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PIERSANTI MATTARELLA

nato a Castellammare del Golfo (Tp) il 24 maggio1935, assassinato a Palermo il 6 gennaio 1980, gior-no dell’Epifania.Ha ricoperto importanti incarichi diocesani, regiona-li e nazionali nella gioventù di azione cattolica, dellacui presidenza ha fatto parte per cinque anni.Consigliere comunale di Palermo dal 1964 al 1967.Componente della direzione regionale, del Consiglionazionale e della direzione centrale della Democraziacristiana.Deputato regionale eletto per la D.C. nel collegio diPalermo nella sesta (11 giugno 1967), settima (13giugno 1971) e ottava legislatura (20 giugno 1976).Nella sesta legislatura è stato componente delleCommissioni legislative permanenti per gli affariinterni e per la pubblica istruzione, della giunta dibilancio, della Commissione per il regolamentointerno, della Commissione speciale per la riformaburocratica e della Commissione speciale per la rifor-ma urbanistica.Nella settima legislatura ha ricoperto ininterrotta-mente la carica di Assessore alla Presidenza, delegatoal bilancio, carica nella quale è stato riconfermato nelprimo governo della ottava legislatura. Dal 16 marzo1978 era Presidente della Regione.

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ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANAXIII LEGISLATURA

SCRITTI E DISCORSIdi

PIERSANTI MATTARELLA

VOLUME SECONDO

2QUADERNI DEL SERVIZIO

STUDI LEGISLATIVI DELL’A.R.S.– NUOVA SERIE –

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SCRITTI E DISCORSI

DI

PIERSANTI MATTARELLA

Introduzione diLEOPOLDO ELIA

VOLUME SECONDO

ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA

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Il ruolo delle regioni meridionali per una nuova politicaeconomica dello Stato (*)

Palermo, 31 gennaio 1971

Il problema principale da affrontare e risolvere al finedi pervenire ad una nuova politica meridionalistica èeminentemente quello politico della creazione di unaforza di pressione nel Sud capace di controbilanciare lespinte e le sollecitazioni che sull’apparato politico-buro-cratico riesce ad esercitare la struttura socio-finanziariadel Nord.

Il Mezzogiorno ha visto in questi anni dei progressicertamente rilevanti, anzi i più rilevanti della sua storia;essi, però, non avendo eliminato i suoi squilibri, sono

(*) Dal 29 al 31 gennaio 1971 si celebrò a Palermo, per volontà una-nime dell’Assemblea regionale, espressa con un ordine del giorno unita-rio, la conferenza delle regioni dei Mezzogiorno. Fu il primo di una seriedi incontri (Cagliari 1972, Napoli 1975, Catanzaro 1977) con i quali siprendeva atto della circostanza che il nascere delle regioni ordinarie mu-tava i termini della questione meridionale e poneva fine all’isolamentodelle due regioni a statuto speciale del Mezzogiorno, Sicilia e Sardegna.

La conferenza di Palermo registrò un notevole successo politico nonsolo per le qualificate presenze di parlamentari di grande prestigio, maanche per l’acquisizione del concetto della «centralità» della questionedel Mezzgiorno, intorno a cui ruotò negli anni successivi la battaglia po-litica meridionalista. Gli atti della conferenza sono stati pubblicati, nelluglio 1971, a cura dell’Assemblea regionale siciliana.

L’intervento qui riprodotto fu pronunziato da Piersanti Mattarella, allo-ra semplice deputato regionale, nella giornata conclusiva della conferenza.

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inadeguati ed insoddisfacenti e tali resteranno fino a chesaranno il prodotto residuale di un sistema dominato dal-la volontà e dalla logica propria delle parti economica-mente e socialmente più avanzate e quindi politicamentepiù forti e incidenti.

Che il problema principe per il Sud sia quello della ca-pacità di assumere una forte e pressante iniziativa unita-ria risulta dalla verifica storica di questi venti anni di po-litica meridionalistica, durante i quali le forze politiche ein prima fila la Democrazia cristiana, con le sue scelte de-gli anni cinquanta, hanno elaborato per il Mezzogiornolinee di intervento straordinario che avrebbero dovutogradualmente modificare le situazioni di dislivello eco-nomico esistenti fra Nord e Sud. Ma tali linee di inter-vento non hanno avuto alcuna conseguenza pratica di ri-lievo per la capacità che ha avuto il Nord di riprendersi,attraverso interventi specifici o settoriali o di tipo con-giunturale e nelle ripartizioni delle somme del bilancioordinario, più di quello che proporzionalmente gli erastato sottratto.

A svuotare ogni capacità di incentivazione della legi-slazione speciale per il Mezzogiorno ha contribuito quel-l’insieme di leggi e leggine di carattere settoriale e costi-tutive di fondi speciali che hanno rappresentato e rappre-sentano l’esternazione di benefici analoghi a quelli per ilMezzogiorno che essendo destinati a settori di produzio-ne erano e sono estesi quindi a tutto il Paese.

La storia economica dell’Italia post-resistenziale in-fatti si snocciola ed è accompagnata da una serie di inter-venti dello Stato volti a puntellare, aiutare, finanziare lestrutture industriali in massima parte presenti nel Nord;

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dall’attività di tipo ospedaliero dell’IRI fino a tutto l’arcodegli anni cinquanta, all’attività dell’IMI a quella dell’exFIM, per poi continuare, con gli interventi di carattere con-giunturale, e con la cosiddetta « cassetta per il Nord», chepredisponendo per le zone depresse del Nord incentivazio-ni analoghe a quelle previste per il Mezzogiorno, ha con-sentito che le grandi e medie imprese del Nord program-massero la loro espansione aziendale nelle zone vicine,classificate depresse, e peraltro rese ancora più prossimedalla ragnatela di autostrade costruite nella valle Padana.

A questo si è accompagnata la sperequazione nelladestinazione delle risorse del bilancio ordinario delloStato che sono andate in larga misura a favore delle zonedel Nord in modo da far risultare gli interventi previstidalla legislazione speciale per il Mezzogiorno non giàaggiuntivi, come pure era stabilito che fossero, ma sosti-tutivi di quelli ordinari.

Una recente indagine sulla destinazione territorialedegli stanziamenti ordinari del bilancio ‘70 ha consenti-to di verificare quantitativamente ciò che tutti peraltrosapevano circa la capacità del Nord di calamitare la mag-gior parte degli stanziamenti del bilancio. Ed ancora varicordato come gli enti economici pubblici, in particola-re l’IRI e l’ENI, abbiano fatto registrare il mancato ri-spetto delle quote di investimento da destinare al Sud estabilite per legge.

Il problema allora è capire perché ciò avviene.Abbiamo già accennato, ed è peraltro intuitivo, che

tutto quanto sopra sottolineato accade malgrado, ed avolte contro, la volontà dei politici i quali addirittura sipropongono obiettivi diametralmente opposti.

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La verità è che in un sistema così composto e cosìcomplesso quale quello delle economie di mercato, pro-prie delle democrazie occidentali, risulta obiettivamentearduo intestare ai protagonisti della politica un così gros-so obiettivo quale quello del riscatto del Sud, che com-porta la capacità di resistere, e perfino sottrarre risorse, aquella metà del Paese che ha le maggiori armi per impor-re le proprie ragioni.

In un Paese che ha prodotto una legislazione com-plessa e articolata, il tipo di società che avanza è quel ti-po di assetto sociale che presenta le maggiori sfaccetta-ture e le maggiori articolazioni le quali tutte hanno deiprotagonisti capaci di attingere ai benefici previsti daquella legislazione.

Laddove esiste in prevalenza una massa inerte e iner-me di sottoproletariato indistinto, l’unico composto le-gislativo che riesce ad attirare dal basso è quello di tipoassistenziale e di sopravvivenza.

Il problema principe, pertanto, del Mezzogiorno sottoquesta angolazione è certamente quello relativo allacreazione dei protagonisti nel settore della industrializ-zazione del Sud. Approntare incentivi e creare e attrezza-te aree di industrializzazione in attesa di messianici ope-ratori non solo non serve, ma risulta a volte controprodu-cente perché immobilizza inutilmente dei mezzi finan-ziari che potrebbero essere destinati più vantaggiosa-mente. Non c’è alcun dubbio che la regionalizzazionedello Stato è già una scelta che implicitamente può crea-re nel Sud una struttura politico-burocratica capace dielaborare, ma il vantaggio è appena avvertibile conside-rato che tutte le regioni italiane si trovano a poter raffor-

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zare le proprie capacità di pressione e soprattutto le re-gioni del Centro Italia che attraversano un periodo dievoluzione economica.

Il problema, pertanto, va affrontato con altre soluzio-ni. E la soluzione, direi, è quasi obbligata.

Poiché infatti è impensabile che la società meridiona-le, che attualmente consuma più di quanto produce, pos-sa essere capace di investire risorse che non ha e diventa-re autonomamente protagonista del decollo industriale,non rimane che puntare sul protagonista pubblico perraggiungere gli obiettivi che fino ad oggi non è stato pos-sibile raggiungere.

Ecco da dove nasce la proposta delle regioni meridio-nali e dei sindacati di destinare al Sud il 100% degli in-vestimenti per la creazione di nuove iniziative industria-li degli enti economici pubblici e il 60-70% degli inter-venti globali delle partecipazioni statali.

Aqueste proposte sono state opposte resistenze colos-sali.

Riusciamo ad intuire e non a giustificare le obiezionie le resistenze dei dirigenti degli enti economici pubblicii quali, evidentemente, avranno fatto osservare che, vin-colando questi ad operare nel futuro quasi esclusivamen-te al Sud, li si sarebbe condannati ad operare per svariatianni con una serie di diseconomie esterne che avrebberocertamente pesato sui risultati di bilanci, sulle possibilitàdi autofinanziamento e, forse soprattutto, sul prestigiodei dirigenti stessi abituati ad essere esaltati ed additatiad esempio di efficienza.

Ma è questo il nodo da sciogliere.Se i protagonisti pubblici avanzano questo tipo di

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obiezione, come è possibile ipotizzare che siano i privatia trasferire nel Sud le proprie iniziative?

La verità è che bisogna preventivare un costo socialedi una scelta meridionalistica degli enti pubblici e cari-carlo direttamente allo Stato.

È chiaro però che un così grosso operatore quale èquello delle partecipazioni statali, che è presente con unasvariata serie di iniziative in tutti i settori, saprà gradual-mente ottenere, attraverso le enormi capacità di pressio-ne sugli organi dello Stato, quella influenza necessaria esufficiente a modificare gradualmente tutta l’imposta-zione della politica economica oggi orientata a rafforza-re l’assetto esistente e cioè le strutture del Nord, anzichéallargare la base territoriale e settoriale.

Peraltro, quel costo sociale, che lo Stato deve inizial-mente coprire direttamente, verrà ad eliminare gradual-mente quell’altro tipo di costo sociale che oggi grava sul-le amministrazioni degli enti locali e quindi sempre sulloStato a causa della immigrazione al Nord. Ed oggi inoltrecomincia a pesare e in modi e proporzioni che vengonodefiniti insopportabili, un costo fino ad ieri sconosciuto,il costo della rabbia degli sradicati, degli immigrati, chespesso sono tra i più accaniti protagonisti degli scioperiselvaggi.

È il costo che la storia sta imponendo a tutti i dirigen-ti che per ispirarsi alla filosofia dell’efficienza a brevetermine e ad ogni costo e della redditività immediata han-no causato danni sociali incalcolabili che il paese rischiadi scontare in maniera oltremodo drammatica.

Se tuttavia, valutando attentamente la situazione de-gli enti dipendenti dalle partecipazioni statali, si dovesse

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ritenere difficile potere orientare, in un futuro moltoprossimo, tutte le loro attività al Sud — per via del fattoche attualmente la grande maggioranza delle iniziative sitrova al Nord, il che comporta problemi di ammortamen-ti, ampliamenti, integrazioni collaterali e così via — al-lora, non rimane che una ultima soluzione: quella dellatrasformazione della Cassa per il Mezzogiorno in Ente diPromozione Industriale per il Mezzogiorno.

Farne una specie di IRI per il Sud, capace natural-mente di assorbire quei compiti residui e rilevanti che at-tualmente le si vogliono attribuire.

Agli Enti a partecipazione statale, se è possibile orien-tare la loro attività al Sud, o altrimenti alla Cassa, sarà ne-cessario comunque concedere almeno un terzo di quei40-45 mila miliardi che, secondo calcoli governativi, sa-rebbero necessari nei prossimi anni per raddrizzare ilmodello di sviluppo del Paese in senso perequativo deglisquilibri.

Nessuno evidentemente è così ingenuo da ritenereche sarà possibile sperare che i privati coprano con i lorointerventi gli altri due terzi del totale degli investimentiipotizzati.

Per non andare dietro a sogni, per restare legati allarealtà, sappiamo che quelle cifre è possibile solo riferirlecome ipotesi non come programmi finanziari data lastruttura tecnico-economico-finanziaria dell’economiaitaliana.

È chiaro, pertanto, che al Sud nei prossimi anni siavrebbe una rilevantissima iniziativa della mano pubbli-ca accanto ad una iniziativa di parte privata che conti-nuerebbe a svilupparsi ai ritmi attuali almeno inizial-

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mente. Il che, subito, potrebbe far insorgere certe obie-zioni di carattere politico che sono state espresse anche intempi non lontani da quanti ritengono che si potrebbe de-terminare un dualismo regimentario fra un Nord preva-lentemente privatistico e un Sud prevalentemente pub-blicistico.

Noi speriamo che l’esperienza e la dottrina più mo-derna siano valse a far giustizia di timori palesemente an-corati ad una visione arcaica della economia e della dot-trina sociale.

Oggi è normalmente acquisito infatti che la titolaritàdella proprietà è un problema assolutamente indifferen-te, dal momento che i veri protagonisti della vita azien-dale e delle direzioni dei gruppi finanziari sono dei terzi,cioè i tecnocrati che muovono e utilizzano sia i capitalipubblici che i privati.

Se noi sapremo dunque imporre e istituire un grandeprotagonista pubblico con interessi proiettati tutti edesclusivamente al Sud, all’interno dell’assetto industria-le italiano, avremo creato le premesse perché un altrogrande protagonista affianchi la classe politica nazionalee quella delle regioni meridionali nel tentativo di orienta-re tutta la politica nazionale in senso meridionalista.

Dalla politica estera che dovrà concorrere a trovaresbocchi vicini alla produzione delle industrie meridiona-li, alla politica del credito, che dovrà strutturarsi in mododa assicurare al Sud e non al Nord, come tuttora accade,un più basso costo del denaro; alla politica dei lavori pub-blici che dovrà, prima di continuare a realizzare infra-strutture al Nord, consentire i recuperi e i ritardi accumu-lati al Sud; alla politica dei trasporti che deve pregiudi-

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zialmente assicurare la perequazione degli impianti inmodo da assicurare tempi medi di percorrenza uguali alNord e al Sud; alla politica tributaria che dovrà consenti-re una ridistribuzione delle risorse in modo che al Sudvenga assicurato ciò che è necessario per raggiungerecondizioni di civiltà analoghe a quelle del Nord.

Questa rivoluzione della politica italiana non può es-sere realizzata solo attraverso una riconsiderazione e unaristrutturazione degli organi governativi, ma postula unsistematico raccordo della politica generale con la realtàmeridionale.

Sarebbe ingenuo e velleitario ritenere che affidandoal CIPE, sia pure ristrutturato, tutti i compiti di coordina-mento della politica economica possano automatica-mente crearsi le garenzie per assicurare il volume di in-vestimenti necessari al Mezzogiorno. E ciò anche se icompiti, le funzioni e le disponibilità dell’interventostraordinario hanno la necessità di un momento unitariodelle regioni meridionali che, a differenza della debolezadelle singole regioni, più facilmente potrà resistere alleforze dominanti in Italia ed in Europa.

È quindi indispensabile affidare al comitato interre-gionale un più incisivo ruolo di coordinamento e di con-sultazione, così come è necessario che al ministro per ilMezzogiorno venga affiancato un comitato di rappresen-tanti delle regioni del Sud che possa stimolare, seguire edessere costantemente sentito; ed infine rendere le regionimeridionali partecipi nel procedimento della contratta-zione programmata.

Dal che non può non concludersi che è tutta l’attivitàe l’iniziativa politica che vengono interessate, così come

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nelle sue recenti conclusioni ha pienamente riconosciutoe ne ha assunto pieno impegno la direzione centrale del-la Democrazia cristiana, nel momento in cui le regionidel Sud, identificato il loro ruolo unitario e influente, sa-pranno davvero determinare una autentica svolta dellapolitica meridionalistica.

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Nel Partito al servizio del Paese (*)

Palermo, 3 ottobre 1971

Le riunioni del nostro Comitato regionale sono sem-pre un fatto importante nella vita politica dell’Isola, poi-chè il C.R. «esprime e delibera gli indirizzi generali del-la politica del partito», che è ancora il partito di maggio-ranza relativa, giustificando così la particolare attenzio-ne ad esso sempre rivolta.

A nessuno sfugge però che questi nostri lavori, cosìcome è stato con le debite proporzioni per il recenteConsiglio nazionale, hanno suscitato e attirano un’atten-zione più curiosa, più preoccupata, più pensosa del nor-male.

Gli è che stavolta non si tratta semplicemente di fare ilpunto sulla situazione politica siciliana o solo di verifica-re ciò che si è fatto o ancora solo di tracciare il program-ma del prossimo futuro, ma diversamente, oltre a ciò, ciincombe il dovere di prendere una decisione di grande re-sponsabilità e di convinto impegno circa il ruolo dellaD.C. siciliana nella vita politica della Regione e, attra-verso una ritrovata, effettiva, concreta ed unitaria volon-tà di superare una situazione di «impasse» ed attraversoun corretto e leale rapporto tra tutti noi, essere in grado diriassumere la doverosa iniziativa politica anche per dar

(*) Intervento pronunziato durante la sessione dei lavori delComitato regionale della Democrazia cristiana.

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vita, da qui a qualche giorno, ad un governo stabile e ca-pace sia di interpretare le esigenze del popolo siciliano,sia di guidarne decisamente e in senso evolutivo il cam-mino verso un più avanzato progresso socio-economico.

Sarebbe veramente pernicioso e irresponsabile dissi-mularci la gravità della situazione presente o usare unlinguaggio metaforico che avesse come intrinseca finali-tà l’occultamento di una realtà a tutti certamente sgraditao, peggio, la cosciente evasione da essa: non è un miste-ro infatti che il governo Fasino ha dovuto rimettere ilmandato, a poche ore dalla sua elezione, per fatti e con-trasti anche precedenti che, pur maturati in una logorataed aggrovigliata situazione politica generale, sono insor-ti all’interno della Democrazia cristiana.

A mio avviso le circostanze particolari che hanno de-terminato la caduta del governo, appena nato, non vannoingigantite oltre il loro significato occasionale, ma i mo-tivi della crisi attuale, i motivi della incapacità di forma-re un governo a distanza di oltre tre mesi dal 13 giugno,vanno cercati altrove e altrove i rimedi.

Le circostanze verificatesi vanno considerate comefrutto di una realtà giusta nel suo complesso, di un costu-me politico deterioratosi in generale fino all’inverosimi-le e che certamente non ha come dimensione unica quel-la della D.C.

Si tratta, anzitutto, di rivolgere lo sguardo al quadropolitico ed economico generale della Sicilia, che obietti-vamente è denso di zone di oscurità, di sapere cogliere letensioni, i malesseri e gli squilibri della società, nellaquale viviamo ed operiamo, di renderci conto delle in-quietudiní e delle talora contraddittorie linee di tendenza

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delle varie forze politiche, di esaminare lo svolgersi del-la vita interna della D.C. siciliana, bisognosa come tuttala D.C. di rimeditare sulla sua forza ideale e politica e diricercare, in una dialettica aperta e solidale, contributioriginali e costruttivi, per individuare i mali che ci afflig-gono ed imboccare la strada della ripresa.

Ciò non vuol significare che la D.C. in Sicilia ha sba-gliato tutto o quasi, specie in quest’ultimo periodo. A mepare che possano essere rinvenute delle scelte qualificanti.

L’assunzione della segreteria, dopo il congresso delgennaio ’70, dall’amico D’Angelo, con l’approvazionedella sua relazione che indicò con chiarezza e respiro me-todi ed obiettivi che mi piace qui richiamare come tutto-ra pienamente validi. E mi pare che vada positivamentesottolineato come quella segreteria lungi dall’essere frut-to di preordinati accordi o compromessi, nacque dalla li-bera dialettica del Comitato regionale.

Questa gestione del partito si è caratterizzata per lasua apertura nei confronti di ogni componente interna el’accertata disponibilità a recepirne i contributi costrutti-vi superando ogni visione esclusivistica o integralista.

Una più aperta e completa solidarietà con il P.S.I., ilP.S.D.I., e il P.R.I., attorno alla linea politica del centro-sinistra e conseguentemente ai suoi obiettivi di rinnova-mento dopo l’esito della consultazione del 13 giugno,che ha segnato un pericoloso rafforzamento della destra.

Una comune piattaforma di concreto impegno politi-co era stata infatti raggiunta dai partiti del centro-sinistra,pur attraverso innegabili difficoltà ed anche se il P.R.I.aveva ritenuto, certo non rafforzando il quadro politico,di non assumere responsabilità di governo.

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Il raggiungimento di tali obiettivi aveva ricevuto unnotevole e concorde contributo della D.C.

Basta il ricordo di questi episodi e di queste vicende adimostrare che, nonostante sia troppo poco agevole e perniente facile guidare il partito in quest’ultimo periodo,alcune scelte qualificanti si sono fatte.

Di certo però in questo momento a nulla serve l’elen-cazione delle cose realizzate così come la stesura di unadiagnosi non solo impietosa e spregiudicata (come po-trebbe apparire necessario!), ma pure pessimistica e allafine anche distruttrice, che volesse esclusivamente con-durre, demagogicamente e strumentalmente, a faciliquanto inutili moralismi.

Si è obbiettivamente in una situazione difficile, impe-lagati in una crisi che ci affatica e ci travaglia, ma dob-biamo evitare che essa ci esaurisca e ci distrugga: biso-gna ricercare, con onestà di intenti, i mali dai quali ha ori-gine la realtà presente e colpirli con forza e con coraggio,ma anche con umiltà, alla radice.

Tale ricerca non può certo prescindere dall’esame delquadro politico generale.

Esso, se non ha aspetti drammatici, non è d’altro can-to affatto tranquillo.

La solidarietà della maggioranza del centro-sinistra el’intesa sui programma non sono stati infatti elementisufficienti ad imprimere all’azione della maggioranzaquella incisività necessaria per ottenere risultati di cam-biamento.

Le difficoltà esistenti non possono certo essere supe-rate in modo semplicistico o respingendo il collegamen-to e la solidarietà delle forze democratiche; tale collega-

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mento va invece ricercato con pazienza senza rinunziareal proprio ruolo o scaricarsi delle proprie responsabilità.

Unitamente agli aspetti del quadro politico, la com-plessità dei problemi che si pongono per una giusta esollecita soluzione sono anche il frutto del dinamismodella nostra società, della sua capacità di mantenere unritmo di sviluppo sempre più veloce e, di conseguenza,dei vertiginoso crearsi di situazioni sempre nuove e di-verse. Va quindi sottolineato che c’è la necessità che lapolitica di centro-sinistra assuma un significato riforma-tore per una coraggiosa eliminazione di talune vistosesperequazioni, in termini di libertà e di giustizia, ridan-do al cittadino la forza di credere e di avere fiducia nelleistituzioni democratiche, e dall’altra che la D.C., partitodi maggioranza relativa, sappia mantenere l’iniziativa ela guida politica.

La recente tornata del Consiglio nazionale ha datouna linea nel complesso chiara per soddisfare a livellonazionale tali esigenze.

La nostra particolare situazione politica, la realtà civi-le, sociale ed economica regionale, richiedono però uncontributo originale e più impegnativo da parte dellaD.C. siciliana; specie in questo momento di crisi politicae di allarmante situazione economica.

Se infatti il momento congiunturale del paese assumetoni di seria preoccupazione, la nostra posizione è tale daprendere una responsabile quanto rapida azione. Il 1971ha infatti ulteriormente aggravato la situazione economi-ca dell’Isola anche per la quasi totale paralisi della vitadella Regione e la contenutissima spesa della stessa.Sciopero dei regionali prima, crisi di marzo poi, la cam-

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pagna elettorale, la crisi estiva, sono le tappe non certoapprezzabili di questo ultimo periodo.

Abbiamo quindi il dovere come partito di maggioran-za relativa di ritrovarci con i nostri alleati al più prestonella condizione di operare con decisione e validità. Lalegislatura è appena iniziata e non può certo accettarsi al-cuna rassegnazione a vederla bruciata sul nascere.

A tal fine occorre anche realizzare, rinnovando tenta-tivi ed impegni già indicati, un più organico raccordo tradeputazione e governo regionale e deputazione naziona-le eletta in Sicilia.

Su questo credo debba particolarmente insistersi per-chè non è possibile che la Regione risolva, da sola, i suoiproblemi senza che lo Stato manifesti concretamente lapropria solidarietà. È un dato di fatto, lo abbiamo più vol-te ripetuto, che la scelta politica operata in tutti questi an-ni nei confronti del Mezzogiorno ha finito per consentireun ulteriore potenziamento industriale del nord e non haprovocato, nonostante propositi diversi, alcun apprezza-bile sviluppo economico del sud, non pervenendo al ri-sultato di eliminare, bensì di aumentare il divario econo-mico tra settentrione e meridione.

Ciò ha provocato tra l’altro l’allontanamento dalle re-gioni meridionali di un grande flusso di potenziale di la-voro, che è stato utilizzato per alimentare con la emigra-zione interna il mercato di lavoro del nord e con quellaesterna il mercato valutano.

Problema del Mezzogiorno, disoccupazione, sottoc-cupazione, emigrazione, s’intrecciano così fra loro de-terminando la situazione di sottosviluppo e di arretratez-za che ci è dato constatare.

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L’amico D’Angelo, come ha lodevolmente fatto piùvolte, ha, nella sua relazione, alla quale desidero manife-stare la convinta e piena adesione mia e dei miei amici,significativamente ed ampiamente richiamato problemidel Mezzogiorno, del nostro impegno deciso per essi edella necessità di organici collegamenti tra le Regionimeridionali.

Noi dobbiamo anche, a tal fine, garantire una credibi-lità ed una stabilità agli organi di governo della Regionenei cui confronti da parte dello Stato ogni motivo è uti-lizzato per il rinvio dei problemi. Valga per tutti l’episo-dio dei rapporti con lo Stato per l’assegnazione dei 25mila nuovi posti di lavoro che vide l’impegno di tutta laD.C. siciliana e l’azione del governo Fasino ma che dopoun risultato, che va ritenuto un successo anche per il mo-do nuovo con cui si era acquisito, ha visto e vede tuttorala lentezza sospetta degli organi dello Stato nel passarealla fase esecutiva.

L’approvazione della legge sugli interventi straordi-nari per il Mezzogiorno, che va ascritta alla volontà poli-tica della D.C., certo costituisce un qualche risultato manon può essere certo considerata neppure parzialmente lasoluzione del problema.

Dobbiamo in coerenza con la conclusione delConvegno di Palermo e dei nostri precedenti deliberati diComitato regionale situarci al centro di un qualificatomovimento che veda i più ampi collegamenti per la ne-cessaria azione che, garantendo e tutelando le autonomiedelle regioni, ottenga dallo Stato non solo il più massic-cio intervento perchè attraverso elevati investimenti nel-l’area meridionale si raggiunga l’obiettivo della creazio-

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ne di nuovi posti di lavoro in corrispondenza con le forzedisponibili, ma che attraverso un controllo dei nuovi in-vestimenti nella restante parte del Paese si impedisca unulteriore concentramento nelle zone già altamente indu-strializzate, con i conseguenti gravissimi problemi eco-nomici e sociali che esso comporta.

Accanto a questo impegno, per il quale ripeto andran-no ricercate le più ampie convergenze ed in primo luogoquelle delle forze sindacali, ci debbono essere gli obietti-vi programmatici prioritari per la vita regionale.

L’attuazione della riforma burocratica, la ripresa deldiscorso sulla riforma urbanistica, la decisa e rapida im-postazione di un ampio e razionale decentramento am-ministrativo, la riforma della legge elettorale, la indila-zionabile e coraggiosa ristrutturazione degli enti regio-nali, una razionale legge di incentivazione industriale.

Su questi temi, almeno sulla gran parte di essi, non visono contrasti, che comunque vanno affrontati con chia-rezza di impostazione e con decisione se vogliamo ri-prendere l’iniziativa politica e non vogliamo, come nes-suno vuole, apparire, o peggio essere, trainati.

Questi obiettivi programmatici però, così come la ri-presa di autorità e di iniziativa della D.C., vanno realiz-zati da tutti noi e la loro mancata realizzazione non saràestraneamente imputabile alla D.C. ma ai suoi dirigenti,ai suoi protagonisti.

Si è molto parlato anche tra di noi della nostra capaci-tà o meno di essere classe dirigente, del modo non idoneoe non esemplare di svolgere la nostra funzione, che è diservizio, della necessità di ritrovare modi e condizioninuove nella nostra gestione della cosa pubblica.

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Io non credo che in proposito vadano dette delle cosenuove o originali; si tratta solo di richiamare noi stessi, dimeditare su come da sempre avremmo dovuto essere edovremmo essere, su cosa avremmo dovuto fare e do-vremmo fare e soprattutto di creare le condizioni per tra-sferire nella realtà questi modi e queste condizioni. Sitratta di trovare nei fatti la autentica volontà di agire nelmodo giusto e la larga convergenza ad operare in tal mo-do, dato che la volontà ed anche il comportamento di sin-goli, che certo in passato c’è stato, non giovano a mutarela nostra realtà politica limitandosi ad una apprezzabilema ininfluente testimonianza.

Occorre quindi ritrovare su questi temi solidarietà efiducia reciproca, necessaria premessa ad un effettivomutamento.

Occorre rivalutare la nostra funzione ponendola alservizio di finalità generali e non particolaristiche, oc-corre spostare i centri di interesse e di riferimento tantoall’interno quanto all’esterno, dalle correnti, dai gruppi opeggio dalle persone, al ritrovato senso del partito e davisioni particolari settoriali, o anche provinciali, a di-mensioni più ampie che coinvolgano tutta la nostra co-munità ed il suo avvenire.

Dobbiamo, e non a parole, rivedere questo discorsosul potere. La D.C. è dipinta come una entità dominatadai giochi di potere e dedita totalmente all’esercizio diesso o alla rissa per esso. Ora se è vero che la nostra real-tà è spesso condizionata dalla ricerca di posizioni di po-tere è anche vero che tale ricerca impegna moltissimeenergie, paralizzando anche le altre al punto che difficil-mente le posizioni di potere si raggiungono e quando si

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raggiungono, frequentemente si riesce a non esercitarle;mentre altre forze, spesso petulanti moralizzatrici, parla-no del potere altrui ma esercitano con decisione, se noncon spregiudicatezza, il loro.

E d’altra parte se è necessario per un partito, che in-tenda incidere sulla realtà sociale da cui emana, l’acqui-sizione e la gestione del potere è anche vero che il potereva visto come servizio alla comunità e come attuazionedi principi e di obiettivi ideali e politici.

Il problema non è quindi di acquisire, di occupare omagari di «prenotare» posizioni di potere, ma è quello diesercitarlo coerentemente e correttamente.

Ma se gli aspetti determinati di una ripresa della vitapolitica regionale e nostra in particolare sono la visione el’attuazione di un quadro politico aperto e coraggioso, unapiù qualificata presenza della classe dirigente, non puònon indicarsi anche la necessità di una profonda revisionedi taluni nostri istituti che certamente hanno contribuito allogoramento generale, costituendo le puntuali occasioniper il concretizzarsi e il manifestarsi di guasti ed errori.

Dalla necessità di identificare in una riforma dellalegge elettorale i modi di svincolare i deputati dalle di-mensioni vincolanti ed esclusive della provincia, dallaurgente opportunità di rivedere le modalità della elezio-ne della Giunta regionale, dalla ritrovata collegialità del-le decisioni del governo, sia per le nomine, che per leopere, che per decisioni politiche di un certo rilievo, alproblema, già indicato e assai opportunamente sottoli-neato in più occasioni dall’amico D’Angelo, relativo aldecentramento amministrativo.

Una tale innovazione, così come le altre, avrebbe

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molteplici effetti positivi; essa infatti, eliminando dallecompetenze della Regione una serie di incombenze invari settori, nel mentre darebbe agli Enti locali nuovi po-teri che in modo più autenticamente aderente alle esigen-ze della popolazione, potrebbero essere gestiti esaltandoil vero ruolo di democrazia delle nostre entità locali, ri-darebbe alla vita della Regione quel respiro necessarioper una visione più ampia e moderna della sua azione.

Tale esigenza di modifiche non può però significaregiudizio definitivamente pessimistico sulla Regione esulla sua funzione, ma al contrario, eliminandone aspettinegativi e squalificanti, vuole rilevarne ed esaltarne lafunzione autonomistica.

Nè il prospettare tale esigenza può apparire ingenuo esemplicistico, dal momento che ad essa non si dà di per sèalcun valore determinante od esclusivamente risolutivonella evoluzione dell’istituto regionale, ma il doverososignificato di adeguamento costante degli strumenti del-la vita democratica alle esigenze che maturano e si evi-denziano per potere meglio assolvere alla loro funzioneal servizio della collettività.

Cari amici, per la D.C. e per i suoi alleati si pone quin-di l’esigenza di riassumere qualificatamente l’iniziativaaffinchè la politica di centro-sinistra possa esprimersicompiutamente, e per far ciò essa deve risolvere, senzaulteriori rinvii, i problemi interni al fine di potere mani-festare la sua chiara volontà politica. Chi volesse tentaredi stendere veli pietosi sui problemi che ha oggi la D.C.siciliana non farebbe una opera caritatevole. È necessa-rio più che mai un chiarimento di fondo, franco e leale; ènecessario che da ciascuno di noi si abbandoni ogni tatti-

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cismo, ogni visione particolare, ogni miope volontà diaccaparramento o di mantenimento del potere.

Non è esagerato dire che qui si gioca il destino del-l’autonomia, lo stesso progresso civile ed economicodella Sicilia.

Una seria assunzione di responsabilità è urgente ed in-dispensabile.

Solo così può affrontarsi costruttivamente ogni pro-blema di vecchia e nuova maggioranza.

Io sono dell’avviso che bisogna adoperarsi perchè dauna convergenza di contributi la più larga, rappresentati-va ed omogenea possibile nasca la conduzione del parti-to in Sicilia.

È dunque desiderabile, perchè opportuno e in defini-tiva perchè richiesto dalla situazione medesima, l’appor-to più vasto di solidarietà ad una autentica linea politicacomune.

Ma anche sotto questo profilo di formula, non è conuna formula diversa che si pone rimedio ai nodi che ob-bligano il nostro partito.

Il vero problema, vorrei dire l’unico problema, è quel-lo di riscoprire il ruolo e la funzione politica della D.C., èquello di riprendere l’iniziativa politica perduta, di risol-vere la propria presenza nella realtà politica siciliana nonin termini di mera gestione del potere, ma di guida auto-revole della crescita civile dell’Isola.

Finchè però i problemi dei dosaggi della distribuzio-ne del potere saranno preminenti rispetto all’eserciziocorretto e fondamentale della dialettica interna, che nel-l’articolarsi di posizioni differenziate, deve avere comefinalità irrinunciabile e continuamente ricercata l’unità

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del partito, la D.C. annasperà nel buio e vanamente ricer-cherà il ruolo che le si addice e le sarebbe proprio in ra-gione della sua origine, della sua tradizione, della fiduciain essa riposta.

Se da un’autocritica impietosa sapremo partire, con ilcoraggio delle grandi imprese, per invertire la tendenzadel modo di far politica nella D.C. e nella Regione e ditutta la Regione, saremo capaci di riscoprire nuovi e pre-stigiosi modi di essere del nostro partito, ridando allaD.C. in Sicilia un ruolo storico su una linea di ardita evo-luzione e di ordinata crescita civile.

Amici carissimi, brevemente ho cercato di coglierequalche aspetto della realtà in cui siamo immersi, ho cer-cato di offrire qualche modesta proposta onde uscir fuoricon dignità da questa vicenda; voglio infine solo dire chebisogna da tutti ritrovare, per ripossederlo, il senso delpartito. Partitocrazia a parte, la D.C. ha bisogno di direcosa effettivamente vuole e dimostrare che ciò che vuolesa realizzarlo senza venir meno ai propri impegni.

Ma la D.C. si identifica con noi e su ciascuno di noisingolarmente incombe, come sempre, ma oggi forse dipiù, il dovere di ridare autorevolezza e prestigio a questagrande forza democratica e popolare

È la Sicilia che esige questo nostro impegno e questonostro sforzo, affinchè spronati e confortati da un’opi-nione pubblica sempre più desiderosa di farsi sentire epartecipare, si conducano a soluzione i problemi ai qualiè legato il futuro dell’Isola.

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Per la riforma amministrativa della Regione (*)

Palermo, 1º marzo 1972

Una cosa sembra ormai acquisita: la Regione con isuoi strumenti tradizionali non riesce più a far fronte aiproblemi che la società le prospetta. La inadeguatezzadell’attuale legislazione ha ormai raggiunto il limitemassimo.

La classe politica è chiamata a ricostituire questo tes-suto, facendosi guidare da valori profondamente demo-cratici e mettendo definitivamente da parte i vecchi mo-duli di potere che non riflettono più nè le convenienze«strategiche» che potevano, in certo qual modo, giustifi-carli, nè riescono a conservare e a potenziare gli stru-menti di governo attraverso quali le maggioranze svol-gono il loro ruolo.

Insistere sulle vecchie posizioni di potere equivale a«rompere» con i problemi, ma anche con le masse che, inultima analisi, decidono dell’avvenire stesso della classepolitica.

(*) L’articolo, pubblicato sul settimanale Sicilia domani, prende lemosse dalla riforma burocratica deliberata dall’Assemblea regionale conla legge n. 7 del 1971.

Alla riforma dell’impiego — questo è il senso dello scritto — deveseguire la riforma dell’apparato politico (estensione dei poteri di inizia-tiva legislativa, ristrutturazione del governo regionale in termini più ade-renti al modello parlamentare) e soprattutto la riforma dei procedimentiamministrativi e di spesa (riduzione dei controlli, concentrazione degliinterventi, collegialità delle scelte, attenzione ai risultati).

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La Regione ha urgente bisogno, dunque, di ricostitui-re dalle fondamenta le sue componenti organizzative e inquesto sforzo deve mobilitare tutte le energie di cui di-spone. L’attuale fase politica si configura con caratteri-stiche estremamente significative e con un taglio pro-spettico ricco di implicazioni.

In questo contesto ritengo che sia necessario, anzitut-to, puntare su alcune modifiche ed integrazioni delle nor-me dello Statuto siciliano, che restituiscano all’Istitutoautonomistico la propria radice ideologica democratica,ricollegandolo direttamente all’interesse delle popola-zioni e dei gruppi sociali e consentendo un più costanterapporto tra gli organi regionali e la società siciliana.

Così non v’è dubbio che va prevista una maggiorepartecipazione democratica alla formazione ed alla abro-gazione delle leggi attraverso la estensione, a determina-te condizioni, dell’iniziativa legislativa agli enti locali,alle organizzazioni culturali, economiche e sindacali edai cittadini, come del pari si rende ormai improcrastina-bile — per evidenti ragioni di chiarezza e di correttezzanei rapporti fra i gruppi assembleari e all’interno deigruppi stessi — la revisione del sistema di elezione e direvoca del governo regionale, con la previsione dell’ele-zione a scrutinio palese del Presidente, della nomina daparte di quest’ultimo della Giunta e della votazione dellafiducia per appello nominale a seguito di un dibattito sul-le dichiarazioni programmatiche.

Questo, riguardo alle riforme che attengono alla su-prema organizzazione della Regione.

Ma occorre nel contempo puntare anche alla soluzio-ne di un altro problema di particolare importanza ai fini

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di un effettivo «decollo» sociale, economico e civile del-la nostra isola; alla revisione, cioè, dei procedimenti am-ministrativi.

Nella passata legislatura l’Assemblea regionale, nelvarare la riforma della burocrazia, ha inteso avviare unprofondo radicale processo di rinnovamento. Fermarsi,però, a quel momento equivarrebbe a bloccarne l’ulte-riore sviluppo. Il primo importante problema da affron-tare subito e risolvere senza indugi è appunto quello deiprocedimenti amministrativi, nonchè l’individuazionedegli strumenti che ci consentano di spendere bene epresto le nostre risorse finanziarie. Prima di inoltrarcinell’argomento è necessario però soffermarci sul valoredelle procedure, sopratutto in relazione al buon anda-mento dell’azione pubblica e al corretto espletamentodelle responsabilità da parte sia della classe politica cheamministrativa.

Di solito il legislatore, ogni qualvolta ha voluto disci-plinare una iniziativa pubblica, si è innanzitutto preoccu-pato di regolamentare, nei minimi particolari, i vari mo-menti operativi, quasi che prevedendo tutto in anticipo sisarebbe potuto meglio e con più successo garantire ilpubblico interesse. Ci si è sempre adoperati, quindi, adindividuare accanto all’organo di amministrazione atti-va, un contestuale organo di controllo che ne seguisse laregolarità e, ove necessario, ne individuasse le illegitti-mità e gli abusi.

Tutto ciò ha finito con il creare una mentalità burocra-tica che nel tempo si è coagulata e identificata con unadifferenza ormai istituzionalizzata, che ispira dal profon-do la nostra legislazione.

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Tutto il sistema amministrativo statale e periferico èpilotato dalla sfiducia, che permea sia i rapporti dellepubbliche istituzioni con i cittadini sia le relazioni tra glistessi enti pubblici. Ed è questo che ha generato quellaenorme confusione che oggi ci procura tanti fastidi ed in-tralci.

Sono cento anni e più che si «costruisce» su questa ba-se. Come tra gli uomini così anche tra le istituzioni la dif-fidenza rende i rapporti sempre contorti e prolissi e diffi-cilmente fecondi. Da qui le migliaia di leggi e leggineche si confondono e si sovrappongono nel nostro ordina-mento, in misura tale da farci perdere il filo, sia come cit-tadini che come classe dirigente. Oggi però siamo vera-mente arrivati al punto limite; non è più possibile prose-guire su questa strada. Il senso di impotenza che ci pren-de quando ci troviamo di fronte ai complessi e urgentiproblemi della società isolana è tale da farci sentire qual-che volta confusi.

Prima che gli avvenimenti ci sovrastino è necessarioconcretizzare subito un coraggioso e intelligente disegnoinnovatore. Il primo passo che occorre fare è quello diporre a base delle procedure il principio della fiducia insostituzione di quello tradizionale della diffidenza. Solocancellando certe vecchie prevenzioni sarà possibile ri-baltare alla radice l’attuale procedimento e porne le basidi un altro più funzionale e capace di capire e risolvere lemoderne istanze sociali.

Le strozzature amministrative si formano proprio at-traverso gli indefiniti anelli della riserva e della sfiduciaistituzionalizzata. Le procedure vigenti discendono di-rettamente da questi concetti. Una simile tendenza va ra-

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dicalmente modificata. Spesso la presenza di organi con-sultivi e di controllo pone l’amministrazione attiva nellacondizione più favorevole per sfuggire alle responsabili-tà, conseguenti a scelte sbagliate o peggio ancora scor-rette. I pareri e i controlli, quasi sempre formali e di rou-tine, diluiscono a tal punto i momenti centrali dell’azio-ne pubblica da far perdere di vista la concatenazione lo-gica delle diverse fasi operative.

L’ente pubblico trova spesso, nella rete confusa degliorgani che si accalcano sulla sua attività, un modo per di-minuire o eludere le proprie responsabilità.

Sono fermamente convinto che quanto più si lasciaisolato l’operatore e gli si riconosce possibilità di autono-mia, tanto più è obbligato a garantirsi, non avendo su chifar ricadere le eventuali responsabilità o l’inefficienza.

Intendo dire che la linea su cui bisognerebbe incammi-narsi, nel rivedere i procedimenti amministrativi, devecoincidere con la più ampia autonomia del soggetto, ecioè regolamentando il meno possibile. Laddove inveceoccorre essere molto più penetranti è nella fase del rendi-conto, cioè a risultato conseguito. È bene a questo puntofare un’altra riflessione: più si razionalizza preventiva-mente il comportamento dell’amministrazione, più sicreano le premesse per ingolfare e rallentare l’azione pub-blica. Occorre a tale proposito evitare di frammentare l’i-ter di lavoro attraverso passaggi superflui tra i vari uffici.

La riforma burocratica ha eliminato il «percorso ver-ticale», quella amministrativa dovrà eliminare quello«orizzontale» tra gli uffici. Lo stesso ufficio dellaRegione di Roma va ristrutturato in questa prospettiva ein relazione ai rapporti con lo Stato. Occorre dunque la

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massima concentrazione e collegialità delle componentipubbliche. In questo modo non solo si guadagna tempoma si creano le migliori condizioni per affrontare e risol-vere contestualmente tutte le questioni che possono sor-gere nell’esame di un problema. Oggi accade che unapratica è costretta a passare da un ufficio all’altro, sul-l’onda di punti di vista spesso controversi che si pretendedi conciliare tramite anonime e fredde memorie scritte.

È necessario sostituire alla ideologia burocratica deiprocedimenti rigidi e prefissati quella imprenditorialedella soluzione dei problemi. A questi valori vanno ispi-rati i futuri comportamenti dell’operatore amministrati-vo. Ciò risulterà notevolmente agevolato se ci si sforza difare un ulteriore passo innanzi sul piano del metodo di la-voro; occorre ridimensionare fino al limite possibile ilconcetto tradizionale di pratica «amministrativa» oggiidentificabile con un ammasso di carte inutili e dispen-diose, frutto di ragionamenti astratti e cavillosi, che spes-so nulla hanno a che vedere con i problemi reali ai qualipur si intestano.

Capita non di rado che dopo anni di carteggio intercor-so tra diversi uffici della pubblica amministrazione, l’uni-co risultato rilevabile è dato dai voluminosi fascicoli, for-malmente ineccepibili, ma assolutamente privi di concre-tezza e di soluzioni reali. Da qui l’improrogabile esigenzadi spostare l’impegno degli operatori amministrativi dal-le cosiddette pratiche alle esigenze reali. Contro i proce-dimentalisti della vecchia ora potremmo opporre il qua-dro reale ed urgente dei molti problemi, sociali ed econo-mici, che ci stanno di fronte e che attendono di essere sol-lecitamente capiti e concretamente risolti.

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La riforma burocratica ha posto le premesse più vali-de perchè si compia questo successivo passo verso la co-struzione di una Regione più democratica, più funziona-le e più utile alla collettività isolana.

A noi, classe politica, spetta ora la responsabilità direndere concreta questa stimolante prospettiva.

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Rinnovamento e coordinamento dell’azione di governo (*)

Palermo, 16 novembre 1972

L’esigenza di un collegamento con i problemi dellasocietà oggi è molto avvertita, soprattutto per le tensioniche tali problemi provocano. Le vecchie logiche di pote-re e le tradizionali metodologie di lavoro sono ormaimesse profondamente in crisi.

Tali situazioni si ripercuotono immediatamente sullaclasse politica, alla quale, in prima istanza, vengono ri-chieste risposte di cambiamento rapide e contestuali.Ma, se è normale che l’interlocutore principale rimangala classe politica, è anche vero che deve realizzarsi l’im-pegno doveroso delle altre componenti sociali, perchè èsoltanto così che si potranno conseguire risultati global-mente positivi.

In tale contesto un esame anche rapido della vita re-gionale prospetta prioritariamente la necessità di un ef-fettivo coordinamento strutturale ed operativo all’inter-no della Regione e tra questa e gli enti pubblici ad essa

(*) In questo articolo, pubblicato sul Giornale di Sicilia, ritorna il te-ma del precedente articolo, con un’enfasi speciale sull’esigenza del co-ordinamento.

Le disfunzioni dell’azione amministrativa e di spesa, che nell’altroscritto venivano fatte dipendere soprattutto dalla struttura dei procedi-menti, ispirata a criteri di radicale sfiducia nei rapporti fra apparati pub-blici e fra apparati pubblici e cittadini, vengono ora collegate al giocodelle competenze separate ed loro geloso esercizio.

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collegati. Solo attraverso un efficace coordinamento in-terno sarà possibile collegarsi con la realtà sociale.

Il discorso, ad esempio, sulla programmazione e sualcune scelte fondamentali di politica economica, tantevolte tentato ed altrettante volte mancato, e non solo a li-vello regionale, deve il suo insuccesso proprio alla man-canza di collegamenti interni ed esterni.

Dobbiamo guardare bene in faccia la realtà per preve-nire altre sorprese ed evitare ulteriori insuccessi.

Una politica economica che non registri una continuae vigile presenza del potere politico, collegialmente inte-so, è destinata inevitabilmente a fallire e a subire tutte lecontraddizioni tipiche di strutture disarticolate. LaGiunta di governo, in una prospettiva di coordinamento edi programmazione, è chiamata a trasformarsi in un per-manente comitato di lavoro, nell’ambito del quale cia-scuno sia chiamato a misurarsi con scelte globalmentedefinite.

È il solo modo per evitare iniziative contraddittorie edinefficaci. È un richiamo questo che nasce dalla realtà,della quale sappiamo bene quanto grande sia l’insoffe-renza alle forzature, a qualunque titolo si realizzino.

Senza un quadro organico, preventivamente configu-rato, non è possibile far fronte ai molti e pressanti pro-blemi che quotidianamente si presentano alla classe diri-gente. La realtà muta in tempi brevi e senza schemi pre-stabiliti.

Le politiche assessoriali, come quelle degli enti regio-nali, le quali spesso assorbono ingenti risorse finanziariedella Regione, devono costituire momenti operativi del-la più ampia politica deliberata in sede di Giunta. I rap-

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porti quindi tra assessorati ed enti sottoposti alla loro vi-gilanza debbono svilupparsi in contesti decisionali edoperativi politicamente omogenei, onde evitare ognipossibilità di contrasto tra i diversi protagonisti e le ri-spettive iniziative; contrasti spesse volte generati da ini-ziative difformi dagli indirizzi e dalle direttive di gover-no. Occorre, invece, se si vuole realmente favorire lo svi-luppo sociale ed economico dell’Isola, e non altri dise-gni, improntare a lealtà e solidarietà i rapporti tra enti egoverno. Lo stesso discorso vale per i rapporti tra i variassessorati.

Tutto ciò consentirà ai membri del governo di avva-lersi delle conoscenze reciproche e quindi di svilupparein un tutto organico le rispettive ottiche operative. Èchiaro che una simile metodologia deve trovare la massi-ma mediazione nei poteri del presidente della Regione,responsabile diretto dell’esecutivo.

Ricondurre le varie componenti assessoriali nell’al-veo della collegialità, equivale a dare concretezza e pos-sibilità di successo al metodo della programmazione.Diversamente dovremmo ammettere due tipi di logica:una teorica, che si rifà alla programmazione; l’altra pra-tica, che si articola su linee parallele o divergenti.

Chi pagherà il costo di questa dicotomia? Innanzi tut-to la società con il suo mancato sviluppo e poi la stessaclasse dirigente politica che inevitabilmente verrebbetravolta.

Le cose non stanno diversamente a livello ammini-strativo. È da anni, infatti, che si dibatte il problema delcoordinamento della spesa, senza che lo si sia potuto maiefficacemente realizzare. Un tale coordinamento, istitu-

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zionalmente previsto dalla legge, in effetti non è statomai esercitato e per un duplice ordine di ragioni: primo,perchè le varie amministrazioni in una erronea e defor-mante forma di difesa della propria autonomia e compe-tenza, si sono guardate bene dal partecipare le loro sceltead organi diversi da quelli propri; e, secondo, per lastrutturazione stessa della competenza.

Come più volte si è affermato, si impone una revisio-ne della legge n. 28, che stabilisce le competenze dellesingole amministrazioni e ciò sopratutto per creare mi-gliori condizioni per un effettivo coordinamento.

Cosa dire poi dei rapporti tra gli assessorati a livellooperativo? Anche in questo campo ciascuno si muovecome meglio ritiene senza un concreto raccordo tra glioperatori impegnati su un medesimo problema. Le con-ferenze dei dirigenti, volute dalla riforma burocratica, làdove hanno cominciato a funzionare, si sono dimostrate,per i problemi di cui si sono occupate, un proficuo ed in-teressante strumento interno. Un simile metodo, che purpresenta obiettive difficoltà, dimostra la sua validità econferma la necessità che la pubblica amministrazionedeve acquisire metodi nuovi. La riforma delle procedureamministrative, che abbiamo sempre indicata comestrettamente collegata alla riforma burocratica, va orga-nicamente avviata per integrare gli interventi legislativisettoriali già realizzati che, se hanno dato taluni beneficieffetti, non possono certo considerarsi definitivi.

L’intervento riformatore sulle strutture regionali vaquindi completato sia con la revisione della legge n. 28,che con la riforma delle procedure. Diversamente ri-schieremmo di vanificare la stessa riforma burocratica

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che, come è noto, già incontra notevoli resistenze edostacoli.

L’indicazione di tali scelte, da operare sul piano legi-slativo, non può però rinviare a quel momento l’impegnoa meglio operare nella Regione. È necessario che subitosi dia luogo, con uno spirito di servizio e di collaborazio-ne, ad un’azione comune che superi formalismi e rigidi-tà procedurali.

Ancora pochi decenni fa i rapporti umani e sociali era-no nella quasi totalità affidati a strumenti epistolari, oggiradicalmente superati per i moderni mezzi di comunica-zione. Solo la pubblica amministrazione continua a ser-virsi di corrispondenza in gran parte inutile. Al telex, altelefono, alle conferme telegrafiche, l’amministrazionepubblica deve far corrispondere metodi nuovi impronta-ti a snellezza, rapidità ed efficacia che garantiscano alcontempo i requisiti necessari dell’azione amministrati-va. Oggi, infatti, al perfezionismo formale va sostituita latempestività delle decisioni e la validità dei contenuti.

Un concreto coordinamento che si realizzi con imme-diatezza e contestualità tra gli operatori interessati, sianoessi politici che amministrativi, risponde non soltanto aduna esigenza di tempestività decisionale, ma soprattuttoall’opportunità di utilizzare le feconde energie disponi-bili che, invece, vengono oggi frequentemente disperse,a danno della collettività isolana.

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Più poteri agli enti locali(*)

Trapani, 24 gennaio 1973

L’attuazione del pieno decentramento di funzioni re-gionali agli Enti locali, nel senso di un trasferimento aquesti ultimi di potestà decisionali e di gestione in ordinea materie di interesse locale, credo che non possa essereulteriormente ritardata. Non foss’altro perchè una speci-fica disposizione della carta costituzionale, quella conte-nuta nell’art. 129, ha atteso già abbastanza la sua attua-zione.

È pur vero che parecchie remore, di varia natura, si so-no frapposte fino ad oggi ad una considerazione globaledel problema, come la perplessità, ad esempio, circa laeffettiva capacità di comuni e province ad assolverecompiti nuovi, vista la loro attuale organizzazione, abba-stanza carente sia dal punto di vista strutturale che opera-tivo.

Tali preoccupazioni debbono, se mai, consigliare diaffrontare e risolvere tutti questi nodi nella maniera piùopportuna, onde consentire il loro superamento ai fini

(*) In questo articolo, pubblicato sul settimanale Il faro, viene, in cer-to senso, completata la problematica della riforma amministrativa dellaRegione, affrontando il tema degli enti locali. Il decentramento viene vi-sto come occasione per la costituzione di una pluralità di centri decisio-nali, anche ai fini della accelerazione della spesa e come occasione peruna ridistribuzione ottimale delle funzioni tra regione, ente intermedio ecomune.

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Scritti e discorsi

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dell’attuazione del decentramento, e non certo rimanda-re sine die ogni decisione sulla questione.

Nessuno può disconoscere, intanto, che il decentra-mento verrebbe ad apportare alla attività regionale unsoffio di vita nuova; verrebbe cioè, a restituire allaRegione la sua vera funzione di ente di indirizzo, di entedi governo, di ente proteso verso i problemi di fondo del-la realtà isolana, impegnato a risolverli in un contesto didecisioni coordinate, lasciando alle comunità minori ilruolo di attuazione ed esecuzione, pur nell’ambito di unnecessario margine di discrezionalità sia amministrativache politica.

Un effettivo decentramento verrebbe a realizzare an-che quel pluralismo dei centri decisionali, da più parti au-spicato e, recentemente, sanzionato negli statuti delle re-gioni ordinarie, che consentirebbe, tra l’altro, di ridurrein modo consistente, attraverso tempi più brevi nella spe-sa, l’attuale situazione abnorme dei residui passivi, ma-gari con la introduzione di congegni procedurali più flui-di e snelli, con la revisione e, quando possibile, con l’eli-minazione dei controlli preventivi.

In tal modo la spesa pubblica raggiungerebbe appun-to in tempi brevi gli effetti voluti e l’economia della no-stra isola ne trarrebbe certamente vantaggi apprezzabili.

Tutto il sistema delle leggi di spesa, fino ad oggi ema-nate dalla Regione, dovrebbe pertanto, essere rivisto (daquella sui fondi ex art. 38 alle leggi settoriali) per ade-guarlo agli indirizzi prospettati: i quali evidentementecomportano un cambiamento sostanziale nella imposta-zione dei problemi attinenti all’attività amministrativaregionale. Si dovrà, cioè, abbandonare l’ottica – per cer-

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Piersanti Mattarella

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ti aspetti angusta e provinciale – dell’accentramento, del-la conservazione alla Regione di tutti i poteri cli decisio-ne, per sposare l’altra e più produttiva impostazione, di-scendente, del resto, dalla carta costituzionale, che vuoleuna redistribuzione funzionale fra gli enti comunitaridelle competenze regionali, nei termini sopra esposti.

Resta il grosso problema della riorganizzazione degliEnti locali, che ha influenzato e continua ad influenzare— e del resto non po trebbe essere diversamente — la re-distribuzione funzionale di cui si è detto.

Il problema si pone soprattutto in riferimento a queiservizi di particolare importanza, per i quali la dimensio-ne comunale non solo è organizzativamente inadatta, maè tecnicamente ed economicamente inadeguata.

È stato al riguardo sottolineato che il livello tecnica-mente ottimale, ad esempio, per le scuole secondarie su-periori si colloca attorno ai 2.000 studenti per una popo-lazione di circa 50.000 abitanti; che le attrezzature ospe-daliere sono produttive attorno agli 800 posti-letto peruna popolazione di 150.000 abitanti; che lo smaltimentodi rifiuti con il sistema dell’incenerimento vuole una po-polazione di almeno 500 mila persone e con altre tecni-che di 50.000; che un impianto di depurazione deve ser-vire almeno 250.000 abitanti.

Il discorso potrebbe continuare per il settore dei tra-sporti, per quello degli insediamenti industriali e resi-denziali di grandi dimensioni, per il settore ecologico, ecosì via.

Pensare di affidare tali servizi ai Comuni o alleProvince, nelle attuali condizioni, è veramente assurdo eassolutamente antieconomico.

