tempo fa, quando ai primi anni Settanta cominciai a praticare karate, ebbi anche l’ardire e l’ardore di iniziare una dieta macrobiotica stretta che mi avrebbe indebolito e debilitato, ma che avrebbe anche sviluppato in me, probabilmente, una visione più naturale e sincretica della vita, per quello che all’epoca era concesso comprendere.

Eravamo autodidatti, ci nutrivamo di miglio, grano saraceno, riso molto integrale, uova fecondate, seguendo un insegnamento derivato dall’antica filosofia cinese secondo il quale era necessario equilibrare il maschile e il femminile, yin e yang. Erano queste le regole di madre na-tura e della macrobiotica. Avevamo rinunciato a molte cose superflue rifiutando quanto l’era del consumismo già copiosamente offriva. Di certo, cercavamo l’introspezione e, nello stesso tempo, la comunica-zione totale, la coppia aperta, l’uguaglianza, la condivisione, il ritorno alla terra e ai suoi frutti, come anni prima avevano proposto i figli dei fiori. Non che i miei amici fossero poi molto diversi, ma per me la situazione era aggravata da alcuni fattori. Lo zen mi diceva di non guardare al passato nei termini tradizionali. «Ricordati, ragazzo, che sei quello che sei per quello che hai fatto e sei stato, da quando sei nato

Page 136: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

136

a oggi», concetto radicato nella cultura occidentale, che dà grande va-lore alla proprietà e al successo, al lavoro e al vivere secondo le norme della gente perbene. Valori che, ribelle quale ero, digerivo a fatica e, così facendo, ad alcuni amici cominciai a risultare un po’ fuori, anzi ossessionato da idee che poco si coniugavano con una vita “norma-le”, che doveva rispondere soprattutto al produrre qualcosa che sareb-be poi servito per il futuro. Il seme gettato nel campo che germoglierà un giorno. Certo che il rock iconoclasta, insieme alla macrobiotica, questo non lo favoriva molto. Rinsavii, diciamo così, quando una sera, sul tatami, per poco non ebbi un collasso, uno svenimento dovuto all’inedia, ovvero alla dieta troppo rigorosa e scarsa in carboidrati e in proteine. Paolo Ciotoli, il mio maestro di karate, mi disse solo di cercare di equilibrare, di non rinunciare del tutto alla carne bianca e alla tavola italiana, così buona e genuina. Seguii il suo consiglio e le cose andarono meglio. Ma lo zen e i suoi principi sottili mi stavano sempre dentro e lo fanno ancora. Non ne ho capito molto, qualcosa l’ho appreso negli ultimi tempi.

Per questo ora parlo di Bob Dean. Innanzitutto finalmente ho capito che le energie di una persona si basano soprattutto sul tipo di nutrizione e che gli orari, nell’alimentazione, sono molto importan-ti. Il senso di urgenza di acquisire cibo si esprime in ore particolari della giornata, al mattino molto presto e in prima serata o tardo pomeriggio. Sappiamo cosa è quel languore. Spesso però noi italiani facciamo una colazione poco ricca e sbrigativa, anziché sostanziosa e nutriente. Al contrario, a cena celebriamo continuamente un ritua-le talmente opulento da essere paragonabile a un convivio matrimo-niale. Il tutto viene determinato, a quel che ho potuto notare, dallo stile di vita europeo caratteristico del nostro Paese, della Spagna, della Francia, delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. Le cose sono diverse in Nord Europa e in Scandinavia, ma la digressio-ne ci porterebbe troppo lontano.

Vivendo a ridosso della costa occidentale degli Stati Uniti ho ap-preso altre regole. I ritmi del sole e della luna, della prima luce dell’al-

Page 137: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

137

ba e dei riflessi dorati del tramonto sono fondamentali e vanno ar-monizzati nel nostro vivere. Mi sono adeguato subito. A Tempe mi piaceva alzarmi prestissimo e andare a correre quasi tutte le mattine, lungo il viale che costeggia il fiume artificiale e i giardini di Tempe Town Lake. Andata e ritorno, un percorso di circa quattro miglia, secondo i miei calcoli, partendo dalla struttura fantascientifica del mega teatro dell’Arizona State University, sino al ponte di McClin-tock Drive. Sensazione meravigliosa, quella del jogging, o running che dir si voglia, liberatoria, specialmente nell’ultima volata… Sembra di essere spinti dal vento sospesi a venti centimetri da terra. Poi il ritor-no a passo svelto verso casa, doccia, colazione e al lavoro. È andata così per un anno esatto, poi c’è stata una svolta importante, ma gli ultimi mesi di permanenza a Phoenix meritano da soli un altro libro, che chissà se scriverò mai. Dicevo dell’importanza dell’amministrare bene i propri ritmi biologici. Ho cercato di integrare una sorta di dieta mediterranea ai cibi etnici offerti qui in abbondanza, thailan-dese, cinese e soprattutto messicano. Chi predilige il piccante, poi, ha scelte vastissime. Gli americani però, l’ho notato subito, hanno il vizio dell’alcol. Fra le happy hour, aperitivi e affini, spesso eccedono, mischiando con la birra e a volte il vino. «No bueno, amigo», anche se ammetto di avere un debole per i margaritas, probabilmente perché il Messico attrae gli alieni e anche… gli italiani. Inoltre ci sono pene severissime per chi guida in stato di ebbrezza, o sotto qualunque altro effetto. Non si perdono punti sulla patente, ti arrestano. Quin-di, di norma, se per esempio la sera c’è in programma una festa, un party, chi si mette al volante non beve neppure un goccio. Ho visto ammanettati da una pattuglia della polizia di Mesa proprio ieri due ragazzi, probabilmente colti in flagrante. Tolleranza zero. Il tutto, per sottolineare che adattarsi a questo modo di vita non è semplice ma, con pazienza, ci si riesce. Prendere la patente per me è stata una conquista. Non solo ti consente di guidare, ma è anche un impre-scindibile documento di riconoscimento. L’esame consta in teoria (trenta quiz) e pratica, il codice della strada va memorizzato, quindi

Page 138: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

138

mi sono applicato nello studio e ce l’ho fatta al primo tentativo. Incredibile: per me in passato gli esami, sia in America sia in Italia, erano stati uno spauracchio.

Possono essere d’aiuto circostanze favorevoli, incontri sul lavoro, conoscenze e amicizie di lunga data che si rinnovano e assumono altri connotati se si vive nella stessa città. Nel mio caso, l’Ufologia è stata il visto sul passaporto per gli Stati Uniti. Qualcuno ha voluto riconoscermi dei meriti per quanto fatto in passato e le mie due par-tecipazioni al Congresso di Laughlin, nel mezzo del deserto Nevada a un’ora di guida da Las Vegas, sono state probabilmente determinanti.

Della prima, nel 2006, riportai la cronaca sul mensile Area 51, della seconda, su X Times. Avendo avuto la possibilità di conoscere Philip Corso, fu ovvio impostare la mia prima emozionata confe-renza in inglese sulla sua figura, sui suoi passati trascorsi in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale e sui molti particolari di una vita che avevo raccolto direttamente dall’anziano colonnello. Al mio secondo International ufo Congress di Laughlin nel 2009, ho af-frontato altri temi, ho raccontato la mia esperienza – interrotta – di abduction, la questione del contatto nell’ottica dell’Esopolitica, i se-greti del Vaticano e i fenomeni, per me di matrice aliena, registrati a Fatima nel 1917.

E al Flamingo Hotel, fra i molti amici presenti e di passaggio, era molto atteso l’ex sergente maggiore Robert Dean, assente dalla scena ufologica americana da circa cinque anni. Era stata una sua scelta, un lungo periodo di riflessione dopo diverse vicissitudini sul piano personale. Inoltre, la salute aveva cominciato a dare segni di cedimento e Bob aveva bisogno di riposo. Lo intervistai dunque a Laughlin, in una saletta attigua alla grande sala conferenze del Fla-mingo. Ecco alcuni passi importanti della nostra conversazione.

maurizio baiata: Quando sei entrato nell’esercito?bob dean: Nel 1950.

Page 139: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

139

Allora il Piano Marshall aveva già definito l’assetto della nuova Europa secon-do il quale i territori conquistati sarebbero stati divisi in due blocchi principali, la nato e i Paesi alleati dell’Unione Sovietica. Di lì a qualche anno, in servizio presso lo shape, avresti appreso che le ondate ufo provenienti dall’Unione Sovietica non erano aerei russi…Era il 1961 e i massicci sorvoli causarono un allarme generale, sia per la nato, sia per i sovietici e il Patto di Varsavia.

Non ci furono scambi di informazioni fra la Nato e il Patto di Varsavia a proposito degli avvistamenti?Qualche tempo dopo venni a sapere che il quartier generale della nato a Parigi, lo shape, chiese ripetutamente informazioni e chia-rimenti a Washington e Londra nella quasi certezza che fossero al corrente, ma la nato non ne ottenne nulla, perché tutto quello che Washington e Londra inoltravano allo shape a Parigi perveniva im-mediatamente a Mosca, prima ancora che arrivasse a noi, a Roc-quencourt, nei dintorni di Parigi. Il maresciallo dell’aria Sir Thomas Pike nel 1961 diede avvio allo studio del fenomeno ufo a causa dei continui sorvoli di oggetti discoidali metallici a elevata altitudine e alta velocità. Allarme generale, per noi e per i russi, e reciprocamen-te si credeva che appartenessero alla controparte. Lo studio, deno-minato The Assessment, fu redatto nel 1964 e quelli di noi che ebbero modo di leggerlo – non tutti, solo chi aveva un nullaosta “cosmic” e si trovava nella “war room” – ne furono scioccati perché vi si concludeva che avevamo a che fare con diverse civiltà extraterrestri avanzate.

Come spieghi che gli americani, essendo già in possesso di tecnologie derivate dal crash di Roswell, fossero al corrente almeno di una parte consistente dei fatti, mentre voi alla nato non lo eravate?Washington sapeva tutto già dal 1950. E ne seppero di più nel 1954 quando i delegati di un gruppo, un solo gruppo di et, incontrarono il presidente Eisenhower nella Muroc Air Force Base. Eisenhower, per

Page 140: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

140

quello che vide e apprese, ne uscì sconvolto e fu colpito da un attacco alle coronarie, era anziano e se la cavò per un pelo. Da quel momento, furono avviate relazioni con almeno una, probabilmente due separa-te intelligenze extraterrestri, provenienti da diversi punti nello spazio esterno. E con due distinti programmi di contatto con i terrestri.

Forse, un programma positivo, l’altro negativo.No, entrambi positivi. Mi segui, Maurizio?

Non negativi, né positivi, quindi neutrali, come sosteneva Philip Corso.Esatto. Corso incontrò uno di loro, una notte, a White Sands, e glie-lo chiese: «Siete con noi o contro di noi?», e l’et rispose: «Nessuno dei due». Philip mi disse che quello per lui fu un impatto fortissimo. Perché capì per la prima volta che loro sono qui non per distrugger-ci, e neppure per salvarci.

Non c’è ragione di imporre un punto di vista militare sull’intera questione alie-na, seguendo il principio di Corso «prima spari e poi chiedi chi va là». Il suo dia-rio originale lo dice, voi militari americani dovevate essere pronti «just in case», nel caso fossero ostili, e questo – tu lo confermi – sarebbe avvenuto dal 1947 al 1961. Poi entri in gioco tu nel 1963, ciononostante il vostro atteggiamento, come quello di Corso, è rimasto improntato all’idea che fossero ostili.Ci sono intelligenze lì fuori alle quali noi non piacciamo per niente. Non sto parlando delle due con le quali stiamo collaborando e che ci assistono, ma di altre civiltà extraterrestri, tremendamente avanzate, che hanno ribrezzo di noi e ci guardano come selvaggi maleodoranti e ignoranti. Questo non vuol dire che nutrano propositi ostili e che ci vogliano distruggere, ci considerano pericolosi e non vogliono avere a che fare con noi. E ne esistono altri, quelli che hanno avuto un ruolo nello sviluppo genetico della nostra specie e che, in un cer-to senso, hanno ingegnerizzato l’uomo sino a farlo divenire l’essere ibrido quale è, questi hanno un atteggiamento benevolo.

Page 141: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

141

E per te, ci sono state ripercussioni?A proposito del mio lavoro alla nato e dell’Assessment, dissero che non ero mai stato sergente maggiore in comando, poi che il “cosmic top secret” non esisteva, che non mi trovavo a Parigi in quel periodo e che mi ero inventato tutta la storia. Negli anni ho affrontato molte critiche e il ridicolo. Alla fine, qualcuno ha scoperto che il “cosmic top secret” era reale e che io ero lì dal 1963 al 1967. Inoltre, un paio di personaggi hanno dichiarato che l’Assessment era reale perché lo avevano letto. Clifford Stone lo aveva letto e aveva un nullaosta top secret, e anche Michael Wolf, un altro che hanno cercato di scredi-tare, sino a ridurlo a una “non persona” alla George Orwell. Ecco perché sono diventato un recluso per cinque anni. Ne avevo fin so-pra i capelli di tutta quella spazzatura. Poi, dopo aver fatto mente locale, aver meditato un po’, aver vissuto un paio di esperienze fuori dal corpo (obe) e di remote viewing sono riuscito a riprendere il con-trollo delle mie emozioni e del mio corpo. Sai, ho subito un attacco cardiaco, la pressione era altissima e la depressione mi aggrediva, ho persino scoperto di soffrire ancora di sindrome post traumatica dalla Corea e di un’altra dose di depressione dal Vietnam. Be’, se sei un militare e soffri di depressione e di malanni fisici, non lo vai a dire in giro. Se dici allo psichiatra che stai male, la tua carriera è finita. Quindi, molti di noi hanno sofferto di stress emozionali, ma è logico, non puoi andare in guerra senza soffrire stress emozionali! L’essere umano è concepito per soffrirne! Ma se ne parli a qualcu-no e chiedi aiuto, sei finito. Ecco perché abbiamo sempre tenuto la bocca chiusa e qualcuno dei miei amici è andato fuori di testa, o gli è andata peggio.

Chi, oggi, è in possesso delle più importanti informazioni riguardanti la presen-za aliena sulla Terra?La us Navy. La Marina Militare degli Stati Uniti. Da sempre.

Page 142: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

142

Il segreto nato su The Assessment (“la valutazione”) fu labile. Bob Dean, infatti, mi disse, una quindicina di anni fa, che copie del docu-mento vennero fatte pervenire ai capi di Stato Maggiore delle forze europee, Italia inclusa. La conferma arrivò da un generale dell’Aero-nautica Militare all’epoca in pensione, ma con conoscenze ai vertici della sua Arma. Una vicenda che meriterebbe altri approfondimenti, ma questo non è un trattato sulla storia dell’Ufologia italiana e già altri, in particolare il dottor Corrado Malanga, ne hanno abbondantemente parlato e scritto. Comunque, non dimentico le cose importanti.

Con Bob Dean ci siamo incontrati in diverse occasioni, favoriti dal fatto di abitare entrambi nella stessa zona di Phoenix, Ahwa-tukee, che letteralmente vuol dire “Foothills Village”, il villaggio ai piedi della montagna, ma nell’accezione originale ispano/nativa, si-gnifica “Casa dei sogni”. L’intenzione era di fare una conferenza a due aperta al dibattito con il pubblico, che però non siamo riusciti a concretizzare date le sue condizioni di salute. Sulle quali ama iro-nizzare di continuo. Ahwatukee è una zona residenziale di Phoenix, che confina a nord con il South Mountain Park, a est con Tempe e a sud con l’insediamento indiano del fiume Gila. Bob abita con la moglie Marcia in una bella casa ai piedi dei rilievi collinari e roc-ciosi, che circondano e proteggono la valle un tempo desertica di Phoenix. Così, finalmente, in compagnia del mio caro amico Ken Liljegren, produttore televisivo e documentarista da anni impegnato nel settore ufologico, ho avuto modo di raccontare al vecchio Bob (ottantatré anni nel marzo, 2012) della mia esperienza di pre-morte e di come oggi sia in grado di interpretarla diversamente.

Il lato oscuro dell’esperienza abduction esiste. Lo sanno migliaia di persone che ne soffrono. Soffrono soprattutto perché il loro in-terrogativo esistenziale non ha una risposta, sin quando non siano capaci di comprendere cosa avviene nella nostra vita, fra la nascita e la morte. Il nostro percorso, mi ha spiegato Bob Dean, non è inscatolato fra questi due estremi. Fa invece parte di una lunga sto-ria vissuta in altre vite precedenti, che è possibile vedere in ipnosi

Page 143: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

143

regressiva. Anni orsono, Bob Dean si sottopose a quattro sedute di ipnosi, condotte da una esperta psicologa e ricercatrice nel campo del paranormale. Il risultato fu la sua presa di coscienza di una nuo-va realtà. La sua Anima era legata a vite passate, l’ultima delle quali non terrestre. Questo apre orizzonti sconosciuti, infinite possibilità, infinite aperture verso ciò che ci appare ignoto e alieno, ma fa parte di noi. Nel dirlo gli occhi gli si fanno lucidi, la sua bella voce, dal timbro talmente perfetto da lasciare il segno come una dolce nota musicale che sfiora il cuore, si fa più bassa e mi chiede: «Ora Mauri-zio pensi di essere diverso? Non credi di avere anche tu un passato da scoprire?» Gli rispondo che mi sono sottoposto alla mia prima ipnosi – i cui contenuti riporto in chiusura di questo libro – con-dotta dalla comune amica e nota psicologa di Phoenix, Ruth Hover. Gli dico che per me è stato un momento inaspettato di “apertura”, come il suono, i rintocchi della campana di una chiesa in una valle lontana che non vedi. Un suono che crea una risonanza interiore, non di tipo religioso, ma vitale. «Anche se qualcuno o qualcosa si frappone tra te e la chiesa» mi dice Bob, «il suono attraversa la valle e tu risuoni. Ecco, chiediti il perché. Perché non c’è nulla che si frap-ponga fra la tua vita e quella degli altri, le anime comunicano anche a distanza, sia nello spazio, sia nel tempo. Riuscirai a trovare chi sei stato nel passato, in un’altra vita precedente, mio giovane amico».

A fatica ho terminato il mio racconto. L’ho abbracciato, gli oc-chi pieni di lacrime, confuso da una vibrazione umana così potente. Dalla sua voce che entra in risonanza nel cuore. Spero di rivedere Bob Dean presto, prima possibile. Non mi interessa se ha fatto due guerre, se è stato un militare e un uomo dell’intelligence che ha avuto a che fare con i segreti sugli ufo. Semplicemente, gli voglio bene.

Page 144: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

144

xiv

Primo e secondo livello di contatto

Ho sempre accettato il consiglio del dottor Corrado Malanga, ricer-catore del Dipartimento di Chimica Organica dell’Università di Pisa, secondo il quale – è una delle sue boutade preferite – è inutile spiegare a un imbecille ciò che sugli ufo riteniamo importante, argomentandolo con prove e testimonianze che qualsiasi tribunale terrebbe in consi-derazione, perché sarebbero tempo perso e fiato sprecato. Alla fine il nostro interlocutore non ne avrebbe capito comunque nulla. Imbe-cille era e tale sarebbe rimasto a meno di un miracolo. Solitamente, gli ufologi non fanno miracoli, neppure piccoli… Peraltro, persone intelligenti e istruite possono avere un “blocco” nei confronti delle tematiche collegate al fenomeno ufo. Pur restando sulle rispettive po-sizioni, con loro, il confronto sarà costruttivo e interessante.

Anche se per me gli avvistamenti ufo non costituiscono più og-getto di studio approfondito e determinante ai fini dell’affermazio-ne dell’esistenza del fenomeno, esserne protagonisti è emozionante, coinvolgente e permanente nella vita interiore di qualunque perso-na. Parlarne fa bene. Si cerca una spiegazione, con chiunque si di-mostri interessato all’argomento, ma più spesso ci si trova di fronte a un muro o di scetticismo o di incredulità, difficile da scalfire. Per questo devo parlare delle esperienze da me vissute.

Il mio primo avvistamento in Italia avvenne credo nel 1996, o 1997, a Roma. Era una bella sera di giugno, tiepida e con cielo stel-

Page 145: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

145

lato. Con Wendy eravamo a una festa a casa di amici nella zona di Torrevecchia, a nord della via Trionfale e di Monte Mario. Sorseg-giavo una coca cola un po’ annoiato e avevo appena finito di parlare con mia moglie, che sedeva su una poltrona di fronte a me. Girai lo sguardo verso un’ampia porta finestra che dava su un piccolo ter-razzo dal quale provenivano le voci di altri amici. Fu un attimo. Una fortissima luce bianca apparve in cielo sulla destra estrema del mio campo visivo. Un corpo di luce, di impressionante intensità, sfrecciò orizzontalmente lungo la metà di firmamento che potevo osservare. Non era un bolide o una stella cadente, perché si fermò brillando per due o tre secondi, immobile, e poi si divise in tre parti altrettanto luminose, ma più piccole che, all’istante, si impennarono vertigino-samente nel cielo stellato prendendo tre diverse direzioni. Quella al centro salendo in verticale, mentre quelle ai lati, disposte a sessanta gradi rispetto a quella centrale, schizzarono anch’esse in alto. All’u-nisono, sparirono alla nostra vista. Farfugliai qualcosa e mi slanciai sulla terrazza, ma lo spettacolo celeste era appena terminato. Una scena degna di Spielberg, come nell’incipit di Incontri ravvicinati del iii tipo, quando i primi oggetti luminosi si allontanano sullo skyline della città le cui luci si riaccendono dopo il blackout elettrico. Non avevo fatto in tempo ad avvisare Wendy, era stato troppo veloce, e non mi sono mai perdonato di aver solo obbedito a un richiamo improv-viso, a un riflesso quasi condizionato che non mi aveva consentito di condividere con lei l’esperienza. Sarebbe stato molto importante per noi che ci amavamo vivere insieme un’occasione così impor-tante, ma non fu possibile. Gli amici sul terrazzo invece avevano visto, eccome. Erano emozionati ed esterrefatti. E il più sbalordito era Mauro, ricercatore chimico dell’Università di Roma, con il quale avevo intavolato tante animate discussioni sugli ufo per poco non finite in rissa. «Cos’era quella cosa, Maurizio!»

«Un ufo!» gli risposi, «abbiamo visto un ufo!» «Avevi ragione tu, non me lo so spiegare proprio!» Lo spettacolo era stato tanto dirompente che il mio scettico amico,

Page 146: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

146

comunista sfegatato e razionalista, sembrava avesse subito una “con-versione” istantanea. Gli dissi, cercando di non urtarne la suscettibilità, che era stato meraviglioso e che, se era successo, la ragione forse l’a-vremmo trovata insieme. Ne abbiamo riparlato di recente e abbiamo nuovamente condiviso l’emozione di quell’avvistamento straordinario. Di questa esperienza raccontai al Maurizio Costanzo Show un paio di anni dopo. La ricordavo vividamente, come adesso, dopo tanti anni. E questo succede a moltissime persone che hanno avvistamenti ufo. Ri-tengo che il loro io interiore entri in contatto con la forza che si sprigio-na dall’oggetto che appare in cielo, proprio nel momento in cui avviene l’avvistamento. Può durare solo una manciata di secondi, ma ricorderai per sempre dove, come e quando è accaduto e con chi ti trovavi, cosa hai provato, come lo hai vissuto. Decine, probabilmente centinaia di persone mi hanno confermato come, pur non avendola elaborata con-cettualmente, l’esperienza era rimasta dentro, immutabile nel tempo. Puoi cercare di nasconderla fra i meandri della mente, ma ogni tanto riaffiora dal subconscio, fa capolino come a ricordarti qualcosa.

Questo, a mio avviso, è il primo livello di contatto con intelligenze aliene. L’avvistamento rappresenta il primo gradino della scala per espandere la propria coscienza e intraprendere il viaggio interiore.

Nel cercare risposte, dentro di me, sulla modalità e finalità di que-sto “primo livello”, una decina di anni fa mi venne in mente il ter-mine “attivazione”. Il soggetto, consciamente o inconsciamente, nel momento in cui vede in cielo qualcosa di straordinario – un fenome-no non associabile ad alcunché di conosciuto, ma travolgente come il primo sguardo di intesa profonda fra due persone che improvvisa-mente sentono di amarsi – viene automaticamente “attivato” e inizia il suo viaggio. Ovvio che non dipende da noi, se non in minima parte, iniziare il percorso. Però queste intelligenze, che al momento preferirei chiamare entità, sanno quello che vogliono. Hanno la loro “agenda”, per noi ancora non del tutto chiara, ma degli spiragli per comprendere la dinamica della questione ufo esistono.

Page 147: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

147

Vediamo cosa disse, sintetizzando e storicizzando tutto il fenome-no, il professor Josef Allen Hynek. Famoso astrofisico e consulente dell’Air Force nel Project Blue Book, Hynek elaborò la sua classifica-zione basandosi su diversi parametri di avvistamento e di incontri ravvicinati con gli ufo e i loro occupanti. L’incontro ravvicinato del primo tipo (CE1) riguarda l’avvistamento di un oggetto volante non identificato a distanza ravvicinata. Nel secondo caso (CE2) l’oggetto ha interagito con l’ambiente circostante, le cose e le persone, crean-do tangibili effetti fisici. Nel terzo caso (CE3), il testimone riporta l’osservazione di entità animate (occupanti) in associazione alla pre-senza dell’oggetto non identificato. Questa classificazione, introdotta da Hynek nel suo libro The ufo Experience: a Scientific Inquiry del 1972, era ovviamente incompleta. Una miriade di varianti e di fattori diversi ha sempre concorso a complicare enormemente le cose, Hynek se ne rendeva conto. Però, ha ancora una sua validità, considerandola come giusta e comprensibile base di conoscenza per persone non in-dottrinate in Ufologia. La categoria CE4 (incontri del quarto tipo) fu aggiunta da altri ricercatori, data l’insorgenza del fenomeno abduction. A parere mio, Hynek omise volutamente tale aspetto della questione, sia in ragione della sua reputazione scientifica da non inficiare con slittamenti in un settore irto di trappole quale i rapimenti alieni, sia perché probabilmente ritenne che all’epoca non esistesse una casistica egualmente rilevante rispetto alle prime tre categorie.

Se Hynek avesse voluto o potuto spingersi più in là, il quin-to tipo (CE5) avrebbe dovuto riguardare i cosiddetti ufo crash, i casi di oggetti non identificati precipitati e recuperati, con o senza equipaggio. Lo avesse fatto, scrivere la storia dell’Ufologia moder-na avrebbe incluso capitoli troppo scottanti, non divulgabili sia per l’establishment politico/militare e industriale degli Stati Uniti e di altre nazioni, sia per le religioni monoteiste e dogmatiche. Le fondamenta istituzionali avrebbero ceduto miseramente e i poteri forti che si ergono su di loro sarebbero crollati. Immaginiamo un portavoce di Washington che in televisione faccia questo annun-

Page 148: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

148

cio: «Sì, concittadini americani, vi abbiamo mentito per cinquan-ta-sessant’anni, ci auguriamo solo che comprendiate che è stato necessario mantenere questo segreto in nome della sicurezza na-zionale. Ecco, in questa foto potete vedere uno degli extraterrestri che caddero a Roswell nel 1947. La prossima settimana terremo una conferenza stampa che sarà teletrasmessa in tutto il mondo. Vi presenteremo le prove fisiche dell’esistenza di esseri alieni che hanno visitato il nostro pianeta».

Luigi Tenco, nel 1966 cantava così.

Un giorno dopo l’altroil tempo se ne vale strade sempre uguali,le stesse case.Un giorno dopo l’altroe tutto è come primaun passo dopo l’altro,la stessa vita.E gli occhi intorno cercanoQuell’avvenire che avevano sognatoma i sogni sono ancora sognie l’avvenire è ormai quasi passato.

Aveva ragione, Luigi. Allora l’ultima frase, la muovo verso di noi, al nostro argomento. Il sogno, la conferenza stampa e i riflettori tutti puntati sulla nuova realtà, non si realizzeranno a breve termine, né a lungo termine, ne sono convinto. Purtroppo le porte del paradiso degli ufologi sono chiuse ermeticamente dall’interno e la chiave è stata nascosta da qualcuno tanti anni fa.

Hynek, in vita, si dovette accontentare del purgatorio, evitando il baratro dell’inferno in cui tanti sono finiti, traditori della causa, privi di qualunque coscienza e incapaci di empatia con il genere umano. Da quanto ho saputo di lui, Allen Hynek era una persona un po’

Page 149: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

149

schiva e molto introspettiva. Durante gli ultimi anni aveva oltrepas-sato di molto la soglia canonica degli incontri ravvicinati, esploran-do, come John Mack, altre dimensioni, altri luoghi, altre esistenze. Gli va dato atto della sua discrezione. Una virtù diametralmente op-posta all’arroganza e all’intolleranza che sfrontatamente caratteriz-zano diversi studiosi di ufo, italiani e non.