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Bisogna, piuttosto, avere il coraggio di imboccare unastrada diversa.

La prima e fondamentale riforma degli Enti locali ri-guarda il sistema di elezione degli amministratori e inparticolare modo del sindaco, per il quale dovrebbe pre-ferirsi l’elezione diretta.

È necessario poi puntare su forme associative e con-sortili tra i comuni, o sulla più vasta area metropolitana,per i servizi di particolare importanza o per quelli che,per le loro dimensioni, presentano aspetti positivi sui pia-no economico, o hanno rilevanti effetti esterni e redistri-butivi, in una parola per quelli di interesse sovra-comu-nale.

Si dovrebbero pertanto favorire tali soluzioni median-te una legislazione chiara e semplice e una politica regio-nale, che sia idonea a promuoverle e a sostenerle, sul pia-no finanziario.

In questo contesto, potrebbe essere rivista la funzionedella provincia regionale, quale ente intermedio traComuni e Regione, nel senso di ente coordinatore, sia dalpunto di vista politico che da quello tecnico, dei servizi didiversa dimensione esplicantesi nell’ambito del proprioterritorio.

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D.C. /P. C.I.: contrapposizione o confronto? (*)

Palermo, settembre 1975

Desidero esprimere piena adesione alla relazione delsegretario regionale e soprattutto confermare e rinnova-re il consenso all’azione svolta lungo linee che per laidentità delle comuni valutazioni hanno registrato leale eproficua collaborazione.

La piena adesione alla relazione mi esime dal ripren-dere analisi e proposte che condivido ed alle quali mi ri-faccio.

Il problema sul quale intendo soffermarmi è quellodella proposta politica del segretario regionale di un pro-gramma di fine legislatura che sia definito anche attra-verso il confronto con le opposizioni costituzionali e coni comunisti in particolare. A tale proposta mi pare dove-roso dare una risposta che è anche assunzione di consa-pevole responsabilità.

Alla dichiarazione di consenso a tale proposito, chetende a garantire, con la stabilità del quadro politico, unaproduttiva e qualificante chiusura della legislatura che ri-sponda in maniera idonea alla realtà sociale della nostraisola, desidero accompagnare alcune valutazioni.

Vi sono molti nodi che il P.C.I. non ha sciolto e chefanno tuttora da ostacolo alla collaborazione politica con

(*) Intervento pronunziato durante la sessione dei lavori delComitato regionale della Democrazia cristiana.

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questo partito. Permane perciò la contrapposizione idea-le e politica che caratterizza la posizione della D.C. neiconfronti del P.C.I.; ma tale contrapposizione non solonon esclude, ma al contrario include un confronto vigo-roso ed efficace con tale partito.

Ciò anche per il dovere che una forza come la D.C.,che ha la responsabilità del governo, centrale e regiona-le, della cosa pubblica, deve avvertire in una situazionepolitica e sociale come l’attuale, di concepire il rapportomaggioranza-opposizione come uno dei modi di concor-rere dialetticamente alla guida della realtà sociale.

Ho premesso che non mi dilungherò in analisi e valu-tazioni sul momento politico, perchè non vorrei concor-rere ad accrescere la già troppo nutrita schiera di mitizza-tori dell’analisi del «dopo 15 giugno», senza peraltronulla togliere al profondo significato politico di quel vo-to che rappresenta indubbiamente un fatto di notevoleimportanza nella vicenda politica del nostro Paese.

Ma la vicinanza della scadenza elettorale regionale ciimpone di superare la fase dell’analisi per passare, pru-dentemente ma coraggiosamente, alla fase delle decisio-ni.

Atale proposito va sottolineato come la realtà politicasiciliana per più di una ragione si trova, e si era trovataancor prima del 15 giugno, in posizione del tutto partico-lare.

Soprattutto per chi si è sempre richiamato a quelle po-sizioni di grande sensibilità politica che, nella più assolu-ta garanzia di sicurezza democratica, si sono mostrate at-tente al nuovo che già da molti anni emergeva dalla so-cietà italiana e, respingendo assurdi arroccamenti o faci-

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li fughe in avanti, ha avvertito esigenze e legittime prete-se di rinnovamento, il significato del 15 giugno è appar-so come una conferma di sintomi già percepiti, che peròda taluni ci si è ostinati a non percepire.

In Sicilia però, con anticipo rispetto che trove, la D.C.ha avvertito e soddisfatto una esigenza di novità. La re-cente vicenda politica siciliana proprio per questo ha af-frontato situazioni difficili, ma proprio per questo le hasuperate.

Il quadro politico realizzato, caratterizzato da una ri-presa di iniziativa della D.C. siciliana, ha consentito ilconfronto con le opposizioni, e con il gruppo comunistain particolare, su temi e punti significativi del program-ma di governo. Ed il fatto che, nonostante il ripetersi delcondannabile metodo dei comunisti di rivendicare la pri-mogenitura di ogni provvedimento al momento della suadefinizione, sulla base del programma di governo e sen-za alcun sacrificio della scelta di fondo, si sia registratoquasi sempre il più largo consenso è certamente positivoe non può essere sottovalutato.

Da questa realtà della politica siciliana, che per laD.C. ha ricevuto proprio il 15 giugno una soddisfacenteconferma elettorale, si parte per valutare l’attuale evolu-zione.

La mancanza di una simile consolidata maturazionein altre realtà regionali ci rende invece perplessi di fron-te a ciò che, con spregiudicatezza e precipitosità, è stato,in talune regioni, realizzato, passando da posizioni di in-comunicabilità a posizioni di assoluta identificazione,persino per la elezione di governi regionali e per la defi-nizione delle relative strutture, con il Partito Comunista.

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Il quadro politico preesistente e che in questo caso sivuol salvaguardare, la ripresa di iniziativa della D.C. si-ciliana, la drammatica realtà sociale della nostra isola, lastessa scadenza elettorale, ci impegnano con la dovutachiarezza e fermezza a proseguire sulla via intrapresacon coraggio.

Siamo peraltro pienamente consapevoli che si tratta diuna via difficile che potrebbe anche diventare pericolosa.Ma dalle situazioni difficili — e la nostra, quella italianae in particolare quella siciliana, lo è da tutti i punti di vista— non credo che si possa uscire per vie facili da percorre-re o che illusoriamente possano a taluno apparire tali.

E la via è difficile non solo per il momento che attra-versa la D.C., ma anche perchè, obiettivamente, nel con-fronto reale, autentico, con le altre forze politiche si deb-bono affrontare e risolvere una molteplicità di problemiche altrimenti solo gradualmente verrebbero all’esame.Ed il cammino è ulteriormente reso difficile perchè ilPartito comunista per la sua struttura, l’utilizzo delle sueenergie umane esclusivamente nella attività politica (li-bero, certo più di noi, da responsabilità e da compiti am-ministrativi e di governo), sarà incalzante, pronto, abile espregiudicato.

Da ciò consegue non certo la conclusione che nel con-fronto la maggioranza o la D.C. saranno fatalmente con-dizionati o appariranno all’elettorato trascinati. Perchènel momento in cui tale via viene imboccata vanno postecon chiarezza, assieme alla leale ricerca di una conclu-sione positiva, alcune premesse, talune delle quali peral-tro già nei fatti e puntualmente richiamate dal segretarioregionale.

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È indispensabile che il confronto avvenga sulla basedelle linee programmatiche della maggioranza, che poisono quelle a base della costituzione del governoBonfiglio.

È utile la effettiva disponibilità ad ogni apporto co-struttivo e migliorativo che va recepito senza considerar-lo una rinunzia od una abdicazione.

È necessario nella fase gestionale garantire la diversi-tà dei ruoli e della responsabilità tra maggioranza ed op-posizione.

In fondo il reale spostamento a sinistra della società edella stessa D.C. può e deve consentire ad essa di assol-vere al suo compito e rispondere pienamente alla doman-da politica della società, nella autonomia ed originalitàdel movimento cattolico e con le necessarie collabora-zioni democratiche.

Accentuato da una tale scelta ma già da tempo unani-memente avvertito c’è il problema della ripresa dellaD.C. a livello di iniziativa politica, ma con impegno per-sonale ed organizzativo.

Anche qui non desidero fare considerazioni prelimi-nari. Dirò semplicemente che il riacquistare tensioneideale e morale, impegno totale e dedizione al Partito, enon più a persone o gruppi, è premessa assolutamente ne-cessaria e indifferibile perchè la D.C. possa continuare arendere alla comunità il servizio di guida della cosa pub-blica.

Occorre ricreare la capacità di riferirsi costantementealla matrice cd ai valori più genuini dei caratteri demo-cratici e popolari del Partito ed essere coerenti con la na-tura solidaristica della nostra ispirazione cristiana.

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Occorre liberare la D.C. dalla arroganza o anche dallasemplice ansia del potere, ripristinando a pieno il nostrosenso dello Stato, il rispetto per la cosa pubblica.

Occorre valere, come ha detto Aldo Moro, per il ser-vizio reso non per lo sviluppo dei favori e delle clientele.

Queste succinte valutazioni ritengo utili in questomomento della nostra vicenda politica.

Accenno, prima di concludere, alla esigenza che, sul-la linea che questo Comitato traccerà, è urgente definire,nelle sedi e nei modi che il segretario regionale vorràconcordare, la piattaforma che, partendo dal programmadell’attuale governo, consenta alla D.C. siciliana di man-tenere quella iniziativa politica che ha il dovere di ali-mentare e sviluppare.

Desidero infine manifestare il sentito auspicio che lagestione unitaria che, come ha ricordato Nicoletti, hacontribuito a creare un clima più sereno tra di noi, sco-raggiando ed attenuando particolarismi e settarismi, pos-sa essere confermata e rafforzata proprio in questo mo-mento dal quale parte la preparazione del periodo eletto-rale e che proprio per la sua delicatezza e per le prove checi attendono ha reale bisogno dell’apporto di tutti in mo-do costruttivo ed attivo.

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Padania: una Prussia in Italia? (*)

Palermo, 11 novembre 1975

Guido Fanti, il comunista presidente della RegioneEmilia-Romagna, ha lanciato il progetto di una lega —più, di un patto federativo — tra le regioni padane,Lombardia, Piemonte, Liguria (quest’ultima per la veri-tà poco padana, ma che significativamente completa ilfamigerato triangolo industriale), Veneto ed Emilia do-vrebbero costituire una unità organica a cui è stato già da-to un nome: Padania.

La proposta confermata da una recente intervista, nonpuò lasciare indifferenti, anzi, va considerata in tutta lasua gravità.

Secondo Fanti, la Valle Padana «ha un nuovo ruolo, dipiù ampia aggregazione delle forze politiche e sociali de-mocratiche», intorno a linee di intervento per l’occupa-zione, l’agricoltura, l’industria, la ricerca scientifica, l’u-

(*) Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia.La polemica traeva origine dalla notizia della proposta formulata

dall’allora Presidente della Regione Emilia Romagna, Guido Fanti, diuna sorta di confederazione delle Regioni padane. Mattarella, alloraAssessore al bilancio nel governo regionale, avvertì l’estrema pericolo-sità dell’iniziativa in termini di rafforzamento di un’area di cui ilMezzogiorno era già succube anche senza ulteriori aggregazioni che, aldi là delle intenzioni e delle parole, non potevano non avere conseguen-ze nell’approfondimento del divario Nord/Sud.

La proposta di Fanti, comunque, non ebbe seguito.

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tilizzazione delle risorse naturali, la politica finanziaria.Praticamente tutto. In pratica si tratterebbe di mettere inpiedi una sorta di super-regione. Ha scritto FrancescoSantini sulla Stampa: «La idea di Guido Fanti è quella dicreare, tra la Regione e lo Stato centrale, un organismointermedio, una nuova “unità” nazionale che colleghi,con un patto associativo, le cinque regioni che gravitanosulla Valle Padana».

L’enorme forza sociale, economica e finanziaria diuna entità come quella vagheggiata dal comunista Fantiè intuibile e la immancabile incidenza che finirebbe peravere sulle scelte generali nazionali lo è altrettanto, comeè altrettanto chiaro, comunque si voglia presentare l’ini-ziativa, che essa costituisce l’esaltazione neocapitalistadella concentrazione di ricchezza e la negazione di ogninuovo modello di sviluppo. (Sarebbe interessante ap-prendere che, al contrario, sia proprio questo il modelloauspicato!).

Ma qualche dato va ricordato, come quello che le cin-que regioni rappresentano oltre il 50 per cento del reddi-to nazionale, che si tratta, escluso il Veneto, delleRegioni che registrano il più alto reddito pro-capite, chele industrie delle cinque regioni occupano i 2/3 degli ad-detti di tutta Italia, che tali cinque Regioni assorbono piùdella metà degli impieghi che aziende di credito e istitutispeciali effettuano in tutta Italia.

Si tratta, perciò, di costituire un blocco di forza supe-riore a quella della rimanente parte del Paese (una nuovaPrussia in Italia!), oltretutto priva di significative sacchedi depressione; le stesse Regioni strutturalmente aggre-gabili (la Val d’Aosta con il Piemonte, il Trentino e l’Alto

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Adige, il Friuli e la Venezia Giulia con il Veneto), conaree depresse diffuse, vengono significativamente emar-ginate.

E incredibile ma è proprio una proposta neo-capitali-sta di aggregazione di forti, non certo a vantaggio di... chirimane escluso! Viva la Padania di Guido Fanti!

Quando nei convegni delle regioni meridionali diPalermo e Cagliari (già l’ultima conferenza di Napoli pe-rò, aveva scoperto qualche carta) le Regioni con i loropresidenti — Fanti, tra i primissimi — si dichiararono«l’ossatura fondamentale» di una politica nazionale peril Mezzogiorno, anche perchè i loro Statuti sottolineava-no «la necessità di superare gli squilibri economici, so-ciali e territoriali, esistenti nel proprio ambito e nella co-munità nazionale, con particolare riferimento alMezzogiorno», non dubitammo di avere trovato nuovi esinceri alleati. Ma allora la crisi per le Regioni del Nordnon c’era.

Ma credemmo, soprattutto, che l’affermazione chefosse necessario incidere seriamente sul modello di svi-luppo fino ad allora realizzato, andasse oltre l’interessedelle stesse aree del Nord, costrette a pagare pernicioseconseguenze della congestione industriale. Sembrerebbe,ora che ci fosse solo una momentanea coincidenza di in-teressi.

Infatti, la tradizionale polemica meridionalistica haindividuato da sempre, nello strapotere delle Regioni set-tentrionali del Paese, sviluppate industrialmente, uno deifattori limitativi più evidenti dello sviluppo meridionale.

Lo stesso modello di sviluppo industriale è stato pre-so (a torto o a ragione, non è questa la sede per dirlo) a

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parametro della crescita economica del Sud, dal nuovomeridionalismo, quello datato anni ‘50, che si è caratte-rizzato proprio per una forte e pressante richiesta di indu-strializzazione nel Sud d’Italia, nella convinzione che so-lo l’industria — di cui solo ora si stanno scoprendo lemagagne ecologiche e i costi sociali — sia in grado di da-re l’avvio ad un processo di sviluppo quanto più possibi-le generalizzato.

La forza del Nord, che trae origine da fonti prosperefino alla vigilia della crisi, è stata il punto di aggregazio-ne — questa volta sì — ed il centro di coagulo e di spintadi quella politica contraddittoria che anche di recente(convegno CESPE a Palermo), è stata denunziata daSaraceno e da altri, come la vera causa del perdurante di-vario Nord-Sud.

Cioè, mentre da un lato c’è una « verbalità » intorno alproblema meridionale giustamente indicato come il veroe primo problema italiano, dall’altro si fa una politica in-dustriale del tutto contrastante, una politica che ovvia-mente rimane condizionata e voluta, causa ed effetto in-sieme, dalla forza delle Regioni padane che hanno tuttol’interesse sia dalla parte padronale sia da quella operaiacon buona pace di partiti — PCI con gli altri — e sinda-cati, a che le cose continuino come sono andate finora.La totale contraddittorietà della proposta di aggregazio-ne padana (la cui gravità è, al di là di una possibile realiz-zazione, nel fatto stesso di averla avanzata) con le cosecostantemente dette a proposito della battaglia per ilMezzogiorno dal Partito comunista e che hanno semprevisto in prima linea, almeno fisicamente, il comunistapresidente dell’Emilia, è del tutto superflua da sottoli-

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neare. Forse, proprio per questo, Guido Fanti, ha sentitoil bisogno (vera e propria excusatio non petita) di direche l’alleanza della «Padania» non passa sulla testa deilavoratori del Mezzogiorno, forse allo stesso modo di co-me non è passato sulla loro testa l’accordo Agnelli-Lama, sulla scala mobile, o i rinnovi contrattuali dei me-talmeccanici (per quello del 1973 la SVIMEZ, ha calco-lato che esso ha messo in moto verso il Nord, un flusso direddito pari a 3/5 dell’ammontare annuo dell’interventostraordinario per il Mezzogiorno).

La strategia di aggregazione delle Regioni padane ac-colta subito senza riserve dal comunista presidente dellaLiguria, Carossino, ha ricevuto dal democristianoGolfari, presidente della Lombardia, una risposta negati-va riguardo alla sua istituzionalizzazione ma ha, però, re-gistrato anche da Golfari un riscontro positivo nei conte-nuti e già nei prossimi giorni si terrà a Cremona un in-contro tra i presidenti delle Regioni padane.

Il presidente della Liguria, nella sua immediata (scon-tata) adesione alla costituzione della «Padania» ha ag-giunto agli obiettivi indicati da Fanti quello del turismo,dei porti petroliferi, dei complessi siderurgici, dei ghettiurbani, spiegando «ecco le scelte da concordare con lanuova figura geometrica proposta da Fanti, che parte dalnostro triangolo industriale e si allarga al Veneto edall’Emilia». Carossino, anche lui nel tentativo di preve-nire le ovvie reazioni, si è affrettato ad affermare «nessu-no vuole far pagare al Mezzogiorno nuovi prezzi. Anzi, èil contrario; bisogna invertire una tendenza contempe-rando esigenze diverse non contrapposte». Come, mi do-mando, costituendo l’alleanza dei forti che fatalmente

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accentua le differenze, emargina ulteriormente le zonedepresse, aumenta le distanze? E così che si individuano«le modalità di integrazione dei due sistemi, settentrio-nale e meridionale, in un unico»? Di fronte ad una taleprospettiva, che giova ripeterlo, al di là di una sua realiz-zazione istituzionale o anche di organica intesa, è graveper le altre Regioni e per quelle meridionali in particola-re, non si può non reagire vivacemente.

Già nelle settimane scorse, quando, avvicinandosi ledecisioni della Comunità Economica Europea per l’asse-gnazione dei fondi per lo sviluppo delle aree depressedella Comunità, in clamorosa contraddizione con il con-clamato principio della destinazione di tanti interventinelle aree maggiormente depresse, Fanti si recò aBruxelles — immagino non come padre putativo delleRegioni meridionali, ma come presidente della suaRegione, non certo depressa — restammo perplessi sullacoerenza di tale iniziativa con la fedeltà al discorso meri-dionale.

Sia chiaro, nessuno di noi può meravigliarsi cheFanti, Golfari o Carossino difendano in ogni modo gli in-teressi delle loro Regioni; ma quando questi sono sulla li-nea della negazione di ogni riequilibrio, non si continui aparole, a fare i padrini del Mezzogiorno. Si dica con co-raggio — del resto lo abbiamo capito — che le Regioni,così come i sindacati, intendono oggi anteporre ad ognireale fatto di riequilibrio territoriale e sociale la difesadello sviluppo dell’apparato esistente e dei ceti relativi.

Opportunamente ha scritto recentemente il segretarioregionale del PCI, Occhetto, che il pericolo che la stagio-ne contrattuale si chiuda con la semplice difesa dell’esi-

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stente «lo si scongiura attraverso una giusta impostazio-ne meridionalista da parte di tutto il movimento operaio,dei programmi di tutte le Regioni italiane e del program-ma governativo di medio termine...

Sulla bontà di tale affermazione non ho dubbi. Ma sulfatto che quello che il comunista Fanti propone è esatta-mente il contrario, credo converrà lo stesso Occhettoche, peraltro, già nell’ultimo comitato centrale del suopartito, aveva rivolto proprio alle altre Regioni, l’invitoad una piena e reale coerenza tra affermazioni meridio-naliste e scelte delle singole Regioni.

Forse la proposta Fanti e la risposta che essa ha già re-gistrato in Liguria ed in Lombardia, servono a sottolinea-re, a chi non l’avesse valutata appieno, la gravità delleprospettive del Mezzogiorno e del suo sviluppo che siscontrano oggi non solo con lo Stato centralizzato, maanche con le realtà istituzionali e sociali delle aree svi-luppate.

Forse, tutto questo può spiegare perchè la Sicilia habisogno di raccogliere tutte le sue forze politiche, socia-li, culturali, economiche per uno sforzo totale che da so-lo può farci sperare in un domani migliore, che da solopuò consentire di controbilanciare gli interessi contra-stanti col nostro sviluppo attraverso una incidenza realesulla politica nazionale che già nelle prossime settimane,vuoi con il programma di medio termine che il governoMoro si accinge a varare, vuoi con le decisioni sulla po-litica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, re-gistra importanti e decisivi appuntamenti.

La verifica che il ministro per il bilancio Andreotti fa-rà a Palermo il 15 novembre, con i presidenti delle

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Regioni meridionali sulle prospettive dell’interventostraordinario nel Mezzogiorno, è, anche per il metodonuovo, piena di prospettive positive.

Lo stesso incontro del giorno successivo, che GiulioAndreotti avrà con la DC siciliana, dovrà costituire unaoccasione da non sciupare.

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Una Sicilia nuova nella crisi italiana (*)

Palermo, 25 aprile 1976

Un bilancio positivo

La legislatura dell’Assemblea regionale siciliana, chesi chiude nei prossimi giorni, e più globalmente il quin-quennio politico che la Regione e le forze politiche re-gionali hanno vissuto, è un arco di tempo che credo pos-sa definirsi positivo. Ciò per una serie di provvedimentiattuati e perchè si è riusciti ad attenuare degli errori, pre-senti nel passato. Ciò ha fatto modificare il giudizio, an-che esterno, sulla vita della Regione, sovente critico e pe-sante della stampa nazionale, in una valutazione più se-rena, a volte positiva, del modo di fare politica della no-stra isola.

Chi può dimenticare le critiche feroci alla vita regio-nale, così come essa veniva interpretata e conosciuta inSicilia e fuori dalla nostra Regione? Oggi il giudizio cer-to non è totalmente positivo, ma sicuramente è un giudi-zio che, nella valutazione esterna, ha recuperato in posi-tività.

Credo possa dirsi che questo periodo della politica re-gionale è stato caratterizzato da una stabilità maggiore di

(*) Discorso pronunziato nel teatro dell’Istituto Don Bosco diPalermo, in occasione della campagna elettorale per il rinnovodell’Assemblea regionale siciliana.

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quella del passato e, di sicuro, maggiore di quella dellapolitica nazionale. Stabilità non soltanto nel senso delnumero dei governi che hanno retto la Regione in questoquinquennio, perchè, pur essendo esso significativo, diper sè non sarebbe sufficiente a convalidare una stabilitàpolitica. Ma, indubbiamente, accanto al fatto che non cisono state alla Regione crisi a ripetizione come nelle pas-sate legislature, si è avuta una continuità politica; unastabilità nei rapporti tra i partiti e tra i gruppi parlamenta-ri; c’è stato un miglioramento del clima politico sia al-l’interno della Democrazia cristiana, sia nei rapporti congli altri partiti. Quanti episodi, che anche nella legislatu-ra 1967-1971, ebbero l’impronta della drammaticità,dello scontro personalistico, della tensione portata all’e-sasperazione, in questo arco di tempo che non si sono piùregistrati?

Ma anche sul piano della dialettica assembleare aSala d’Ercole, quanti scontri, a volte fisici, nella passatalegi-slatura ci furono che in questa non ci sono stati,nonostante punte di polemica tra i gruppi parlamentariparticolarmente accese e particolarmente significative.

Un clima ed una stabilità politica, quindi, che sono sta-ti elementi certamente positivi e che hanno consentito al-la Regione di assolvere un ruolo che in passato era statosvolto in maniera più contraddittoria e più disarticolata.

Noi abbiamo registrato e registriamo che si è venutoconcretizzando tra Regione e realtà siciliana un rapportosempre più diretto, più immediato, più sentito e più col-legato a temi concreti della vicenda politica regionaleche interpretano problemi autentici della vita di ognigiorno.

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Piersanti Mattarella

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In una area metropolitana di dimensioni così grandicome quella di Palermo, il contatto tra l’istituzione re-gionale ed il singolo cittadino è estremamente più atte-nuato. Ma nella realtà della provincia, sopratutto nei co-muni agricoli, dove i problemi hanno direttamente ri-scontro nella legislazione regionale, tale contatto con lecategorie dell’agricoltura, dei lavoratori autonomi arti-giani, dei piccoli commercianti, ha finito col realizzareun rapporto certo difficile, magari non soddisfacente perintero. Questo perchè la realtà socio-economica della no-stra regione così depressa, proprio per questo contatto di-retto, ha posto problemi in maniera sempre più vasta epiù acuta ma certamente autentica e articolata su proble-mi reali e su cose reali. E la Regione è riuscita ad assol-vere un ruolo di sostegno delle strutture più deboli e di at-tenuazione di alcuni effetti fortemente negativi che la vi-cenda economica nazionale ha fatto subire al nostroPaese.

Le cose realizzate

Potrei disegnare (e non lo faccio per non annoiarvi,ma penso che andrebbe fatto in sede separata) una pano-ramica delle cose più concrete e più significative che laRegione siciliana è riuscita a realizzare in questo perio-do. E sarebbe utile perchè, molto spesso, le cose realiz-zate non si conoscono mentre le cose non fatte si notanoin tutto ciò che hanno di negativo, restando inosservatoquanto vi è di positivo.

Comunque è da sottolineare che alcune iniziative re-

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gionali hanno assunto un significato di particolare valoree di talune di esse ritengo che sia doveroso riferire perchèhanno costituito la premessa di alcuni sostegni a settoriproduttivi dell’economia siciliana

Per esempio, quella della legge sul credito, che, nelmomento in cui la politica finanziaria e monetaria dellanostra nazione si caratterizzava con una stretta creditiziadi particolare pesantezza, costituì in Sicilia, naturalmenteentro i limiti dell’intervento regionale (che peraltro fu di250 miliardi) una boccata di ossigeno, specie per le pic-cole strutture economiche, le quali nel nostro tessuto so-ciale rappresentano gran parte dell’apparato produttivo.

E fu una legge che ebbe un significato particolare per-chè adottata in contrapposizione ad una linea nazionale,che ovviamente aveva delle finalità positive per la ripre-sa economica e finanziaria del Paese, ma che qui avrebbefatto pagare conseguenze molto più gravi se la Regionenon avesse supplito con il suo intervento alle carenze del-l’apparato produttivo. La Regione è riuscita in un quin-quennio (e il discorso, qui, non è fatto per la occasionali-tà della mia presenza all’assessorato bilancio per cinqueanni) a realizzare una politica finanziaria che andrebbemeglio conosciuta per essere giudicata. Una politica cheha obbedito ad alcune linee direttrici che sono tutte di se-gno positivo e orientate come sono essenzialmente allamobilitazione totale delle risorse finanziarie possibili,presenti e future.

È una politica di indebitamento controllato, che è riu-scita a porre la Regione in condizione di potere aumenta-re sensibilmente la spesa regionale. Noi abbiamo, negliultimi due esercizi, autorizzato complessivamente spese

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per oltre tremila miliardi di lire, che possono apparire po-co di fronte alle esigenze dell’Isola, ma che sono moltis-simo rispetto a quello che era il ritmo della spesa regio-nale negli esercizi precedenti e rispetto a quello che è sta-to il calo della spesa pubblica nazionale nello stesso pe-riodo. E ciò abbiamo potuto fare, attraverso questa poli-tica di indebitamento controllato, per utilizzare tutte le ri-sorse, con una serie di strumentazioni finanziarie dellequali non posso non dare atto alla struttura amministrati-va della regione, perchè si è riusciti a creare una serie dimeccanismi che ci hanno consentito di utilizzare le no-stre risorse più di una volta.

Quando alla Regione, per esempio, si ripete con mol-ta facilità l’accusa già fatta in passato, di avere delle som-me disponibili non utilizzate, si è detto non solo cosa chenon corrisponde al vero, ma non si riconosce neanche ilfatto che su queste risorse, già impegnate per finalità spe-cifiche, la Regione, attraverso una valida politica di anti-cipazione a comuni, a ospedali e a strutture produttive, fi-nisce con utilizzare tutti questi denari due volte. La pri-ma, nel momento in cui li ha nelle sue casse e li prestasenza interessi a queste strutture pubbliche produttivenelle more dell’impiego definitivo e la seconda dopo larestituzione, con l’utilizzazione loro per le finalità fissa-te dalle leggi.

Abbiamo, quindi, perseguito una politica finanziariache ci ha consentito di aumentare la spesa regionale e diaccelerarla attraverso una rigorosa e puntuale applica-zione di tutti gli adempimenti formali che riguardano lacontabilità della Regione.

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Il piano di interventi

Ma questi aspetti accennati sono la premessa di quel-la scelta più consistente che è stato il piano di interventi.Esso ha costituito, nella primavera dello scorso anno,una svolta nella spesa della Regione ed insieme il primotentativo — fatto che va apprezzato — di utilizzare tuttele proprie risorse secondo una programmazione reale. Enon certamente per coprire tutto l’arco delle esigenze diuna comunità vasta come la Sicilia, ma almeno per ope-rare alcune scelte prioritarie che sono state mantenute nelcorso di questi ultimi mesi, attraverso l’approvazione di-leggi di spesa nei settori dell’agricoltura, del turismo,dell’artigianato, della cooperazione e che hanno messoin moto una serie di energie e hanno soddisfatto numero-se esigenze, e che certamente produrranno effetti positi-vi nella vita della nostra comunità. Si sono realizzate al-tre cose significative sulle quali non mi tratterrò a lungo,ma certamente l’avere chiarito il rapporto tra regione ebanche è un fatto qualificante di grande rilievo e positivi-tà. La realizzazione di alcune leggi di carattere struttura-le, come quelle sui consigli di quartiere, sul decentra-mento ai Comuni ha gettato la premessa per una riformadella struttura amministrativa della Regione, che costi-tuisce un fatto che ha un valore ed un significato politiconotevole. Esse sono da giudicare indispensabile premes-sa affinchè sia possibile passare, nella futura legislatura,ad una strutturazione dell’apparato pubblico più effi-ciente, più moderna e aperta alla reale partecipazione deicittadini.

Quindi ci sono fatti di segno positivo. Nè è trascurabi-

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le un altro aspetto dell’attività regionale che non ha valo-re diverso di investimenti e di produttività, ma che in unarealtà come la nostra, ha una funzione di sostegno digrosse dimensioni e cioè i costi sociali che la Regionesopporta: l’assistenza sanitaria e previdenziale per i la-voratori autonomi, siano essi commercianti, artigiani ocoltivatori diretti. Per tacere delle leggi che hanno cari-cato sulla Regione oneri per talune strutture, come quel-la degli autotrasporti, ed altre di natura sociale, qualequella del trasporto degli studenti pendolari. Vi sono pu-re le leggi per le iniziative culturali che hanno un valoreche va al di là della loro consistenza finanziaria e che co-stituiscono una scelta politica per una Sicilia che vuol es-sere diversa da quella del passato, aperta a questa societàche cambia, la quale chiede di partecipare, che chiede lasoddisfazione di talune attese, di talune aspirazioni chebisogna appagare urgentemente.

Una Regione diversa

C’è, quindi, una serie di realizzazioni positive chefanno questo arco di tempo della politica regionale certa-mente apprezzabile e migliore di quelli passati, anche secomparato a ciò che nel resto del nostro Paese si è anda-to realizzando nei medesimo periodo.

C’è una rivalutazione, quindi, della Regione, lenta,graduale, ma significativa soprattutto per quello che dafuori viene giudicato. Perchè la introduzione dell’ordi-namento regionale nei resto del territorio nazionale ha fi-nito col far capire le difficoltà della gestione di un istitu-

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to regionalistico, per la Sicilia aggravate dalle dimensio-ni e dalla drammaticith dei suoi problemi. In passato laSicilia veniva indicata in tutta Italia come esempio dispreco e di disfunzione politica ed amministrativa, per-chè, in effetti, alcune cose in passato avevano segnatopunti di deterioramento, mentre adesso sono state in granparte eliminate e superate. Questo, però, non vuol direche la vita della Regione siciliana sia tutta positiva e chela valutazione sulla sua realtà e sulle sue prospettive siainteramente ottimistica.

Gli enti economici regionali

Ci sono alcuni problemi che pesano sulle vicende re-gionali, che difficilmente potranno essere avviati a solu-zione in tempi brevi e che, però, bisogna avere il corag-gio di affrontare.

C’è il problema, per esempio, degli enti economici re-gionali per i quali periodicamente si invocano leggi di ri-strutturazione, provvedimenti di risanamento finanziarioe di riconversione industriale, ma per i quali finora costan-temente la Regione ha finito con l’addossarsi gli onericonsistenti, anche troppo consistenti, delle loro gestioni.

C’è da chiedersi, (il tema non è demagogico) se è le-gittimo che la porzione di cittadini, come coloro che la-vorano intorno agli enti regionali — che arrivano a 12-13mila persone — abbia il diritto di assorbire dalla finanzapubblica regionale una enorme e sproporzionata partedelle possibilità di un esercizio finanziario, a fronte ditante altre necessità.

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Questo non è, però, la negazione della validità di que-ste strutture; è la pretesa, più che legittima, che esse sia-no gestite a livello politico, a livello amministrativo, a li-vello imprenditoriale con un rigore, con una economici-tà che può e deve esserci. Perchè se si negasse, in linea diprincipio, questa economicità, ci sarebbe da esaminare lalegittimità della permanenza di queste strutture.

Ci sono, quindi, cose che vanno riviste, sulle quali,però, c’è da dire che piccolissimi passi sono stati fattinella direzione giusta, per esempio la smobilitazione del-l’apparato zolfifero. L’intervento pubblico sull’apparatozolfifero, avviato ad esaurimento, è un segno della vo-lontà politica e delle forze sindacali di imboccare la stra-da giusta. È difficile, sia perchè il problema occupazio-nale è un problema che non può essere ignorato e chenessuno, ovviamente, ha mai pensato di ignorare, sia per-chè il meccanismo che si è incrostato tende a moltiplica-re i suoi effetti negativi e difficilmente potrà essere smo-bilitato in tempi brevi.

Anche questo fine-legislatura è stato caratterizzato daun problema che riguarda gli enti, che sarà positivamen-te risolto, almeno per dare avvio ai piani di ristrutturazio-ne di questi. Ma c’è da dire, con molta chiarezza, che ilfatto che ci siano le risorse finanziarie per i piani, se nonci sarà contemporaneamente mutazione di gestione, for-se è la strada per aggravare ulteriormente tale realtà.

Questo, a grandi linee, un giudizio, una valutazioneche, ripeto, è globalmente positiva, su quello che è statoil ruolo della Regione in questi cinque anni.

Ma in quale contesto questo ruolo della Regione si èesplicato? Perchè va detto che la pretesa di considerare il

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giudizio sul ruolo della Regione come un fatto autonomorispetto a quella che è la realtà in cui la Sicilia si muove,è una pretesa sbagliata, nella quale si è già caduti neglianni passati, nella presunzione di potere autonomamen-te, quasi autarchicamente, risolvere i problemi della co-munità siciliana.

Quindi, va affermato che se la Regione comincia adimboccare la strada giusta, a fare la sua parte, ad avere lecarte in regola, c’è tutta una fase di rivendicazione e dicontestazioni nei confronti di una sfera più ampia chenon può essere sottovalutata e che è condizionante per losviluppo della Sicilia.

La Regione nel Mezzogiorno

Ma in quale contesto si è mossa la Sicilia? In una real-tà meridionalistica, in una realtà del Mezzogiorno che ètuttora fatta di squilibri, di ingiustizie, di incapacità o diimpossibilità di colmare gli uni e le altre; in cui le ricor-renti crisi economiche della comunità nazionale finisco-no con il costituire l’alibi per non intervenire in manieraincisiva nel Mezzogiorno.

Lo stesso fatto che il Parlamento nei suoi ultimi gior-ni si sia affrettato ad approvare una legge per ilMezzogiorno che comporta investimenti per 16.000 mi-liardi, di per sè non è un rimedio che può essere conside-rato accettabile in senso definitivo. È però la dimostra-zione di una attenzione, come in passato ce ne sono statetante, e forse anche la dimostrazione di una consapevo-lezza da parte delle forze politiche nazionali di una certa

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colpa e di una certa trascuratezza, e peraltro, un interven-to che, finchè sarà settoriale e non andrà alle radici diquesto squilibrio, non sarà interamente apprezzabile.

Un contesto di realtà meridionale, quindi, estrema-mente precario, che ha visto la Sicilia inserirsi in quelloche è stato il processo di mobilitazione di tutte le regionidel Mezzogiorno d’Italia.

Siamo passati da un isolamento non solo geografico efisico ma anche politico, ad un accorpamento di strategiameridionalistica con le altre regioni del sud, ma con le al-tre regioni, quelle non del Mezzogiorno, abbiamo dovu-to registrare una presunta alleanza nei momenti in cui nelnord si stava bene, e una certa diffidenza, anzi, senzamezzi termini, una non alleanza, nei momenti in cui ledifficoltà economiche del resto dell’Italia, si facevanopiù gravi. Ora, non possiamo certo accusare le regionisettentrionali di non averci sostenuto, ma non possiamonemmeno accettare che esse proclamino di sostenerci enello stesso tempo facciano cose che servono soltanto adaccentuare ulteriormente il divario nord-sud.

Ho avuto in passato polemiche con taluni presidentidel centro-nord. La famosa vicenda della Padania mi havisto decisamente polemizzare con il presidente dellaRegione Emilia-Romagna, il quale, interprete di un neo-capitalismo di frettolosa concezione, si era fatto fautoredi una aggregazione delle regioni padane per risolvere iloro problemi. E questa aggregazione era fatta certamen-te sulla pelle del Mezzogiorno, nei confronti del quale,nel momento in cui lanciava la proposta della Padania,osava rivolgere parole di solidarietà e di sostegno.

Questi rapporti, quindi, sono stati critici, proprio per

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la difficoltà del momento che il Paese attraversa, con leregioni non meridionali e con lo Stato, nei confronti delquale va detto che se, per quanto attiene alla presenzadelle regioni, c’è una sensibilità, soprattutto a livello po-litico e di governo, maggiore, dovuta al fatto della realiz-zazione dello stato regionale, c’è, nella difficoltà che ilPaese attraversa, una serie di atti e di atteggiamenti dicompressione delle attività della Regione.

Lo stesso discorso potrebbe riferirsi anche ai sindaca-ti, nei confronti dei quali va rilevato che ci sono stati, a li-vello nazionale, momenti di alta sensibilità e di aperturaverso la realtà del Mezzogiorno e delle regioni meridio-nali. Ma ci sono stati anche atti che hanno contraddettoqueste affermazioni: perchè quando i sindacati si preoc-cupano, per la loro stessa struttura, di alcuni contratti par-ticolari e di alcune rivendicazioni settoriali, sanno bene,e non possono certo fingere di non sapere, che la conclu-sione di tali contratti, i cui effetti per la concentrazione diquella occupazione nel nord, a condizioni particolar-mente vantaggiose per quella realtà, significa di fatto unulteriore drenaggio di risorse del Paese dal Mezzogiornoverso il nord d’Italia, e, quindi, costituisce un aggravio diquegli squilibri e di quei divari che anche i sindacati di-chiarano di volere contribuire ad appianare.

Comunque è un discorso — questo dei rapporti con lealtre componenti della società nazionale — che oggi èobiettivamente difficile, perchè fortemente condizionatodalla congiuntura economica e sociale che attraversal’Italia.

E pertanto in queste difficoltà di ordine generale, cre-do che emergano maggiormente gli aspetti positivi che

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ho cercato di evidenziare all’inizio su quello che è stato ilruolo della Regione siciliana.

Noi, quindi, ci accingiamo a presentarci all’elettoratocome classe dirigente regionale con la consapevolezza diavere fatto, in larga misura, il dovere che ci era impostodal ruolo cui eravamo chiamati, ma anche, con la consa-pevolezza di presentarci in un momento condizionato davicende e da temi di politica generale.

Del resto, la stessa posizione assunta in questi giornidal P.C.I., che chiede che si celebrino contemporanea-mente le elezioni regionali e le elezioni nazionali, è laconferma del timore di una consultazione regionale pre-cedente, che possa per la sua positività o, per lo meno, perla diversità del suo risultato, rispetto all’esito delle ele-zioni del 15 giugno trascorso, costituire un test positivoper la Democrazia cristiana e possa avere riflessi sulleelezioni politiche nazionali.

Certo, noi auspichiamo che il giudizio dell’elettoratosiciliano possa esprimersi, il 20 giugno, in maniera auto-noma rispetto ai temi di politica nazionale, ma non pos-siamo nascondere che, comunque, la campagna elettora-le regionale finirà con l’essere pregnante di valori e diconseguenze elettorali nazionali.

La crisi italiana

In questo contesto, credo che alcune considerazioni dinatura generale debbano essere fatte perchè la nostra co-munità nazionale attraversa un momento di crisi genera-le. Che sia politica, suppongo che non ci sia bisogno di

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dirlo; che sia economica, lo constatiamo ogni giorno dipiù; che sia sociale è ormai un fatto che, da anni, pesa sul-la realtà italiana. Che sia diventata anche una crisi civile,di convivenza in una comunità complessa come la no-stra, è anch’esso certo; che sia divenuta inoltre una crisireligiosa e anche una crisi morale è l’aspetto più grave.

Perchè, se da un lato attenua le motivazioni e le ragio-ni della crisi politica e sociale, dall’altro, però, manifestatutta la gravità della disarticolazione, degli squilibri chela vita del nostro Paese subisce.

Si tratta, in fondo, di una crisi che coinvolge l’uomo,involgendo tutte le presenze della vita comunitaria. Essaè derivante da fatti che ormai hanno valore internaziona-le: ci sono aspetti di questa crisi, come quella economica,come quella morale, che sono certamente aspetti di crisidella nostra epoca. Essi si riflettono in tutte le realtà delmondo occidentale — ma sono anche, direttamente, laconseguenza delle trasformazioni che la nostra societàha realizzato in questo trentennio che ci separa dalla libe-razione. Che oggi va ricordata non tanto per un fatto diformale celebrazione, ma per indurre alla riflessione, alripensamento circa quello che è il valore della libertà.

La liberazione fu un moto spontaneo e generalizzatodi popolo per riacquistare una libertà perduta che do-vrebbe essere, come diceva Sturzo, conquistata giornoper giorno, e della quale non ci accorgiamo di essere inpossesso. La libertà, in fondo, è come l’aria, della qualeci si accorge essere di importanza vitale, quando comin-cia a mancare.

La liberazione fu un moto spontaneo per riacquistarela libertà e, oggi, riflettere su questo valore non credo sia

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superfluo; quindi, il riferimento all’anniversario della li-berazione non è e non vuole essere un fatto celebrativo eneppure soltanto un doveroso omaggio a coloro che nefurono protagonisti; ma un riferimento preciso a quei va-lori ed alla necessità che su quei valori si ritorni, riflet-tendo che è indispensabile mantenerli a rafforzarli nellasocietà attuale, così travagliata e agitata.

Dicevo: la nostra è una società in crisi, una crisi che èdi valori morali che travolge e avvolge le singole persone.

C’è un dirompere della gioventù che certamente è di-versa da quella di venti anni fa. C’è una consapevolezzadel valore individuale molto spesso disordinata, certevolte persino inaccettabile come talune manifestazioniesasperate di femminismo; bisogna invece saper coglie-re alla base proprio la consapevolezza del valore e delruolo della donna nella società civile di oggi.

C’è un peso nuovo, indiscutibile, che i lavoratori hannoacquisito nella vita della nostra comunità. Ci sono una se-rie di fermenti innovatori che producono, però, conse-guenze ed effetti che non possono essere accettati perchèbisogna con forza rifiutare la faziosità, la violenza e tutte leforme assurde di estremismo che finiscono con l’essereprovocazioni per ulteriori manifestazioni di estremismo.

Ma tutto ciò è dunque la conseguenza del profondosconvolgimento in cui oggi vive la nostra società, delletrasformazioni profonde che la realtà italiana ha subito inquesti ultimi trenta anni.

Quando la Democrazia cristiana ha assunto la guidadel Paese nell’immediato dopoguerra, avevamo unasocietà essenzialmente agricola, tendenzialmente reli-giosa. Oggi invece ci troviamo in una realtà la cui ca-

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ratteristica principale della struttura sociale del nostroPaese non è più certamente quella agricola e nella qua-le la religiosità è fortemente contestata e parecchio at-tenuata.

Queste trasformazioni strutturali, positive da un ver-so, per la crescita economica, per la maturazione sociale,per lo sviluppo civile, hanno anche aspetti fortemente ne-gativi: l’appannamento di alcuni valori, la crisi della reli-giosità, il decadimento di alcuni costumi, il misconosci-mento di alcuni valori, che spesso vengono ormai palesa-mente e violentemente contestati. Come è per la fami-glia, come è per alcune affermazioni di principi etici emorali, contestati in maniera chiassosa, faziosa e certa-mente inaccettabile.

Una domanda da porsi

Ma ci siamo mai posti la domanda se tali eccessi nonsi siano verificati per il disimpegno, per il disinteresse,per il distacco, per l’inerzia, per un comodo atteggia-mento di isolamento da parte di coloro che credevano ecredono ancora in questi valori?

La presenza di tutti coloro che in questi valori tuttoradicono di voler credere, pur con ogni aggiornamentopossibile, è stata coraggiosa e ricca di iniziativa, o piutto-sto ha permesso che altri assumessero l’iniziativa e unruolo attivo nella società, che altri la caratterizzasserocon le loro opinioni, che erano in definitiva opinioni diminoranza?

Ecco, io credo che la nostra presenza sarebbe dovuta

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essere più consapevole, e non parlo di presenza politica,ma di presenza civile. Di presenza e di partecipazione edi impegno di carattere sociale che ciascuno ha il dove-re di svolgere se vuole che la comunità risponda alleproprie esigenze, e sia in grado di perseguire con conti-nuità e non occasionalmente le finalità che tutti ci pre-figgiamo.

Il nostro è stato un ruolo attivo o è stato il ruolo di chiha cercato di godere e di utilizzare ciò che di buono la so-cietà dava, bruciando e utilizzando il presente senzapreoccuparsi del domani?

Ecco, per questo sono convinto che nella valutazionenegativa di alcuni aspetti, i più dirompenti, i più impe-tuosi, i più insofferenti di quello che è lo squilibrio dellasocietà di oggi, va accompagnata la consapevolezza dialcune omissioni e la necessità del recupero di alcuni va-lori.

Quante volte, siamo stati in grado ed in condizione diincoraggiare, di incanalare, di sostenere le pretese, le ri-chieste, le aspirazioni, soprattutto dei giovani?

Quante volte i loro eccessi non sono stati giustificatida una nostra incomprensione?

Dobbiamo porci dinanzi — se vogliamo essere comecattolici democratici forza guida della società politica ecivile — la necessità di sapere interpretare e rispondere atali esigenze, a tali aspirazioni, anche a quelle che si ma-nifestano in maniera dirompente, per avere il diritto dicondannare e di frenare gli eccessi e le manifestazioni fa-ziose. Abbiamo il dovere di sapere dare risposte positivee precise alla richiesta prepotente che viene di una libera-zione umana più consistente e più vera.

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Contare tutti allo stesso modo

In definitiva, al fondo di tanto grandi sconvolgimenti,di tanto disordine e della contestazione di alcuni valori— e questi sono tutti effetti negativi — vi è però un’uni-ca aspirazione, che costituisce un riscontro positivo delruolo che i cattolici democratici hanno svolto in questitrenta anni nel nostro Paese: che è cresciuto economica-mente, civilmente, socialmente e ha acquisito una mag-giore consapevolezza della dignità e del ruolo di ciascu-na persona.

Perchè oggi i giovani, i lavoratori spingono questoprocesso di liberazione in maniera così veloce, così pres-sante, così disordinata? Essi hanno acquisito la consape-volezza che si ha il diritto di contare tutti allo stesso mo-do. Ma noi cosa abbiamo predicato, cosa abbiamo impa-rato dalla concezione cristiana e cattolica della vita? Chela dignità della persona umana è un valore uguale per tut-ti, che deve realizzarsi nella vita comunitaria.

Ecco, da qui pur nella consapevolezza della crisi cosìprofonda che oggi attanaglia la nostra società, un mio at-to di fiducia: che l’aspirazione che c’è al fondo di questiscompensi è compatibile col modello di vita comunitariache un cattolico ha davanti a sè per realizzare: far sì chesi costruisca una vita comunitaria in cui ciascun uomo,tutti gli uomini abbiano uguale dignità. Il che non signi-fica ovviamente una eguaglianza di natura materialisti-ca, come altre forze hanno predicato: noi vogliamo dise-gnare una società in cui accanto all’uomo fisico ci sial’uomo-spirito che abbia per obiettivo la pienezza dellasua realizzazione.

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La D. C. e gli altri

Penso che questo modo spregiudicato, questa impa-zienza diffusa, questo disordine a volte caotico, i fermen-ti e lo stato di crisi che la nostra società vive al di là dellemanifestazioni di violenza estrema — che non possonoessere prese seriamente in considerazione se non percondannarle e fermamente respingerle — abbiano al fon-do tale pretesa, tale forza, che è positiva: di vedere unamaggiore promozione umana, di realizzare una libera-zione reale dell’uomo.

Perchè va detto, con molta chiarezza, senza che gliaspetti critici possano apparire come una forma di auto-flagellazione della Democrazia cristiana, che il nostropartito, in questi trenta anni, ha fatto il suo dovere nel ga-rantire la libertà e le istituzioni democratiche, consapevo-le che libertà ed istituzioni democratiche non sono fini,ma condizioni per realizzare una società. La D.C. ha cer-cato di riempire questi valori di contenuti, di carattere so-ciale, civile, comunitario, economico e, seppure non è ri-uscito a conseguire tutti i suoi propositi, ciò pare profon-damente umano. Non è riuscito a fare tutto anche perchè laDemocrazia cristiana ha gestito un pluralismo che l’hacondizionata, perchè non si può dire che in questo periodo,essa poteva fare e disfare ciò che voleva, poichè altre for-ze hanno condizionato la politica generale del Paese, la ri-voluzione sociale, civile ed economica dell’Italia di oggi.

Ma l’apparato finanziario ed economico della nostranazione non è stato mai nelle mani della Democrazia cri-stiana. È rimasto in quelle della borghesia laica, che l’a-veva durante e prima del fascismo, mentre molta parte

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delle forze sindacali e del lavoro, che hanno condiziona-to alcune scelte, non sono state guidate e condotte dallaDemocrazia cristiana. Il governo del Paese, per lunghis-simi anni, quasi sempre, è stato condizionato dalla pre-senza di altri partiti che, oggi (sopratutto il P.S.I.) con fa-cilità, con disinvoltura e con spregiudicatezza ritengonodi avere le carte in regola per rinnegare le loro responsa-bilità e scaricare sulla Democrazia cristiana tutte le col-pe. Questo è ingiusto ed ingeneroso. La Democrazia cri-stiana, è vero, ha le sue colpe, e deve avere la forza e lacapacità di riconoscerle proprio per presentarsi comeforza che ha le carte in regola per proseguire in un ruolodi guida dell’Italia.

Ma, qui, c’è da porsi un quesito estremamente chiaro,ed anche estremamente grave: le colpe della Democraziacristiana e dei suoi uomini, sono di per sè, motivo suffi-ciente per disconoscere ad un partito popolare e demo-cratico, di ispirazione solidaristica e cristiana, il ruolocentrale della vita politica del nostro Paese?

Ecco, noi dobbiamo dire con chiarezza che gli statid’animo di censura, di giusta reazione, di critica, di con-danna non possono giustificare se non la critica, la con-danna, la reazione, ma non anche l’abbandono di una po-litica che ha garantito al Paese di crescere in tale manie-ra; anche perchè le alternative non sono compatibili conla certezza della conservazione dei due presupposti fon-damentali: la libertà e le istituzioni democratiche.

Quando si dice che la Democrazia cristiana vuolespaccare il Paese si dice una autentica menzogna, perchèla Democrazia cristiana ha sempre cercato di governareil Paese con tutte le altre forze democratiche che lo vo-

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lessero fare. Quando invece si propone al Paese, come fail partito socialista, l’alternativa di sinistra, per emargi-nare la Democrazia cristiana, è allora che si mira allaspaccatura del Paese.

Ora, l’alternativa alla Democrazia cristiana è, pur-troppo — lo dicono gli altri, non lo diciamo noi — l’al-ternativa di sinistra. E quando si propone tale alternativaci si legittima a dire chiaramente al popolo italiano chequell’alternativa non è tale da garantire la libertà e la vitadelle istituzioni democratiche.

Se si dicesse, come noi abbiamo sempre detto, checiascun partito ha il diritto di presentarsi all’elettoratocon il proprio volto, con il proprio programma, con lapropria immagine, per chiedere maggiori consensi dautilizzare in una dialettica corretta con tutte le altre forzedemocratiche, noi, certamente, non avremmo niente daridire, per esempio, al partito socialista. Ma quando ci sipresenta all’elettorato asserendo che l’alternativa è quel-la di sinistra, contro la Democrazia cristiana, ebbene noiabbiamo il diritto di reagire, di dire chiaramente che il di-segno socialista non dà tutte le garanzie di natura demo-cratica che invece l’elettorato ha il diritto di pretenderedalle forze politiche.

La Democrazia cristiana, dicevo, ha le sue colpe e bi-sogna ammetterle, perchè sarebbe stolto non farlo. Nelnostro partito c’è anche la linea di coloro che per carità dipartito devono dire che tutto è andato bene, e che tren-t’anni di libertà sono sufficienti per legittimare la prose-cuzione del ruolo della Democrazia cristiana. Io dico chetrenta anni di libertà sono stati la parte del dovere che laDemocrazia cristiana ha assolto, essendo un partito di

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natura democratica; però la carità di partito non può por-tare a nascondere ed a celare gli errori e le colpe che talu-ni uomini del nostro partito purtroppo hanno commesso.

Il problema è un altro: che tutti insieme si acquisiscauna maggiore presenza nella vita politica (non nella vitadi partito; non cadiamo nei discorsi che riguardano lastruttura del partito, perchè quello può essere un alibi co-modo) perchè se ci fosse da parte della opinione pubbli-ca e dell’elettorato che ha votato Democrazia cristianauna vigilanza maggiore, una consapevolezza profonda,una capacità di censura più immediata, più incidente epiù incisiva, probabilmente coloro che hanno sbagliatoavrebbero già pagato.

Ma da questo a trarne un giudizio negativo sulla pre-senza della Democrazia cristiana e dei cattolici democra-tici alla guida del Paese ne passa e ne passa tanto.

Il problema che gli elettori oggi hanno dinanzi è que-sto: sapere che molte cose vanno corrette, ma anche es-sere consapevoli che si va avanti solo con la Democraziacristiana in un ruolo centrale; non c’è la richiesta di mag-gioranza assoluta o di chissà quali deleghe al nostro par-tito; c’è la consapevolezza che o c’è un ruolo di guidacentrale della Democrazia cristiana nello scacchiere po-litico, o in Italia molte cose possono diventare problema-tiche e possono essere messe in discussione.

Il costume della società

Ci sono, quindi, nella vita sociale e civile aspetti dacorreggere e da eliminare che non dipendono soltanto

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dalle scelte politiche, ma dal costume di tutti e di ciascu-no di noi. Quante ingiustizie non sanate, quanti sprechioffensivi non appartengono al modo di essere di ogni cit-tadino! Perchè la corruzione del politico è certamente unfatto gravissimo, ma è identico al malcostume di un pro-fessionista che ruba, di un lavoratore che prende lo sti-pendio senza prestare la sua opera o di un cittadino cheevade il fisco!

È questo costume che deve essere tutto, con rigore econ forza, ma tutto, egualmente rivisto.

Perché, molto spesso, i più duri censori della classepolitica sono appunto coloro che non pagano le tasse oche utilizzano tutti i meccanismi che la legislazione con-sente per non andare in ufficio o coloro che nella vitacommerciale sono autentici truffatori.

Bisogna che tutti facciamo la nostra parte di valuta-zione del modo di essere di ciascuno di noi; tutti, anche seovviamente, in proporzione. Perché è chiaro che questaaffermazione non vuole essere lontanamente lo scaricodi responsabilità di alcuni aspetti deteriori nella vita so-ciale e civile sulla collettività, ma tutti abbiamo il doveredi assumere consapevolezza del ruolo che nella vita co-munitaria compete a ciascuno di noi. Non c’è un dirittosingolo che offenda il diritto dell’altro, non c’è libertàsingola che sia in contrapposizione con la libertà dell’al-tro, non ci può essere un egoismo personale o corporati-vo a scapito di altre realtà personali o corporative: ci de-ve essere la necessità e la consapevolezza che accanto aidiritti ci sono i doveri, ovviamente distribuiti in propor-zione a seconda della parte che ciascuno di noi svolgenella vita sociale.

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Maggioranza o minoranze?

Ma questa realtà di crisi e di disordine, investe moltiaspetti della vita sociale. V’è una intolleranza che non èpiù accettabile e che deve essere assunta con grande con-sapevolezza soprattutto dal mondo cattolico italiano, daicittadini italiani che si ispirano alla realtà ed ai valori cat-tolici.

Noi dobbiamo scegliere tra essere la maggioranza si-lenziosa del Paese trascinata da una minoranza faziosa— e a me le maggioranze silenziose non sono piaciutemai — o essere una parte del Paese che ha il diritto di sal-vare i valori, i postulati, i principi, i programmi in cui cre-de ed a cui vuole ispirarsi, perché questa larga presenzadi cittadini taliani non può continuare ad essere assente difronte a ciò che accade.

Noi siamo arrivati ad una situazione di intolleranzacivile, di intolleranza religiosa, alla quale assistiamo congrande passività; quale mobilitazione — non nel sensofisico beninteso — ma quale mobilitazione morale c’è inrisposta all’aggressione ai valori della famiglia, agliideali nei quali crediamo tutti? Quale risposta c’è a certeforme, assolutamente inaccettabili, di inciviltà, di mino-ranze faziose come quelle radicali del nostro Paese checercano oggi, a distanza di lunghi decenni, una rivincitanei confronti del mondo cattolico? Quanta faziosità,quanta acidità, quante contumelie escono da questo mon-do, nei confronti di valori che sono per noi sacrosanti!

Avete sentito gli slogans delle femministe sulla di-struzione della famiglia teorizzata come obiettivo daconseguire per trasformare la nostra società?

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Ebbene noi non dobbiamo contrapporre a questastrategia una strategia di reazione e di immobilizzazio-ne, ma una assunzione di consapevolezza che davanti anoi c’è la scelta tra un modello di società da difenderemigliorandolo, evolvendolo, adattandolo a quei fermen-ti di cui si è parlato prima, ed una strategia esclusiva-mente di distruzione perché non immagina una costru-zione diversa, non offre alternative di convivenza diver-se, offre soltanto il trionfo dell’egoismo, dell’intolleran-za, della faziosità.

Questo, credo, debba essere al fondo di un impegno dicarattere civile, prima che politico e prima ancora cheelettorale, da parte di tutti noi, perché il nostro impegnonon può esaurirsi in una vocazione meramente elettorale.

Qui è il significato degli incontri che noi, in questi an-ni abbiamo fatto, perché non è più tempo di mobilitarsi edi riunirsi alle vigilie elettorali. È tempo di seguire insie-me, di partecipare insieme agli eventi che vive la nostrasocietà in maniera attiva ed impegnata, perché da questinostri incontri scaturisca la consapevolezza della neces-sità di trasmettere ad altre persone taluni concetti, impo-stazioni e doveri oltre che diritti.

Quindi, c’è, dicevo, la necessità di questo impegnoche deve essere sviluppato e realizzato, giorno per gior-no, in ogni occasione, negli uffici, nelle fabbriche, nellefamiglie.

In qualsiasi occasione: o siamo portatori di alcuneidee in cui crediamo o saremo trascinati da minoranzeche occupano gli spazi che noi abbandoniamo.

È con questa consapevolezza che bisogna guardareall’avvenire della nostra società.

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La posizione della Regione siciliana sul programma quin-quennale di interventi straordinari nel Mezzogiorno (*)

Palermo, 2 marzo 1977

Io cercherò di essere concreto e breve, perché parto dalpresupposto che i colleghi abbiano letto la bozza del do-cumento. Comunque cercherò di essere sinteticamentecollegato ai contenuti del documento e soprattutto con-creto rispetto ad alcuni aspetti che riguardano essenzial-mente la nostra regione. Come voi certamente ricordere-te, la legge 183, che disciplina l’intervento straordinarionel Mezzogiorno nel periodo 1976-80, tra gli altri stru-menti per lo sviluppo del Mezzogiorno, prevede la predi-sposizione di un programma quinquennale. Questo pro-gramma deve essere approvato dal CIPE (doveva essereapprovato entro un termine che è già trascorso) su propostadel Ministro per il Mezzogiorno, d’intesa con il Ministroper il Bilancio. Ma questa intesa deve essere preceduta daun rapporto con la Commissione dei rappresentanti delleRegioni meridionali e con la Commissione parlamentareper il Mezzogiorno. Nel rapporto tra il Ministro per ilMezzogiorno e la Commissione dei rappresentanti delle

(*) Testo stenografico della relazione svolta dall’onorevoleMattarella, Assessore al bilancio, nella riunione della Commissione le-gislativa per la finanza, il bilancio e la programmazione dell’Assemblearegionale, nella sua qualità di componente, per la Regione siciliana, delComitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali.

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Regioni meridionali si è convenuto di accentuare questaconsultazione in un contenuto più intenso di collabora-zione, perché il Ministro per il Mezzogiorno ha preferito,anzicchè presentare un documento sul quale sentire que-sto Comitato, chiamare il Comitato a contribuire alla re-dazione del documento di base. Ovviamente le forme at-traverso cui si è estrinsecata questa collaborazione sonostate le più varie; vi è stata una serie di riunioni plenariedel Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridio-nali nel corso delle quali si è fatto un dibattito di caratte-re generale sul problema del piano quinquennale e poi, inmaniera più incisiva, la costituzione di un sottocomitato,del quale facevano parte tre rappresentanti delle regionimeridionali e alcuni funzionari ed esperti del Ministeroper il Mezzogiorno, che ha materialmente redatto unabozza di piano che è quella che è stata, nell’ultima sedu-ta del Comitato di giovedì scorso, distribuita per il pare-re del Comitato stesso. In quella sede i rappresentantidelle regioni hanno ovviamente chiesto di avere un ter-mine per potere esser portatori di una opinione più vastae non soltanto della loro opinione personale pur essendolì a titolo di rappresentanti delle regioni. Da qui questonostro incontro. Io credo che si debba dare atto prelimi-narmente non solo al Ministro per il Mezzogiorno di unasensibilità in questo rapporto con le regioni meridionali,ma anche ai colleghi del Comitato di rappresentanza del-le Regioni meridionali, che hanno lavorato in questo sot-tocomitato, di un impegno particolarmente valido a van-taggio di tutto il Mezzogiorno, anche perché, come erafatale che avvenisse nel corso dell’elaborazione di questidocumenti, erano affiorate e sono affiorate delle diversi-

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tà di valutazione, delle strategie diverse per la utilizza-zione delle risorse, che poi vedremo si dimostrano insuf-ficienti per il finanziamento dei progetti speciali. C’è sta-to spesso un ampio e frequente lavoro di mediazione e disintesi nel quale questi tre rappresentanti (il collegaDaimmo della regione Molise, Visca della Campagnia,Mancino della Basilicata) obiettivamente hanno tentatoin tutti i modi di cucire tutte le posizioni per garantire unaposizione più equilibrata possibile. Per quello che ci ri-guarda direttamente come Sicilia, noi abbiamo dovuto, eabbiamo riscontrato appunto questa collaborazione, di-fendere la esistenza e la qualità dell’esistenza del proget-to speciale numero 2. Infatti, in un’impostazione origina-ria, che la legge 183 contempla, di revisione dei progettispecali per ricondurli ad alcuni principi di attualità ri-spetto a vincoli economici che gravano sui Paese, per ilprogetto speciale numero 2 e per alcuni altri progetti spe-ciali, nella specie quello di Gioia Tauro nella Calabria,quello del Porto canale di Cagliari, e questo tipo di pro-blemi, si era ipotizzata la possibilità, che le opere in essipreviste potessero essere passate al finanziamento comesemplici infrastrutture industriali. Questo avrebbe costi-tuito indubbiamente un risultato fortemente negativo perla Sicilia. Tale ipotesi però è stata superata in sede diComitato ristretto con la inclusione del progetto specialenumero 2, tra i progetti speciali che sopravvivono sia pu-re con una formulazione alla quale, con i colleghi chepartecipiamo al Comitato, abbiamo ritenuto che vadaportata una proposta di integrazione e di ampliamentoche è condizione perchè il progetto speciale possa ri-spondere alle esigenze minime dello sviluppo della

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Sicilia Sud-Orientale. Quindi questa fase preliminare havisto un rapporto molto aperto, anche se in mezzo a tantedifficoltà, tra il Comitato dei rappresentanti delleRegioni meridionali nel suo insieme, tra le varie compo-nenti del Comitato e il Ministro per il Mezzogiorno.Ormai i tempi sono brevissimi e quindi noi nella giorna-ta di domani, durante la quale è convocato appunto ilComitato dei rappresentanti delle regioni meridionali,dovremmo (è questo l’impegno che le regioni hanno as-sunto) dare in via definitiva il parere delle varie regioni.

Io comincerei dalla parte finanziaria, che mi parequella più concreta e quella che dà con maggiore imme-diatezza la dimensione del piano e dei problemi del pia-no. La legge 183 prevede una dotazione complessiva dirisorse finanziarie di l6mila miliardi di lire. Aquesti van-no aggiunti, per una visione globale di stanziamenti per ilMezzogiorno, 2080 miliardi che costituiscono, nel fondoper incentivi e per il credito agevolato riservato, la quotariservata al Mezzogiorno. Io non aggiungo a questo pla-fond, come il Ministro per il Mezzogiorno ha fatto, i fon-di dei piani di sviluppo regionale finanziati dalla CEE,perchè ritengo che essi non possano essere consideratinel plafond generale, in una concezione di articolazionefatta a livello centrale di questi progetti e di questi finan-ziamenti, ma debbano essere valutati in una visione di unrapporto tra Regione e Comunità europea più diretto, siapure sempre attraverso i canali centrali. Ritengo quindiche questo plafond, che è di 250 miliardi, non debba es-sere sommato a questa ipotesi, anche se la legge 183, pre-vedendo che il Comitato per le regioni meridionali mani-festi pareri e dia valutazioni su tutto ciò che attiene allo

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sviluppo del Mezzogiorno, porta al fatto che, per esem-pio, nel corso delle nostre sedute ci siano state sottoposteper il parere le proposte di trasmissione alla CEE per ilfondo europeo di sviluppo regionale di determinate pra-tiche di finanziamento. Quindi lo stanziamento globaleconsiderabile è a mio avviso di 18 mila miliardi circa. Peri 16 miliardi previsti dalla legge 183, c’è tutta una serie diipotesi di destinazione di spesa: progetti speciali, ed èl’articolo 8; agevolazioni finanziarie per il settore indu-striale e per i centri di ricerca scientifica, ed è l’articolo13, comma terzo (comunque queste notizie sono specifi-catamente e analiticamente fornite nell’ultimo capitolodel documento); contributi in conto capitale, articoli 10 e18; credito agevolato, articoli 15 e 18; poi c’è l’ipotesi disgravi per oneri sociali e quindi lo stanziamento a favoredell’INPS per una fiscalizzazione parziale di oneri socia-li; c’è l’ipotesi di finanziamento di infrastrutture socialiall’articolo 11; quella dei progetti regionali di sviluppo,cioè i famosi 2000 miliardi che debbono essere assegna-ti alle regioni; c’è la previsione di spesa per formazioneprofessionale, ricerca scientifica applicata, collegata agliinterventi di competenza delle regioni; c’è un program-ma straordinario di interventi a favore delle Universitàmeridionali per un ammontare di 200 miliardi, sul qualeè già stata formulata dal Ministero per la pubblica istru-zione la relativa proposta per il parere del Comitato deirappresentanti delle regioni meridionali. Nella seduta digiovedì scorso l’argomento era all’ordine del giorno mail parere non è stato reso per alcune obiezioni che anchenoi, come rappresentanti delle regioni meridionali abbia-mo formulato, perchè c’è parso che il programma così

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come è articolato sacrifichi le Università siciliane, anchese dobbiamo dire obiettivamente che il rappresentantedella Commissione della Pubblica istruzione ha dato de-gli elementi a sostegno di questa ipotesi, sulla quale pe-raltro, più tardi, possiamo, se volete, intrattenerci. Poi c’èla spesa destinata agli enti collegati alla Cassa e quella ri-ferita, non solo agli enti di formazione come il FOR-MEZ, ma agli enti in cui la Cassa partecipa come la FI-ME, come l’altra finanziaria, FINAM, per il settore ali-mentare. Poi ci sono le ipotesi di finanziamento dei pre-cedenti programmi — articoli 6 e 7 — che si dividono traquelli per i quali c’erano i progetti esecutivi, alla data del6 marzo 1976 e quelli che invece saranno trasmessi alleregioni, perchè siano finanziati dalle regioni con i fondisui 2000 nilardi dei piani di sviluppo regionale. Poi c’èuna serie di altre ipotesi di spesa che finiscono con il ri-durre questi 16 mila miliardi di stanziamento globale aduna cifra nettamente inferiore che poi più avanti classifi-cheremo.

Debbo dire anzitutto che nel corso dei lavori delComitato dei rappresentanti delle regioni meridionali,noi abbiamo dato il parere per alcuni stralci di utilizza-zione di questi 16 mila miliardi che sono stati chiesti dal-la Cassa per il Mezzogiorno, proposti al Comitato dalMinistro per il Mezzogiorno e già approvati dal CIPE.C’è a tal proposito una delibera del CIPE del 17 dicem-bre del ‘76, che, in conformità al parere reso dai rappre-sentanti delle regioni meridionali, ha autorizzato laCassa per il Mezzogiorno ad utilizzare lo stanziamentodi lire 120 miliardi per contributi in conto capitale alleiniziative industriali. Abbiamo dato questo parere per

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utilizzare, a stralcio, prima del piano quadriennale, que-ste somme, perchè il Comitato ha ritenuto che non fosseopportuno interrompere del tutto questo tipo di finanzia-mento. Però, per evitare che ci fossero, da parte dellaCassa per il Mezzogiorno, utilizzazioni discrezionali,abbiamo indicato il vincolo tassativo, che è stato ripresoe inserito nella delibera del CIPE, secondo il quale laCassa per il Mezzogiorno poteva finanziare le praticheistruite, o istruibili, entro il 31 gennaio ‘77, secondo l’or-dine cronologico di presentazione delle relative doman-de. Per le iniziative che avessero grandi dimensioni (lostanziamento di 120 miliardi esclude peraltro che ci pos-sano essere finanziamenti molteplici ad imprese di gran-di dimensioni), abbiamo stabilito che la concessione fos-se subordinata al parere espresso dalle regioni interessa-te. Questo parere aveva un termine che peraltro è trascor-so, ma che è stato riaperto perchè, in buona sostanza,molte regioni non erano ancora riuscite a dare il parere suqueste grandi iniziative. Ripeto, però, che lo stanziamen-to di 120 miliardi, di per sé è un limite al finanziamentodi grosse iniziative. Poi, con la stessa delibera, e sempresu parere del Comitato dei rappresentanti delle regionimeridionali, la Cassa per il Mezzogiorno è stata autoriz-zata a concedere contributi in conto interessi a 92 inizia-tive di piccola e media dimensione che avevano già pre-sentato domanda e le cui pratiche avevano già avuto l’i-struttoria, per un importo complessivo di 21 miliardi e536 milioni. Una ulteriore utilizzazione, a stralcio del fi-nanziamento della 183, è stata autorizzata entro il limitemassimo di 400 miliardi di lire; per essa si è fatta la stes-sa valutazione delle prime due autorizzazioni e cioè che

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si tratta di opere che si interrompevano e il cui costo, do-po la sospensione dell’interruzione, sarebbe stato mag-giore a carico dei fondi della 183, quindi era utile che nonsi aspettasse l’approvazione del piano. Le destinazionisono: IVA, revisione prezzi e perizie suppletive, limitata-mente, però, a quelle la cui mancata approvazione pote-va pregiudicare l’efficacia delle opere in corso e per lequali comunque non erano previsti ampliamenti dei pro-getti originari o attuazione di nuove opere; ciò per impe-dire che attraverso le perizie suppletive e la revisione deiprezzi, si ampliassero progetti già approvati dalla Cassaper il Mezzogiorno. Per quanto riguardava le gare con of-ferte in aumento, la Cassa era stata autorizzata a proce-dere nell’ambito della suddetta assegnazione, subordina-tamente al parere delle regioni meridionali. La quota del-la Sicilia, relativa tutta a piccoli importi per completarecampi sportivi, edilizia scolastica, acquedotti è stata diun miliardo e 810 milioni, nell’ambito dei 400 miliardiautorizzati a stralcio.

Quindi il finanziamento è già stato intaccato per que-sti stralci, ma è soprattutto intaccato per una serie di de-stinazioni vincolate per legge nella stessa 183. Infattil’articolo 6 della 183 riserva 1.600 miliardi per interven-ti connessi a precedenti autorizzazioni legislative perNapoli, Palermo e l’alta Irpinia. Si trattava di leggi perl’inquinamento, per il risanamento, eccetera, mentre 35miliardi erano destinati al ripianamento di situazioni fi-nanziarie degli enti di bonifica. La proposta di distribu-zione di questi 35 miliardi è, per ora, all’esame delComitato dei rappresentanti delle regioni meridionali,per il parere. Sono emersi dei criteri alternativi, perchè,

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ovviamente, le passività degli enti di bonifica sono enor-memente superiori ai 35 miliardi che la legge prevede, equindi si tratta di scegliere dei criteri obiettivi per distri-buire questi 35 miliardi; ci sono varie proposte alternati-ve: o in relazione alle passività (ma questo premierebbechi ha fatto più debiti), o in relazione alla superficie deiconsorzi, o in relazione (e questa è l’ipotesi più accetta-bile forse ma lascerebbe molto margine discrezionale) al-la possibilità di utilizzo di questi enti di bonifica nei pro-getti speciali. Il Comitato non ha ancora espresso il suoparere, ma credo che finirà con lo scegliere uno dei duecriteri obiettivi o i due criteri combinati superficie e situa-zione debitoria accertata. Comunque, questi 35 miliardisono da detrarre dai 16.000. Poi ci sono i duemila miliar-di destinati, con l’articolo 7, agli interventi delle regioni,e cioè alla predisposizione, da parte delle regioni, di pianidi sviluppo. Questi duemila miliardi, però, sono sì tuttidestinati alle regioni, ma con essi le regioni dovrebbero(io ritengo se lo vorranno, la Cassa ritiene che debbano)finanziare anche quei progetti che non erano ancoraistruiti ed esecutivi alla data del 6 marzo 1976, e che laCassa per il Mezzogiorno ha restituito alle regioni. Nellavalutazione che fa la Cassa per il Mezzogiorno, includen-do nello stanziamento i progetti di cui sopra per un am-montare di circa 500 miliardi, il netto per i piani di svilup-po regionali si ridurrebbe a 1.500 miliardi. Comunque,l’intero fondo di 2.000 miliardi andrebbe distribuito alleregioni.

GRILLO MORASSUTTI. Del resto se non si piglia-no da qui i 500 miliardi, da dove si prendono?

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MATTARELLA. Ci potrebbero essere progetti man-dati dalla Cassa per il Mezzogiorno che le regioni nonvogliono più finanziare. Non è detto che tutti i progettimandati dalla Cassa per il Mezzogiorno debbano essereper forza approvati; questo dipende, a mio avviso, dallescelte che le regioni singolarmente vorranno fare. Unaparte di questi duemila miliardi, invece, è destinata, —ma anche qui, secondo me, bisognerà approfondire il te-ma — alle agevolazioni alberghiere, cioè al finanzia-mento alle iniziative alberghiere: questo, a mio avviso, èun problema che dovrebbero esaminare le singole regio-ni, a secondo se hanno o non hanno con mezzi propri fat-to fronte a queste esigenze.

GRILLO MORASSUTTI. Mi scusi, onorevole, perquesti 2 mila miliardi o 1.500, si è raggiunto un criterio didistribuzione?

MATTARELLA. No, non si è raggiunto alcun criteriodi distribuzione, anche perchè la tesi che mi pare giusta(perchè noi regioni dobbiamo anche fare la nostra parte)è che le regioni debbano prima avere i piani di sviluppo.Ora, nessuno credo che possa essere disponibile al fattoche le regioni abbiano un piano di sviluppo nel senso piùpieno e letterale della parola, che abbiano fatto piani,programmazione e destinazione, ma credo sia indispen-sabile che le regioni presentino un documento program-matorio per l’utilizzo di queste somme.

GRILLO MORASSUTTI. Come fa la Regione a pre-pararlo se non sa entro quale cifra deve muoversi?

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MATTARELLA. Grosso modo noi sappiamo perfet-tamente, anche perchè ci sono numerosi precedenti, co-me avviene la suddivisione dei fondi tra le regioni meri-dionali. Ci sono dati obiettivi; la popolazione e il territo-rio. C’è da dire che mentre, normalmente, in occasione disuddivisioni tra tutte le regioni d’Italia le regioni meri-dionali hanno dei parametri più vantaggiosi rispetto aquelli obiettivi di territorio e popolazione, in questa oc-casione, rispetto ad altre regioni meridionali, che hannoobiettivamente situazioni di depressione maggiori dellanostra, a noi convengono i criteri obiettivi senza alcunavariazione, cioè territorio e popolazione, mentre altre re-gioni si faranno portatrici di criteri composti che tengonoconto, ad esempio, della disoccupazione, dell’emigra-zione, ecc.; basti pensare alla situazione della Calabria,della Basilicata, del Molise.

L’art. 19 vincola 200 miliardi per un piano straordina-rio di interventi a favore delle università meridionali.Questo piano è stato già predisposto dal Ministero per lapubblica istruzione; è un piano, ovviamente, aggiuntivorispetto a quello dell’edilizia universitaria previsto dallalegge 50, ed è un piano che distribuisce questi 200 mi-liardi alle regioni. Ripeto che su questo noi, nella sedutapassata, non abbiamo dato il parere, anche perchè alcuneregioni, compresa la nostra, hanno fatto delle obiezioni.Il risultato dei vari criteri adottati dal Ministero, porta in-fatti ad una attribuzione alla Sicilia del 18 per cento di200 miliardi, che noi riteniamo non sufficienti. E’ statoosservato che i criteri del Ministero della pubblica istru-zione sono stati i seguenti: primo, quello di garantire unamaggiore quota di finanziamento alle università che fun-

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zionano, ma che non hanno locali, come Salerno, come laCalabria, come Lecce: università che ormai funzionanoda alcuni anni, con migliaia di studenti iscritti, ma hannoseri problemi di edilizia. In secondo luogo c’era una sor-ta di privilegio per Napoli, indicata come una universitàassolutamente sovraffollata rispetto a tutte le altre.Questi due criteri debordavano dagli altri criteri obietti-vi. Alle università siciliane verrebbe attribuito uno stan-ziamento di 37 miliardi, pari al 18 per cento, secondoquesto conto, che noi cercheremo, nei limiti del possibi-le, di fare modificare.

FASINO. Le Università siciliane hanno presentato unpiano alla Cassa, oppure no?

MATTARELLA. Sì, questo è stato fatto e tiene conto,anche, del parco progetti esistenti tra le varie università,e quindi delle situazioni di edilizia interamente nuova odi edilizia bisognosa di ristrutturazione, come quella del-le Università siciliane, ed anche delle assegnazioni chesulla legge 50 le Università siciliane hanno avuto. Sullalegge 50 la Sicilia ha preso, proprio in ragione di quel cri-terio che rispetto alle situazioni del Nord finisce col pu-nirla, il 33 per cento degli stanziamenti, cioè ha presomolto di più di quello che le sarebbe spettato tenendo fis-si i parametri obiettivi. Su quella legge la Sicilia ha avu-to 22 miliardi per Palermo, 18 miliardi circa per Cataniae 16 miliardi e 200 milioni per Messina, con un totale di56 miliardi pari al 33 per cento dello stanziamento.

Ulteriori riserve di destinazione sono quella per 1.000miliardi, prevista dall’articolo 22, cioè per il finanzia-

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mento dei progetti speciali previsti dall’articolo 13 dellalegge 493, e quella per 1.500 miliardi, di cui 1.000 daerogare all’INPS, per sgravio di oneri sociali; com’è no-to la legge 183 prevede una piccola fiscalizzazione dioneri sociali nel Mezzogiorno che però non è ancora fun-zionante, anche per colpa delle regioni Meridionali chenon hanno ancora concretizzato questo parere che è ob-bligatorio. Un’ultima riserva è quella di tre miliardi a fa-vore della SVIMEZ, previsti dall’articolo 22, comma 9.

La somma di queste riserve impegna 6.343 miliardi,riducendo quindi quel plafond iniziale di cui abbiamoparlato, a 11 mila miliardi, a cui bisogna togliere ancoragli stralci che sono stati autorizzati per circa 600 miliar-di. Da questo dato risulta ovviamente che, poiché c’è unadestinazione per incentivi alle attività industriali che mipare non possa essere inferiore ai 6 mila miliardi, riman-gono circa 5 mila miliardi che debbono essere distribuititra le varie altre destinazioni.

Questo per quanto riguarda la parte finanziaria sullaquale bisogna aggiungere che non si tratta di una insuffi-cienza che possa portare nel breve termine il piano qua-driennale a non operare, perché sia per i progetti specialigià approvati, sia soprattutto per i nuovi progetti specialidei quali parleremo più avanti l’esigenza di avere liqui-dità e finanziamenti immediati non è a tempi brevi. Ilproblema del rifinanziamento delle integrazioni finan-ziarie del piano quadriennale è stato posto dal documen-to del piano ed il Ministro per il Mezzogiorno se n’è fat-to carico anche pubblicamente

Il rifinanziamento è giustificato anche da una valuta-zione politica di carattere generale: i 16 mila miliardi de-

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stinati al piano per il Mezzogiorno, inizialmente, nellaproposta governativa, quando fu varata la proposta della183, erano interamente destinati al piano quadriennale disviluppo. Le varie destinazioni che abbiamo ora elenca-to sono venute in corso d’esame in Parlamento sia per farfronte ad oneri già maturati sia per una serie di ipotesinuove. Se a questo si aggiunge la svalutazione, che nelfatto si è realizzata già da un anno a questa parte e che siandrà realizzando nel corso del quadriennio, il rifinan-ziamento da stime approssimative non dovrebbe essereinferiore a 9 mila - 10 mila miliardi.

Comunque la necessità del rifinanziamento e quindila costatazione di una insufficienza di mezzi, non impe-disce che il piano abbia le dimensioni che ha.

Io non farò delle valutazioni di ordine generale sullefinalità e sugli obiettivi del piano perché credo siano tut-te considerazioni scontate, nè sulla natura straordinariadi questo intervento, rispetto ad un intervento ordinarioche deve comunque rimanere. Ci sono in propositoesempi positivi ed esempi negativi. Quello dell’ediliziauniversitaria è un esempio positivo, perché noi abbiamopreteso che questa divisione avvenisse dopo le attribu-zioni della legge 50, che è quella dell’intervento ordina-rio nell’edilizia universitaria. Gli stanziamenti della 183sono, nella specie, aggiuntivi per le necessità delMezzogiorno rispetto alla quota che le università nazio-nali hanno preso secondo quello che ad esse spettava, an-zi con una attribuzione al Mezzogiorno superiore alla ri-serva del 40 per cento.

Ci sono, ripeto, esempi positivi dei quali abbiamo ri-petutamente parlato, soprattutto per quanto attiene ad

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opere pubbliche, per quanto attiene ad interventi che pri-ma lo Stato faceva e che con il trasferimento di poteri al-le regioni di fatto ha eliminato, facendo diventare quellostraordinario come l’intervento unico.

La finalità, l’obiettivo fondamentale che il program-ma si è prefissato è quello dell’estensione della domandadi lavoro nel Mezzogiorno, con il tentativo di frenare l’e-sodo agricolo anche mediante un intervento di risana-mento nell’apparato industriale. Qui ci sarebbero da faretutti i discorsi che abbiamo a più riprese fatto a propositodella legge di riconversione industriale o a proposito delsettore agricolo, che però, nel complesso del piano, è pa-lesemente privilegiato, non solo per la salvaguardia deiprogetti speciali che attengono più direttamente alla agri-coltura, ma anche per la naturale utilizzazione di risorsefinanziarie di questi progetti speciali. Debbo dire — e va-le come considerazione di ordine generale — che nonesiste allo stato una destinazione di somme specificataper i singoli progetti speciali, continuandosi a ritenere iprogetti speciali degli strumenti elastici, che nel corsodel tempo possono subire non solo la introduzione o laeliminazione di singole opere, ma anche delle modifica-zioni di natura territoriale. Il progetto speciale ha sempreavuto la natura di uno strumento assolutamente elastico,che deve avere sì una sua visione organica, ma che co-munque è suscettibile di modificazioni ed alterazioni nelcorso degli anni. Da qui la inesistenza di un collegamen-to preciso tra progetto x e stanziamento y, perché proprioper questa natura, e proprio per evitare che ci siano im-mobilizzi di somme, la identificazione delle risorse fi-nanziarie va fatta e si andrà realizzando man mano che

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saranno finanziate singole opere previste nel progetto.Voi potrete vedere, nella parte relativa ai progetti specia-li, qual è allo stato la situazione degli impegni assunti odei pagamenti effettuati e quindi potrete costatare comeci sono progetti speciali che hanno impegni insignifican-ti e progetti speciali che hanno impegni più cospicui; maquesto è dipeso e dipende ovviamente dal grado di attua-bilità e di eseguibilità delle opere in essi previste.

Aproposito dei contenuti, il piano pluriennale privile-gia i progetti speciali che si riferiscono agli schemi idriciintersettoriali, alla irrigazione, alla promozione agricolae zootecnica, alla attrezzatura del territorio in funzionedella recettività degli insediamenti produttivi e il miglio-ramento delle condizioni di vita. Questo è un riferimentoquasi esclusivo al disinquinamento del Golfo di Napoli,e alla valorizzazione e allo sviluppo delle zone interne.

Questo per quanto attiene ai progetti speciali già ap-provati dal CIPE.

Il capitolo secondo del documento indica analitica-mente le considerazioni che si fanno su questi progettispeciali. A noi interessa soprattutto valutare in terminicritici la illustrazione che viene fatta del progetto specia-le numero 2, soprattutto laddove si afferma che « riguar-do a questi progetti si pone l’esigenza di una revisione ».Questa indicazione è stata aggiunta a modifica della pri-ma stesura della bozza di piano, a seguito appunto diquelle mediazioni di cui parlavo prima e significa chiara-mente la sopravvivenza del progetto speciale. Nella va-lutazione che abbiamo fatto, assieme ai colleghi delComitato, essa è insufficiente a garantire le finalità inter-settoriali che il progetto speciale numero 2 ha.

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LO GIUDICE. C’è una premessa che è precisa, a pa-gina 23, quando specifica l’oggetto dei due contenuti delprogetto speciale numero 2.

MATTARELLA. Sì, però il paragrafo numero 2 da leicitato è una parte descrittiva, mentre il paragrafo numero3 è la parte positiva, quindi la proposta di una formula-zione più esplicita di questo comma 3 è, a mio avviso, perquelle cose che ci siamo detti nella riunione a Roma, unaesigenza non rinunciabile da parte nostra. Occorre cioèinserire in questo comma 3 la trasposizione concreta deipresupposti del comma due, cioè il concetto che obietti-vo del progetto numero 2 è la predisposizione di infra-strutture generali e specifiche e di elementi produttivi, larealizzazione delle opere di attrezzatura del territorio ne-cessarie a favorire lo sviluppo e la diversificazione pro-duttiva. Non si può vincolare il progetto 2 esclusivamen-te alla chimica. Il comma 3, così come è formulato, dàadito a molte perplessità, bisogna trovare una formula-zione migliore.

C’è un altro problema, che io però ritengo nel meri-to superato, almeno nelle cose che appunto abbiamoavuto dette al di là di quello che è scritto, cioè il proble-ma del trasferimento di Melilli. Tale opera, se non simodifica questo punto tre in termini chiari ed espliciti,potrebbe correre il rischio di non potere essere finan-ziata.

GRILLO MORASSUTTI. C’è anche il problema delbacino delle acque da rifare al servizio dell’agricoltura,che con questa formulazione, rischia di saltare.

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MATTARELLA. Sì, con questa formulazione taleproblema passerebbe al progetto speciale numero 3,mentre noi nella indicazione di diversificazione produt-tiva potremmo continuare a sostenere che ci rimanga.Quindi l’esigenza di una migliore formulazione di que-sto numero è un’esigenza fondamentale.

Per gli altri progetti speciali che interessano la Sicilia,il numero 23 ed il numero 30, non ci sono modifiche o re-strizioni di destinazioni.

C’è invece il problema che attiene ai progetti specialinuovi, per i quali la indicazione del piano è limitata allafinalità e all’obiettivo del riassetto socio-economico diaree metropolitane. Voi sapete che il Parlamento in sededi approvazione della legge 183 votò degli ordini delgiorno che interessavano le aree metropolitane di Napoli,Palermo, Catania e Taranto. Però le votò in due distintiordini del giorno, uno con l’indicazione prioritaria perNapoli e Palermo, l’altro con l’indicazione subordinataper Taranto e Catania. La tesi che è fatta propria dal pia-no quadriennale è quella della identificazione dei proget-ti speciali di aree metropolitane in Napoli e Palermo; eciò sia perchè le ipotesi di progetti speciali nuovi eranostate identificate, in sede di Comitato per le regioni meri-dionali, in ipotesi assolutamente limitate come numero,data l’esiguità dello stanziamento, già insufficiente per ipiani inclusi, sia perché si è dato obiettivamente rilevan-za alle due aree metropolitane maggiori, che presentanoproblemi di dimensioni maggiori, senza per questo sotto-valutare i problemi delle altre due aree metropolitane.

L’altra destinazione è il potenziamento delle strutturecommerciali, connesse però alla distribuzione dei pro-

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dotti agricolo alimentari; questo interessa tutte le areemetropolitane in genere, perché si tratta di strutture com-merciali che evidentemente vanno allocate ai margini deigrossi agglomerati urbani.

CHESSARI. Chiedo scusa, possiamo avere una mag-giore specificazione su che cosa dovrebbero essere que-ste strutture commerciali?

MATTARELLA. Il progetto speciale non c’è, deveessere fatto; è una indicazione di esigenza di carattere ge-nerale che, credo, debba essere confermata. Un altroobiettivo è la ricerca scientifica applicata, a tal propositoc’è un capitolo apposito nel documento; un altro ancora èl’assistenza tecnica per le piccole e medie imprese e lavalorizzazione dei beni culturali nel Mezzogiorno. Ma sitratta di obiettivi di carattere generale, per i quali, al di làdei progetti speciali per Napoli e per Palermo, e forse perquesto della ricerca scientifica, per il quale c’è un tenta-tivo di concretizzazione a tempi brevi, non c’è ancoranulla di concreto. Il problema che si pone, poi, alle regio-ni, è quello, in una visione globale della utilizzazionedelle risorse della 183, che attiene alla utilizzazione in-terna, alla distribuzione perequata degli stanziamentiprevisti dalla legge 183. Sarebbe da sciocchi non porsiquesti problemi. Dal momento che alcuni progetti spe-ciali, come quelli irrigui, interessano tutto il territoriodella Regione, mentre altri come quelli per la zootecnia eper la forestazione, hanno una indicazione per zone chene abbiano una particolare vocazione, si pone il proble-ma di una perequazione tra le diverse zone dell’Isola.

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Credo che in questa sede, che è quella della programma-zione, sia pure non avendo ancora identificato nè linee neobiettivi, del piano di sviluppo, si possa affermare che lautilizzazione della quota regionale dei 2 mila miliardidebba servire perché nella predisposizione del piano disviluppo regionale si tenga conto del fatto che determi-nati territori dell’Isola attingono con priorità e con finan-ziamento diretto alla legge 183. E questa credo che siauna affermazione di principio che deve essere fatta pro-prio per eliminare eventuali preoccupazioni derivanti dalfatto che taluni territori della Regione hanno già dall’ini-zio la certezza di alcuni finanziamenti mentre altri terri-tori non rientrano in nessuna delle due ipotesi di finan-ziamento previste dai progetti speciali. La manovra di ri-equilibrio dovrà essere fatta nell’utilizzo della quota chealla Regione spetterà sui 2 mila miliardi, identificando,proprio in quel piano che deve essere predisposto dallaRegione, obiettivi che abbiano questa natura di perequa-zione.

Farei poi un’ultima considerazione che attiene ai cri-teri fissati nel piano relativamente ai benefici e ai finan-ziamenti alle attività industriali, criteri che indicano al-cune priorità settoriali ed alcune incompatibilità. Lepriorità settoriali favoriscono: a) le attività capaci dimassimizzare l’occupazione permanente, conciliandol’obiettivo occupazionale con quello di migliorare il gra-do di produttività e di competitività internazionale; b) leattività che assicurano produzioni sostitutive delle im-portazioni senza dimenticare che talune di esse concor-rono ad accrescere il fabbisogno diretto e indiretto di ma-terie prime o semilavorati prodotti allo estero, e senza

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trascurare le conseguenze e i vincoli dell’integrazioneeconomica europea; c) le attività che per dimensioni etecnologia rafforzano il tessuto produttivo meridionale ene migliorano le imprenditorialità; d) le attività che valo-rizzano le risorse locali, specialmente quelle agricole. Ladichiarazione di incompatibilità attiene, invece, alla ri-chiesta di sospensione dei contributi in conto capitale nelsettore petrolchimico, nell’industria di base ad alto con-sumo di materie prime importate e di energia e nelle atti-vità che, essendo già largamente presenti nel sistemaproduttivo meridionale, trovano nel mercato locale suffi-cienti elementi per il loro sviluppo.

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Il costo per la Sicilia della crisi economica nazionale (*)

Palermo, 22 aprile 1977

L’occasione annualmente offerta dall’assemblea or-dinaria degli Enti partecipanti dell’IRFIS per l’approva-zione del bilancio dell’istituto è divenuta ormai consuetaed utile per tentare un bilancio delle scelte di politica eco-nomica regionale e per constatare la situazione congiun-turale in cui di volta in volta ci troviamo.

È in certo senso una occasione obbligata dato chel’IRFIS di quelle scelte e delle relative conseguenze èstato costantemente un protagonista, nato negli anni 50,non come Ente regionale ma certo in un’ottica regionali-stica nuova rispetto al passato. Un’ottica che saggiamen-te vide nell’industria la strada obbligata da percorrere peril riscatto delle Regioni meridionali e che individuò nelfinanziamento della stessa lo strumento più efficace perun intervento pubblico nell’economia, anche se ancoraesitante e frutto di polemiche e di battaglie nate dai con-trasti esistenti nella cultura politica ed economica di queltempo; un tempo diviso fra conservazione e rinnovamen-

(*) In questo intervento, pronunziato all’assemblea ordinaria deglienti partecipanti all’Istituto regionale per il finanziamento alle industrie inSicilia, l’onorevo1e Mattarella, Assessore al bilancio, dopo avere sottoli-neato il ruolo svolto dall’IRFIS, conduce un ampio esame dei problemipiù attuali dell’economia siciliana e pone l’accento sul tema dell’indu-strializzazione, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese,considerata determinante per un corretto processo di sviluppo dell’Isola.

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to e in cui la spinta a mutare trae però forza dall’affermarsidelle istituzioni democratiche del Paese e dal concretizzarsidelle spinte autonomistiche. Quelle polemiche e quei dibat-titi furono particolarmente vivi in Sicilia e ad essi accennovolentieri nella ricorrenza, che quest’anno celebriamo, deitrent’anni della nostra autonomia: trent’anni di vita effetti-va, giacchè proprio il 20 aprile di trent’anni fa si celebrava-no nella nostra Isola le prime elezioni per l’Assemblea re-gionale e si dava appunto l’avvio, pur tra qualche improvvi-sazione ed incertezza, alla nostra Autonomia. Ma improvvi-sazioni, eccessi ed incertezze nascevano dalla novità dell’e-sperimento, giacché non mancavano certamente l’entusia-smo e la fede autonomista che persuasero i protagonisti diquel tempo che occorreva far presto, a rischio di perdere unabattaglia che oggi, sia pure con tutte le critiche, non possia-mo non giudicare sacrosanta.

Ma questo ricordo di oggi assume una sua particolari-tà perchè cade purtroppo in un momento non felice, cheregistra una situazione non solo di incertezza ma di crisiprofonda quale mai nel corso del trentennio repubblica-no abbiamo vissuto. E la Sicilia che vanta purtroppo, an-cora oggi, alcuni tristi primati di sottosviluppo è in certosenso ancora una volta in prima linea nel risentire più dialtre Regioni di questa crisi economica, oltre che moralee civile, che tutti ci colpisce e ci sgomenta.

L’inverno che ci ha appena lasciati verrà probabilmen-te ricordato come uno dei più duri: moltissimi dei 386Comuni siciliani hanno subito alluvioni, frane e smotta-menti che in centri urbani come Trapani e Caltanissettahanno assunto aspetti drammatici con conseguenze gra-vissime per le popolazioni, colpite.

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I livelli occupazionali hanno segnato sintomi di ag-gravamento: mentre il ricorso alla Cassa integrazioneguadagni ha registrato in sede nazionale una contrazione,in Sicilia si è registrato un ulteriore incremento; il tassoregionale di aumento dei disoccupati iscritti nelle liste dicollocamento è cresciuto nel 1976 consistentemente ri-spetto alla media nazionale.

La tendenza al disimpegno di taluni complessi indu-striali, contrastata attivamente dall’azione della Regione,obiettivamente aggrava, e non solo quantitativamente, ilgià teso problema occupazionale, specie quando tali di-simpegni sono tentati da società, come l’ANIC, a parteci-pazione pubblica.

C’è poi il grosso problema delle aziende a partecipa-zione regionale, che occorre decidersi, in una chiara arti-colazione delle diverse realtà, ad affrontare, con i proble-mi conseguenti. È una operazione coraggiosa ed anchedolorosa dalla quale dovremmo tutti, e soprattutto i gio-vani, trarre un insegnamento: quello cioè che solo il la-voro produttivo, quello che serve a creare altro lavoro, ètale, e non anche il lavoro parassitario, fine a se stesso,che si è invece rivelato una delle più potenti cause di in-flazione. Tutti stiamo ora pagando le conseguenze di cer-ti errori commessi nel passato per rispondere purchessiaalla peraltro giusta e crescente domanda di posti di lavo-ro che in Sicilia era comunque più pressante che altrove.

Ancora oggi sono 31.000 i diplomati e 7.500 i laurea-ti che ogni anno in Sicilia si aggiungono alle schiere deidisoccupati e degli iscritti alle liste di collocamento in at-tesa di un lavoro. Sono dati preoccupanti ed allarmanti eche si appaiano a quelli resi noti in questi giorni a propo-

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sito di occupazione nel Sud ed a quelli, già accennati, del-la cassa integrazione: il 60% dei disoccupati è collocato alSud: sono oltre 700 mila sul milione e duecentomila deltotale degli iscritti alle liste di collocamento. E, dato ancorpiù preoccupante e significativo, sono salite del 13% cir-ca le ore di cassa integrazione al Sud nel ‘76, e ciò mentrenel totale nazionale esse scendevano del 27%.

Vuol dire che il Sud sta pagando in ritardo, ma in ma-niera irreversibile, il suo tributo alla crisi ed è un tributoterribilmente grave sotto il profilo dei costi umani e so-ciali che esso comporta per la nostra realtà.

E del resto sono molte e frequenti le notizie che con-fermano tale valutazione anche per la Sicilia.

Sarebbe facile attribuire questi dati ad errori politici edeconomici, che pure sono stati commessi, ma sarebbe in-giusto perchè proprio in questi giorni, proprio cioè men-tre si ricorda il primo tempo della nostra Autonomia, i raf-fronti sono facili ed abbastanza evidenti, sotto gli occhi ditutti. La Sicilia ha cambiato volto, ha cambiato abitudini,sarebbe irriconoscibile per i padri dell’Autonomia.

Ma le delusioni tuttavia sono molte e molti i ripensa-menti.

C’è stato il tramonto del mito della Regione impren-ditore, un mito duro a morire, durante vent’anni e mano-vrato in diverso modo e da più parti. Ci sono poi, stretta-mente collegate ad esso, le delusioni provocate da taluneesperienze degli Enti pubblici regionali. Ma esse non sifermano qui.

Questi trenta anni sono serviti però ad acquisire con laesperienza una serie di consapevolezze ed in questo diffi-cile momento le valutazioni sono certo più responsabili.

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Si tratta peraltro di un processo generale di responsa-bilizzazione ed approfondimento che investe anche lavalutazione degli strumenti di intervento sull’economiache si va facendo più avveduta.

Da qualche tempo l’attenzione critica si è appuntata,ad esempio, sulla funzione del credito agevolato che vie-ne ritenuto uno strumento superato; in definitiva un’altraesperienza da rivedere profondamente se non appunto dasuperare nell’intervento a sostegno dello sviluppo.

Si individua cioè nel credito agevolato, ed in talunesue modalità, uno dei tratti caratteristici del capitalismoassistenziale ed uno dei fattori maggiormente distorcen-ti della economia di mercato e quindi di modifica del mo-dello italiano in quel senso.

Aciò si aggiungono alcune prese di posizione sindaca-li e anche di parte imprenditoriale che privilegiano in que-st’ottica le infrastrutture come i veri incentivi per investi-menti economicamente validi. La logica del credito age-volato — si dice — abitua a considerare normali tassi fuo-ri mercato, soprattutto se non è previsto un meccanismodi aggiustamento dei tassi stessi. In tale ultima ipotesi poipossono verificarsi meccanismi di speculazione, comecertamente è già avvenuto. Le infrastrutture invece ren-dono più facile l’investimento, servono l’interesse gene-rale, non mutano i termini economici dell’investimentostesso, che pertanto deve preservare la propria economi-cità in una situazione di mercato. Oltre tutto questo spaz-zerebbe via le piccole furberie, l’uso improprio degli stru-menti creditizi e finanziari, tutta la mentalità di una eco-nomia assistita e parastatalista che in questi anni, comun-que, tutti hanno contribuito a costruire.

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E del resto solo tardivamente oggi si scopre l’esigen-za di ricorrere ad una organica politica industriale e lo sifa con una legge che rischia oggi di riprodurre vecchischemi e di tradursi in nuovo strumento di appesanti-mento del divario Nord-Sud. Mi riferisco ovviamente al-la legge di riconversione, attualmente all’esame delParlamento, in un susseguirsi di modifiche, che è al cen-tro, in questi mesi, del dibattito meridionalista ed in me-rito alla quale, alla recente Conferenza delle Regioni me-ridionali di Catanzaro, ci siamo battuti perchè di essa ve-nisse data una interpretazione nettamente meridionali-sta, già invocata nel parere espresso dal Comitato delleRegioni meridionali istituito dalla legge 183.

Il disegno di legge sulla riconversione e ristruttura-zione industriale ha certamente il pregio di subordinare,o di tentare di subordinare, la concessione di crediti age-volati alla identificazione di un disegno di politica indu-striale nazionale.

La sua originaria impostazione e, pur con taluni cor-rettivi introdottisi, i suoi contenuti possono, attraverso lostabilizzarsi dell’apparato industriale esistente, aggrava-re il dualismo territoriale esistente nel nostro Paese.

Ora, partendo dal presupposto chiaramente confer-mato dall’andamento più recente del settore e dalla realeespansione del settore dei servizi nell’area fortemente in-dustrializzata del Paese, non si capisce come, in nomedella difesa degli attuali livelli occupazionali, si difendail mantenimento in quelle aree delle strutture industrialida riconvertire, da trasferire cioè da un settore merceolo-gico all’altro, con finanziamenti pubblici.

La sola ristrutturazione infatti, per gli effetti di fisio-

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logica espansione e per l’ampliamento del settore deiservizi, garantirà a quelle aree ben oltre il riassorbimentodegli attuali occupati delle industrie eventualmente tra-sferite per la riconversione.

Aree, è bene ricordarlo, nelle quali il rapporto tra po-polazione e occupati nell’industria manifatturiera è il piùalto d’Europa.

A ciò si aggiunga che nell’Italia nord occidentalel’occupazione industriale ha raggiunto il 18,9% della po-polazione totale con oltre il 40% dell’intera occupazionenell’industria italiana; il che pone quella area in una po-sizione elevatissima di concentrazione industriale supe-rata nella CEE solo, e di poco, dalla Renania-Westfalia,dal Baden-Wurtemberg. Teniamo presente ancora chenel centro nord italiano vive il 65% della nostra popola-zione mentre vi è presente il 79% della occupazione in-dustriale. Nel Mezzogiorno — mi scuso per queste cita-zioni, ma sono dati che meritano di essere considerati —vive il 35% della popolazione della quale solo il 5% è oc-cupato nell’industria, rappresentando così poco più del20% degli occupati in questo settore. Infine in questastessa area vive il 40% dei giovani dai quindici ai venti-quattro anni, mentre nell’area nord-occidentale del pae-se vive solo il 25%.

Appare allora evidente — e del resto altri dati relativial Piemonte ce lo confermano (il tasso di disoccupazioneè in Piemonte soltanto dell’1,9% della popolazione atti-va) — che il problema occupazionale riguarda in modoquasi esclusivo il Sud. Certo, questo dell’occupazionenon è che un aspetto della questione, ma è uno dei più do-lorosi ed ha risvolti non solo economici.

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Queste valutazioni giustificano la richiesta di destina-re le risorse per la riconversione all’insediamento nelMezzogiorno di tali iniziative industriali, richiesta chenon può essere considerata frutto di concezioni partico-laristiche dello sviluppo industriale nè tanto meno disco-noscimento che l’intero sviluppo economico del Paese èsottoposto per la congiuntura a vincoli ben precisi.

Non si comprende invece come il presidente dellaConfindustria possa giudicare una « rivoluzione surretti-zia » quella di chi appunto sostiene di destinare al Sudtutti i processi di riconversione; nè può spiegarsi l’atteg-giamento di chi definisce « ridicola e demagogica » unatale proposta, volendo assicurare la riconversione su tut-to il territorio nazionale trasferendo al Sud solo le inizia-tive che comportino occupazione aggiuntiva nel settore,ma ammettendo al contempo che il Nord è forte econo-micamente ma anche politicamente!

Il vincolo proposto dai «settentrionalisti» — che le ri-conversioni effettuate al Nord non aumentino l’occupa-zione industriale — è di fatto in conflitto con l’obiettivodi allargare la base produttiva ed occupazionale nelMezzogiorno: non si può oggi proporre il mantenimentodegli attuali livelli di occupazione industriale al Nord,procedendo nel contempo a ristrutturazioni e riconversio-ni che accrescono la produttività degli occupati, e presu-mere legittimamente che esista un margine residuo di ri-sorse tale da consentire una significativa espansione del-la base produttiva ed occupazionale nel Sud. Così si su-bordina — in una «logica dei due tempi» — ancora unavolta la reale unificazione economico-sociale del Paesealle condizioni permissive di una congiuntura favorevole.

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Invero occorre superare polemiche e divisioni per fa-re accettare realmente il Mezzogiorno come problemanazionale. Perchè al di là delle affermazioni, dei proposi-ti, degli stessi vincoli legislativi c’è invece una realtà chesi conferma grave non compresa e densa di incognite.

Basta esaminare i dati ISTAT pubblicati nei giorniscorsi sugli investimenti fissi effettuati nel quadriennio1971-1974 per constatare come la divaricazione tra Norde Sud continui a crescere confermando la stridente con-traddizione tra proclami e dettati meridionalistici e real-tà del corso effettivo delle cose.

Nel settore agricolo, in moneta corrente, le quattromaggiori Regioni settentrionali (Piemonte, Lombardia,Veneto ed Emilia-Romagna) fanno registrare nei quattroanni un complesso di investimenti per 1.381,4 miliardi;le quattro maggiori regioni meridionali (Campania,Puglia, Sicilia e Sardegna) per 1.362,7 miliardi. La pre-valenza settentrionale, pur lieve, se riferita alle basi dipartenza ed allo stato di arretratezza e alle esigenze disviluppo del Meridione, assume un significato dramma-ticamente negativo.

Nell’industria: le quattro suddette regioni settentrio-nali registrano investimenti per 10.162,1 miliardi; quellemeridionali per 6.134,9 miliardi.

La durata del periodo di riferimento di questi dati, ilvalore indubbio degli investimenti fissi come fattori es-senziali di sviluppo non possono non indurre ad amareconstatazioni ed a previsioni che ben possono essere de-finite «catastrofiche».

Nè il periodo più recente può indurre a valutazioni in-coraggianti. Nei primi nove mesi del ’76, secondo un da-

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to IASM, gli investimenti fissi nel Mezzogiorno sonoscesi del 73%. Ed ancora, le domande di finanziamentoqui, all’IRFIS — ne ha fatto cenno il presidente Mucciolinel suo intervento — sono diminuite in modo consisten-te, come analiticamene emerge dalla relazione delConsiglio di amministrazione.

Ecco come i fatti vanno in direzione opposta agli in-dirizzi assunti; perciò abbiamo più volte parlato di verifi-che di coerenza meridionalista. In troppe occasioni, mol-te significative ed importanti, tante poco importanti mapur sempre significative, una tale coerenza non si è regi-strata nei fatti e non solo a livelli governativi, parlamen-tari o politici ma anche a livello di Regioni, di sindacati,di imprenditori, di grande stampa.

Occorre quindi che tutta l’opinione pubblica delPaese compia un grosso sforzo di comprensione e di ac-cettazione di quella che deve essere la nuova prospettivadel problema meridionale: quella cioè della identifica-zione di esso con lo stesso sviluppo economico delPaese. Tutti, al Nord come al Sud, dobbiamo convincer-ci che non c’è avvenire, non c’è futuro per un paese cheancora oggi presenta sacche di depressione come quelleche nel Sud esistono tuttora. Occorre dunque che — co-me è stato detto — il problema del Mezzogiorno si iden-tifichi con lo sviluppo del nostro Paese e che al Nord ci sirenda conto che ormai il livello della interdipendenzadelle aree è tale che un errore al Sud si paga caro anche alNord.

Finchè questo non sarà chiaro e non sarà penetratonella coscienza di tutti, la nostra battaglia sarà stata vana.

Del resto non credo che di questa vera fusione, ad ol-

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tre cento anni dalla nostra unità, ci si possa poi dolere. IlMezzogiorno d’Italia è portatore di una serie di valori e diconsapevolezze. La verità è che c’è anche una questionemeridionale non economica, ma culturale e di costume.

Noi meridionali dobbiamo liberarci dai complessi eprendere coscienza di ciò che il Mezzogiorno rappresentadi positivo per il nostro Paese in termini culturali e morali.

Ma, mentre per conseguire l’obiettivo rivendichiamouna azione fortemente unitaria, si continua da molti deiprimi attori della politica economica italiana nella vec-chia politica delle incoerenze meridionalistiche. Così,mentre le cifre del piano previsto dalla legge 183 fannogridare allo scandalo i molti antimeridionalisti, le stessenon resistono alle serrate critiche che da molte parti sifanno sotto il profilo della quantità, ma soprattutto nonresistono al tremendo ritmo inflazionistico che ogni gior-no le corrode rendendole insufficienti agli scopi che siprefiggono. Va in proposito detto con chiarezza che i 16mila miliardi stanziati con l’art. 22 della legge 183 si ri-velano del tutto inadeguati a fronteggiare le esigenze difinanziamento del piano per il Sud. Ma non è l’ammon-tare delle somme destinate al Sud che colpisce e che pu-re, anni fa, fu oggetto di uno studio secondo cui esse so-no ammontate ad appena lo 0,50 per cento del reddito na-zionale prodotto fra il ’50 e il ’73. È piuttosto il persi-stente veleno della incoerenza antimeridionalista che fasì che, mentre a parole si destinano al Sud mezzi, poi —come ho già detto — si opera diversamente nella gestio-ne della politica economica, assecondando costantemen-te aree e forze estranee al Mezzogiorno.

Del resto l’attuale copertura finanziaria della stessa

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legge 183 nel quadriennio dell’intervento straordinario,nella sua cruda realtà ha questa consistenza assai inferio-re ai 16 mila miliardi e questa temporalità: 1976: 1.229miliardi; 1977: 1.807 miliardi; 1978: 2.200 miliardi;1979: 2.620 miliardi; 1980: 3.084 miliardi. Considerandoil deteriorarsi del potere di acquisto e valutando annual-mente il prodotto lordo interno può agevolmente consta-tarsi che la percentuale delle risorse riservata all’inter-vento straordinario non supera di molto l’un per cento delprodotto lordo stesso.

Ciò nonostante, la legge 183, pur con i ritardi del suoavvio ed il conseguente non coordinato ricorso a stralciche evitassero l’interruzione dell’intervento straordina-rio, costituisce uno strumento operativo di indubbia po-sitività.

Perciò, nella misura in cui ha creato presupposti diconcreta operatività, più che parlare occorre agire, affin-chè l’intervento straordinario possa realizzarsi rapida-mente ed organicamente. Esso, inquadrato in un contestodi politica economica che invochiamo con forza coeren-te, tra la conclamata disponibilità di tutti e le scelte diogni giorno, e quindi fortemente condizionata in sensomeridionalista, può ancora avere effetti risolutivi.

Restituendo alla Cassa per il Mezzogiorno il ruolo diorgano esecutivo le Regioni debbono saper conquistarequell’ampio grado di partecipazione nel processo deci-sionale degli interventi straordinari.

Anche la nostra Regione deve, con una azione sensi-bile, tempestiva ed efficiente, inserirsi nella rapida e pie-na utilizzazione degli strumenti offerti dalla legge 183:dai progetti speciali, che al di là degli stralci già definiti,

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vanno verificati ed eseguiti, al finanziamento dei proget-ti regionali di sviluppo, che avremmo già dovuto predi-sporre, a tutti gli altri finanziamenti con specifica desti-nazione.

E ciò proseguendo la scelta della via unitaria, dello sfor-zo congiunto con tutte le altre regioni del Mezzogiorno,sforzo che nella legge 183 ha ottenuto un riconoscimentocon il Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridio-nali. E su questa scelta occorrerà essere coerenti anche seessa ci costa qualche cosa, sia in termini quantitativi ri-spetto alla gravità ed alla quantità dei nostri problemi, siarispetto ad una qualche diminuzione in termini di valoredella nostra autonomia e della sua peculiare specialità. Matale scelta è coerente con i nostri interessi e con la realtàpolitica del Paese che non consente più spazi per spinteterritoriali o settoriali.

Nel frattempo lo sforzo politico della Regione è diret-to, come lo è stato del resto nel più recente passato, a mo-bilitare in misura massiccia tutte le sue risorse reali inuna accorta politica della finanza regionale che riduca alminimo i residui passivi, acceleri i meccanismi della spe-sa e rintracci fra le pieghe della stessa quel che non è pro-duttivo per riciclarlo in una vasta e programmata azionestrutturale e anticongiunturale. È quello che stiamo ten-tando di fare proprio in queste settimane per pervenire adun intervento di emergenza capace di costituire una ap-propriata ed efficace risposta, compatibile con le nostreforze, alla drammaticità della situazione economica e so-ciale. Intervento di emergenza che non pretenda di dareuna soluzione ai tanti problemi ma, selezionando i setto-ri e con una rigorosa esclusione delle spese non produtti-

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ve, abbia una netta caratterizzazione di rapidità nella suaattuazione.

In questi giorni, dedicati come dicevo a ricordare itrenta anni della Regione, in una sorta di strana contem-poraneità, si sentono affiorare temi e spunti che appar-tennero al dibattito di quegli anni: ad esempio quello del-l’industria agricola, dell’industria cioè collegata ai pro-dotti del suolo; o quello del ritorno all’imprenditoria pri-vata, piccola e media, alla quale forze, in passato assaiscettiche, mostrano di voler dare oggi il giusto credito.Certo sono spunti che nascono giustamente dalle delu-sioni, da alcune di quelle che ho all’inizio ricordato: ledelusioni dell’industria, quelle nascenti oggi dai guastiecologici che portano a credere o a dare valore al bino-mio agricoltura-turismo, un binomio che anche nel pianoquadriennale per il Sud appare privilegiato. Io credo pe-rò che, nonostante queste delusioni, la strada dell’indu-stria non vada abbandonata. Perchè solo l’industria puòrisollevare e trasformare con i suoi fatti occupazionali dimassa le sorti di una vasta regione in via di sviluppo co-me la Sicilia. Certo non si tratta più di dare vita a mega-fabbriche, l’ultima delle quali, l’Alfasud di Pomigliano,viene giudicata giustamente ingovernabile.

Ed ecco risaltare ancora una volta il ruolo della picco-la e media industria che va certamente rinnovato e ritro-vato.