Due spunti che mi stanno a cuore, ora, collegati al fenomeno abduc-tion. Del caso Travis Walton si sa molto. Travis, fra l’altro, è apparso una miriade di volte in televisione e il suo rapimento è giustamente considerato il più famoso nel mondo. In sintesi, il 5 novembre 1975 a Snowflake, in Arizona, un giovane boscaiolo fu rapito da un ufo sotto gli occhi di sei compagni di lavoro e riapparve cinque giorni dopo. L’inchiesta della polizia che ne seguì accertò sostanzialmente i fatti da lui narrati a mente fredda e in regressione ipnotica. Travis è un amico, che ho incontrato anche di recente. Vale qui riportare uno stralcio di un’intervista rilasciatami da lui nel 1996. maurizio baiata: La tua esperienza in regressione ipnotica non fu grade-vole, vero?travis walton: All’epoca, lo scopo delle sedute era fornirmi i mez-zi per raccontare cosa mi fosse accaduto senza rivivere tutta la paura che avevo provato. Perché sino ad allora, ogni volta, il semplice par-larne per me era stato emozionalmente traumatico, quindi mediante l’ipnosi cercarono di mettermi in grado di ricostruire l’esperienza. Non ottenni nuovi dettagli. Con un’eccezione: il dottor Harder vole-va chiarire se esistessero ricordi repressi da far riaffiorare e se l’ipno-si potesse essere rischiosa per me, se spinta oltre. Non sono sicuro della sua opinione. Alcuni degli esperti presenti ipotizzarono che si trattasse forse delle mie paure del subconscio e che forse non c’era-no altri ricordi. Mio fratello, però, assistette all’ipnosi e mi consigliò di non proseguire le sedute, perché poteva essere pericoloso. Pensai, d’altronde, che se avessi individuato altri ricordi, quali benefici avrei

Page 150: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

150

potuto trarne? Rivivere il trauma poteva presentarsi ancora più com-plesso, dovendo fare i conti con quella realtà.

Hynek fu coinvolto nelle indagini sul tuo caso, come lo ricordi? Il dottor Hynek era una persona oggettiva, scientificamente prepa-rata, che non tirava conclusioni affrettate. Dopo un’investigazione approfondita sugli elementi probatori, volle incontrarmi di perso-na prima di pronunciarsi. Malgrado fosse pressato da più parti, si espresse solo dopo aver raccolto tutti i dati necessari. Nel corso di una conferenza stampa disse che riteneva il mio caso autentico e smontò diverse accuse infondate che mi erano state rivolte.

Nei passaggi appena esposti emergono due elementi importanti, che purtroppo mancano quasi sempre lavorando nel campo delle abduc-tion in Italia. Il primo è costituito dalla collaborazione alle indagini dello psicologo James Harder e di J.A. Hynek, importante per accer-tare la veridicità della testimonianza di Walton. Il secondo è l’ipnosi, mediante la quale il soggetto, anche a distanza di molto tempo, rivive e desidera rimuovere il trauma dell’esperienza. A mio avviso, questo momento rappresenta il secondo livello di contatto con intelligenze aliene. Il secondo gradino della scala verso la consapevolezza. L’e-spansione di coscienza è al punto di non ritorno. Il viaggio interiore è iniziato e affiorano le paure, i demoni muti sopiti del subconscio vengono fuori, urlano, strepitano ed è un processo doloroso perché non si può soffocarli, coprendoli con il manto della ragione, ma bisogna affrontarli. Ecco perché l’ipnosi si rende strumento neces-sario ed essenziale per affrontare il distacco dalla terza dimensione nella quale viviamo intrappolati.

Il desiderio più grande per gli experiencers, coloro i quali si sento-no addotti, o credono di aver vissuto un’esperienza di abduction, è ritrovare fiducia in se stessi, sentire di essere in grado di sostenere l’impatto con la nuova realtà ed eventualmente disporsi a un’altra

Page 151: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

151

esperienza, a un altro incontro con esseri sconosciuti, che ci visitano con o senza il nostro consenso. In altri termini, superare la paura.

Un mio amico di Phoenix, proprio questa sera, mi ha scritto: «Sia-mo come le navi che solcano il mare nella notte, abbastanza vicine per vedere le luci e riconoscere spiriti affini ma, a causa degli eventi che ci circondano, incapaci di lavorare insieme per la causa comune». L’amico è un giornalista americano operativo soprattutto attraverso internet. Ha un’ottima reputazione come scrittore di tematiche lega-te alle tecnologie aerospaziali, è un esperto pilota, si esprime in un inglese perfetto, a volte molto elaborato. Ci siamo trovati all’inizio del 2010, quando cercavo redattori per la rivista Open Minds che poi avrei diretto a Tempe. Lo convinsi, nonostante le sue reticenze, a venire a lavorare in redazione. Se avesse accettato, sarebbe entrato in quella che qui si chiama corporate company, una società per affari le cui regole sono piuttosto limitanti e restrittive. Non mi dilungo, ma lavorare per una corporation in America vuol dire aver scelto di essere “dentro il sistema”. L’amico mi diede ascolto. Lo stipendio era allet-tante e avrebbe operato a stretto contatto con me in uno staff gior-nalistico chiamato a realizzare la prima, nuova rivista ufologica negli Stati Uniti, dopo tanti anni. Resse tre giorni. Cercai di convincerlo a restare, ma non ci fu nulla da fare, non si sarebbe mai assoggettato agli orari di lavoro, agli ordini da eseguire, alle “scarpe da lucidare”. Riconsegnò le chiavi dell’ufficio e rinunciò a un posto che poi, altri, si sono affrettati a occupare. Questo mio amico è un addotto. Mi ha pregato di non dirlo in giro e non l’ho mai detto a nessuno. Me lo ha rivelato durante un nostro pranzo in un ristorante greco di Tempe. Io gli ho detto qualcosa della mia esperienza, che non riuscivo an-cora a capire, e lui ha cominciato a descrivermi la sua condizione di single inveterato e il perché avesse scelto di vivere, pur ben inserito nella comunità ufologica di Phoenix, fuori da organizzazioni come il mufon (Mutual ufo Network) locale e i gruppi di incontro. Un lupo solitario. Dovevano esserci altre ragioni. L’ho presa alla larga, par-lando di affari di cuore. Alto, imponente, un bel viso incorniciato da

Page 152: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

152

una barba bionda, alle donne dovrebbe piacere e non è gay. Ha una voce calda e suadente. Ha rinunciato al rapporto di coppia. Lo incal-zo e comincia a spiegarmi. «Vedi, preferisco vivere da solo, perché non credo di poter condividere con una compagna un’esperienza come la mia, con la quale neppure io riesco a fare i conti, tutte le mattine, appena mi sveglio». Mi ha colpito al cuore, mi ha emozio-nato. Gliel’ho detto subito, che la cosa mi stupiva perché mai avrei immaginato che avesse a che fare con contatti diretti con gli alieni. «Te lo sto dicendo ora, Maurizio, amico mio, e sei il solo a saperlo». Non ho potuto aggiungere altro. La sua situazione è confusa. È in divenire, molto interiore, legata alla sua personalità da eremita. Ecco cosa mi ha scritto in chiusura della sua ultima e-mail: «Abbiamo, noi due, una causa in comune e sono certo che i nostri percorsi si incontreranno ancora, in un punto forse lontano».

Cosa dire? Non è più come venticinque anni fa a New York, con la mia vita difficile ma spensierata da rockettaro bohémien, ora sei sulla sessantina e devi fare i conti con la tua esistenza. Quindi un amico, se lo trovi, anche avesse idee completamente diverse dal-le tue, è un bene inestimabile. Così, al termine del nostro pranzo greco, riaccompagnandolo a casa nel caldo infernale di un luglio ribollente a Tempe, l’amico mi disse: «E allora, tu che intenzioni hai, vuoi capire qualcosa di più di quello che ti successe quando vennero a farti visita?»

Gli risposi: «Si vedrà, per ora a me basta sapere che erano alieni e li ho mandati via».

Forse queste mie pagine non spiegano per niente il fenomeno ab-duction. Di sicuro, anzi, aggiungono ben poco alla sua soluzione. Ma io sono un cronista di quanto mi accade. Quando un amico mi fa ca-pire che vuole vivere la sua esperienza da solo, rispetto la sua scelta. Vorrei aiutarlo, ma capisco anche la sua discrezione e, soprattutto, capisco se ha i mezzi per andare avanti da solo e il suo raccontare è stato quello che definiamo condivisione.

Page 153: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

153

Nel 1985 wplj fm di New York City rivolse un sondaggio alle sue centinaia di migliaia di ascoltatori, invitati a votare la migliore canzo-ne rock di tutti i tempi. Fu eletta Stairway to Heaven (“Una scala per il paradiso”) dei Led Zeppelin. Una parte del testo, recita:

And it’s whispered that soon if we all call the tuneThen the piper will lead us to reasonAnd a new day will dawn for those who stand longAnd the forests will echo with laughter… And it makes me wonder.6

Robert Plant, voce dei Led Zeppelin, eseguendo questa canzone dal vivo, ha spesso fatto seguire alla frase «And the forests will echo with lau-ghter», una domanda rivolta al pubblico: «Do you remember laughter?», “Vi ricordate il sorriso?”

6 Si mormora che presto, se tutti intoniamo la musica giusta / Il pifferaio ci guiderà alla ragione / E un nuovo giorno spunterà per quelli / Che stavano aspettando da tanto. / E le foreste echeggeranno di risate / … Questo mi meraviglia.

Page 154: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

154

xv

Abduction e risveglio

I rapimenti alieni sono un fenomeno complesso, da una parte in-quietante e oscuro, dall’altra – apparentemente – si integrano nella più ampia accezione degli incontri con intelligenze aliene e rappre-sentano il terzo livello del contatto, con i suoi risvolti ancora tutti da analizzare. Su entrambi i versanti, comunque, manca una teoria unificante, fondamentale per trovare e indicare una via di uscita per le persone che vivono queste esperienze.

I sostenitori della teoria degli “antichi astronauti” affermano che da tempo immemore esiste un collegamento costante fra diverse razze extraterrestri e noi terrestri. Ed è così che gli eventi sembra-no emergere dalle pagine perdute e ritrovate della prima storia re-gistrata dell’umanità, le scritture cuneiformi sulle tavolette d’argilla dei sumeri. Altri, scavando ancor più nel passato, ritengono la razza umana progenie di un seme estraneo al nostro mondo. Pur bizzarra, se questa teoria fosse corretta nel suo assunto, un programma alieno ultra millenario sarebbe responsabile della “realizzazione biologica” dell’essere umano, Homo Sapiens, che conosciamo.

In un rapporto redatto nel 2005 dall’ufologo americano George A. Filer, leggiamo:

Page 155: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

155

Il premio Nobel Francis Crick, scopritore del dna, ha pubblicato un libro nel quale ha sottoscritto la teoria del disegno intelligente, ovvero che il nostro universo non è semplicemente il risultato di una serie di incidenti chimici e che la vita non si è palesata ed evoluta prima sulla Terra, bensì a opera di una civiltà extraterrestre molto avanzata e in procinto di estin-guersi che trasmise i propri mattoni genetici all’essere umano. Lo fece modificando il proprio dna e inviandolo su altri pianeti, sotto forma bat-terica attraverso sciami meteorici. È per questo che siamo qui.

Ipotesi affascinante, quella di Crick, ma il dilemma delle abduction non dipinge uno scenario in cui batteri e meteoriti dispensano pote-re cognitivo a una primitiva forma di vita umanoide senza cervello. Invece, tale enigma segna una pietra miliare, se non la tappa finale di un programma permanente di incroci genetici fra alieni ed esseri umani. Sembra che razze et interagiscano con noi attraverso con-tatti personali e ripetuti incontri faccia a faccia con le persone più disparate e in ogni luogo del mondo. I soggetti sono persone comu-ni e sane di mente, che dichiarano di vivere esperienze di contatto diretto con entità non terrestri, o provenienti da altre dimensioni. Il mosaico che questi rapporti rappresentano è incredibilmente com-plicato. Per ricostruirlo, il ricercatore deve mantenere una mente molto aperta e partire da un approccio multidisciplinare, armarsi di grande pazienza, disporre di una conoscenza di base della storia de-gli ufo, del folclore, delle antiche tradizioni, dei linguaggi simbolici, delle religioni dogmatiche e della psicologia umana. Dal canto loro, gli ufologi ortodossi ancorati alla loro visione da piccolo mondo antico, contribuiscono poco o nulla alla soluzione del dilemma, o a dare una speranza agli addotti, lasciati da soli.

Nei primi anni Novanta, il dottor John Mack, professore ordinario di Psichiatria alla Harvard University, scrittore e vincitore del pre-mio Pulitzer, si fece carico di guardare a tale fenomeno e per oltre un decennio studiò circa duecento casi coinvolgenti persone che ritenevano di essere state rapite da esseri alieni. In loro, Mack non ri-

Page 156: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

156

scontrò disturbi mentali e invitò la comunità accademica ad avviare una seria indagine scientifica. In breve, invece, Mack si scontrò con il collegio di Harvard e, se non fu sottoposto a un processo dell’In-quisizione per eresia, fu oggetto di un’indagine tesa ad accertare se le sue azioni in qualche modo costituissero un caso di cattiva condotta professionale. Il presupposto era che Mack non poteva trattare i suoi “pazienti” secondo i criteri riconosciuti e metodologie scien-tificamente fondate. Spesso, questo è il destino dei pionieri. John Mack ha sfidato con grande coraggio il sistema, ha vinto – tutte le accuse contro di lui sono cadute – e ha creato un precedente. Tutta-via, dopo la sua morte accidentale (a mio avviso sospetta) avvenuta per mano di un automobilista ubriaco a Londra nel 2004, il quadro generale è rimasto sconfortante e invece di seguirne l’esempio, la maggior parte dei suoi colleghi continua a ignorare l’idea stessa di un tale fenomeno, se non per dire che i soggetti vivono in un costante delirio della loro personalità. Meglio dare del matto agli altri, piutto-sto che mettere a repentaglio la propria carriera.

Lo riprova la prestigiosa Università di Londra che, nell’agosto del 2002, pubblicò i tranquillizzanti risultati di uno studio condotto da Katharine J. Holden e Christopher C. French, intitolato Esperienze di rapimento alieno: alcuni indizi dalla neuropsicologia e dalla neuropsichiatria.

Nella premessa, lo studio asseriva:

Molte migliaia di persone in tutto il mondo credono fermamente di essere state rapite da esseri alieni e portate a bordo di astronavi, dove sarebbero state sottoposte a dolorosi esami medici.

Nello sviluppo del tema, si affermava:

Dato che tali resoconti sono quasi certamente falsi, quattro aree delle neuroscienze analizzano i possibili indizi che possono portare verso una più piena comprensione delle esperienze dei rapimenti alieni.Si sostiene, in primo luogo, che le paralisi del sonno possono essere all’origine di molti di questi resoconti. In secondo luogo, si considera

Page 157: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

157

la ricerca sulle false memorie. Gli addotti possono essere più inclini a falsi ricordi rispetto alla popolazione generale. In terzo luogo, vengono considerate le prove relative alla salute mentale dei rapiti.

Nelle conclusioni, si diceva:

Se ne è dedotto che non esiste attualmente alcuna prova convincente per tassi più elevati di una psicopatologia grave tra i rapiti rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, i rapiti sembrano mostrare livelli più elevati in misure potenzialmente rilevanti, per esempio, nella tendenza a dissociare. Infine, le esperienze di rapimento alieno possono essere col-legate a un’attività anormale dei lobi temporali. In conclusione, anche se le neuroscienze possono fornire molti indizi sulla natura di questa bizzarre esperienze, sono necessarie ulteriori ricerche prima di poter giungere a una loro piena comprensione.

L’impalcatura dello studio britannico è terribilmente dogmatica: secondo la scienza, le testimonianze degli addotti «sono quasi cer-tamente false». Uno spiraglio viene peraltro lasciato aperto, ai fini di accertare la reale natura di queste esperienze. Ma nessuno se ne prenderà mai la responsabilità.

E gli ufologi? Gran parte dei ricercatori ufo considera irrilevante l’ar-gomento perché a loro modo di pensare non sussistono “evidenze oggettive” per sostenerlo. I casi segnalati sono scartati come risultato di allucinazioni, psicosi e disturbi mentali. Con un piccolo esame di coscienza, questi signori ufologi dovrebbero ammettere che la que-stione abduction è troppo difficile da affrontare per loro. Dovrebbero umilmente riconoscere la propria incapacità e dare ascolto ai protago-nisti delle esperienze, anziché ignorarli o emarginarli.

Diverse organizzazioni ufologiche, anche negli Stati Uniti, hanno ridotto tutto a mere statistiche, lavandosene le mani.

Alcuni dei loro membri si sono opposti a questo modus operandi e si sono riuniti in gruppi di studio autonomi, generando inevitabili

Page 158: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

158

rotture e separazioni con i loro capi. Cercano di lavorare in coordi-namento con altri colleghi e si rivolgono a psicoterapeuti e ipnotera-peuti qualificati per lavorare insieme. Quei ricercatori indipendenti che hanno percepito la realtà, il peso e le profonde implicazioni del fenomeno, hanno deciso di concentrarsi esclusivamente su tale ma-teria, ma sono cani sciolti, non hanno vita facile. Una frangia della comunità ufologica ammette che il fenomeno esi-ste, affrontandolo però sulla base della riduttiva “ipotesi socio-psi-cologica”. Questa teoria è stata definita alla fine degli anni Ottanta da Jacques Vallée, astrofisico di origine francese considerato fra i più autorevoli studiosi della materia. Pur senza sminuire la consisten-za dei casi di rapimento, Vallée ci dice che essi hanno luogo in un «mondo ultra-dimensionale», invisibile, ma reale. Noi esseri umani abbiamo il libero arbitrio e la coscienza, ma la nostra mente rifiuta di accettare la reale possibilità di interferenze aliene (o alle loro mani-festazioni ingannevoli). Pertanto, secondo Vallée, i casi di rapimento devono essere trattati solo da personale qualificato, come psichiatri e psicologi. E ancora, l’ipnosi regressiva come metodo di indagine, se e quando viene impiegata per recuperare i ricordi dei rapiti, risulta del tutto inadeguata.

In un’intervista rilasciata a Linda J. Strand e pubblicata nel suo libro Dimensions7 Vallée afferma con veemenza: «Il modo in cui l’ip-nosi è utilizzata da molti ricercatori ufo mi disgusta. Non solo è sbagliata, è irresponsabile, non scientifica e profondamente immo-rale». Nella stessa intervista, Vallée conclude: «La cosa più tragica in questi casi, ovviamente, è che i dati reali potrebbero andare persi per sempre. Anche se condotta da un professionista, l’ipnosi regressiva produce ricordi della prima trance, piuttosto che ricostruire l’evento stesso. Tutti gli inquirenti non fanno altro che inquinare la mente del testimone».

7 Ballantine Books, 1988.

Page 159: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Sopra: Aqualung, l’album dei Jethro Tull che ha segnato per sempre la vita dell’autore.Sotto: Maurizio Baiata a Roma, nei primi anni Settanta.

Page 160: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

A destra, il maestro Ciotoli durante l’esecuzione di un kata (foto: Archivio Paolo Ciotoli). Sopra, la squadra del kiai Roma. Il team si classificò terzo al Campionato italiano fik a squadre (sino a cintura marrone) del 1978. In alto a sinistra, sensei Wilfredo Roldan sulla copertina dell’an-nuario 1974 di Official Karate.

Una delle foto più famose del contattista svizzero Billy Meier (© Figu).

Page 161: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

A sinistra, immagine a in-frarossi, ripresa il 5 marzo 2004 da una pattuglia aerea della polizia militare messica-na, nel cielo di Campeche. Gli oggetti erano apparsi nel radar di bordo dell’aereo. Sotto, Clive Stevens.

Sotto, articolo a fi rma dell’auto-re sul fi lm Cocoon, pubblicato da Il Progresso Italo-Ame-ricano nel giugno 1985.

Page 162: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando
Page 163: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Nella pagina accanto, Klaus Schulze e la cover del suo al-bum Irrlicht, accanto a quella di Happy Sad, di Tim Buc-kley. Accanto, poster del n. 7 del mensile Muzak contenente l’inserto sulla sessualità che causò il processo al Collettivo di redazione. In questa pagina, dall’alto, la famiglia Baiata Bates. L’auto-re è sulle ginocchia del padre. Accanto, articolo di L’Av-venire del Mezzogiorno dedicato a Giuseppe Baiata Bates il 16 febbraio 1957 e la dichiarazione dell’Uffi cio di immigrazione inerente il pa-dre dell’autore, al suo arrivo a New York il 3 febbraio 1920.

Giuseppe Baiata era già stato negli Stati Uniti, nel 1912 e 1915. A sinistra, Dado, grande Cane da Montagna dei Pirenei, foto-grafato nel 1985 nel giardino della casa dell’autore, a Emer-son, New Jersey.

Page 164: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando
Page 165: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Nella pagina accanto, titolo dell’ottobre 1954 che testimonia il fenomeno della “ca-duta di capelli d’angelo” (bambagia silicea) su Firenze. Sotto, un articolo dedicato agli Who, pubblicato su Il Progresso Italo-Ameri-cano il 21 dicembre 1982, Antonello Venditti e Rino Gaetano ai tempi della loro amicizia. Infine, la copertina dell’album Alchemy della Third Ear Band.

In questa pagina, a sinistra: il 5 febbraio 1992 la Columbia TriStar Home Video presentò alla stampa la serie ufo realizzata dall’autore. A destra, in alto, pagina di Paris Match del 7 novembre 1996, con la foto scattata da Linda Kabot a East Quogue, New York, pochi minuti prima dell’esplosione del twa 800 e alcuni fotogrammi tratti dalla serie ufo: Miracle of the Unknown.

Page 166: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Dall’alto, a sinistra: la “creatura” del Santilli Footage; il documentarista Ray Santilli nel suo ufficio londinese (foto: Philip Mantle); la sola immagine esistente dell’essere della prima autopsia,

nell’illustrazione realizzata da Wendy d’Olive su indicazioni dell’autore: fotogramma tratto dal film Alien Autopsy (foto: Qwerty Films), creatura distesa sulla barella

nella scena in bianco e nero inserita nel film Alien Autopsy (foto: Qwerty Films).

Page 167: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

In alto, la prima pagina del Roswell Daily Re-cord dell’8 luglio 1947. Sotto, Philip J. Corso, in servizio al Pentagono nei primi anni Sessanta e, accanto, a Tokyo nel 1953, insignito di onorificenze militari con alcuni colleghi (foto: us Army). Qui sopra, il modulo 66, che ne illustra la carriera mi-litare e, a fianco, la copertina de Il giorno dopo Roswell, edizione italiana del suo bestseller.

Page 168: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

In alto, il dottor Michael Wolf (foto: Paola Harris) e la copertina di Af-ferrando il Cielo, edizione italiana del suo libro, The Catchers of He-aven. Qui accanto, Robert Dean nei primi anni Sessanta (foto: Robert Dean) e, sotto, con Wendelle Stevens (a destra). Il colonnello Stevens ci ha lasciati nel 2010 (foto: Maurizio Baiata).Nella pagina accanto, il taglialegna Travis Walton nel 1978, tre anni dopo la sua esperienza (foto: Mike Rogers) e a Roma, il 24 settembre 2011 (foto: Maurizio Baiata).

Page 169: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

A sinistra, poster del film Fire in the Sky, basato sul rapimento di Walton. A destra, Awakening, di Mary Rodwell, fon-damentale per l’approccio terapeutico al fenomeno abduction. Sotto, a si-nistra, lo psichiatra John Mack (foto: Paola Har-ris) e, a destra, l’ipnotera-peuta australiana Mary Rodwell con la giornali-sta italoamericana Paola Harris.

Page 170: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

Accanto, Eugenio Siragusa. Nell’illustrazione, un incon-tro di Siragusa con due en-tità extraterrestri e, accanto, un articolo del quotidiano La Sicilia.Tutte le immagini presenti in questa pagina sono state gentilmente concesse da Ora-zio Valenti, curatore del sito: www.eugeniosiragusa.it.

Page 171: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

In alto, i contenitori di re-perti biologici alieni custoditi in un sotterraneo dell’Area S4 (illustrazione: Agnes Shejock).Qui accanto, il cartello che avverte di non oltrepassare il confine (foto: Lori Wagner) e, sotto, l’autore in cerca di guai (foto: Lori Wagner).

Page 172: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

In alto, a destra, il primo numero del bimestrale Open Minds, diretto da Maurizio Baiata a Tempe, Arizona. Accanto, Debbie Ziegelmeyer, Jesse Marcel Jr., l’autore e Chuck Zukow-sky al Debris Field. Sotto, il “campo dei rottami” al Foster Ranch e il ma-nichino dell’alieno esposto al Museum of Roswell. A sinistra, Jesse Marcel Jr. davanti al capanno dove suo padre, il maggiore Jesse Marcel, ripose parte dei rottami rinvenuti sul Foster Ranch nel luglio 1947 (tutte le fotografie di questa pagina sono dell’autore).

Page 173: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

La foto accanto, conservata presso gli archivi del Museo Storico della Chaves County (New Mexico), mo-strerebbe il sito dove, nel luglio 1947, precipitò un ufo. Sotto, una delle maestose rocce rosse di Sedona (foto: Maurizio Baiata). In basso, Keith Moon, batterista degli Who (foto: Commons Wikipedia) e i Jefferson Starship durante il loro concerto al Pearson Auditorium di Roswell (foto: Maurizio Baiata).

Page 174: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

A sinistra, Jimi Hendrix. A destra, Tom Ruffin, regista e produttore esecutivo di Open Minds (foto: Maurizio Baiata).

Sotto, la psicoterapeuta Ruth Hover e la copertina di Communion di Whitley Strieber.

Page 175: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

161

Seppur culturalmente interessante, l’approccio di Valleé non con-tribuisce alla soluzione del problema abduction. Inoltre, nei suoi bestseller letterari, Vallée ha portato avanti la teoria dell’“inganno alieno”, che ha trovato terreno fertile radicandosi nelle menti di numerosi “interessati” e della gente comune. In sintesi, la mente dei rapiti sarebbe influenzata da una serie di impulsi allucinatori prodotti dall’inconscio.

L’idea di extraterrestri malevoli non è nuova, ma negli ultimi tempi il suo database si è arricchito di informazioni, prove ed elementi docu-mentati. Modelli ricorrenti sono stati identificati, quali il missing time (vuoto temporale, o tempo mancante), le screen memories (ricordi di copertura), paralisi notturne, cicatrici sul corpo, misteriose gravidan-ze interrotte con la rimozione del feto apparentemente eseguita dai “visitatori”. Su base testimoniale, poi, procedure mediche invasive, incentrate sul sistema riproduttivo umano, ricorrono costantemente. Gli esseri definiti Grigi ne sarebbero gli esecutori materiali. Il loro obiettivo sembra essere un programma di ibridazione che – secondo l’ufologo Budd Hopkins, scomparso nel 2011, e lo storico David Ja-cobs – interessa l’albero genealogico dei rapiti per generazioni.

Dietro il velo di questo mistero, le intenzioni dei visitatori sono an-cora da decifrare. La loro “agenda”, con o senza la partecipazione dei servizi segreti militari nelle cosiddette “milab’s”, le Military Abductions, portate alla luce dal ricercatore aerospaziale austriaco Helmut Lam-mer, viene interpretata come negativa. Si tratta di attività congiunte di gruppi speciali appartenenti a strutture militari, o di agenti governativi sotto copertura, in operazioni connesse ai rapimenti alieni. Sono state riportate sin dagli anni Novanta da ufologi ed experiencers statunitensi, come la compianta ricercatrice Karla Turner, Debbie Jordan, Leah Haley, Whitley Strieber e Melinda Leslie. Nutrito dal sensazionalismo dei tabloid e dall’industria cinematografica (il terribile film The Fourth Kind – “Il quarto tipo”, ne è un triste esempio), il lato oscuro dei rapi-menti alieni prevale su qualsiasi altro scenario.

Page 176: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

162

Contrariamente a questa visione, un certo numero di ricercatori ri-tiene tali esperienze positive, nella convinzione che gli et abbiano svolto e svolgano ancora un ruolo costruttivo nella storia dell’u-manità. Creature extraterrestri, o ultra-dimensionali, visiterebbero il pianeta Terra da sempre, con motivazioni che li legano al nostro processo evolutivo. In ragione di tale loro interferenza non plateale e invasiva esclusivamente ad personam, quanto avviene oggi potrebbe rappresentare l’ultima fase del loro intervento, che presto (ma non si sa quando) si concluderà con un esodo dalla Terra, un piano di salvezza cosmica riservato agli eletti. In quest’ottica, gli addotti di-ventano simili ai contattisti degli anni Cinquanta e Sessanta.

Gli esseri umani rapiti godrebbero del privilegio di vedere la pro-pria coscienza risvegliata da “altre intelligenze”. Sono in grado di aprire i loro cuori a tale presenza ultraterrena, anche se l’esperienza, necessariamente è traumatica sul piano emotivo. Lo ha descritto me-ravigliosamente Whitley Strieber in Communion e nei successivi suoi bestseller, osservando in se stesso le diverse fasi e lo sviluppo di un rapimento alieno che ha avuto inizio nella paura e nell’oscurità e si è evoluto in accettazione e nella luce.

Quando il soggetto è disposto a interagire con gli alieni, il suo io si apre a nuove realtà, come il channeling (comunicazione con entità disincarnate), facoltà esp (Extra Sensory Perception), discipline quali le arti marziali, lo Yoga, tecniche di respirazione e varie forme di meditazione e di rilassamento, sino a giungere a stati alterati di co-scienza e all’attivazione di condotti di comunicazione paranormale. L’obiettivo è portare l’individuo a individuare il suo centro energeti-co e verso la scoperta delle sue vere origini.

Nel libro Abductions8 il dottor John Mack ha scritto in merito a uno dei suoi pazienti:

Alla fine di giugno, Dave mi ha scritto un’altra lunga lettera, piena di “strane coincidenze” e nuove connessioni fra persone coscienti di vive-

8 Ballantine Books, 1994.

Page 177: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

163

re in questa vita, ma anche di aver vissuto vite precedenti. La spiritualità dei nativi americani, lo sciamanesimo, gli incredibili poteri della natura, le realtà alterate, il chi, il karate, la padronanza dei sogni, le esperienze di abduction, lo sperimentare vite precedenti e una molteplicità di sincroni-cità sono tutti tasselli di un puzzle misterioso…

Mack ha davvero compiuto un grande balzo in quella che potremmo definire una “antropologia cosmica”. Ne sono convinto e spero che altri possano sottoscriverlo. Su un punto sembrano tutti d’accordo: non c’è alcuna prova definitiva di intenti malevoli da parte di esseri alieni, al di là – devo sottolinearlo di nuovo – del trauma psichico e non solo, subito dagli addotti. Gli scenari alla Independence Day non si sono realizzati. Tuttavia, il celebre astrofisico Stephen Hawking ha analizzato la questione del contatto con una civiltà extraterrestre giun-gendo alla conclusione che sia molto meglio per l’umanità mantenere una certa distanza da “loro”, perché degli extraterrestri non conoscia-mo la natura, né le intenzioni reali. Antropologicamente, il pensiero di Hawking si basa sull’osservazione del comportamento umano e mette in guardia dalla minaccia di una civiltà più avanzata che, volente o no-lente, potrebbe causare danni a una razza inferiore, in caso di contatto.

La teoria di Hawking, che è ben lungi dal sostenere la realtà degli ufo, si discosta da quella sottoscritta dal fine astronomo e cosmo-logo Carl Sagan nei suoi libri e serie televisive, come la celeberrima Cosmos. Sagan sosteneva la possibilità di un universo abitato da mi-riadi di intelligenze aliene, ma escludeva che esse fossero capaci di effettuare viaggi interstellari per raggiungerci, semplicemente per-ché le note e insormontabili leggi della fisica non lo consentono. Per Sagan, ufficialmente, l’intera questione ufo non era altro che un enigma inutile. In entrambi i casi, gli et non sono in grado o non vogliono farci visita.

Le cose potrebbero non essere esattamente come Sagan e Hawking hanno immaginato. Altre civiltà possono aver deciso di non interagire con noi, in base alla “prima direttiva”, il principio della “non interfe-

Page 178: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

164

renza” immaginato dal grande Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek. In esso, qualsiasi civiltà avanzata aliena appartenente alla “fede-razione unita dei pianeti” avrebbe concordato di non interferire con lo sviluppo di una razza meno avanzata di un altro pianeta. Può essere quindi che et stia a guardare i terrestri con crescente e giustificata apprensione, ma non può intromettersi nelle questioni della nostra politica interna. Se questo è il caso, siamo stati lasciati soli nella nostra corsa a perdifiato verso l’annichilazione planetaria.

Mentre le testimonianze sui rapimenti affiorano ogni giorno grazie all’abnegazione dei pochi ricercatori che se ne occupano seriamente, la maggioranza dei casi resta sommersa. Tante sono le persone che sanno che qualcosa di molto reale sta accadendo in loro, qualcosa che non capiscono. Il loro dramma esistenziale, il sentirsi sempre “fuori posto”, il non riconoscersi e il vivere in solitudine la profonda tra-sformazione che in loro si compie più velocemente che in ogni altro individuo dotato di coscienza e di anima, si risolvono nella domanda: «Perché, perché questo deve accadere proprio a me?»

In Italia il fenomeno abduction è stato accuratamente studiato dal dottor Corrado Malanga, il cui rigoroso lavoro in oltre vent’anni ha prodotto dei risultati che non sta a me, in questo libro, presentare o discutere. Se ricordo bene, nel 2004 Malanga ha scritto qualcosa di simile: «Tutto era semplice: gli alieni cercavano qualcosa, nel nostro dna, la fonte della vita eterna». Un’intuizione fulminante, un viag-gio che ho iniziato anche io e che avrebbe cambiato la mia vita. Un viaggio nel dolore e nella gioia dell’essere uomo.

Per chiudere questo capitolo riporto alcuni stralci di una mia inter-vista a Mary Rodwell, autrice di Awakening, ipnoterapeuta e direttrice del acern (Australian Close Encounter Resource Network). Mary ha assistito milleseicento persone, protagoniste di casi di abduction, provenienti da tutto il mondo. Ci siamo incontrati nel 2010 all’Inter-national ufo Congress di Laughlin, in Nevada.

Page 179: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

165

maurizio baiata: Alla luce dei molti anni da te dedicati alla ricerca sul feno-meno abduction, possiamo dire che queste esperienze ancora inspiegabili debbano essere studiate oggi da una nuova prospettiva che trascende la nostra realtà fisica?mary rodwell: Vuoi dire che è necessario espandere la potente energia dell’esperienza ad altri regni non-fisici…

Sì, verso nuove dimensioni da esplorare. Esiste, per esempio, un collegamento tra i contatti alieni e fenomeni paranormali come obe (Out of Body Experiences), e nde (Near Death Experiences)?Assolutamente sì. È il regno non fisico… Onestamente credo che la questione del contatto vada vista come un catalizzatore per il nostro risveglio. Allo stesso modo le esperienze di pre-morte sono un cata-lizzatore per noi nel risvegliarci al fatto che siamo esseri multidimen-sionali. Si può tradurre in diversi modi: un’esperienza di pre-morte per una persona, un contatto alieno per un’altra, per un’altra ancora può essere sperimentare un dolore devastante e profondo, che lo catapulta nel riconoscere e sperimentare altre dimensioni, altri regni. Secondo ciò che l’anima sceglie, io credo, prima che il soggetto pos-sa scendere a patti con la situazione.

Quindi, come si determina che è l’anima a decidere quale strada intraprendere?Con il mio lavoro in ipnosi accompagno le persone nelle vite pas-sate. In realtà, dovrei precisare “fra le vite”, dove sono in crescita come non-essere fisico. Mi dicono che a volte, prima di incarnarsi in forma umana, scelgono i loro genitori e le esperienze che in realtà li aiuteranno a crescere come anima. Così, quando regredisco qualcu-no che forse sta per entrare in un’astronave, gli chiedo: «Hai accon-sentito, a qualsiasi livello, alla tua esperienza?» Ogni volta è lui stesso a descriversi come uno spirito, come una sfera di luce e risponde: «Sì, l’ho fatto, anche se non me ne rendevo conto coscientemen-te, ma ho acconsentito!» Ed è incredibile come questo modifichi il modo di vedere l’intera esperienza. Gli addotti non sono più vittime,

Page 180: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

166

lo ammettono ed è il momento giusto per farli arrivare al dialogo con questi esseri. Quindi, in regressione, i rapiti vedono e vivono una procedura inquietante, che può anche essere spaventosa, perché è una procedura medica. Non capiscono. E li aiuto, dicendo: «Ok, bene, una parte di te sa perché lo hanno fatto…»

«Una parte di te»… Penso che questo sia un punto essenziale. Nel corso di una regressione, come riesci a capire se quella persona in quel momento è proprio solo se stessa, oppure dentro di lei c’è una componente aliena che comunica con te?Io la chiamo “saggezza interiore”, o “alta consapevolezza”. È il tuo subconscio che ha la comprensione. Persino il sé cosciente non lo sa. Così la persona accede a quel livello e inizia a dialogare con quella par-te di se stessa. E ha modo di sapere perché questo sta accadendo. La procedura non sempre ha a che fare con un esame medico, riguarda di più la sfera del sentimento. E se io chiedo: «Non capisci che si tratta di un sentimento?» mi risponderà: «Oh, sì, ora lo capisco».

Page 181: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

167

xvi

Eugenio Siragusa: «La verità non si vende e non si compra»

Eugenio Siragusa – il più grande contattista italiano di tutti i tempi e figura di spicco in questo campo anche a livello mondiale – è morto nell’agosto del 2006 a ottantasette anni. Lo incontrai nel 1998, gra-zie agli amici Valeria (Devi) Seminara e Carlo Barbera, che in anni precedenti a Eugenio erano stati molto vicini e, nonostante i loro rapporti si fossero molto diradati, godevano ancora della sua stima.

Organizzammo quindi la trasferta a Catania. Carlo e Devi si mosse-ro in auto dal loro podere Le Fontanelle in provincia di Grosseto e io presi un aereo per la città che diede i natali a mio nonno Nicolò e che non avevo mai visitato prima di allora. Ci incontrammo all’aeroporto di Fontanarossa (ct) e da lì ebbe inizio un viaggio che non dimenticherò mai. Attendevo l’occasione da lungo tempo e quando dall’entourage di Eugenio ottenni il consenso all’intervista, per me fu un grande onore.

Facciamo un salto indietro nel tempo, per inquadrare meglio la situazione.

Era il 1960 (avevo nove anni) quando sentii fare il suo nome per la prima volta. Mi trovavo in villeggiatura estiva a Ostia, con la mia fa-miglia. Doveva essere una domenica. Ricordo che i grandi parlavano, a mezza bocca, della fine del mondo, annunciata da un certo Siragusa,

Page 182: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

168

che era intenzionato a radunare sull’Etna una moltitudine di gente in attesa degli eventi. La mia fantasia infantile non poté che cavalcare l’onda allora. L’uomo contattato dagli et aveva annunciato una nuova era, quella dell’intervento dei nostri fratelli cosmici, preoccupati per il futuro di un’umanità prossima all’autodistruzione in un olocausto nu-cleare che avrebbe annientato il nostro pianeta. Lo spettro atomico in-combeva foraggiato dalla Guerra Fredda. Un argomento formidabile per la stampa popolare, come il settimanale La Domenica del Corriere, che al “profeta dell’Etna” dedicò un ampio articolo e un’illustrazione di Walter Molino che colpì molto la mia attenzione di ragazzino. Mi fece molta impressione. Quell’uomo attendeva il prossimo arrivo dei dischi volanti perché aveva incontrato i loro occupanti e io già guar-davo al cielo con la speranza un giorno di vederli. A quel che ricordo, ma potrei sbagliare, sull’Etna giunse almeno un migliaio di persone, ma non accadde nulla. Niente atterraggi, niente cataclismi.

La prima volta che lo vidi in carne e ossa, durante un collegamento televisivo della Rai dall’Etna, fu alcuni anni dopo. Siragusa aveva pro-clamato che il mondo era al collasso e che i bambini di questo pianeta erano in pericolo. Non solo, aveva già registrato un messaggio sonoro degli extraterrestri. Una voce metallica, proveniente da chissà dove, ammoniva sul destino segnato del genere umano e presto si sarebbero fatti vedere. Per questo, le telecamere della tv di Stato erano pronte a girare l’evento in luce notturna, all’interno di una grande tenda piaz-zata su una radura illuminata da potenti riflettori, una scena – in scala ridotta – degna dello Spielberg di Incontri ravvicinati del iii tipo. L’evento però non si verificò. Ovvio, perché quella fine del mondo preconizza-ta da Siragusa avrebbe dovuto essere interpretata non in senso lettera-le e nei tempi richiesti da menti costrette nei limiti del proprio livello razionale, bensì proiettata sulla Storia dell’umanità in divenire, in un futuro prossimo venturo che ora vediamo realmente avverarsi.

Confesso, comunque, che dei messaggi dei fratelli cosmici allora mi disinteressai, preoccupato com’ero dalla definizione tecnica del fe-nomeno ufo e dalla assurda domanda «esistono o non esistono?».

Page 183: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

169

Il mio interesse inevitabilmente avrebbe ripreso vigore nei pri-mi anni Ottanta approfondendo il fenomeno contattismo – a parte Adamski, del quale avevo letto un paio di libri, e la teoria della “lam-padina bruciata” di Pinotti – alla luce rivitalizzava del caso Meier. Una decade dopo, avendo maturato l’idea che ai contattisti innanzi-tutto bisogna lasciar dire ciò che vogliono, mi decisi a voler conosce-re di persona il loro più carismatico esponente italiano e così, grazie a Carlo Barbera, ebbi modo di incontrare Eugenio, a Nicolosi. Da quell’intervista pubblicai un articolo da me pesantemente editato sul bimestrale Dossier Alieni9 con grande sconcerto dei vertici del cun, che mi tacciarono di blasfemia per il semplice fatto di averlo scritto. Lo tagliai, epurandolo anche dei passaggi in cui Eugenio si esprime-va con parole molto dure nei confronti del suo “figlio spirituale”, lo stimmatizzato Giorgio Bongiovanni. Non è compito del giornalista entrare nel novero di divergenze tra persone, ci pensa già l’Ufologia di Stato a usare il mezzo del discredito ad personam per danneggiare l’altrui reputazione e porsi allo stesso livello del debunking più infin-gardo. Avevo però conosciuto l’uomo. Anziano, ma solido, lucido e coerente con le sue idee. Difficili da sintetizzare. La questione, fra Eugenio e me, riguardava il punto degli alieni benevoli e malvagi, soprattutto a causa del fenomeno abduction che interpretavo forse in maniera troppo riduttiva come totalmente negativo. Mi disse che, invece di inseguire gli alieni cattivi, avrei dovuto guardare agli umani malvagi. La sua visione era e credo sia rimasta sino alla fine legata a un’idea “cosmista”, di un’umanità piccola in un universo troppo grande per lei. Ho ascoltato e raccolto, nel corso degli anni, opinioni molto dure nei confronti di Eugenio. Io credo che la sua personalità fosse talmente carismatica e i suoi principi così fondamentalisti da non poter consentire ad altri di metterlo in discussione.

Credo anche che abbia sofferto grandemente per il male che gli è stato arrecato da ricercatori invidiosi, per i quali il contattista catanese era scomodo, troppo scomodo perché era un gallo che non poteva

9 N. 11, febbraio-marzo 1998.

Page 184: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

170

cantare nel loro pollaio, soprattutto in ragione delle sue affermazioni da accogliere come tali – alle quali credere o non credere restava un fatto meramente di coscienza personale. So per certo che era dotato di un fortissimo magnetismo, difficile da riscontrare in altri. E sono altrettanto certo che Eugenio era un essere umano e, come tale, non privo di difetti, ma resto dell’opinione che i suoi contatti siano stati reali. Non vedo assolutamente, anche in tarda età, in Eugenio Siragusa i sintomi della lampadina bruciata, del troppo voltaggio assorbito che lo avrebbe fatto uscire di senno, come il vertice del cun ha sempre sostenuto. È stato anche il mio interesse per Siragusa a portarmi a un confronto ancora più acceso e alla rottura con la dirigenza della suddetta associazione.

Eccomi dunque con Carlo e Devi in viaggio verso la frazione di Ni-colosi, dove Eugenio ci attende insieme alla moglie Miguela, al figlio Eli e a Orazio Valenti, giornalista, scrittore e suo biografo ufficiale. L’incontro durò circa quattro ore. Posseggo ancora tre audiocasset-te da sessanta minuti ciascuna contenenti la registrazione originale, dalla quale trassi il testo dell’intervista. La trascrizione, va precisato, fu sottoposta al vaglio di Miguela ed Eugenio.10

Nicolosi (Catania), 8 febbraio 1998

Inerpicandosi per la “strada vecchia”, con Catania alle nostre spalle in una quindicina di minuti si arriva nell’abitato di Nicolosi, la citta-dina alle pendici dell’Etna, dove da anni vive Eugenio Siragusa con la sua famiglia.

Mi accolgono affettuosamente, verso le 13; incrociamo gli sguar-di, ci abbracciamo. Non ci siamo mai incontrati prima, ma non c’è bisogno di rompere il ghiaccio, vorremmo già tutti far fluire le pa-

10 L’intervista a Eugenio Siragusa, apparsa per la prima volta sul bimestrale Dossier Alieni (n.11, febbraio-marzo 1998) con il titolo La verità non si vende e non si compra, è stata riedi-tata per questo libro.

Page 185: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

171

role, ma è ora di pranzo ed Eli, figlio unico di Eugenio e Miguela, ci accompagna in un ristorante lì vicino, dove la famiglia è di casa ma dove, stranamente, non hanno mai mangiato. «So che la cucina è ottima, ma noi preferiamo preparare i nostri cibi a casa, con quello che produce la nostra terra…» dice Eugenio.

Dopo pranzo, verso le 14:30 entriamo nello studio della casa, dove Eugenio accoglie gli amici. Lo chiamano tutti «papà» e il suono della parola è dolce, mi fa tornare molto indietro nel tempo, quan-do la pronunciavo. Siamo una decina di persone. Eugenio siede su un divano dove «sono state sedute migliaia di persone»; mi invita a sistemarmi accanto a lui, ma ha già iniziato a parlare, dopo aver aperto un volume dei suoi appunti e io sto ancora preparando il mio registratore, per cui le prime due letture si perdono.

Siragusa legge da un suo scritto del 1995:

L’uomo subisce un anomalo processo genetico. La vostra scienza mo-derna mirante a manipolare le dinamiche genetiche degli animali e di quanto dovrebbe conservare la naturale evoluzione tridimensionale, mette in serio pericolo gli equilibri enzimatici del pianeta Terra. L’uomo del pianeta Terra potrebbe perdere la sua reale identità ricevuta a suo tempo per volere di Coloro che lo hanno fatto a Loro immagine e somi-glianza. A causa di queste anomale manipolazioni che la vostra scienza senza coscienza produce, si evidenziano sempre più nella giovane gene-razione istinti felini animaleschi ed atteggiamenti somiglianti alla razza primitiva da cui provengono i primi esseri umani geneticamente istruiti dagli “Elohim” o Geni Solari Creanti. State attenti, perché è vero che l’uomo potrà perdere il suo ego-sum, la sua identità spirituale, e ritorna-re ad essere quello che prima di essere uomo, era.

Al termine della lettura, Eugenio completa il suo discorso intro-duttivo con queste parole: «Infatti, prima che i Creatori di forma e sostanza, i genisti cosmici, intervenissero per modificare la genetica dell’animale e per adattarla a ospitare l’intelligenza, l’uomo era un dinosauro acquatico lungo sei metri».

Page 186: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

172

maurizio baiata: Eugenio, la prima domanda che vorrei porti riguarda la possibilità che alcuni tipi di ufo siano macchine biologiche, macchine pensanti. eugenio siragusa: No, eccetto un tipo di astronave impiegata dai Serafini, esseri evoluti che, per viaggiare, possono usufruire di un mezzo mosso da plasma solare.

Sulle bio-macchine c’è l’autorevole, recente testimonianza del colonnello Philip Corso, il quale però non ne ha parlato nel suo libro… E secondo me ha fatto male; ha sbagliato ad avere scritto di aver vi-sto un alieno in una scatola di legno. Quello non era un alieno, ma un robot biologico creato per svolgere una missione particolare, come quell’essere che abbiamo visto in televisione intervistato nell’Area 51. Gli extraterrestri possono creare esseri artificiali comandabili a distanza, in grado di sostituirli in determinate circostanze.

Perché accadono i rapimenti, quindi senza il concorso della nostra volontà? Hanno le loro buone ragioni, cercano di modificare ciò che abbiamo sconvolto nella nostra genetica. Vedi quanto accade oggi nel mondo, uccidere e uccidersi è cosa di tutti i giorni! Con questi “rapimenti” vogliono innestare una genetica che possa evitare il progredire di questa involuzione. Infatti da anni sono in corso sofisticate manipolazioni nella specie umana per modificare la carica genetica portante il dinamismo di-stonico e turbolento. La qualità degenerativa si è sviluppata a causa della destabilizzazione e dell’inquinamento degli elementi che istru-iscono il dinamismo vitale bio-fisico-psichico. Sondano non solo la massa cerebrale, ma anche tutti gli effetti che essa sviluppa, man mano che le frequenze vengono modificate dal tempo e dal processo evolutivo del pianeta e degli elementi che lo strutturano, perché le vibrazioni positive o negative del dinamismo vitale influenzano l’attività genetica, determinando il comportamen-to e le attività delle azioni fisiche e psichiche dell’uomo.

Page 187: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

173

Sì, ma se venissero presi loro come si sentirebbero? Loro non possono essere presi.

La nostra quindi è una condizione infelice. Comunque, perché impiegare cin-quant’anni a lavorare sulla genetica umana, quando potevano benissimo inter-venire come hanno fatto con te, in maniera filosofica? Bisogna essere preparati interiormente e possedere dei valori spiri-tuali particolari. Io cerco di istruire le persone perché possano capire la loro reale identità. L’uomo terrestre possiede ancora un’intelligen-za larvale e ignora che è appena all’inizio della sua ascesa verso la superiore coscienza.

La gente comune, ma anche la maggioranza dei ricercatori sono ancora sulla strada, e non è detto che sia quella giusta, della comprensione del perché dei rapimenti alieni, eppure il fenomeno affonda le sue radici indietro nel tempo. C’è qualcosa che non va. È perché non è mai stata detta la verità; coloro che subiscono i rapi-menti, non essendo adeguatamente preparati, non ne comprendono il significato ed evidenziano solamente i traumi fisici e psichici.

Vengono rapite persone che non hanno niente a che vedere con l’Ufologia. Vengono accuratamente scelte!

Dobbiamo chiederci in base a quali criteri sono prelevate. Anche io sono stato “rapito” quando mi hanno imprigionato, ma non dagli extraterrestri!

Per quali motivi ti hanno arrestato? Ero un personaggio scomodo, pestavo i piedi ai potenti. Mi hanno tenuto in carcere ben settantadue giorni con l’intenzione di farmi mo-rire. Mi hanno persino dato da bere del cianuro! In quel periodo si sono moltiplicate le manifestazioni nei cieli del mondo e soprattutto in Sicilia, anche sul carcere! Una mattina venne a trovarmi un agente

Page 188: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

174

di guardia e mi raccontò che, alle quattro, aveva appena finito di gio-care a poker, affacciandosi alla finestra, scorse sul cornicione della prigione due personaggi avvolti da una forte luminescenza, con il viso longilineo, dal mento sviluppato e dagli occhi a mandorla, indossava-no un mantello con il colletto alzato, anch’esso luminescente. Alcuni giorni prima, un brigadiere e altri diciassette detenuti avevano visto un oggetto luminoso che si muoveva a foglia morta e che sostò sopra il carcere per ben due ore. Ne parlò anche il giornale locale! Comunque, in seguito sono stato prosciolto perché il fatto non sussisteva.

Quante razze, quante tipologie diverse, quante mentalità… Come può esistere una federazione galattica che le unisce? Immagina un po’ chi è l’uomo della Terra e cos’è la Terra? La terra è un granello del deserto del Sahara e il cosmo è composto da miliardi di universi in costante espansione. Per cosmo si intende un’identità cosmica di cui la Terra non è altro che una piccola cellula con i suoi enzimi. Solo che non tutte le cellule e non tutti gli enzimi hanno le stesse funzioni; per esempio, gli enzimi del mio fegato hanno fun-zioni diverse da quelle del mio cuore. Se gli enzimi non sono evoluti e per enzimi intendo gli uomini e le donne di questo pianeta, frena-no l’evoluzione della Terra che, non dimentichiamoci, è una macro cellula vivente.

Conosci il cicap, Piero Angela, Margherita Hack… Qual è il loro atteggia-mento nel tuoi confronti? Queste illustri persone ripongono le loro conoscenze in una scienza limitata dal tempo e dallo spazio, nonché agli inizi del suo sapere. Non bisogna dar loro più peso di quanto si meritino. E se me li tro-vo davanti e loro si mettono a ridere, io li faccio smettere di ridere. La realtà extraterrestre è un’evidenza che la scienza non può ancora per molto nascondere o spiegare a modo suo. Ci sono scienziati in contatto con noi che avallano la nostra opera perché si sono resi conto del disastro a cui l’umanità va incontro.

Page 189: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

175

Tu sai bene che tutte le vecchie teorie stanno cortocircuitando per-ché non accettano che, oltre le conoscenze biodinamiche dell’uomo, vi siano altre energie sottili che portano verso le conoscenze astrali. In Russia vi sono professori universitari ed eccelsi ricercatori che riscontrano, scientificamente, le principali realtà di cui io parlo da anni. Per esempio, il fatto che il sangue emette luce; analizzando la velocità del sangue è possibile valutare la vitalità della persona e rilevare eventuali carenze energetiche. Una cosa è certa, la verità renderà l’uomo libero e non può esse-re diversamente. Io cerco di far capire alla gente che gli ufo sono come le macchine della Fiat e dell’Alfa Romeo, mezzi che traspor-tano intelligenze. È degli occupanti di questi meravigliosi mezzi che dobbiamo parlare: chi sono, da dove vengono e cosa vogliono! Il pianeta è in uno stato disastroso e loro vengono per aiutarci? Cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo comportarci? Ma consideriamo questo punto: appare un ufo in cielo, una persona lo vede. Loro hanno delle radiotrasmittenti psicofisiche. La persona deve concen-trarsi e rivolgere la mente, attentamente, verso la “ricezione”. Loro trasmettono così, non hanno bisogno di incontri fisici, anche se in un secondo tempo, per dare la certezza della loro presenza, possono farlo fisicamente.

Se interpreto correttamente, si deve lavorare sull’uomo e quindi su noi stessi per capire come sono gli altri. Ma non credo che questi esseri siano tutti positivi… Possiamo affermare ciò se abbiamo la possibilità di constatarlo, al-trimenti potrebbe essere una menzogna.

Io do retta al mio cuore… E il tuo cuore ti può ingannare; devi dar retta ai valori visivi della tua intelligenza e avere la possibilità di discernere il positivo dal negativo, valutando che la nostra logica è tridimensionale. Dunque se il negativo non ti appare, non hai la possibilità di affermare che esso esiste.

Page 190: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

176

Cosa è cambiato da quando hai cominciato ad avere la tue esperienze e questi contatti? Il tuo rapporto con gli ufo, da allora a oggi, è mutato? Non mi dire che sono cambiati gli uomini perché non è vero! Io non sono più quello che ero prima; dopo oltre quarant’anni di contatti, ho assimilato la loro volumetrica coscienza. Per quanto ri-guarda il mutamento dell’uomo, purtroppo questo non è avvenuto e sono sempre più evidenti i segni del suo regresso e della sua possi-bile autodistruzione. Ci sono però uomini che hanno acquisito una genetica non terrestre e che vivono in sintonia con la legge cosmica; questi dovrebbero creare i presupposti ideali per la nascita di un Nuovo Cielo e di una Nuova Terra. Erano centoquarantaquattromi-la esseri provenienti da Sirio, che hanno accompagnato la venuta di Gesù sulla Terra duemila anni fa. Avevano il compito di trasmettere questa genetica che, col tempo, avrebbe dovuto risvegliarsi e portare l’umanità verso l’evoluzione materiale e spirituale.

Parliamo di una manipolazione, o di una inseminazione genetica eseguita più di duemila anni fa? L’una e l’altra. È avvenuta un’inseminazione quando le quattro razze madri, la gialla, la bianca, la rossa e la nera, hanno innestato i loro valori genetici nell’uomo preistorico, e una manipolazione, molto più recente, da parte di questi esseri provenienti da Sirio.

L’uomo di duemila anni fa era così diverso da quello di oggi? Alcuni erano diversi e lo dimostravano. Gli avvenimenti storici tra-mandano di uomini dotati di un’intelligenza “diversa”, superiore, come Leonardo da Vinci…

Come vedi l’attuale situazione mondiale? Guarda come il presidente Clinton abusa del suo potere andando contro il parere delle altre superpotenze. Come ridurrà l’umanità se farà sì che scoppi una guerra? L’ho detto e scritto in mille modi che un conflitto del genere provocherebbe la fine dell’umanità! Anche la

Page 191: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

177

Madonna a Fatima ha annunciato nel suo terzo messaggio che «nella seconda metà del xx secolo si sarebbe scatenata una grande guerra dove milioni e milioni di persone sarebbero morte di ora in ora».

Ma se gli alieni controllano tutto, perché rimangono indifferenti a questa situa-zione? A loro interessa preservare la qualità; il resto può diventare conci-me per la terra. Non è crudeltà, è ciò che l’uomo vuole; non si può creare un nuovo mondo con i delinquenti e gli assassini che oggi lo popolano.

In quanto tempo, ammettendo che l’umanità viva nel bene, si sviluppano valori negativi? Dalla vita positiva, dai valori positivi, non si può manifestare il nega-tivo. La parte positiva dell’umanità che sopravviverà, possederà una genetica incorruttibile, non più il dna, ma gna, cioè acido genio-nucleico.

I tuoi rapporti con Giorgio Bongiovanni si sono interrotti ormai ufficialmente? Sì, perché non condivido la commercializzazione della verità, in quan-to mi è stato insegnato che la verità non si vende e non si compra.

Potranno riprendere un giorno? Non dipende da noi, ma da chi ha il comando supremo della giusti-zia; quando si esce da questo ordine, interviene il padre con i suoi mezzi che, in certi casi, possono essere anche i Grigi. Questi sono gli esecutori della giustizia divina del padre, quindi non fanno parte dei robot biologici a cui facevamo riferimento prima; sono pilotati da entità superiori, che non appartengono alla loro categoria come erroneamente credono gli ufologi. I Grigi dominano le forze ele-mentari della natura e possono coordinare senza difficoltà alcuna il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra. Guarda, per esempio, i disastri che si moltiplicano oggi in America e nel mondo.