Ed è un ruolo che proprio l’IRFIS può e deve rivita-lizzare e reindividuare, a differenza del passato, e in unaprospettiva che tenga conto, perchè no?, dei suggerimen-ti che nei giorni scorsi, in un incontro qui a Palermo,Francesco Forte formulava circa l’espansione dei merca-

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ti arabi ed africani, che ogni anno si impinguano semprepiù di dollari e il cui saldo attivo della bilancia commer-ciale può essere prontamente colmato dal nostro sistemaindustriale, definito di media tecnologia. L’interesse in-dubbio che l’industria europea, e la vita economica tuttain Europa, ha ad intensificare rapporti e collegamenti conla realtà dei Paesi mediterranei, l’avvio dell’ammissionenella Comunità Economica Europea di paesi mediterra-nei assai simili e quindi alternativi nei problemi e nelleprospettive al Mezzogiorno d’Italia, debbono farci guar-dare con grande attenzione e con le necessarie capacità diiniziativa a queste realtà. Rapporto Mezzogiorno-Comunità Europea, politica regionale della Comunità,urgenza dell’identificazione di intraprese che concretiz-zino il naturale rapporto tra Sicilia e mondo arabo sonotemi di grande attualità ed importanza.

Certo c’è il rischio, e qui è stato percepito, di esserescavalcati in questa corsa dall’Europa industrializzatadel Centro Nord, ma è una occasione da studiare a fondoe da non perdere. Ed anche questa è una occasione allaquale l’IRFIS, con il suo bagaglio di esperienza e di pro-fessionalità, può dare un concreto contributo operativo.

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Regioni e Mezzogiorno: esigenza di una nuova politica (*)

Palermo, 6 luglio 1977

L’approvazione da parte del CIPE del programmaquinquennale per il Mezzogiorno, avvenuta — come ènoto — il 31 maggio scorso, conclude la prima fase di at-tuazione della legge 2 maggio 1976, numero 183 e crea lecondizioni perchè possa dispiegarsi nella sua pienezza eorganicità l’intervento straordinario nel Mezzogiorno.

La fase, conclusa da poche settimane, ha fatto regi-strare metodi e scelte che credo vadano sottolineate anzi-tutto in riferimento al nuovo ruolo di partecipazione e re-sponsabilità cui sono state chiamate le Regioni meridio-nali.

E qui è facile, e per chi vi parla gradito, ricordare che,proprio in questa sede, nel corso del dibattito della primaconferenza delle Regioni meridionali nel 1971, dicemmocome, in un quadro di sostanziale unità delle Regioni stes-se, fosse necessario «che al ministro per il Mezzogiornofosse affiancato un Comitato di rappresentanti delleRegioni del Sud che possa stimolare, seguire, ed esserecostantemente sentito» e come fosse indispensabile chesi rendessero le Regioni meridionali partecipi della pro-

(*) Discorso pronunziato nella sala gialla del palazzo dei Normanni,in occasione del convegno promosso dall’Assemblea regionale sicilianasul tema La Sicilia ed il piano quinquennale per il Mezzogiorno, presen-te il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno.

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grammazione. E credo sia giusto ricordare come allorasia stata proprio la Regione siciliana, nel momento in cuisi dava attuazione all’ordinamento regionale ordinario, acogliere il pericolo che ciò potesse, nella diversità del pe-so non solo economico tra le varie Regioni del Paese, farpagare alle Regioni più deboli un ulteriore prezzo ed allapolitica meridionalistica potesse far registrare un ulterio-re indebolimento. Da qui l’avvertita esigenza di unacompleta presenza nella strategia meridionale attraversol’unità delle Regioni meridionali e ciò anche se Regionicome la Sicilia e la Sardegna potevano vedere attenuatealcune peculiarità dei propri ordinamenti speciali.

Il confronto di allora tra le Regioni, così come quellodelle successive conferenze di Cagliari, Napoli eCatanzaro, fu interessante e proficuo. Il documento con-clusivo di quella prima conferenza recò una serie di pro-poste concrete, tra cui, appunto, quella della richiesta dipartecipazione delle Regioni meridionali «alla definizio-ne ed al controllo dell’intervento straordinario», propo-ste che in un certa misura sono diventate disposizioni dilegge (il Comitato dei rappresentanti, la riserva sugli in-vestimenti delle partecipazioni statali, la riserva sullaspesa dell’Amministrazione dello Stato).

Ma, oggi, al di là della previsione legislativa, va sot-tolineato come la partecipazione delle Regioni meridio-nali in questa prima fase della attuazione della legge 183— e di questo diamo pienamente atto al ministro De Mita— si sia realizzata nel modo più pieno ed incisivo.

Il metodo scelto per la formazione del piano quin-quennale ha coinvolto, attraverso il Comitato dei rappre-sentanti, le Regioni che, più che portatrici di indicazioni

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e proposte valutate successivamente dal ministro per gliinterventi straordinari del Mezzogiorno, sono state conlo stesso ministro ed i suoi uffici le corresponsabili dellaformulazione dello schema di piano proposto al CIPE.

Ciò ha reso possibile, pur nell’ambito rigoroso di unavalutazione globale ed organica dei problemi delMeridione, la valutazione di aspetti e problemi particola-ri di ciascuna Regione.

Anche da ciò deriva che prescrizioni e direttive conte-nute nel programma assumono per le Regioni carattere diindirizzo vincolante per la sua esecuzione e punto di rife-rimento cui ancorare le proprie scelte.

Ma un altro aspetto di questa prima fase di applica-zione della legge 183 merita di essere sottolineato ancheperchè offre lo spunto per alcune considerazioni più ge-nerali di particolare importanza. È l’aspetto degli stralcie degli impegni finanziari assunti prima e al di fuori delprogramma: sui 16.000 miliardi stanziati oltre 5.000hanno già avuto una tale utilizzazione.

Ciò si è reso necessario sia per non interrompere gli in-terventi della Cassa nel settore dei progetti speciali, siaper far fronte a revisione prezzi, perizie suppletive, IVA eobblighi vari, sia per fronteggiare le spese per i completa-menti secondo quanto previsto dall’articolo 6 della legge.

Per la spesa organicamente regolata dalle scelte delpiano rimarrebbero circa 11.000 miliardi, dei quali però2.500 sono costituiti dal totale delle rate dei contributipoliennali per le incentivazioni industriali; 2.000 vannodirettamente alle Regioni per i progetti regionali di svi-luppo previsti dalla lettera c) dell’art. 7; ed altri stanzia-menti hanno un vincolo di destinazione come quelli già

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assegnati per le università o quelli destinati ai Consorzidi bonifica.

Sulla congruità dello stanziamento residuo credo siatroppo facile dare un giudizio di assoluta insufficienza.

Dico subito che su questo argomento il Comitato deirappresentanti delle Regioni Meridionali ha condiviso laposizione del ministro De Mita che, respingendo ogni al-larmismo, ha ripetutamente detto che il problema di uncongruo finanziamento si pone, sia per reintegrare il pia-no dei 5.000 miliardi già utilizzati sia per colmare l’as-sottigliamento reale subito dagli stanziamenti per la ero-sione dovuta alla svalutazione di questi anni.

Ma, ha aggiunto De Mita, il problema di oggi è quellodi spendere rapidamente ciò che è disponibile e che pre-vedibilmente è sufficiente per questo e per il prossimoanno.

Tale valutazione, ho già detto, è condivisa, sopratuttonella assunzione della consapevolezza che al ruolo dipartecipazione alla fase delle scelte deve seguire, per leRegioni, una prontezza operativa che è indispensabileperchè l’intervento straordinario si realizzi rapidamente,anche per la parte di interventi che hanno carico, comeper i 2.000 miliardi dell’art. 7, direttamente alle Regioni.

La consapevolezza di dovere intanto utilizzare ciòche è disponibile non ci impedisce però non solo di con-fermare che l’esigenza di un rifinanziamento della legge183 va fin d’ora posta e sottolineata con forza ma di va-lutare altresì come il solo intervento straordinario ancherifinanziato non sia assolutamente sufficiente per avvia-re il Meridione a superare i suoi problemi. Anzi ritenia-mo che non sia sufficiente neppure ad evitare l’accen-

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tuarsi in modo irreversibile delle distanze con il Centro-Nord del Paese.

I dati del rapporto Svimez recentemente illustrato aNapoli da Pasquale Saraceno sono di una eloquenza in-superabile. La crudezza e la drammaticità dei dati assu-mono un valore ancora maggiore se letti assieme allaconsiderazione che testualmente vi riporto: «Ciò su cuioccorre seriamente meditare è la ristrettezza del marginedi adattamento e di resistenza che la società meridionaleè ancora in grado di offrire». Il limite di rottura è vicino:è questo il chiaro senso della considerazione delloSvimez.

E non può non trarsi una tale conclusione dai dati cheil rapporto enuclea. Mentre nel 1976 il Centro-nord haregistrato un saggio di crescita del 6,7 per cento, il Sud haregistrato quello del 2,2%: è il risultato esattamente op-posto a quello auspicato. Il Sud che dovrebbe recuperaresul Centro-nord vede quell’area del Paese crescere piùvelocemente. La constatazione si aggrava valutando che,anche considerando globalmente gli ultimi due anni, chehanno fatto registrare un opposto andamento congiuntu-rale, la crescita risulta più accentuata al Nord (2,1 percento) che nel Meridione (1,6 per cento).

Il rapporto, cui va il merito di essere un brusco richia-mo alla realtà per tanti che frequentemente dimenticano,dà ovviamente la spiegazione di un tale pauroso aggra-vamento per il Sud: la flessione della produzione agrico-la, la crisi del settore edilizio, il blocco della emigrazionee la registrazione del rientro di fasce di lavoro già emi-grate, il blocco della espansione del terziario.

Questa lista va però integrata dalla considerazione di

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valore duraturo che i settori dell’agricoltura e del terzia-rio, che hanno svolto per il Mezzogiorno la funzione diammortizzatori della pressione della domanda di occu-pazione, è assai improbabile che possano in futuro conti-nuare a svolgere tale funzione.

Ma accanto al tasso di crescita è interessante conside-rare il reddito procapite nel 1975 e nel 1976 per coglierecome anche questo dato risulta per il Mezzogiorno dete-riorato nei confronti del corrispondente reddito procapi-te del Centro-nord: anche qui la variazione percentualesegna un volume medio nazionale di 5,1 che si articolacon un 6,4 per il Centro-nord e un 1,2 per il Mezzogiorno.

Un altro elemento significativo, sottolineato dal rap-porto, è quello relativo alla notevole differenza che le ottoregioni meridionali fanno registrare fra di loro. Ciò miconsente di ricordare che proprio la concretezza e la soli-darietà delle scelte unitarie, di cui parlavo all’inizio, e laconseguente volontà di evitare l’aggravarsi ulteriore disquilibri territoriali all’interno dell’area del Mezzogiorno,ci hanno portato a valutare favorevolmente che, nella as-segnazione alle Regioni Meridionali dei fondi previstidall’articolo 7 per i progetti regionali di sviluppo, i crite-ri della popolazione e della superficie venissero integratida parametri di natura economico-sociale, che in qualchemodo favoriscono le Regioni più gravemente depresse ascapito di altre Regioni, tra cui la Sicilia. Tali indici in-fatti non vedono la Sicilia in coda tra le Regioni del Sud.

Anzi, nella contraddittorietà della situazione econo-mica propria delle aree depresse soprattutto nei momen-ti congiunturali più pesanti, la Sicilia per il 1976 ha fattoregistrare un saggio di crescita superiore alla media del

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Mezzogiorno. Secondo il Centro di Ricerche Statistichedella Facoltà di Economia e Commercio, che esegue perconto della Regione tali ricerche, il tasso di crescita dellanostra Regione è stato del 3,8 per cento. Dati esplicativinon certo secondari di tale risultato sono: la minore, ri-spetto ad altre Regioni, riduzione del prodotto agricolo(in Sicilia: — 3,3 per cento, contro una media di — 11 percento del Mezzogiorno e punte assai alte come quelladella Calabria — 31 per cento); la sostanziale staziona-rietà del settore delle costruzioni (in Sicilia — 0,6 percento a fronte di una diminuzione media nel Mezzo-giorno del 4 per cento); la spesa dell’Amministrazioneregionale che nel 1976 ha fatto registrare pagamenti peroltre 1.066 miliardi, dato non paragonabile alla spesa dialtre Regioni.

Ma la contraddittorietà si coglie anche in senso inversonel fatto che la Sicilia registra un dato — e tra i più signifi-cativi — più negativo della media del Mezzogiorno ed èquello della utilizzazione della gestione ordinaria dellaCassa Integrazione, che è cresciuta nel Mezzogiorno del21,8 per cento mentre in Sicilia segna la crescita, assai piùgrave, del 35 per cento.

Va ricordato qui, a conferma che il 1976, mentre per ilCentro-nord ha segnato una ripresa, per il Sud ha signifi-cato un gravissimo appesantimento, che alla crescita me-dia del ricorso alla Cassa Integrazione del 21,8 per centoper il Mezzogiorno tale ricorso per il Centro-nord ha se-gnato una diminuzione del 27,9 per cento. E i dati riferitial totale della Cassa Integrazione (compresa la gestionespeciale edilizia) sono per la nostra Regione ancora piùgravi; infatti una contrazione nazionale del 18,1 per cen-

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to corrisponde un aumento di utilizzazione della CassaIntegrazione del 21,8 per cento per il Mezzogiorno e bendel 44,5 per cento per la Sicilia.

Nè i dati del primo trimestre di quest’anno, di recentepubblicati dallo IASM, segnano tendenze diverse.

La verità è che la Sicilia, come tutto il Mezzogiorno,paga a più caro prezzo la crisi del Paese; crisi per la qua-le ancora una volta respingiamo il superamento in duetempi e rivendichiamo la piena identificazione fra crisidel Paese e sviluppo del Mezzogiorno.

In tale processo, al di là del richiamo più o meno ac-corato di «volontà politiche», è indispensabile che ognidecisione, dalle grandi alle piccole, sia adottata con coe-renza e senza contraddizioni. E ciò deve valere per tutti.

Cominciando da noi, dalle Regioni, dalla Regione si-ciliana.

Lo sviluppo del Sud è strettamente legato alla possi-bilità di pervenire alla capacità di auto-accumulazione eciò dipende da fattori esterni e da fattori interni. LaRegione deve abbandonare ogni debolezza, spesso moti-vata da situazioni obiettive ma particolari, verso l’econo-mia assistita, che fa sopravvivere ma non produce nuovaricchezza e spesso continua a produrre perdite anche co-spicue, per destinare, fronteggiate le spese correnti stret-tamente necessarie per rendere i doverosi servizi allaComunità siciliana, la maggior parte possibile delle ri-sorse ed autentiche spese di investimento, rigorosamen-te valutate come capaci di produrre nuova ricchezza.

Pur con delle contraddizioni, questa è stata la sceltaoperata nel 1975 col Piano d’Interventi, è infatti con lalegge 12 maggio 1975 n. 18 che si provvide alla dotazio-

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ne finanziaria del Piano; questo vuole essere il comples-so delle iniziative per far fronte all’emergenza che, purnon formalmente legate, sostanzialmente collegano talu-ni consistenti e validi interventi di questo periodo: dallalegge sui credito agli artigiani, al rifinanziamento dellespese per strutture agricole, al d.d.l.; per la costituzionedi un fondo di rotazione di 160 miliardi per finanziare lecooperative edilizie, alla legge regionale per l’ediliziascolastica, nonche alla legge per la sistemazione finan-ziaria degli Enti Economici regionali ed al d.d.l. per fi-nanziare i Piani degli Enti nella misura in cui la gestionedegli stessi sarà decisamente rivolta al recupero di eco-nomicità.

Ma l’assunzione di una coerente linea da parte dellaRegione, pur indispensabile, non può essere certo consi-derata sufficiente.

Ci sono ben altri protagonisti la cui coerenza e fedeltàalle enunciazioni meridionalistiche è da verificare gior-no per giorno.

Fin quando, persino in sede di riparto di fondi desti-nati all’agricoltura di montagna e delle zone svantaggia-te, talune Regioni del Nord contesteranno la riserva del60 per cento a favore delle Regioni meridionali; o quan-do per il piano dei trasporti, anzicchè puntare a dotare distrutture essenziali le zone carenti, si invocherà la razio-nalizzazione delle strutture già esistenti; o per il FondoOspedaliero si continuerà a chiedere che, non solo, leRegioni meridionali paghino i ricoveri negli Ospedalidel Nord anche degli emigrati ma che a tale pagamento siprovveda, con una sorta di ritenuta alla fonte, al momen-to dell’assegnazione annuale alle Regioni del Fondo

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Nazionale Ospedaliero, la coerenza di talune Regioni ètutta da dimostrare financo rispetto alle enunciazioni deirispettivi statuti.

E senza volere riprendere qui valutazioni di caratteregenerale, che pure vanno tenute presenti, come quellafondamentale che l’esiguo margine di risorse del nostroPaese pone una chiara alternativa tra investimenti nelMezzogiorno e talune politiche salariali e sindacali, an-che col sindacato la esperienza di ogni giorno ci fa imbat-tere, in contraddizioni concrete, come quella registratacon amarezza al momento di un programma costruttivo diabitazioni per lavoratori agricoli dipendenti per la quale irappresentanti dei sindacati nazionali di categoria concre-tavano le loro osservazioni nella richiesta di aumentare lequote di attribuire ad alcune Regioni del Centro-nord.

E, non di rado con posizioni coincidenti, gli impren-ditori pubblici e privati sono, al di là delle affermazioni,sostanzialmente indisponibili ad una reale svolta dellapolitica industriale. E qui la tentazione di riprendere lapolemica sul disegno di legge di ristrutturazione e ricon-versione industriale è forte e la riprenderemo più avanti.

Per non parlare delle macroscopiche violazioni delle ri-serve per il Mezzogiorno da parte dell’Amministrazionedello Stato, delle Aziende e delle Partecipazioni Statali.Ma a tali violazioni di disposizioni legislative lo stessoParlamento, che pur le ha volute non dà, neppure comegiudizio politico, il giusto peso.

Basti a tal proposito evidenziare che nel 1976 gli in-vestimenti delle Partecipazioni Statali hanno segnato peril Mezzogiorno una diminuzione, scendendo da 1.148miliardi del 1975 a 1.040 miliardi, mentre nel Centro-

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nord tali investimenti sono aumentati da 1.757 a 2.121miliardi, in spregio alla riserva obbligatoria dei nuovi in-vestimenti a favore del Mezzogiorno.

Merita pure riflessione il dato che il rapporto Svimezoffre a proposito dei pagamenti effettuati dalla Ammini-strazione Centrale attraverso le tesorerie provinciali: su29.000 miliardi 22.800 sono spesi nel Centro-nord e6.200 nel Mezzogiorno; mentre l’incremento di paga-menti registrato nel 1976 rispetto al 1975 in 4.914 mi-liardi è distribuito per 3.740 miliardi nel Centro-nord eper 1.174 miliardi nel Mezzogiorno.

Ma una tale tematica richiederebbe un esame prolun-gato ed approfondito.

Allora perchè ho detto queste ultime cose? Perchè,partendo dalla premessa che nè le Regioni con una ope-ratività migliore nè l’intervento straordinario sono suffi-cienti al recupero del Mezzogiorno, i comportamenti de-gli altri protagonisti della vita economica del Paese sonoessenziali.

Nel recente accordo tra i partiti sui problemi dell’eco-nomia è detto che al Mezzogiorno «deve essere data unaassoluta priorità in senso qualitativo e quantitativo, con-vogliando mezzi finanziari adeguati sia con provvedi-menti straordinari sia attraverso il coerente impiego dileggi ordinarie, ma evitando di ridurre la politica meri-dionalistica all’intervento straordinario e a trasferimentimonetari, bensì qualificandola conic asse portante del-l’intera azione di politica economica».

L’affermazione, come al solito, è chiara e netta.Ma ci domandiamo, con qualche preoccupazione, co-

me concretamente queste enunciazioni saranno tramuta-

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te in fatti partendo da un vincolo certo quale è quello im-posto dalla «lettera di intenti» al Fondo MonetarioInternazionale, nel detto accordo richiamata, che, fissan-do un tetto massimo, impone una contrazione della spesapubblica di 5.000 miliardi circa.

A fronte di questo limite per altro va considerato:1) lo stesso accordo prevede che lo Stato si accolli di-

rettamente nel 1978 il 50 per cento dei debiti pregressi diquegli Enti locali (i meno poveri certamente) che avran-no pagato le prime quote di ammortamento del mutuo aconsolidamento dei debiti stessi. Anche qui sono illumi-nanti taluni dati del rapporto dello Svimez. Dall’esamedella situazione finanziaria degli Enti locali si rileva chel’acceleramento dell’indebitamento degli Enti locali delCentro-nord per la copertura dei deficit di parte correnteha superato nel 1975 quello relativo agli Enti locali delMezzogiorno. Si legge testualmente nel rapporto: «In ta-le anno, infatti, il deficit di parte corrente coperto connuovo indebitamento è aumentato per gli Enti locali delCentro-nord del 57,5 per cento rispetto alle cifre corri-spondenti dell’anno precedente; nello stesso anno, l’au-mento correlativo riguardante gli Enti locali delMezzogiorno appariva notevolmente meno elevato: 22,3per cento. Ma la differenza fondamentale tra gli Enti lo-cali del Centro-nord e quelli del Mezzogiorno è che i pri-mi hanno continuato a indebitarsi anche per la coperturadi spese d’investimento ad un ritmo elevatissimo che, trail 1974 e il 1975, faceva variare l’importo dei nuovi de-biti contratti a questo fine da miliardi 394,1 a miliardi1.198,7, con un incremento pari al 204 per cento. Per gliEnti locali del Mezzogiorno, invece, la corrispondente

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variazione, tra il 1974 e il 1975 è stata soltanto del 22,3per cento (da miliardi 55,2 a miliardi 67,5); di modo che,nel 1975, l’incremento dell’indebitamento per spesed’investimento degli Enti locali del Centro-nord è risul-tato quasi 18 volte più grande di quello degli Enti localidel Mezzogiorno»;

2) nell’accordo si prevede come possibile una, sia purcontenuta, fiscalizzazione degli oneri sociali ove gli scat-ti della scala mobile superino i livelli previsti dalla lette-ra di intenti;

3) nel 1978 scatteranno gli ulteriori effetti della con-trattazione per gli statali.

Che la somma degli oneri di queste tre ipotesi risulte-rà di molte migliaia di miliardi è una facile profezia.

Non vorrei che anche questa volta le enunciazioni re-stino tali o peggio diventino slogans!

La reale unità d’intenti per il Mezzogiorno potrebbe in-tanto misurarsi in quella del tortuoso e lungo iter del dise-gno di legge di ristrutturazione e riconversione industriale.

In proposito ancora una volta ripetiamo che l’attualeimpostazione del disegno di legge aggraverebbe il duali-smo territoriale del nostro Paese facendo perdere una oc-casione non ripetibile.

Ed è proprio valutando i risultati dell’andamento del1976 del settore industriale e del settore dei servizi nel-l’area fortemente industrializzata del Paese che non sicapisce come, in nome della difesa degli attuali livellioccupazionali, si possa difendere il mantenimento, inquelle aree, delle strutture industriali da riconvertire.

La fisiologica espansione conseguente alla ristruttu-razione, l’espansione continua del settore dei servizi ga-

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rantiscono a quelle aree ben altro che il riassorbimentodegli attuali occupati nelle industrie trasferite in sede diriconversione.

Con la notazione aggiuntiva che il tasso di crescitadella popolazione, che nel Mezzogiorno riprende a cre-scere più fortemente, è sceso nel Centro-nord nel ‘75 al-lo 0,4 per cento e nel ‘76 allo 0,3 per cento.

Va quindi invocato con forza che si cominci con que-sta prima occasione e si confermi nei fatti la conclamataidentità fra Mezzogiorno e crisi del Paese.

Un’altra area di verifica, che non può essere tralascia-ta e che va seguita, anche questa con preoccupazione, èquella della Comunità Europea. Troppo spesso, anchequi, da una parte si dà e da più parti si toglie.

Le conseguenze per l’agricoltura meridionale del pro-gettato allargamento della Comunità a Paesi mediterra-nei sono allarmanti e già sufficientemente denunciate.Noi non pensiamo neppure a pretese chiusure di alcungenere a tutela della nostra produzione, ma abbiamo il di-ritto di chiedere — ed il Comitato dei rappresentanti del-le Regioni meridionali è la sede per la formalizzazione diuna tale esigenza — che globalmente la politica dellaComunità risulti compensativa di un danno che grave-rebbe esclusivamente sul Mezzogiorno d’Italia.

Dal complesso di queste mie considerazioni non v’èdubbio che viene fuori un quadro desolante e denso digravi preoccupazioni. Ma ciò non è finalizzato nè puòportare a previsioni catastrofiche o protestatarie.

E però un quadro realistico che impone la conferma dialcune consapevolezze e la assunzione di talune respon-sabilità.

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L’unità delle Regioni meridionali, la validità della leg-ge 183 e della sua gestione, la esistenza del piano quin-quennale e delle sue indicazioni e prescrizioni, la possibi-lità che le Regioni utilizzino le loro risorse con maggioreoperatività e migliore destinazione, la vigilanza sullescelte che gli organi centrali dello Stato operano — ed inquesto chiediamo al ministro De Mita la conferma dellasua operosa disponibilità — sono prove che appartengo-no a noi e che dovremmo porre in essere tutti noi.

La nostra Regione poi che ha avuto più risorse finan-ziarie di altre Regioni e, con l’assegnazione della prossi-ma tranche del fondo di solidarietà nazionale ne avrà ul-teriormente, deve potere e sapere fare di più.

La mobilitazione di oltre 1.000 miliardi operata con ilpiano di interventi, oggi in piena attuazione; lo sforzo chestiamo operando nel 1977 (in questo primo semestre ab-biamo mobilitato risorse per oltre 500 miliardi oltre laspesa ordinaria già autorizzata e prevista); la piena e rapi-da utilizzazione delle risorse che la attuazione della 183rende disponibili per la Sicilia; la utilizzazione, appenadisponibile, del nuovo fondo di solidarietà nazionale, co-stituiscono un complesso di interventi che, organicamen-te valutati e seriamente coordinati, possono costituire unaprima consistente risposta alle esigenze dell’Isola.

Ed il piano quadriennale per il Mezzogiorno, conl’imposizione di un riferimento politicamente vincolan-te al metodo della programmazione, avrà realmente co-stituito per la Sicilia, come per tutto il Meridione, l’iniziodi una nuova tappa nel cammino lento, difficile e con-tradditorio della crescita del Sud d’Italia.

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Magistero sociale, capitalismo, azione politica dei cat-tolici (*)

Monreale, 27 aprile 1978

Il tema è molto ampio e di grande interesse ed attuali-tà. L’insegnamento della Chiesa, quello che è stato giu-stamente chiamato il suo magistero sociale, conta menodi un secolo prendendo come punto di partenza la Rerumnovarum di Leone XIII ed è tuttavia assai ricco, specienell’ultimo periodo allorquando, nell’arco di circa un de-cennio dalle due encicliche giovanee si è giunti allaPopulorum progressio e poi alla lettera apostolica in oc-casione dell’80° anniversario appunto della Rerum nova-rum. Segno dei tempi, segno cioè che la Chiesa, come inpassato, avvertiva fortemente l’esigenza di mettere ordi-ne nella materia. Giacché mi pare che anche questo siastato il motivo ispiratore di questi documenti pontifici oconciliari: l’esigenza appunto di dare ai fedeli un sicuropunto di riferimento dottrinario nel mare della contem-poraneità, cioè del dibattito che, specie nell’ultimo scor-cio di tempo, è andato facendosi sempre più frenetico e avolte convulso. Si trattava di offrire ai fedeli un’ancora disalvezza, una messa a punto, un momento che significas-se richiamo non ad astratti principi dottrinari ma piutto-

(*) Testo di una lezione tenuta all’Istituto di magistero sociale «LuigiSturzo» di Monreale; in essa sono sintetizzati le radici e i principi ispira-tori dell’azione politica di Piersanti Mattarella.

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sto ad inquadrare la realtà, da cui sovente si rischia di es-sere travolti, in una luce cristiana. Ricordatevi, sembravoler dire la Chiesa, di essere cristiani. Badate che tuttoquello che accade intorno a noi, tutto quello a cui assiste-te e che udite va filtrato attraverso il vostro cristianesimo,la vostra dimensione primaria. Questo mi sembra essereil primo valore del magistero sociale, un valore assolutonon ancora tradotto in precetti dettagliati e tuttavia pri-mario, direi di principio.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che questi docu-menti della Chiesa sono nati nel tempo, sono anch’essi inqualche misura figli del loro tempo e risentono quindiinevitabilmente della cultura del tempo. Essi, nella misu-ra in cui tendono a fissare limiti ed ambiti precisi, risulta-no in qualche modo datati e limitati dalla esigenza logicadella reductio ad unum di una realtà invece in perennemovimento. Questo tuttavia non ne attenua nè il valore dicui parlavo dianzi e che non a caso ho definito primario,di ammonimento cioè sul carattere cristiano di ogni no-stro atto, nè d’altro canto ne attenua il valore storico dimomento cioè del dispiegarsi del libero magistero dellaChiesa e del potenziale di influsso che esso è venuto si-gnificando, sopratutto nell’azione sociale dei cattolici cheda quel magistero sono ispirati. E non ne attenua neppure,vorrei dire, il valore sostanziale di analisi, dato che è notala prudenza con cui la Chiesa si muove e la lunga prepa-razione di cui questi documenti sono frutto. Le analisi inessi contenute non sono mai frettolose e perciò stesso as-sumono valore scientifico anche se non assoluto.

Ma per ricondurci a quel concetto di documenti data-ti a cui accennavo prima io credo che noi possiamo senza

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difficoltà individuare diversi momenti dell’interventodella Chiesa di cui quello di Leone XIII costituisce il pri-mo, storicamente l’origine. Certo si tratta di un docu-mento a carattere non rivoluzionario nel quale ad unaanalisi di tipo nuovo, che dovette suonare ostica a molteorecchie liberaleggianti in quella fine di secolo, certonon corrispondeva una terapia rivoluzionaria, quantomeno nel senso laico del termine.

È stata rilevata in quel documento la presenza e l’in-flusso peraltro inevitabili della dottrina liberista, dellastessa concezione naturalista dell’economia, tipicadell’800; un documento in cui fra l’altro è insufficiente-mente approfondita l’analisi delle cause delle distorsioniche pure si rilevano nel funzionamento del sistema eco-nomico liberista. Non si percepisce, si dice, che queglierrori e quelle deviazioni di cui erano vittime le classi piùumili, non erano inevitabili come un male necessario maerano il prodotto di quelle che furono poi definite le con-traddizioni del capitalismo, quelle cioè che anche in annirecenti noi stessi abbiamo potuto individuare senza diffi-coltà: la libera concorrenza che dispiegandosi rinnega sèstessa, lo sviluppo che inevitabilmente innesca un mec-canismo per cui i ricchi sono sempre più ricchi c i poverisempre più poveri, un meccanismo che coinvolge nonsolo i singoli ma sopratutto le regioni e le stesse nazioni.

Ad una analisi dunque figlia del suo tempo il docu-mento pontificio non fa seguire esiti rivoluzionari. Maper capire meglio questa posizione è necessario tenerconto che la Chiesa non ha di mira la presenza in questomondo, quanto la realizzazione dell’ideale cristiano nel-l’altro. La sua dunque non è acquiescenza ai mali del ca-

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pitalismo, bensì analisi di essi, presa di posizione di va-lore cristiano appunto nella misura in cui si prende atto dinon poter continuare a tacere su quella che allora venivadefinita la questione sociale. Ecco dunque la duplice esi-genza di fare chiarezza e di farla con un richiamo ai prin-cipi, di mettere cioè in contatto realtà e principi irrinun-ciabili della dottrina della Chiesa, di ammonire sul realeattraverso il soprannaturale.

Certo questo atteggiamento di fondo, questi ovvi li-miti nell’analisi dei fenomeni economici sono in granparte non più rilevabili nell’ultimo insegnamento socia-le della Chiesa, sopratutto in quello giovanneo e postconciliare. Le analisi si sono fatte più penetranti e piùprecise, le denunce più evidenti, del resto anch’esse fi-glie di una mutata temperie. Ma direi che non muta l’at-teggiamento di fondo. Esso, si badi bene, non è un atteg-giamento di accettazione, nè tanto meno di approvazio-ne. È semmai un atteggiamento di acquiescenza di chipone l’amore a base della propria dottrina. Occorre vi-vere nel mondo contemporaneo, occorre anzi non solovivere ma essere presenti nel sociale, e dunque ricordia-moci quali sono le norme a cui il cristiano deve attener-si Questo non significa che noi accettiamo questo mon-do, nè le sue regole. Anzi noi richiamiamo chi è cristia-no a comportarsi secondo i principi del Vangelo e del-l’insegnamento della Chiesa, dato che per il cristianol’azione politica, sociale, economica e la morale non so-no mai dissociabili; ad essi principi occorre ispirare tut-ta la nostra azione. Questo mi pare il valore di fondo ditutto l’insegnamento sociale della Chiesa e quindi in de-finitiva anche il rapporto con il capitalismo che non è

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mai nè accettato nè approvato sopratutto, ripeto, nei do-cumenti più recenti.

E del resto basta guardare alle conseguenze che il ma-gistero sociale della Chiesa ha provocato nell’azione po-litica e sociale dei cattolici; basta ricordare talune pre-senze più significative della Chiesa in quest’ultimo tornodi tempo sopratutto nei paesi dell’America Latina e delTerzo Mondo per capire che il frutto di quell’insegna-mento è stato pienamente compreso e recepito da chi erapiù direttamente interessato a comprenderlo, cioè da chiera a più diretto contatto con le contraddizioni del capita-lismo di cui parlavo prima; meno da chi quelle contrad-dizioni ha sotto gli occhi con minore evidenza: ed eccoquindi affluire intorno al partito cattolico alle sue origini,(ma sono distinzioni che avvertiamo, sia pure in formediverse, oggi come ieri) masse desiderose di riscatto gui-date da figure profetiche assai avanzate (penso a Migliolio a Grandi) e insieme grandi concentrazioni di interessicollegate alla Chiesa magari da efficaci opere benefichema preoccupate di arricchire i bastioni della turrita citta-della della conservazione contro gli assalti del nuovo. Ela Chiesa certo ha accolto gli uni e gli altri come si con-viene del resto in modo perfettamente legittimo ad unaconfessione religiosa che, appunto perchè tale, finisceper prescindere in buona sostanza dai fini terreni perguardare, del resto saggiamente, più decisamente versoquelli ultraterreni. Ecco il punto: finchè non ci si saràconvinti del carattere ultramondano della Chiesa si po-tranno comprendere solo parzialmente le posizioni cheessa è andata via via assumendo e che riguardano semprei fedeli, coloro cioè che chiedono e sollecitano dalla

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Chiesa una presa di posizione per proprio regolamentopersonale.

Ed ecco quindi che anche il capitalismo ha trovato al-bergo nelle vaste sacrestie della Chiesa di Cristo ma nonper riceverne benedizioni nè improbabili autorizzazionia procedere.

Ma è pur vero anche il contrario e cioè che sotto l’egi-da dell’insegnamento della Chiesa è andata dispiegando-si l’opera politica dei cattolici democratici, la cui azionesi è mossa proprio dai presupposti del magistero sociale.Ma quel che mi preme di più a questo riguardo è accen-nare a due concetti fra loro correlati: il primo è che l’in-segnamento sociale della Chiesa non è rimasto inascolta-to nè è caduto su un terreno arido. Al contrario esso hagermogliato e in qualche caso è fiorito in azione politicadiretta, veramente illuminata dalla luce della DivinaProvvidenza. Penso a grandi figure come Sturzo, comeDe Gasperi, come La Pira, come Vanoni, di cattolici mi-litanti cioè che hanno testimoniato direttamente non solocon l’azione politica ma anche con la propria personaleesperienza, illuminata dalla fede e contrassegnata da unamilizia intemerata, che è possibile fare politica, esserepolitici, realizzare grandi idee politiche restando in mo-do inalterato autentici cristiani. E l’altro concetto è chequalunque movimento, qualunque azione politica di cat-tolici si è mossa nel nostro Paese proprio sulla base del-l’insegnamento sociale della Chiesa. Questo è avvenutotra la fine dell’800 e i primi del ’900 sulla scia dellaRerum novarum, allorchè il mondo cattolico si mossesull’onda dell’insegnamento leonino; questo è avvenutoalla fine della seconda guerra mondiale allorquando al-

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l’insegnamento leonino si aggiunsero i precetti dellaQuadragesimo Anno che, appunto quarant’anni dopo,lo ricordava e in certo senso lo aggiornava e lo appro-fondiva.

Mi riferisco in particolare ai primi documenti dellaDemocrazia Cristiana, dalle Idee ricostruttive al Pro-gramma di Milano, che, pure frutto della elaborazione digruppi diversi, attingevano a piene mani a quelle duefonti a cui il Radiomessaggio natalizio del ’42 di Pio XIIaveva aggiunto nuova linfa. Si trattò di un testo assai co-raggioso che non poche meraviglie destò in quei tristigiorni di guerra e che nuove speranze alimentò in chi sipreparava fervidamente a raccogliere la dolorosa ereditàdel fascismo.

Mi riferisco anche a quel documento dal titolo Per lacomunità cristiana, Principi dell’ordinamento sociale,meglio noto come codice di Camaldoli che apparve aRoma nel ‘45 ma che in effetti era stato elaborato circadue anni prima nell’eremo toscano da un gruppo di gio-vani studiosi cattolici fra cui basterà ricordare Vanoni,Paronetto, Saraceno, il padre Lopez ed altri. Basterà ri-cordare gli scritti di quegli stessi anni di vigilia dello stes-so Vanoni in cui appare evidente l’influenza diretta dalledue encicliche papali già ricordate. E dunque il pensierosociale della Chiesa è stato e vorrei dire è alla base del-l’azione politica dei cattolici in Italia e taluni segni dellaloro stessa azione mi paiono evidenti conseguenze diquesto presupposto.

Intanto le stesse diffidenze cattoliche per il liberali-smo, il progressivo distacco cioè del partito cattolico daiprincipi del liberalismo puro, ritenuti superati da una

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realtà economica in perenne evoluzione e che aveva in-tanto conosciuto Keynes e Schumpeter, e cioè i teoricidell’economia liberale della guerra e del dopoguerra neiquali sono già evidenti i segni di una diagnosi non trion-falistica del capitalismo e delle sue stesse contraddizioni,e in cui esso viene riguardato già, specie dal secondo, conocchio critico e disincantato e con una punta di pessimi-smo per il futuro. L’attenzione — ecco un altro segno —per l’idea di piano non come fatto di pianificazione col-lettivistica e quindi non come strumento di mutamentodell’economia liberale ma piuttosto come correttivo del-la stessa, come strumento pratico di coordinamento diret-to ad eliminarne le più vistose contraddizioni, quelle senon altro frutto di decisioni non coordinate fra loro, detta-te da interessi o da spinte particolaristiche. Altra cosa èevidentemente il costatare come in Italia l’idea di pianonon abbia fatto molti passi avanti: certo è però che essa èstata costantemente presente fin dagli inizi nei program-mi dei cattolici impegnati in politica, come uno dei punticaratterizzanti della loro azione. Altro motivo evidente èl’attenzione tributata in anni lontani, e quindi più larga-mente intrisi di liberismo, alla industria pubblica anch’es-sa vista come correttivo alle distorsioni del mercato libe-ro, della concezione naturalistica dell’economia.

C’era sempre evidente in queste linee d’azione lostesso motivo ispiratore che abbiamo visto alla base deidocumenti pontifici: disapprovazione del capitalismo eallo stesso tempo convinzione e volontà di poterlo modi-ficare dal di dentro, attraverso pacifiche mutazioni, attra-verso, in definitiva, quel che possiamo anche chiamare ilriformismo cattolico, un riformismo evidentemente che

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risultava essere ispirato non da una visione edonistica dipuro appagamento di desideri terreni, bensì da una visio-ne cristiana generale in cui ciascuna persona umana (edecco il tratto del personalismo) poteva dispiegare al me-glio sè stessa in un continuo processo di promozioneumana. Evangelizzazione e promozione umana non sonodunque due termini nuovi: sono in definitiva i tratti co-stanti non solo dell’insegnamento della Chiesa ma anchedella stessa azione politica e sociale dei cattolici.

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Sull’assassinio di Aldo Moro (*)

Palermo, 11 maggio 1978

Così come mi accadde la mattina del 16 marzo, la no-tizia, prima imprecisa poi data per certa, del ritrovamen-to del corpo di Aldo Moro assassinato, appresa mentreeravamo riuniti nella direzione della DemocraziaCristiana, ha suscitato anche in me un vero tumulto diumani sentimenti.

Quando subito dopo, con pochi altri componenti laDirezione, ci recammo nella vicinissima via Caetani peressere certi direttamente della veridicità della notizia euna mano sollevò una punta della coperta e vidi il volto diAldo Moro, e durante tutte le complicate e forzatamentelente operazioni degli artificieri, la commozione fu solosuperata con la preghiera e con la consapevolezza che ilcolpo dato alle nostre istituzioni è talmente grave che èindispensabile iniziare subito con razionalità ad operareper difenderle. Senso del dovere, quel «nuovo senso deldovere» che Aldo Moro invocava come necessario persalvare il Paese, e sentimenti umani non sono però incontraddizione; anzi tutta la vita di Moro è la testimo-nianza nobile della loro perfetta conciliabilità.

(*) Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia. Il contributo vennesollecitato dalla direzione del quotidiano palermitano al PresidenteMattarella per le affinità ideologiche, politiche ed umane che lo legava-no all’onorevole Moro.

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All’indomani dell’efferato assassinio il permaneredei sentimenti di orrore, di angoscia, di rimpianto ine-sprimibile e la accresciuta consapevolezza dell’impegnodi servizio alle istituzioni non sommergono l’altro dove-re di ricordare la figura di quest’Uomo buono e giustoche nella sua vita ha dato alla società un contributo la cuidimensione e ricchezza non si è forse ancor oggi in gradodi apprezzare nella giusta misura.

Tutto il suo agire, religioso, umano, culturale, politicoè stato costantemente caratterizzato da un unico elemen-to: l’attitudine all’apertura, alla tolleranza, all’attenzio-ne, al rispetto nei confronti di chiunque. E non è possibi-le pensare separatamente alla sua figura umana, a quellaculturale, a quella politica, che sono tutte legate e identi-ficate da una profonda coerenza.

Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, di avervi fre-quenza sa come tutto fosse in lui determinato dalla suaumanità ricca, profonda, autentica: questa sensibilitàumana che lo faceva — al di là di facili e superficiali raf-figurazioni estranee — aperto, affabile e comunicativonei rapporti personali, era sviluppata ed accresciuta dallafede profonda e dalla frequenza discreta e quotidianadella preghiera e dei Sacramenti.

Da tutto ciò nasceva il suo costante atteggiamento dirispettosa attenzione in qualsiasi circostanza e dimensio-ne, rispetto alle posizioni delle grandi forze politiche oall’argomentare del più modesto fra i delegati di un con-gresso: significativamente è stato definito ieri «l’uomodell’ascolto».

La sua finezza intellettuale, la lucidità di pensiero, laprofonda cultura e la sua visione cristiana lo facevano ca-

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pace di cogliere ogni aspetto di novità che la società ma-nifestasse: oltre vent’anni addietro scriveva che primodovere dell’uomo politico cattolico è quello della com-prensione illuminata e serena della realtà, l’impegno dipenetrazione e interpretazione di essa.

E questa volontà di comprendere la realtà, di interpre-tarla, è stata la costante del succedersi delle sue posizio-ni politiche. Chi ha seguito o chi legga le sue relazioni o isuoi interventi in sede di congressi o assemblee di partitoo in occasione della presentazione dei suoi governi alleCamere, coglie con chiarezza lo sforzo e la capacità di in-terpretazione della società e della storia, uniti alla lungi-miranza della visione politica e a un disegno di guida de-gli eventi, che sono propri dei grandi statisti.

Era la risultante di una grande e profonda meditazio-ne cui lo conduceva il senso di responsabilità e la consa-pevolezza della gravità delle decisioni che, pur nellapronta intuizione, rifiutava di assumere d’impulso, mache faceva precedere da una ponderata, attenta riflessio-ne, da cui poi traeva la serenità per mantenere ferma-mente quanto deciso. Era, in fondo, lo stesso atteggia-mento che lo ispirò nella felice esperienza di governoche, lungi dall’essere, come a taluno superficialmenteparve, eccessivamente riflessiva e prudente, nasceva dal-la consapevolezza dei tempi di maturazione dei problemie dei movimenti politici, avvertita soltanto da chi sa ve-derli nella corretta prospettiva storica.

E la prospettiva storica in cui si collocava e in cui in-quadrava tutta la sua azione era quella di perseguire larealizzazione di una società più giusta, costruita cristia-namente a misura d’uomo e che risultasse dalla sempre

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più vasta partecipazione popolare alla responsabilità del-la cosa pubblica, dalla valorizzazione e dalla acquisizio-ne di tutte le sue componenti, sopratutto di quelle emer-genti, per dare alla base democratica dello Stato, comeegli disse nel ‘62, più consistenza, più ampiezza, più so-lidità, per farne lo «Stato di tutti». Ma la disponibilità, laprovvida ricerca dei momenti di unione, non consisteva enon doveva diventare — come lui stesso scrisse — «me-diocre attitudine al compromesso o pericolosa indiffe-renza ideologica». Come ha scritto Manzini «era in erro-re (ed alcuni caddero in un falso giudizio politico) chicredeva di interpretare la disponibilità critica e razionaledel Moro politico, come una inclinazione alla transazio-ne, al compromesso o, meno che mai, all’arrangiamento.La flessibilità di Moro era di metodo e di necessità; nondi finalità; si fermava al limite della coerenza: a quel con-fine egli fu ben fermo.

«La sua professione cattolica, la sua fedeltà morale, lafinezza della sua sensibilità politica, la profondità dellasua cultura lo facevano intransingente se si trattava deivalori fondamentali dell’azione politica, nella coerenzasui fini e sui mezzi, moralmente intesi».

La convinta ricerca della mediazione e delle massimepossibili convergenze ne aveva fatto il centro sempre piùnaturale e riconosciuto del sistema politico e parlamenta-re del nostro Paese, ma ciò non ne ha in nessun momentoalterato la personalità cristianamente semplice e schiva,che lo induceva persino ad atteggiamenti esteriori di as-soluta noncuranza verso gli aspetti o le esigenze della po-polarità.

Questa attitudine muoveva consapevolmente anche

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da un profondo senso del dovere che lo condusse costan-temente ad accettare gli incarichi e le responsabilità affi-datigli ma altresì a favorire e a determinare, come nel ‘71e nei mesi scorsi, formule e soluzioni che personalmentelo escludevano ma nelle quali individuava l’interesse ge-nerale.

Al di fuori di ogni vuota retorica interpretò, semplice-mente ma con profonda autenticità, quello che nel ‘57definì il vivere con senso religioso del dovere «la propriaprofessione, la propria vita intellettuale, i rapporti di la-voro, l’impegno politico».

Scriveva che questo è lo spirito con cui il cattolico en-tra nel mondo politico «per portarvi non uno spirito cle-ricale, di dominio, ma un officium clerici, di subordina-zione e di servizo».

Questo spirito reale di servizio, di continua critica everifica, anzitutto nei confronti di sè stesso, spiega per-ché non esitasse ad assumere talvolta, nell’ambito dellaDemocrazia cristiana, posizioni scomode e non di mag-gioranza, posizioni su cui successivamente veniva rag-giunto da altri cui era mancata la sua visione anticipatri-ce; e spiega pure perché nel Partito privilegiasse le quali-tà dei collegamenti al loro peso numerico, alieno comeera dal mero calcolo di convenienza.

Alla sua posizione di servizio e di disponibilità si rifa-ceva pure la sua particolare sensibilità alle incompren-sioni che lo ferivano intensamente proprio perché consa-pevole di essere personalmente sempre rispettoso di tuttie aperto alla mediazione e all’incontro.

In questo terribile momento che il Paese attraversa lavita e il magistero di Aldo Moro costituiscono, come fu

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nella sua vita, punto di riferimento e di ispirazione perchi fermamente vuole che la nostra convivenza civile edemocratica non finisca e per ciò si alimenti di autenticivalori umani oggi smarriti. La famiglia di Aldo Moro chefu per lui rifugio di serenità e centro di alimentazionemorale e ideale e che vive una ingiusta, disumana provae a cui vanno comprensione, rispetto e affettuosa solida-rietà, sa che Moro è stato e sarà certamente per tutto ciòche ha detto e scritto nella sua vita fonte di insegnamen-to e di guida per la storia d’Italia.

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L’iniziativa politica della D.C. per lo sviluppo delMezzogiorno (*)

Palermo, 14 luglio 1978

Caro Zaccagnini,taluni dati ed elementi di fatto emersi in questi ultimi

tempi sul Mezzogiorno, ai quali ho avuto modo di dedi-care maggiore attenzione in questi brevi ma intensi mesialla guida della Giunta regionale siciliana, mi inducono asottoporti alcune considerazioni, a mio avviso meritevo-li di approfondimento, sulla scorta delle quali riterrei op-portuna una ripresa dell’iniziativa politica del Partito.

Il rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiornonel 1977, presentato a Napoli alla fine di giugno, ha mes-so in evidenza ancora una volta una serie di dati negativi,il primo dei quali riguarda la caduta degli investimentiche, in termini reali, hanno fatto registrare un calo dello8,8% rispetto all’anno precedente, che si sovrappone, di-rei, alla flessione del 12% già registrata l’anno scorso.

Dall’insieme dei dati del rapporto è possibile verifica-re l’effetto perverso della duplicità del sistema economi-

(*) Lettera inviata all’onorevole Benigno Zaccagnini, segretario na-zionale della D.C.. Mattarella, Presidente della Regione da qualche me-se, indirizzò questa lunga e argomentata lettera al segretario politico delsuo partito per illustrare i mutati, ma non per questo meno gravi, terminidel perdurante dualismo dell’economia italiana e chiedere, su questo te-ma, la ripresa dell’iniziativa politica della D.C.. La lettera suscitò vastaeco nella stampa e nell’opinione pubblica.

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co italiano, per cui allorquando l’area più ricca fa regi-strare risultati positivi essa se ne avvantaggia esclusiva-mente, scaricando invece sull’area più povera i risultatinegativi, anche in termini di preoccupata e vigile tuteladell’esistente, nel momento in cui il processo di svilupposubisce battute d’arresto.

Nel frattempo, pur nella constatazione degli insucces-si e dei ritardi, non può farsi a meno di registrare con ilrapporto SVIMEZ che non esiste alternativa all’indu-strializzazione se si vuole veramente perseguire l’ade-guamento del Sud al Nord: giacché anche se in terminireali il reddito pro capite al Sud dal 1951 ad oggi si è qua-si triplicato, esso rappresenta pur sempre il 60% di quel-lo medio del Centro Nord contro il 57% registrato nel‘51; taiché l’effetto moltiplicatore della politica meridio-nalista in tutti questi anni non è andato oltre i tre punti diincremento nel recupero della famosa forbice.

Certo il volto del Mezzogiorno è molto mutato e ilproblema meridionale si è andato trasformando da que-stione contadina a questione cittadina: se nel 1950 le cit-tà meridionali superiori a 100.000 erano solo 8 con unaincidenza complessiva sulla popolazione meridionale di1/6, oggi esse sono divenute 14 con una incidenza di 1/4,pari quindi al 25% dell’intera popolazione meridionale.

Ma questo è solo un’effetto dell’andamento contrad-dittorio e disordinato dell’unico comparto che ha fatto dasettore trainante della economia meridionale in questianni. Mi riferisco ovviamente all’edilizia che ancora nel‘77 ha assorbito ben 700.000 addetti nel Sud e che, da at-tenti calcoli effettuati dallo SVIMEZ, dà luogo ad unaoccupazione indotta che per il Sud è calcolabile in oltre

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550.000 unità. Si tratta però di un settore che ha privile-giato l’edilizia privata più costosa al cui nascere e al cuisvilupparsi, non sempre ordinato ne gradevole, non si èaccompagnata una attenta politica urbanistica nè ade-guate risposte alle richieste di servizi civili e di infra-strutture urbane; abbiamo così potuto registrare il degra-do delle condizioni di vita civile in tutto il Mezzogiorno.Sicché in atto le ulteriori speranze di questo comparto, ilcui andamento non può però continuare ad essere lascia-to totalmente svincolato da limiti, restano legate all’equocanone (del quale non vanno taciuti però i possibili nega-tivi effetti su redditi di pura sopravvivenza quali molti diquelli percepiti al Sud) ed al piano decennale della casada tempo all’esame del Parlamento.

Nella generale flessione degli investimenti produttivifa spicco, occorre dirlo con molta chiarezza, la carenza diquelli pubblici. Basti pensare che nel ’77 gli investimen-ti delle Partecipazioni statali, pur essendo cresciuti, siapure di poco, in tutto il Paese, hanno fatto registrare unaflessione nel Mezzogiorno, con quali effetti ai fini del ri-equilibrio non è difficile immaginare. Ed infatti tali inve-stimenti pur essendo passati nel ’77 nel complesso da3.594 miliardi a 3.719 miliardi, sono invece diminuiti,per quel che concerne il Mezzogiorno, sempre nel ’77 da1.164 miliardi a 1.069 miliardi. Credo che giovi qui ri-cordare che una legge dello Stato, certo tra le più violate,obbliga gli Enti a partecipazione statale a riservare alMezzogiorno almeno il 60% degli investimenti.

Ma vi è un passo del rapporto SVIMEZ che desideroriportare per intero: «Nel dibattito che da qualche temposi svolge nel nostro Paese tutto sembra messo in discus-

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sione: talvolta esplicitamente, più spesso con silenzi si-gnificativi. L’industrializzazione? Meglio non pensarcinell’attuale crisi, non certo congiunturale, dell’economiamondiale. L’intervento straordinario? Si vedrà se conti-nuano dopo il 1980. Le agevolazioni finanziarie? Bastacon l’assistenza. L’impresa a partecipazione statale?Non si estenda più; si perde troppo. Il programma? Nelnostro Paese non è possibile».

Come vedi tutte critiche che possono anche conteneretaluni elementi di verità ma che fanno sbrigativamentegiustizia di tanti strumenti che costituiscono bene o maleun sistema, senza che nè il problema sia stato risolto nèsiano stati trovati rimedi diversi e più efficaci.

A ciò si aggiungono proprio in questi giorni le pole-miche sull’efficienza della Cassa per il Mezogiorno allavigilia di un probabile nuovo mutamento di vertici comesbocco, non certo risolutivo, di taluni ritardi, disfunzionie confusioni di ruoli, purtroppo registratisi nella concre-ta applicazione della «183». Il quadro programmaticoche questa legge delinea si è realizzato nelle enunciazio-ni del piano quadriennale varato l’anno scorso, ma non siè collegato, come auspicabile, con la spesa statale in ge-nere e in particolare con la legge «675», a proposito del-la quale si registrano le cocenti delusioni connesse ai pia-ni di settore, che non sembra potranno mutare di molto larealtà che ne forma l’oggetto ma che anzi delineano nonun rilancio, sia pure attraverso riordini, dell’industriabensì una sua compressione.

Proprio da uno di questi piani ho potuto trarre un altrosignificativo esempio che viene da un settore dell’indu-stria pubblica che ha segnato negli anni recenti una note-

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vole trasformazione delle sue strutture che è quello elet-tronico della telefonia. Ebbene l’occupazione di questosottosettore, di complessive 47.000 unità circa, è presen-te al Sud con 14.000 unità pari al 30%. Se però si guardaall’interno di questo ultimo dato ecco che è possibilescoprire un elemento assai significativo. Un’industriacosì tecnologicamente impegnativa, compensativa al-meno in teoria della larghissima disoccupazione intellet-tuale al Sud, esclude, tranne presenze numericamente epercentualmente irrilevanti strettamente indispensabiliper il funzionamento degli impianti, ogni occupazione alivello dirigenziale, ne consente una quota assai ridotta(17%) a livello impiegatizio, sostanzia la propria presen-za occupazionale nel Sud con un 83% di operai. NelNord invece la presenza operaia è del 60% circa cui cor-risponde un 40% di impiegati e dirigenti. Il che confermae rafforza l’ipotesi di coloro che sostengono che l’indu-stria nel Mezzogiorno non ha cessato finora di costituireun fatto meramente esecutivo di ordini elaborati altrove,un’industria cioè con il cervello nel Nord del Paese.

Il Mezzogiorno, e in esso la Sicilia, vive dunque mo-menti assai difficili e drammatici della sua storia, attana-gliato fra le difficoltà di una agricoltura minacciata nontroppo alla lontana dalla prospettiva dell’allargamentodella Comunità Europea che, se ci trova pienamente con-senzienti sul piano politico, non può però non imporreadeguata attenzione per limitare le preoccupazioni sulpiano della concorrenza, non solo agricola.

Il sistema industriale siciliano (come peraltro quellosardo) sconta con la crisi chimica errori commessi in se-de di programmazione nazionale allorquando si consen-

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tirono quelle ubicazioni delle quali però non erano statisufficientemente approfonditi i problemi di mercato equelli ambientali.

Nel frattempo, va ribadito con chiarezza, da parte del-lo Stato si prosegue con atteggiamenti e provvedimentiche assai poco hanno a che vedere con quella coerenzameridionalista da tanti e per tanto tempo auspicata. Siprosegue cioè in atteggiamenti certamente non accettabi-li che consentono di varare provvedimenti come la ri-strutturazione finanziaria delle imprese e la parziale fi-scalizzazione degli oneri sociali, che finiscono per sot-trarre risorse al Mezzogiorno per destinarle ancora unavolta al recupero ed al rafforzamento dell’area più fortedel Paese, perpetuando nei fatti quella politica dei duetempi che ha condannato e continua a condannare ilMezzogiorno. Perfino le innovazioni legislative in mate-ria di finanza locale si traducono nel fatto in un diversotrattamento tra enti locali, naturalmente con svantaggioper quelli del Mezzogiorno.

Emblematica di questa filosofia mi pare poi la vicen-da del ponte sullo stretto di Messina, tema caro alla clas-se dirigente siciliana in altri tempi e sempre respinto co-me fantascientifico. Tema che oggi ci vediamo rispolve-rare da una accorta campagna di stampa, fino ad un con-vegno nazionale dei Lincei, che presenta l’esecuzione ditale opera quasi come risposta e contropartita alle richie-ste di posti di lavoro nel Sud. Non vorrei che questa rea-lizzazione, ammesso che venga fatta ed in ogni caso sen-za apporti finanziari della Regione siciliana, finisca perdiventare l’ennesima cattedrale nel deserto, la cui gran-diosità dovrebbe servire a mascherare altre più pressanti

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carenze. Altro sarebbe poter valutare una opera di taleconsistenza in un contesto programmato di sviluppo, chelogicamente andrebbe avviato preliminarmente.

Ancora una volta quindi, consentimi di dirlo, si tendea privilegiare per il Sud e la Sicilia un ruolo francamentesubalterno ad interessi che non sono nostri ed a continua-re a farci funzionare solo da mercato, e non da area pro-duttiva, al servizio piuttosto di altre aree produttive.