Page 192: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

178

Quello dell’autopsia del Santilli Footage, che tipo di alieno era? Era un essere appartenente a uno stadio evolutivo intermedio, in-fatti aveva un fisico simile al nostro, con particolarità, come le mai e i piedi a sei dita, che non escludono affatto i valori della quarta dimensione. Loro sono molto preoccupati per la nostra situazione, anch’io lo sono molto e a suo tempo lo era anche il presidente ame-ricano Eisenhower, quando era comandante delle forze armate usa in Europa. Concordava con me, in particolare sul futuro dei giovani di allora e per il disagio che in seguito avrebbero affrontato. Infatti, per anni, siamo stati in contatto epistolare; mi avrebbe voluto al suo fianco come assistente e consigliere, ma non ho potuto accettare per poter continuare a svolgere la mia missione. Lui ha incontrato gli extraterrestri!

Page 193: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

179

xvii

Area 51, ai confini della realtà

Nel febbraio 2006 presi parte come relatore all’International ufo Congress di Laughlin, Nevada. Mancavo dall’America dal 1995, quando con Wendy trascorremmo a New York una settimana ma-gnifica che ci portò, da meri turisti, sino a Ellis Island e alla Statua della Libertà. Simboli di pietra, acciaio e cemento che milioni di per-sone conoscono e si portano dentro come un vessillo, non a stelle e strisce, ma planetario. L’11 settembre ha cambiato radicalmente la faccia e l’atmosfera di Manhattan, così mi dice chi l’ha visitata nell’ultimo decennio. Non credo abbia fiaccato lo spirito libertario dei newyorchesi che, a quel che so, nella maggioranza pensano che l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono sia stato un inside job. Resta comunque e sempre la “mia” città, anche se Phoenix mi è en-trata di getto nel cuore e i suoi battiti sono oggi per lei. È bello poter amare una città, riconoscersi nelle sue strade e nelle sue persone, an-che se così diverse da te. Phoenix è per me un’oasi dove ho trovato amore, amicizia, fratellanza, sostegno nei momenti più duri, da per-sone che mi hanno dato moltissimo e che non conoscevo da venti o trent’anni, bensì solo da pochi mesi. E poi Phoenix ha una squadra di basket che adoro, i Suns. Capaci di entusiasmare chiunque, di farti soffrire sino all’ultimo secondo, di urlare di gioia e trepidare dall’e-mozione, guidati da un playmaker canadese, Steve Nash, alto due dita più di uno e ottanta, che considero il migliore giocatore di pallaca-

Page 194: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

180

nestro che io abbia mai visto nel ruolo di telemetrico organizzato-re del suo team. Inevitabile parlare di Phoenix, non so perché, ma questa città mi emoziona tantissimo. Prima di trasferirmi, nell’aprile 2009, ricevetti in regalo il libro di Paulo Coelho, L’alchimista. Un’o-pera breve ma iniziatica, la storia di un lungo, quasi interminabile viaggio, compiuto da un giovane in cerca di se stesso. Una splendida donna siciliana, Gaetana, me ne ha fatto dono, come fosse stata la sua vita che si perpetuava nel mio andare lontano, un percorso che avrebbe voluto condividere con me. Decisi che non era possibile, dato il mio visto temporaneo di lavoro e le pesanti restrizioni che regolano il flusso immigratorio in Arizona, soprattutto. Mi disse che nel libro avrei potuto trovare molto di quello che avrei vissuto ed è andata esattamente come “visto” da lei.11 Il viaggio che si compie verso l’oasi, dove l’incontro con il maestro, l’alchimista, si sublima. Basta guardarsi dentro e capire che Coelho parla di te. Leggi il libro come uno specchio che riflette lucidamente l’immagine che la tua mente vede sbiadita e confusa. Così, quando il cammino riprende e ti lasci indietro quella macchia di palme dopo una battaglia che non ha portato spargimento di sangue – ma dentro la ferita è divenuta uno squarcio immenso – sai che dopo il faticoso saliscendi sulle dune sabbiose del deserto arriverai al mare. Mi è mancato molto, il mare, qui chiamato “oceano”, da troppo tempo non sentivo il suono delle sue onde e non vedevo al tramonto la morbidezza furibonda del suo infrangersi sulla terra. Quando ho visto le grandi ondate sulle quali danzavano i surfisti della California, l’oasi nel deserto, egualmente portatrice di acqua, è divenuta tutt’uno con i flutti del mare. Ho capito cosa è avvenuto. L’America, immenso Paese che si estende fra due coste, porta con sé l’immagine perenne del sogno, della conquista, della sconfitta e della riconoscenza. Dovrò parlarne in un altro libro, se mi sarà concesso. Anche perché avessi la penna in mano, anziché la tastiera, le dita sussulterebbero e le emozioni sovrasterebbero la necessità di scrivere razionalmente. Quindi, ra-

11 Oggi, nel 2012, la nostra vita in Italia è insieme.

Page 195: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

181

giono. Aspetto. Resto in ascolto in attesa del richiamo. Dove può dirigersi un uomo con la sua fantasia, se non verso qualcosa che lo spinge ad andare oltre? E chi o cosa si fa tramite del nostro eremi-taggio? Solitamente è una persona.

Adoro Peter Sellers. Parlarne mi riempie di sorrisi come pensando a uno dei formidabili duetti di Totò e Peppino De Filippo. Con il perfetto Mario Castellani, ovviamente. Peter Sellers, sapendo che non avrebbe avuto molto da vivere, scelse di interpretare da pro-tagonista un film magnificamente assurdo, Oltre il Giardino (Being There), diretto nel 1979 da Hal Hashby, il regista dello struggente Harold e Maude e del duro e antimilitarista Coming Home. Nel cast di Oltre il Giardino, una meravigliosa Shirley MacLaine. Il film, va visto. Non è solo una metafora sulla vita e la morte, ma soprattutto sul soprannaturale, sull’altra dimensione. Chance il giardiniere (Sellers), si trova suo malgrado catapultato nella realtà dei grandi poteri, poli-tici ed economici, scoperti e occulti, ma il suo ruolo nel gioco delle parti assomiglia a quello del re Lear protetto dai suoi scherani sulla scacchiera del tempo che non c’è. Solo nella scena finale scopriremo cosa rappresenti Chance e non posso raccontarlo, ma rivelare qui cosa ne ho dedotto, posso. Noi camminiamo lungo un sentiero fatto di luci e ombre, cerchiamo di mantenere le gambe salde sull’erba del mattino scivolosa coperta di brina, sentiamo l’essenza della natura che ci circonda, muoviamo ogni nostro senso nella direzione che crediamo sia quella giusta, i passi guardinghi e solitari ci portano ver-so uno specchio d’acqua. Ancora verso la fonte nell’oasi alla quale abbeverarsi, o verso l’immensità del mare nel quale bagnarsi e puri-ficarsi. La differenza, fra il tocco magico e poetico di Peter Sellers e il drammatico gorgo interiore di Edgar Allan Poe nella sua discesa nel maelström, non esiste. Siamo fatti di entrambe le cose. Questa è la natura umana. Nelle sue contraddizioni e opposizioni brucianti o da brivido, pertanto meritevole di essere vissuta. Altrimenti, senza le alternanze, saremmo univoci, non avremmo la possibilità di captare

Page 196: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

182

le emozioni dell’altro. Così sentiamo il richiamo di esseri apparente-mente lontani da noi. Qualcuno potrebbe interpretarne la presenza come angeli custodi. Altri, come i nostri demoni, interni ed esterni. Di certo, sembrano essere forze sconosciute, collegate con noi.

Torno dunque al deserto del Nevada, che percorsi in lungo e largo nel 2006, dopo il Congresso di Laughlin. Distese di suolo roccioso costellate dagli strani Joshua trees – gli alberi contorti che cantarono gli U2 quando sentirono, appunto, quel richiamo e Bono intonava «outside is America» – su lingue d’asfalto grigio con rettilinei a perdita d’occhio, su sterrati giallastri a incrociarsi e disperdersi ai quattro venti. Viaggiamo su un grosso suv Ford, guidato con mani esperte da Lori Wagner, che conosce la zona a menadito, ma si orienta an-che con l’aiuto degli scarni cartelli stradali. Lori si occupa di ufo da tanti anni, come l’amica Aimee Sparrow, braccio destro di Yvonne Smith, l’ipnoterapeuta del gruppo cero di Los Angeles, specialista in abduction. Paola Harris e io siamo i giornalisti che, dopo la kermesse di Laughlin, hanno pensato bene di trascorrere tre giorni nel Ne-vada, raccogliendo le energie, per lei, prima di tornare a Boulder, Colorado, dove risiede ormai da tre anni e, per me, prima di rientrare in Italia. Ho il tempo di pensare a cosa vedo intorno a me e inizio a intuire che dentro qualcosa si farà sentire.

Partiti da Las Vegas, prendiamo a nord la Highway 93 verso la Lincoln County. Alla nostra destra, passata di poco la metropoli dei diverti-menti, appare la Las Vegas Motor Raceway – pista automobilistica che ospita le gare Nascar e speedway – e Paola ci indica il primo cartello che segnala le due deviazioni verso la Nellis Air Force Base. Il traffico sulla 93 si dirada e dopo una cinquantina di miglia arriviamo a destinazione e ci fermiamo all’Alamo Inn, piccolo motel gestito da Vern Holiday, un ragazzone di quasi due metri, che ci accoglie con un barbecue di carni e verdure, seguito dai famigerati marshmallows alla brace di un fuoco da accampamento di frontiera. Vern ci spiega che Lincoln è una

Page 197: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

183

contea di interesse storico e importante per le risorse minerarie, l’alle-vamento e l’agricoltura. Alamo è una comunità di settecentoquaranta anime, la più a sud della Lincoln County, situata a novantatré miglia a nord di Las Vegas. A due miglia a ovest dalla città c’è una pista di atterraggio non asfaltata. Alamo è uno snodo per i viaggiatori che si dirigono a nord attraverso la contea e meta ideale per campeggiare o pescare, vicina ai laghi e alla riserva naturale di Pahranagat. Alamo ha celebrato il suo centesimo anniversario nel luglio del 2001, non ha relazione alcuna con la Alamo del Texas, quella della battaglia persa da Crockett, Travis e Bowie contro il generalissimo messicano Santana. La gente vive in maniera semplice, ma non manca niente e, chi vi è nato, difficilmente se ne va.

La mattina dopo percorriamo di nuovo la us 93 per una trentina di miglia, sino al crocevia per Rachel, dove imbocchiamo la sr 375 e attraversiamo la Tonopah Valley. Siamo «in the middle of nowhere», un territorio dal paesaggio semi desertico ma, ci ricorda Lori, non privo di falde acquifere, e infatti passiamo dalle sorgenti termali di Ash Springs.

La più giovane città del Nevada prende il nome da Rachel Jones, la prima bambina nata nella comunità fondata da D.C. Day nel 1978. Questa minuscola, ma famosa comunità, apparsa su innumerevoli riviste, libri, documentari e programmi televisivi, si trova sulla sr 375 (soprannominata e indicata come Extraterrestrial highway) e la sola cosa che vi si nota è uno sparuto gruppo di camper parcheggiati dietro il Little A’le’Inn (“Il piccolo alieno”), il locale che attrae patiti di fantascienza, ufologi e curiosi da tutto il mondo. Rachel è molto vicina al Nevada Test Site, a ovest nella contea di Lincoln ma, per ovvie ragioni, non ci sono visite guidate. Anzi, spiccano segnali di avvertimento per chi sia troppo curioso e la 375 è continuamente percorsa da auto della polizia, con numerosi posti di blocco, dove gli sceriffi fermano chiunque e ne misurano il tasso alcolico (abbiamo visto ammanettare due incauti automobilisti).

Page 198: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

184

Riprendiamo la Extraterrestrial highway, poi sterrati verso le monta-gne, diretti verso l’ingresso fantasma della base, che però dista ven-ticinque miglia dalla zona interna denominata Area 51. Ho con me la mia vecchia videocamera Hi-8 e registro tutto, seduto sul sedile anteriore. L’area intorno alla base Air Force di Nellis, all’interno del cui perimetro c’è l’Area 51, sul percorso da noi scelto a nord è pres-soché disabitata, se non per sporadici accampamenti di grosse case viaggianti e camper. I distributori di benzina distano molte miglia l’uno dall’altro e il traffico è minimo. In lontananza, le montagne. Dietro uno di quegli alti rilievi di roccia, sappiamo che esiste l’Area 51. Nelle sue viscere, invece non sappiamo cosa accade. I satelliti scrutano dall’alto, sul terreno i sensori osservano mimetizzati nella rada vegetazione. È un territorio sterminato dal quale i nativi ven-nero cacciati, dopo essere stati decimati dalle “pacifiche” colonie dei mormoni. Delle tribù pellerossa restano vestigia di pietra qua e là. Sicché, pensi, il governo americano (o chi per esso) ha fatto la scelta giusta per proteggere i propri inconfessabili segreti da qualunque occhio indiscreto. Sappiamo che non vedremo granché, ma l’emo-zione nell’attraversare questi territori da vero Far West è molto forte.

Lori è tranquilla, ci guida con sicurezza e, dopo un’ultima devia-zione dall’asfalto, imbocca una larga strada sterrata e ci fermiamo. Siamo nella Tikaboo Valley. Da qui si vedono i rilievi della bassa catena montuosa che delimita, dall’altro versante, la base di Nellis. Sono almeno una dozzina di chilometri di muraglia naturale, con la cima più alta della Bald Mountain. Al centro, dal punto in cui ci troviamo, la strada punta dritta verso l’alto, una sorta di spaccatura fra le montagne. Lì hanno collocato l’ingresso fantasma dell’Area 51 e, dietro le alture, c’è il Papoose Lake, il lago essiccato su cui è stato edificato il complesso in superficie.

Proseguiamo lentamente, cercando di individuare i sensori, ma non ne vediamo. Superate le due ultime curve, Paola e Lori all’u-nisono gridano: «Ci siamo!», e Lori accosta subito, una ventina di metri dopo. «Dobbiamo fermarci qui, scendiamo» dice Lori, indi-

Page 199: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

185

cando il grosso fuoristrada che ci scruta dall’alto, su una collinetta a circa centocinquanta metri da noi. Color beige scuro, il veicolo è privo di insegne, ma nell’abitacolo ci sono i Cammo Dudes, gli uomini della Wackenut ss Corporation, intoccabile agenzia che sovrinten-de alla sicurezza della base. Un momento da cuore in gola. Cerco di nascondere la videocamera sotto la giacca. È proibito riprende-re, fotografare e oltrepassare la linea segnata dai due cartelli, uno a destra e uno a sinistra della strada che, più avanti, si fa ancora più difficoltosa. Riesco a inquadrare il suv, all’interno del quale vediamo due uomini. Potrebbero fare fuoco. Restiamo pochi minuti, ripartia-mo. Lori spiega che sotto il terreno, oltre quella linea “di confine”, si potrebbe estendere un reticolo metallico collegato a dispositivi in grado di rilevare qualsiasi intrusione. Sono assolutamente convinto, avendolo ora visto con i miei occhi, che nessuno sarebbe così paz-zo dall’azzardarsi a fare anche pochi passi più in là. Lori schiaccia sull’acceleratore. Arriviamo al crocevia dove è piantata la cassetta delle lettere di Steve Medlin. La prima e ufficiale mail box segnalata da Bob Lazar (il fisico che per primo rivelò di aver lavorato nella zona S-4 dell’Area 51 ai sistemi di propulsione di velivoli alieni re-cuperati) era nera, ma è stata venduta a un’asta benefica anni fa ed è stata sostituita da una bianca, già imbrattata di scritte e messaggi.

Il mattino dopo Vern ci guida nella regione dove un tempo viveva-no gli indiani Paiute, in un angolo fra il Nevada e l’Arizona. Oggi ci sono solo dei corral che custodiscono il bestiame, spesso lasciato allo stato brado, ciuffi di erba medicinale, Joshua trees e rocce. Su queste montagne, fra gole e colline e pianure che circondano Rachel, dei campi Paiute restano tracce, cerchi di roccia e graffiti, e ci fermiamo in un anfiteatro naturale che sa di magico, di sospeso nel tempo. Era terra sacra dei nativi americani, poi confinati nelle riserve.

Poi Vern ci guida al sito di un crash aereo. Un caccia dell’usaf vi si schiantò nel 1997, dopo aver impattato un costone roccioso. Il pilota si salvò. Il grosso dei rottami fu recuperato, ma appena rag-

Page 200: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

186

giungiamo la collina e ci inerpichiamo più su lo spettacolo è agghiac-ciante. Una vasta area coperta da lamiere contorte grandi anche un paio di metri, parti di motore, fili elettrici, cablaggi, plastiche e leghe speciali. Rabbrividiamo. Fa freddo, la temperatura si è abbassata di molto rispetto ad Alamo e sulle macchie di neve appaiono le im-pronte dei nostri passi. E la sensazione di gelo aumenta dentro, sa-pendo che qualunque oggetto volante, identificato o meno, penetri questo spazio aereo se la dovrà vedere con i “ragazzi” dell’Area 51, il sancta sanctorum tradizionale degli ufologi cospirazionisti, alcuni dei quali hanno probabilmente cominciato a credere che lì ormai di su-per segretamente alieno non ci sia più nulla.

Per lunghe decadi, dell’esistenza dell’Area 51 la gente è stata all’o-scuro. Quando qualcosa iniziò a trapelare fu subito chiaro che si trattava di un’installazione le cui attività erano coperte da segreto militare, in ragione della sicurezza nazionale. Al di là delle ammissio-ni dovute al popolo americano da parte dell’amministrazione Clin-ton nel 1997, l’Area 51 resta top secret per ordine presidenziale e i vertici dell’Air Force (dalla quale dipende la base di Nellis) e del Dipartimento della Difesa dichiarano unicamente che esiste «una location operativa nei pressi di Groom Lake».

L’Area 51 si estende per trentottomilaquattrocento acri di terra sul letto essiccato di quello che un tempo fu un lago.

La prima notizia della sua esistenza arrivò nel maggio 1955, quan-do su Groom Lake fu avviata la costruzione della pista per atter-raggi ausiliari di Watertown e dove alcuni operai persero la vita in seguito a un incidente aereo che coinvolse un C-54 nel novembre dello stesso anno. Il perimetro della base di Watertown fu delimitato ufficialmente nel 1955, ma solo nel giugno del 1958 fu completato e allora Watertown divenne Area 51. Sul finire degli anni Cinquanta emersero i primi riferimenti pubblici a un Groom Lake Project 51, mentre su documenti classificati della aec (Atomic Energy Commis-sion, agenzia governativa costituita dal Congresso dopo la Seconda

Page 201: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

187

guerra mondiale, che dal 1947 diresse le operazioni del Manhattan Project), della cia e dell’usaf iniziarono ad apparire termini quali “Project 51” e “Area 51”. Data la sua destinazione a poligono di test nucleari, Groom Lake ospitava le strutture di monitoraggio delle radiazioni. L’Area 51 è però da sempre strettamente connessa alla storia dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti, ai cosiddetti black budget programs (progetti finanziati in nero) collegati a tecnologie ae-ree avanzate, allo sviluppo di velivoli sperimentali e al collaudo dei prototipi militari high tech, come i predecessori del caccia stealth F-117A Nighthawk e del SR71 Blackbird. Riveste un certo interesse, ne avremo conferma proprio al termine della nostra giornata nei dintorni dell’Area 51, il fatto che la zona sia stata anche adibita a ci-mitero segreto per i velivoli precipitati nel corso dei test. Cosa fare di quegli scomodi rottami, visibili dai satelliti? Interrarli in gran fretta a Groom Lake, come ha scritto lo storico dell’aviazione Peter Merlin, secondo il quale dal 1955 più di una dozzina di quelle carcasse me-talliche hanno trovato pace in buche profonde decine di metri, nelle vaste aree riarse dell’installazione.

Nel settembre del 2003 il presidente Bush, invocando la sicurez-za nazionale, confermava la segretezza su tutte le attività e le ope-razioni dell’Air Force condotte nella base di Nellis e nell’Area 51, impedendo quindi qualunque accesso alle sue informazioni, di “mo-numentale interesse” per la Difesa degli Stati Uniti. In pratica, una conferma del decreto di Clinton che esentava l’area dalle normative federali sull’ambiente (in materia di smaltimento di residui tossici) e, inoltre, pur certificandone la presenza come perimetro militare, la base non era tenuta a rendere pubbliche le proprie attività. Il decreto è ancora vigente.

L’Area 51 è una no-fly zone. Ricordo un’intervista di Bruno Mobrici del Tg1 Rai a un comandante dell’Aeronautica militare italiana al quale il giornalista chiese lumi sull’Area 51. L’ufficiale italiano rispo-se che anche ai nostri piloti top gun in addestramento nella base di Nellis era fatto divieto di sorvolo durante le esercitazioni, a rischio

Page 202: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

188

di pesanti ripercussioni. La segretezza, dunque, permane e riguarda anche il personale delle forze alleate degli Stati Uniti.

Il muro di silenzio iniziò a mostrare delle fenditure il 21 marzo 1989, quando il fisico Bob Lazar informò il pilota John Lear che di lì a breve avrebbero potuto assistere a uno speciale volo di collaudo, da un punto prefissato sulla highway 375. Alle ore 21 della sera succes-siva Lear osservò per la prima volta il test di volo di un ufo e nelle notti seguenti altri avvistamenti furono filmati e, inquadrato dal suo potente telescopio Celestron, l’oggetto appariva avvolto da un alone di plasma di colore arancione.

Da allora migliaia di persone si sono date appuntamento o hanno raggiunto la famosa mail box che segna il punto esatto dal quale poter seguire le manovre di punti luminosi, ora erratiche e zigzaganti, ora morbide e strane, sulle montagne che costeggiano Groom Lake. E, da allora, le voci si sono diffuse ovunque e da tutto il mondo arrivano frotte di curiosi nella regione. Nel 1996, lo Stato del Nevada ha rideno-minato le novantotto miglia della statale route 375, The extraterrestrial highway. Noi abbiamo percorso la superstrada costellata da segnali che, in maniera subliminale o scoperta, ti ricordano che sei sulla rotta degli extraterrestri e che ogni miglio ti avvicina di più al centro del mistero.

Ci saranno davvero alieni e dischi volanti, lì sotto? Diversi ricercatori sono convinti del contrario e che tutto è sta-

to spostato altrove, nello Utah sembra, o nel sottosuolo di Dulce, in New Mexico, o che Wright-Patterson, nell’Ohio, sia la struttura deputata in primis alle ricerche sulle tecnologie aliene. Ma il Nevada Test Site è stato per molti anni il luogo più adatto, perché l’Area 51 è lì, impenetrabile e, con un alto coefficiente di probabilità, al suo in-terno, a circa quindici miglia a sud di Groom Lake, ospita una zona ancora più segreta, la S-4, una base sotterranea incastonata nelle montagne, del tutto invisibile.

Della S-4 hanno parlato il fisico Bob Lazar, l’ingegnere aeronau-tico esperto di simulatori di volo Bill Uhouse, scomparso due anni

Page 203: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

189

fa, la guardia giurata Derek Hennessy, eliminato convenientemen-te in data e luogo imprecisati, e il microbiologo Dan Burisch, che avrebbe lavorato per conto del Majestic 12 nel padiglione medico riservato agli et denominati J-Rod. Dopo aver trascorso con lui e sua moglie Marcia McDowell un paio di giorni a Tempe, Dan Burisch mi ha convinto del suo coinvolgimento nelle attività aliene condotte nell’Area 51 dal Majestic 12 (MJ-12). È solo la mia opinione, ma Burisch per me è sincero e lì l’America ha custodito sia tecnologia aliena, sia esseri extraterrestri in cattività, come poveri animali da studiare a fini che non si conoscono.

Page 204: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

190

xviii

Roswell: andata e ritorno

Quando nel luglio 2009 ho avuto la possibilità di visitare Roswell, mi sono subito reso conto che questa cittadina del New Mexico è davvero dispersa in un desolante deserto. La sua sola attrazione è l’ufo Festival che si tiene ogni anno nei giorni a cavallo del 4 luglio, la festa dell’indipendenza degli Stati Uniti. Arrivare a Roswell è stato per me il coronamento di un sogno durato più di vent’anni, da quan-do iniziai a occuparmi dell’incidente avvenuto nel luglio 1947. Oggi sono più che mai convinto che avvenne realmente e che le autorità americane decisero di seppellirlo, sperando che la polvere vi si accu-mulasse sino a cancellarne ogni traccia. Così non è stato. E Roswell non è un mito, né leggenda, ma il teatro di una vicenda autentica e serissima, con gravi implicazioni per gli apparati militari degli Stati Uniti e pesanti ripercussioni ai danni di decine di testimoni che ne hanno parlato. «Troveranno le tue ossa sparse nel deserto» disse un ufficiale dai capelli rossi alla piccola Frankie Rowe, terrorizzandola e condizionandola per gran parte della sua vita. Frankie era una bam-bina quando il padre, Dan Dwyer, vigile del fuoco della stazione di Roswell, raccontò a lei e alla sua mamma di aver effettuato un inter-vento di emergenza in una zona a nord della città, dove erano stati rinvenuti i rottami di un’astronave precipitata e una creatura aliena ancora in vita. Ho incontrato Frankie Rowe al Museum of Roswell e abbiamo scambiato poche parole, sufficienti a convincermi della

Page 205: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

191

sua sincerità, a distanza di sessantadue anni. Non mi risulta che nes-suno dei testimoni di Roswell abbia mai intascato un centesimo per aver raccontato la propria versione dei fatti ai quali ebbe modo di partecipare.

Certo, chi ne ha guadagnato enormemente è stata Roswell, che sarebbe rimasta una macchia urbana in mezzo al niente, se non fosse stato per l’ufo crash. Ogni anno la visitano quasi mezzo milione di persone e, durante il Festival, la Main Street, la sua arteria principale, si anima e negozi, bar, ristoranti, alberghi registrano il tutto esaurito. Incluso il Museum of Roswell, dal quale non sarei mai uscito tanto ho trovato interessanti le sue sale e, soprattutto, l’incredibile biblio-teca, una mecca per gli ufologi. A incantarmi è stata però la bellezza mozzafiato di una certa Danielle, regista di una troupe televisiva di Los Angeles che il mio capo ha voluto presentarmi per forza a fini promozionali per la rivista che dirigevo, Open Minds. L’intervista che mi ha fatto è stata un disastro, ero impacciato come un adolescente. Poi sono riuscito a concentrarmi sulla cronaca, per cogliere gli umo-ri della gente, sentire i pareri degli esperti che, guarda un po’, sono divisi in due fronti, quelli che stanno con il mufon e quelli invitati dal museo gestito da Julie Shuster dall’altra. Sono tutti amici, ma devo ammettere che rivalità personali sembrano aver prevalso sul buon senso e sulla causa comune, proprio come accade in Italia. Per esem-pio, ho conversato a lungo con Don Schmitt, uno degli inquirenti più preparati. In collaborazione con Tom Carey, nel loro ultimo li-bro Witness to Roswell, hanno portato a compimento un lavoro inve-stigativo tanto dettagliato da fugare qualunque dubbio sulla qualità e la veridicità delle testimonianze, ottenute soprattutto da numerosi militari coinvolti nell’operazione e nel susseguente cover-up. Ma se si parla di altri ricercatori, collegati al mufon, Don si imbrunisce e preferisce chiudere il discorso. Peccato. E anche sfiorare il discorso sull’esatta location del “campo dei rottami” diventa scomodo. Stando a Don Schmitt, solo lui e Carey hanno il diritto e i permessi di visi-tare quel luogo, chi altri lo faccia a suo avviso compie un reato. Lo

Page 206: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

192

confermeranno gli amici con i quali il 2 luglio 2009 ho visitato una zona del Foster Ranch, una vasta area dove negli anni Quaranta il mandriano William “Mac” Brazel era solito portare il suo gregge al pascolo e che trovò cosparsa di strani rottami. Fu allora, partendo dalla testimonianza di Brazel, che nacque il caso Roswell.

Partito da Phoenix, Arizona, sono arrivato nel tardo pomeriggio del primo luglio all’aeroporto di Albuquerque, la capitale del New Mexi-co, dove ci eravamo dati appuntamento con Paola Harris, Jesse Mar-cel Jr., l’inglese Nick Pope e il portavoce del mufon Alejandro Rojas. Su consiglio di Paola, che ha già fatto questo viaggio molte volte, ci rifocilliamo in aeroporto prima di salire in macchina e percorrere le duecento miglia che separano Albuquerque da Roswell. Però, abbia-mo imboccato la direzione sbagliata e ce ne siamo resi conto solo una quarantina di miglia dopo, quando Paola ha esclamato: «Ma qui arriviamo in California!» Così, pazientemente, siamo tornati indietro e con l’aiuto del gps di Paola abbiamo affrontato un’interminabile highway all’imbrunire. Deserto, nulla di nulla per decine di miglia, pa-esini spettrali, luci diafane in lontananza e poi, seguendone il mirag-gio, ci siamo fermati al mitico Clines Corners che, come recita uno slogan, «si trova sulla tua strada per ovunque tu voglia viaggiare in New Mexico». In effetti, ci trovi tutto, distributori di benzina, regali ignobili e gadget inutili, artigianato di ogni etnia e di ogni dove dal Far West alle tribù nativo-americane, madonne, santini, pietanze e condimenti fra i quali varietà di peperoncini e jalapenos messicani che assicurano l’infarto. Contagiato dall’atmosfera, avrei fatto piccoli ac-quisti anche io, ma facendovi nuovamente tappa al nostro ritorno da Roswell. Quella sera, sfortunatamente per noi, il gigantesco locale era chiuso per il lungo weekend del 4 luglio. Arrivati in albergo ver-so le dieci di sera, a letto senza cena. Poco male, la mattina dopo è prevista la visita al Foster Ranch, il “campo dei rottami”.

Le nostre guide sono due esperti ricercatori, Chuck Zukowsky e sua sorella Debbie Ziegelmeyer (direttore delle investigazioni del

Page 207: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

193

mufon Missouri), con Jesse Marcel Jr. e Matt Morgan, operatore la cui videocamera testimonierà tutto. L’escursione, che Paola Harris ha coordinato, la facciamo a bordo della potente Nissan 4x4 di Chuck, passato ai fuoristrada giapponesi dopo decenni di jeep americane. Per Jesse Marcel Jr. questi luoghi sono nuovi. Visse qui, da bambi-no, quando il padre era di stanza alla base di Roswell, ma del Foster Ranch ha saputo solo dai libri di Ufologia. È visibilmente emozionato e durante il viaggio risponde volentieri alla nostra raffica di domande. L’avvicinamento al Foster Ranch dura più di due ore. Prima su strade asfaltate, poi un primo lungo tratto sterrato facilmente percorribile, infine un sentiero quasi invisibile e impraticabile, se non si dispone di un mezzo adeguato. Quasi una lingua di pietre che si allunga per due, tre miglia sino al punto di riferimento, un mulino diroccato e privo di pale. Siamo a circa settantacinque miglia a nord di Roswell. Il primo stop lo facciamo al capanno degli attrezzi, oggi in muratura, ma un tempo in legno. Il corral, il recinto per gli animali, è lì, identico a come appare nelle foto d’epoca. Durante la notte fra il 2 e il 3 luglio 1947 (o del 3 e 4 luglio, a seconda delle versioni), nel capanno trovarono rifugio due ufficiali dell’Army Air Force, il maggiore Jesse Marcel e Sheridan Cavitt, agente del controspionaggio (cic) inviati a investigare per ordine del colonnello William Blanchard, comandante del 509° stormo bombardieri di Roswell.

Con il figlio oggi settantaduenne del maggiore Marcel, ci avvici-niamo alla recinzione del capanno e al corral. Foto di rito e riflessioni varie. Anche il filo spinato, mi spiega Marcel, risale agli anni Qua-ranta. Ripartiamo e arriviamo a una vasta distesa di erbacce, piccoli cactus e rocce. Debbie e Chuck sono sicuri: questo è il punto dove l’oggetto alieno impattò, creando una vasta infossatura nel terreno e disseminando tutto intorno strani frammenti del proprio scafo. Le due operazioni di scavo condotte nel 2002 e nel 2006, supervisionate dall’archeologo Bill Doleman e sponsorizzate da Sci-Fi Channel e dal-la nbc, videro la partecipazione di Debbie e Chuck come “volontari”.

Sinora la ricerca di reperti non ha portato frutti. Secondo le testimo-

Page 208: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

194

nianze, che sorreggono la teoria del primo impatto sul Foster Ranch, qui un oggetto volante alieno planò, rimbalzò e riuscì a riprendere quota, per andare a schiantarsi altrove. Forse, a ridosso della bassa catena rocciosa delle Capitan Mountains che troneggia davanti a noi. Oppure nei pressi di Corona, ma la storia si complicherebbe troppo.

«Non avevo idea di cosa avessimo raccolto… Ho esperienza in cam-po missilistico… E quello che ho visto non era, nella maniera più as-soluta, parte di un pallone meteorologico o sperimentale, di un aereo, di un missile o di un reattore». Queste, le parole del maggiore Marcel, quando nel 1980 rilasciò la prima intervista agli inquirenti. Disse che i rottami erano «disseminati per circa un chilometro di lunghezza e po-che centinaia di metri di larghezza» sul Foster Ranch. Marcel raccolse frammenti di metallo che cercò di bruciare, ma il materiale risultò incombustibile. C’erano leggerissime barrette, di circa 8x3 centimetri, sembravano fragili, ma non si riusciva a piegarle né spezzarle. Alcune recavano incisi dei caratteri indecifrabili, in due colori. E lamine di un materiale simile all’alluminio, che si piegavano, ma tornavano alla forma originaria ed erano indistruttibili (il cosiddetto memory metal). Più tardi, nella notte, Marcel si fermò a casa, mostrò alla moglie e al figlio quegli oggetti, dicendo che non erano di questo mondo e che non avrebbero dovuto farne parola con nessuno.

Dunque, ci troviamo sul posto. È un’area di circa cinquecento metri in lunghezza e trecento in larghezza, protetta da una collina che in questo momento abbiamo alle nostre spalle.

L’ufo potrebbe aver colpito la cima della collinetta, alta non più di un centinaio di metri, per poi scendere repentinamente e toccare il terreno, creando una larga infossatura (riempita di terra dai militari che operarono la minuziosa bonifica, setacciando e usando persino dei bidoni aspiratutto) e poi riprendere quota. Jesse Marcel Jr. arran-ca un po’ sul terreno costellato solo da cactus bruciati da un recente incendio, sulle gambe sorrette da gambali ortopedici. Continua a camminare. Lo seguo con lo sguardo. Intuisco i suoi pensieri.

Page 209: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

195

Il campo corrisponde alle caratteristiche e alle descrizioni testi-moniali, anche se i risultati degli scavi non sono definitivi e Doleman ritiene importante una terza missione, con apparecchiature più sofi-sticate. La certezza assoluta non si ha ancora, ma Don Schmitt, Tom Carey e il team archeologico che vi ha lavorato per oltre dieci anni sono convinti che quello è il campo dei rottami. Ci restiamo oltre due ore. Si parla, si discute, si fanno congetture, si guarda a perdita d’occhio verso le Capitan Mountains. Ho registrato tutte le conver-sazioni. Vedo, con gli occhi dell’immaginazione, il maggiore Marcel raccogliere quanti più rottami possibile. Il figlio ricorda che la notte, quando il papà arrivò a casa per mostrarli a lui e alla mamma, la sua berlina Buick ne era stracarica, nel bagagliaio e sui sedili posteriori.

Se il maggiore Marcel e Cavitt non avessero avuto a disposizione una jeep o un furgone militare adatto a un percorso tanto accidentato, sarebbe stato molto difficile per loro raggiungere questo luogo. Chiedo a Jesse Marcel cosa ne pensa. Mi conferma che la Buick del padre era il mezzo con cui era andato e tornato dal campo dei rottami. Il sole splen-de. Restiamo ancora una mezz’ora, poi facciamo ritorno a Roswell.

Qualcuno mi aveva detto che l’International ufo Museum and Re-search Center sulla Main Street mi avrebbe deluso. Al contrario, la struttura è ampia, perfettamente organizzata, con una sala conferen-ze capace di un’ottantina di posti, uno spazio per la vendita di gadget e libri e, soprattutto, una sterminata biblioteca ufologica con migliaia di volumi, ordinati alla perfezione, riviste di tutto il mondo e di tutte le epoche, emeroteca, un paradiso per gli studiosi. Le conferenze si susseguono: l’attore Malcolm Mc Dowell, Ron Regehr, Derrel Sims, lo studioso inglese di crop circles Freddy Silva, Ruben Uriarte e Noel Torres, il fisico nucleare canadese Stanton Friedman, Don Schmitt e Tom Carey e molti altri. Julie Shuster, executive director del museo, è una donna energica. Anche per lei è triste il fatto di dover vedere ricercatori divisi, da una parte nel museo e dall’altra al Convention Center, ma le cose vanno in questo modo.

Page 210: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

196

Sono quasi alla fine della mia tre giorni a Roswell e mi dedico ad alcuni dei ricercatori presenti. Incontro di nuovo Chuck Wade, ex militare in possesso di frammenti metallici del crash di San Augustin, l’altopiano nella zona di Magdalena sul quale si sarebbe schiantato il velivolo alieno dopo aver impattato il Foster Ranch. Non a caso, proprio dal grande complesso di parabole (vla) piazzato sulle rocce della piana di San Augustin, Ellie Arroway (Jodie Foster) capta il primo segnale alieno nel film Contact. Stanton Friedman mi presenta David Rudiak, al quale si deve uno studio approfondito sulle foto scattate durante la conferenza stampa che il generale Roger Ramey indisse nel suo ufficio di Fort Worth l’8 luglio 1947. In uno scatto Ramey ha in mano un foglio di carta, un telex su cui il Roswell Photo Interpretation Team (rpit) ha lavorato proponendone una decifra-zione nel settembre 1998. Del team hanno fatto parte Ron Regehr, il fotografo James Bond Johnson, che scattò le immagini nello studio di Ramey, e David Rudiak. Attraverso analisi grafiche sul particolare di una lettera piegata e semi-accartocciata nella mano di Ramey, il team è riuscito a individuare e decifrare i termini «vittime», «crash» e «disco». Il “Ramey Telex” viene indicato da diversi studiosi come la “pistola fumante” dell’incidente di Roswell.

Il testo è composto in lettere maiuscole, proprie dei telex di allora. Vi appaiono uno stemma ufficiale, formato da un campo stellato su sfondo scuro, un paracadute, una punta di freccia e un aereo. Sul foglio c’è anche il tipico logo di un telefono del 1947. Secondo Ron Regehr, il testo è ricostruibile come segue:

as the… 4 hrs the victims of the… you forwarded to the… at fort worth, tex… the “crash” “story”… for 0984 acknowledges… emergency powers are needed site two sw magdalena, nmex… safe talk… for meaning of story and mission… weather balloons sent on the… and land… rover crews… temple.12

12 «Stando a… 4 ore (o “a ore 4’) le vittime del… da voi spedite al… a Fort Worth, Te-xas… la “storia” del “crash”… per 0984 riconosce (o: riceve)… sono necessari Poteri d’Emergenza, il Sito Due a Sud Est di Magdalena, New Mexico… comunicazioni sicu-

Page 211: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

197

Purtroppo però anche in questo caso si resta nel campo delle con-getture, delle interpretazioni non coincidenti, frammentate e non ri-scontrabili, data l’assenza di qualsiasi elemento probatorio, mentre nel pomeriggio, sulla Main Street, sfila la parata delle maschere aliene. Sono le ore in cui si fa festa per strada e Roswell vive anche di questo.

Nella mattina, però, si era avuto il momento più importante di tutta la manifestazione. La città ha conferito a Jesse Marcel Jr. un’im-portante onorificenza, iscrivendo il nome del padre nella Roswell ufo Hall of Fame. Durante una cerimonia ufficiale presso il New Mexico Military Institute’s Pearson Auditorium, dopo aver ricevu-to dalle mani del sindaco Sam LaGrone il premio, Jesse Marcel Jr., commosso, ha detto: «Mi mancano le parole per descrivere le mie emozioni in questo momento per il grande onore riservato a mio padre. Un gesto che apprezzo immensamente e una testimonianza che resterà per sempre».

Ora, una breve ricapitolazione di ciò che è essenziale ricordare dell’incidente di Roswell. La maggior parte degli ufologi ritiene che coinvolse almeno uno o forse più oggetti non identificati, i cui relitti e occupanti vennero recuperati dall’esercito usa.

La zona sembra essere stata teatro di diversi ufo crash, ma nella not-te dell’incidente fu investita da un violento temporale e strani bagliori di luce apparvero nel cielo. Forse quei dischi volanti impattarono in una tempesta magnetica e il destino dei loro equipaggi fu segnato per sempre. Le luci erano state notate da centinaia di persone residenti nei dintorni e, ovviamente, erano state seguite con grande attenzione dai radar del 509° stormo bombardieri (i cui velivoli avevano trasportato e sganciato gli ordigni su Hiroshima e Nagasaki due anni prima) e dal personale del poligono missilistico di White Sands. Due, le ipotesi più accreditate sulla dinamica dell’incidente. La prima: un ufo, entrato nello spazio aereo di Roswell, forse colpito da un fulmine, subisce

re… per il significato della storia e della missione… palloni meteorologici inviati su… e terra… gli esploratori… temple».

Page 212: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

198

un’avaria e va a impattare sul Foster Ranch, poi riprende quota e vola sino ai Piani di San Augustin, dove termina il suo viaggio. La seconda: per una ragione ignota, avviene una collisione in volo fra due oggetti volanti non identificati. Uno finirà sul campo di Brazel. Il secondo precipiterà a ridosso di un costone roccioso nei Piani di San Augustin. Un testimone, l’ingegner Grady Barnett, giurò di aver visto un ogget-to sconosciuto semi conficcato al suolo a San Augustin, nei pressi di Socorro, a una novantina di miglia da Roswell.

I vertici del Pentagono furono immediatamente informati e, a dire il vero, fecero un errore grossolano.

Il 7 luglio 1947, dalla base aerea di Roswell venne emanato un sen-sazionale dispaccio stampa intitolato: L’aviazione militare usa ha annun-ciato oggi che un disco volante è stato ritrovato. Lo aveva redatto il tenente Walter Haut, per ordine del colonnello William Blanchard. Chiamate telefoniche da tutto il mondo iniziarono a tempestare la base.

Intanto, decine di militari avevano bonificato i luoghi interessati e, sotto il controllo della polizia militare, avevano trasferito da un hangar i rottami dell’ufo a destinazioni segrete, sia via terra, sia attraverso car-go aerei. Ufficialmente, il giorno dopo l’Air Force americana smentì tutto, dichiarando che quelli erano i rottami di un pallone sonda.

Fu il generale Roger Ramey a gestire la faccenda e a decidere, su ordine di Washington, di mostrare alla stampa i rottami fasulli nel pomeriggio dell’8 luglio 1947. Non appartenevano a un disco volan-te, bensì a un pallone meteorologico di policloroprene con annesso bersaglio radar tipo Rawin, in alluminio e altro materiale, simile a legno di balsa. Tutto fu sistemato alla rinfusa sul pavimento dell’uf-ficio di Ramey e James Bond Johnson, reporter e fotografo del Fort Worth Star Telegram, scattò sette istantanee, con il generale Ramey e il colonnello Thomas Dubose, allora capo dello staff dell’ottava divisione dell’Air Force, il maggiore Jesse Marcel e un altro ufficiale. Da allora, il cover-up più totale.

Nel 1994 e 1995, l’usaf elargì i suoi primi commenti ufficiali ri-guardo il caso Roswell, ammettendo che il pallone era stato usato

Page 213: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

199

in un progetto allora top secret (progetto Mogul) teso a individuare detonazioni di bombe atomiche sovietiche.

Poi, nel 1997, l’usaf organizzò una conferenza stampa di aggior-namento dichiarando che i corpi alieni erano in realtà manichini an-tropomorfici per test di paracadutismo da alta quota (iniziati invece dall’usaf diversi anni dopo il 1947, ma questo poco importava).

Sfortunatamente, l’atteso rapporto del gao (Government Ac-counting Office) su Roswell, diffuso nel 1995, si è dimostrato in-concludente. Su richiesta di un deputato del congresso del New Me-xico, Stephen Schiff, le autorità tentavano di rintracciare una pista documentaria per verificare se i documenti dell’epoca fossero stati propriamente conservati e classificati. Schiff riuscì a scoprire solo che tutti i documenti della base di Roswell inerenti il periodo del crash, erano stati bruciati in un incendio. Schiff morì per un tumore al cervello all’inizio del 1998. Con lui se ne andava un importante difensore pubblico al Congresso e il terreno conquistato per coin-volgere ufficialmente il governo è apparso diminuire.

Nonostante le smentite ufficiali del Pentagono, centinaia di civili e molti militari di medio e alto grado (come il colonnello dell’intelligence Philip J. Corso) sono i testimoni che conferiscono a questo caso un alto coefficiente di credibilità.

Troppo destabilizzante risulterebbe, pur tardivamente, ammettere che gli usa siano entrati in possesso, sin dagli anni Quaranta, di tec-nologia e biologia extraterrestri. Rottami, cadaveri alieni e la verità giacciono, in tutta probabilità, in basi sotterranee nel territorio degli Stati Uniti.

Page 214: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

200

xix

Volontari per un mondo migliore

Nei primi anni Settanta vidi a Londra una delle band più importanti della storia del rock, al massimo della sua capacità espressiva: The Who. Suonarono l’11, il 12 e il 13 novembre 1973 al Lyceum, The Strand, ma non ricordo a quale delle tre performance andai, presu-mibilmente a quella d’apertura. Ero con Piero Togni, il fotografo del settimanale Ciao 2001. Mai concerto fu per me più epico e tra-volgente. Gli Who dal vivo fu una meravigliosa esperienza. Il giorno prima avevamo visto gli ultra romantici Renaissance, guidati dalla cristallina voce di Annie Haslam, sempre presi da fughe espressio-niste e pitture idilliache. Bravi ed eterei, ma quando ventiquattro ore dopo sono entrato nel tempio della musica colta britannica, con una audience composta e diligente in attesa e si sono spente le luci e sul palco lentamente hanno fatto ingresso uno a uno Pete Townshend (chitarra), Roger Daltrey (voce) e John Entwistle (basso) le emozio-ni avrebbero cancellato qualunque altro sentimento. Restarono in silenzio per alcuni lunghi secondi, immobili, poi lo stage si animò al suo interno, una torre le cui merlature iniziarono a intravedersi ed emergere svitandosi verso l’alto, la pedana prese a innalzarsi sino a oltre un metro e Keith Moon apparve per ultimo, seduto sullo sgabello dietro la sua formidabile batteria a doppia cassa e, con le cuffie alle orecchie, prese a costruire mattone su mattone il suono degli Who. L’inizio fu pazzesco: I Can’t Explain, Summertime Blues e

Page 215: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

201

My Generation. Poi restammo stupefatti, le prime onde di Quadrophe-nia risuonarono e furono settantacinque minuti ininterrotti di una cascata sonora, lirica, struggente, scrosciante nei nostri cuori. Piansi immediatamente, ma non ero il solo. La forza di quella musica era devastante, impossibile frenare le lacrime per molti intorno a me, non c’era da vergognarsene, ridevamo e piangevamo. Piero era sotto il palco. Io, nelle file centrali, a una quindicina di metri dagli Who. Eseguirono Quadrophenia attraverso un sound system quadrifonico, una bomba, stupefacente. Gli altoparlanti erano piazzati circolarmente intorno alla sala. Il pubblico al centro, il palco nel mezzo. Come assistere e vivere con loro. Ondate micidiali, liriche, l’intera nostra vita nei turbolenti e variopinti anni Sessanta. Dalla Londra di Mary Quant e le minigonne alle battaglie tra i Mods e i Rockers e i bobbies, la polizia britannica, sulle spiagge e lungo le scogliere che guardano la Manica. Dall’altra parte, l’Europa. Noi in Italia ne avevamo un’im-magine mitica, la realtà era molto più amara, una generazione che si estraniava dal contesto sociale, si ribellava e finiva male. Gli Who ne avevano raccontato la liturgia visionaria e messianica con Tommy, mentre Quadrophenia ne avrebbe dipinto il quadro sociale e politico. Al Lyceum quella sera suonarono tutto Quadrophenia e alla fine la ripresa di My Generation, seguita da Pinball Wizard, See Me, Feel Me e Won’t Get Fooled Again, con la voce di Daltrey che invocava «Don’t cry / don’t raise your eye / it’s only teenage wasteland».

Adoravo Keith Moon, sempre il più teenager del gruppo. Gli avrei dato tutto quello che avevo per farlo stare meglio, per non veder-lo morire pochi anni dopo. Il più grande batterista della storia del rock, il piccolo grande uomo che il destino ci ha strappato troppo presto. Successe che se ne andò il 7 settembre 1978 e mi trovavo a Londra, stipato in un cab con i miei amici romani e la radio annunciò la morte di Keith Moon. Passammo proprio davanti casa sua e il ta-xista ci disse: «Qui abitava Keith Moon. Una cosa molto triste». Due giorni dopo presi parte al più grande festival rock della mia vita, a Knebworth, con Frank Zappa e le Mothers of Invention, Peter Ga-

Page 216: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

202

briel – giustamente andato via dai Genesis – i paradossali white punks on dope Tubes, i Boomtown Rats, guidati dal futuro baronetto Bob Geldof e gli olandesi Golden Earring. C’erano circa cinquantamila persone, assiepate nella conca naturale di un enorme prato, domi-nata da un grande palco. Noi (Silvia, i giornalisti Carlo Massarini e Franco Schipani, l’amico Giulio Fabbri) eravamo sistemati sulla sinistra in alto e seguimmo tutto in preda al delirio. Frank Zappa fu grandioso, la sua vena iconoclasta non si smentì e la sua capacità furiosa di irridere il corrotto sistema politico mondiale si tradusse in filastrocche arzigogolate difficili da comprendere per chi non fosse padrone della lingua e io all’epoca non lo ero (ora va molto meglio, dopo un totale di quasi dieci anni vissuti negli States). Le musiche però le capivamo. Quello che voglio ricordare fu il pre-concerto. C’era il sole, nel primo pomeriggio. La gente impaziente, per la lun-ga attesa. E così, senza alcun annuncio, nel cielo terso salirono le prime note di Baba O’ Riley degli Who trasportata da migliaia di watt. L’avevano scritta in omaggio a Terry Riley, geniale compositore mi-nimalista e poli-tastierista che aveva creato un ponte fra Oriente e Occidente. Grande l’influenza di Riley su di me, trentacinque anni orsono quando ne recensii i lavori, forse un po’ troppo prematura-mente. A Phoenix ho comprato il cd di A Rainbow in Curved Air e lo ritengo un capolavoro. A Knewborth, dunque. Le enormi casse dell’amplificazione vibrarono all’unisono con i nostri cuori, migliaia di labbra a baciare la fronte di Keith Moon. Non ci sono parole per descrivere quel momento.

Contemporaneamente veniva pubblicato l’album Who Are You, ul-timo ruggito di una band-leonessa ferita mortalmente. Keith Moon alle percussioni aveva comunque fatto sentire il suo suono, quasi un testamento.

Due anni e mezzo fa ho visto su mtv un concerto live registra-to da non so dove, in cui i due superstiti della band originaria, Pete Townshend e Roger Daltrey, erano accompagnati da elementi vari e l’occasione era un tribute agli Who, con i Foo Fighters e i Pearl Jam a

Page 217: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

203

reinterpretare alcune hit della storica band inglese. Magnifico vede-re diverse generazioni di musicisti rock riunite e chiedersi all’unisono Who Are You, “Chi siete voi?”, dal loro titolo forse più famoso e di successo planetario. Mi ero posto comunque il quesito: «Che senso ha ascoltare gli Who senza John Entwistle e Keith Moon?», e la risposta l’ha data lo stesso Townshend: «Se si ascoltano ancora oggi gli Who, si sente che insieme con noi suonano sempre John e Keith».

Fosse questo, lo spirito che anima la nostra Ufologia. E la domanda allora diventa una serie di interrogativi: chi siete voi, appassionati di Ufologia? Da quanto lo siete e chi ve lo fa fare? Siete esperti e disin-cantati, guerrieri indomiti con tante primavere sulle spalle e cicatrici ovunque… oppure spiriti giovani, ingenui e irruenti e vi sentite già pronti a misurarvi con il cover-up cosmico? Oppure avete scelto la paziente attesa, lungo dune lente e sabbiose, con la speranza che alla fine porti alla meta, lasciando che a condurre la carovana nel deserto siano altri, i capi che comandano? Be’, se vi contate fra quest’ultimi, durante il vostro viaggio potreste ritrovarvi a guardare il miraggio dell’ufo disclosure ancora per molti anni. Una divulgazione di massa che mai ci sarà, se non la meritiamo, noi come umanità della Terra.

Scrutando l’orizzonte infatti, il nemico resta invisibile. Il nemico è il sistema occulto che comanda sul pianeta, sfruttando le sue risor-se, dissanguandolo e affamandolo, godendo delle debolezze e delle paure che ci attanagliamo di fronte a un futuro sempre più incerto. Riflettendoci, sono più di sessant’anni che va avanti così e tutto que-sto tempo, l’impegno e l’abnegazione di migliaia di ricercatori non sono serviti a far crollare l’omertà sulla questione ufo, intendendo la questione nella sua più ampia accezione.

Qualche tempo fa scrissi, paragonando questa nostra frustrante situazione a quella dei soldati sugli spalti della Fortezza Bastiani (dal romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei Tartari) che scrutano l’orizzon-te nell’inutile attesa di un nemico inesistente:

Page 218: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

204

… ma l’attacco non verrà mai, perché in realtà il nemico non esiste. I più alti di grado, gli ufficiali che impartiscono gli ordini decisi dallo stato mag-giore, lo sanno. Sanno che in realtà il nemico è inesistente e immaginario, ma vi dicono di vigilare, vi impongono di stare in guardia, armi in pugno, giorno e notte. Le albe e i tramonti si alternano e voi ancora lì, sugli spalti, assonnati e traballanti, ma allerta… E allora? Con l’anno nuovo le cose non cambieranno, l’immobilismo e il mancato crossover generazionale sono il solo mezzo che hanno i saccenti e millantati amministratori del potere ufo-politico del sapere e non divulgare, il potere che usano per mantenersi in vita. Vi ricordano, costoro, i fedelissimi di Andreotti? De-crepiti mentalmente e inariditi dentro. Noi, invece, preferiamo ascoltare il rock e i suoni dell’universo, i loro richiami lontani, come tuonavano gli Who coprendo le onde del silenzio con My Generation.

Per me il passo citato resta. I contenuti delle favole raccontate dagli ufologi collusi con il potere non sono cambiati di una virgola.

Quando parlo di musica e la collego alla questione ufo una ragione c’è e va al di là delle comuni radici fra cultura della fantascienza, pas-sione per il soprannaturale e l’ignoto, innata curiosità interiore, amore incondizionato per la libertà di pensiero, di parola, di espressione.

Proprio ieri, un amico su Facebook, Sandro Martino, ha scritto: «C’è un collegamento impalpabile fra l’arte della musica e l’apertura mentale a ciò che rappresenta un mistero come gli ufo, il paranor-male eccetera. Gli artisti, soprattutto, sono in quel luogo dove la sensibilità si fonde con istinto e voglia di scoprire cosa si cela al di là dei pregiudizi e mistificazioni».

Infatti. Ci stiamo avvicinando al nodo della questione. Come è pos-sibile anche soltanto “parlare di ufo” e non accostare tutto ciò che il fenomeno in sé incarna e rappresenta, alla nostra coscienza? Come è possibile disquisire dottamente della loro presenza al nostro fianco, da tempi remoti sino a oggi e in ogni giorno della nostra vita, se non in termini di affinità e, forse, di un fine comune? Come è possibile guardare negli occhi le persone assetate di sapere sedute davanti a te in una conferenza sugli ufo e non comunicare loro, con il cuore e

Page 219: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

205

con l’anima, che siamo sulla stessa barca e che vogliamo andare oltre i “pregiudizi e le mistificazioni” sui quali si fonda la nostra società contemporanea? Come è possibile ancora oggi ridurre il fenomeno ufo alla mera manifestazione tecnologica, quando dietro ci sono in-telligenze che la animano e che, evidentemente, sono già in contatto a livello coscienziale con noi? Non basta avere una mente aperta.

All’indomani della mia fuoriuscita dal cun, sul finire degli anni No-vanta, questi interrogativi me li ero già posti ed era stata talmente dura la rottura con il vertice di tale organizzazione che se non avessi avuto il sostegno di tante persone, l’idea di separarmene mi avreb-be distrutto psicologicamente. Non fu così perché di lì a breve sorse il progetto del Gruppo Star Gate (gsg), fondato con Corrado Ma-langa e Carlo Barbera. Era basato su un’equazione molto semplice: Scienza+Coscienza = Contatto alieno. Questo, in estrema sintesi. In realtà la visione che ne avevamo era complessa, ma di certo la no-stra ricerca avrebbe dovuto tenere conto innanzitutto delle migliaia di persone, in Italia, come nel resto del mondo, prese dal fenomeno dei contatti, o per come la vedeva Malanga in un’accezione negativa, dalle “interferenze aliene”. Il termine, suggestivo e preciso, lo ha coniato lui, il professore di Pisa. Carlo Barbera veniva da altre radici: cultore e ricercatore di esoterismo, ottimo scrittore, anarchico pensatore e contattato, a Carlo si deve maggiormente la nascita del gsg. A lui e alla sua compagna Devi. Era ora di nominare questi fratelli di viaggio. Sono sempre presenti nella mia vita, anche se lontani e divisi, tutti, dai destini che Calvino definiva incrociati e che, a ben vedere, sono invece paralleli. La nascita del gsg scaturì da un nostro incontro al podere dove Carlo viveva con il suo gruppo Shanga. Poi il progetto ebbe un’e-voluzione veloce, crebbe molto e, per una ragione o per un’altra, nel giro di un paio di anni si decise di prendere altre direzioni. Carlo vive nell’isola del vento, Pantelleria, fra la Sicilia e l’Africa, a contatto con la natura della sua roccia nera. Malanga è diventato il “faro” che illumina la strada di tanti addotti. E io me ne sto in America.