Si tratta in definitiva di un’opera che, proprio perchégrandiosa, non è consona né al momento in cui viene pro-spettata (il Sud paga gravemente la netta caduta dellaspesa pubblica) nè ai luoghi in cui essa sorgerà, bisogno-si piuttosto di opere corrispondenti ad esigenze ancoraprimarie. Basti pensare a quest’ultimo riguardo che re-centi dati dell’ISTAT rilevano che il consumo giornalie-ro di acqua per abitante nel Mezzogiorno è di 187 litri,contro i 345 del Nord; vale a dire che il dato riguardanteil Sud si aggira intorno al 50% del corrispondente datoper il Nord.

Il problema del Mezzogiorno ed il peso per la sua so-pravvivenza a carico dell’intero Paese, che non può più alungo essere sopportato, impone il superamento di ognilogica meramente congiunturale o dei cosiddetti «duetempi». Infatti se è vero che il costo che la situazione delMezzogiorno, che consuma più di quanto produce, fagravare sulla economia nazionale non è a lungo soppor-tabile e non solo per motivazioni economiche, è altret-tanto vero che l’altro rimedio, quello di comprimere il li-vello di vita del Sud, sarebbe tragicamente un rimediopeggiore del male. Ciò non solo perché i livelli di vita nelMezzogiorno sono ormai al limite ultimo della accettabi-

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lità ma anche perché le tensioni sociali e politiche ne ri-sulterebbero riacutizzate ed assai pericolose.

Queste considerazioni ho ritenuto di doverti sottopor-re, caro Zaccagnini, affinché tu ne faccia oggetto di ri-flessione, ripeto, nella prospettiva di una ripresa dellainiziativa politica del Partito su questi temi, da affrontarecon grande concretezza e al di là di schemi o formule.

Il Partito prima di altri deve superare la logica presen-te anche in taluni atteggiamenti del nostro ufficio econo-mico che considera quello del Mezzogiorno come unproblema isolato o da isolare rispetto alle grandi scelteeconomiche. È invece una politica nazionale che è ne-cessario proporre; è il saper cogliere a pieno l’interesse ditutto il Paese e degli stessi operatori economici del Nord;è il rimediare strutturalmente ai divari esistenti, il risulta-to che il Partito deve conseguire.

È a questo scopo che ti chiedo di convocare su questistessi temi una apposita riunione della direzione delPartito ove essi potranno essere discussi e approfonditi,anche al fine di valutare la sede, i tempi e le responsabili-tà per delle precise proposte che la Democrazia cristianaha il dovere di fare perché le promesse, i propositi, gli at-ti compiuti siano realmente determinanti di una svoltapositiva nel cammino del Paese per il Mezzogiorno.

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Realtà e prospettive del Mezzogiorno d’Italia (*)

Pescara, 4 settembre 1978

Mi pare anzitutto doveroso da democratico cristianoimpegnato nel servizio politico in una comunità regiona-le del Sud sottolineare preliminarmente il significato edil valore di questa manifestazione e della giornata di og-gi dedicata dalla Democrazia cristiana ad una concretavisione, nell’ambito di strategie nazionali ed internazio-nali del nostro Paese, della realtà e delle prospettive delMezzogiorno d’Italia.

Credo sia un segno positivo ed apprezzabile di rinno-vata sensibilità e di avvertita attenzione dalla quale au-spichiamo scaturisca una operatività incisiva nelle sceltegenerali del Partito.

Questa nostra manifestazione poi si caratterizza per lapresenza dei presidenti di tutte le regioni meridionali,tutti amici del nostro partito: anche questo fatto costitui-sce una occasione ed una ragione ulteriore di maggioreimpegno della Democrazia cristiana. E l’averci qui riuni-to per manifestare la nostra valutazione in una occasionecosì qualificata è certamente significativo.

(*) Relazione pronunziata alla tavola rotonda sul Mezzogiorno svolta-si nell’ambito della festa nazionale dell’amicizia organizzata dalla D.C. aPescara. In essa vengono ripresi alcuni dei temi contenuti nella lettera in-viata a Zaccagnini alcuni mesi prima e riportata nelle pagine precedenti.

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Ma la nostra presenza, cari colleghi, consente di ini-ziare questa mia introduzione con una considerazioneche riguarda proprio la gestione delle amministrazioniregionali nel Sud.

Si è scritto e si è detto con abbondanza di «lunghi son-ni delle regioni meridionali», di «regioni sonnacchiosedel Sud»; «di necessità di sopperire alla inefficienza del-le Regioni meridionali, alla loro rissosità interna e allaloro sonnolenza decisionale»; si sono pubblicizzati dati estatistiche (alla statistica, malamente utilizzata, non è poitroppo difficile far comprovare tesi prefissate!) che vo-gliono sottolineare l’appesantimento, la lentezza, la in-capacità di spesa, la pletoricità delle regioni meridionali,per far ciò si è persino comparato il numero dei dipen-denti regionali al numero degli occupati di ogni regione,arrivando ovviamente alla conclusione che le regioni colminor numero di occupati risultano, per riflesso, con al-tissime percentuali di impiegati regionali e viceversa!

Si è sottolineato il grave fenomeno dei residui passivi odelle giacenze di cassa delle regioni in genere e di quellemeridionali in particolare quasi a conferma di una ineffi-cienza tutta meridionale: potrei, avvalendomi delle com-parazioni statistiche, evidenziare che i consuntivi 1977fanno registrare per l’Emilia, il Piemonte, la Lombardia,l’Umbria aumenti dei residui passivi assai consistenti, pertalune il raddoppio, e oltre, rispetto al 1975.

La stessa amministrazione dello Stato con un aumen-to di 1.275 miliardi è arrivata con il consuntivo del 1977al record di 19.407 miliardi, con l’aggravante che l’inci-denza della spesa corrente e dei trasferimenti nel bilanciodello Stato si è fatta negli ultimi esercizi sempre più alta,

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mentre al contrario, come altre regioni meridionali, laRegione siciliana registra (cito il dato a me più facile)una diminuzione dei suoi residui passivi del 17% nell’e-sercizio 1977 sul precedente esercizio ed un volume dipagamenti di ben 1.426 miliardi.

Ma al di là di facili ritorsioni polemiche che nulla tol-gono alla gravità del fenomeno, dobbiamo invece faredue considerazioni di carattere generale: la prima è la do-verosa necessità da parte della classe dirigente meridio-nale del massimo impegno e del massimo sforzo per ave-re le «carte in regola», non certo in una concezione for-malistica e burocratica ma in direzione del funzionamen-to massimo possibile delle strutture regionali e del con-seguimento più rapido possibile delle finalità enunciate eproprie delle nostre responsabilità; la seconda è la con-statazione di un duplice tentativo tendente da un lato ascreditare le regioni in generale nel momento in cui essestanno per assumere il ruolo determinante di protagoni-ste della vita del Paese, per favorire un innegabile riflus-so accentratore (esempi: legge quadrifoglio, d.d.l. qua-dro sul turismo, taluni eccessi nel controllo dei flussi fi-nanziari); e tendente dall’altro a ricercare, nelle carenzedelle regioni meridionali, un diversivo, un alibi, per ilpermanere, più drammaticamente che nel passato, delproblema meridionale.

Problema meridionale inteso non limitatamente aiproblemi nel e del Mezzogiorno ma più compiutamenteal come la società italiana, tutta la società italiana, si col-loca dinnanzi al problema nazionale che è il Sud: dall’at-tenzione e dall’atteggiarsi dei protagonisti pubblici dellavita nazionale, a quella degli industriali, dei sindacati,

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della cultura, della stampa e dell’informazione in gene-rale, a quella di ogni italiano.

Non è demagogia ma amara realtà quella di doverequi, senza complessi di sorta, ancora una volta denuncia-re il permanere di luoghi comuni, di facili denigrazioni,di amplificazioni e gonfiamenti dei mali del meridioned’Italia in una sorta di strategia tendente a sottolineare, aricordare, a diffondere una immagine politica, sociale,culturale civile da sottosviluppo quasi immodificabile, alquale rassegnarsi! Il Sud sarebbe per costoro solo colore,folklore, tradizionalismo stantio.

Noi conosciamo i nostri mali, conosciamo le nostreresponsabilità, le nostre incapacità, ma conosciamo an-che le responsabilità, le incapacità, gli interessi di tantialtri. E conosciamo anche i nostri valori, le nostre capa-cità, la nostra potenzialità.

Il sottosviluppo lo si cristallizza, coltivando la con-vinzione che è tale, irrimediabilmente tale.

Anche qui però vale la opportunità autocritica di valu-tare se nel Sud tutto, proprio tutto, è stato fatto per concor-rere maggiormente a eliminare i ritardi più macroscopicidella nostra vita civile e sociale e va riaffermata la necessi-tà di un maggiore impegno, anche come partito, perché ilcostume, i modi individuali e sociali di essere presenti nel-la realtà politica, sociale, culturale, civile siano portati a li-velli migliori, esaltando e utilizzando tutto il potenzialeumano e intellettuale, di cui la gente del Sud è ricca.

Scrisse Silone nel 1955: «Nel nostro Sud nessun pro-gresso può attecchire e durare manovrato dall’alto, al-l’insaputa e in assenza degli interessati, senza mettere inmoto le energie nascoste e senza il loro entusiasmo».

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Scritti e discorsi

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Il richiamo ai nostri doveri, alle nostre responsabilità,all’impegno di avere le carte in regola nulla toglie allaconsapevolezza che l’avvenire del Mezzogiorno, le pro-spettive di crescita per la gente del Sud si possono svi-luppare solo attraverso il realizzarsi deciso, anche se gra-duale, coerente, anche se difficile, di una politica nazio-nale ed europea.

La dimensione necessariamente ed essenzialmentenazionale del problema del Mezzogiorno risulta con evi-denza dalla considerazione che ogni ipotesi di sviluppo,ove non tenda al superamento effettivo del divario Nord-Sud, finirebbe (come purtroppo si è registrato in passatoe sin qui) con il dimostrarsi incompleta e porterebbe ( co-me purtroppo si avverte da taluni non equivoci segni) adun complessivo arretramento dell’intero sistema econo-mico nazionale rispetto ad altri sistemi economici ed aquelli mitteleuropei in particolare.

Il ritardo, poi, nell’avvio di un processo di effettivosuperamento del divario Nord-Sud, spesso mascheratodalla prefigurazione di isolate — anche se grandiose —iniziative industriali nel Mezzogiorno, finisce con il mar-ginalizzare talune specifiche potenzialità meridionali,agricole in particolare, e provoca un complessivo arre-tramento dell’intero sistema economico nazionale ri-spetto ad altri sistemi economici con potenzialità agrico-le ed a quelli mediterranei in particolare.

È pertanto necessario proporre una politica nazionale;è il saper cogliere a pieno l’interesse di tutto il Paese edegli stessi operatori economici del Nord, è il rimediarestrutturalmente ai divari esistenti, il risultato che ilPartito deve conseguire.

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Piersanti Mattarella

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Uno dei rischi nei quali è più facile cadere è quello dieccedere nell’avvalersi dei molti dati forniti dagli studi,dalle pubblicazioni sul Mezzogiorno e sul divario con ilCentro Nord. Certo esiste un meridionalismo nuovo chefa leva sulle cifre e sui dati, un meridionalismo non pia-gnone, ispirato dalla «intelligenza tecnica» di cui parla-no gli storici della SVIMEZ. Ma anche in questi nuovistrumenti c’è un pericolo abbastanza evidente: quellocioè di perpetuare le analisi attraverso le cifre, di trave-stire le delusioni da statistiche e di continuare nella de-nunzia dei mali del Sud senza pervenire mai ad una vi-sione politica, ampia e operativa, del problema.

Occorre dunque far capo alle cifre — e per farlo bastarifarsi al già rapporto SVIMEZ sull’economia delMezzogiorno nel 1977, assai eloquente e penetrante —ma anche sollevarsi da esse per tentare di dare al proble-ma del Mezzogiorno, anche in fase di analisi, un concre-to taglio politico.

Si è osservato in questi mesi che ci si avvicina ormaial 1980, considerato da molti come passaggio temporalesignificativo, un traguardo obbligato per valutare com-plessivamente trent’anni di meridionalismo del dopo-guerra, dalla creazione della Cassa per il Mezzogiorno.In effetti una tale prospettiva temporale è necessaria,purché anche questa valutazione critica non resti fine a sestessa. Occorre valutare e insieme riprendere il cammi-no, giacché gli scopi che si proponevano gli inventoridell’intervento straordinario sono, come abbiamo visto,tutt’altro che raggiunti, nè le condizioni e le cause che lodeterminarono sono state superate.

La creazione della Cassa costituì un momento di svol-

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Scritti e discorsi

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ta in una temperie politica caratterizzata per volontàdella Democrazia cristiana da un forte slancio riforma-tore che vide concentrati in pochi mesi, oltre al citatoprovvedimento, la riforma agraria e la creazionedell’ENI. Si trattò di una creazione giuridico-economi-ca nuova, ispirata a modelli della cultura statunitense edanglosassone in cui però era evidente e prevalente, al-meno nella fase di ispirazione, il momento straordina-rio dell’intervento, il suo carattere aggiuntivo e non so-stitutivo dell’intervento ordinario. Tale carattere in ef-fetti non venne poi rispettato e l’opera della Cassa ri-sultò invece largamente sostitutiva di altri interventiponendo in discussione proprio uno dei punti qualifi-canti della sua stessa ragion d’essere.

In effetti i benefici che al Sud sono pervenuti in quasitrenta anni non si sono dimostrati sufficienti soprattuttose si ricorda la ancora valida argomentazione del prof.Saraceno, elaborata nel ’74, secondo cui tutte le sommeerogate al Sud in esecuzione dell’intervento straordina-rio raggiungono appena lo 0,50% del reddito nazionalelordo prodotto dal Paese in 23 anni circa, dal ’50 al ’73appunto. Si sono creati alcuni miti, si è fatta della pole-mica interessata su questi temi, si è tentato e si tenta, innome di una presunta moralizzazione o di un unilateralerigore economistico, di sottrarre al Sud quelle sommeche per legge la comunità nazionale, pur fra ritardi e re-more di ogni tipo, ha deciso di destinare al suo sviluppo.

Quando si dice ad esempio che il Sud ha inghiottitouna massa di miliardi e che su di esso è caduta una piog-gia di crediti agevolati si dice cosa non vera. È vero esat-tamente il contrario e basta riguardare a questo proposito

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lo stato di utilizzo di talune leggi di incentivazione all’in-dustria dai dati allegati alla Relazione sullo stato dell’in-dustria in Italia redatta dal competente Ministero in at-tuazione del dettato della «675».

Gli impegni assunti al 25 ottobre ’77 sulla legge n.626 del 1954 riguardano per l’81,4% il Nord, per 13,6%l’Italia centrale e per il resto il Sud e le Isole. La situazio-ne dei mutui agevolati concessi a norma della legge n.949 del 1959 riguarda, al 30 giugno del ’77, per il 97,3%il Nord. Il resto al Sud! Migliore la situazione degli im-pegni a valere sulla legge n. 623 del luglio 1959 che, adottobre del ’77, riguardavano per il 32% il Mezzogiorno.Queste le cifre. E questo l’esempio patente della incoe-renza meridionalista. Non si può pretendere di parificarei redditi prodotti al Nord e al Sud concedendo alle duearee le stesse agevolazioni che finiscono inevitabilmenteper andare dove l’industria è massicciamente presente.Così come non si possono consentire le stesse agevola-zioni alle localizzazioni industriali insediate nella pianadi Latina o a Frosinone, alle porte di Roma, e a quelle in-sediate in Irpinia, in Basilicata o nelle aree centro meri-dionali della Sicilia. Questo senza voler contraddire innulla la scelta meridionalistica complessiva, di una bat-taglia, cioè, unitaria delle Regioni meridionali che pro-prio perché veramente democratica e rinnovatrice deveessere rispettosa delle diversità, dei diversi gradi e livellidi autonomia, di ciò che è peculiare a ciascuno, pena laretrocessione a battaglia di retroguardia in favore di unautonomismo burocratico e astratto che si limita ad ap-plicare una griglia indifferenziata alle varie realtà delleregioni meridionali.

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Si tratta, come ha recentemente scritto Rosario Romeo,di «accettare che le regioni meridionali acquistino via viaun più vasto grado di autonoma iniziativa economica e po-litica, meno legata a concessioni unilaterali da parte di al-tre regioni ma in compenso una più indipendente capacitàdi orientamento e di decisione rispetto ai centri della vitanazionale. Imprese meridionali ed enti locali e territoriali,opportunamente collegati, dovrebbero assumersi una quo-ta crescente di responsabilità nella gestione delle risorsedisponibili, con i maggiori rischi ma anche con una mag-giore potenzialità di maturazione civile e politica che ac-compagna ogni processo di questo tipo».

È in fondo la tesi sviluppata da Colavitti, da De Rita eMarangiu nel contributo edito dal CENSIS, del quale mipiace richiamare la prospettazione e le motivazioni a so-stegno della «costruzione di nuovi circuiti di responsabi-lità» che si concretizzano in tre indicazioni:— suscitare imprenditorialità socio politica da parte de-

gli enti locali a livello comunale, zonale, comprenso-riale e regionale;

— assistere e sviluppare ogni punto di iniziativa che siprofili all’orizzonte del sistema di imprese;

— aiutare ed offrire alleanza ad ogni sede e soggetto inmovimento.L’impegno allora di chi deve far politica per il Sud è

quello di ricostruire un circuito di responsabilità sogget-tive ai vari livelli, circuito in cui la società meridionale siriappropri della normalità delle funzioni di gestione deipropri fini e delle proprie risorse.

Da qui la considerazione sul pericolo di un aprioristi-co pan-regionalismo che appiattisca l’esperienza delle

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autonomie regionali, siano esse ordinarie o speciali, eche elimini di fatto ogni possibilità perequativa degli or-gani nazionali a vantaggio delle regioni del Paese più de-presse.

Vitalità delle autonomie, patrimonio proprio del no-stro partito, rispetto reale del trasferimento delle funzio-ni alle regioni senza tentativi più o meno occulti di riap-propriarsi di competenze trasferite, mantenimento pienodella responsabilità e degli strumenti per la unicità dellapolitica nazionale necessaria per il superamento di ognisorta di squilibrio esistente nel Paese.

Nella programmazione nazionale è la sede di riscon-tro di questa capacità della comunità nazionale; una sedeche presupponga e realizzi una sempre più effettiva par-tecipazione delle regioni, chiamate a loro volta a pro-muovere e realizzare, nell’ambito delle rispettive realtàterritoriali, una armonica politica programmatoria.

Si tratta di trovare in un disegno complessivo un ruo-lo e una funzione per ciascuno, sfruttando al meglioognuno le risorse proprie e mettendole poi in circolo inuna visione unitaria neppure solo meridionale, pena il ri-schio di perpetuare la spaccatura del Paese in due tronco-ni. La vera unità la si raggiunge con una vera, comunearea economica integrata.

Occorre sia pure gradualmente superare la realtà di unsubsistema che è fortemente tributario di altre aree. Bastipensare che le risorse disponibili al Sud nel ventennio195172 sono state del 19,6 superiori al prodotto lordocreatovi, mentre nello stesso periodo quelle del Nord so-no state inferiori del 7,4% del prodotto lordo di quelleRegioni.

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Il prodotto interno lordo al Nord e al Sud è cresciutonel periodo cennato del 9,3 in termini monetari mentre intermini reali esso è cresciuto del 4,6 al Sud e del 5,2 alNord. Come dire che la forbice è rimasta identica nei suoivalori anche se ovviamente la crescita è stata cospicua edanzi eguale per le due aree. Restando però assai differen-ziati i punti di partenza è evidente che, pur compiendo lostesso percorso, i punti d’arrivo non possono che essereassai lontani fra loro.

Ma c’è ancora un dato che vorrei citare a conferma del-la tesi della povertà dei risultati ottenuti ed esso riguardal’industria. Presi due periodi decennali — il 51/63 e il63/73 — è possibile rilevare che nel Mezzogiorno la quo-ta degli investimenti fissi lordi nell’industria manifattu-riera è passata dal 17,2 al 30,2 cioè si è quasi raddoppia-ta. Nello stesso periodo e nello stesso ramo il valore ag-giunto prodotto è rimasto pressocché invariato: dal 12,2al 13%, mentre l’occupazione è addirittura scesa dal 18,3al 17,3.

Cioè il sistema industriale meridionale praticamentenon funziona, produce poco, non fa crescere la occupa-zione che anzi si contrae. Che cosa è successo dunque?Quali le cause della disfunzione dell’industria nelMezzogiorno? Si è trattato in gran parte di processi di de-centramento di impianti più che della creazione di vereunità produttive, di unità di trasformazione trasferite alSud per miope ottica aziendale più che per vere esigenzeproduttive. E qui tocchiamo uno dei punti più dolenti del-la vicenda del Mezzogiorno italiano: la carenza di im-prenditorialità localizzata al Sud, certo, ma dovuta anchealle carenze culturali di molta parte della imprenditoria

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del Nord, attenta più al piccolo beneficio facilmente gua-dagnato che all’investimento di prospettiva, alla visione«politica» della propria funzione. È quindi certamentevero che tale carenza è gravemente presente al Sud e po-ne anche alle Regioni ed alla società meridionale preciseresponsabilità, ma è un discorso che va fatto anche agliindustriali del Nord da cui ci vengono sovente tante le-zioni di efficienza e di realismo. Ad essi il Mezzogiorno,nonostante tante delusioni, continua a guardare chie-dendo di valutare che solo la crescita del Sud può conso-lidare le strutture industriali italiane e assicurando nonsolo la disponibilità a confronti operativi e l’interesse adogni iniziativa o proposta compatibile con l’interessedelle varie aree del Mezzogiorno ma anche che la classedirigente regionale nel Mezzogiorno ha piena la consa-pevolezza della esigenza di assoluta autonomia e libertàda ogni condizionamento politico delle intraprese eco-nomiche.

Perché, a questo punto, non ricordare che il Mezzo-giorno, a smentita di frequenti luoghi comuni, ha nel set-tore industriale, secondo l’ultimo Notiziario della SVI-MEZ, un tasso medio di assenteismo più limilato rispet-to a quello complessivo nazionale? Infatti a fronte di untasso di assenteismo complessivo per il 1977 pariall’11,54 per cento (ore di assenze su ore lavorabili) e al-le 213,12 ore lavorabili perdute in media da ogni dipen-dente, nel Mezzogiorno si è riscontrato un tasso pari al7,44% mentre le ore perdute in media per dipendente so-no state 183,30.

Non bisogna poi dimenticare che la gravità della real-tà industriale nel Mezzogiorno è accentuata perché si è

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finito per privilegiare al Sud i grandi insediamenti di ba-se ad elevata intensità di capitale mentre si è riaccordataal Nord la presenza di unità manifatturiere più tradizio-nali a più alta intensità di lavoro che logica avrebbe volu-to collocate al Sud, vicino al serbatoio di mano d’opera.

Lo stesso meccanismo di passaggio da labour intensi-ve a capital intensive si è largamente verificato in tema diopere pubbliche, un tema oggi ricorrente che ci sentiamoproporre con l’avallo di certe forze politiche che fino aqualche anno fa si sarebbero strappate le vesti dinanzi aproposte tanto datate da somigliare ai rimedi del newdeal e al periodo del keinesismo trionfante. Qual era in-fatti il segreto delle opere pubbliche in funzione antici-clica? La rapidità della messa in opera degli investimen-ti e l’alta intensità di mano d’opera occupata. Ora da re-centi dati forniti dal prof. Petriccione si evidenzia che laspesa annuale derivante dall’intervento diretto dellaCassa per il Mezzogiorno, fra il ’60 e il ’73, si è più chetriplicata passando da 96 a 331 miliardi. A fronte di taledato il numero di giornate lavorate per operaio è dimi-nuito massicciamente da 10.383 nel ’60 a sole 4.478mentre il valore aggiunto per addetto è pure massiccia-mente diminuito da 41.532 a 17.812, a prezzi correnti.Vale a dire che gli investimenti per opere pubbliche sonodivenuti nel periodo in esame sempre più capital intensi-ve e per una serie di ragioni: il continuo aumento dei co-sti unitari; la progressiva meccanizzazione dei lavoripubblici; il passaggio dal tipo di lavori leggeri, rispon-denti cioè a bisogni infrastrutturali primari (viabilità mi-nore, edifici), a lavori più pesanti e sofisticati (porti, di-ghe, ecc.).

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Si tratta quindi di riconoscere questo tipo di interven-to affermando anzitutto con tutta chiarezza che non pos-sono rappresentare da soli nulla di determinante nella viadello sviluppo del Mezzogiorno e quindi che vanno sele-zionati attraverso la duplice e non contraddittoria esigen-za: l’esigenza che essi interventi siano finalizzabili a in-vestimenti produttivi agricoli e industriali, come certa-mente sarebbe la rete distributiva che va innestata tem-pestivamente sul metanodotto ENI che attraversando tut-to il Mezzogiorno deve ad esso lasciare il vantaggio diuna fonte di energia indispensabile al suo sviluppo; èquesta una struttura utile ed urgente tenendo conto chetra poco più di due anni il metano algerino sarà disponi-bile con la ultimazione del metanodotto in atto in costru-zione; l’esigenza che essi interventi posseggano una rea-le capacità di effetti diffusivi per l’occupazione, comecertamente avrebbero una serie di strutture civili la cuicarenza mantiene la qualità della vita nel Sud a livelli nonaccettabili (ospedali, case, scuole, asili, etc ....).

Senza una tale selezione programmi straordinari diopere pubbliche avrebbero limitati effetti e verrebbe an-che a cadere uno dei presupposti anticongiunturali —forse il maggiore — della proposta di lavori pubblici nelMezzogiorno per 3.000 miliardi avanzata in maggio dal-la Confindustria, che è proposta da valutare con grandecautela e qualche riserva sopratutto per le sue motivazio-ni. Mentre da respingere fermamente è il presuppostoteorico che il realismo confindustriale vi ha posto a base.Il Nord, per Carli e Savona, è ormai parte dell’Europa, ilSud è una sorta di «terzo mondo» e di conseguenza i ri-medi per l’una e l’altra area devono essere diversi e com-

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misurati alle diverse esigenze che nascono dalla cennatavalutazione. Affermazione, come ho già detto, in sè e persè gravissima e gravida di conseguenze. Si tenta così difornire un supporto teorico ai dualismo Nord Sud, di con-sacrare la strutturale diversità delle due aree del Paese,attribuendone l’appartenenza a due diverse aree mondia-li rinunciando, di conseguenza, al conseguimento dell’o-biettivo di tutta la politica meridionalista: l’eliminazionedel divario.

Il recente rapporto di Alan Whittome a proposito delMezzogiorno afferma: «Come molti altri anche noi sia-mo preoccupati della eccezionale concentrazione del nu-mero dei disoccupati nel Sud. Nel Meridione vi è un bi-sogno particolare di investimenti nella agricoltura e nel-le infrastrutture. Comunque siamo costretti a domandar-ci se sia possibile prevedere un qualunque rilevante mi-glioramento senza anche un forzato riesame degli irrigi-dimenti creati dalla parità dei salari nell’industria a Norde Sud e dall’approccio uniforme riguardo al problemadella fiscalizzazione della previdenza sociale di tutta lanazione. Appreziamo le ragioni per cui sono state presetali decisioni ma ci sembra che esistano forti motivi didubitare che esse raggiungano quegli obiettivi che ci siera proposti».

Documento realistico anche quando accenna ad inve-stimenti nel settore dell’agricoltura e delle infrastrutturema anche di saggezza economica laddove indica uno deimomenti più evidenti della incoerenza della politica eco-nomica nazionale nella generalizzata ed indifferenziatafiscalizzazione degli oneri sociali. Ecco il nodo vero delproblema meridionale: le forze politiche e sociali trove-

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ranno la forza di sottrarsi totalmente ai condizionamentidell’esistente?

Avranno il coraggio di riconvertire veramente l’indu-stria?

La esigenza di riconvertire l’intero apparato indu-striale per i profondi mutamenti verificatisi nella situa-zione economica del Paese deve costituire l’occasionenon solo per attuare politiche di mutamento delle combi-nazioni dei fattori produttivi, ed in genere politiche di au-mento del valore aggiunto, ma anche politiche di muta-mento delle direttive territoriali dello sviluppo industria-le del Paese a favore del Mezzogiorno.

Ma, se si lasciassero operare spontaneamente le forzedi mercato, se il processo di riconversione non fosse con-dotto in modo da incanalare nel Mezzogiorno buona par-te delle iniziative produttive derivanti dal processo di ri-conversione si riprodurrebbe un modello di sviluppo delPaese fondato principalmente su intensi flussi migratoriinterni, che aumenterebbe e non certo diminuirebbe il di-vario tra i territori del Centro Nord e quelli meridionali.

Nell’area centro-settentrionale sembrano sussisterecondizioni tali per cui, grazie al solo incremento del ter-ziario, possa essere assorbita la quota di inoccupazionedell’area e il problema dell’occupazione si presenta fon-damentalmente come problema di una più intensa mobi-lità, tra diverse aree e tra diversi settori e qualifiche, del-la forza lavoro. Ove tale mobilità non fosse promossa inmisura adeguata, le eccedenze tra domanda e offerta dilavoro che si manifestano in numerose aree e in numero-se attività del Centro-nord potranno essere soddisfattesolo da ulteriori immigrazioni dal Mezzogiorno.

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Lo spostamento di posti di lavoro industriale dalCentro-nord al Mezzogiorno può cioè avvenire senza in-cidere sui livelli occupazionali complessivi delle regionicentro-settentrionali. In particolare in numerose aree delCentro-nord caratterizzato da un’elevata incidenza di oc-cupati nell’industria e da una relativamente scarsa inci-denza di occupati nei servizi, la diminuzione dell’occu-pazione industriale in prospettiva appare non contraddi-re con il mantenimento di livelli di piena occupazionecomplessiva.

Gli interventi di sostegno e rilancio del nostro sistemaeconomico, e in primo luogo i piani di settore della legge675, che nel testo proposto non fanno emergere concreteprevisioni di riconversioni e di conseguenti trasferimen-ti, vanno dunque adeguati a questa irrinunciabile esigen-za. Ciò potrà rendere sopportabili le conseguenze graviper il Mezzogiorno della necessaria riduzione della spe-sa pubblica, che altrimenti rischia, intaccando, per talunicanali di spesa, livelli minimi di sussistenza, di provoca-re effetti non prevedibili nè controllabili.

Deve essere chiara la consapevolezza che la esigenzada tutti condivisa con piena reale disponibilità di corre-sponsabilità, di risanare l’economia del Paese non puòattuarsi mantenendo, sia pure attraverso conversioni o ri-strutturazioni, i livelli e le condizioni esistenti in una par-te del Paese e realizzando le indispensabili economie adanno dell’altra parte del Paese che già vive a livelli econdizioni notevolmente più bassi, talora drammatica-mente più bassi al limite della sussistenza.

Non si risolve certo il problema accentuando le di-stanze. Si dimentica forse che, fatto indice 100 il reddito

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medio prodotto in Italia, si sale a 140,7 a Milano, a 139 aModena, a 138,1 a Torino e si scende 53,6 ad Agrigento,a 55 ad Enna e Avellino, a 56 in tutte e tre le provinceCalabre? Si dimentica forse che tutto il settentrione è adindice superiore a 123 e tutto il meridione è a un indiceinferiore a 70?

Non ci si illuda che il Mezzogiorno possa pagare que-sto ulteriore insopportabile prezzo.

Non ci si avvicina così all’Europa: questa non sareb-be certo una vera comunità.

Ha detto esattamente il presidente Andreotti: «Quellodella giustizia sociale nell’ambito comunitario è un pro-blema immane, che va affrontato con gradualità ma concoraggio. La punta massima di reddito del cittadino diAmburgo e quella minima del cittadino calabrese nonpossono restare tali. Se ciò si verificasse, creeremmo sol-tanto una comunità illusoria».

Tagliacarne in uno dei suoi preziosi studi ha eviden-ziato, esaminando le 109 regioni dell’Europa comunita-ria, come l’Italia valutando il prodotto interno lordo perabitante, abbia ben otto delle nove regioni europee clas-sificate tra quelle con meno di un milione procapite: na-turalmente quali siano le otto regioni italiane è facile daindovinare, mentre può essere emblematico ricordarecome l’ultima regione europea sia la nostra Calabria cheproduce meno di un quinto della prima regione europeala tedesca regione di Amburgo.

È qui il senso tuttora complesso del problema meridio-nale. È qui la sfida, la scommessa che la comunità nazio-nale deve vincere. È di fronte a questi problemi che le for-

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ze politiche si apprestano a misurarsi nel Mezzogiorno,Anche chi ha avuto il realismo di riconoscere queste co-se non ha poi saputo resistere adeguatamente alla pres-sione delle proprie esigenze politiche, concentrate nel-l’area più ricca del Paese.

La Democrazia cristiana deve più di ogni altro partitofarsi carico di questa strategia, correggendo, per tuttoquanto è necessario, posizioni non pienamente coerenti elucide.

La crisi del Paese certo è grave, è pressante e si fa sen-tire pesantemente ma la sua sola constatazione non basta.Essa non deve diventare la scusa per non fare, il motivoper mettere a tacere ogni istanza. Questo si verifica adesempio per le Partecipazioni Statali la cui politica nelMezzogiorno va criticata senza riserve. A parte la ridu-zione degli investimenti che è partita proprio dal Sud inuna dinamica tipica di creazione e di aumeno della forbi-ce, se si guarda al settore manifatturiero pubblico il feno-meno è più evidente e più grave. Gli investimenti in que-sto settore sono passati a prezzi correnti, da 700 miliardinel ’76 a 546 miliardi nel ’77 con una flessione in volu-me del 35% circa. Fenomeno gravissimo e che non puòessere ammantato dalla crisi in generale o dalla crisi del-l’industria pubblica, in particolare. Che certo c’è, nessu-no lo nega, ma che non può trasformarsi in alibi di como-do per carenze tanto più colpevoli proprio perché pro-vengono dalla mano pubblica. Ruolo di studio, di propo-sta, di indicazione delle Partecipazioni Statali per ilMezzogiorno ancor prima che di investimenti. Ma cosahanno studiato, da proporre, da indicare le PP.SS. per ilSud? I consistenti e sofisticati uffici studi IRI, ENI, cosa

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avrebbero pronto per concrete iniziative se le ipotesi, dicui il Ministro Pandolfi ha parlato e che Ventriglia hapubblicizzato, di capitali esteri disponibili per ilMezzogiorno diventassero realtà? Ecco un impegno eduna indicazione per l’azione del Partito.

Altro impegno e altra indicazione è comune alla pro-spettiva dell’allargamento della CEE, che convive con ilpassaggio dalla fase diplomatica a quella democraticaesaltato con l’elezione diretta a suffragio universale delParlamento europeo prevista per l’anno venturo. C’è ilrealizzarsi ulteriore del superamento di ormai troppo an-guste dimensioni nazionali, c’è il sempre più spiccato in-serimento di società mediterranee nella comunità, ma c’èanche il rischio della concorrenza non solo agricola maanche industriale nei confronti del Mezzogiorno italianodei tre nuovi partners, con costi di lavoro assai più bassidei nostri; ma c’è n’è uno maggiore ed è quello del possi-bile formarsi di due aree all’interno dell’Europa: una del-le zone ricche e una delle zone più povere, mediterranee.E accanto a questa un’altra suddivisione in aree non è dif-ficile ipotizzare: quella cioè di coloro che tenderanno aprivilegiare lo sviluppo a livelli elevati e di quelli chetenderanno ad allargare il concetto di giustizia sociale. Ec’è infine un terzo rischio — ed è il maggiore — che que-ste due aree tendano a sovrapporsi l’una all’altra fino acambiare perfettamente. Avremmo allora ripetuto a livel-lo comunitario la realtà del nostro Paese, tipica ed em-blematica dell’intera realtà dell’Europa, divisa tra il Mardel Nord e il Mediterraneo. E a che ci sarà servita l’espe-rienza storica di cento anni di meridionalismo in Italia?

Sin qui il quadro nel quale si inseriscono i problemi e

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sin qui le prospettive di sviluppo del Mezzogiorno, che èsviluppo inscindibilmente connesso (anche sotto un pro-filo temporale) al complessivo sviluppo del nostro Paesein una prospettiva e in una dimensione sempre più mar-catamente sovranazionale, europea e mediterranea. E’certamente condizione indispensabile per una non subal-terna presenza del nostro Paese nell’area europea e me-diterranea che il Mezzogiorno venga ad ogni livello real-mente percepito come parte (e problema nodale) di unarealtà unica non certamente aggredibile con una politicadi interventi articolata in tempi diversi (uno prioritarioper ii Nord ed uno successivo o comunque meramentecongiunturale per il Sud) e non certamente aggredibilecon una politica di interventi tesa a mantenere i livelli (ela stessa qualità) della vita nel Mezzogiorno sulla sogliadella sopravvivenza, che miopemente finisce con l’appa-rire più che con l’essere realmente soglia funzionale allaconservazione di sbocchi di mercato non selettivi perproduzioni e attività economiche non meridionali desti-nate alla lunga ad essere travolte da una più agguerritaconcorrenza estera.

In questa prospettiva il Mezzogiorno si presenta cer-tamente ricco di potenzialità, cresciuto nella sensibilitàdemocratica e ancora non profondamente lacerato nelsuo tessuto sociale da fughe incontrollate da e verso si-tuazioni di disperazione.

In questa prospettiva il Mezzogiorno, ancora, rivendi-ca una propria presenza ed un proprio collegamento conil resto del Paese e con l’intera area europea e mediterra-nea attraverso un organico sviluppo delle infrastrutturedi trasporti e comunicazioni che valga a rompere intolle-

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rabili situazioni di isolamento; il Mezzogiorno rivendicalo svilupparsi di una concreta politica sulle fonti di ener-gia e l’incremento delle strutture di ricerca e di ricercaapplicata, condizione indispensabile per una nuova qua-lità tecnologica a servizio delle strutture produttive del-l’intero Paese, e perciò anche di quelle meridionali.

Aqueste aspirazioni e a questi problemi le regioni me-ridionali hanno già fornito prime concrete risposte, chesono essenzialmente e prioritariamente risposte in termi-ni di comportamento; a queste aspirazioni e a questi pro-blemi il nostro Partito, non solo come, ma certamente piùdegli altri partiti, è chiamato a dare positive risposte perun complessivo progetto di sviluppo del nostro Paese che,passando attraverso una nuova qualità della vita, valga aconcretizzare non un parziale progetto Mezzogiornoquanto un progetto armonico di sviluppo dell’intera co-munità nazionale.

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La programmazione regionale strumento indispensabiledi riequilibrio (*)

Palermo, 20 ottobre 1978

Non sfugge a nessuno il significato e l’importanzadella riunione di oggi, riunione che costituisce un primomomento di lavoro intenso e concreto per dare forma econtenuti alla programmazione siciliana ma che, proprioper il compito arduo che si prefigge, non può fare a menodi un certo tono di rilievo particolare, collegato al fatto,politicamente e storicamente importante, di dar vita al-l’organo che, per legge, dovrà dare luogo al piano econo-mico di sviluppo della Sicilia che dovrà divenire il qua-dro di riferimento costante della nostra azione: dellaRegione politica come di quella burocratica, degli entipubblici, della imprenditoria privata, dei sindacati, delmondo della scuola e della cultura, della ricerca, di tutta

(*) Discorso pronunziato dal Presidente della Regione PiersantiMattarella in occasione dell’insediamento del Comitato regionale dellaprogrammazione previsto dalla legge 10 luglio 1978, n. 16, con la qualela Regione concretizzava legislativamente, per la prima volta, la sceltadel metodo della programmazione. L’approvazione della legge n. 16 el’insediamento del Comitato a soli tre mesi di distanza costituivano l’as-solvimento di uno dei principali e qualificanti impegni programmaticidel primo governo Mattarella.

Nell’insediare il Comitato Mattarella esponeva linee ed obiettivi dipolitica economica, sottolineando il collegamento tra programmazione edecentramento ed attribuendo alla programmazione regionale il signifi-cato di una sfida decisiva per l’autonomia.

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insomma la società siciliana mobilitata per un fatto chenon dovrà restare chiuso fra queste mura ma circolare li-beramente, come una linfa, in tutto il tessuto della socie-tà siciliana. Ecco io non credo di potermi sottrarre allasottolineatura doverosa di questi aspetti non formali, cre-do, ma sostanziali della nostra riunione di oggi.

Il tema che oggi affrontiamo è di quelli affascinantima anche rischiosi, un tema con implicazioni culturalievidenti ma con altrettanto evidenti risvolti politici e pra-tici che a noi, oggi, qui interessa cogliere di più. È un te-ma che nella cultura economica italiana ha circolato findagli ultimi anni del fascismo, al cui declino non trovògli sbocchi che era lecito attendersi per il permanere, nel-la cultura scientifica del Paese, di vaste resistenze colle-gate alla forza ed al prestigio della scuola liberale.

Il tema della programmazione divenne tuttavia, nono-stante questo, ben presto politico e si diffuse nel Paese,tanto che fin dagli anni della Costituente esso fu affron-tato e proprio con particolare riferimento al rapporto fraprogrammazione economica nazionale e regionale, il te-ma che noi oggi qui siamo chiamati in qualche modo a ri-solvere. Ad affrontarlo fu Mortati che così lucidamentelo definì con una frase che ha tutta la chiarezza e la lungi-miranza di una soluzione ideale: «Non so se e quanto l’e-conomia si indirizzi verso forme di economia pianifica-ta; ma se queste esigenze di pianificazione ci saranno bi-sogna che siano attuate non da una burocrazia più o me-no competente e responsabile ma dalle autorità regiona-li; è necessario che queste autorità regionali siano inseri-te nell’ordinamento centrale in modo che i piani sianoconcretati attraverso la partecipazione attiva delle mede-

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sime. E questo inserimento dovrebbe avvenire in mododa correggere la sperequazione attuale fra le Regionid’Italia più numerose e più ricche e le regioni più poveree meno popolate».

Giudizio illuminato, ove è presente, oltre ad un cor-retto disegno istituzionale, anche la problematica del ri-equilibrio territoriale del Paese.

Lo schema istituzionale come sappiamo non fu que-sto nè ancor oggi noi abbiamo soluzioni giuridiche diquesto tipo. È un tema tuttavia irrisolto che occorrerà af-frontare prima o poi e che noi qui dobbiamo però impo-stare: il tema cioè del rapporto con la programmazionenazionale, le cui delusioni e le cui carenze hanno indub-biamente frenato e reso più difficile l’azione program-matoria delle Regioni. E tuttavia la vicenda siciliana sidifferenzia nettamente da quella delle altre Regioni inquesto settore. Gli Statuti regionali delle Regioni ordina-rie, nati intorno al ‘70, sono figli di una cultura politica edeconomica già avanzata e che, pur avendo subito le pri-me delusioni, non può fare a meno di menzionare la scel-ta del piano nella loro articolazione.

La vicenda siciliana è assai diversa e consentitemi diricordarla per brevissimi cenni. Lo Statuto regionale si-ciliano, nato quasi trenta anni prima e frutto evidente-mente di un’altra cultura politica, non fa menzione dipiano vero e proprio nella stesura, anche se è noto chenella sua elaborazione una delle polemiche più vivaci siverificò proprio a proposito del piano, per una diversaformulazione di quello che poi divenne l’art. 38. In quel-l’articolo infatti di piano già si parla allorchè si stabilisceche le somme destinate dallo Stato alla Sicilia a titolo di

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solidarietà nazionale, per bilanciare il minore ammonta-re dei redditi fra la Sicilia e il resto del Paese, venganoimpiegate in base a un piano economico nell’esecuzionedi lavori pubblici. E il piano rimase uno dei temi favoritidi Enrico La Loggia che, per lunghi anni ancora, tentòcon successive elaborazioni, riunendo intorno a sè politi-ci e operatori pubblici e privati, di dar vita ad un pianoeconomico di più vasta portata per lo sviluppo dell’eco-nomia siciliana.

Nel 1956, all’inizio della terza legislatura, il Governopresieduto dall’on. Alessi presentò un piano economicoche riguardava il quinquennio 1956-60 e che si rifacevaallo schema Vanoni, nel frattempo varato al centro nonsenza polemiche e perplessità che lo condussero poi a fi-ne prematura. E del resto neppure il piano siciliano andòmolto oltre, travolto fra l’altro dalle tempestose vicendedi quella legislatura regionale, conclusasi con l’esperi-mento milazzista.

Nel ’64 il tema del piano riemerge in Sicilia, semprecaratterizzato dalla esigenza — tenuta viva peraltro dauna realtà difficile e a volte drammatica — di eliminare ildivario esistente con i redditi del resto del Paese, e daquesto nuovo sussulto riformatore nascono gli schemi dipiano del ’65 e del ’67. Di entrambi la realtà dell’econo-mia dell’Isola contraddisse pesantemente e in breve vol-gere di tempo le previsioni ed, anche per questo, questistrumenti non ebbero sorte migliore del precedente.

C’era stato prima, nel ’58, da parte della SOFIS appenacostituita, la volontà di arrivare, attraverso l’opera di unIstituto specializzato di alta qualificazione come il Battelledi Ginevra, ad un piano che non provenisse questa volta

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dalla mano pubblica e godesse del vantaggio di una elabo-razione scientifica di grande rilievo. L’apparizione del do-cumento, nel ’61, non andò al di là di una certa eco cultu-rale.

Dopo altri tentativi, che devo tuttavia menzionare percompletezza, ma anche per la serietà dell’impegno che limuoveva, messi in opera dall’Unione delle Camere dicommercio siciliane, l’ultimo tentativo di schema di unpiano regionale è quello del ’74, la cui sorte non fu mi-gliore di quella dei precedenti documenti.

È dunque una lunga storia di insuccessi e di disillusio-ni — se si eccettua il pur diverso ma positivo esperimen-to politico del piano di interventi del ’75 — quella che hotentato di ricordare molto sinteticamente, una storia dacui nascono, se mi consentite, due considerazioni. La pri-ma è che una storia simile, se da un lato accredita ancorauna volta la Sicilia come una terra in cui sono fermentateoriginali e vivaci intuizioni politiche, non ultima quellaappunto della programmazione, sovente con carattere an-ticipatorio rispetto alle scelte di altre Regioni e dello stes-so Stato, dall’altro non consente a nessuno di noi, fraquanti siamo qui oggi, di potere incorrere in un nuovo in-successo. Le esperienze del passato hanno valore se si sametterle a frutto e farle maturare in positivo e noi abbiamoil dovere di fare ciò nel momento in cui ci accingiamo aquesto impegnativo compito, forze di una Regione chetutte le intuizioni e le anticipazioni culturali non hanno fi-nora salvato da un destino di ritardi e di delusioni che contutto il Mezzogiorno d’Italia essa continua a vivere.

L’altra considerazione che vorrei fare è quella che laprogrammazione che oggi passa dagli enunciati della

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legge n. 16 ai primi fatti è nuova e diversa rispetto a quel-le del passato e per una serie di ragioni che vorrei ricor-dare. Essa nasce innanzitutto, come ho detto, per legge,una legge che ha compiuto, ad oltre trenta anni dalloStatuto, la scelta definitiva del metodo della programma-zione, quella stessa scelta che altri, nati assai dopo e incondizioni diverse, hanno fatto per statuto.

Questa legge, di cui questo Comitato che oggi inizia alavorare è la espressione più diretta, è stata voluta in mo-do chiaro da una maggioranza politica vasta, finora mairegistrata nella storia della Regione, quasi a sancire ilconvincimento più volte manifestato a tutti i livelli chenon si può fare programmazione senza consenso, senza ilconsenso più vasto delle forze politiche, sociali, impren-ditoriali, di tutte le componenti della nostra realtà, quirappresentate da voi ma non in una funzione di mera pre-senza o peggio in una sorta di corporativa rappresentan-za di interessi, bensì per esercitare attivamente scelte col-legiali ardue e importanti che questo Comitato è chiama-to a compiere; scelte da proporre agli organi istituzionalidella Regione per mandare avanti finalmente una veraprogrammazione siciliana che non si fermi alle formula-zioni culturali, che non rimanga astratta e verticisticamanovra intellettuale, ma che sia vera espressione delleforze culturali, imprenditoriali, sociali e politiche.

La legge dunque prevede organi, funzioni, modi etempi del nostro lavoro e la legge dovrà essere il nostropunto di riferimento e il nostro aggancio alla realtà e aimetodi con i quali dobbiamo attuarla.

Abbiamo in sostanza un anno di tempo per fare cam-minare assieme, così come disposto dalla legge n. 47 del

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’77 e ricordato dall’art. 15 della legge 16, piano regiona-le e bilancio poliennale, quello strumento che dovràstrettamente essere collegato con il piano e che abbiamovoluto darci, per nostra autonoma volontà legislativa, an-ticipando con la nostra proposta quella dello Stato che,divenuta legge (la 335), riguarda le regioni ordinarie;uno strumento che si proietta poliennalmente nella vitadella Regione nel prevedere entrate e spese e che, direi,per ciò stesso ha bisogno del supporto del piano regiona-le per potere utilizzare nel giusto modo nel medio/lungoperiodo le risorse della Regione.

Un anno di tempo per dare concretezza alla volontàdel legislatore ma anche per fornire risposte concrete al-le domande che salgono dalla società siciliana, rinnovatacerto e assai diversa dal passato, ma ancora serrata in unamorsa di crisi e di ritardi che ogni giorno registriamo, inun estenuante confronto con la realtà nazionale che im-pegna gran parte delle nostre forze.

Ma ciò, come ho avuto occasione di dire all’Assem-blea regionale in occasione del recente dibattito sul do-cumento Pandolfi e sulle scelte di politica economica delPaese, non ci distrae e non ci può distrarre dalla puntualegestione del quotidiano.

Non si può certo sfuggire alla consapevolezza delledifficoltà di ogni tipo che si incontrano nel gestire le co-se di ogni giorno, nel gestire gli obiettivi e i programmidella nostra Regione.

Il guardare lontano, il volere alzare lo sguardo e pen-sare anche al domani non è incompatibile con la nostraazione ma anzi è necessario e utile perchè si sappia a qua-li obiettivi e a quali linee ci si debba ispirare.

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Non si può invece, al contrario, assumere atteggia-menti di colpevole rassegnazione o di succube impoten-za, come se il Mezzogiorno e in esso la Sicilia non aves-se prospettive e non potesse avere avvenire. Non ci si puòchiudere in noi stessi, anche perchè il passato ha dimo-steito la non autosufficienza delle nostre risorse. Tuttoquesto però non ci fa perdere la consapevolezza e l’ag-gancio costante ai problemi di ogni giorno, non ci fa atte-nuare l’impegno per gestire ciò che alla nostra Regioneappartiene, per assicurare tutti gli sforzi possibili per mi-gliorare la nostra presenza, l’efficacia della nostra azio-ne, la tempestività delle nostre iniziative.

Questo voglio ribadirlo perché non si pensi che in no-me delle nostre insufficienze, in nome dei nostri ritardi,noi non abbiamo titolo ad interloquire sui discorsi di ca-rattere generale, in una sorta di complesso di inferioritàche deve essere superato, non dimenticando le nostre ca-renze ma non fornendo ad altri alibi perché queste ci di-sabilitino ad interloquire nel discorso sulle prospettivedel Paese.

L’interloquire in tale discorso generale deve di con-verso accentuare, come accentua, la consapevolezza deinostri problemi, la volontà di volerli affrontare, l’impe-gno a risolverli.

Per fare questo la Regione ha già compiuto due sceltedi fondo che riguardano la programmazione e il decen-tramento che divengono così connotati di fondo di tuttal’azione regionale. Programmazione e decentramentosono dunque due scelte operate, sono due obiettivi aiquali gradualmente ci andiamo avvicinando in manieraconcreta. Sono anche però due strumenti: non si tratta di

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fare comunque e a qualsiasi condizione programmazionee decentramento; si tratta di realizzare queste cose con-cretamente, in maniera che valori e scelte escano raffor-zati dalla prova, diventino fatto di ogni giorno e non ri-mangano visioni utopiche o illuministiche. Si tratta infondo di strumenti per perseguire in modo più democra-tico, ma insieme più efficace ed efficiente, gli obiettivi disviluppo che vanno identificati e portati avanti.

Ma nello scegliere tali obiettivi ci si dovrà muoverecon grande realismo, resi forti della esperienza del pas-sato ma anche consapevoli dei vincoli numerosi che oc-corre tenere presenti per dare contenuti reali alla nostraazione: i vincoli della politica economica dello Stato,quello dell’azione delle altre Regioni, e di quelle delMezzogiorno in particolare, quelli derivanti dalla no-stra appartenenza alla Comunità Economica Europea,con la prospettiva a breve dell’allargamento ai paesi delMediterraneo che, se riequilibra la presenza del Suddell’Europa in seno alla CEE, pone a noi seri problemidi concorrenza agricola e industriale.

Dicevo dei vincoli derivanti dalla politica dello Stato:i vincoli che discendono anche dalla negativa esperienzadella programmazione nazionale, un tema affascinanteche diede luogo ad esperimenti falliti ma che è tornato etorna ad essere presente in ogni momento. Basta guarda-re alla legislazione statale di questi anni per vedere che diprogrammazione essa è tutta permeata.

Si è preferito affrontare una programmazione per set-tori, per leggi singole piuttosto che affrontare quella ge-nerale.

Questa attività di programmazione non va dispersa: ed

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è un tema che, a proposito del documento Pandolfi, è sta-to ripreso ad Alghero con le altre Regioni e poi da ultimonel dibattito in Assemblea dedicato a quel documento. Ilpiano triennale, che noi come metodo approviamo ma suicui contenuti ci siamo espressi con precise proposte dimodifica, non deve ignorare o peggio contraddire il pianoquadriennale per il Sud voluto dalla «183», il piano perl’agricoltura voluto dalla «Quadrifoglio», il piano decen-nale della casa, i piani di settore della «675», pur con tut-te le riserve che due giorni fa abbiamo espresso a Romacon le altre Regioni. E sono insieme però tutti vincoli,tutti termini di cui tener conto nella redazione e nellescelte del piano siciliano. Ma questo Comitato deve esse-re anche un organo di attiva presenza per tutte le scelteche agli altri livelli, e soprattutto a quello centrale, ver-ranno fatte, partecipando e concorrendo alle stesse conspirito costruttivo e capacità propositiva.

Questo Comitato deve essere anche uno strumentoper realizzare un collegamento qualificato e puntualecon tutta la realtà meridionale: uno strumento al serviziodi quella coerenza meridionalista tanto auspicata, in mo-do che la Sicilia, forte di questa nuova democratica espe-rienza di partecipazione e di programmazione, divengaun punto di riferimento, dal quale, superando complessidi colpa e piagnistei, parta la coscienza di tutelare percerti versi gli interessi dell’intero Paese.

E la Sicilia ha le carte in regola per svolgere questafunzione dato che partì da qui, nel ’71, la prima spinta al-la aggregazione unitaria delle Regioni per il Mezzogiornocon la Conferenza di Palermo e che da qui continua a par-tire (è avvenuto nei giorni scorsi) la spinta a muoversi as-

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sieme, tutte le Regioni, dopo l’incontro di Alghero, peruna strategia unitaria sul documento Pandolfi nonché sultema vitale dei piani di settore, in merito ai quali, con-sentitemi di ricordarlo, la Sicilia ha svolto un ruolo trai-nante.

Certo ci muoveremo con difficoltà proprio perché cimanca il quadro di riferimento, ci manca il quadro pro-grammatorio del Paese nel suo complesso che ci metteinvece davanti, di volta in volta, piani e scelte non sem-pre omogenei.

Noi dovremo tendere tuttavia ad un risultato globale epieno e cioè ad un piano adottato con legge dalla Regioneche deve rappresentare il nostro quadro di riferimento, ilnostro punto di vista generale.

Ma per far questo dovremo misurarci con taluni altrilimiti nostri, con taluni specifici problemi nostri che iovoglio qui sinteticamente ricordare.

C’è innanzitutto una nostra legislazione regionale concaratteristiche e con organi programmatori: mi riferiscoad esempio al turismo, ai beni culturali, all’ambiente.

Ci sono poi settori per i quali piani e programmi sonouna scelta politicamente consumata ma non ancora rea-lizzata: agricoltura, sanità, industria. Il piano, questostesso Comitato, dovrà essere per tutti momento di sinte-si e di verifica.

C’è da tenere presente pure il problema del territorio,che è questione primaria nell’impostazione del piano eche di esso costituisce una condizione indispensabile.

In quest’ottica vanno ricordati i piani comprensorialidelle zone terremotate, cui va comunque accordata atten-zione primaria nell’ottica della Regione, e i piani territo-

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riali di coordinamento, finora elaborati solo per talunezone, attività che va coordinata e rivista nell’unica otticadel piano per giungere poi a quel risultato finale che do-vrà essere il piano urbanistico regionale da adottare construmento legislativo.

C’è poi la questione della spesa pubblica regionale edella sua macchinosità e rigidità, divisa fra finanza pro-pria e finanza di origine statale, e tutto il contenzioso conlo Stato a cui quest’ultima ha dato luogo in questi anni.

Si tratta anzitutto di realizzare il massimo impegno ditutti per una maggiore rapidità della spesa e per una suamigliore organicità. Non si tratta solo di sottolineare ilfatto ma di porre in essere giorno per giorno, vorrei direora per ora, la costanza di una azione caparbia e fiducio-sa, perché l’azione della Regione può e deve essere piùcelere e più efficace. Si tratta anche di realizzare unastruttura migliore e più idonea a compiti e responsabilitànuovi e più impegnativi. Si tratta ancora di evitare nellalegislazione e nelle procedure appesantimenti e vincoliche fatalmente sono occasioni di remore e ritardi. Si trat-ta infine di non creare un clima di rassegnata impotenzaper una battaglia che deve invece segnare sia pure gra-dualmente una svolta positiva.

In questa materia della finanza regionale occorre però,come abbiamo fatto con la delegazione unitaria dell’A.R.S.nei giorni scorsi a Roma, difendere fermamente la speciali-tà del nostro Statuto, che non si afferma con la sterile dife-sa di istituti che rischiano poi di restare scatole vuote macon la realizzazione concreta di progressi, come questo del-la programmazione, come un più accelerato ritmo di spesae come l’aumentato volume dei mezzi di pagamento mes-

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si in opera dall’Amministrazione regionale nello scorsoesercizio.

Ed a questo riguardo adeguata importanza va dedica-ta al potenziamento dell’Amministrazione regionale lecui forze migliori vanno incoraggiate e rivalutate.Consentitemi anzi di augurare buon lavoro al Direttoreregionale dott. Giovanni Epifanio, che ha assunto laDirezione della programmazione e che, ne sono certo,con impegno affronterà con un gruppo di collaboratori idifficili compiti che lo attendono e il cui svolgimento è diprimaria importanza ai fini dell’avvio del processo dipianificazione.