Page 220: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

206

Vorrei riportare un’esperienza di viaggio vissuta con Devi e con Carlo, all’inizio degli anni Duemila. Da sola, meriterebbe un libro. Posso solo accennare che, insieme, raggiungemmo il Togo, un lon-tano Paese africano, per due volte e a distanza di pochi mesi. Attratti dalla sua forza, dall’umanità e dalla sconvolgente povertà di quei luoghi, ma con il miraggio di una ricchezza facile, trovammo invece ben altro. Innanzitutto il disgusto per lo sfruttamento mercenario delle persone nere che lo abitano da parte dei “civili” bianchi, so-prattutto europei, italiani, tedeschi, francesi, inglesi. Vedersi davanti un panciuto e schifoso italiano che ti offre un’ora con la sua schia-va nera minorenne, tanto per compiacerti, è terribile. Lasciataci alle spalle le spiagge bianche di Lomé, la capitale di questo Paese dell’A-frica occidentale che confina con il Ghana, il Burkina Faso e il Benin e si affaccia sull’Oceano Atlantico, abbiamo esplorato l’entroterra, scoprendolo invaso dalle antenne di Radio Maria che trasmettono incessantemente e coprono l’Africa di messaggi cattolici. Ogni due o tre chilometri, in un territorio del tutto agricolo, nei più insignifi-canti nuclei di casette costruite di paglia e fango, spuntava una bella chiesetta e abbiamo pensato ai buoni missionari che portano la lieta novella ai bambini neri. Be’, noi i bimbi li abbiamo visti, ma diver-samente. Un pomeriggio ci siamo ritrovati nel cortile di terra rossa al centro di Lomé, dove giocavano sette o otto bambini, fra i due e i sei anni. Ci hanno guardato stupiti con occhi brillanti e innocenti. Si sono messi quasi in riga a quattro cinque metri da noi e hanno iniziato a danzare, saltellando composti e ritmicamente a battere le manine, come le ali di farfalle. Cercavamo di andare all’unisono con loro, che avanzavano a piccoli passi verso di noi, ridendo e giocan-do. Il più piccino con la pelle più chiara e i capelli ricci e lunghi con riflessi dorati, era attratto da Devi, non per le caramelle che lei aveva in mano, ma per comunicarle “telepaticamente” qualcosa che io non riuscii a cogliere, forse amore. Questo mi disse Devi di aver sentito, chiaro e netto dentro di lei. Ed è una visione che non dimenticherò mai. La devo all’Africa. Alla sua gente, al suo non far parte del no-

Page 221: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

207

stro mondo occidentale, al suo essere già pronta per incontrare altri esseri venuti da lontano. Altro che la “cultura” della vecchia, cara Europa. Quale cultura, se non siamo neppure in grado di capire perché non dobbiamo mai odiare, nessuno, non odiare neppure chi ci tradisce e ci fa del male. Non dobbiamo credere di avere ragione noi, rifugiandoci nel bene dell’intelletto che è solo uno dei doni che abbiamo ricevuto da un altrove che non conosciamo. Questi doni sono il nostro mondo, i nostri figli, il nostro presente e il nostro fu-turo, sono l’essenza della vita, poi la misura giusta per calibrare con equilibrio le nostre azioni senza fare male agli altri viene da sola. Si dirà, e ne convengo: «Eh, ma noi mica sappiamo cosa vogliono da noi gli alieni? Come possiamo fidarci di loro?». Ci ho pensato tanto in questi anni e certamente chi è arrivato a leggermi sin qui lo ha fatto da sé, maturando dentro e soffrendo, spesso silenziosamente, per raggiungere e ottenere quella che definiamo “espansione di co-scienza” o “crescita nella consapevolezza”. Belle parole. Però non sono solo parole. Lentamente, dobbiamo guardarci dentro. Qui, per esempio, dove mi trovo in America, piove ininterrottamente da una settimana. Non gli acquazzoni e i temporali e la grandine all’italiana, no, una pioggia fine e costante, che resta e non se ne va. La terra ne ha bisogno, ma il grigio del cielo deprime e intristisce. Allora dove è il sole, dove è la luce che ci da vita? Risposta ovvia: dentro di te.

Dentro ognuno di noi. «It’s a rainy day, sunshine Girl!» cantavano quei pazzi scatenati Faust, gruppo tedesco di rock elettronico nel 1972. Musica tribale scarnificata, ipnotica, ripetitiva, inserita in un album in vinile la cui copertina era completamente nera, l’etichetta nera, la custodia in carta e gomma nera.

Se non esistesse la negritudine questo mondo sarebbe fatto solo di bianchi o quasi e neppure l’America sarebbe la stessa, senza i neri. Quindi, perché guardare e vedere e credere che siamo diversi e in nome di tale diversità esportare guerra e dolore? Perché non ci spostiamo sul versante della pace, innanzitutto? Purtroppo la rispo-sta la conosciamo ed è stato tutto programmato, tutto premeditato.

Page 222: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

208

Da tanto tempo. Da quando, con il concorso dei servizi segreti, le potenze occidentali hanno deciso che il sistema di guerra avrebbe dovuto prevalere sul sistema di pace, per ottenere il risultato finale, mantenere il potere sulle masse, sulla gente, ignara e inerme. Sinché non debbano di nuovo soffiare venti di rivoluzione.

Se gli alieni, almeno quelli che certamente ci hanno fatto visita a bordo delle loro macchine volanti, ci fossero stati nemici, non sa-rebbero caduti a Roswell. Per me questo è assodato. Chiudo quindi con la cronaca di un altro concerto, l’ultimo da me visto negli usa, a Roswell, la sera del 4 luglio 2009.

Il Pearson Auditorium è pieno, circa trecento anime. Sono con Tra-vis e Dana Walton, John Rao, il mio capo della Open Minds Produc-tion e sua moglie Cathy. Un free concert. Nulla di più bello poteva acca-dermi, nella notte dedicata all’arrivo degli et di Roswell, che ascoltare per la prima volta nella mia vita i Jefferson Starship, mitica band psi-chedelica californiana nata nei Sessanta con il nome di Jefferson Air-plane e divenuta “Astronave Jefferson” una decina di anni dopo.

Tre lunghe ore di suoni e voci mozzafiato. Apertura con Crown of Creation, uno degli inni della Woodstock Generation che prece-de l’arrivo sul palco di Paul Kantner, capo carismatico della for-mazione, accompagnato dal solo altro superstite dell’epoca, David Freiberg, che fu bassista dei mitici Quicksilver Messenger Service di John Cipollina. La voce inimitabile di Grace Slick non c’è più, ma la bionda Cathy Richardson ha un’estensione formidabile e la armonizza bene con i suoni, che ondeggiano, la pulsazione si eleva, le ondate arrivano. A tratti, sono in undici, dai vent’anni ai sessanta e oltre, insieme uniscono passato, presente e futuro. È la notte di Roswell e i Jefferson hanno preparato una scaletta impressionante, nella quale miscelano i Pink Floyd di Dark Side of the Moon al David Bowie/Major Tom di Space Oddity, per andare a cavalcioni di fughe lisergiche sulle strade di San Francisco alla Grateful Dead, con una steel guitar da brividi, lancinante e poetica. Scorrono i pezzi dai pri-

Page 223: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

209

mi album degli Airplane, Surrealistic Pillow, e poi l’opera massima di tutta la California acida di allora (unita a If I Could Only Remember My Name di David Crosby), la saga galattica di Blows Against the Empire, con tanto di suoni dell’astronave al decollo, come sempre accade in questo pianeta, nel trovarsi fra Alien e Star Wars insieme. Somebody To Love guizza come una spada fiammeggiante verso il finale. E il bis arriva trionfale: Volunteers. Come spiegare cosa voglia dire oggi essere “volontari” per un nuovo mondo migliore, se non così, con accanto Travis Walton, il duro boscaiolo della mia età rapito dagli alieni, cintura nera di Taekwondo, i cui occhi sono umidi, ma le lacrime non escono e il suo viso finalmente si apre in un sorriso riconoscente per tanta bella armonia.

Page 224: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

210

xx

Un bacio sulla fronte

Nel febbraio 2009 sono tornato a Laughlin, in Nevada, ancora come relatore all’International ufo Congress e le cose hanno preso una piega inaspettata, apportando un cambiamento radicale nella mia vita. Mi è stata fatta un’importante offerta di lavoro negli Stati Uniti, fondare e dirigere una rivista ufologica che si sarebbe chiamata Open Minds. Questo, a una condizione: lasciare immediatamente l’Italia, dimenticare tutto quello che avevo fatto e avuto sin lì e tracciare una linea di demarcazione fra il passato e ciò che il futuro prospettava. Già, ma c’era il presente. E il presente erano molte cose insieme. I battiti del cuore per e di una donna con la quale il legame non sareb-be stato più possibile. La mia famiglia, una madre e un fratello che hanno dovuto accettare la mia decisione, sapendo quanto l’America fosse radicata in me. I tanti amici di lunga data, che mi hanno soste-nuto nella circostanza. Le persone con le quali era nato il mensile X Times: Lavinia Pallotta, Pino Morelli, Alberto e Adriano Forgione, Silvia Agabiti Rosei e Mike Plato. E uno stuolo di preziosi collabo-ratori esterni. Avrei anche dovuto lasciare l’impegno in Italia contro il cover-up non solo ufologico e per il mio modo di fare informazio-ne, comunque il punto era solo uno: l’Arizona e le sue incognite mi chiamavano. Sarà stato per orgoglio, o caparbietà, o per altre ragioni, fatto sta che nell’aprile 2009 mi sono ritrovato su un aereo diretto a Londra. Il volo della compassata British Airways ha fatto scalo a

Page 225: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

211

Heathrow arrivandovi con un ritardo di venti minuti, sufficienti a farmi perdere la coincidenza con la partenza successiva. Abbando-nati a se stessi, fra i passeggeri in transito parcheggiati all’aeroporto, ho atteso quattro ore prima dell’imbarco su un nuovo volo intercon-tinentale diretto a Detroit e quindi prenderne un altro per Phoenix. In tutto, un viaggio di ventitré ore. Ad attendermi all’aeroporto di Sky Harbor di Phoenix c’erano il mio capo e una gradevole tempe-ratura di quindici gradi più alta rispetto a Roma, che di lì a maggio sarebbe diventata torrida. Un’ora dopo ero nel mio appartamento, nella downtown di Tempe, situato di fronte agli uffici dove avremmo impiantato la redazione di Open Minds. Ero in una condizione ap-parentemente ideale basata sulla fiducia reciproca con il management dell’azienda, ma dovevo prima passare attraverso le maglie buro-cratiche dell’immigrazione per ottenere il visto di soggiorno e di lavoro. Dopo alcuni mesi e pratiche molto onerose da me sostenute e assai intricate e dopo un ulteriore viaggio in Italia nel settembre 2009, quando ho visto approvato e timbrato un visto di tre anni sul mio passaporto, mi sono sentito “a casa” e al sicuro. Le cose sono cambiate progressivamente e di ciò che accadeva intorno a me non riuscivo a rendermi conto. Non solo ho mancato di accorgermene, avevo letteralmente gli occhi bendati. A posteriori, ho cercato anche delle spiegazioni razionali e lucide. La sostanza però non cambia e scriverne qui non è possibile, perché materia di un prossimo libro. Ognuno di noi, nello strato più profondo della coscienza sa bene cosa sta facendo e le ragioni del proprio comportamento e intuisce ciò che esso riflette, sia su stesso sia sugli altri. Soprattutto, nella mia vita professionale all’interno di una ventina di testate, ho imparato che se due direttori devono convivere, uno può rappresentare gli in-teressi della proprietà, l’altro dovrebbe garantire la qualità editoriale, ovvero dei contenuti. A volte avviene, invece che una stessa persona, per esempio per diritto di primogenitura, sia proprietaria e abbia po-tere decisionale su tutto. Io non ero questa persona e nelle corporation americane certe cose non si possono mettere in discussione. In ogni

Page 226: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

212

caso, parlerò in altra sede dei miei quindici mesi in Arizona, ma è stato un periodo esaltante, sotto tutti gli aspetti. Partecipare alla na-scita e allo sviluppo di un progetto editoriale riempie la tua giornata e assorbe ogni tua energia se, come nel mio caso, il giornalismo è la tua vita, a prescindere dalla lingua scritta e parlata con la quale ogni giorno fai i conti. Per esempio. Prendiamo un medicinale da banco (senza ricetta) in vendita in qualunque supermarket. Le indicazioni per l’uso, a parte il linguaggio tecnico, sono astruse. Giri e rigiri la confezione e alla fine rassegnato, dici, «macchissenefrega» e ingurgiti la pillola contro il mal di testa. Che poi ti passa. Oppure devi collega-re lo stereo all’apparecchio televisivo ultrapiatto ad alta definizione e, senza un amico che ti dia una mano… ecco, tante piccole cose della quotidianità che sembrano insormontabili e che vanno vissute con una disponibilità totale ad apprendere e, di conseguenza, anche a far capire agli altri come sei tu. Le guide sono importanti. Non solo quelle “disincarnate” che ci assistono e forse dovrebbero venire in nostro aiuto un po’ più spesso. Soprattutto quelle in carne e ossa, che per me sono state le mie stesse compagne di viaggio all’Area 51, Lori Wagner, Aimee Sparrow e Paola Harris, con le quali un bel giorno ho raggiunto Sedona.

A meno di due ore a nord di Phoenix, Sedona si allunga su una valle verdissima incastonata fra maestose rocce rosse ed è percorsa da un fiume che nutre la sua abbondante vegetazione. Sedona raccoglie da tanti anni migliaia di anime attratte dalla sua energia, apparen-temente rigenerativa. Certo, la forza si avverte. Per raggiungerla, si punta verso Flagstaff, dove le temperature scendono drasticamente rispetto alla Phoenix Valley sempre assolata e sei in un altro mondo. Guidati da Lori, penetriamo nel cuore dell’Arizona centrale, dove ti accoglie questa terra un tempo abitata dagli Hopi e dai Navajo e che il turismo, per quanto massiccio, ancora non ha potuto conta-minare. Passata la strada centrale, l’unica, dopo una salita e curve e controcurve verso l’aeroporto, ci attende lo Sky Ranch Lodge, dal

Page 227: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

213

quale si domina tutta la valle. Un panorama mozzafiato e l’alber-go, per niente dispendioso, offre tutti i comfort, tranne la colazione del mattino, che faremo al ristorante del minuscolo aeroporto, dove siamo andati a cena la sera dell’arrivo. Abbiamo due giorni intensi da trascorrere a Sedona ed è bene riposarsi, perché ci attendono camminate su sentieri comunque non difficili e anche uno skywatch l’indomani notte. La Valle Verde di Sedona dista due ore e mezza dal Grand Canyon. Fu scoperta anticamente da uomini dediti alla caccia e al nomadismo, che vi si insediarono soprattutto a ridosso della maestosa Oak Creek, coltivando quanto potevano e il terreno fertile favorì poi l’arrivo dei bianchi. Il nome del villaggio nacque all’ini-zio del Novecento da un certo T.C. Shnebly, il quale aprì il primo ufficio postale della piccola comunità e lo volle chiamare come la sua signora, Sedona. Targhe commemorative lo ricordano, accanto a uno Starbucks, bar della catena dei caffè all’europea diffusi ovunque negli usa e a una maestosa aquila le cui bronzee penne riflettono la splendida luce del sole. Facile poetizzare, quando si è appena fatta colazione da Starbucks con dolci compagne di viaggio, ma davvero qui l’atmosfera induce alle buone vibrazioni.

Queste una volta erano riserve indiane e i siti archeologici abbon-dano, ma noi cercheremo di godere soprattutto dei suoi meravigliosi scenari. Abbiamo visitato il Red Rock State Park, ci siamo inerpicati sulle rocce rosse e abbiamo contemplato le rive di un fiumicello le cui acque scorrono sempre limpide, fatte per abbeverarsi. Si potrebbe dire che qui la natura ha qualcosa di mistico e selvaggio a un tempo, che si avverte ovunque. Molti sono convinti che Sedona ospiti “vortici energetici”, o portali dimensionali noti solo agli sciamani. Le intense sfumature rosso arancio delle pareti rocciose sono come mura natu-rali di templi sacri innalzati come scettri spirituali. Ho “sentito” qual-cosa di simile e altrettanto sacrale solo in Grecia, alle Meteore, nella Tessaglia. Sulle guglie naturali delle Meteore si ergono monasteri a picco nel vuoto, frutto dell’erosione di secoli. Uno spettacolo incredi-bile. Egualmente, un balsamo per l’anima è l’energia che scaturisce dal

Page 228: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

214

suolo di Sedona. Tant’è che ci siamo soffermati in due luoghi “sacri”. Il primo, la cappella della Santa Croce, cattolica e di ardita architettura contemporanea, costruita a strapiombo sulla valle, dove siamo rimasti per pochi minuti. Il secondo, circondato dalle rocce rosse, è lo stupa Amithaba, creato dall’organizzazione buddhista Kunzang Palyul Cho-ling. Gli stupa sono monumenti sepolcrali consacrati al Buddha, che simboleggiano l’immanenza della mente divina e per questo costitui-scono luogo di meditazione e di rinnovamento spirituale. Vorrei fosse vero che il sentimento della compassione e del perdono che si prova in questo luogo, girando ripetutamente in tondo alla statua, riesca a irradiare pace e consapevolezza, cambiando la tua mente e la tua ani-ma in positivo. Non tutti sentono questi sentimenti, non tutti hanno la fortuna, di sentirne dentro il richiamo. Anche per questo Sedona è stata scelta da migliaia di artisti sradicati, di artigiani, di danzatori dello spirito, per la sua poesia interiore.

Molte di queste persone sono alla ricerca di una ragione. Qualcuno ha scoperto in sé facoltà speciali, psichiche, di guarigione, olistiche, sciamaniche, in un disegno che sta fra l’umano e il divino, fra la gene-razione di Woodstock e quella in attesa dell’arrivo o del ritorno degli et benevoli. Gli alieni si respirano, a Sedona. C’è anche un negozio ben fornito di gadget e libri che attira i turisti sul piazzale con la scocca di un’automobile modificata a mo’ di disco volante. Noi però eravamo in vena di sensazioni più forti e gli alieni li abbiamo attesi davvero, per diverse ore nella notte seguente. Ci siamo recati, una dozzina di amici sia locali sia venuti da Phoenix, su un altopiano privo di antenne e luci tutto intorno, sino a un punto noto a pochi, dal quale sarebbe stato possibile osservare la volta del cielo stellato e fare ufo skywatch. Ma “loro” non si sono manifestati. Neppure una lucina strana in cielo. Satelliti, aerei, persino stelle cadenti, ma niente ufo, nonostante la no-stra pazienza, il freddo pungente e la scarpinata piuttosto disagevole.

Il che mi ha riportato alla mente gli inutili skywatch di “Madura”. Ma-dura era il nome che avevamo dato, insieme a un paio di critici musica-

Page 229: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

215

li, Manuel Insolera ed Elio Donato (che all’epoca avevano formato un duo, gli Accidental Suicide, nome che campeggiava fra i fiori dipinti sul maggiolino Volkswagen beige di Elio), a un luogo immaginario fra i campi che una trentina di anni fa si estendevano fra la via No-mentana e la via Salaria, quando ancora non era iniziato lo sviluppo urbano della zona di Talenti, oltre Montesacro. Avevo convinto i miei amici più cari che bisognava andarci con il favore delle notti stellate, in attesa degli ufo. Pazientemente, mi avevano seguito. Be’, ci fosse stata una volta, dico anche solo una volta, che avessimo visto qualcosa di strano! E invece, i soliti sospetti si fanno vedere quando meno te li aspetti. Ma allora niente, tornavamo a casa sconsolati, io accendevo lo stereo e sul piatto giravano i dischi più sconvolti di quegli anni e ci consolavamo filosofeggiando del più e del meno.

I dischi volanti non erano comunque l’argomento principe delle nostre conversazioni. Erano i primi anni Settanta e, in linea di mas-sima, si parlava di musica e di politica. E di ragazze. Nessuno fra i miei amici era ancora sposato. Premesso l’aver rassicurato i genitori, la sera si era liberi di fare un giro in moto e molto spesso si restava a casa mia ad ascoltare musica. Quella che apriva la mente. Quella che andava alle frontiere del suono e dell’immaginazione. Per questo mi lasciavo andare alle mie dissertazioni sugli ufo. Raccoglievo ritagli di stampa. Leggevo libri di Kolosimo e di Pinotti. Ma fu Il mattino dei maghi di Pawels e Bergier che mi colpì di più e mi stimolò verso le correlazioni fra gli alti coefficienti di stranezza di vari fenomeni, gli accostamenti storici, il ragionare oltre gli schemi. Non che lo trovassi rivoluzionario, ma certamente sembrava cogliere l’interesse anche di altri e, inoltre, sentivo tutto questo vicino alla “musica co-smica” dei tedeschi elettroacustici che mi aveva preso dentro. Poi un giorno bussò alla mia porta un ragazzo strano e allampanato, Mauro Radice. Ora, a distanza di circa quindici anni dalla sua scomparsa, so che esiste persino un fan club, o meglio un gruppo di persone (forse vasto) che della scrittura di Mauro e della sua genialità di stravolto letterato rock, ha fatto una sorta di mito. Si presentò un pomeriggio

Page 230: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

216

a casa mia, proveniente da Milano, perché da circa un mese ospitavo la sua ragazza, Anna. Non vivevamo in una comune. Anna aveva bisogno di un posto a Roma, dove soggiornare temporaneamente e Mauro, che conoscevo solo telefonicamente e come critico mu-sicale, mi mandava eccellenti articoli, che riuscii a far pubblicare su Muzak. Aveva talento e un aiuto non si negava a nessuno, all’epoca. Prendemmo degli accordi piuttosto vaghi e un giorno Anna si fece viva, con un bagaglio minimo, ma una grande cultura di cucina ma-crobiotica, alla quale mio malgrado fui iniziato. Da quel momento, Silvia, che tre anni dopo sarebbe diventata mia moglie, vide la cosa un po’ assurda, soprattutto quando Mauro arrivò a Roma. La coppia di milanesi era davvero sui generis. Comunque, li ospitai per alcuni mesi. Il tempo per realizzare insieme una Enciclopedia pop (Celuc Li-bri, 1976, Milano) in formato tascabile che raccoglieva articoli miei (non fui menzionato fra gli autori e non ne ho mai capito la ragio-ne), di Dario Salvatori, Doriano Benaglia, Angelo Quattrocchi e il Collettivo di Fallo! ma firmata in primis da Mauro Radice. Un lavoro epico, la prima vera enciclopedia rock italiana, della quale ho inten-zione di riprendere i miei contributi e pubblicarli, finalmente come co-autore originale.

Perché Mauro è stato fondamentale per me? Perché Mauro era davvero un ragazzo fuori dal mondo. Diceva di essere cresciuto sotto l’ala protettrice di Bruno Contenotte, personaggio del quale avevo sentito solo favoleggiare, ma che ora, grazie a Internet, riesco a inquadrare nella sua straordinarietà. Mauro mi parlava di questo Contenotte come del suo maestro. Ma non mi aveva mai fatto cenno alle arti marziali. Su Contenotte ho trovato questo passo, scritto da Cesare Barioli nel suo fondamentale Storie del dojo:

Bruno Contenotte era Bruno Facchini, il gioielliere che è divenuto arti-sta, illuminando con una macchina impressionante le piazze bianche del mondo (dalla Costa Azzurra a New York), collaborando a Odissea nello spazio e soprattutto fondando il Jigoro Kano di Milano (Koike Tadashi,

Page 231: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

217

Kurokawa Mayuki, Yoshinori Kanno). Aveva conosciuto Kawaishi a Parigi. È tornato entusiasta; affittato un grande appartamento in via Sant’Eufemia a Milano, vi ha installato una materassina morbida di ca-scame, vi ha fatto dipingere grandi affreschi di argomento samurai e mi ha chiamato a collaborare (venivo dalla Spartacus, con Fiocchi, Castel-lan, Cortese, Pozzi, Ruschena, Consiglio, Gulotta, Novella, Canzi…). Ho consigliato come insegnante Pio Gaddi, che non si è adattato alla città; allora abbiamo chiamato Nicola Tempesta, che generosamente fa-ceva randori con tutti, tutti i giorni, e non è durato. Allora, con l’aiuto dello scultore Azuma, abbiamo telefonato a Risei Kano e chiesto il si-gnor Koike e altri due giapponesi in seguito.

Di Contenotte quindi, fra i padri fondatori del Judo in Italia, restano tracce, forse la più completa sta in questo scritto di Pierre Restany, Parigi, novembre 1971:

Più ancora delle pietre di meditazione cinesi che sono autentici ready-mades di un’estetica generalizzata della natura, le superfici colorate di Contenotte, la loro liquidità in perpetuo movimento traducono l’aper-tura fondamentale di un’operazione percettiva basata sulla negazione del tempo. Forse mai fino a ora, e con una così irrefutabile nitidezza, Bruno Contenotte ci aveva reso, fisicamente sensibile, la pluralità dei piani della coscienza: e a partire da questa pluralità l’inizio di una co-scienza assoluta del reale in sé. A coloro ai quali una tale estrapolazione spirituale pareva eccessiva io consiglio di riesaminare la complessità psi-cosensoriale del fenomeno visivo puro. La dinamica dei fluidi colorati di Contenotte è il riflesso sensibile dell’energia-una di Max Planck. E se gli hippies hanno usato e abusato dello psichedelismo dell’immagine (molto dopo le prime proiezioni metamorfiche di Contenotte: ecco un particolare storico da rilevare), è evidentemente perché l’ipnosi visiva, provocando la perdita dell’identità, fa ribaltare l’essere nell’euforia di un sopra-io collettivo. Contenotte ha colto d’istinto l’ampiezza del fe-nomeno e ha cercato di renderne la mediazione tangibile: nella sintesi unitaria tra lo spazio e la luce, il tempo, negato in quanto tale, non è percepito che attraverso la continuità immateriale il flusso dell’energia.

Page 232: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

218

Morto nel 2003, Pierre Restany era un critico d’arte francese, ma anche un filosofo che creò l’idea e coniò il termine “nuovo re-alismo” con Yves Klein durante la mostra collettiva alla galleria Apollinaire di Milano, nel 1960. Fra gli artisti del gruppo che ne scaturì, Mimmo Rotella e Christo. Dunque Mauro Radice, che all’epoca del nostro incontro era poco più che ventenne, veniva da una scuola culturale d’avanguardia. Mi parlava spesso di Con-tenotte, ma purtroppo non ricordo nulla delle sue lunghe disser-tazioni sul suo maestro. Certo è che, leggendo i passi su esposti, è facile cogliere elementi che ci riguardano, nonostante il tempo passato. Comunque, ora, sento Mauro Radice presente nella mia vita. Questo è per me il fatto importante. A volte si fanno incontri nella vita che possono durare lo spazio di un mese, o un anno, rapporti di amore, di interazione esistenziale con altri individui che non sappiamo nemmeno se ci sono amici veramente, ma la ragione per la quale non lo sappiamo è perché sono più avanti di noi, hanno sviluppato una percezione del mondo e dell’Univer-so che ci circondano accentuata a dismisura e per questo, spesso, non sono compresi, restano da soli, hanno difficoltà a rapportarsi con il prossimo. O sono diversi. Il loro realismo fantastico, quello proposto da Pawels e Bergier, non è nostro nell’anima, è di altri, lo viviamo a tratti, a flash di luce, di musica, di suoni, di colori e in fondo siamo fortunati se lo sperimentiamo e lo possiamo raccon-tare, come per me, in una notte come questa.

Altri ci hanno preceduto, altri verranno. E citerei ora Edgar Allan Poe, perché credo che avere la coscienza di vivere in un mondo che è fondamentalmente “illusione” sia importante, per affrontare le prove che ci attendono. Ecco. Uno stralcio da una poesia di Edgar Allan Poe intitolata A Dream Within a Dream, “Un sogno dentro un sogno”.

Take this kiss upon the brow!And, in parting from you now,Thus much let me avow-

Page 233: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

219

You are not wrong, who deemThat my days have been a dream;Yet if hope has flown awayIn a night, or in a day,In a vision, or in none,Is it therefore the less gone?All that we see or seemIs but a dream within a dream.13

13 Accetta questo bacio sulla fronte! / E ora, nel distaccarmi da te, / Consentimi questa grande confessione - / Non si sbagliano, quelli che ritengono / Che i miei giorni siano stati un sogno; / Eppure se la speranza è volata via / In una notte, o in un giorno, / In una visione, o in nessuno, / Ciò che è andato era quindi da meno? / Tutto ciò che vediamo o sembriamo / Non è che un sogno dentro un sogno. /

Page 234: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

220

xxi

Collegamento cosciente di diverse esperienze

Vivere con la certezza assoluta che altri esseri ti hanno fatto visita, anche se solo una volta, e non capirne le ragioni è difficile. Puoi interrogarti mille volte e la cosa non si risolve. Almeno da soli. A meno che non si sia degli “illuminati”, nel senso di avere raggiunto lo stato di grazia, secondo l’accezione occidentale, o il samadhi, il massi-mo livello di concentrazione nella meditazione, quindi l’accesso allo stato di contemplazione, secondo le tradizioni orientali. Tentare di descrivere l’esperienza del contatto con entità aliene, con gli scarsi mezzi di comunicazione in nostro possesso spesso si rivela frustran-te. Rispetto a molti altri addotti io sono stato fortunato, giacché da oltre vent’anni vivo di ufologia e mi è stata data la possibilità di confrontarmi con esperti del settore. Questo mi ha aiutato. La let-tura di libri dedicati al fenomeno abduction, inoltre, ha reso possibile una mia crescita verso il riconoscersi in – e con – tante persone che nel mondo vivono esperienze assai simili, se non identiche. Ricordo per esempio una signora piuttosto matura ed elegante, con la quale mi trovai a partecipare a uno speciale sugli ufo su Canale 5, almeno quindici anni fa, a Roma. Ci incontrammo negli studi del Palatino e prima della registrazione conversammo e mi raccontò di aver fatto un’esperienza molto strana. Una sera era di ritorno con la sua mac-china verso casa, sui colli romani. A un certo punto, giunta a poca distanza dalla sua abitazione, il motore si era spento, insieme alle

Page 235: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

221

luci dei fari e del cruscotto. Tutto era piombato nel silenzio. L’auto-mobile però aveva continuato lentamente la sua corsa e la signora aveva tentato di scalare le marce per portarla a fermarsi, ma non c’era riuscita. La macchina avanzava da sola. Davanti a lei apparve improvvisamente una nebbia molto fitta che in un paio di secondi l’aveva inghiottita. Cercando di soffocare l’emozione, la signora mi disse che a quel punto non ricordava più cosa fosse successo, ma di aver avuto l’impressione di vedere delle figure indistinte che, mano a mano, le erano apparse totalmente diverse da noi. Poi la macchina si era rimessa in moto, lei si era svegliata di botto da una sensazione di torpore e aveva subito ripreso il controllo del mezzo. Fatti pochi metri, aveva accostato al ciglio della strada, rendendosi conto che era accaduto un qualcosa che non capiva. Non ne aveva mai parlato con nessuno e mi chiese se avessi una risposta. Le dissi che fatti simili erano accaduti ad altre persone, ma purtroppo per lei non avevo una spiegazione. Non ne fu contenta e l’intervista che rilasciò durante il programma la fece a volto coperto, di spalle e con voce contraffatta. Potrei citare decine di casi del genere, giunti alla mia attenzione. Solo adesso ritengo di essere in grado di gestire meglio la cosa. La ragione è che da poco ho capito come andarono veramente le cose per me quando vissi la mia esperienza, nel settembre 1999. Prima di decidermi a scriverne sulle note della mia home page di Fa-cebook, ho impiegato diverso tempo. Stesi quegli appunti tre mesi dopo la regressione cosciente condotta dalla dottoressa Ruth Hover e ora sono in grado di aggiungere altri dettagli.

Della regressione esiste una registrazione video, effettuata nello studio televisivo di Open Minds, a Tempe, la cui cronaca costituisce il xxii capitolo di questa edizione aggiornata e ampliata del mio libro.

Fu il regista Tom Ruffin, responsabile delle video produzioni di Open Minds, a propormelo. Con Tom, un cinquantenne di Los An-geles per vent’anni nello staff dello show televisivo Entertainment Tonight, avevo subito stabilito un rapporto di amicizia. Non era ad-

Page 236: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

222

dentro alla questione ufologica, ma gli avevo spesso parlato del fe-nomeno abduction e di come l’ipnosi consentisse il recupero di parte dell’esperienza, cancellata o sepolta nella memoria. Avevamo quindi intervistato insieme diversi addotti, dei quali il più noto è Stan Ro-manek, ma non era mai accaduto di poter registrare una regressione.

Quando Tom Ruffin mi ha rivolto l’invito, ho accettato subito. Dopo tanti anni era arrivato il momento giusto e, soprattutto, ri-ponevo la massima fiducia in Ruth Hover, una donna straordinaria che si occupa da decenni di fenomeni di abduction. Psicoterapeuta e ipnoterapeuta di Fountain Hills, Arizona, Ruth ha studiato centinaia di casi, lavorando anche a fianco di John Mack. A lungo responsa-bile del Abduction Support Group della sezione mufon di Phoenix, a causa di un male che l’ha colpita da un paio di anni e contro il quale lotta coraggiosamente, Ruth ha da poco lasciato a Michelle Emer-son la guida del gruppo. È una donna straordinariamente dolce, non le manca mai il sorriso, sa parlarti al cuore. Nessuno meglio di lei a Phoenix, per riportare a galla il mio vissuto. Quel pomeriggio, negli uffici di Open Minds, Ruth era come sempre accompagnata dal mari-to Harry. Prima della seduta abbiamo conversato un po’, poi mi ha chiesto se mi sentivo pronto. Quanto ora segue è scaturito da ciò che ricordavo coscientemente della mia ipnosi regressiva. La trascri-zione della seduta consentirà a breve di notarne le parti congruenti e/o mancanti.

Torniamo a tredici anni fa, a Roma, al secondo piano di un villino nella zona di Vena d’Oro, sulla via Nomentana, dopo il grande rac-cordo anulare. Poche le persone che all’epoca ne vennero a cono-scenza. Wendy d’Olive e Cristoforo Barbato, che lavoravano nella redazione della rivista Stargate, e Corrado Malanga, che informai te-lefonicamente la mattina dopo. Corrado e io eravamo già fuori dal cun e ci sentivamo pressoché quotidianamente.

Era il settembre 1999. Non ricordo il giorno esatto. Notte fonda. Mi sveglio sollecitato da un qualcosa che mi suggerisce di aprire gli

Page 237: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

223

occhi. Sono cosciente. Guardo la sveglia, sul comodino alla destra del mio letto. Segna le quattro in punto. Dalle persiane filtra la luce fioca delle lampade del giardino posteriore su cui si affaccia la mia stanza da letto. La camera è nella quasi oscurità.

Sono sdraiato sul letto e sulla mia destra, a circa un metro e mezzo da me, assisto stupito al comporsi nell’aria di una nebbiolina giallastra fatta di corpuscoli luminosi che velocemente sembrano aggregarsi. Passa un minuto, me ne accorgo perché mi giro sulla sinistra e la sve-glia indica le 4:01. Mi dico che sono sveglio e che non sto sognando. Lucido, rivolgo di nuovo lo sguardo a destra. La nebbia si addensa sino a creare tre sagome, color arancio grigiastro. Due piccole figure, alte circa un metro, una più alta, alta circa un metro e quaranta. I con-torni delle sagome diventano netti. Vedo le figure dalla cintola ai volti, che sono inespressivi. Grandi occhi neri, fessure al posto della bocca. Con la mano mi pizzico la coscia destra. Mi dico: «Ecco, sono qui per me». Il più alto, il cui atteggiamento mi appare in qualche maniera si-mile al “dottore” descritto da Betty e Barney Hill, sembra ondeggiare sul busto, inclinandosi verso di me, come facendo perno sul bacino. Il viso si avvicina. Nella testa sento le seguenti parole in italiano: «Non avere paura Maurizio, non ti faremo alcun male».

Nella mia mente scatta una reazione istintiva e automatica, che com-pone una frase: «Non vi conviene». Non ci ho pensato, è scaturita da qualche luogo della coscienza, probabilmente da quello che chiamiamo “sesto senso”. La frase contiene in sé un avvertimento, quasi una mi-naccia, che “loro” devono aver intuito. Sono venuti a prendermi e io non voglio seguirli, non mi faccio portare via senza difendermi.

Mi sorprende, la mia prontezza. Non aspetto la loro replica. Mi sembra che comunichino all’unisono mediante il più alto, il quale immobile continua a fissarmi come scrutando dentro la mia anima. Però non mi interessa e non attendo una loro mossa, che faccia-no qualcosa, oppure che svaniscano. Mi giro dall’altra parte, guardo l’orologio, sono le 4:03. Mi dico che se ne sono andati, che non mi hanno portato via e non mi hanno fatto alcun male. Posso riprende-

Page 238: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

224

re a dormire. Mi raggomitolo sul fianco sinistro come mio solito e in pochi secondi mi addormento.

Al risveglio al mattino ricordo immediatamente tutto, dall’inizio alla fine dell’esperienza. Sino al momento in cui mi sono voltato dall’altra parte e ho ripreso a dormire tranquillamente. Lo racconto a Cristofo-ro, anche lui sveglio da poco. Occupa una stanza al primo piano e mi preme riferirgli l’accaduto, mentre prepara il caffè. Poi attendo l’arrivo di Wendy e glielo racconto. I loro commenti sono abbastanza distac-cati, rispetto all’importanza che io sto dando alla cosa.

Infatti chiamo telefonicamente Corrado Malanga e ne parlo con lui. Mi dice che possiamo vederci e fare una regressione, se lo desi-dero. Gli rispondo: «No grazie, perché tanto non è successo niente».

Ero assolutamente certo di aver avuto un contatto, che si era in-terrotto grazie alla mia risposta automatica di autodifesa che aveva indotto i miei visitatori a desistere.

Sono rimasto con questa falsa convinzione fino alla regressione di po-chi mesi fa. Nell’arco degli ultimi quattro o cinque anni ho parlato della mia esperienza in privato e pubblicamente, in occasione di conferenze alle quali ho preso parte come relatore, in Italia e negli usa, come a Laughlin nel 2009. Devo anche ammettere di essermene fatto bello, di aver espresso il mio orgoglio leonino (dal mio segno zodiacale) che si abbarbicava all’idea che il lungo training nelle arti marziali e l’insediarsi nel mio subconscio di una realtà dissociativa, separata dal reale, avesse portato alla immediata soluzione del problema. C’è da aggiungere che “loro”, le creature che eseguono l’abduction, sanno di aver accesso a questi strati del nostro essere più intimo, nelle ore della notte nelle quali viviamo nella fase rem, prevalentemente fra le 3 e le 4 del mattino. È un pattern ricorrente, constatato in centinaia di casi studiati. In pratica, in quei momenti, noi apparteniamo a un’altra dimensione, ma non ce ne possiamo rendere conto. E io avevo scortesemente rifiutato l’invito perché la mia mente razionale non si fidava di loro.

Page 239: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

225

Lentamente, nel tempo, ho cominciato a nutrire il sospetto che le cose non fossero andate secondo la dinamica che ricordavo. La cer-tezza quasi incrollabile di prima iniziava a dissiparsi, soprattutto per-ché andavo maturando una diversa consapevolezza grazie alle tante persone addotte con le quali ero venuto a contatto. Le loro esperien-ze e la comune graduale presa di coscienza configuravano un vissuto reale, stabilito in parallelo fra noi. Veniva quindi a galla questa cosa tanto interiore da essere impiantata nel subconscio.

A meno che la sindrome post-traumatica da contatto alieno non sia di gravità tale da sconvolgere la loro vita quotidiana, negli ad-dotti il meccanismo di rimozione e/o di estraniamento dalla diversa realtà prospettata dall’esperienza – che io ricordavo di aver vissuto coscientemente sino in fondo – funziona. Con me di certo aveva funzionato. Insomma, prima ho rimosso tutto, sino al 2005, poi ho galleggiato nel dubbio sino al 2010, quindi è arrivato lo “sblocco”, grazie a Ruth Hover. L’avevo incontrata durante varie conferenze e avevo sentito la necessità di dirle cosa mi era accaduto, riferendo tutto, per come credevo fosse andata. Mi disse subito che, volendo, si poteva andare più a fondo, ma io avevo declinato il suo invito.

Quando me la sono trovata davanti negli uffici di Open Minds, Tom Ruffin mi aveva già chiesto se ero disponibile a fare da cavia a beneficio delle nostre telecamere. Così, seduti al grande tavolo rosso della redazione, le ho nuovamente riassunto la storia. Poi siamo en-trati nello studio, dove era già stato tutto predisposto. Due poltrone comode. Ci sistemiamo e siamo perfettamente a nostro agio, sotto la luce degli spot organizzati da Tom, che funge da regista e opera-tore. Ruth con voce gentile mi invita a rilassarmi e a ritornare a quei momenti, descrivendo cosa succede.

Il mio sguardo vaga nella sala, osservo la telecamera fissa davanti a noi che riprende (ce n’è una seconda, laterale sulla sinistra). Tom dietro la camera sorride un po’ sornione. Mi sembra di ricordare di avergli detto qualcosa tipo: «E se mi metto a parlare in italiano, inve-ce che in inglese?» Mi fa cenno di stare tranquillo. Nella sala accanto

Page 240: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

226

i tecnici seguono la registrazione. Tutto quadra, nella circostanza reale nella quale mi trovo. Mi rilasso, quasi sprofondando nella pol-trona, ma mi sento di dovermi tirare su, sul busto e lo faccio. Soc-chiudo gli occhi e paff! Avviene qualcosa. Mi sento investire come da un lampo di luce intensa che proviene dall’alto del lato sinistro dello studio. E lo dico subito a Ruth: «Hey, qui c’è una luce forte!» Ruth mi chiede di tornare al momento in cui quegli esseri erano lì con me, nella mia stanza. «Ora cosa vedi?» Ecco. Occhi socchiusi, descrivo. Mi trovo in un ambiente buio. So di essere in piedi. Da-vanti a me, a circa tre metri da me, appare, come sotto la luce di un debole riflettore, un divano molto grande, colore indefinibile, grigio o beige scuro. Ambiente oscuro, squallido e disadorno. Una stanza senza finestre. Sedute sul divano ci sono quattro persone. La prima, sulla sinistra la riconosco immediatamente. È M.B., una mia cara amica romana, che vive a New York da dieci anni ed è un’addotta.

Le altre persone (credo siano tutti uomini) non le conosco. Sono sedute e mi sembra abbiano le mani poggiate sulle ginocchia. L’e-spressione sui visi è assorta, quasi imbambolata, con la testa leg-germente inclinata in avanti. Ai lati del divano, in piedi, ci sono due esseri non umani, di tipo grigio. In altezza non superano un metro. Sembrano svolgere la funzione di custodi, o controllori. Non espri-mono nulla. Cerco di fissare negli occhi quello che mi appare sulla destra, che vedo meglio. Ma il contatto visivo non avviene. Nello stesso istante però un altro flash di luce mi inonda la mente, ma ho la sensazione stia veramente invadendo lo studio di registrazione. Sono in grado di vedere lucidamente quello che avviene nell’am-biente, ma sono anche in grado di connettermi con la visione della mia esperienza di tanti anni prima. È come schiacciare un bottone del telecomando e passare istantaneamente su un altro canale. Solo che questo canale non lo sto scegliendo, né lo sto cambiando io.

«Ahhh… ma allora non era finita come ho sempre pensato» dico a Ruth.

«Ora chi c’è lì con te?» mi chiede.

Page 241: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

227

Ora, nel ricordare e scrivere, devo fermarmi. Ho un groppo allo stomaco. Fa freddo qui, in questo inizio di gennaio americano. Mi manca Phoenix, anche se so che anche nella valle ha nevicato, ma sono lontano da molti giorni. E l’emozione della lontananza è forte. È bene rimuovere e superare, ma non ci sono in questo momen-to strani esseri che contribuiscono alla rimozione con i loro bravi schermi di memoria. Sono solo. Ho scritto metà di questo libro in una condizione ideale, protetto e guidato, anche dall’alto. Poi la se-conda metà l’ho composta in luoghi diversi, circostanze forzate da una catena di eventi che inesorabilmente ho dovuto affrontare, uno a uno, cercando di mantenere la lucidità necessaria per portare a compimento questa mia piccola opera prima. Mantenendo un con-tatto costante con la realtà, in un turbinio di sensazioni interiori. Fa bene scriverlo, ora. Riesco a respingere, brutto termine, la tristezza. Devo farlo senza aiuti.

Torno alla regressione. Ecco quanto descrivo. «Oh, c’è qualcuno alle mie spalle, io sono in piedi, sì, sento una

presenza dietro di me. Ora sento due mani che si appoggiano e cre-ano una forte pressione sulla schiena e spingono in avanti. Cerco di opporre resistenza. E ora davanti a me c’è un altro essere, alto più o meno come me, anche questo apparentemente grigio, ma non riesco a distinguere alcun lineamento, è come un’ombra scura, che mi si para davanti. Le loro mani ora spingono insieme, verso il basso e de-licatamente mi ritrovo sdraiato sul pavimento (se lo è). Hanno agito all’unisono, imprimendo una forza strana». Non capisco se sono immobilizzato o meno. (Penso) mi sto agitando. Ormai percepisco perfettamente la situazione. Di certo sento aumentare le pulsazioni.

Guardo Ruth, che mi scruta con espressione dolce, materna. «Tran-quillo, va tutto bene, puoi lasciarti andare, sai come fare…» mi dice.

La scena non cambia, ma c’è un altro flash luminoso, intenso. E ora osservo e vedo me steso e i due esseri ai miei fianchi. Le loro mani sono poggiate sul mio ventre.

«Cosa fanno le loro mani?» mi chiede Ruth.

Page 242: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

228

«Armeggiano sul mio ventre, manipolano» rispondo. E ora all’i-stante mi vedo indietro nel tempo, all’aprile 1971, alla sera in cui a seguito di un incidente stradale mi ritrovai in coma al Policlinico di Roma. Passai la notte in un letto in una grande sala con tanti altri ricoverati. Una notte insonne, trascorsa fra la vita e la morte. Vissi una nde (Near Death Experience) il cui ricordo cosciente riaffiorò soltanto molti anni dopo. Vidi tutto, la luce, il tunnel e un viaggio a ritroso e in avanti nel tempo a velocità superluminale. La sensa-zione di abbandono totale che mi attraeva verso la fine del tunnel di luci vorticose tutte intorno a me, portava a una luce ancora più abbagliante, ma che non feriva gli occhi, poi il dolore mi riportava indietro. Il dolore allo stomaco, lacerato e inondato di sangue, aveva nuovamente il sopravvento. Tornava violentissimo. Andava e veniva a intervalli di dieci minuti circa e io viaggiavo, avanti e indietro. In stato di coscienza il dolore segnalava la vita. In stato di incoscienza, la sensazione di beatitudine segnalava la morte.

Mi operarono allo stomaco, con grave ritardo rispetto all’ora di ri-covero, quasi la mattina dopo. Al mio risveglio, aprendo gli occhi, mi vidi in una stanza d’ospedale, con mia madre e mio fratello accanto. Guardavo la scena dall’alto, in astrale, nella fase obe. Fu la seconda parte dell’esperienza di pre-morte. Ne ho scritto nel primo capitolo, come ricorderete.

«Ruth… Ma c’è un collegamento fra quello che vedo ora e quell’e-sperienza di pre morte?» le chiedo. Nel farlo capisco che sono anco-ra perfettamente in grado di determinare gli stati della realtà che sto vivendo. Il contatto con gli alieni nel 1999.

L’esperienza di pre-morte del 1971. Sono collegati. Non so se siano la stessa cosa. Non so se gli esseri quella notte del ’71 erano lì accanto a me. So per certo che il racconto della mia esperienza di abduction andava ben oltre il momento in cui avevo creduto di averli mandati via. Con buona pace della mia coscienza (forse quel bar-lume di razionalità che ancora fa capo in me, in rare occasioni) mi avevano preso e, senza che io mi fossi reso conto di nulla, mi aveva-

Page 243: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

229

no portato altrove e avevano operato su di me. Bene. Erano ancora lì, mentre seguivo la scena che Ruth mi invitava ancora a descrivere. Non c’era però molto da aggiungere. Sono gli ultimi scampoli di una visione. Che svanisce molto velocemente. A occhi bene aperti ora.

Chiedo a Ruth come è andata secondo lei. «Bene, Maurizio, hai ricordato molto. Cosa ne pensi?»

«Penso… be’, grazie Ruth, ora so come è andata davvero… pen-so… che tipo di ipnosi abbiamo praticato?»

«Non era ipnosi. Ti sei solo rilassato e sei entrato nell’altra dimen-sione».

«Cosa? Vuoi dire la dimensione dove ci sono loro e alla quale possiamo accedere anche noi?» la incalzo.

«Sì, hai aperto la porta giusta, vedi, puoi farlo altre volte se vuoi, anche da solo».

«Ma è solo questione di tecnica?» le chiedo. Sorride. È ora di andare. Suo marito, Harry, è un uomo discreto,

dai lunghi capelli d’argento. Mi dice che Ruth è stanca. La aiuta, la sorregge con amore e usciamo insieme dallo studio.

Un mese dopo, circa, Ruth mi ha scritto questo, in un biglietto che accompagna un libro che mi consiglia di leggere: «Sapevi che i due esseri alti che sono con te hanno occhi dorati? Sono alti, magri e le iridi dei loro occhi sono color oro!»

Io non li ho visti, quegli esseri con gli occhi dorati. Mi manca ancora qualcosa. Ma ora so quello che è successo davvero nella mia vita. So perché l’ho spesa cercando delle risposte. So perché sono venuto sin qui, nella mia oasi nel deserto dell’Arizona. Dovevo arri-vare a un’altra tappa di un lungo viaggio, che ho fatto in compagnia di tanti amici che mi vogliono bene, di persone che ho amato e che amo ancora. Non avrei potuto compierlo, questo viaggio, se de-gli esseri strani che io credevo cattivi, quarant’anni fa non avessero poggiato le loro mani sul mio ventre e, magicamente, non avessero guidato le dita del dottor Maurizio Moretti.

Page 244: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

230

xxii

La mia regressione ipnotica

Un’esperienza di abduction si comprende pienamente solo nel tempo. I tasselli si aggiungono lentamente, senza metodo, uno per volta. Sul finire degli anni Ottanta, Whitley Strieber, autore di Communion, Trasformation e di altri fondamentali libri legati alla tematica del con-tatto, partecipò a una conferenza ufologica organizzata dal mufon. Durante il suo intervento, Strieber disse che per gli addotti, dopo un percorso lungo e tortuoso, alla fine del tunnel c’era la luce. Sul palco, un addotto prese la parola e replicò seccamente a Strieber di non sapere se alla fine del tunnel ci fosse o meno la luce, ma sapeva per certo che c’era il terrore. In questa dicotomia bruciante secondo me risiede tutto il dramma delle esistenze umane coinvolte nel fenome-no abduction. Il prenderne coscienza, tra luce e tenebre. Una strada che si rischiara sempre più grazie a quello che possiamo apprendere da altri, ma soprattutto riusciamo a scovare dentro di noi.

Nel mio caso, dopo undici anni di confusione mentale e spirituale, ora so che esiste un collegamento fra l’incontro con i Grigi del 1999 e l’incidente del 1971 insieme alle esperienze di pre-morte ed extra-corporea che ne seguirono. Se sono giunto a questa conclusione, lo devo all’ipnosi regressiva condotta dalla psicoterapeuta Ruth Hover, negli studi di Open Minds, a Tempe, in Arizona, nel 2010.

Dalla seduta era emerso uno scenario molto diverso rispetto a come l’avevo sempre ricordato. Avevo sbagliato nel credere che l’incontro con

Page 245: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

231

i tre grigi si fosse concluso nel modo rimasto impresso nella mia memo-ria. Con la regressione, in me si era palesata una nuova consapevolezza, seppure ancora insufficiente per andare oltre il ricordo cosciente del mio vissuto. Doveva ancora passare del tempo. In effetti, quasi un anno.

Per farlo, dovevo rivedere la videoregistrazione della seduta ipno-tica, così da aggiungere altri dati e completare il quadro.

Purtroppo però, sia stato il fattore umano (errore manuale) sia stato un problema tecnologico (un download frettoloso dei dati ana-logici sul supporto digitale), fatto sta che ho rivisto la regressione e il racconto risulta ancora incompleto.

Alla mia partenza da Phoenix alla volta di Los Angeles, nel dicem-bre 2010, mi erano stati consegnati due dvd contenenti le immagini registrate dalla regia di Open Minds. A quel che ricordavo, la seduta era durata circa un’ora e mezza. Invece, la registrazione consta di soli trentacinque minuti di immagini, ripetuti tre volte, ovvero la stessa scena ripresa da tre diverse angolazioni. All’appello manca tutta una seconda parte, durante la quale sono certo di aver “visto” altre cose, il cui ricordo un po’ confuso era già consapevolmente riaffiorato. Dal dvd ho trascritto il testo integralmente per riportarlo in questo libro.

Luglio 2010. Sono dunque con Ruth Hover nello studio televisivo, seduti su due comode poltrone affiancate. La seduta ha inizio come una semplice conversazione.

ruth hover: Innanzitutto, se accetti la sensazione di terrore come una cosa positiva… Se una persona proietta quel film, nonostante possa esserne ter-rorizzata, ha la scelta di viverla come vuole, perché sarà il suo inconscio – a prescindere dalla storia che vuole raccontarmi – a dover riferire i particolari. A prescindere da dove li abbia appresi, da un libro o da un film, l’inconscio vuole che sia così. È legittimo porsi in discussione perché a volte si inizia a narrare una storia che poi si traduce in un’esperienza che solitamente spaventa perché non si vuole viverla, o riviverla. Devi capire che va fatto e che è un film nel quale potrai mettere qualcun altro, che non necessariamente devi essere tu…

Page 246: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

232

maurizio baiata: Non mi considero una persona speciale per i miei studi, o per le esperienze raccolte in questo campo, ma sento la re-sponsabilità di capire di più. È importante e ora improvvisamente grazie a te…

Non grazie a me, devi renderti conto di ciò che stai facendo, stai costruendo una nuova rivista, sei al servizio della gente, hai fatto i compiti a casa e qualunque cosa tu riesca a trovare ora va bene, perché esprimi te stesso lavorando per questo nuovo progetto.

tom ruffin (il regista): Quando siete pronti, potete iniziare, stiamo già riprendendo.

Sei mai stato ipnotizzato?No.

Neppure un’autoipnosi?No.

Rilassati, come se stessi sorseggiando una birra e guardi una partita in tv. Ecco, lì si è già in ipnosi. E quando sei a letto la sera, prima di sprofondare in quel senso di…So cosa vuoi dire, un senso di relax, il muoversi verso quello che pensiamo sia l’altro regno… all’inizio di ciò che pensiamo sia lo sta-to del sogno, simile al momento in cui esci di casa per intraprendere un viaggio, che speri sia bello, ma a volte non va esattamente come ti aspettavi perché ti schiude a una realtà differente.

È quadrimensionale. Dopo un po’, la terza e la quarta dimensione si connettono e i contorni si fanno sfocati e sei nel mezzo e scivoli fra l’una e l’altra… puoi chiudere gli occhi ora e rilassarti e farti il tuo film. Se arrivi in un punto nel quale non sai cosa sta per avvenire, allora fai la prima cosa che ti viene in mente. Non devi essere in una trance profonda, o ipnotizzato, o in uno stato di sonnambuli-

Page 247: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

233

smo. Devi solo farti il tuo film e la mente è tale da poter afferrare da te qualsiasi frammento dell’esperienza per crearlo. Perché tu quel film lo hai già vissuto.Il che vuol dire essere in grado di rivivere l’esperienza. Credo che una ricostruzione cosciente [conscious recall, NdA] oggi possa essere molto utile.

Tu ne ricordi una parte. Ricordo l’inizio, non la fine, forse una parte della fine, ma quello che rammento distintamente è quando loro apparvero nella mia stanza da letto.

Loro chi? Come erano fatti?Dormivo e ho avvertito una voce nella mia testa che mi diceva la solita cosa: «Maurizio, non aver paura. Non ti faremo alcun male». Così ebbe inizio. E mi chiesi: «Da dove viene questa voce?» Io ero sul letto, dor-mivo, avevo gli occhi chiusi e ho sentito di doverli aprire. Ho guardato alla mia destra e c’era una nuvola giallastra nella quale si stavano creando tre silhouette, formate da minutissimi punti di polvere gialla che si ag-gregavano fra loro. Immediatamente, giacché da circa dieci anni in Italia studiavo il fenomeno delle abduction, mi dissi: «Eccoli, sono venuti per me», e di nuovo ho sentito la voce che diceva: «Non aver paura, non ti faremo del male». E cominciai a comunicare con il più alto.

Erano diventati tre forme definite.Sì, nelle tipiche sembianze dei Grigi. Non di color grigio, più sul giallo scuro… Marrone.Sì, marroni con grandi occhi obliqui, inespressivi, naso e bocca im-percettibili…

Il collo esile…Sì e quello alto era simile a quello che Betty, no, Barney Hill descris-

Page 248: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

234

se come “dottore”. Si protendeva verso di me. Ho pensato facesse perno sul suo asse.

Eri spaventato? Ero a disagio. Mi sono girato un paio di volte verso la sveglia. E non dormivo, né stavo sognando.

Ti stavi orientando, con l’orologio.Sì. Non ero immobilizzato o in uno stato di paralisi. Però la conver-sazione con quel tizio avveniva solo nella mia testa. Quindi men-talmente mi sono detto: «Ok, ho verificato, sono le 4 e un minuto. Questa cosa non va bene».

Cioè non era buona per te…No, non era buona per loro. Lo dicevo a loro, ma senza minacciarli. Volevo solo essere lasciato in pace e riprendere a dormire.

Ecco, questa è una cosa che dovremmo comprendere, il fatto che è possibile dire di no.Ho creduto di poter dire di no e nel caso fossero… un po’ troppo…

Male intenzionati…Sì, avrei reagito fisicamente e ho pensato che una reazione forte li avrebbe spaventati.