Ma l’Amministrazione regionale abbisogna anche diun profondo rinnovamento. Occorre rimeditare tutto ilruolo e il modo di essere della nostra burocrazia, rinno-vandola profondamente nel personale, nel reclutamento,nella formazione, nella qualificazione, pena la perdita del-la scommessa che noi oggi facciamo con noi stessi; penacioè una ennesima disillusione sul tema della programma-zione che questa volta finisce col coincidere con la stessaprospettiva del futuro della Regione. Più volte nel passato,e l’ho già accennato, ad intuizioni politiche innovative egeniali è mancato poi il momento della realizzazione, il ri-sultato a livello di fruitore finale dei benefici previsti dallegislatore. Questa Regione non avanzerà se non porremomano con coraggio a questo che costituisce oggi il nodocentrale della vita dell’Amministrazione, senza risolvereil quale anche un fatto politico di grande importanza e ri-lievo come la programmazione potrebbe rischiare di fal-lire. Occorrerà intanto provvedersi di tutti gli strumentinecessari per dare una solida base di conoscenza al

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Comitato, accordandosi con le Università, con gli istitutispecializzati, con le banche, con tutta la realtà sociale cheè in grado di supplire alle carenze della Amministrazionee che tuttavia l’Amministrazione dovrà regolare e coor-dinare.

Ed occorrerà anche, e la legge lo prevede, dare luogoad un minimo di mobilità nell’utilizzo della burocraziaregionale e degli enti pubblici operanti in Sicilia, favo-rendo processi di osmosi e di scambio che sono alla basedei successi dell’Amministrazione pubblica di moltiPaesi, resa permeabile a metodi tipici del settore privatocaratterizzati da alti livelli di efficienza e di produttività.

Un terzo tema che vorrei affrontare prima di conclu-dere è quello del ruolo degli Enti locali nella program-mazione, ruolo che la legge stessa individua nella cono-scenza (e nell’eventuale parere) del primo documento dilinee generali che il Comitato dovrà formulare, nella par-tecipazione alle riunioni del Comitato di rappresentantidi Enti locali interessati a particolari problemi in discus-sione, nella richiesta infine di pareri al Comitato da partedi organi consiliari di Enti locali.

Questi i richiami della legge e io credo che gli Enti lo-cali, pur alla vigilia di una profonda riforma del loro mo-do di essere, possano già fin da ora dare luogo alla loropartecipazione al processo di programmazione nei modivoluti dalla legge, nell’attesa della auspicabile approva-zione in tempi brevi del provvedimento relativo al de-centramento, in atto all’esame dell’Assemblea regiona-le, primo passo nel processo di riordino dei livelli di go-verno locale.

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Con questi propositi e con queste valutazioni, nel rin-graziarvi per l’impegnativo comune lavoro che realizze-remo in spirito di reciproca apertura e collaborazione, miauguro che la scelta operata dal legislatore e da questomomento affidata anche a questo Comitato diventi rapi-damente realtà, non soltanto per la individuazione delpiano economico ma anche per la riaggregazione, sem-pre più diffusa e penetrante, intorno agli istituti dellaRegione del consenso e della partecipazione dei cittadi-ni, sempre più necessario nei difficili momenti che stia-mo vivendo.

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La Sicilia non deve saltare la fase dell’industrializzazio-ne (*)

Palermo, 10 novembre 1978

La riunione della Consulta della Sicindustria cui lapresenza del Presidente Carli aggiunge particolare rilie-vo impone a noi tutti una riflessione sul ruolo della vostraorganizzazione in questo particolare momento della vitaeconomica e politica, momento che viviamo assai inten-samente nel travaglio delle nostre questioni irrisolte.Intendo nostre, cioè del Mezzogiorno, giacché è noto cheda questo punto d’azione politica non abbiamo mai per-duto di vista il ruolo del Mezzogiorno nel suo complessoe della Sicilia in esso. Da qui abbiamo preferito e prefe-riamo muoverci coerentemente e con spirito costruttivoprivilegiando attente riflessioni e proposte avanzate conintenti costruttivi; è avvenuto da ultimo con il documen-to Pandolfi allorché l’Assemblea regionale ha affrontatoun vasto dibattito su di esso conclusosi con un ordine delgiorno che avanza talune precise proposte dirette a retti-ficare, integrare e verificare il documento del ministrodel tesoro, del quale è stato apprezzato sì il metodo maanche talune finalità. Solo che non possiamo con indiffe-renza lasciar passare i catastrofismi costantemente pre-

(*) Discorso pronunziato a Palermo, nel salone dei convegni dellaCamera di commercio, in occasione dell’annuale riunione della Consultadell’associazione degli industriali della Sicilia (Sicindustria), presentel’allora presidente della Confindustria, dottor Guido Carli.

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senti in certi ambienti secondo cui se il documentoPandolfi non passa così com’è l’Italia sarà perduta. È ve-ro invece che se il problema del Mezzogiorno non vieneavviato seriamente a soluzione il nostro Paese correrà ri-schi ancora maggiori. Su questo non ho dubbi nè credodovrebbe averne nessuna persona di buon senso.Piuttosto, e desidero qui ricordarlo, abbiamo sollecitatonei giorni scorsi al ministro Pandolfi un incontro con unadelegazione della Regione per illustrargli i risultati delnostro dibattito, risultati che, lo ripeto, non hanno di miraquesta o quella zona della nostra Isola, che pure ha biso-gni eccezionali non inferiori a quelli di nessuna regionedel Sud, quanto piuttosto integrazioni avanzate con capa-cità propositiva a vantaggio dell’intero Mezzogiorno, daprospettare nelle sedi opportune e non attraverso scom-poste iniziative che raggiungono lo scopo di far crescerele frustrazioni ma non certo quello di risolvere i problemireali.

Dicevo dei bisogni e delle necessità della Sicilia maesse si inquadrano in un ambito più generale i cui indica-tori tendono sempre al brutto nonostante certe recentiprese di posizione, certe tendenze volte a farci credereche il peggio sia passato. Non c’è dubbio che notevolipassi avanti siano stati fatti ma ancora una volta in sensopuramente monetario, nel senso cioè che con grande ca-pacità sono state ricostituite le nostre riserve valutariegrazie anche all’andamento più favorevole dei nostriconti con l’estero. Ma non c’è dubbio che sul fronte del-la occupazione le cose non vanno meglio. Siamo ognigiorno costretti di fronte a fabbriche in crisi giacché quelpoco che il sistema industriale siciliano era riuscito a

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mettere su, coincide oggi quasi con altrettanti, dramma-tici punti di crisi. Gli investimenti nel loro complesso so-no calati nel corso del ’78 del 7,9% secondo recenti stimee il dato si aggiunge a quelli messi in evidenza per il ’77dal Rapporto Svimez, a metà d’anno. Senza volere entra-re in altre elencazioni di cifre, mi basta però accennare al-la crisi dell’edilizia che speriamo possa ora, con i prov-vedimenti di legge adottati, avviarsi a soluzione. Nelfrattempo però questo settore, che nel Sud assorbe il 40%dell’occupazione industriale, fa registrare paurosi passiindietro: nei primi due mesi dei ’78 i progetti presentati aiComuni facevano registrare (è un dato nazionale) un ca-lo del 37%, mentre nel ’77 le abitazioni ultimate sono di-minuite dei 19,7%, dato che disaggregato per Regionipone la Sicilia ai primo posto con una diminuzione di benil 43,5%! Sono dati veramente allarmanti e spero soloche nel ’78 essi possano avere subito una certa correzio-ne. Nel frattempo da parte nostra non possiamo fare ameno di sottolinearne tutta la gravità.

Ancora una volta dunque siamo qui a denunciare l’ag-gravarsi della situazione economica del Mezzogiorno eancora una volta siamo dinanzi ad un momento decisivoper la nostra vita politica ed economica, un momento incui stanno per compiersi scelte determinanti. Giacchésiamo in presenza di una serie di strumenti legislativi (lalegge per il Mezzogiorno, quella per la riconversione in-dustriale, quella per l’agricoltura) e ognuno di essi ci ri-corda le battaglie politiche condotte per ottenerlo; e sia-mo in presenza di un documento di politica economicadel Governo, considerato come preparatorio del pianotriennale, diretto cioè a creare le precondizioni perché es-

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so si realizzi. Eppure, dopo tante lotte e dopo tante batta-glie politiche, questi strumenti non ci soddisfano perchédi essi, nonostante che il loro spirito informatore sia for-temente innovatore e riformatore, si tende a fare un usoche non è autenticamente meridionalista: ancora una vol-ta cioè nella gestione del quotidiano prevale una visionevecchia della nostra realtà. Giacché non possiamo accet-tare per esempio che ai sensi della 675 si redigano pianiche prevedono razionalizzazioni di settori in crisi da ef-fettuare solo sulla base di riduzioni dei livelli produttivied occupazionali, e che essi ci vengano presentati comedolorose necessità di fronte alle quali sarà necessariopiegarsi; e non possiamo accettare che nel documentoPandolfi si adotti ancora una volta l’ottica di risanare pri-ma il sistema nel suo complesso per affrontare poi in unsecondo momento il problema del Mezzogiorno.Giacché è inevitabile che in queste operazioni di razio-nalizzazione e di risanamento vadano a collocarsi alNord ulteriori risorse e che si vada a ricostituire al Nordil complesso del sistema industriale italiano, tagliandoancora una volta fuori il Sud dallo sviluppo del Paese equesta volta, per colmo della beffa, con lo strumento dileggi meridionaliste sulla carta, volute da governi e daparti politiche e sociali che pongono il Mezzogiorno alcentro delle loro indicazioni e delle loro scelte.

E lo stesso fenomeno di dirottamento al Nord di risor-se pubbliche può avvenire anche attraverso la progettatalegge per il risanamento finanziario delle imprese direttaad una colossale operazione di salvataggio generalizza-to, nonché con le ricorrenti indifferenziate operazioni difiscalizzazione degli oneri sociali.

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E a proposito della stessa legge 675 pure assai perico-lose sono apparse talune prese di posizione confindu-striali a favore di razionalizzazioni e di risanamenti con-dotti caso per caso, per punti di crisi piuttosto che per set-tori, la cui logica più ampia dovrebbe invece essere pri-vilegiata solo in sede comunitaria. Sono posizioni in cuisembra di rivedere affiorare la vecchia logica, tipica delnostro sistema, dei salvataggi, mentre abbiamo tutti tuttol’interesse ad esplorare per settori le capacità che ciascu-no può mettere a disposizione della comunità, in una vi-sione più larga, direi compensativa ed integrata della no-stra realtà produttiva. Accennavo poco fa alla ottica me-ridionale complessiva con cui ci siamo mossi in Sicilia evorrei qui ricordare un accenno fatto in altra occasione aproposito di una sorta di divisione interregionale del la-voro, cioè del Mezzogiorno visto come area integrata dasviluppare unitariamente, tutta insieme, nel rispetto del-le potenzialità e delle capacità di ciascuno che è poi ri-spetto vero dei livelli di autonomia, che non deve maiscadere a vuoto panregionalismo cioè a fenomeni di ap-piattimento e di livellamento. Si tratta invece di trovare,in un disegno complessivo, un ruolo e una funzione perciascuno sfruttando al meglio ognuno le risorse proprie emettendole poi in circolo in una visione unitaria neppuresolo meridionale, pena il rischio di perpetuare la spacca-tura del Paese in due tronconi. La vera unità la si rag-giunge con una comune area economica integrata.

Certo siamo tutti realisticamente convinti che, come èstato ricordato in un recente convegno romano sulla divi-sione internazionale del lavoro al quale era presente an-che il presidente Carli, che il futuro dell’industria ci ri-

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serva solo ridimensionamenti e ristrutturazioni sopratut-to nel settore manifatturiero del quale tuttavia le nostreregioni sono ancora così povere. E d’altro canto da auto-revoli osservatori meridionalisti ci vengono sollecitazio-ni ad affrontare finalmente il problema della sistemazionedel territorio anche allo scopo di accrescere le potenziali-tà e le capacità dell’agricoltura nel Mezzogiorno. È statodetto che la questione meridionale da contadina è divenu-ta cittadina e sono note le condizioni di degrado dellegrandi metropoli del Sud nelle quali si annida un gravissi-mo potenziale di rabbia repressa che dovrebbe essere piùspesso tenuto presente. In effetti ci sono nel nostro tessu-to urbano gravissime carenze di servizi civili, di scuole, diasili, di ospedali, di impianti sportivi; ci sono gravissimecarenze idriche per cui il consumo d’acqua per abitante alSud è esattamente il 50% di quello del Nord. Dunque nonmancano pretesti — che sono poi collegati a carenze au-tentiche — per chi vorrebbe indirizzare verso il terziariogli sbocchi occupazionali del Mezzogiorno.

Ci avvieremmo così verso uno sviluppo che ci porreb-be in linea con i paesi più avanzati e industrializzati delmondo, in cui però la crescita del terziario è logica conse-guenza di uno sviluppo, già avvenuto, dei settori diretta-mente produttivi. Si tratta cioè di sviluppare, coerente-mente con la crescita complessiva della società civile edel progresso tecnologico, i settori al servizio di un si-stema produttivo, soprattutto industriale che di essi habisogno.

Per il Sud è invece necessario chiedersi se queste voca-zioni territoriali e ambientali non siano il sostrato ideolo-gico e intellettuale per proposte che mirano a deviare dal-

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l’industria l’intero sistema economico del Mezzogiorno.Per proposte cioè che non sono lontane da quella visionedi parco naturale o di area bucolica che da qualche tempocircola nel dibattito meridionalista; per proposte che inpratica ci vorrebbero far saltare, come fatto ormai impos-sibile, la fase dell’industrializzazione. Una fase che inve-ce, a dispetto di tanti tentativi, noi sappiamo di non pote-re a nessun costo saltare pena la nostra definitiva emargi-nazione. Noi crediamo nell’industria e siamo convintiche la Sicilia e il Mezzogiorno possono ancora giocarviun ruolo. Siamo sicuri che, per esempio, con i piani disettore siano state esaminate, come pure la legge 675 al-l’art. 2 chiaramente e ripetutamente imponeva, non soloi ridimensionamenti di questo o quel comparto, ma anchetutte le opportunità e le capacità di sviluppo che la Siciliae il Mezzogiorno offrivano?

Noi siamo convinti che non si possa senza danno sal-tare la fase dell’industrializzazione, pur fatti ricchi dal-l’esperienza del passato e in due sensi: da una parte certosaremmo molto attenti che alla Sicilia non vengano de-stinate industrie senza mercato. Siamo d’accordo con ilPresidente Carli quando chiede posti di lavoro che na-scono dal mercato. Anche noi siamo qui difensori delmercato: però vorremmo che non ci si limitasse a chie-derli i posti di lavoro ma che si cercasse di favorirne lacreazione sopratutto attraverso il ricorso alla base asso-ciativa tenendo presente che la Sicilia è cambiata. Maquesto è un discorso che riprenderò più avanti.

D’altra parte saremmo molto attenti a rispettare tuttele compatibilità di eventuali nuovi insediamenti indu-striali sia per quel che concerne la vocazione turistica

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dell’Isola che certo esiste ed è forte ma non può esseresufficiente — se secondata — ad una regione con cinquemilioni di abitanti e con vastissime zone interne che co-prono l’80% circa del territorio dell’Isola e ove vive il30% della popolazione. Ed anche alle compatibilità del-l’agricoltura che in talune zone dell’Isola, grazie ancheal movimento cooperativistico, sta conoscendo signifi-cativi momenti di sviluppo, che però possono essere vi-sti anche sotto il punto di vista dell’industria se final-mente ci decideremo a riaffermare quella che resta la vo-cazione industriale più tipica e più antica dell’Isola,quella cioè del settore agro-alimentare ad alto contenutodi manodopera e che per questo ben risponderebbe,oltretutto, ai drammatici problemi occupazionali del-l’Isola.

Crediamo dunque nell’industria e sappiamo di nonpoterne fare a meno per un fatto di crescita civile, diavanzamento sociale, di maturazione complessiva dellasocietà siciliana, perché dai fenomeni, non contrappostima affiancati, dell’operaismo e dell’imprenditorialità sipossa far crescere la nostra società.

Abbiamo già fatto la scelta della programmazione enel Comitato che farà il piano siedono i vostri rappresen-tanti, i rappresentanti degli industriali siciliani. E in quel-la sede batteremo su questo tasto e siamo certi di ottene-re da voi l’appoggio necessario. Autorevolmente del re-sto nel già ricordato convegno romano sono risuonate ta-lune voci volte a ricordare che il Mezzogiorno non è unapalla al piede per nessuno ma che esso, in un gioco dicontrapposizione fra aree ricche sovraffollate e aree po-vere, può avere assegnato il ruolo di realizzare compo-

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nenti e parti staccate per i sofisticati centri di assemblag-gio posti nel Nord del Paese.

È una visione che noi politicamente non possiamocondividere giacché ci riporta all’immagine di una indu-stria come fatto imposto dall’alto, con il cervello nelNord. E tuttavia per la parte da cui proviene non possiamorestare indifferenti a questa voce. Il Mezzogiorno vistocome area produttiva quantitativa più che qualitativa e co-me area di mercato sarebbe dunque un buon investimentoper molte regioni, per le risorse che la comunità vi ha in-vestito per infrastrutture, per i suoi 20 milioni di abitantiche rappresentano un potenziale mercato di sbocco e in-sieme una forza lavoro complessiva di 8 milioni di unità.

Queste sono dunque le dimensioni del fenomeno dicui sovente ci si dimentica per favorire questa o quella si-tuazione di sottosviluppo assai limitata. Queste sono lecifre complessive della società meridionale utilizzatequesta volta in una visione politica che non può essereapprovata e che tuttavia diversamente da altri — ed è giàqualcosa — non ci destina a parco naturale. Non c’è dub-bio che realisticamente parlando, in una rigida logicad’impresa, questa visione non può non avere una sua va-lidità. Si tratta però di portarla avanti come una prima fa-se, un primo passo, con coerenza e con coraggio, ciò chenon sempre è possibile rilevare in taluni comportamentiindustriali: c’è da parte della organizzazione degli indu-striali la volontà politica di contare di più e di essere pre-senti nella società nazionale con tutto il peso di rischio, diimprenditorialità, di professionalità che voi indubbia-mente rappresentate. Ed è desiderio che cammina di paripasso con quello della vostra naturale controparte, il sin-

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dacato, sul quale proprio in questi giorni sono stati ap-puntati gli strali di molte critiche, anche giustamentepreoccupate. Ma a proposito del problema meridionalesovente queste posizioni, apparentemente contrapposte,tendono a sovrapporsi e a identificarsi laddove esse con-cordano a salvaguardare l’esistente e divengono per ciòstesse anti-meridionaliste.

Accennavo or ora a critiche preoccupate alla azionesindacale giacché, a parte la possibile giustificazione po-litica di talune posizioni del sindacato, dobbiamo esseretutti molti attenti a che il ruolo positivo che esso ha svol-to e svolge nella difficile vicenda della crisi italiana, enon solo nel versante economico, non risulti insidiato dataluni fatti disgreganti che vanno emergendo da una par-te della base operaia.

Ma del resto, la posizione della Confindustria è deltutto apprezzabile e comprensibile. Essa lo diventa menoperò allorquando in positivo non si riesce ad andare al dilà di proposte che non portano nulla di nuovo, ma che silimitano riduttivamente ad assegnare al Mezzogiornoopere pubbliche in funzione anticiclica, una visione vec-chia e datata che noi respingiamo con forza perché essanon farebbe che perpetuare, con lavoro temporaneo, sen-za interventi strutturali, la nostra posizione di sottosvi-luppo. La stessa osservazione può essere mossa per leproposte che pure di volta in volta gli industriali avanza-no e che sono oggetto di attento esame in Sicilia come al-trove: mi riferisco all’operazione sviluppo che ipotizza-va 100 mila posti di lavoro e alla più recente operazioneponte che appunto individua nelle opere pubbliche e nel-l’esportazione le vie di sbocco per creare circa 290.000

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posti di lavoro che sarebbero però fittizzi e temporanei ecreerebbero poi pericolose attese, innescando ancora unavolta la logica del salvataggio e dell’intervento pubblicoa sostegno di una occupazione, quella sì, che non nascedal mercato. Ecco noi crediamo che la Confindustria an-che attraverso il ricorso alla propria base associativa siain grado di proporre qualcosa di più, coerentemente conil ruolo politico di maggiore incidenza che essa vuolegiocare; tenendo presente che questa capacità propositi-va in positivo è più importante, proprio per chi si poneobiettivi produttivistici ed efficientistici, della logica ab-bastanza riduttiva della difesa pura e semplice della tur-rita cittadella dell’esistente, concentrata in un’area so-vraffollata che ha creato e crea squilibri all’intero Paese,senza tener conto che c’è un’altra metà del Paese, che hale stesse caratteristiche politiche e sociali e che fa partedella stessa Europa di cui tutti facciamo parte.

Occorre tener presente pure che la Società meridiona-le è molto mutata anche rispetto ai relativamente vicinianni ’50 e ’60. Qui non ci sono più postulanti e non c’èpiù il meridionalismo piagnone: c’è invece una nuovasocietà omogenea culturalmente e socialmente con il re-sto del Paese e che vuole esserlo con la stessa Comunità,che si muove con maggiore scioltezza, tenendo ben pre-sente il grado di autonomia di libertà di cui l’impresa habisogno per vivere.

Si è scritto e si è detto a questo proposito con abbon-danza di «lunghi sonni delle regioni meridionali», di «re-gioni sonnacchiose per il Sud»; «di necessità di sopperi-re alla inefficienza delle Regioni meridionali, alla lororissosità interna e alla loro sonnolenza decisionale».

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Si è sottolineato il grave fenomeno dei residui passivie delle giacenze di cassa delle regioni in genere e di quel-le meridionali in particolare quasi a conferma di una inef-ficienza tutta meridionale: potrei, avvalendomi dellecomparazioni statistiche, evidenziare che i consuntivi1977 fanno registrare per altre Regioni settentrionaliconsiderate come efficienti aumenti dei residui passiviassai consistenti, per talune il raddoppio o oltre rispettoal 1975.

La stessa Amministrazione dello Stato con un aumen-to di 1.275 miliardi è arrivata con il consuntivo del 1977al record di 19.407 miliardi di residui passivi, con l’ag-gravante che l’incidenza della spesa corrente e dei trasfe-rimenti nel bilancio dello Stato si è fatta negli ultimi eser-cizi sempre più alta, mentre al contrario, come altre re-gioni meridionali, la Regione Siciliana registra, come ri-sulta dal consuntivo parificato della Corte dei Conti, unadiminuzione dei suoi residui passivi del 17% nello eser-cizio 1977 sul precedente esercizio ed un volume di pa-gamenti di ben 1.426 miliardi.

Ma al di là di facili ritorsioni polemiche che nulla tol-gono alla gravità del fenomeno, dobbiamo invece faredue considerazioni di carattere generale; la prima è la do-verosa necessità della classe dirigente meridionale delmassimo impegno e del massimo sforzo per avere le«carte in regola», non certo in una concezione formalisti-ca e burocratica ma in direzione del funzionamento mas-simo possibile delle strutture regionali e del consegui-mento più rapido possibile delle finalità enunciate e pro-prie delle nostre responsabilità; la seconda è la constata-zione di un duplice tentativo tendente da un lato a scredi-

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tare le regioni in generale, nel momento in cui esse stan-no per assumere il ruolo determinante di protagonistedella vita del Paese, per favorire un innegabile riflussoaccentratore (esempi: legge quadrifoglio, d.d.l. quadrosul turismo, taluni eccessi nel controllo dei flussi finan-ziari); e tendente dall’altro a ricercare, nelle carenze del-le regioni meridionali, un diversivo, un alibi, per il per-manere, più drammaticamente che nel passato, del pro-blema meridionale.

C’è invece qui in Sicilia una controparte attiva dispo-sta a trattare con spirito costruttivo e ad esaminare inizia-tive comuni, con la sola ma ferma eccezione di quelle de-stinate a risolversi in ulteriori perdite da scaricare sullacomunità attraverso la Regione che ne sopporta già trop-pe. Qui mi pare possa esserci in concreto l’esplicazionedi un ruolo «politico» in senso lato, come quello che laConfindustria si è scelto.

Un ruolo cioè di tutela, attraverso la difesa dei valoridella produttività e dell’efficienza, dell’intero sistemaproduttivo italiano che deve però poter avere una capaci-tà propositiva in positivo, proprio perché è l’intero siste-ma produttivo che va riequilibrato e non si tratta di difen-dere solo una piccola e sfortunata parte del Paese, ma il40% di esso, una parte che non può pesare sull’altra per-ché, a tacer d’altro, per quanto forte possa essere la primanon potrà certo tollerare indefinitamente questo peso.

Questa mi pare la logica che deve presiedere alle scel-te di una forza sociale come quella degli industriali chenon si possono limitare a chiedere che i posti di lavoronascano dal mercato ma devono avere la capacità di ri-equilibrare la loro presenza nel territorio pena la perdita

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di quella più ampia funzione sociale che essi giustamen-te si prefiggono.

A questo riguardo grossi passi avanti potranno esserefatti dal tessuto delle piccole e medie industrie utilizzan-do la costruenda rete di distribuzione dal metano algeri-no che non potrà non giovare alla diffusione e allo svi-luppo di esse; si tratta di un settore che comprende 1aparte maggiore delle industrie siciliane al quale abbiamosempre attribuito un ruolo trainante e in favore del qualepiù volte la Regione è intervenuta con buone leggi a te-stimonianza della fiducia riposta nella imprenditoria mi-nore in Sicilia, i cui problemi di potenziamento e di at-trezzatura di servizi comuni trovarono spazio adeguatonell’analisi del problema Sicilia, poi sfociato nei primiinterventi previsti al riguardo dalla recente legge n. 34del ’78. L’apporto energetico del metano risulterà deter-minante per tutta questa realtà produttiva nella misura incui il problema della sua distribuzione diverrà problemadi tutto il Mezzogiorno.

Ma ci avviamo purtroppo verso prospettive non favo-revoli e a volte contraddittorie laddove ad esempio aduna previsione di aumento degli investimenti al Sud dei17% nel ’79 coincide un aumento dell’occupazione pra-ticamente irrilevante, pari allo 0,9%, come lo stessoCentro Studi della Confindustria ci ha informato recente-mente. Sono dati che inducono ad essere veramentepreoccupati laddove dovessero risultare confermati daifatti, che vanificherebbero tutta la pressante richiesta diinvestimenti al Sud che ne risulterebbe fortemente condi-zionata e limitata, laddove si dimostrerebbe con i fatti chenon sempre ad un vivace incremento degli stessi coincide

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un aumento della occupazione. Diminuirebbero così lepressioni dell’opinione pubblica, dei partiti, dei sindaca-ti, sulla imprenditoria pubblica e privata, tenendo distin-ti tuttavia i ruoli che a ciascuna vanno attribuiti. Ed infat-ti non da oggi andiamo chiedendo un più forte impegnodelle PP.SS. nel Sud, anche se siamo coscienti che il loropeso è inferiore nel sistema italiano al 10% dell’occupa-zione totale nell’industria. Se è vero quindi che allePartecipazioni Statali va attribuito un ruolo politico trai-nante è pur vero che la maggior quota di investimenti (edi responsabilità se essi non vengono effettuati) va attri-buita all’industria privata, restando tuttavia da verificaree da controllare l’ipotesi (che risulterebbe rafforzata daquei dati) che la occupazione non subirebbe incrementicospicui da un aumento non forte ma certo significativodegli investimenti.

Ma sovente anche la stessa industrializzazione delMezzogiorno finisce per tornare a vantaggio dell’areapiù forte del Paese tanto quest’ultima è soverchiante, da-to che, secondo un recente studio del Cesan, oltre il 50%delle commesse delle imprese metalmeccaniche operan-ti al Sud viene destinato ad imprese del Nord, poiché laconvenienza di rifornirsi al Sud sussiste solo per fornitu-re a basso valore aggiunto o contraddistinte da elevati co-sti di trasporto, e non tutti possono o vogliono farsi cari-co dello sviluppo dei subfornitori locali.

Ecco quindi che le attese tradizionalmente collegateall’indotto di fatto non si realizzano, facendo venir menouno dei presupposti dell’intervento al Sud e cioè quellodegli effetti allargantisi a macchia d’olio.

Talune tendenze per porre riparo a questo fenomeno

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si vanno manifestando nella più recente legislazione:esempio tipico è quello dell’art. 5 della legge 18 agosto1978 n. 503 per il potenziamento degli impianti e del ma-teriale delle Ferrovie dello Stato che prevede appuntouna riserva del 45% in favore degli stabilimenti indu-striali dell’Italia meridionale ed insulare, a condizioneche essi acquistino tutte le parti necessarie nelle stesse re-gioni. Il principio teorico delle riserve al Mezzogiorno,in sè e per sè astrattamente esatto, trova però dei limiti inquesti elementi di fatto che occorre superare rispettandolo spirito della legge anche attraverso la celebrazione diseparate gare d’appalto per le imprese meridionali, senzadi che le riserve rischiano, come più volte è accaduto inpassato, di restare prive di contenuti reali.

Ed altre preoccupazioni ci vengono dalla questione inquesti giorni divenuta assai scottante dell’adesionedell’Italia al sistema monetario europeo, tema sul quale ilpresidente Carli, con la sua specifica, qualificata espe-rienza, ha ammonito ad essere molto cauti. Io credo dipoter dire in un’ottica non solo meridionale che in effettile preoccupazioni del dott. Carli sono più che fondate eche ad esse va dato ascolto: io non sono in grado di dire,né spetta a me farlo, se tecnicamente lo SME è un siste-ma valido e se la emarginazione del dollaro, o quanto me-no la nostra uscita dall’area della moneta statunitense,siano tecnicamente fatti positivi o no. Posso dire però,politicamente, che tale scelta non è esente da rischi e chedal punto di vista meridionale essa presenta pericoli con-sistenti, nella misura in cui la nostra adesione significhe-rà adesione ad una Europa sempre più attratta nell’areadel marco e della Germania occidentale. Si tratta di inte-

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grarsi in una comunità vera e non di pervenire fittizia-mente ad una aggregazione da realizzare ai livelli tantoalti da non essere raggiungibili da tutti come ho avutomodo di dire molto francamente pochi giorni faall’Ambasciata della Germania federale. Certo sonomolte e consistenti le interdipendenze che ci leganoall’Europa del Nord industriale, efficientistica e forte-mente avanzata e noi abbiamo di vista l’obiettivo politi-co della Europa integrata anche politicamente. Ma taleintegrazione non deve significare fagocitazione ancheperché fra breve — ed è una prospettiva a cui guardiamooggi con coraggio e lungimiranza — crescerà il pesodell’Europa mediterranea nella Comunità con l’ingressodi Portogallo, Spagna e Grecia, anche se a questo ingres-so si guarda proprio dalla Sicilia agricola con qualche ti-more, credo facilmente comprensibile. C’è qui il realiz-zarsi ulteriore del superamento di ormai troppe angustedimensioni nazionali, c’è il sempre più spiccato inseri-mento di società mediterranee nella Comunità, ma c’èanche il rischio della concorrenza non solo agricola maanche industriale nei confronti del Mezzogiorno italianodei tre nuovi partners, con costi di lavoro assai più bassidei nostri; ma c’è n’è uno maggiore ed è quello del possi-bile formarsi di due aree all’interno della Europa: unadelle zone ricche e una delle zone più povere, mediterra-nee. E accanto a questa un’altra suddivisione in aree nonè difficile ipotizzare: quella cioè tra coloro che tenderan-no a privilegiare lo sviluppo a livelli elevati e coloro chetenderanno ad allargare il concetto di giustizia sociale. Ec’è infine un terzo rischio — ed è il maggiore — che que-ste due aree tendano a sovrapporsi l’una all’altra fino a

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combaciare perfettamente. Avremmo allora ripetuto a li-vello comunitario la realtà del nostro Paese, tipica ed em-blematica dell’intera realtà dell’Europa, divisa tra il Mardel Nord e il Mediterraneo. E a che ci sarà servita l’espe-rienza storica di cento anni di meridionalismo in Italia?

È dunque con una nota, sia pure interrogativa, di pes-simismo che sono costretto a concludere queste breviconsiderazioni suggeritemi dall’invito oggi cortesemen-te da Voi rivoltomi a partecipare ai vostri lavori, correttoperò se mi consentite dalla speranza che talune indica-zioni possano trovare in voi eco favorevole rafforzata og-gi dalla significativa presenza del vostro presidente na-zionale il cui prestigio è sicura garanzia perché tutti sipossa guardare al futuro con l’ottimismo della volontà,una volontà operativamente rivolta a lavorare per il futu-ro del nostro Paese tutto insieme e non solo per la metàpiù ricca di esso. Grazie.

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La Sicilia ed il piano triennale di sviluppo (*)

Palermo, 26 gennaio 1979

Credo che mi consentirete di esporre alcune valuta-zioni sul problema relativo ai contenuti del programmatriennale, senza che le mie valutazioni, ovviamente, vo-gliano rappresentare nulla di definitivo e di completo,perché su una materia di questo genere è proprio indi-spensabile (così come è avvenuto l’altro giorno in senoalla Commissione per la programmazione della nostraAssemblea) il contributo ed il confronto delle opinioni ditutti per focalizzare e definire una posizione unitaria del-la Regione. Io farò due tipi di valutazioni: alcune di ca-rattere generale, altre più specifiche, con riferimento so-prattutto alla discussione che si è svolta in Assemblea suldocumento presentato dal ministro Pandolfi l’estatescorsa e valutando il quale fu votato dall’Assemblea undocumento che indicava al Parlamento nazionale, alGoverno nazionale, alle forze politiche, una serie di pro-blemi e di aspetti di quel documento, a nostro avviso me-

(*) Discorso pronunziato in occasione della riunione, svoltasi aPalazzo dei Normanni, dei parlamentari nazionali eletti in Sicilia e deideputati regionali. L’incontro, indetto congiuntamente dai Presidentidella Regione Mattarella e dell’Assemblea De Pasquale, si inseriva nelquadro delle iniziative volte al coordinamento dell’azione politica dellaRegione con l’attività dei parlamentari nazionali eletti in Sicilia. In quel-la occasione si mirava al raggiungimento di una posizione unitaria a tu-tela degli interessi della Sicilia nel quadro generale della politica meri-dionalistica.

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ritevoli di integrazione o di modificazione. Il presuppo-sto di questo nostro incontro e dell’azione che si potràsvolgere è che il piano triennale, così come il Presidentedel Consiglio ha dichiarato nel consegnarlo ai Presidentidelle Regioni, ha un carattere aperto ed è, quindi, ogget-to di possibili modificazioni o integrazioni.

Credo che le difficoltà politiche a cui accennava ilPresidente De Pasquale, e cioè l’estrema incertezza dellasituazione politica regionale, che non sappiamo versoquale sbocco potranno portare, costituiscano una mag-giore possibilità di apertura sul documento; nel senso che,in ogni caso, nel momento in cui si dovesse riprendere l’e-same del documento stesso, è chiaro che sullo stesso e suisuoi contenuti ci sarà un confronto tra le forze politichecertamente più serrato di quello che probabilmente non cisarebbe stato in condizioni normali. Quindi, può anchedarsi che ci siano più spazi di quanto era prevedibile ri-spetto ai contenuti del documento stesso.

Telegraficamente dirò, anche perchè sono cose piùnote a voi parlamentari nazionali che a noi deputati re-gionali, che al di là dei suoi contenuti, la scelta di perve-nire a un documento programmatico a medio termine co-stituisce indiscutibilmente un fatto positivo, non solo peraffrontare e superare la realtà di emergenza, di crisi cheattraversa il Paese, ma, di per sè stesso, come ritorno aduna programmazione che ha, rispetto all’esperienza delpassato, una qualità migliore per il solo fatto di non esse-re e di non presentarsi complessivamente come un piano,che certamente è un grado ulteriore di programmazione,ma come uno strumento che, riferito alla realtà economi-ca (ed essenzialmente a quella), costituisce per la sua ela-

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sticità un punto di coordinamento utile per superare —come appunto dicevo — il momento di crisi del Paese.

Quindi questa notazione positiva dà a tutte le osserva-zioni, a tutte le proposte che l’Assemblea ha già votato inquel suo documento, e che potremo determinare, il carat-tere di un apporto costruttivo soprattutto per guardare alprogetto di piano nella sua prospettiva di carattere men-dionalistico, perché è chiaro che è questo soprattuttol’oggetto delle nostre osservazioni. Anche quei problemidi carattere specifico che riguardano la nostra regione, eper i quali certamente è indispensabile un’azione comu-ne, debbono essere visti in questo contesto di prospettivae di sviluppo dell’intero Mezzogiorno, non in una conce-zione separata di interessi che, al limite, potrebbero an-che apparire contraddittori con quelli di altre regioni. Èquindi in questa ottica, in questa valutazione complessi-va dei risultati che il programma può avere per ilMezzogiorno che vanno collocate tutte le iniziative chesi potranno identificare. Da un punto di vista generale,proprio per questa ottica di interesse complessivo delMezzogiorno, io credo che possa farsi al documento pro-grammatico una osservazione che, a mio avviso, sottoli-nea una carenza dal documento stesso. Esso, pur parten-do da due osservazioni estremamente importanti e politi-camente apprezzabili e non trascurabili (la prima, che ilMezzogiorno, assieme alla occupazione, è l’obiettivofondamentale del programma; la seconda, pure contenu-ta esplicitamente nel documento e che si traduce nellacosiddetta politica dei due tempi e che va nettamente re-spinta anche per le sue conseguenze di carattere sociale epolitico), pur partendo — dicevo — da queste due consi-

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derazioni, che, ripeto, sono estremamente significativeed estremamente importanti, cioè danno il segno dellaconsapevolezza piena, da parte degli estensori del docu-mento e quindi del Governo dello Stato, della importan-za strutturale del problema del Mezzogiorno, pone unaesigenza rispetto a questi due obiettivi identificati contanta chiarezza e quindi positivi.

C’è da chiedersi: i contenuti del piano, le azioni che ilpiano identifica, sono totalmente coerenti rispetto a que-sti due obiettivi o c’è la esigenza di verificare nella con-cretezza delle singole azioni una maggiore coerenza?Ecco, io credo che sia necessario effettuare questa verifi-ca nella strumentazione delle azioni operative del piano,perchè mentre per altri aspetti del documento, come ilprogramma del costo del lavoro, sono indicate delle azio-ni specifiche e concrete, per quanto riguarda le azioni re-lative al Mezzogiorno questa indicazione c’è ed ha unasua concretezza limitatamente a due tipi di intervento:l’intervento straordinario e l’intervento nel settore delleopere pubbliche. Per quanto riguarda invece i settori pro-duttivi, cioè l’agricoltura e l’industria, queste azioni con-crete, a mio avviso, hanno la necessità di essere verifica-te per essere rese più vincolanti.

E su questo si potrebbe fare la prima osservazione: lapolitica dei due tempi, in mancanza di azioni concrete evincolanti nei settori produttivi, rischierebbe di vanifica-re ogni prospettiva. Nel settore della industria, per esem-pio, il riferimento puro e semplice ai piani di settore o,nel settore delle partecipazioni statali, la indicazione, peraltro quantitativamente significativa, di riserva degli in-vestimenti nel Mezzogiorno, ma il rinvio poi agli stru-

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menti e ai programmi delle singole realtà delle partecipa-zioni statali stesse, costituiscono in fondo una contraddi-zione, sulla quale tornerò un po’ più avanti. Anche ieri,nell’incontro tra sindacato siciliano e Governo centrale,è venuta fuori questa preoccupazione per quanto riguar-da le partecipazioni statali. Quindi se noi guardiamo alcomplesso della realtà industriale, c’è nel documentoquesta logica del risanare, se non in maniera temporal-mente separata, ma certamente in maniera logica, primal’apparato esistente per far sì, sostenendolo, che i riflessipositivi vadano poi al Mezzogiorno.

E questo, in fondo, è un aspetto della politica dei duetempi a cui accennavo prima. Lo stesso potrebbe dirsi inagricoltura dove, se sono previsti degli incrementi quan-titativi dei tipi di intervento per alcune azioni dell’inter-vento straordinario, mancano talune indicazioni che, peresempio, l’Assemblea aveva sottolineato nel suo docu-mento e che certamente avrebbero un carattere più strut-turale, andando al di là dell’intervento straordinario, acui sono improntate tutte le iniziative della legge 183.Quindi c’è questa osservazione di fondo che credo meri-ti una particolare attenzione e valutazione, soprattuttoper quanto riguarda, ripeto i due settori produttivi: l’in-dustria e l’agricoltura.

Anche se, proprio perchè c’è nel documento questaaffermazione di principio e queste due affermazioni dipolitica generale, devo ritenere che nella strumentazionedelle fasi operative ci possa essere e ci sarà certamenteuna disponibilità politica a vedere meglio e a identificaremeglio le azioni conseguenti. In fondo le due risposte, di-cevo, che si registrano in maniera anche consistente, e

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vorrei dire in materia qualitativamente migliore che nelpassato, sono l’intervento straordinario e l’intervento peropere pubbliche. Per quanto riguarda l’intervento straor-dinario, il solo fatto di averlo rivisto tutto, ricostruendo-lo nella sua unicità e dandone una visione complessiva,costituisce certamente un fatto positivo perchè tenta didare a tutte queste azioni, che molto spesso sono statecondotte nel passato separatamente e senza coordina-mento, una visione unitaria ed una operatività unitaria ecertamente un modo qualitativamente migliore di gestio-ne. Lo stesso può dirsi per gli interventi nel settore delleopere pubbliche. Al di là della necessità di verificarne poimaterialmente l’importo, la indicazione di una serie di ri-serve che il programma identifica anche in misura supe-riore alla stessa legge finanziaria del dicembre, costitui-sce certamente una risposta.

Ma, ecco, è il tipo di risposta (intervento straordinarioe opere pubbliche) di sempre e non è quella svolta che èindispensabile determinare, a mio avviso, per un realesviluppo del Mezzogiorno.

Questa è quindi l’osservazione di fondo che io credodi dovere fare al documento programmatico, osservazio-ne che postula una nostra incisiva iniziativa per renderele azioni previste nella seconda parte del documento piùcoerenti e più fedeli ai due presupposti, ai due enunciatipolitici che sono indicati nella parte prima, cioè nelle li-nee della strategia del programma.

Per quanto riguarda i singoli problemi specifici, noiabbiamo fatto, come il Presidente ricordava, due dibatti-ti, uno in Assemblea, e l’altro in seno alla Commissioneper la programmazione e abbiamo identificato una serie

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di proposte che vogliamo offrire alla vostra valutazione,non per definire in questa sede, in questa unica circostan-za, le azioni da intraprendere, ma per offrirle alla vostrameditazione, anche perché i tempi che abbiamo davantici consentono probabilmente un approfondimento mi-gliore e una puntualizzazione migliore di quelle parti deldocumento sulle quali concentrare gli sforzi, che sonoappunto quelle che rivestono un carattere generale per ilMezzogiorno e che abbiano poi un riferimento particola-re alle realtà della nostra Isola. E cominciando dalla par-te relativa al settore industriale, credo che la cosa fonda-mentale, che ha un carattere generale per tutto ilMezzogiorno, riguarda la gestione della legge 675, chenel programma è rinviata ai piani di settore.

Questo riferimento puro e semplice evidentementenon dà alla legge di riconversione industriale quel tagliomeridionalistico che un po’ tutti abbiamo cercato di de-terminare. I piani, come voi sapete, sono stati definiti ehanno avuto giudizi complessivamente negativi da partedi quasi tutte le regioni italiane e in particolare di quellemeridionali; però la natura stessa dei piani, la loro gene-ricità può diventare un fatto che dà spazio nella gestionedegli stessi. In fondo i documenti dei piani di settore nonindicano, nella loro stesura attuale, specificatamente leazioni di riconversione e di ristrutturazione delle azien-de, ma fanno una analisi, per la verità molto completa, diquelle che sono la realtà dei vari settori e danno gli indi-rizzi di carattere generale. È quindi nella gestione dei sin-goli piani che potrà darsi, e proprio per il carattere così la-to degli stessi, una impronta diversa da quella che vienfuori dai documenti stessi. E allora il problema che si po-

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ne credo che sia innanzitutto quello di fare di questi stru-menti l’occasione per una redistribuzione territoriale del-l’apparato industriale nel nostro Paese. Credo che si pos-sa chiedere che tutti i processi di riconversione, che si rea-lizzano in fondo con il credito agevolato e quindi con ilconcorso della spesa pubblica, possano essere indirizzatinella misura maggiore possibile verso il Mezzogiorno.Nessuno di noi si sente di fare affermazioni di carattereapodittico e cioè che tutta la riconversione industriale sidebba realizzare nel Mezzogiorno, ma nella misura mag-giore possibile, sì. Non devo dire a voi certamente le ra-gioni di carattere generale, in rapporto alla realtà delMezzogiorno e di quella del centro-nord che legittimanoquesto indirizzo; indirizzo che va perseguito non per uninteresse del Mezzogiorno ma complessivamente per uninteresse generale del nostro Paese.

Credo, peraltro, che si possa dire che le condizioni at-tuali della nostra industria consentano di rendere credibi-le una azione di questo genere senza valutazioni né otti-mistiche nè miracolistiche. Certamente, però, se la ge-stione della 675 è condotta con una volontà programma-toria indirizzata a spostare, nella misura più larga possi-bile, gli investimenti sostenuti dal credito agevolato, equindi dal concorso della spesa pubblica verso ilMezzogiorno, qualche cosa di riequilibratorio dell’appa-rato produttivo industriale potrà realizzarsi nel nostropaese. Questo, soprattutto, perchè gli stessi piani, se si vaa guardarli attentamente, costituiscono per la realtà esi-stente nel Mezzogiorno, una base che non è certamentedi prospettive positive. Se, ad esempio, guardiamo il pia-no della chimica o il piano dell’elettronica ci accorgiamo

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che si tratta di strumenti che identificano, per ciò che giàesiste nel Mezzogiorno, momenti di difficoltà e momen-ti di compressione della struttura esistente. Quindi è as-solutamente indispensabile che ci sia un processo di in-dirizzo di investimenti, di espansione o di riconversioneverso il Mezzogiorno.

Sempre nel settore industriale, abbiamo accennato alproblema delle partecipazioni statali che è certamente unaltro momento decisivo per le prospettive di sviluppo delMezzogiorno e della nostra isola. Anche qui c’è nel pro-gramma l’affermazione estremamente importante dellariserva per il Mezzogiorno di nuovi investimenti dellepartecipazioni statali con la indicazione quantitativa checertamente non è trascurabile; però, se si vanno a guar-dare gli strumenti di programmazione propri dei singolienti, dell’ENI, dell’IRI, delle varie finanziarie dell’IRI,ci si accorge che mancano, o, perlomeno, non si vedequali sono questi nuovi investimenti che dovrebbero ve-nire nel Mezzogiorno.

Ieri, nell’incontro avvenuto presso la Presidenza delConsiglio, abbiamo toccato con mano questa contraddi-zione. Prendiamo l’esempio della cantieristica: in base aciò che prepara la Fincantieri, e che dice con molta chia-rezza, non è certamente un settore che promette qualcosadi buono, anzi promette prospettive negative per la real-tà cantieristica specificatamente di Palermo; se guardia-mo all’industria elettronica, ieri c’è stato detto che, perquanto riguarda Catania, c’è una qualche cosa di nuovoma che serve ad assorbire ciò che si perderà; nell’attualeproduzione, dal punto di vista occupazionale, non c’è unincremento della presenza in senso complessivo. E così

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continuando, nei vari settori, nei vari programmi dellepartecipazioni statali non si trova il riscontro alla affer-mazione, ripeto importante, che il programma dà, di in-vestimenti riservati in misura cospicua al Mezzogiorno.E anche qui il discorso è sempre lo stesso, cioè quello diinserire vincoli reali negli strumenti operativi del pianoper tutelare l’affermazione politica che il piano stessocontiene. Questa credo che sia una delle cose più impor-tanti verso le quali indirizzare la nostra azione, perchè senon viene perseguita dalla industria e dall’impresa pub-blica la strada del riequilibrio territoriale nel nostro pae-se, certamente è più difficile ottenerla da altri protagoni-sti della vita industriale del paese. Questo non vuole to-gliere nulla alla esigenza che le partecipazioni statali sia-no condotte con criteri di economicità e di produttività,ma non si può neanche tirare in ballo questa esigenzaesclusivamente quando si chiede la presenza della indu-stria pubblica nel Mezzogiorno, quando ben sappiamoche la realtà delle partecipazioni statali nel resto del pae-se non è certamente, almeno allo stato, una realtà condot-ta in una concezione rigorosamente economica. La no-stra esperienza regionale a proposito di enti pubblici eco-nomici ci insegna tante cose forse anche peggiori dellepartecipazioni statali, ma questa nostra carenza, questanostra realtà negativa, certamente non può costituire pernoi stessi una condizione per non chiedere che le parteci-pazioni statali facciano in Sicilia il loro dovere.

L’esame dei singoli piani di settore e dei singoli pro-grammi delle partecipazioni statali che riguardano ilMezzogiorno, costituisce, a mio avviso, un’occasione incui ci sarà da combattere una battaglia perchè essi siano

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riguardati in una direzione diversa. Lo stesso va detto,sempre nel settore industriale, per quello che è il ruolodella Gepi: per esempio, nel programma c’è un’afferma-zione a proposito della Gepi (e questo riguarda specifica-tamente la nostra regione) in cui, prendendo lo spuntodall’articolo 2 che gran parte di voi ottenne di inserirenella legge 675, si dà un’interpretazione del tutto distor-ta: cioè si dice, praticamente, che se la Gepi deve fare de-gli interventi nelle regioni a statuto speciale, deve farli incollaborazione con gli enti di partecipazione regionale;mentre lo spirito e la filosofia della richiesta che partì davoi, per ottenere la prescrizione legislativa, salvo poi avedere il fatto della copertura finanziaria della norma,era evidentemente diverso, quello di avere un vincolo le-gislativo che costringesse la Gepi ad intervenire in quel-la che era la realtà industriale pubblica esistente nella no-stra regione. E questa affermazione contenuta nel pro-gramma è un’affermazione pericolosa perché svia deltutto il ruolo che alla Gepi si chiede di recitare nella no-stra regione. C’è poi per la Gepi il problema finanziario:cioè la Gepi non ha, almeno in ogni contatto ci dice dinon avere, come probabilmente non ha, nessuna risorsafinanziaria per intervenire ulteriormente con azioni edinterventi che siano di salvataggio e poi di riconsegna aduna fase produttiva delle singole imprese. Quindi, anchequesto della Gepi è, per quanto riguarda l’aspetto indu-striale, un problema direttamente connesso con il pro-gramma triennale per le linee di indirizzo che detta, e poicon i piani della Gepi per quanto riguarda i contenuti delprogramma stesso. Da tutto questo complesso si evincecome in questo, che è il settore più importante per quan-

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to riguarda le prospettive di sviluppo del Mezzogiorno,non vi siano vincoli operativi rispetto a quelle che sono leindicazioni, ripeto, accettabili dal punto di vista generaledel programma. Tutte queste cose che io ho indicato so-no inserite nell’ordine del giorno che credo voi conoscia-te, votato dall’Assemblea nell’ottobre scorso, e cioè gliinterventi delle partecipazioni statali, l’attuazione dellalegge 675, il ruolo della Gepi.

Nel settore dell’agricoltura noi avevamo indicato gliinterventi che riguardano da un punto di vista di base l’ir-rigazione e la forestazione, e per la irrigazione e per la fo-restazione si presentano anzitutto due problemi di gestio-ne delle risorse finanziarie esistenti. Per la irrigazionequello di coordinare, come stiamo tentando di fare, ma lascelta definitiva poi è del ministro per il Mezzogiorno,gli interventi della Cassa con quelli della regione per evi-tare che si prosegua su strade diverse. In termini moltoconcreti occorre far sì che talune opere iniziate dalla re-gione possano essere incluse nei programmi della Cassae quindi completati con finanziamenti di quest’ultima;occorre che siano coordinati i vari tipi di intervento nellacanalizzazione e nell’irrigazione, preferendo gli invasiche sono in stadio più avanzato di realizzazione, vuoidalla Cassa vuoi dalla regione, in maniera da fare uncomplesso funzionale e non fare dei complessi che poinon sono utilizzati; occorre evitare in questa fase che siinizino, per esempio, nuovi invasi anzichè completarequelli esistenti. Ed è, questa del coordinamento, un’esi-genza di carattere gestionale che noi abbiamo sottolinea-to nel Comitato delle regioni meridionali e credo ci sia, inlinea generale, il consenso del ministro. Ma questa esi-

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genza, nella stesura del programma avvenuta negli ultimidi dicembre, senza un raccordo con la regione, non è sta-ta accolta, anche se il ministro poi ha tenuto a dichiarareche questo programma potrà essere modificato.

E lo stesso è per la forestazione. Noi per la forestazio-ne abbiamo (e credo che sia una nota positiva rispetto an-che alla realtà di altre regioni) un programma organicoche però pone, per potere utilizzare il finanziamento del-la Cassa destinato al progetto speciale per la forestazio-ne, un problema di gestione, che cercherò di riassumere.Noi abbiamo chiesto di potere avere ammessi a finanzia-mento anche progetti che non siano in senso proprio ecompleto di carattere produttivo. Voi sapete che il pro-getto speciale per la forestazione della Cassa delMezzogiorno è finalizzato ad attività industriali e quindidovrebbe essere riservato soltanto a progetti di foresta-zione che abbiano come destinazione la fornitura di ma-teria prima per l’industria. Noi abbiamo chiesto, e nonabbiamo ancora avuto una risposta positiva, di potere, inmancanza di una consistente iniziativa privata in questadirezione e in presenza di uno strumento organico di fo-restazione che è significativo, di potere avere ammessi afinanziamento sul programma di forestazione dellaCassa anche progetti che non abbiano in senso pieno unanatura produttivistica ma abbiano una natura protettiva,come sono quelli che predispongono normalmente gliorgani competenti della Regione in materia di forestazio-ne. Il problema, ripeto, è di carattere gestionale prima an-cora che quantitativo, cioè di risorse finanziarie, perchè,per la verità, la somma delle risorse disponibili per l’in-tervento straordinario viene per questo triennio aumenta-

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ta. E siccome gli stanziamenti sono, tra l’altro, intercam-biabili tra i vari progetti speciali e secondo i programmiannuali, non c’è il problema di un ulteriore finanziamen-to. C’è un problema di gestione, che non è esclusivo del-la nostra Regione, ma è, credo, tipico anche di altreRegioni, come la Calabria, in cui l’attività di forestazio-ne ha probabilmente più la natura protettiva che non lanatura produttiva.

Ma, per quanto riguarda l’agricoltura, nel citato docu-mento votato dall’Assemblea e nella discussione dell’al-tro giorno in Commissione di programmazione, sonoemersi aspetti più generali in ordine alle prospettive del-la nostra agricoltura. I problemi dell’agricoltura, eviden-temente, sono tali e tanti che non posso pretendere di sin-tetizzarli in poche espressioni; tra l’altro noi li dibattere-mo nella conferenza della agricoltura nel prossimo mesedi febbraio. La considerazione che noi abbiamo fatto difronte ad un programma che, per la sua natura, inciderànotevolmente nella vita del Paese dal punto di vista eco-nomico negli anni futuri, è che il ruolo e lo spazio giusta-mente riservati alla agricoltura del Mezzogiorno e dellanostra Regione in particolare sono certamente uno spa-zio ed un ruolo che devono essere sostenuti ed incorag-giati; e da questo punto di vista anche le Regioni (la no-stra prima delle altre) devono contribuire nel modo mi-gliore possibile. Ma a che serve questo intervento finan-ziario statale, a che serve l’intervento straordinario dellaRegione o delle Regioni, se poi non si creano le condi-zioni generali che conservino a questa attività agricolauna produzione che sia redditizia? Noi abbiamo postonel nostro documento il problema della politica comuni-

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taria e dei riflessi delle politiche comunitarie in agricol-tura per quanto riguarda la tutela dei prodotti perché, evi-dentemente, non è una prospettiva incoraggiante quelladi sostenere produzioni che poi non hanno un mercatoche sia incentivante per chi produce.

Ci sono tanti problemi, ripeto, che riguardano l’agri-coltura (non posso enunciarli qui), ma il problema di ri-vedere, nel momento in cui si fa una programmazione diquesto tipo, talune delle condizioni che pesano sull’agri-coltura meridionale e su taluni prodotti propri della no-stra Regione in direzione della realtà comunitaria, credoche sia una esigenza che va guardata con molta attenzio-ne. Anche qui, appunto, c’è l’esigenza di accogliere l’o-rientamento di dare all’agricoltura lo spazio, la prospet-tiva che corrisponda alla vocazione del Mezzogiorno, madi dare anche alla stessa quegli strumenti operativi che nefacciano una realtà che abbia le sue prospettive anche dinatura economica.

Un altro punto sul quale noi ci eravamo intrattenutinei nostri dibattiti riguarda l’esigenza di far crescere larealtà del Mezzogiorno e quella della nostra Regione datutti i punti di vista ma anche da quello qualitativo e cul-turale, e quindi l’esigenza di ottenere una presenza mag-giore di realtà e di strutture di ricerca nel Mezzogiorno enella nostra Isola. Da questo punto di vista credo chedebba essere sottolineata con soddisfazione e inserita nelprogramma (ma era una decisione maturata qualche set-timana prima) la decisione del C.N.R. di destinare aiMezzogiorno una quantità di centri di ricerca nettamentesuperiore a quella del passato. Ma sorge anche qui unproblema, che va enunciato con molta chiarezza. Non è

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sufficiente che il C.N.R. abbia identificato un certo nu-mero di centri di ricerca nel Mezzogiorno perchè potreb-be avvenire che questi centri di ricerca, per la loro quanti-tà di utilizzo di energie umane, per gli stanziamenti cheavranno assegnati, per il tipo di ricerca che sarà loro affi-data, possano essere, non dico svuotati, ma ridimensiona-ti molto nella loro capacità propulsiva e nella loro possi-bilità di utilizzo di energie intellettuali del Mezzogiorno.Quindi anche qui c’è un problema di vigilare fino in fon-do affinché questo programma del C.N.R., che è un pro-gramma approvato e definito ma limitatamente agliaspetti numerici dei centri di ricerca, sia poi nei contenu-ti di ogni centro di ricerca riempito da fatti significativi,vuoi per il tipo di ricerca, vuoi per l’utilizzo di energieumane, vuoi per i finanziamenti che saranno assegnati.Noi avevamo fatto però un’altra sottolineazione nel do-cumento votato dall’Assemblea e cioè quella che, perquanto riguarda le strutture di ricerca, ci potesse esserenel programma qualche cosa di più per il Mezzogiorno.

Il nostro ragionamento partiva da una premessa con-tenuta nel piano Pandolfi; il tipo di sviluppo che il nostroPaese deve avere in prospettiva è un tipo di sviluppo chevedrà arricchito notevolmente questo tipo di strutture edi presenze nel settore della ricerca proprio per l’esi-genza di un processo di miglioramento, di affinamentodella produzione industriale. Ecco perchè il documentoPandolfi parla della esigenza di espandere le strutture diricerca applicata ai settori produttivi del Paese. Noi ave-vamo avanzato la proposta che l’espansione di questestrutture di ricerca, non essendoci più oggi la necessità dicarattere funzionale che esse siano ubicate nella stessa

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Piersanti Mattarella

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realtà territoriale dove sono ubicate le industrie, avvenis-se nel Mezzogiorno come un fatto di rottura da un puntodi vista civile e sociale e come un fatto di utilizzo nelMezzogiorno di una serie di energie intellettuali che cer-tamente il Mezzogiorno ha, che il mondo universitariomeridionale ha. Nella nostra regione in particolare, datala tradizione delle università siciliane, tali strutture facil-mente potevano trovare le risorse umane indispensabili.

Da questo punto di vista il programma non scende inparticolari, non contiene risposte precise ma credo che inquesto senso un’azione concreta potrebbe essere svolta,senza immaginare chissà quali grandi svolte, gradual-mente, man mano che talune iniziative, peraltro previsteda leggi recenti votate dal Parlamento, relative alla crea-zione di centri di sperimentazione e di ricerca, anche inagricoltura, andranno ad essere attuate. Queste iniziati-ve, ubicate nel sud, potranno soddisfare l’esigenza delMezzogiorno di avere occupate energie intellettuali.

Altri problemi di cui ci si occupava nell’ordine delgiorno approvato dall’Assemblea non sono specificata-mente riferiti al piano triennale o all’azione del piano, macredo che meritino ugualmente di essere ricordati e sot-tolineati, perché costituiscono problemi di carattere ge-nerale. Io non ho la pretesa, con questa mia carrellata, diidentificare le azioni da svolgere, ma di offrire, come hodetto all’inizio, un materiale di discussione e di appro-fondimento.

Uno dei problemi da sottolineare è quello della finan-za locale che è un problema che deve essere definito invia complessiva. Viviamo attualmente in un regime tran-sitorio che è però un regime che punisce pesantemente il

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Scritti e discorsi

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Mezzogiorno per via di uno scarto assai limitato tra in-cremento di spesa delle Amministrazioni locali delMezzogiorno e quelle delle Amministrazioni locali delcentro-nord. E qui voglio fare una considerazione peral-tro molto semplice che certamente voi avete fatto meglioe prima di me. Questo tipo di legislazione esistente, che— ripeto — non è quella definitiva, in fondo sancisce perlegge la condanna per gli enti locali del Mezzogiorno adun tipo di presenza definitivamente inferiore a quella de-gli altri comuni, perchè quando si dà al Mezzogiorno unincremento superiore solo del 2 o del 3 per cento (puòdarsi che io ricordi male) sui bilanci degli anni preceden-ti rispetto ai Comuni del resto d’Italia, è chiaro che conquesto minimo scarto non si possono recuperare i ritardinei servizi che ci sono mediamente tra i comuni del cen-tro-nord e i nostri enti locali.

L’altro problema che vogliamo sottolineare è quellodella legge di ristrutturazione finanziaria del settore in-dustriale. È una legge cospicua dal punto di vista finan-ziario, ma che certamente assorbe risorse non destinateassolutamente al Mezzogiorno d’Italia.

Ecco, io mi fermerei qui; non perchè non ci siano tan-ti altri problemi da sottolineare, ma perchè questi erano ipunti fondamentali ed essenziali — può darsi che ne di-mentichi qualcuno — del dibattito che abbiamo svilup-pato prima in Aula e poi nei giorni scorsi in Commissionefinanza e programmazione. E da questa panoramica evi-dentemente dovremo trovare l’occasione — dicevo po-c’anzi non certamente soltanto questa sera — per vederein quale direzione è indispensabile svolgere le iniziativee le azioni maggiori.

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Piersanti Mattarella

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Credo che, se noi riuscissimo a concentrare i nostriobiettivi verso argomenti che abbiano una valenza di ca-rattere generale per il Mezzogiorno, noi daremmo uncontributo maggiore anche allo sviluppo della nostraRegione. Nessuna, credo, delle regioni meridionali pen-sa che ci si possa sganciare dalle altre per avere uno svi-luppo migliore separatamente; è un processo unitario chedeve essere svolto da parte di tutti. La nostra Regione,più delle altre, proprio per la sua stessa conformazione,per la sua natura, per la sua dimensione, può identificarelinee d’azione che, coincidendo con il proprio interesse,riguardino l’interesse complessivo del Mezzogiorno e infondo l’interesse generale del Paese.

Ho finito. Sono evidentemente pronto a rispondere adeventuali specifiche richieste che loro ritenessero di faresulla azione della Regione o su altri problemi che, in que-sta disordinata introduzione, posso avere dimenticato.

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Linee di sviluppo dell’agricoltura siciliana (*)

Palermo, 9 febbraio 1979

La centralità dell’agricoltura

Occorre chiedersi in primo luogo il perché ed insiemeil significato in termini di novità e di diversità di questaConferenza.

Io credo che essa debba rappresentare un punto d’ar-rivo e di partenza insieme: d’arrivo e di bilancio di una si-tuazione in fase, certo, di evoluzione, ma insieme caricadi problemi irrisolti e di interrogativi inquietanti sul futu-ro; e un punto di partenza da cui muoversi correttamenteed organicamente per un nuovo tratto di cammino dellapolitica agricola della Regione. La Conferenza va intesadunque come momento di confronto aperto e franco suquesti temi, come momento di partecipazione che signi-fichi nei fatti anche una fase propositiva, attiva, creativa,un contributo vero e reale alla crescita della società sici-liana così intimamente legata alla realtà agricola.

Si tratta di attivare un metodo nuovo di confronto e di

(*) Relazione del Presidente della Regione alla conferenza dell’agri-coltura. La convocazione della conferenza assolveva all’impegno assun-to da Mattarella in assemblea nella seduta del 3 aprile 1978 in occasionedell’esposizione del programma del primo governo da lui presieduto emirava ad un rilancio della politica agraria della Regione, attraverso l’e-same e «ridefinizione della complessa problematica agricola sia in chia-ve regionale che in chiave nazionale e comunitaria».

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partecipazione che risponda alle esigenze e alle doman-de di un tempo nuovo. Si tratta di trovare insieme un pun-to di rilancio effettivo della nostra agricoltura e del no-stro impegno per essa. Un momento che ne riaffermi lacentralità, tante volte richiamata, ma che va vissuta e vi-sta in modo non burocratico nè banalmente quantitativo.La centralità non si misura solo con le cifre degli stanzia-menti nè può ridursi ad un concetto contabile.

Essa non può essere commisurata nè sulla rispostaquantitativa globale né sulle singole risposte attribuite aquesto o a quel comparto produttivo. È una centralità cheva collocata e verificata all’interno della globalità dellavita produttiva della Regione, non quindi come una citta-della racchiusa fra solide mura, bensì come un punto cen-trale intorno a cui deve ruotare e muoversi tutto il restodella vita economica isolana con il quale la realtà agrico-la deve interagire, corrispondere, comunicare in un pro-cesso fervido di scambio e di osmosi che rappresenti unmomento di arricchimento complessivo della realtà eco-nomica della Regione.

Centralità quindi in un’ottica programmatica genera-le che tenga presente in modo armonico e coordinato tut-ta la vita economica della Regione nei suoi aspetti pro-duttivi ed occupazionali e che comporta perciò l’esigen-za di un saldo collegamento fra la realtà agricola e quellaindustriale, commerciale, dei servizi della comunità re-gionale.

Ciò impone non solo scelte rigorose in fatto di pro-grammazione agricola ma allo stesso tempo uno strettocollegamento fra questa e gli obiettivi della programma-zione regionale, la cui adozione definitiva come metodo

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è stata consacrata nella legge n. 16 del ’78. In tale otticava vivificato e rafforzato, e questa Conferenza ne costi-tuisce un significativo momento, il rapporto con tutte lerealtà sociali operanti nei settore agricolo: quelle sindaca-li, professionali, imprenditoriali, cooperative, dell’asso-ciazionismo, già mobilitate in un vasto moto di partecipa-zione da talune leggi di settore ma che occorrerà coinvol-gere sempre più e sempre meglio in ulteriori, più pene-tranti momenti di corresponsabilità.

La politica agricola della Regione

Il punto di vista centrale di questa relazione non puònon essere un giudizio politico sullo stato e sulle prospet-tive dell’agricoltura siciliana che include e comprendeovviamente un giudizio e un cenno breve a quella che èstata la politica agricola della Regione. E allo stesso tem-po, in prospettiva, occorrerà guardare agli sbocchi dellanostra agricoltura e a quelle che devono esserne le lineedi tendenza, ai traguardi e agli obiettivi che la comunitàsiciliana si pone per il futuro dell’agricoltura: di un com-patto produttivo cioè che è primario in Sicilia e non soloper la sua consistenza quantitativa ma perché esso è radi-cato fermamente nella nostra realtà regionale. L’isola èstata sempre considerata nella sua storia terra feracissi-ma e ricca di risorse agricole e la sua civiltà si è venutasviluppando come vera e propria civiltà contadina, nutri-ta dagli umori della terra, dalla realtà rurale, fin nei più ri-posti motivi della sua tradizione culturale, popolata dimiti, di personaggi, di ambienti tipicamente agricoli.

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Era in certa misura inevitabile che nel secondo dopo-guerra l’alba dell’autonomia fosse contraddistinta dallelotte agrarie guidate da un forte movimento contadinoche si presentò agguerrito all’appello dei partiti demo-cratici emersi alla fine della guerra, in una terra che nonconobbe la lotta di liberazione dal nazifascismo e chequindi, anche per questo, visse momenti del tutto pecu-liari e tipici di una realtà sociale diversa.

Le prime due legislature regionali furono nettamentecontraddistinte da questi motivi mentre solo con quellopoi definito il terzo tempo dell’autonomia fece capolinonella realtà sociale e politica dell’Isola, l’industria, finoad allora confinata negli auspici e nelle antiveggenze ditaluni intellettuali illuminati, oltre che in una realtà pro-duttiva che aveva conosciuto momenti significativi finoall’Unità ed oltre, fino ai primi anni del secolo; travoltapoi definitivamente dalla guerra e dal fascismo, che nelsuscitare il mito rurale e nel combattere illusorie e per-denti battaglie del grano diede il colpo di grazia definiti-vo all’economia isolana.

Tutte le forze politiche autonomiste maggiori avverti-rono la gravità del problema agrario e ad esso dedicaronoforze ed impegno ingenti. Il risultato fu il varo della ri-forma agraria nel ’50 e la successiva attuazione di essaprotrattasi per molti anni, ad esito della quale risultaronoespropriati circa 119.000 ettari di terra. Alla riforma sisommarono nel tempo diverse leggi volte a favorire lapiccola proprietà diretto coltivatrice che, approvate nel’48, nel ’56 e infine nel ’71, consentirono di trasferire laproprietà di altri 150.000 ettari. Il risultato complessivodi questa lunga fase, che continuò a registrare la vivace

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presenza del mondo contadino, e che va ormai riguarda-ta con serenità nella prospettiva storica, non può non es-sere valutato positivamente, avendo dato luogo al ricam-bio della struttura sociale della proprietà fondiaria, oggiper il 70% in mano ai coltivatori diretti. Il volto delle no-stre campagne è mutato: non esiste più il proprietario la-tifondista assenteista, nè esiste quasi più il bracciante o ilsalariato agricolo che attende di fare a dorso di mulo chi-lometri per raggiungere la sua terra.

Si sono infatti registrati tassi di incremento della mec-canizzazione agricola che superano il 300%, assai supe-riori a quelli del resto del Paese, essendovi d’altronde va-ste distanze di partenza da colmare.

L’agricoltura siciliana, oggi

Il quadro complessivo che sta sotto i nostri occhi puòessere sommariamente descritto facendo cenno a talunifenomeni, ovviamente non tutti positivi, verificatisi ne-gli anni di questo secondo dopoguerra:

— la riduzione di oltre un terzo dei seminativi. Tra il ’71e il ’77, ad esempio, si è verificato un decremento del-le superfici destinate a cereali del 3% circa mentre so-no scese del 23% rispetto alla media triennale quelledestinate a leguminose da granella e in minor misuraquelle destinate all’olivo e al mandorlo;

— il raddoppio della superficie boscata;

— l’incremento di oltre il 50% della superficie irrigua;

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— lo sviluppo di oltre il 50% della agrumicultura;

— lo sviluppo della viticultura che ha raggiunto neglianni dal ’71 al ’77 una ulteriore espansione del 16%circa;

— la posizione di primato in campo nazionale ed inter-nazionale delle colture protette in serra;

— lo sviluppo della zootecnia che sta conoscendo pro-prio in questi ultimi anni apprezzabili risultati, culmi-nati nel ‘76 nell’incremento del 6% del patrimoniobovino e del 18% degli ovini e caprini;

— la riduzione di circa un terzo della forza lavoro assor-bita che tuttavia rappresenta oltre un quarto di quellacomplessiva dell’Isola;

— la partecipazione nella misura del 9% circa al valoredella produzione agricola nazionale;

— la affermazione, lo sviluppo e la evoluzione di un va-sto movimento associazionistico e cooperativisticonelle campagne. Tale ultimo movimento, a cui occor-re guardare con attenzione e speranza per far sì che es-so raggiunga, al più presto e pienamente, dimensioniimprenditoriali e produttive, è fiorente sopratutto intalune province dell’Isola ove esso si è collegato inparticolare alle colture in serra di primaticci ed alla vi-ticultura.

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C’è dunque un quadro di arrivo in parte positivo so-pratutto se posto in relazione alla dura realtà del latifon-do siciliano, emersa nel dopoguerra con il suo triste vol-to di miseria, di diseguaglianza sociale e talvolta di so-praffazione e di violenza.

C’è però tra questi due momenti un lungo periodo in-termedio che vide fallire fra l’altro le speranze che taluniavevano riposto nella riforma agraria come storica occa-sione per l’affacciarsi in forze sulla scena dell’Isola diuna borghesia produttiva di cui purtroppo si scoprì prestoinvece il vero volto parassitario e clientelare. La riformaagraria quindi come tentativo di trasferimento della ren-dita fondiaria agli investimenti produttivi fallì. E a quelfallimento si sommarono gli errori di un modello indu-striale che pur di raggiungere risultati visibili (ma forsenon solo per quello) privilegiò le industrie più inquinan-ti, ad alta intensità di capitale, quelle cioè che il resto del-la comunità nazionale, già allora satura, respinse. Questatendenza che coinvolse il capitale privato e quello pub-blico e le cui conseguenze tuttora paghiamo, fece sì chesi trascurasse l’agricoltura, dimenticando il peso equili-brato da attribuire ai due settori direttamente produttivi.

Nel frattempo, causa ed effetto insieme di questi fe-nomeni, sopravvenne con il tumultuoso sviluppo indu-striale del Paese e con la crescita degli anni ’50 e ’60, ildoloroso fenomeno della emigrazione massiccia che col-pì pesantemente le nostre campagne e le zone più internedi esse che a questo fenomeno contribuirono per un 60%circa, pagando un prezzo altissimo. Apartire dal 1950 ol-tre sei milioni di italiani furono protagonisti di una mi-grazione interna fino ad allora mai verificatasi che mutò

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la struttura sociale dell’intero Paese con fenomeni di ur-banesimo, di concentrazioni cittadine, di sradicamentomorale e sociale gravissimi di cui, ancora, tutti, paghia-mo amaramente lo scotto in termini economici prima ditutto, ma anche culturali e civili. Basta ricordare a questoproposito che 56 comuni dell’Isola, il 15% del totale,hanno fatto registrare, nel decennio ’61-’71, un tasso dispopolamento superiore al 20%.

C’è quindi un difficile e negativo periodo centralenella vita della nostra agricoltura del dopoguerra, un pe-riodo decisivo per gli sviluppi futuri delle campagne si-ciliane, nelle quali passi in avanti sono stati compiuti mamolto resta ancora da fare.

Tre fasce di economia agricola

La struttura della nostra realtà agricola può infatti es-sere sommariamente descritta come distinta su tre fasce.La prima è quella della agricoltura già imprenditoriale,anche se ancora distinguibile fra capitalistica e contadi-na. Si tratta, per questa fascia, di operare in direzione diun sostegno diretto esclusivamente alla ulteriore espan-sione e allo sviluppo, rinunziando semmai con coraggioa talune forme di incentivi.

Una seconda fascia è costituita da quella agricolturache imprenditoriale non può essere considerata ma che èpiuttosto, e ancora, assistita. Su questa fascia oltre al so-stegno è necessario incidere per arrivare a forme di auto-noma imprenditorialità agricola ormai indispensabili inun settore che alla sofisticazione produttiva aggiunge

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norme complesse e di diversa derivazione ed ancor piùcomplicate procedure.

C’è poi purtroppo una terza fascia che è costituita dal-la agricoltura di mera sopravvivenza, collegata quasiesclusivamente con la tematica delle zone interne sullaquale più avanti tornerò.

Questa fascia, che costituisce un intricato problemapolitico e sociale, non può essere abbandonata a sè stessasenza grave rischio e senza commettere un arbitrio ingiu-stificato. Essa, per quanto caro ciò possa costarci, dovràessere sostenuta fino all’avvio di un valido processo di ri-scatto.

Lo stato attuale della nostra agricoltura non è dunqueroseo. Esistono gravi problemi produttivi, di mercato, dipotenziamento delle strutture di commercializzazione;esiste pressante l’esigenza di inquadrare i problemi dellaagricoltura siciliana nella vita della Regione, nelle sceltenazionali, nelle politiche comunitarie. Il problema èquindi di riportare l’agricoltura al centro della attenzionepolitica e al centro dell’attività economica, riconoscendoad essa come comparto produttivo una forza determinan-te che è nelle cose; in una realtà produttiva cioè ricca edimportante nella quale è impegnato in Sicilia il 26% de-gli attivi, contro il 15,7% del dato nazionale. Il che indi-ca con i fatti l’importanza vitale che il settore agricolocontinua a rivestire per la nostra Regione a dispetto dellemigrazioni alle quali ho accennato e alla perdita degli ad-detti ad esse conseguita che ha raggiunto un 20% in me-no nel settennio ’62/’69, mentre si è contratta, quasi fi-siologicamente direi, in un 3,7% nel successivo settennio70/77.

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Ma una certa progressiva contrazione degli addetti al-l’agricoltura è fenomeno del quale non credo nessuno siscandalizzi. Si tratta di un fatto appunto quasi fisiologi-co, tipico di tutte le società industriali e il modello da noiadottato non può prescindere da questo dato.

Altro e diverso è il fenomeno della migrazione massic-cia dalle campagne e più grave l’altro fenomeno dellamarginalizzazione della agricoltura, dovuto anche alle so-verchie speranze attribuite allo sviluppo dell’industria co-me risposta al grave fenomeno della carenza dei posti di la-voro. Le successive delusioni connesse a quella esperien-za giustificano oggi il ritorno massiccio al settore agricolorafforzato dalla tardiva costatazione, resa obbligata dallacrisi petrolifera e dalle successive vampate inflazionisti-che vissute dal nostro Paese, del grave e clamoroso deficitdella nostra bilancia alimentare, tanto più grave e clamo-roso proprio perché prodotto da un Paese tradizionalmen-te agricolo nel quale, pur perseguendosi un modello di svi-luppo di tipo industriale, opera tuttavia nell’agricolturacirca un sesto della forza lavoro complessiva.

Ma un altro dato testimonia di questo ripensamento edel rilievo attuale del settore agricolo ed è quello riguar-dante la accresciuta incidenza percentuale degli investi-menti in agricoltura rispetto al totale, passati nel periodo’73/’77, dal 5,7 al 7,7%.

Il modello di sviluppo

Queste pur corrette riaffermazioni di centralità nonpossono indurci tuttavia a decisioni politiche che suoni-

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no sia pure latamente come un drastico ritorno al mito ru-ralista. Il modello di sviluppo industriale è e resta quellodel nostro Paese e della nostra stessa Regione. Occorrericonoscere con onestà gli errori commessi e con ostina-zione riprendere la strada e ricominciare da capo perchéuna Regione delle dimensioni della Sicilia, con oltre cin-que milioni di abitanti, non può raggiungere un organicoe complessivo sviluppo con l’apporto del solo settoreagricolo magari rafforzato dal turismo che, non dimenti-chiamolo, però assai difficilmente si sposta dalle zonecostiere e dai centri maggiori. Le nostre zone interne —ed è un tema sui quale torneremo — coprono il 75/80%del nostro territorio.

Il modello di sviluppo va dunque tenacemente perse-guito in modo armonico e articolato anche se ferma restal’attenzione rinnovata e rafforzata all’agricoltura, alle suepotenzialità, alle sue concrete capacità produttive. Unascelta diversa ci condannerebbe ad una definitiva margi-nalizzazione, prima che economica, culturale e civile.

Occorre invece preservare ed anzi arricchire la capaci-tà contributiva dell’agricoltura al reddito regionale, oc-corre fare di essa il settore produttivo primario accanto adun settore secondario sperabilmente altrettanto forte, alservizio dei quali potremo assistere senza preoccupazionia naturali incrementi del terziario ai quali oggi inveceguardiamo con qualche preoccupazione. L’incrementodel terziario ed anzi il suo sopravanzare gli altri due set-tori è anch’esso fenomeno tipico delle civiltà industrialima solo nella fase avanzata, laddove tale incremento ri-sulti funzionale al servizio dei due settori direttamenteproduttivi. L’analogo fenomeno al quale assistiamo in

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questi anni in Sicilia è invece, sintomo di una crescita ar-tificiosa come unico sbocco alla carenza di posti di lavo-ro nell’agricoltura e nell’industria.

È stato detto anche autorevolmente — l’ammonimen-to è del Ministro Prodi — che il Mezzogiorno non puòsaltare la fase della industrializzazione per passare fret-tolosamente al terziario qualificato, come molti auspica-no; o più semplicemente e riduttivamente per essere sededi una politica di opere pubbliche che oltre tutto trova unpreciso limite nella capacità di attivare la spesa dellapubblica amministrazione. Siamo convinti che tale am-monimento è estremamente valido pur arricchiti, comeho detto, dalla passata esperienza sia nel non esaltare ol-tre il dovuto il contributo del settore industriale sia nelnon emarginare il settore agricolo.

La questione è diversa e va collocata in modo assaipiù corretto e insieme più complesso.

Gli obiettivi della politica agricola

L’agricoltura va posta al centro della nostra attenzio-ne e del nostro impegno politico; essa va potenziata edarricchita anche attraverso processi di industrializzazio-ne interni e va collegata con l’industria.

I possibili obiettivi da porsi a questo riguardo posso-no essere sommariamente indicati nella riduzione del de-ficit alimentare, nello sviluppo della produzione e nelmiglioramento dell’efficienza complessiva del sistemaagricolo mediante una diversa politica di sostegno, e nel-l’ampliamento della base produttiva mediante un più in-

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tenso sfruttamento delle risorse naturali. La Sicilia èchiamata così a dare un significativo contributo al supe-ramento della crisi economica del Paese.

Il tasso di sviluppo della produzione agricola sicilianaappare però in contrasto con la dinamica degli investi-menti lordi che, in termini reali, sono leggermente au-mentati in valore assoluto, mantenendo sostanzialmenteinalterato il rapporto con la produzione lorda vendibile.

La contraddizione è soltanto apparente in quanto:

— il crescente impiego di beni capitali nel processo pro-duttivo agricolo fa aumentare progressivamente il va-lore degli ammortamenti riducendo la quota degli in-vestimenti netti;

— una parte notevole degli investimenti in agricolturasono destinati, in Sicilia, alla realizzazione di infra-strutture di base con scarse refluenze immediate sullaproduzione (viabilità, elettrificazione, acqua potabi-le) o con produttività differita nel tempo (invasi irri-gui) sia per obiettivi di carattere tecnico (tempi di ese-cuzione dell’opera e delle successive trasformazionicolturali) che per un inadeguato coordinamento dellaspesa pubblica (finanziamento parziale dell’opera, ri-tardi nella realizzazione della canalizzazione irrigua enella concessione degli incentivi per le connesse tra-sformazioni fondiarie);

— i vincoli posti dalla politica agricola nazionale e co-munitaria all’espansione delle produzioni e la con-temporanea esigenza di elevare i livelli di produttivi-

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tà hanno orientato gli investimenti privati prevalente-mente verso l’acquisto di mezzi di produzione e larealizzazione di quei miglioramenti fondiari in gradodi ridurre, in un’ottica di breve periodo, i costi di eser-cizio ed aumentare il reddito dell’imprenditore.

È al riguardo significativo il forte incremento dellameccanizzazione agricola in Sicilia al quale ho già ac-cennato: fra il 1965 ed il 1976 il numero delle trattrici edelle motoperatrici è aumentato del 330% a fronte di unincremento medio nazionale del 201%.

Tali caratteristiche degli investimenti agricoli non so-no coerenti con una politica orientata verso lo sviluppodella base produttiva.

E necessario, pertanto, modificare gli orientamenti ele modalità dell’intervento pubblico per privilegiare gliinvestimenti produttivi rispetto a quelli tendenti alla me-ra razionalizzazione dell’esistente.

L’annata agraria 1978

Il quadro della produzione agricola siciliana meritaperciò ogni attenzione, sia per la mole della produzionestessa, e in valore assoluto e in rapporto alla produzionenazionale, sia per le crisi ricorrenti, che sovente regi-striamo in questo o in quel comparto e che esigono di vol-ta in volta cure particolari.

L’anno appena trascorso ha dato anche questa volta ri-sultati in parti contraddittori, come è in certa misura logi-co per un settore per forza di cose legato a fattori climatici.

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La produzione granaria sembra essersi attestata su li-velli medi, intorno a 9/10 milioni di quintali rispetto ai li-velli bassissimi toccati lo scorso anno. Fattore determi-nante ed importante di questo incremento produttivo, tut-tavia relativo, è stato l’aumento delle superfici seminate.Si tratta comunque di produzioni che si aggirano intornoal 30% del raccolto granario dell’intero Paese.

Meno incoraggiante la situazione della produzioneagrumaria nella stagione 78/79 per la quale sono preve-dibili flessioni soprattutto per quel che concerne talunisettori specifici come quello dei manderini. Per gli agru-mi i dati più aggiornati riferiti alla campagna 77/78 indi-cano un calo produttivo del 16%, contro una flessione del10% registrata in campo nazionale.

Questo settore è anche quello dove più vive sono lepreoccupazioni per la concorrenza di taluni paesi medi-terranei, già forte ancor prima che questi entrino a farparte della Comunità europea.

Ci sono infatti taluni dati preoccupanti del commercioestero siciliano nel ‘77 dai quali è emerso un calo com-plessivo del 5,3% degli agrumi esportati mentre è passatadal 35% al 32% la quota della esportazione verso i Paesidella CEE, con un dato assai preoccupante, sopratutto co-me sintomo, che è il calo del 28% circa registrato nellespedizioni dirette verso la Germania Federale, ove ormaisono evidenti le preferenze verso qualità e tipi di agrumidi produzione spagnola. Altro settore in difficoltà nellaesportazione è quello delle mandorle e delle nocciole, tra-dizionalmente dirette in prevalenza verso il Regno unito,che hanno fatto registrare, anche per una certa flessioneproduttiva, un calo del 41% nella esportazione.

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Piersanti Mattarella

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Ecco che già in questi dati, citati in modo non siste-matico e più che altro a titolo di esempio, emergono talu-ni dei problemi che esistono nella nostra agricoltura ed aiquali accennavo. Si tratta di problemi diversi, sovente disegno opposto, che ci dicono però quanto lungo e diffici-le è il cammino che dobbiamo ancora percorrere.

A fronte di queste difficoltà il problema che ci dob-biamo porre non è tanto quello delle risorse da destinareall’agricoltura quanto quello della mobilitazione di essee soprattutto del coordinamento delle stesse. Le questio-ni alle quali alludo si chiamano dunque accelerazionedella spesa e programmazione.

Quanto alle cifre è quasi superfluo che io ricordi comeil consistente impegno finanziario verso l’agricoltura è,per quel che concerne la Regione, nei fatti. Non vorrei ci-tare molte cifre. Basterà ricordare che nel settore agrico-lo per l’anno 1979 è prevista nel bilancio della Regioneuna spesa complessiva di oltre 494 miliardi di lire di cuiben 432 miliardi per spese in conto capitale.

Il problema, come ho già accennato, è quello di far sìche le ingenti risorse raggiungano il fruitore finale, in ciòsaldando un circuito di democrazia e di vita civile com-plessiva che trova un senso nelle campagne, solo quandoi pubblici poteri sanno fornire risposte adeguate e tempe-stive alle domande che ad essi pervengono dalla comples-sa e varia realtà che compone il nostro tessuto agricolo.

L’agricoltura siciliana e la CEE

Il quadro generale nel quale dobbiamo operare non

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Scritti e discorsi

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può prescindere dall’ottica europea che condiziona oggitutta la nostra realtà e che ancor più si appresta a condi-zionarla nel prossimo futuro. Ma non c’è dubbio che pro-prio il settore agricolo svolge in questo quadro un ruoloprimario giacché la politica agricola comune è quella ovemaggiormente si è esercitata la spinta attuativa della uni-tà europea, raggiungendo traguardi istituzionali, normati-vi ed anche pratici di grande rilievo. Su questi ultimi oc-correrebbe a mio avviso soffermarsi con maggiore atten-zione proprio per compiere, a venti anni di distanza daitrattati di Roma e alla vigilia di altre grandi scelte, un bi-lancio sereno di questa politica. Un bilancio però non so-lo degli aspetti politici della Comunità che sarebbe facileed anche corretto chiudere subito in attivo, quanto piutto-sto un bilancio costi-benefici la cui chiusura in attivo peril Mezzogiorno, per la Sicilia e forse per tutto il nostroPaese è, io credo, piuttosto problematica. La verità è chein Europa, si è subito determinata, anche a livello agrico-lo, la politica delle aree forti e delle aree deboli di cui giànella esperienza storica italiana siamo stati vittime.

Tale politica, dapprima espressa con i ferrei regolamen-ti riguardanti zucchero, cereali, carne e latte, ha penalizza-to pesantemente il Mezzogiorno italiano. Successivamenteessa si è impadronita di uno strumento inventato per difen-dere i paesi deboli, quello cioè dei montanti compensati-vi, successivamente trasformatosi assurdamente in pre-mi per i ricchi e in penalizzazioni per i poveri, e oggi didifficile estirpazione, dalla realtà comunitaria giacché iproduttori tedeschi e olandesi e i consumatori inglesi ac-cetteranno con grande difficoltà di fare a meno di unostrumento rivelatosi tanto favorevole per essi. A questo

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Piersanti Mattarella

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proposito è bene non dimenticare poi che le risorse co-munitarie destinate ai già cennati settori ricchi della agri-coltura europea sono largamente superiori a quelle desti-nate al sostegno dei settori più poveri di modo che le areedi questi ultimi finiscono fra l’altro con il sostenere one-ri che non li riguardano direttamente.

Un bilancio non positivo

Un bilancio attivo dunque del dare e dell’avere dellapolitica comunitaria, al di là di taluni limitati vantaggiderivanti dal fondo regionale, non può essere registratoper la nostra realtà. Il fatto è che la politica dei prezzi hafinito per avvantaggiare le agricolture ricche, che, comerealtà produttive esistenti e ben avviate, dalla difesa deiprezzi avevano ed hanno tutto da guadagnare. La contro-partita, che doveva essere ed è l’azione di riequilibriostrutturale delle agricolture povere che in ogni caso an-dava avviata subito, al momento di partenza della politi-ca agricola comune, tarda invece ad arrivare se è vero cheil Pacchetto mediterraneo ha stentato ad essere approva-to e stenta ora, nella sua concreta attuazione, a dare i frut-ti sperati. Le concessioni strappate in materia di prezzidovevano trovare adeguate contropartite nelle politichestrutturali. Così non è avvenuto mentre da parte di qual-cuno ci venivano impartite fino ad un mese fa lezioni dieuropeismo davvero stonate, tenuto conto che l’argo-mento della lezione era il sistema monetario europeo chein ogni caso suscita e non poteva non suscitare perplessi-tà nel Paese e in particolare nel Mezzogiorno. Ci sono poi

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Scritti e discorsi

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regolamenti comunitari compilati per essere attuabili so-lo nelle aree sviluppate e non anche per essere attuati nel-le aree meno sviluppate, magari accusando poi di ritardie negligenze il Mezzogiorno d’Italia. Farò un esempio. Ilministro Marcora ha, nel corso di un recente incontro, di-chiarato di avere avuto difficoltà nel Mezzogiorno a met-tere assieme tutta la progettazione finanziabile dallaComunità nel settore della canalizzazione irrigua.Perché tanta difficoltà a coprire le disponibilità finanzia-rie? Forse per carenza di esigenze, per negligenza delleRegioni meridionali? Certamente no. Per la semplice ra-gione che la Comunità restringeva la ammissibilità delfinanziamento a progettazioni relative ad invasi già ulti-mati e a sistemi irrigui già pronti per la distribuzione. Chiha steso e chi ha approvato tale regolamento non potevacerto ignorare la situazione delle aree meridionali, e traesse di quella siciliana, nelle quali è in corso di realizza-zione un vasto programma di strutture di irrigazione e sa-rebbe bastato per ottenere i finanziamenti che dalle nor-me venissero ammessi sistemi irrigui pronti magari neltermine di un biennio.

Da qui la considerazione generale di una revisione deimodi di essere della Comunità che deve calarsi nella real-tà agricola del Sud e finalizzare alle particolari esigenzedi questa le sue misure e i suoi interventi.

La prospettiva dell’allargamento

Ma a questo riguardo il problema dell’allargamentodella Comunità è quello forse più delicato a proposito del

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quale occorre esprimere una volontà politica chiara e fer-ma che non può non essere rivolta alla positiva conclu-sione delle trattative in corso con Grecia, Spagna ePortogallo, paesi tutti riguadagnati in tempi recenti allavita democratica dopo tristi vicende, per i quali oltretuttola scelta europea rappresenta il completamento, quasi ilperfezionamento, del loro cammino democratico.Assumeremmo gravi responsabilità storiche se ritardas-simo, sia pure per fare fronte a legittimi interessi, il loroingresso nella CEE.

Tale ingresso ha però altri aspetti positivi: con i tre nuo-vi Paesi annienta il peso e la presenza dell’Europa medi-terranea all’interno della Comunità, finora rappresentatada una parte dell’Italia e dal Midi francese, e c’è quindi lafondata speranza di potere riequilibrare la presenza massi-cica, e certamente non solo per il peso geografico, delle re-gioni continentali, più ricche e più avanzate.

C’è poi un altro aspetto dell’allargamento che solita-mente viene visto in chiave negativa ma che credo po-trebbe invece essere valutato diversamente ed è che la in-negabile concorrenza che l’agricoltura dei tre nuovi part-ners comunitari, affine alla nostra e con costi di lavoroassai inferiori potrebbe costituire la molla per crearenuove spinte nel nostro sistema produttivo; può esserecioè il motivo che spinge verso decisioni più articolate eavvedute in favore della nostra produttività agricola.

Nella Comunità allargata sono previsti per tutti i pro-dotti dell’agricoltura mediterranea tassi di autoapprovvi-gionamento che vanno dallo 85% al 120%. Ed allora oc-correrà metter mano a rimedi efficaci.

Si parla di riconversione produttiva per affrettare un

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processo già in atto: quello verso prodotti più sofisticati,magari primizie, che comportino la diversificazione de-gli indirizzi produttivi e che abbiano di mira fra l’altro lecoltivazioni più adatte per l’industria di trasformazione.Si tratterà, appunto attraverso la trasformazione indu-striale delle tipiche produzioni meridionali, di conferiread esse alti contenuti tecnologici tali da bilanciare il mag-gior costo della materia prima. A ciò aggiungerei la ne-cessità della ricerca scientifica e dell’assistenza tecnicasia in generale sia collegate a questi sbocchi. A questo ri-guardo devo dire che la quota dei finanziamenti destina-ti alla ricerca scientifica nel nostro Paese riservata all’a-gricoltura è stata appena del 2,47% nel 1977, decisamen-te troppo poco per una politica seria nei settore, soprat-tutto se si considera che dal ‘68 ad oggi tale percentuale,che era del 3,2%, è ulteriormente calata.

Sul tema delle conseguenze dell’allargamento è ne-cessario, per evitarne gli aspetti più negativi, che ilGoverno dello Stato assuma in sede comunitaria una for-te e idonea iniziativa per porre le condizioni e le misurenecessarie a tutelare le nostre produzioni agricole e la lo-ro redditività, condizione indispensabile per assicurarecredibilità al futuro della nostra agricoltura.

Il piano agricolo alimentare

Oltre al quadro di riferimento europeo esiste quellonazionale determinato sostanzialmente dalla legge 984,Quadrifoglio, per molti versi assai apprezzabile nella mi-

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sura in cui si fa carico proprio di una azione di coordina-mento e di programmazione dell’intero settore.

Si tratta appunto di una legge a carattere programma-tico con cui si affrontano, in un’ottica coordinata fraStato e Regioni, scelte rigorose nei settori della irrigazio-ne, della forestazione, della ortoflorofrutticoltura, dellaviticoltura, della zootecnia. Tuttavia essa ha suscitato so-prattutto in relazione alla specialità del nostro Statuto ealla competenza esclusiva in fatto di agricoltura che nederiva talune perplessità relative soprattutto al pianoagricolo alimentare che dalla legge trae origine. Tale pia-no non può essere accettato per i contenuti estremamen-te minuziosi e di dettaglio che tutto intendono prevederecon la pretesa di incanalare entro binari precisi interven-ti che invece hanno bisogno di essere adattati alle diffor-mi condizioni in cui opera l’agricoltura delle diverseRegioni del nostro Paese; nonché per il modo di guarda-re alle Regioni autonome a statuto speciale senza tenereconto delle prerogative che le contraddistinguono e ledifferenziano da quelle a statuto ordinario.

La Regione Siciliana non ha mancato di evidenziare ta-li concetti nelle sedi più opportune ed anche dinanzi al CI-PAA, opponendosi al piano nazionale per questa parte edanche per quella che pretende di istituire, al di fuori dellanorma della legge 984, specifici piani di coordinamento na-zionale che non possono accettarsi anche in considerazionedel fatto fisico della nostra insularità che non determinaconnessioni o dipendenze con problemi di altre Regioni.

Il Quadrifoglio resta comunque una legge notevoleanche per le dimensioni della spesa per la quale non de-vono esserci alibi alla pronta e puntuale applicazione.

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La Regione ha eseguito in tempo utile tutti gli adem-pimenti previsti dalla legge stessa. Non si può quindi innessun modo, in questo caso, parlare di ritardi delleRegioni o della Regione.

La Regione dal canto suo deve muoversi in perfetta sin-tonia con questi due maggiori ambiti nei quali essa è inse-rita, anche se titolare dei cennati poteri esclusivi, gelosa-mente custoditi e tutelati. Non è più tempo però di partico-larismi nè di spinte in avanti che ci porrebbero fuori dalquadro politico-geografico nel quale dobbiamo operare.

La spesa pubblica

La fase che viviamo è dunque quella della severa ap-plicazione delle leggi esistenti, di coordinamento, di pro-grammazione, di ordine e di mobilitazione delle risorse.

Aquesto proposito occorre affrontare il problema del-la spesa pubblica.

Da una analisi della spesa pubblica in agricoltura nel1976 risulta che l’ammontare complessivo degli inter-venti (escluse le spese previdenziali) raggiunge ii 18%circa della produzione lorda vendibile.

È un valore considerevole anche se il livello raggiun-to in altri Paesi è di gran lunga superiore, specie se rap-portato agli occupati nel settore.

Ma il dato più caratteristico è che la parte di spesa de-stinata ad investimenti copre ben il 75% degli investi-menti complessivi, pubblici e privati, del settore mentreil 15% è finanziato tramite il credito bancario e solo il10% proviene dall’autofinanziamento delle imprese.

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Praticamente l’agricoltura siciliana non ha alcun mar-gine economico per il finanziamento degli investimentiche dipendono in maniera pressocché esclusiva dall’en-tità della spesa pubblica.

L’affermazione è confermata dai dati sul credito agra-rio.

Nel 1976 l’ammontare del credito di esercizio agevo-lato sul credito di esercizio complessivamente erogato èrisultato in Sicilia pari al 92% (in Lombardia il 45%). Peril credito agrario a lungo termine le percentuali sono sta-te 95% Sicilia, 63% Lombardia.

Mentre, quindi, in Lombardia le imprese agricole so-no ricorse in maniera rilevante al credito bancario nonagevolato riuscendo a sostenere gli oneri di finanziamen-to, in Sicilia il credito è stato drasticamente mantenutoentro i limiti consentiti dall’intervento pubblico.

Qualsiasi programma di sviluppo non può prescinde-re da questa realtà che condiziona la realizzabilità deglistessi obiettivi che si intendono perseguire.

È pertanto necessario che si pongano con chiarezzadue esigenze di fondo:

— l’adeguamento della spesa pubblica alle reali necessi-tà del settore per una politica di espansione della baseproduttiva;

— la massima efficienza e produttività sociale della spesa.

I dati più recenti sull’accelerazione della spesa riguar-dano un aumento degli stanziamenti e insieme un accre-scimento dei residui passivi che segue però ad un calo de-

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gli stessi nel ‘77 del 17% circa. Sono dati come si vedecontraddittori che tuttavia denunziano la esistenza di ungrave problema che però non è solo siciliano ma nazio-nale.

Si tratta di studiare ulteriori revisioni delle proceduree del sistema dei controlli, pena il rallentamento di ogniazione anche di semplice tamponamento e contenimentodi situazioni drammatiche. Il dato recentemente reso no-to dal Prof. Reviglio secondo cui, stanziate 100 lire, loStato riesce a spenderne solo 15 nel primo anno, è vera-mente grave e preoccupante a livello nazionale. IlGoverno è impegnato comunque, per la parte che lo ri-guarda direttamente, ad attenuare nel modo migliorequesto fenomeno dando tempi di attuazione alla spesache risultino efficaci e dandosi insieme una legge, in attoall’esame delle forze politiche in fase di elaborazione,che doti la Regione di una amministrazione più efficien-te e di strutture burocratico-amministrative più agili, fun-zionali e moderne.

Il quadro istituzionale in agricoltura

Il quadro istituzionale complessivo che si delinea nelsettore agricolo come in altri settori è assai complesso edi difficile gestione, come è tipico del resto di una socie-tà articolata e pluralista che si esprime a diversi livelli diresponsabilità.

Si tratta di un quadro che parte dai poteri statali di re-cente consolidati, nella legge n. 984, nel CIPAA, ma cheha però nella Regione un ruolo ed una responsabilità

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esclusiva. Una Regione che ha scelto il metodo della pro-grammazione in via definitiva, e ove siede un appositocomitato in atto impegnato nella stesura del documentodi linee, principi ed obiettivi che dovrà divenire la basedel piano di sviluppo e i] punto di riferimento del bilan-cio poliennale della Regione, di cui alla legge n. 47. Tuttesedi nelle quali le scelte dell’agricoltura come quelle de-gli altri settori dovranno trovare collocazione e insiemeopportuno coordinamento fra loro. A questo si aggiungeil recente provvedimento di decentramento di funzioni aiComuni e quello di prossima presentazione per la crea-zione dei comprensori nella Regione. Si tratta di legginuove che vanno delineando un ordinamento ancora tut-to da vivere e da realizzare, giorno per giorno, nella vitademocratica della Regione, dal quale anche la realtà agri-cola non potrà in alcun modo prescindere.

Linee di sviluppo

Dal complesso delle analisi e delle valutazioni finoraespresse derivano talune direttrici di marcia lungo lequali occorrerà muoversi rispettivamente riguardanti loscenario europeo, quello nazionale e quello regionale.

Per quanto riguarda l’Europa sarà necessario battersi,anche in occasione di auspicabili confronti diretti sopra-tutto con i commissari italiani, per una maggiore tutela egaranzia delle produzioni mediterranee, ottenendo che ifinanziamenti del pacchetto di misure di sostegno e di ri-strutturazione passino finalmente dalle parole ai fatti.

È recente la notizia dell’assegnazione al nostro Paese

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Scritti e discorsi

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di finanziamenti a progetti agricoli da parte della CEEper 37 milioni di dollari, pari a circa 29 miliardi di lire, lametà appena dei quali provenienti dai fondi assegnati asostegno dell’agricoltura mediterranea. Altri 31 miliardisono stati assegnati dal FEOGA all’Italia in tutto il ‘78.Sono cifre veramente esigue, in sè e per sè non adeguate,meno che mai se si pensa come già accennato che essedovrebbero costituire la contropartita politica delle con-cessioni in materia di prezzi che l’Italia ha fatto e checontinua a fare. Qui è in gioco la stessa natura dellaComunità, così come del resto nella vicenda dello SME.Si tratta di capire che cosa in effetti significhi il concettocomunitario per taluni dei nostri partners europei: se cioèsi tratta solo di un simulacro politico in cui alcuni tiranoe altri sono tirati; ovvero, se la parola comunità ha anco-ra un senso, di vedere se essa significhi piuttosto la mes-sa in comune, a fini comuni, di fattori positivi e negatividi ogni membro perché da un bilancio complessivo sipossano poi trarre risultati migliori per tutti e non soloper alcuni. Questo e non altro io credo significhi comuni-tà. E questo è il significato non solo morale, nè utopicoma politico che noi dobbiamo chiedere e pretendere datutti i nostri partners. Parlavo poco fa di un bilancio intermini di risultati della politica agricola comune: bastipensare che gli importi compensativi finanziano del 27%l’import tedesco in Italia e del 5,8 quello francese, pena-lizzando di altrettanto le nostre esportazioni, per avereun’idea ancora pallida di questo bilancio. A questo si ag-giungono — e vi ho già fatto cenno più volte — le preoc-cupazioni collegate alla applicazione del SistemaMonetario Europeo al quale abbiamo aderito ma che non

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può non presentare dei pericoli di tenuta complessivadella nostra moneta, costretta a tenere il passo, sia pure suuna banda di oscillazione più larga, con le altre. Oltre apericoli di tenuta che riguardano però in particolare mi-sura le Regioni meno sviluppate dei paesi meno avanza-ti come appunto è la Sicilia nel contesto dell’Italia.

In armonia con queste preoccupazioni bisognerà se-guire e sostenere l’azione del Ministro Marcora direttaad ottenere l’abolizione, sia pure graduale, dei montanticompensativi e, nel frattempo, la svalutazione della liraverde, già chiesta in sede comunitaria.

Per quanto attiene poi al quadro nazionale sono da af-frontare taluni nodi e temi che in questi mesi hanno as-sunto carattere preminente. E’ innanzitutto necessariomantenere elevato il livello di meccanizzazione e più ingenerale di industrializzazione delle strutture agricole,soprattutto accrescendo il valore aggiunto delle nostreproduzioni più tipiche.

L’industria agricolo-alimentare

Una maggiore sofisticazione è dunque necessaria neiprocessi produttivi, sempre più indirizzati verso le primi-zie e le tardizie come risposta avanzata alla concorrenzastraniera. E un altro passo in avanti sarebbe quello di col-legare strettamente la nostra agricoltura al settore indu-striale agricolo-alimentare di prima e seconda trasforma-zione dei prodotti del suolo.

E’ stato osservato che da qualche tempo questo setto-re è tornato in auge dopo aver fatto registrare sensibili ca-

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Scritti e discorsi

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li negli investimenti fissi lordi fra il ’61 e il ’73. Ed esso ètornato in evidenza soprattutto nelle programmazioni re-gionali, quasi che tutte le Regioni italiane volessero dar-gli la preferenza nelle loro scelte di indirizzo.

Vorrei dire che questa scelta è in certo senso naturale,essendo l’Italia un paese che conserva forti capacità pro-duttive in agricoltura, in talune grandi regioni industrialidel Nord non meno che nel Sud. E la scelta sarebbe purenaturale per la decisa volontà intervenuta nel legislatoree nel programmatore di riequilibrare quel pericolososquilibrio della bilancia agricolo-alimentare assai pococomprensibile in un paese a tradizione agricola fortissi-ma come il nostro. Ma se queste osservazioni sono vereesse lo divengono assai di più se riferite espressamentealla Sicilia, e per una serie di ragioni.

Se c’è dunque una richiesta legittima questa è quellaavanzata con forza dalla Sicilia perchè verso di essa ven-gano indirizzati i finanziamenti e gli investimenti nel set-tore industriale agricolo-alimentare, a cominciare da quel-li delle partecipazioni statali e segnatamente dall’EFIM,dalla Montedison e dall’ENI che risultano impegnati inquesto settore con talune iniziative in fase di avvio.

Nell’O.d.G. approvato dall’Assemblea RegionaleSiciliana il 12 ottobre dello scorso anno a proposito deldocumento Pandolfi, è inserita fra l’altro la richiesta dicollocare in Siciila il centro di ricerca nel settore dell’in-dustria agro-alimentare previsto dalla legge, come basedi partenza che rivitalizzi e riporti in luce la vocazionedell’Isola in questo settore, in altri tempi fiorentissimo.

Si tratta tra l’altro di un settore ad alta intensità di ma-nodopera che può costituire risposta adeguata alla croni-

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ca carenza di posti di lavoro della nostra Regione e avva-lersi allo stesso tempo della ricca produzione agricola iso-lana in via di progressivo aumento, se si tien conto deiprogrammi di irrigazione in corso anche attraverso i pro-getti speciali nonchè del recupero delle zone interne. E sesi tiene conto anche della felice posizione mediterraneadell’Isola in grado, con un adeguato potenziamento deitrasporti, di facilitare la eventuale esportazione dei pro-dotti. L’Isola ha subito in questo comparto un terribile de-pauperamento produttivo nel ventennio ‘51-’71, in coin-cidenza con l’impoverimento dell’agricoltura e con l’e-migrazione massiccia. Sono stati chiusi in Sicilia in quelperiodo ben 4.627 stabilimenti con una perdita di 14 mi-la addetti del settore, oggi contrassegnato da sole 233unità produttive con più di 10 addetti per un totale di8.900 persone circa, di cui 2.440 con carattere di stagio-nalità (indagine Cesan, Ind. Manifatturiera in Sicilia1974). Presupposti indispensabili di tale tipo di industriarestano le condizioni positive offerte dall’agricoltura el’abitudine dei consumatori, che rimane come un vinco-lo per lo sviluppo del mercato in un paese come l’Italiache nel triennio ‘72-’74 è risultato autoapprovvigionatosolo per cinque qualità di prodotti (riso, agrumi, ortaggi,frutta e vino) e che ha una spesa alimentare che su 100 li-re ne consegna 47 al settore agricolo, ben 35 ai trasporti eai margini commerciali e solo 18 all’industria. Occorredunque muoversi con cautela e mutare talune condizionidi fondo. Tuttavia la nostra Regione rimane la interlocu-trice principale per questo tipo di investimenti e per essipone con forza politica e capacità propositiva una sua

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Scritti e discorsi

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precisa candidatura, da valutare anche nell’ottica delPiano triennale.

Altre direttrici lungo le quali muoversi sono quelledel potenziamento della cooperazione e dell’associazio-nismo nelle campagne, dando spazio alle cooperative digiovani anche per quel che concerne le terre incolte. Il fe-nomeno va affrontato con decisione ma anche con la con-sapevolezza che la percentuale dei terreni abbandonati inaziende è in Sicilia, secondo l’indagine ISTAT del 1970,del 4,16% e che essa scende all’1,75% per i terreni siti inpianura.

Le zone interne

Maggiore attenzione va data invece alla tematica del-le zone interne nelle quali vive il 30% circa della popola-zione dell’Isola e che ne costituiscono uno dei problemidi più difficile soluzione fino a quando non sarà superatala loro attuale marginalità rispetto alla restante realtàagricola.

Ai problemi delle aree interne l’agricoltura può e devedare un determinante contributo di crescita. Si tratta di so-stenere con l’intervento pubblico e incoraggiando l’inizia-tiva dei mondo contadino un processo di riordino che dia atalune culture adatte condizioni di economicità, accanto alpotenziamento delle attività zootecniche e di forestazione.

Il Governo della Regione ha chiesto al Ministero delMezzogiorno che anche la Sicilia venga inclusa nel pro-getto speciale per le zone interne del Mezzogiorno dalquale essa era stata inspiegabilmente esclusa. Si tratta di

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una battaglia politica da portare avanti con forza anche seil progetto stesso è fra quelli che nel frattempo ha com-piuto meno passi in avanti. Gli altri progetti specialimaggiormente interessanti la Sicilia vanno frattanto rea-lizzati prontamente.

Il progetto n. 30 sugli schemi idrici intersettoriali pre-vede investimenti per 879 miliardi in Sicilia nel triennio’79-’81, mentre il progetto n. 23 riguardante l’irrigazio-ne, destinata ad allargare le superfici coltivabili, prevedenello stesso periodo investimenti per 140 miliardi riguar-danti oltre 43.000 ettari.

In un recente incontro con la Confederazione CGIL,CISL, UIL, che voglio qui ricordare per l’importanza deitemi affrontati, sono stati individuati taluni punti sui qua-li si è convenuto di incidere in particolare modo, in un’ot-tica generale (che dovrebbe poi essere quella privilegia-ta anche nel Piano triennale) indirizzata verso la realiz-zazione prioritaria delle grandi infrastrutture in agricol-tura: mi riferisco alla irrigazione, alla forestazione equindi al riequilibrio del territorio, alla viabilità, allaelettrificazione rurale, alla creazione e al potenziamentodelle strutture di commercializzazione nelle quali occor-re coinvolgere però a pieno titolo l’impresa agricola.

In particolare per la irrigazione si tratterà di coordina-re rigorosamente gli interventi previsti. A tal fine laRegione ha dato inizio a tale attività di coordinamentoper evitare ritardi e sprechi. Ma si tratta anche di reperireulteriori fondi destinati soprattutto al completamentodelle opere in corso e delle necessarie e urgenti opere dicanalizzazione, da privilegiare già, nei finanziamenti di-sponibili rispetto ad altri lavori.

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Occorrerà inoltre muoversi per la semplificazionedella legislazione vigente e delle relative procedure inmodo da farne pervenire più sollecitamente i benefici allivello del fruitore finale, cittadino, lavoratore, coopera-tiva. A questo riguardo desidero annunciare di avere co-stituito una apposita commissione a livello tecnico-giuri-dico che studierà l’intera questione e il cui lavoro costi-tuirà utile base di partenza per le relative, tempestive de-cisioni politiche.

Il credito agrario

Altro tema da affrontare è quello del credito agrarioche recenti dati danno in flessione nell’intero Paese.Infatti l’incidenza delle operazioni finanziate con credi-to agevolato rispetto al totale è scesa dal 72% del ‘76 al63% nel ‘77. Si tratta di un sintomo che aggrava le preoc-cupazioni per questo strumento vitale dell’agricolturache occorre finalizzare attentamente procedendo al rior-dino degli incentivi e scegliendo i settori da privilegiarein un’ottica generale di programmazione.

A proposito del credito, va sottolineato il ruolo che lasua gestione può esercitare nelle scelte degli investimen-ti in agricoltura. Orbene, questa gestione oggi appartieneesclusivamente al sistema bancario, per cui si potrebbedeterminare una palese contraddizione fra gli indirizzipolitici che derivano dalla programmazione nazionale eregionale e l’uso degli strumenti lasciati all’iniziativaprivata. Il filtro del sistema bancario infatti può unifor-marsi ma può benissimo anche non uniformarsi ai criteridella programmazione.

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Allora c’è il problema di vedere come può la Regioneinnanzitutto accedere alla conoscenza dell’utilizzo delcredito agevolato. Non si tratta evidentemente di violarenessun segreto bancario ma per lo meno di sapere versoquali settori di investimento si è indirizzato il creditoagevolato. C’è anche da vedere come può la Regione da-re delle indicazioni sui settori da privilegiare nella con-cessione del credito agevolato per renderlo meglio com-patibile con gli indirizzi della programmazione. Ma quici si muove con notevole difficoltà anche in una regionecome la nostra che pure ha poteri nel settore creditiziomaggiori delle altre regioni. Bisogna però pur comincia-re a vedere se la Regione, nel momento in cui assegna al-le banche le somme necessarie per l’abbattimento degliinteressi, non debba potere chiedere almeno queste duecose al sistema bancario.

Anche qui, si tratta di agevolare l’accessibilità al cre-dito agevolato per chi è più debole economicamente, cul-turalmente, strutturalmente, organizzativamente, il chenon significa debole anche bancariamente poichè è di-mostrato che anche nel settore del credito agevolato agri-colo i piccoli sono sempre ottimi restitutori del denaropreso dal sistema creditizio. Quindi non ci dovrebberoessere preoccupazioni. Eppure nei fatti si verifica unamaggiore facilità di accesso al credito per le grosseaziende che non per le piccole, nonostante che in alcunistanziamenti per il credito agevolato la Regione abbiafatto delle riserve di quote per i crediti che non superinodeterminati importi.

Un altro tema di grande interesse è quello del riordinoe del rilancio dell’Ente di sviluppo agricolo, del quale in

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armonia con le indicazioni fornite in sede di programmadi Governo, occorrerà ridefinire e precisare il ruolo, lefunzioni e le competenze per assicurare ad esso una piùattuale coincidenza con gli interessi dei settori e insiemeper adeguarne l’attività al disegno generale di riformaamministrativa, con particolare riferimento al decentra-mento agli enti locali. Occorrerà finalizzare in sostanzal’attività di tutte le realtà pubbliche a scopi direttamenteproduttivi in una logica nuova che consenta di superareeventuali sprechi di risorse che nel passato possono es-sersi verificati.

Il programma triennale 1979-81

Non posso però concludere senza un accenno al pianotriennale e alla parte di esso che riguarda l’agricoltura. E’una delle parti più largamente insufficienti, non solo perquel che riguarda il Mezzogiorno ma anche in un’otticapiù generale, giacchè non può essere bastevole, in un gra-ve momento di crisi come l’attuale, limitarsi, come pureil piano fa, ad elencare, secondo lo schema delQuadrifoglio, i vari settori agricoli, indicando per ciascu-no i fondi disponibili, e dello stesso Quadrifoglio e di ori-gine comunitaria. Si tratta dunque in questo caso, forsepiù che in altri, di confermare il giudizio sul piano comevero e proprio inventario-censimento dell’esistente, ivicompresi i già citati progetti speciali della Cassa con lerelative dotazioni finanziarie.

Infatti le disponibilità finanziarie per la realizzazionedegli interventi in agricoltura previsti nel triennio deriva-

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no per circa il 50% dalle risorse della Cassa per ilMezzogiorno e ricadono, pertanto, nella logica dell’in-tervento straordinario, che mal si adatta alle peculiari esi-genze dell’agricoltura che deve, viceversa, contare su unsistema di azioni stabili e di lunga durata riconducibili adun concetto di ordinarietà dell’intervento, programmatoed attuato dagli istituti regionali.

Gli interventi per l’irrigazione, sulla scorta della le-gislazione vigente, riguardano prevalentemente la rea-lizzazione delle grandi opere infrastrutturali (invasi, ca-nalizzazione principale) rinviando a successivi interven-ti e ad altre eventuali disponibilità finanziarie le iniziati-ve riguardanti l’attrezzatura del territorio e le trasforma-zioni fondiarie necessarie per il passaggio da un’econo-mia agricola asciutta a quella irrigua.

È viceversa auspicabile che gli interventi per l’esten-dimento delle aree irrigue si basino su progetti territoria-li integrati che comprendano globalmente i diversi mo-menti della trasformazione: esecuzione delle infrastrut-ture, assistenza tecnica alle imprese, miglioramento fon-diario aziendale, realizzazione delle strutture serventiconnesse alla commercializzazione ed alla trasformazio-ne dei prodotti. In tal caso il programma dovrebbe esserecoordinato dall’amministrazione regionale. Si evitereb-be, in tal modo, la disarticolazione dell’intervento sia alivello decisionale che esecutivo.