Avresti potuto far loro del male. Sono molto esili.Be’, quello alto non mi è sembrato affatto impaurito. Ora, dopo undici anni… credo che successe nel maggio del 1999 e cominciai a parlarne pubblicamente in Italia attorno al 2004-2005. Poi anche qui negli Stati Uniti, riscontrando la sofferenza di così tante persone ho sentito una spinta molto più forte e mi sono detto, «sei in una posizione particolare, dirigi una rivista ufologica, allora perché non dichiari che hai avuto la stessa esperienza di tante altre persone?». Ci

Page 249: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

235

sarà un riconoscersi, uno scambio reciproco di un qualcosa molto importante. Perché o ti è successo davvero, oppure la tua mente ha inventato tutto. Ciò non di meno ci sono troppi casi che ho studiato personalmente e molti altri ricercatori, cento volte migliori di me, hanno raggiunto la conclusione definitiva che le esperienze erano reali. Quindi, va bene parlarne apertamente.

Probabilmente ci sono ancora troppe resistenze che impediscono di approfondire le esperienze. Il tuo magazine sta contribuendo affinché la gente possa pren-derle in considerazione e parlarne, ma certo è più facile quando si tratta delle esperienze degli altri.Oh sì certo, terze persone… in verità l’esperienza che hai vissuto resterà per sempre dentro di te e se ti limiti allo studio è un conto, ma riviverla è un altro. O sei sincero con te stesso oppure non lo sei neppure con gli altri.

Prova a pensarci. Ora è il momento in cui ti sei svegliato quella notte. Fai un replay e scegli cosa fare. Oh, non ho dubbi, andrei con loro.

Andresti con loro?Assolutamente! Andrei con loro.

Ok. Adesso metti a fuoco la situazione. Sono arrivati. Stanotte. Li stai guar-dando. I punti si condensano e formano una piccola figura marrone. Forse sono tre piccole persone marroni. E scegli di andare con loro. Riprendi la storia da lì. Cosa fai e dove stai andando. Non credo che stiano… per fare alcuna mossa verso di me. Perché, come ho detto prima, quello più alto non ha paura di me, ma credo stia dando ordini agli altri. Gli sta dicendo: «Aspettate e vediamo cosa succede con Maurizio… perché è così ostinato».

Sì, perché Maurizio è così ostinato?

Page 250: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

236

Oh, ero tanto riluttante perché sapevo dei tanti racconti delle per-sone che erano state traumatizzate. Non che ne avessi paura, ma dicevo: «Perché dovrei andare con voi? Perché pensate che debba seguirvi?»

È una domanda logica.Sì e credo che lui abbia detto qualcosa tipo: «Perché devi sapere».

Perché devi sapere?Sì. Perché devi sapere. Esatto, io, Maurizio. Per questo mi si sono manifestati nella loro presenza fisica. Nelle loro reali sembianze.

Forse intendevano dire: «Siamo qui. Eccoci in visita. È il momento perché con il tuo lavoro sei sulla strada giusta». Sarebbe comunque accaduto, ma undici o dodici anni dopo.

Prova a cambiare lo scenario, se potessi ricostruire quella scena che hai vissuto riportandola a ora, cosa faresti? Andresti con loro?Sì, andrei con loro.

Descrivi le immagini che vedi ora. Ti stai spostando? Sì, sembra in un’automobile. Siamo usciti dalla villa dove li avevo lasciati. È notte, sono le quattro del mattino. Siamo fuori Roma e in un’area non densamente popolata, non c’è nessuno intorno. Nessu-no può avermi visto uscire…

Sei con loro.Sì, con loro.

Dove stai andando? Puoi descrivere qualunque posto tu voglia. Credo che abbiamo deciso di portarmi da altre persone. Forse in un altro appartamento, sì, a Roma e non lontano dalla mia abitazione.

Page 251: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

237

È un posto che conosci per ragioni di lavoro?Sembra ci siano degli individui che ci stanno aspettando. E due di loro indossano i classici vestiti da men in black.

Vestiti “governativi”.Sì, vedo tre o quattro persone. Una è una ragazza che mi sembra di riconoscere, credo sia una mia amica. È seduta con le altre tre perso-ne su un divano molto grande. In effetti è un divano di colore grigio con due grandi sedie accanto. L’ambiente è fosco, un’atmosfera non oscura, ma cupa, non ordinaria. Io sono in piedi, di fronte a loro e loro mi fissano.

Ti mette a disagio che ti fissino?Sí, non capisco perché mi trovo lì. E cosa dovrei fare con quei tizi. Soprattutto con la donna che conoscevo e gli altri tre che non cono-scevo. Stanno aspettando qualcosa e non siamo soli. No.

C’è molta gente?Altra gente. I quattro umani che ho descritto e altri due, che non sono umani, sono in piedi ai lati del divano e stanno indirizzan-do l’attenzione verso di me. Stanno concentrando l’attenzione del gruppo su di me. Io sono lì, non faccio nulla.

Hai paura?Ah… sì, sento dei brividi e il mio sesto senso è attivo e mi sta dicen-do che quello che sta avvenendo non è molto buono.

Come: «Sarebbe meglio che non fossi qui?» Sì.

Qualcosa ti minaccia? Il sesto senso ti avvisa che la cosa non è positiva?…

Page 252: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

238

Hai detto che loro sono in tre e tu sei solo.Be’, gli esseri non umani non stanno facendo nulla, ma c’è della luce ora. Luce nella stanza che arriva dal soffitto e scende al centro. Ok, sto guardando la luce che è davanti a me e sta creando un cono luminoso.

Tu sei in piedi?In piedi, sì. Le altre persone sembrano disposte ad anfiteatro e mi osservano mentre ho a che fare con questa luce, simile a un fascio luminoso. Ora avverto di nuovo la stessa voce, quella dell’essere più alto che mi dice di entrare in connessione con quella luce.

Connetterti con la luce?Sì, di sentire la connessione con la luce e io tento persino di comu-nicare con quella luce, ma non ci riesco.

Forse hai scelto tu di non farlo.Probabile. La luce sta pulsando, non è fissa.

Ti ferisce gli occhi?No.

Sembri opporre resistenza in questo momento.Ora mi sento più a mio agio. Credo che quel ritmo pulsante della luce stia creando uno stato di calma e di rilassamento. Allora mi in-ducono a stendermi sul pavimento. Qualcuno mi sta afferrando alle spalle, da dietro e molto gentilmente delle mani mi spingono giù.

Non con la forza.No, sono tranquillo. Sono steso sul pavimento e posso vedere solo il soffitto.

La luce viene ancora dal soffitto?Ora non più. Non vedo luce.

Page 253: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

239

Potendo vederla come la scena di un film, cosa accade ora?… Non so proprio cosa fare.

Sei sufficientemente comodo sul pavimento?Non molto.

Stai cercando di capire loro cosa fanno?Sì.

Senti la loro presenza vicino a te? Senti qualche odore?No.

Sei a occhi chiusi. Cosa pensi stiano facendo mentre sei steso sul pavimento. Credo che mi vogliano totalmente pronto e disponibile per qualcosa di cui hanno bisogno.

Sembra una cosa ragionevole.Sì. Ma non gli chiedo nulla, a questo punto.

C’è qualcosa di segreto dentro di te, un risvolto a sfondo sessuale, del quale non vuoi parlare? No. Mi sembra che riguardi il mio intestino. Non sento interessate altre parti del mio corpo. È una forte sensazione di disagio in quella zona. Può essere perché nel 1971 ebbi un incidente motociclistico che quasi mi uccise e vissi un’esperienza di nde e di obe. Fui operato allo stomaco.

Mi sembra che la tua mente stia quasi aggiungendo frange del racconto di tre eventi collegati fra loro e che il ricordo di uno si sovrapponga all’altro. M.B: Nel sentirtelo dire ora… è possibile. Certo, le due situazioni, quella di trovarmi costretto in un letto d’ospedale nel ’71 e quella di ora, steso sul pavimento, sono molto simili.

Page 254: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

240

Sono simili… E dopo essere stato ricoverato in ospedale, l’operazione ebbe esito positivo? Sì. Grazie a Dio. La sofferenza era lancinante. Le ferite interne pro-ducevano un dolore tremendo e stavo morendo di peritonite. Mi dissero poi che le mie condizioni erano gravissime. Il sangue si era riversato ovunque nello stomaco.

Vedi come può accadere che il ricordo di un’esperienza simile sia stata bloccato? Non deve essere stato divertente. È stato bloccato per molti anni. L’ho bloccato per molti anni.

Le due esperienze sono molto simili. Sei indifeso, ti senti male, sei steso… Ho una sensazione fisica di freddo.

Probabilmente eri molto vicino alla morte in quel momento.Sì. So che lo ero.

È sensato dire che non lo stavi ricreando, quando vivevi la stessa cosa con i tuoi tre amici. Sì.

Anche se sei sul pavimento, a occhi chiusi e ti senti male, riesci a capire dove si trovano loro nella stanza? Dietro di te, accanto a te? Sento che due di loro sono ancora dietro di me. Uno non lo vedo più e anche gli altri due. Però avverto la loro presenza.

Sono dietro di te. Sì. E non vedo più gli altri, gli umani seduti sul divano. Non vedo più nulla. In altre parole, ora è tutto buio.

Cancellato. Sì. Tutto scuro intorno a me, nessuna luce.

Page 255: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

241

E questo è collegato al messaggio e all’evento della tua operazione in un diverso momento. Sono molto simili e spaventosi. Sei steso, hai dolori addominali… e sembra che due di loro siano ancora lì, che ti stiano accompagnando. Prova a proiettare il film, mentre sei steso sul pavimento… ora cosa vedi, cosa accade? Sì. In qualche modo è corretto. Un giorno, non so se accadde in stato di sogno o razionalmente, cercai di ricostruire questa esperienza e mi dissi che loro avevano fatto qualcosa di positivo sul mio corpo, per farmi superare il trauma dell’operazione del 1971, ed era un’esperien-za necessaria affinché la mia mente potesse esplorare nuovi territori.

Ti ci ha fatto ripensare, forse non rivivere l’esperienza. L’operazione ebbe suc-cesso perché, ovviamente, sei qui con noi. Sì, ebbe un esisto completamente positivo. Ricordo che quando mi svegliai stavo fluttuando nella stanza, in alto, vicino al soffitto e mi vedevo nel letto con accanto mia madre, mio fratello Claudio e la mia ragazza.

Allora tu guardavi dall’alto verso il basso.Sì e mi dissi: «Ehi Maurizio, sei morto, stai fluttuando nell’aria, sei un angelo».

Non credo proprio, Maurizio.Io ero felice. Loro non piangevano, mia madre… no, non piange-va, accarezzava il mio viso, la guancia destra era tutta graffiata e io ero ancora grave. Ricordo che ero in grado di vedere attraverso la parete della stanza e dall’altra parte, lungo il corridoio ho visto una quindicina di persone, i miei amici, erano tanti e aspettavano tutti di vedere come stavo e fu un’attesa molto lunga perché per tornare ci impiegai quasi un’ora.

Suona come se ti abbiano assistito, nel caso avessi deciso di lasciare il tuo corpo, qualcuno era con te. Sono sempre dietro di te in questo momento, o sono andati via? Sono ancora lì.

Page 256: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

242

È possibile che furono loro la ragione per la quale tu sopravvivesti alla tua ope-razione chirurgica? Le due situazioni sembrano molto simili. Questa cosa è molto difficile…

Sapendo dove ti trovi adesso, che ti salvasti dall’operazione, come lo scriveresti? Oh, gli darei un titolo…

Quale titolo? «Loro mi salvarono la pelle»…

Può essere. Anche la musica mi ha salvato la pelle. E c’è una ragione per questo.

Forse ti salvarono con un fine, forse per quello che stai facendo adesso, questa rivista. Sono solo uno strumento.

Non è una cosa buona esserlo?Molto buona, eccellente. Mi fa sentire bene.

Perché ora hai un diverso punto di vista rispetto a… loro. Sento di poter essere più oggettivo rispetto a molti altri. Non lo dico con arroganza, come ricercatore non ho tutte le risposte e per molti anni razionalmente non ho neppure voluto addentrarmi e rivivere questa storia.

Nell’ascoltarti quello che mi viene in mente è che sei stato salvato per un fine, forse è per quello che stai facendo ora.C’è un punto ancora incompleto. Non fu completato allora e non lo è adesso.

Qualcosa che devi fare tu? …

Page 257: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

243

Hai fatto qualche accordo con loro?Non ho promesso niente. Neppure loro fecero promesse.

Senti di essere in grado di completare quello che dovevi?La cosa positiva è che sono convinto che al giornale ho dato l’indi-rizzo giusto. La parte negativa è che non ho la benché minima idea di cosa stiamo facendo.

Forse non ne hai bisogno. Sembra che tu sia supportato da altre fonti. E che, il disagio che ne provi faccia parte dell’accordo.Può essere così.

Se dai il tuo consenso, puoi darlo o non darlo, che ciò che hai vissuto ritorni a te in piccoli frammenti, per un po’ potresti avere problemi nel sonno, l’affiorare di strani pensieri qua e là. Ma se dai il consenso di farlo tornare alla mente, sia lentamente sia tutto insieme, o in un sogno, tornerà in maniere che puoi gestire. E il fatto che tu abbia vissuto quell’esperienza due volte… vuol dire che puoi tornare ripetutamente al momento in cui eri steso sul pavimento e ci sono quei due dietro di te e, ogni volta che torni indietro, otterrai un altro tassello del puzzle. E poi, un giorno, avrai completato il mosaico, che potrà emergere mentre lavori, o nella tua coscienza, o solo in fase onirica, ma l’avrai completato. Guarda quello che hai già ottenuto. E, siccome lo stai facendo coscientemente, non devi averne paura. Puoi utilizzarlo. Hai un team al tuo fianco, altrimenti neppure lo faresti. Ok.

Fai un respiro profondo e dimmi come senti il tuo stomaco. … Bene.

Bene. Verrà fuori. Un pezzo alla volta e quando succederà ti sorprenderà. Ve-drai un numero della rivista e dirai: «Cosa?» e tutte le risposte ti arriveranno. …

Page 258: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

244

Sembra che ti abbiano aiutato. L’operazione chirurgica, avresti potuto mori-re… e invece……

[Fine della registrazione]

Invece è venuta a mancare Ruth Hover. E, con lei, un’altra grande voce dell’Ufologia americana. Giovedì, 16 febbraio 2012, alle ore 22:30 la dottoressa Ruth Hover si è spenta all’età di settantanove anni nella sua abitazione di Fountain Hills, a Phoenix, Arizona. Le era vicino il marito Harry. La triste notizia mi è pervenuta ventiquattro ore dopo tramite una e-mail di Stacey Wright, responsabile con Jim Mann della sezione mufon di Phoenix, della quale Ruth Hover era il membro di maggior spicco. Nel giugno 2010 Ruth era stata operata per un tumore al colon e, in seguito, aveva rifiutato di sottoporsi a chemioterapia. Le sue condi-zioni si erano aggravate un mese fa circa. Era in home hospice care, assistita da personale medico presso la sua abitazione, un villino nella suggestiva cittadina famosa per il suo lago artificiale con al centro il getto della fontana più alta d’America. Proprio nella sua casa di Fountain Hills, in-corniciata in una macchia di verde nelle alture desertiche della Phoenix Valley, è avvenuto il nostro ultimo incontro. In seguito, ci siamo sentiti spesso telefonicamente, sino al mio rientro in Italia.

La dottoressa Hover era uno dei più affermati psicoterapeuti di Phoenix. Era medico psicologo del Program for Extraordinary Ex-perience Research (peer), fondato dal professor John Mack, psichia-tra della Harvard University Medical School. Oltre a essere membro della Academy of Clinical Close Encounter Therapists (accet), la dottoressa Hover era anche sociologa clinica, con oltre trentacinque anni di esperienza in questo campo.

Come consulente della sezione mufon di Phoenix si occupava della preparazione degli inquirenti sul campo e presiedeva il gruppo di supporto per le persone protagoniste di casi di rapimento alieno.

Page 259: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

245

Nello scrivere, ora, mi rendo conto dell’immensa fortuna che mi è stata concessa nel conoscere Ruth Hover. Era una donna solare e affabile, colta e intelligente. Aveva curato l’edizione di alcuni libri dedicati ad argomenti ufologici e aveva in animo di vedere pubblica-to negli usa anche il mio, per i tipi di una piccola casa editrice con la quale aveva contatti. Con il marito Harry aveva viaggiato in tutto il mondo e desiderava molto venire in Italia.

Le avevo promesso che avrei fatto del mio meglio per organizzar-le una serie di incontri/conferenza nel nostro Paese, perché avrem-mo potuto toccare con mano il suo valore, sulla stessa linea di ap-proccio terapeutico portata avanti da John Mack, al quale era stata legata da lunga amicizia. Ruth aveva una sensibilità straordinaria che le consentiva di definire in pochi minuti la personalità del soggetto che aveva davanti e di inquadrarne i problemi, non solo di abduction, ovviamente. Della sua caratura, unanimemente riconosciuta presso la comunità medica dell’Arizona, non faceva mai sfoggio, adoperan-dosi per aiutare chiunque, disinteressatamente. Con eguale discre-zione aveva lottato contro il male che l’aveva aggredita alcuni anni fa e sul quale aveva sempre detto che avrebbe vinto.

Ho sempre pensato, dal nostro primo incontro nel 2006 a Lau-ghlin in occasione dell’International ufo Congress, che Ruth fosse la persona giusta per aiutarmi a ripercorrere la strada della mia espe-rienza di contatto e riprendere un viaggio conoscitivo interrotto da troppo tempo. Rispetto ad altri psicoterapeuti che mi hanno dato la loro disponibilità, come Barbara Lamb e Yvonne Smith, in Ruth Hover sentivo un calore umano, una familiarità, quasi un grado di parentela che ogni tanto mi portavano a pensare a lei come la sola persona alla quale avrei voluto aprirmi completamente per riportare alla luce la verità incompiuta del mio vissuto. E allora è avvenuto. La sua voce calda e tranquilla mi ha portato in un altro luogo, nel punto di confluenza di diversi momenti della mia vita e, come diceva Michael Wolf, in quel «per sempre» che rende indissolubile il legame di tutte le nostre anime.

Page 260: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

246

xxiii

Le strade del ritorno

Ho lasciato Phoenix l’8 dicembre 2010. Alle sette del mattino di quel giorno, la città che mi aveva ospitato per quasi due anni mi salutò con un avvistamento ufo. Il che mi ha molto sorpreso. Per-ché Phoenix e l’Arizona sono ufologicamente zone molto calde e in due anni a me non era capitato di trovarmi coinvolto in alcun avvistamento, mio o di altri, quindi non mi aspettavo che qualcosa del genere accadesse proprio all’ultimo istante della mia permanen-za. Ero nel motel Mesa Inn della catena Best Western a Mesa, una zona a etnia prevalentemente ispanica a una ventina di miglia a est di Phoenix. Stavo facendo colazione a base di bagels, robuste ciambelle di pane per quali vado pazzo e quel caffè extralungo che a nessun italiano piace, tranne che a me. Nella piccola reception-cafeteria del motel sono il solo ospite. Alzo per un attimo gli occhi verso la gran-de vetrata di fronte a me e noto un punto luminoso molto intenso, biancastro che sembra ingrandirsi, allungandosi lentamente. Metto meglio a fuoco (da lontano ci vedo benissimo) e il punto assume una forma cilindrica, si pone in verticale e inizia a oscillare lievemente, facendo perno sul suo vertice. Mi alzo e vado al desk della reception, dietro il quale il giovane portiere di notte attende svogliatamente il cambio del mattino. Gli chiedo cortesemente se gli va di dare un’oc-chiata a una cosa che sto osservando nel cielo. Si alza, si avvicina alla vetrata e gli chiedo: «Be’, vedi qualcosa?»

Page 261: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

247

«Sì» mi risponde. «E secondo te cos’è?» «Boh!» borbotta, e allora lo incalzo: «Per me è un ufo». «Boh!» mi risponde di nuovo. «Ma come» dico io, «non vedi cosa fa quella cosa? Si sta ingran-

dendo, gira su stessa, a me sembra proprio un ufo!» «Oh, sì va bene, ma tanto a me non interessa» fu la sua laconica

risposta. Interessante, invece, è il plateale atteggiamento di negazione a pri-

ori dell’avvistamento appena fatto. Per quanto sia vero che in cielo si staglia qualcosa di strano, il giovanotto non è entrato in risonanza con quella presenza. L’oggetto nel frattempo ha preso ad allonta-narsi lentamente verso sud, presumo in direzione delle aree urbane di Chandler e Gilbert e, più in là ancora, verso la San Tan Valley, ma non sono in condizione di stabilirlo. Il punto luminoso è ormai alto nel cielo e non ho alcun parametro per rapportarlo alle località verso cui sembra dirigersi.

Dopo l’avvistamento, ero corso a svegliare la mia amica Lori Wa-gner che per la notte aveva alloggiato in una stanza accanto alla mia. Lori era già in piedi e non appena le ho raccontato l’accaduto ci è rimasta un po’ male. Avrebbe voluto vedere anche lei. La reception però era a una trentina di metri dalle nostre stanze e insomma, si vede che la città quel saluto così particolare lo aveva voluto riservare solo a me, forse a coronamento positivo di un’esperienza importan-te per la mia vita.

Non mi restava che intraprendere il viaggio Phoenix-San Diego ac-compagnato, meglio dire preceduto, dal suv stracarico delle mie cose, guidato da Lori. Un percorso di circa sette ore, 355 miglia (571 chilo-metri) da fare tutto lungo la Interstate 8, superstrada meno monotona di altre costituite solo da rettilinei a perdita d’occhio. Lasciata Pho-enix, si va attraverso distese desertiche fiancheggiate da montagne. Pazientemente, devi mantenere la velocità entro settanta miglia orarie (centodieci chilometri) nei pochi tratti che consentono questa punta

Page 262: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

248

massima, altrimenti non puoi superare i novanta. Lori conosce tutte le sfumature di questa strada che collega San Diego a Phoenix e sa come tenere la giusta andatura e prepararmi per tempo alle poche soste, giu-sto per il rifornimento. Arizona verso ovest, la California, l’Oceano, attraversando la frontiera fra i due Stati in una zona montagnosa che nel pomeriggio tardi mi riserverà un trattamento speciale. Prima sosta per un caffè a Gila Bend, frazione sperduta nel mezzo del nulla. Lori accosta in uno spiazzo e la seguo. C’è un diner. Dall’altra parte della strada Lori mi indica l’edificio dello Space Age Lodge, un motel della catena Best Western, rimodernato pochi anni fa e… sormontato da un gigantesco disco volante! Non possiamo permetterci di visitare la struttura, che ospita anche un piccolo museo dell’era spaziale, perché ci attendono molte altre ore di viaggio. Il secondo stop lo facciamo a Yuma, popoloso capoluogo della omonima contea a metà strada fra San Diego e Phoenix, famosa per un leggendario western del ’57 e un remake altrettanto bello, ma crepuscolare di pochi anni fa con Russell Crowe e Christian Bale. Curiosità appagata: Yuma mi appare come un vasto agglomerato di basse costruzioni che oggi spuntano dal deserto, dove oltre un secolo fa le terre di frontiera dell’Arizona (ancora non divenuta uno Stato) dopo i massacri delle tribù native videro sfide epiche, come quella tra gli Earp e la gang dei Clanton all’ok Corral di Tombstone. Insomma, man mano ci allontaniamo dal Far West e ci dirigiamo verso la West Coast. Lori mi ha avvisato rispetto alle diverse abitudini delle border patrols e dei controlli alla frontiera tra l’Arizona e la California. Ci avviciniamo rallentando e disponendoci ordinata-mente in fila, passato il crepuscolo da una mezz’ora. Nota come Border friendship route, la Interstate 8 ha un confine con la California super controllato e non molto friendly. Per me, anzi, per nulla amichevole. Perché delle centinaia di macchine che lo passano indisturbati, in quel-la prima serata dell’8 dicembre 2010, gli agenti della polizia di frontiera decidono proprio di fermare la mia. Effettuano un primo controllo dei documenti, mentre un cane poliziotto sniffa l’esterno del veicolo, poi mi dicono di accostare e di scendere. Passaporto, patente di guida

Page 263: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

249

dell’Arizona e libretto di circolazione mi vengono ritirati e spariscono in un ufficio attiguo. Due agenti controllano l’auto da cima a fondo. Intanto Lori, come appurerò una ventina di minuti dopo, si è fermata circa un chilometro più avanti. In quel momento non mi rendo conto del perché di tanta solerzia, ma mi mantengo tranquillo. Fatto sta che ho la macchina carica all’inverosimile e il portabagagli completamente occupato dall’impianto stereo anni Settanta.

«E questo cos’è?» mi chiede il più truce degli uomini in divisa. «Vede agente, è il mio vecchio stereo. Una volta ero un dj e visto che

sto lasciando l’Arizona per andare a stare qualche tempo da mio fra-tello a Los Angeles, ho deciso di portarlo insieme alle altre mie cose».

La spiegazione non gli piace: «Vuoi entrare clandestinamente ne-gli usa, amico?» mi chiede.

«No agente, sono stato due anni ma torno in Italia tra breve». A quel punto la fortuna mi assiste. Si avvicina un altro agente. Più

giovane, ha in mano i miei documenti. «Allora… sei italiano!?» «Exactly!» proclamo sorridente perché ho notato sul suo badge il

nome: “Frank Bianchi”. «Anche tu sei italiano?!» chiedo. «Sì, i miei sono di Marino, vicino Roma, vado a trovarli la prossi-

ma estate». Ringrazio in cuor mio i miei penati e le entità che ancora proteggono la Città eterna e mi lancio in una rimpatriata fra “paesani” che mette fine ai miei ultimi venti minuti di tensione. Posso andare.

Il perché di tanta severità è presto detto. Questa è una frontiera delicata. Da qui entrano ufficialmente in California migliaia di per-sone ogni giorno e, fra di loro, possono mimetizzarsi i molti illegali provenienti dal Messico, soprattutto.

Sta calando la sera ormai, risalgo in macchina, spiego al cellu-lare l’accaduto a Lori, che tira un sospiro di sollievo e ripartiamo. Percorriamo ancora la 8 e puntiamo verso la costa di San Diego per raggiungere Carlsbad, elegante cittadina dove Lori vive con la sua famiglia. È il mio battesimo sulle highway americane i cui rettifili interminabili sin da piccolo mi avevano ammaliato. Sono davvero

Page 264: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

250

strane. La guida deve essere veloce, ma sempre nei limiti imposti e guai se vai più piano, perché le vetture che ti seguono esigono la loro strada e se non segnali per tempo il cambio di corsia sono guai. L’asfalto non è mai perfetto, in alcuni tratti scanalato per miglia e miglia, sino a farti sembrare di correre su un frullatore. Nell’ombra della sera lo scenario non è più desertico. Raggiungiamo la costa e finalmente rivedo il mare dopo due anni! Lo spettacolo dell’Oceano è strepitoso, inonda il cuore, ma non ci fermiamo, raggiungiamo le dolci colline punteggiate da ville e dimore e vivai e graziosi e piccoli centri commerciali, questa è Carlsbad. Le ultime curve ed eccoci di fronte alla villa di Lori, che mi ospiterà per quasi una settimana. Sono stremato. Per la mia amica è stata poco più di una passeggia-ta. Per me, la presa d’atto di un fatto inequivocabile. Negli USA si guida diversamente, in ragione dello Stato nel quale stai viaggiando. In Arizona il traffico è intenso solo sulle highway nelle ore di punta e c’è sempre la possibilità di file chilometriche, ma che scorrono. In California nossignori e quando arriverò a Los Angeles me ne accor-gerò eccome.

Si avvicina il Natale. Durante il giorno la temperatura si alza di molto, ma la sera l’aria di Carlsbad è frizzante. Stasera ci attende il barbecue. E, per domani sera, invece, una partita di basket del tor-neo ncaa, che vede impegnati i ragazzi della San Diego University. Pessima partita, ma vinta ugualmente.

Cinque giorni dopo farò l’ultimo salto, direzione Los Angeles, cen-toventicinque miglia che percorriamo sulle nostre due macchine, an-cora cariche all’inverosimile. Impieghiamo quattro ore, alla massima andatura consentita e su quattro corsie che in certi punti assomi-gliano a Indianapolis pista infernale. Quando si entra nell’area urbana della “Città degli angeli” le cose iniziano a somigliare all’Italia. Non puoi permetterti la minima disattenzione. Il traffico è intenso. La gente qui guida all’italiana. Sogno di tornarci, un giorno, ma in sella alla mia moto. Accendo la radio. Una stazione di musica rock. Il

Page 265: Maurizio Baiata - Verdechiaro Edizioni › wp-content › uploads › woo...stenza collettiva della nostra razza, un solco inciso nella memoria dell’intero Universo che, annullando

251

navigatore di Lori non può sbagliare e passiamo le uscite che im-mettono sulla collina di Hollywood, quindi puntiamo verso Ventura Boulevard. Lassù, in cima a Eureka Street, c’è la casa di mio fratello Bill. Mi aspettano i miei parenti americani. Sarò loro ospite per tre mesi. Non male, servito e riverito come il fratellino che ha cercato il futuro in America, lasciando il Paese dal quale ha avuto origine la sua famiglia e al quale ora è di nuovo legato. «Lucky you, Maurizio». A Roma qualcuno mi attende e mi vuol bene.