In Sicilia le forze politiche si apprestano ad un vasto eapprofondito dibattito sui contenuti del Piano e sui suoiriflessi nella nostra realtà economica e sociale. Se ilPiano dovrà essere, come è auspicabile sui piano del me-todo, l’atto sulla base del quale muoversi con razionalità

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e rigore nel corso del triennio, è necessario che esso sia di-scusso e approvato con il massimo di consenso sociale e didemocrazia sostanziale. Su questa linea condurremo la no-stra battaglia per far sì che le indicazioni del Piano trienna-le diventino rispondenti alle attese della realtà siciliana equindi della nostra realtà produttiva e occupazionale.

A fronte dei problemi e delle prospettive dell’agricol-tura siciliana alla cui delineazione ho inteso dare il con-tributo del Governo, e per la cui definizione gli interven-ti dell’Assessore all’agricoltura Aleppo, del presidentedella Commissione legislativa Tusa e dei relatori, che de-sidero ringraziare, daranno qualificati apporti, si apre losvolgimento della Conferenza. Sono certo che la caricadi novità politica che nell’indirla e nel celebrarla abbia-mo riconosciuto, si svilupperà in un dibattito concreto ecostruttivo evitando dispersioni e genericità. Così laConferenza avrà risposto alle attese: costituire punto dipartenza per un rilancio qualitativo della politica agrico-la della Regione.

A tutti i protagonisti della vita agricola rivolgo l’ap-pello per un eccezionale impegno assicurando che ilGoverno della Regione, chiamato al difficile compito disintetizzare e mediare le pressanti istanze della societàsiciliana, avverte per intero e con piena consapevolezzala necessità di una tensione eccezionale e di una azionepolitica adeguata ad una emergenza che giustamente pre-tende intuizioni, scelte, gestioni, politiche tempestive eappropriate per contribuire, in un processo di avanza-mento e di novità costante, allo sviluppo armonico di tut-te le potenzialità produttive che la Sicilia ha e deve poterrealizzare.

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La riforma amministrativa della Regione (*)

Palermo, 16 febbraio 1979

Desidero innanzitutto manifestare all’Osservatoriodelle gestioni di economia pubblica ed all’Istituto discienze amministrative e sociali, il plauso e l’apprezza-mento per questa iniziativa che ha imposto alla reiterataattenzione di tutti noi ed ha approfondito, con il contri-buto qualificatissimo dei relatori, temi che sono di gran-de attualità, e lo sono da un certo tempo, ma che proprioin questi giorni sono al centro del confronto tra le forzepolitiche siciliane. Quindi apprezzamento per l’iniziati-va, per la qualità dell’iniziativa ed anche per l’andamen-to dei lavori. Un ringraziamento per il contributo chequesto convegno dà a quel processo di maturazione indi-spensabile per affrontare e sciogliere nodi di particolaredelicatezza, come quelli della riforma amministrativa.

(*) Testo registrato dell’intervento conclusivo al Convegno promossodalI’ISAS e dall’OGEP su La riforma amministrativa della Regione pertracciare un bilancio della attuazione della legge regionale n. 86 del 1976sulla riforma dell’amministrazione regionale e degli enti locali. IlPresidente Mattarella vi ricorda le realizzazioni compiute, come il trasferi-mento di funzioni agli enti locali, ma soprattutto batte l’accento su alcunepremesse di metodo: le riforme organizzative come fatti strumentali all’e-sercizio dei compiti affidati ai poteri pubblici e non come fine a se stesse; lanecessità di associare ai trasferimenti di funzioni adeguati trasferimenti fi-nanziari; la necessità di adeguare le strutture, anche dal punto di vista terri-toriale, alla dimensione degli interessi implicati; l’esigenza di coordinare leamministrazioni separate in un comune disegno programmatorio.

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Credo di dovere dire anzitutto – per altro questo ac-cenno è stato fatto dal prof. D’Onofrio – come la nostraRegione, pur essendo titolare di prerogative e di compe-tenze proprie e peculiari, diverse rispetto alle altre realtàregionali, abbia avvertito l’esigenza di rivedere la sua or-ganizzazione, non in contrapposizione o in alternativa amodelli che vanno maturando nel resto del paese, ma in-serita nel dibattito culturale e scientifico che nel paese siva realizzando. Fu questa in fondo la ragione della sceltaoperata con la legge 86, con la costituzione di una com-missione che avendo la presenza di qualificati esponentidel mondo scientifico di tutto il nostro paese, si rivolseappunto alla dimensione nazionale proprio per avere —pur nella continuità e nella peculiarità della posizione si-ciliana — un aggancio concreto con le scelte e i modellipiù moderni che si andavano appunto maturando nel di-battito nazionale. Senza con questo volere, così comenon è stato, ricalcare in maniera automatica le scelte chesi andavano maturando nella legislazione nazionale. Esenza con questo neppure volersene distaccare in manie-ra radicale o, peggio, in maniera contrapposta.

La nostra lunga esperienza di vita regionale ci avevafatto pagare una serie di prezzi sul piano della valutazio-ne della operatività e della proficuità dell’azione regio-nale. La resistenza alla accettazione dello stato regiona-le, in fondo, aveva finito con il manifestarsi anche in unasorta di aggressività nel giudizio di operatività dellaRegione siciliana. Questa lunga esperienza, dicevo, ciportò a maturare l’esigenza di pervenire ad un disegnocomplessivo nuovo nell’organizzazione amministrativadella Regione, che investisse in una valutazione unica, in

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un disegno unico 1’articolarsi dei vari livelli di governo:quello regionale, quello intermedio e quello locale.

Il documento di principi, che è stato il frutto dell’ap-porto dei componenti della commissione, scelse e tracciòle linee complessive di questo disegno; le scelse e le trac-ciò in una valutazione che credo — come mi pare vengafuori anche da questo convegno, — confermi la sua vali-dità. L’architettura complessiva dell’organizzazione am-ministrativa della Regione siciliana rimane oggi confer-mata nelle linee, nelle scelte di fondo di quel documento.

Nessuno — bene ha detto Vito Riggio — ha mai con-siderato l’articolazione totale del documento un testo sa-cro o uno schema di testo legislativo, per cui il riferimen-to ad ogni espressione, ad ogni parola dovesse essere vin-colante o discriminante nel giudizio dei riformatori o deiconservatori, dei progressisti o dei moderati. Io tra i pri-mi formulai talune osservazioni al documento per alcunesue articolazioni, ma questo nulla toglieva e nulla togliealle scelte di fondo del documento, che, ripeto, a distan-za di alcuni anni mantiene la sua validità di carattere ge-nerale.

Ma oggi non siamo al punto di partenza, non siamo alpunto zero di quel disegno; nessuno penso che lo possaonestamente e correttamente dire, perché da quel docu-mento che aveva valore scientifico, è maturato non soloun consenso di valore politico — un risultato che certa-mente non può essere ignorato — sia a livello di partiti,sia a livello di programma di governo.

Ma siamo entrati nella fase della realizzazione di que-sto disegno, io considero realizzazione di questo disegnonon soltanto la legge che entra in vigore il prossimo 21 di

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febbraio, ma considero attuazione concreta di quel dise-gno la legge sulla programmazione, che era un metodoscelto a base del documento dei principi. La programma-zione non solo è legge della Regione, è in piena attività ilcomitato di programmazione che, pur incontrando ov-viamente, come tutte le cose nuove, le sue resistenze e lesue difficoltà, è una realtà che comincia a condizionare econdizionerà sempre di più la vita della regione.

È attuazione di quel disegno la legge urbanistica, lacui impostazione e la cui concezione sono perfettamentecoerenti alla scelta del decentramento ai comuni di re-sponsabilità cospicue, rilevanti, pregnanti politicamentee civilmente per le comunità locali. È attuazione di queldisegno la legge di ristrutturazione dell’amministrazionecentrale, con la sottolineazione assai consistente dellacollegialità della Giunta di governo; e anche questo valo-re apparteneva al disegno della relazione fatta dai giuristi.

Noi siamo entrati, da un anno a questa parte, nella at-tuazione di scelte che furono varate precedentementecon lucidità e con tempestività; ma siamo entrati nella at-tuazione piena, incontrando ovviamente — come nellaattuazione di questi grandi disegni si incontrano — diffi-coltà, diffidenze, resistenze, preoccupazioni. Siamo en-trati nella attuazione reale, concreta di quella scelta che,ripeto, partì in sede scientifica ed è diventata politica.

La legge che trasferisce funzioni agli enti locali è laparte più organica di applicazione di quelle scelte. Essanon è — come ha bene detto il professore D’Onofrio —una legge che vuole definitivamente disegnare le dimen-sioni e le funzioni del comune. Nelle dichiarazioni pro-grammatiche che io resi in Assemblea era esattamente ri-

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petuto questo concetto: «non si può disegnare in manieradefinitiva il ruolo dell’ente locale se non si procede congradualità: un avvio di trasferimenti di funzioni, con ilgrado successivo di individuazione dell’ente intermedioe quindi quello che riguarda la regione, in modo da com-pletare questo disegno man mano che l’architettura com-plessiva della riforma va diventando vincolante per attolegislativo».

Ma la legge n. 1 del ‘79 costituisce certamente unaparte significativa di attuazione di quel disegno. Anchese per quella parte la vivacità della discussione tra i par-titi e tra le forze politiche, la polemica, in certi momentitesa e acuta, tra gli stessi partiti ha ritardato per un certolasso di tempo — per alcuni mesi — il varo del disegnodi legge. Posizioni di preoccupazione da una parte eschematismi dall’altra hanno potuto portare a soluzioniche hanno finito oggi con lo smentire le preoccupazionio col far tornare indietro gli schematismi, perché taluneproposte di legge successive, per sistemare alcuni incon-venienti di quella legge, sono la dimostrazione appuntoche certe volte lo schematismo irrigidito porta poi ad ef-fetti che bisogna subito dopo correggere, per evitare chediventino paralizzanti dell’attività dell’amministrazio-ne. Di converso talune preoccupazioni o paure di fattisconvolgenti hanno trovato la loro smentita piena; infat-ti ciò che è stato votato dall’Assemblea non solo non co-stituisce motivo di trauma o sconvolgimento, ma costi-tuisce motivo e momento di esaltazione della funzione diautogoverno a livello di comunità comunale. Certo quic’è un problema che si pone — e che ha posto pure il pro-fessore D’Onofrio — e cioè la capacità della classe diri-

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gente locale di gestire questo complesso di funzioni equesto livello di autogoverno che va crescendo rispettoal passato.

È una preoccupazione che le forze politiche, la realtàsociale e civile devono porsi perché dobbiamo in ognimodo vincere questa scommessa, dobbiamo confermarela bontà e la validità della scelta del decentramento. Laclasse dirigente comunale, abituata a gestire ben altriproblemi a livello di comune, ora è chiamata a gestireproblemi molto più complessi, che hanno aspetti moltopiù generali di quelli del passato.

Quindi siamo in una fase di attuazione del disegno diriforma; solo un atteggiamento frustrato può far vedereuna posizione di anno zero, di non avvio della riformadell’amministrazione. In questo processo proseguiamocon la definizione dell’ente intermedio, che costituiscecertamente motivo di confronto estremamente vivace trale forze politiche; anche qui, più di quanto non è stato peril decentramento ai comuni. Allora si trattava di innesta-re talune funzioni sull’organismo esistente; qui si trattadi disegnare in termini quasi del tutto nuovi — il riferi-mento era l’amministrazione provinciale — un livello digoverno che certamente risulterà estremamente diversodall’attuale livello dell’amministrazione provinciale.

Anche qui si tratta di affrontare il problema con gran-de serenità e con grande responsabilità, non mossi damotivazioni o da finalizzazioni o da strumentalizzazionipolitiche ma mossi dall’esigenza di identificare la di-mensione ottimale per gestire i problemi della comunitàa livello intermedio. Non si tratta di iniziare coll’identifi-care la dimensione o il successo della risposta dell’ente

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intermedio nel numero delle soppressioni di enti che sirealizza. Ha detto benissimo il professore Cassese: vede-re la soppressione come un risultato comunque positivoè un modo estremamente falsato di porre il problema. Sifacciano tutte le soppressioni che servono, senza preoc-cupazione alcuna, ma non soppressioni comunque e pre-giudizialmente prestabilite, magari — come diceva VitoRiggio — sol perché vi è una struttura da colpire e ce n’èun’altra da preservare; non si costruisce con l’obiettivodi distruggere. Non si tratta di avere cose da distruggere;si tratta di costruire una qualche cosa che serva alla co-munità in modo migliore di come finora l’organizzazio-ne dell’amministrazione regionale è riuscita a fare. Separtiamo dal presupposto che ci sono obiettivi da abbat-tere, certamente partiamo da un presupposto che è vizia-to. Dobbiamo tutti, spogliandoci da posizioni preconcet-te, vedere insieme qual è la costruzione migliore da fare,non la distruzione più grave da infliggere a chi è contro dinoi e a chi la pensa diversamente da noi. Da questo pun-to di vista bisogna avere l’animo sgombro da preoccupa-zioni e da paure.

Io sono lieto che qui oggi ci siano tanti funzionari re-gionali; non ci sono solo giuristi, ci sono anche tantiesponenti di enti pubblici minori: enti provinciali del tu-rismo, camere di commercio, consorzi di bonifica.Queste realtà, queste strutture sono strumenti in una so-cietà che cambia e anche le strutture pubbliche debbonocambiare perché esse siano adeguate alla società. Quindinon ci sono servizi da difendere, non ci sono istituzioni ostrumenti da salvare comunque; perché la soppressionedi questo o di quell’ente non comporta nessuno sconvol-

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gimento del convivere civile nella nostra realtà. Quindibando alle paure, bando alle preoccupazioni, e non sol-tanto per gli aspetti negativi a cui alludeva molto felice-mente il professore Cassese; cioè si sopprime l’istituto,ma si salva il personale, la sua posizione, la sua stabilità,il suo livello economico, il suo status giuridico, la garan-zia di tutto quello che si vuole. Preoccupazioni da questopunto di vista non ne può avere nessuno. Io parlo di altrepaure, paure di sconvolgimenti, di squilibri a caratteresociale e politico.

Nessuna paura: ciò che è vivo riesce a sopravvivereanche alle modifiche strutturali, ciò che è morto, ebbenemuoia pure.

Non si può tenere in vita un ente, una qualche cosa acui non corrisponde una realtà viva; ciò che è vivo, se èrealmente tale, non può temere di scomparire o di esseremortificato dal fatto che una struttura sia soppressa o siaradicalmente ristrutturata. Qui si tratta, ripeto, non diavere obiettivi prestabiliti, si tratta di concorrere congrande apertura, con grande coraggio, senza paure e sen-za preoccupazioni, a vedere insieme quale è il livello ot-timale perché una funzione, tra quella comunale e quellaregionale, possa avere, realmente, la dimensione miglio-re per rendere il suo servizio.

La scelta che noi ci accingiamo a fare, in direzione diuna realtà intermedia che abbia una certa vastità di di-mensione territoriale, non parte certamente dal problemadei numeri; parte dalla considerazione che, volendo darea questo ente intermedio delle funzioni le più vaste pos-sibili, dobbiamo partire da dimensioni comunitarie lar-ghe.

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Se dovessimo assecondare il processo di identificarele dimensioni sovracomunali a livello totalmente omo-geneo, noi arriveremmo a dimensioni di ente intermedioestremamente sminuzzato nel territorio e certamente im-possibilitato a ricevere funzioni di particolare pregnanzae di particolare rilievo.

Quindi la scelta che è andata maturando, partendo pu-re da posizioni diverse nei vari partiti ma che oggi vedeconvergere la volontà di tutti di andare a dimensioni piùvaste, muove dalla volontà di riconoscere a questa realtàintermedia il maggior volume di funzioni e di competen-ze possibili.

Evidentemente più largo è il territorio, più può essereinteressato a funzioni maggiori, e non soltanto dal puntodi vista economico o dal punto di vista sociale. Quindi siva avanti in questa direzione; da qui la utilità e la attuali-tà di questo nostro convegno, delle cose che sono statedette, dei contributi che sono stati dati, delle esigenze ariguardare — come diceva Cassese — a questi aspetti,sapendo distinguere e separare ciò che è politico, che de-ve essere valorizzato ed esaltato.

Io non ho alcun complesso di essere politico e di sot-tolineare i valori politici delle scelte che vanno fatte, mabisogna avere — come diceva Cassese — la capacità diguardare poi ai fatti organizzativi dell’amministrazionecon l’occhio, con la valorizzazione di alcune esigenzeche sono proprie dell’amministrazione che, perché ri-sponda chiaramente alle sue funzioni, deve poter essereguardata anche dai politici con una dimensione e con unaottica diversa, ma non separata. Quindi si tratta di guar-dare a questa dimensione con questa volontà; di arrivare

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ad un risultato, di arrivarci rapidamente, perché certa-mente è indispensabile proseguire in questo disegno conrapidità e con decisione, senza posizioni preconcette,senza schematismi, senza preoccupazioni, senza tiepi-dezze o timidezze, o timori.

Si tratta di realizzare uno sconvolgimento, certo pro-fondo da un punto di vista strutturale, ma che è funziona-le a rendere l’organizzazione pubblica più capace di ri-spondere a quelle che sono le responsabilità enormemen-te cresciute negli ultimi anni, a carico della pubblica am-ministrazione. Noi facciamo con decisione questa stradae la percorriamo anche se — lo coglieva Vito Riggio que-sto aspetto — nel momento in cui lo Stato, realizzando la382, esalta la funzione del comune e, con un’altra mano,attraverso la finanza locale, compiva delle scelte che cer-tamente non sono coerenti con la formazione della nuovafunzione comunale. Non è accettabile che nel momentoin cui si realizza la 382, che dimensiona il comune a piùvasto respiro, e si sa che ciò è possibile in alcune realtàdel paese che hanno una finanza locale florida, contem-poraneamente si condanni per legge la finanza delMezzogiorno a non poter crescere e quindi a non poterrealizzare questa dimensione maggiore. I provvedimentiStammati prima e il Pandolfi dopo, che hanno avuto ilmerito di fare un’operazione, cioè di far conoscere qualeè la realtà della finanza locale, rischiano di far diventaredefinitiva una strategia congiunturale, quando si consa-cra che l’incremento della finanza locale è nel resto delpaese l’11 per cento e nel Mezzogiorno il 13 per cento ogiù di lì.

Si tratta di due punti di differenza; vorrei dire che è

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una provocazione dare due punti di differenza. Tolganoquesti due punti di differenza e si parli di una crescitauguale per tutti, perché i due punti, certamente, non pos-sono consentire che i livelli dei servizi si possano ade-guare nella realtà comunale del Sud a quella del Nord. Idue punti non servono a pagare l’indebitamento rigidoche la finanza locale del Mezzogiorno ha, mentre la fi-nanza locale del Nord del paese è riuscita in questo pe-riodo di transizione a cancellare il suo indebitamento esta precipitosamente correndo a ricostruire un indebita-mento presso la Cassa depositi e prestiti.

Si verificano ivi, quindi, spese di investimento, spesedi ulteriore espansione dei servizi comunali; mentre nel-la realtà del Mezzogiorno questo non può assolutamenterealizzarsi. Noi, nel momento in cui abbiamo fatto la leg-ge n. 1, abbiamo trasferito ai comuni risorse del bilancioregionale. Non è che questo facciamo per consentire unmutamento della finanza comunale da derivata statale aderivata regionale. Non abbiamo alcuna intenzione di fa-vorire questo processo. Abbiamo ritenuto assolutamenteindispensabile, nel momento in cui trasferivamo ai co-muni determinate funzioni, dare contemporaneamenteuna certa quantità di risorse finanziarie, per non ripeterequello che ha fatto lo Stato nei confronti della realtà de-gli enti locali del Mezzogiorno.

Quindi siamo in fase di attuazione, anche in un mo-mento difficile come quello che la finanza locale vive maanche in un momento più ricco di difficoltà – sono statequi ricordate — che riguarda la riforma della Regione.Un momento di difficoltà caratterizzato da un modo diprocedere della gestione statale, certamente non compa-

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tibile con l’esigenza di seguire un disegno organico di ri-forma. Questi sono gli anni in cui sulla realtà regionale,senza nessuna logica organica, arrivano gli enti inutili —come diceva il professore Cassese – che vengono inopi-natamente sciolti; il problema lo Stato lo risolve imme-diatamente, perché trasferisce il personale alle regioni,trasferisce, bontà sua, quel poco di ruderi di patrimonioimmobiliare che costa più mantenere che utilizzare. LoStato ha risolto il suo problema caricando la regione nondi strumenti utili per le sue finalità ma di pesi che rendo-no la sua gestione estremamente più complessa.

Nella amministrazione abbiamo inquadrato il perso-nale degli enti regionali che andavamo sciogliendo: lescuole sussidiarie, le scuole professionali, 1’ESCAL epoi sono arrivati quelli dello Stato; c’è tutto un patrimo-nio certamente apprezzabile, ma per le finalità che rea-lizzava l’Ente non certo per l’attività propria dell’ammi-nistrazione regionale. È un processo di scelte che lo Statorealizza in termini di grande semplicità. Certamente loStato fa dei disegni riformatori, anche per cose che han-no un grande valore, come quello della riforma sanitaria,che è certamente una conquista sul piano generale mache viene realizzata in maniera tale da scaricarla sulle re-gioni, che saranno da qui a qualche settimana accusatetutte di inadempienza. Non si può immaginare che unalegge di questo tipo, inopinatamente, senza nessun perio-do di transizione, scarichi sulle regioni la gestione di unaspesa di quelle dimensioni. Lo Stato ha approvato la sualegge, ha già versato — per poter dire che lo Stato ha fat-to tutto — i 250 miliardi che riguardano la nostra regio-ne. Ebbene fino ad un mese fa noi non sapevamo neppu-

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re quali erano i centri di spesa, i centinaia di centri di spe-sa che operano in una regione vasta come la Sicilia, aiquali ritrasferire nella fase transitoria 250 miliardi deicontribuenti. Non si tratta di trasferirli agli ospedali, o ditrasferirli ai soli enti pubblici previdenziali; si tratta ditrasferirli ai consorzi, ai comuni, alle province, alle cassemutue, agli enti previdenziali, ad una serie infinita direaltà, che bisogna prima conoscere, e sapere quantospendevano nel 1978.

Ebbene come si può immaginare che le regioni, chehanno ricevuto in quest’ultimo anno una serie di compe-tenze, devono improvvisamente diventare competenti inmateria di consultorio, in materia di droga, nelle materiepiù varie, da un momento all’altro, senza una sorta di va-catio legis che consenta di preparare le cose opportuna-mente? In questo momento di enormi contraddizioni eincertezze c’è l’esigenza di proseguire in una azione lapiù organica possibile.

Si conferma l’esigenza di una riforma anche a livellodi amministrazione regionale. In materia di sanità, in ma-teria di pubblica istruzione, in materia di trasporti, in ma-teria di formazione professionale o c’è la capacità, intempi rapidi, di realizzare una riforma anche a livello diamministrazione regionale o la risposta a questi proble-mi sarà estremamente difficile poterla dare. Di qui la esi-genza di far presto per l’ente intermedio, per potere av-viare quella che è la riforma a livello regionale.

Questa mattina mi pare che il professore RoversiMonaco abbia manifestato talune perplessità su quel tipodi organizzazione; certamente c’è l’esigenza di vedere edi approfondire quale debba essere il modo di organiz-

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zarsi della Regione e lo potremo fare dopo che ci saremoalleggeriti di una serie di funzioni che debbono esseretrasferite all’ente intermedio. Quest’ultimo — e conclu-do questa parte dell’intervento — non si costruisce nellasua consistenza, come qualcuno qui ha detto in manieraassolutamente errata, soltanto con ciò che viene trasferi-to sopprimendo alcuni enti.

L’Ente intermedio si costruisce per salita di compe-tenze comunali; ci sono una serie di servizi che, realizza-ti nei comuni, oggi sono estremamente dispendiosi e peri quali la dimensione ottimale è quella sovracomunale. Sirealizza per discesa di competenze da parte dellaRegione. Si realizza orizzontalmente per l’afflusso dellecompetenze dell’attuale amministrazione provinciale edelle altre articolazioni a dimensione provinciale, per lequali — ripeto — bisogna realizzare la più omogenea ag-gregazione possibile nell’ente intermedio. Quindi l’ur-genza dell’ente intermedio per passare alla fase della ri-forma della Regione, per la quale però è indispensabile— anche questo è oggetto di confronto tra le forze politi-che su una iniziativa che il governo ha assunto — avvia-re subito una serie di innovazioni legislative in materia difunzionalità dell’amministrazione.

È indispensabile, proseguendo lungo le scelte dellalegge 7, realizzare talune puntualizzazioni, talune foca-lizzazioni, talune innovazioni di organizzazione del-l’amministrazione, perché essa possa rispondere allaenormità di attività che è ormai chiamata a svolgere.Tutto ciò che è fatto di programmazione ha una dimen-sione che certamente non può essere più sopportata conuna struttura come quella attuale.

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Ci sono una serie di problemi, posti dal professoreCassese, che ho seguito con estrema attenzione. Ci sonoesigenze di carattere diverso che debbono costituire og-getto di riflessione delle forze scientifiche, delle forzepolitiche, degli operatori in amministrazione. Non si puòcontinuare — come ha detto il professore Cassese — sul-le due strade della soppressione e dell’imitazione soltan-to di metodo, che finiscono col creare una serie di confu-sioni e di sovrapposizioni che appesantiscono l’ammini-strazione. Noi abbiamo fatto la scelta per la programma-zione. Man mano che questa scelta diventa realtà, talunialtri momenti di partecipazione che erano stati realizzati,evidentemente debbono essere rivisti; altrimenti noi nonfaremo mai una vera programmazione e avremo so-vrapposizioni di momenti, che sono a scapito del ruolodell’uno e della qualità dell’altro. Noi abbiamo realizza-to una legislazione regionale che ha finito per dare dellerisposte politicamente attuali a momenti di partecipazio-ne e di consultazione, ma erano tutti momenti di caratte-re settoriale, di carattere limitato, che certamente nonpossono sovrapporsi allorché la programmazione diven-terà — non siamo ancora a questo punto — realmentepregnante ed incisiva e incidente sulle scelte dellaRegione. Altrimenti si realizzeranno due momenti dicontrasto, uno a monte ed uno a valle, nell’attività del go-verno, che determineranno lo scadimento di qualità ditutti e due, o finiranno coll’essere paralizzanti l’uno del-l’altro o peggio ancora paralizzanti in tutta la fase: quel-la programmatoria a monte, quella del governo, quella dipartecipazione nei momenti successivi. Certo in deter-minati cammini non si torna indietro con grande facilità,

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ma una valutazione più attenta del sovrapporsi di tuttequeste cose è indispensabile, se non si vuole che la parte-cipazione non sia più tale, che finisca gradualmente conlo snaturarsi, col diventare sovrapposizione e confusionedi ruoli, con un risultato estremamente semplice, lo dice-va Cassese in riferimento agli enti economici: con la de-responsabilizzazione di tutti.

Sfido chiunque ad individuare oggi il responsabile dideterminate scelte, perché si è realizzato un meccanismoche coinvolge tutti, dall’ente pubblico, al governo, al po-tere legislativo, agli organi consultivi dell’amministra-zione (Consiglio di Giustizia, Corte dei Conti). Non c’èmomento della procedura che non coinvolga tutti questiprotagonisti; ma è chiaro che la somma di tutte questepresenze finisce col deresponsabilizzare tutti. La sommadelle responsabilizzazioni esclude la responsabilizzazio-ne individuale o di un organo collegiale, il quale real-mente è il responsabile — come deve essere in democra-zia — di fronte a qualcuno per poterne rispondere.Questo é stato magistralmente ribadito dal professoreCassese quando ha parlato dei fondi di dotazione e deifondi di rotazione, col vincolo di destinazione, che tratta-no le cose che si prefigurano, ma che poi nella realtà nefanno ben altre, perché quando si utilizzano dei fondi siva a stanare altre situazioni esistenti. Si realizza un siste-ma di deresponsabilizzazione, ripeto, che credo debbafare riflettere tutti quelli che hanno a cuore il funziona-mento dell’amministrazione e la credibilità delle istitu-zioni.

Un’amministrazione che non riesce a rendere al citta-dino il servizio per cui è stata costituita ed alimentata non

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porta discredito soltanto all’operatore amministrativo(quando si dimostra che non si tratta dell’errore dell’ope-ratore ma si tratta di un sistema che è organizzato in ma-niera tale da non potere portare con facilità, con tempe-stività, con efficacia il risultato della sua azione al citta-dino), porta discredito alle istituzioni.

Noi, credo, nel momento che il nostro Paese attraver-sa, abbiamo tutti il dovere sacrosanto di contribuire a ri-costruire l’immagine della pubblica amministrazione edelle istituzioni. Se questo comporta il ripensamento ditalune scelte, chi realmente ha a cuore il recupero di que-sta immagine, lo deve fare spogliandosi di posizioni pre-concette, spogliandosi di atteggiamenti di certezze, chenon ha nessuno. Pertanto questo tipo di confronti è estre-mamente utile ed estremamente opportuno.

Io mi sono lasciato prendere dagli argomenti e sonoandato oltre la mezz’ora. Credo, concludendo, che la va-lutazione più attenta delle relazioni — io ho potuto parte-cipare soltanto ad una parte dei vostri lavori — costituiràper me motivo di riflessione, per valutarle con grandeapertura, con grande attenzione, proprio nel desiderio diavere elementi ulteriori per costruire il disegno che è sta-to immaginato nel documento dei principi.

Intendiamo confermare che vogliamo portare avanti,senza tentennamenti e senza paure, questo disegno, la cuicostruzione in fase legislativa ed esecutiva ha bisogno,come conferma questa occasione, di continue verifiche,di continue adattabilità alle situazioni che cambiano, dicontinua corrispondenza alle scelte che maturano nel re-sto del Paese, di reale partecipazione e di reale valutazio-ne della funzione democratica dell’autogoverno.

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Queste cose, ripeto, facendo salvo il disegno genera-le, sono strumenti per raggiungere determinati fini. È op-portuno verificarle quando si è in tempo, per evitare chepoi accada che le scelte fatte costringano a tornare indie-tro. Per questo ho voluto essere presente, per questo hovoluto ringraziare di avere organizzato questa manifesta-zione, per questo spero che un po’ tutti abbiamo arricchi-to il nostro patrimonio, su questo argomento, che è cosìimportante e così significativo.

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Il ruolo dei Comuni nella Regione (*)

Palermo, 23 febbraio 1979

Signor Presidente, signori Amministratori degli entilocali, credo anch’io di dover sottolineare il valore diquesta conferenza, il valore della sua celebrazione, il va-lore della sua ripetizione. È la terza assise che si celebraqui all’Assemblea regionale siciliana con i sindaci e irappresentanti dei comuni dell’Isola e credo che questosia il presupposto per convenire sulla opportunità che aquesta conferenza si dia un carattere istituzionalizzato,perchè segni un momento, come è avvenuto in questi duegiorni, di responsabile partecipazione e di concorso allamaturazione del dibattito politico della Regione, all’ap-profondimento dei temi che interessano la dimensionecomunale. È stato sottolineato che a questa conferenza siè giunti, ed essa si celebra, a differenza anche delle altredue, con un primo bilancio delle scelte di fondo che ani-marono le prime due conferenze. Un bilancio di cose rea-lizzate, una valutazione di momenti reali e non soltanto

(*) Testo registrato dell’intervento pronunziato dal Presidente dellaRegione Mattarella a conclusione dei lavori della terza conferenza deicomuni siciliani, promossa dall’Assemblea regionale. L’intervento, cheveniva a cadere in un momento di particolare vivacità del dibattito poli-tico regionale, dopo un esame dello stato di attuazione del processo di ri-forma della Regione, richiamava l’attenzione delle forze politiche e so-ciali sulle ulteriori scelte da compiere e sulla necessità di uno sforzo con-corde che consentisse di superare le resistenze e le difficoltà insite in ognifase di rinnovamento.

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di propositi e di enunciazioni che furono, anche per laforza e la rappresentatività delle due conferenze, mo-mento essenziale della maturazione delle scelte che han-no costituito base delle cose che in questi ultimi tempi sisono realizzate in argomento. E io credo di dovere ricu-cire, come in realtà essi sono, i vari momenti consumatidella vita della nostra Regione in un unico disegno, per-ché ci si possa non tanto dichiarare soddisfatti delle cosefatte, ma soprattutto consapevoli che su questa strada sipuò e si deve continuare a camminare. Si è parlato del do-cumento dei principi che ha costituito e costituisce la ba-se del processo di riforma che ha interessato e interessa laRegione, i comuni e tutte le altre entità pubbliche che vi-vono nell’ambito della dimensione regionale. Io vorreiricordare come dalla legge n. 86 del 1975, che è stata quipiù volte ricordata, nella quale l’Assemblea identificò lescelte di fondo che dovevano caratterizzare l’architettu-ra della riforma della Regione, alla compilazione del do-cumento di principi, realizzato volutamente attraverso lapartecipazione responsabile della espressione più quali-ficata della realtà scientifica del nostro Paese, si è venutiin avanti consumando una serie di fatti che sono politica-mente e strutturalmente irreversibili, e che hanno cam-minato nel segno di una serie continua e successiva diazioni che non possono essere misconosciute. Il docu-mento di principi, che aveva un valore culturale e scien-tifico, che era l’espressione, come ha ricordato VitoRiggio, di un dibattito che interessava in quel momentotutta la comunità nazionale, ha avuto nelle sue linee fon-damentali, nelle sue scelte di fondo, nella architettura dimassima che ha prospettato per la organizzazione ammi-

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nistrativa nella nostra regione, la sanzione non solo dellaGiunta di governo, ma la sanzione politica dell’accordodi maggioranza e quindi dei partiti che ad esso hanno da-to vita; credo che questa sia stata l’occasione per vedereripetuta questa conferma: è su questa base, lungo questedirettrici, lungo questa ispirazione, lungo e dentro questaarchitettura che bisogna continuare a muoversi per la ri-forma dell’amministrazione. Ma, dicevo, non siamo quioggi per ribadire che su quei principi e su quelle linee bi-sogna fare la riforma della amministrazione regionale;possiamo con molta serenità dire che attraverso una seriedi atti che sono stati sanciti non solo legislativamente, masono operanti nella vita della nostra Regione, questa ri-forma è in parte realtà. Il Presidente dell’Assemblea lo haricordato all’inizio della sua introduzione, io desidero ri-cordare come la legge di contabilità e di riforma del bi-lancio della Regione sia stata concepita, presentata e sisia mossa all’interno del disegno prospettato dal docu-mento dei principi: come una serie di leggi che da alloraad oggi hanno sottolineato ulteriormente il ruolo deglienti locali in materia di opere pubbliche, sia pure episo-dicamente, si siano mosse dentro quel disegno; come lastessa legge 2 del 1978 per due scelte di fondo, la colle-gialità della Giunta e la pubblicità degli atti amministra-tivi, si sia ispirata e sia attuata nello spirito e all’internodelle scelte del documento dei principi; come la leggeche istituisce il comitato di programmazione e disciplinala costituzione e il funzionamento del comitato stesso sisia mossa e si muova dentro quelle scelte, coerentemen-te a quelle scelte; come la legge urbanistica, lo ha ricor-dato il collega Fasino, abbia operato delle scelte in dire-

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zione del decentramento e in direzione dei modi di com-portarsi dell’amministrazione regionale e delle procedu-re secondo i valori di fondo indicati dal documento deiprincipi; come la legge numero 1 del ‘79 sia l’ulterioresanzione, l’ulteriore conferma della realizzazione di unaparte di quel disegno, di quella struttura prospettata neldocumento dei principi. Ecco, credo che il ricordare que-ste cose, il sottolineare come queste si siano mosse — esi siano mosse realmente dentro e coerentemente a quel-le scelte — sia un motivo per ribadire che quelle scelteerano e si sono dimostrate valide, che quelle scelte ri-mangono, così come ebbi modo di dichiarare inAssemblea, in occasione del dibattito sulla fiducia alGoverno, rimangono alla base delle ulteriori scelte cheandiamo a fare, che contiamo di poter fare in direzionedel completamento graduale ma deciso di questo disegnodi riforma. E credo di poter dire che la conferma è nellecose, non è nelle enunciazioni. Noi per esempio, in mate-ria di ente intermedio, non siamo ad un dibattito lontanoe fumoso tra le forze politiche, ma abbiamo cominciatoun dibattito serrato e ravvicinato sul concreto, abbiamoprospettato una architettura, sia pure sommaria, del dise-gno di legge sull’ente intermedio, abbiamo focalizzato iproblemi sui quali c’è da misurarsi per sciogliere deter-minati nodi, sciolti i quali, in tempi estremamente rapidi,questa iniziativa può diventare proposta di legge da sot-toporre all’Assemblea per la sua approvazione. E abbia-mo concretamente identificato taluni di questi problemiin quello territoriale, e lo ha accennato MichelangeloRusso, in quello finanziario e in quello delle funzioni.Tutti e tre problemi che prospettano obiettivi e nodi da

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sciogliere ma sui quali non si è registrato, e il dibattito diquesta mattina e di ieri ne è la conferma, una dissociazio-ne o una distanza tra le forze politiche che possa fare im-maginare che non si debba o non si possa raggiungere unpunto di incontro coerente con le cose che sono stateenunciate. Coerente anche nel senso delle funzioni chel’ente intermedio deve avere, perchè io dissi, nelle di-chiarazioni programmatiche, che ad esso va attribuitacompetenza globale sul complesso dei problemi, al ri-spettivo livello delle comunità da cui promana, e questaè la posizione che anima il Governo in questo momentoper la proposta da presentare all’Assemblea regionale.Per quanto riguarda il problema territoriale abbiamo im-maginato e prospettato una dimensione territoriale del-l’ente intermedio più larga di quella che si era affacciataqualche tempo fa nel dibattito tra le forze politiche, maproprio per una scelta che riguarda e ricade immediata-mente sulle funzioni. Se avesse l’ente intermedio una di-mensione territorialmente limitata che privilegia deter-minate omogeneità più complete e più serrate, certamen-te sarebbe limitato nelle funzioni da andare ad espletare.La scelta di un territorio a dimensioni maggiori tende arealizzare il servizio ottimale ad una dimensione ottima-le dell’ente intermedio, che garantisca questa completez-za, di cui all’accordo tra i partiti, e questa complessità dirappresentatività di interessi a livello della comunità del-l’ente intermedio. E quindi la scelta in direzione di unterritorio più lato risponde ad una scelta già fatta nel mo-mento stesso in cui si prospetta una dimensione territo-riale più lata. E lo stesso è per il problema finanziario:perchè evidentemente bisogna pur porselo il problema

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finanziario, non si può far finta che non ci sia, e abbiamoverificato insieme che c’è, che ci sono i modi per supera-no, che la Regione deve concorrere, come ha fatto con icomuni, per risolvere questo problema. Ma sono tuttiaspetti preliminari ad una scelta che politicamente, com-plessivamente è consumata; per una scelta che comples-sivamente ha realizzato una linea dalla quale è stato det-to, da più parti, non si torna indietro, perchè la scelta chesi è fatta a suo tempo, con la legge 86, con l’accordo tra ipartiti di maggioranza è una scelta che ha ricevuto san-zioni politiche che nessuno intende disconoscere. Certo,nel guardare a questo aspetto del problema, non si puònon farlo che con il realismo, con il senso di responsabi-lità che attiene soltanto alla capacità di funzionamento,alla capacità di rispondenza dell’ente intermedio allefunzioni che vi si trasferiscono. E si pongono qui gli altriproblemi che attengono alla esigenza di potenziare strut-turalmente l’ente intermedio con una serie di accorpa-menti, con una serie di fusioni, con una serie di elimina-zioni di strutture che non possono che rientrare in quel di-segno, ma anche con una ipotesi di utilizzazione di strut-ture che siano dimensionate a quel livello, che siano cor-relate, strettamente correlate, a quel livello, ma che pos-sono anche avere una natura ed una presenza di caratterediverso; e anche su questo credo che si tratti soltanto dimisurarsi sul concreto per arrivare al punto di incontro diuna linea e di una scelta che ripeto è politicamente con-sumata. Tutto questo processo che è stato realizzato ècertamente un processo che crea quella realtà unica cuiaccennava il Presidente De Pasquale, nella sua relazione,che coinvolge (il Presidente ha detto: siamo tutti nella

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stessa barca) che coinvolge in una coralità, che nell’ac-cordo programmatico era stato sottolineata dai partitidella maggioranza come indispensabile per rendere me-glio il loro servizio alla comunità isolana; una coralitàche ci veda coinvolti, regioni, comuni, ente intermedio,altri protagonisti della vita pubblica, in un disegno unicoche è quello di servire la nostra Isola su linee di program-mazione e su linee di scelte organiche e programmate. Eanche su questo io vorrei dire qualche parola per manife-stare la fiducia e al tempo stesso sottolineare le difficol-tà, senza venir meno alla fiducia sulla scelta, maturata erealizzata, della programmazione nella nostra Regione.Alfredo Galasso ha sottolineato talune difficoltà dellarealizzazione di questa scelta a livello di Comitato diprogrammazione. E bene, chi mai potrebbe serenamentedire che le difficoltà non ci sono: ci sono difficoltà dovu-te a resistenze volute, ma ci sono anche difficoltà dovutea resistenze non volute, all’impatto che un metodo to-talmente nuovo incontra su un sistema che vive da lungotempo con modi di essere, con comportamenti, con azio-ni, con procedure del tutto diverse. Non è immaginabileche un processo talmente incidente nei comportamentidella pubblica amministrazione possa in pochi mesi di-ventare realtà senza difficoltà e senza remore e certe vol-te anche senza contraddizioni. Ma bisogna affrontarequeste difficoltà con la fiducia e con la fede di poterle su-perare: il sottolinearle, l’enfatizzarle, l’esaltare questedifficoltà può anche far venire meno la fiducia nella stra-da scelta, può anche far venir meno la volontà, la forza,l’entusiasmo di procedere in avanti per rompere questeresistenze, gran parte delle quali, ripeto, non sono volute,

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ma sono l’effetto naturale di un meccanismo abituato acorrere in un modo e per comportamenti diversi. IlComitato per la programmazione c’è, funziona, purtrop-po con qualche difficoltà, ma è avviato alla compilazionedi quel documento previsto dalla legge come presuppo-sto di base per arrivare poi al piano di sviluppo; e questoè un lavoro che, pur faticosamente, si porta avanti, ed ilprofessore Galasso sa certamente che su questo docu-mento abbiamo realizzato momenti di confronto e di col-laborazione costruttiva che io mi auguro si concludanorapidamente nella proposta, da parte del Comitato, di undocumento. E certamente io concordo sulla indicazione,per altro contenuta nella stessa legge di programmazio-ne, che su questo documento bisogna realizzare modi dipartecipazione degli enti locali i più incisivi possibile, ipiù costruttivi possibile. Sono quindi realtà di ogni gior-no le scelte che abbiamo consumato dentro questo dise-gno di riforma; realtà di ogni giorno nelle quali certo, co-me ho detto per la programmazione, possono riscontrar-si momenti di resistenze, di difficoltà. Momenti di resi-stenza e di difficoltà veri, e momenti di resistenza e didifficoltà che certe volte non sono neppure veri e che nonso a che logica e a quale disegno politico può rispondereil sottolinearli, l’enfatizzarli, quando soprattutto non ri-spondono al vero.

Si tratta quindi di proseguire su questa strada.L’onorevole Michelangelo Russo ha ricordato la espres-sione che io ho usato alla conferenza dell’agricoltura«non bisogna avere paura del nuovo»; bisogna avere ilcoraggio del nuovo. Il mio non aver paura del nuovo erarivolto a chi poteva ritenersi soggetto passivo delle rifor-

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me; il coraggio del nuovo appartiene a tutti noi, a tuttiquelli che dobbiamo essere i protagonisti del disegno diriforma, che è un disegno difficile. La citazione, in realtàbella, che il Presidente De Pasquale ci ha letto ieri diMachiavelli credo che sia una dichiarazione certamentedisinteressata rispetto alle nostre vicende attuali. Inquanto immettersi, come noi siamo immersi con volontàe caparbietà, in un disegno di riforma, è obiettivamenteun momento di difficoltà nel quale ci si ritrova contro co-loro che, stando bene o utilizzando anche male il sistemaesistente, evidentemente resistono alle riforme, ma nonsi trova il sostegno e l’incoraggiamento di chi le riformevuole, forse per quella tiepidezza di cui Machiavelli par-lava e che il Presidente De Pasquale ricordava. Ora que-sta strada e queste scelte di riforma noi le abbiamo rea-lizzate; il Governo che ho l’onore di presiedere ha porta-to avanti in nome della maggioranza che lo ha costituito,non come un momento episodico, non come una sorta discelte congiunturali e momentanee, ma all’interno di undisegno complessivo e come frutto di un disegno, di unastrategia politica che nella nostra regione, lo ricordataCampione, procede da lunghi anni e che ha camminatocoerentemente lungo una strategia e lungo un disegnoche ha dato questi frutti. Io credo di poter dire che ciò chenegli ultimi anni è stato realizzato nella nostra regione,ciò che nell’ultimo anno è stato possibile realizzare daparte di questa maggioranza, è la controprova che questavicenda politica è una vicenda che ha realizzato dei risul-tati ed ha tutti i presupposti per continuare a realizzarne,lungo quella marcia, coerentemente a quel disegno, pro-seguendo quella strategia che ripeto è politica ed è anche

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di riforma. E certo, può esser vero che per realizzare laprosecuzione di questo disegno è indispensabile non so-lo la indicazione politica, le scelte, l’attività legislativa,ma anche un’azione quotidiana che porti avanti con spi-rito forte questa innovazione. Può anche essere vero chele contraddizioni e le difficoltà lungo questo camminopossono costituire momenti e punti di logoramento, madobbiamo chiederci se non siano altrettanti punti di logo-ramento determinati modi, determinati atteggiamentiche, nel momento stesso in cui rivendicano giustamentela prosecuzione di un’azione impegnata e forte, non dan-no quell’impegno e quella forza che è strumento per con-seguire quegli obiettivi.

Io mi auguro che la sottolineatura che qui è stata fattada parte dei rappresentanti dei Comuni sia espressioneanch’essa di volontà politica della realtà della nostra re-gione, che è la stessa che determinò la valutazione comu-ne che si fece un anno fa delle esigenze di un impegno to-tale e complessivo delle forze della maggioranza. In unospirito che accentui ed esalti questa solidarietà ed unità sipossono trovare la disponibilità e la volontà reale di tuttinoi per proseguire in questo disegno. Disegno nel quale,ripeto, ci possono essere dei momenti di difficoltà e deimomenti di contraddizione, ma disegno nel quale noncredo che giovi sottolineare talune cose quando le stessesono certamente prive di contenuto. Io non voglio e nonintendo qui fare una replica ed una puntualizzazione agliinterventi che sono stati qui fatti, anche perché non vor-rei che talune risposte potessero essere assunte come ba-se di ulteriori polemiche, però credo di dover dire, peresempio, al dottore Lo Monaco che lui non può accusare

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il Governo della Regione di avere presentato per il pro-blema della refezione un disegno di legge che contraddi-ce il decentramento, quando egli sa benissimo che il di-segno di legge che il Governo ha presentato in testa aiComuni questa fase transitoria di gestione scolastica persupplire ad una imprecisione della legge che insieme ab-biamo fatto. Mentre c’è un disegno di legge presentato daun deputato del Gruppo comunista che intesta all’asses-sore regionale della pubblica istruzione la gestione diquesta refezione scolastica. Non so fra i due metodi qua-le sia più contrario alla legge del decentramento.

Come credo di dovere puntualizzare che per quantoriguarda la circolare dei Lavori pubblici in materia deiterremotati del Messinese non si può dare, ad una valuta-zione che è stata repentinamente corretta, il significato diuna volontà politica di contraddire la legge sul terremotodella provincia di Messina.

Era una visione che gli uffici di un’amministrazioneavevano ritenuto esatta: sottolineato questo aspetto allavalutazione politica si è immediatamente corretta la indi-cazione riportando l’applicazione, e quindi modificandola circolare, al rispetto di quella che era realmente la vo-lontà del legislatore. Ecco, io non credo che il voleresommare, ricercandoli, una serie di piccoli fatti possa da-re a questi fatti un significato politico di contraddizionetra l’attuazione delle leggi e la indicazione che le leggistesse danno.

Anche se, come ho detto altre volte, e non ho alcunadifficoltà a ripeterlo in questa assise solenne, anche se ionon ho, in serenità, la possibilità di contestare che ci so-no dei ritardi, che ci sono dei modi non del tutto accetta-

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bili, che ci sono, che ci possono essere degli errori, affer-mo tuttavia che noi abbiamo insieme identificato l’esi-genza di una riforma complessiva, ed è naturale che, finoa quando essa non sarà completata, permangano gli ef-fetti di un vecchio sistema che non abbiamo potuto e nonpotremo cambiare di punto in bianco: ma si dovrà conti-nuare a cambiare gradualmente e per passi, così come peraltri problemi si è concordato di fare nel programma diGoverno. E da questo punto di vista io credo di doveretoccare un altro tema, che, è stato contestato al collegaFasino, sarebbe stato da lui saltato: il problema dell’abu-sivismo edilizio.

Io desidero qui fare alcune considerazioni. Mi riservodi fare in Assemblea regionale delle comunicazioni defini-tive più precise. Io desidero dire di avere piena la consape-volezza della portata generale del fenomeno, socialmentee politicamente rilevante, e di averla non soltanto in questomomento o in questa settimana, ma di averla avuta dall’i-nizio, allorquando il confronto, le proposte, le indicazionidei partiti della maggioranza indussero il Governo a pre-sentare degli emendamenti, quegli emendamenti che, conle modificazioni subite in Commissione, nella compe-tente Commissione, hanno costituito la base della leggeurbanistica per questa parte. E desidero ovviamente con-fermare che le scelte fatte sono quelle giuste, che ilGoverno (vorrei dire che lo riterrei superfluo, ma credoche sia utile ricordalo) fu il primo a manifestare sul ricor-so del Commissario dello Stato una valutazione di nonaccettazione delle motivazioni, ritenendo che la Regioneaveva agito nell’ambito delle sue prerogative. Desideroinoltre dire di avere fatto a nome del Governo tutte le

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azioni possibili, nella condizione in cui la Corte costitu-zionale si trova tuttora, perché il ricorso non andasse aduna trattazione ordinaria, ma, proprio per la rilevanza, ladrammaticità, l’importanza, il valore delle norme ogget-to dell’impugnativa, potesse essere deciso nei tempi piùbrevi possibili, ma debbo dire che ho registrato, e lo ave-vo detto alla delegazione che l’onorevole Rizzo mi portòalla presidenza della Regione, nell’incontro precedente aquello del 15, altre richieste di non facile accoglibilità.

Lo avevo detto con molta franchezza e chiarezza indi-cando gli ostacoli giuridico costituzionali difficilmentesuperabili in direzione della richiesta di un ulteriore attodi promulgazione e di pubblicazione. E io, senza chequesto possa avere, perchè non ha, nessun significato po-litico, debbo dire che, salve le valutazioni definitive, adei doveri di carattere costituzionale il Presidente dellaRegione non può venir meno. E vorrei che sia chiaro che,qualsiasi possa essere questa decisione, essa non ha nes-suna spinta e non può avere nessun effetto di caratterepolitico. Perchè ha soltanto e avrà soltanto un presuppo-sto, un fondamento di carattere giuridico istituzionale.

Questo non toglie nulla, anzi accentua, l’impegnocerto forte del Governo perchè si possa identificare unarisposta da dare al problema che abbiamo davanti. E con-sentitemi di fermarmi qui, perchè credo che in una mate-ria come questa l’importante è avere il proposito di ricer-care una soluzione, e mi auguro che sia possibile trovar-la tutti d’accordo.

È stato qui detto, a proposito di altro momento di at-tuazione delle leggi, che si è ritardato nell’assegnazionedei fondi ai comuni, dei fondi globali sulla legge numero

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1 del 1979 o che si è ritardato nella costituzione dellacommissione prevista per le IPAB. Io vorrei ricordareche questa legge è entrata in vigore ieri l’altro, che ilGoverno, per l’attribuzione dei fondi, ha tempestiva-mente acquisito il parere del Comitato di programmazio-ne, che la Giunta di governo, nella seduta di ieri pome-riggio, ha determinato i criteri che ritiene possano essereutilizzati per l’attribuzione dei fondi ai comuni e su que-sti criteri, in settimana entrante, sarà espresso il pareredella Commissione di finanza dell’Assemblea e che su-bito dopo sarà emesso il relativo provvedimento.

Anche qui non credo quindi che ci sia ritardo. E noncredo neanche che si possa accettare, se io l’ho ben capita,la proposta dell’onorevole Rizzo, di introdurre altri mo-menti di coinvolgimento in queste scelte, al di là delComitato di programmazione, della Giunta di governo,della Commissione parlamentare. Se noi dovessimo apri-re su questi criteri un confronto con i comuni i tempi di-venterebbero troppo lunghi. Non mi si può dire comunquedi essere in ritardo e contemporaneamente fare proposte diquesto genere. Non c’è ritardo: entro la prossima settima-na questi provvedimenti di ripartizione dovrebbero essere,se questo iter sarà completato, determinati con decreto delPresidente della Regione. E neanche per la commissionedelle IPAB c’è ritardo, visto che non poteva essere emessonessun provvedimento fino a ieri l’altro. Perchè, ripeto, lalegge è entrata in vigore ieri l’altro. L’assessore ha predi-sposto le lettere di richieste dei nomi alle organizzazioni;le organizzazioni hanno certamente interesse a indicarequesti nomi con immediatezza; la commissione sarà costi-tuita non appena ci saranno queste indicazioni.

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Vorrei, all’onorevole Rizzo, fare un’altra puntualiz-zazione, perchè, come lui l’ha indicata, appariva appun-to come la prova di un disegno di insensibilità da partedel Governo regionale: il problema della polizia urbana,della polizia amministrativa.

Egli ha detto che fino a ieri sera il Governo dellaRegione non aveva chiesto che la Commissione pariteti-ca affrontasse l’argomento. E questo non è esatto onore-vole Rizzo. Mi auguro che lei sia lieto della smentita.

RIZZO. Presidente regionale della Lega per le auto-nomie ed i poteri locali. Sì, sono lieto.

MATTARELLA. Presidente della Regione. Perfetto.E allora c’è un documento complessivo che riguarda leproposte della Regione sul decreto 616, che sono stateformalizzate in un documento, che è stato trasmesso allaCommissione paritetica non ieri o l’altro ieri o dieci gior-ni fa, ma parecchi mesi addietro, ed è stato trasmesso al-tresì al Governo dello Stato perchè si proceda.

Quindi, almeno da parte del Governo della Regione eda parte degli organi dell’Assemblea, che tempestiva-mente hanno dibattuto questo argomento e hanno deter-minato lo schema che riguarda tutta l’attuazione nellanostra Regione del 616, questa accusa non può essere fat-ta, e soprattutto non può essere prova di un disegno chenon c’è.

Ecco, io concludo brevemente sottolineando o megliotornando a sottolineare il valore di questa assise che co-stituisce, per le indicazioni specifiche che sono venutefuori, un momento importante. Sono state poste delle do-

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mande ai colleghi Assessori, al Governo, sono stati evi-denziati taluni problemi, sono state sottolineate, ancheper l’applicazione della legge 1, talune esigenze, sonostate avvertite e registrate da parte del Governo talunecritiche: queste critiche, a mio avviso, costituiscono unmomento esaltante di partecipazione democratica ad unprocesso di sviluppo complessivo della nostra regione. Edesidero confermare che in questa direzione il Governosi ritiene impegnato, in direzione dell’attuazione di unprogramma che è estremamente impegnativo, che èestremamente significativo, politicamente e dal punto divista dei contenuti, e che, quindi, ha bisogno di un mag-giore impegno, per essere ulteriormente condotto inavanti, se possibile, con più tensione e maggiore spiritodi sensibilità verso la emergenza, che tuttora esiste, daparte del Governo e delle strutture che il Governo ha laresponsabilità di guidare. Ma emerge anche la esigenzadi un coinvolgimento degli enti locali, e questo mi pareche abbia trovato qui conferma e registrazione, nonchèl’esigenza di uno spirito realmente unitario e costruttivodelle forze politiche, perchè il dibattito tra le stesse siachiaro, franco, duro, se è necessario, ma trovi uno sboc-co positivo per continuare a servire gli interessidell’Isola.

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Il documento di linee, principi e obiettivi della program-mazione regionale (*)

Palermo, 6 luglio 1979

Onorevole Presidente, credo sia opportuno che ancheio, come ha fatto il Presidente della Commissione onore-vole Cangialosi, sottolinei il significato di questa sedutache, per le modalità con cui si svolge, si propone di evi-denziare l’importanza dell’adempimento che ilComitato regionale per la programmazione economica,istituito con la legge numero 16 del 1978, ha definito aisensi dell’articolo cinque della legge stessa. Tale articolocinque infatti prevede che, prima della predisposizionedello schema di piano, il Comitato avrebbe dovuto predi-sporre un documento di linee, di principi e di obiettiviche contenesse anche quadri di riferimento territoriale esul quale, in vista della predisposizione dello schema dipiano di sviluppo, potesse manifestarsi la partecipazioneattiva e propositiva degli enti locali della nostra Regione.Credo anche che sia utile sottolineare come il comitato,

(*) Nell’aprile del 1979 il Comitato regionale per la programmazio-ne economica, insediato nell’ottobre dell’anno precedente (vedi in que-sto stesso volume il testo del discorso pronunziato nell’occasione), ap-provava e rendeva pubblico il documento di linee, principi ed obiettividella programmazione regionale, ai sensi dell’art. 5 della legge 10 luglio1978 n. 16. Nella riunione della seconda commissione dell’A.R.S. ilPresidente Mattarella illustrò i contenuti del documento che costituiva ilprimo risultato del lavoro del Comitato per la programmazione.

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al di là della puntuale definizione di questo strumento vo-luto dal legislatore, abbia realizzato, in questi primi novemesi della sua vita, del suo funzionamento, un’attività im-pegnata e qualificata. Esso ha tenuto nove riunioni nellasua composizione completa ed ha poi lavorato per gruppisia attraverso il comitato di presidenza, sia attraverso altrigruppi di lavoro appositamente costituiti. Esso ha resoall’Amministrazione contributi significativi su momentialtamente importanti in fatto di programmazione.

Ne ricorderò soltanto tre: la formulazione delle osser-vazioni della Regione al piano triennale presentato dalGoverno dello Stato; le proposte della Regione per il pia-no decennale della casa e, recentemente, la valutazionedel piano agricolo alimentare nella duplice direzione del-le osservazioni da presentare da parte della Regione,adempimento già realizzato dal Comitato nella sua ulti-ma seduta, e della attività da svolgere e che è già stata ini-ziata per la formulazione dello schema di piano regiona-le agricolo previsto appunto dalla legge quadrifoglio. Sitratta nel complesso, in queste tre occasioni in particola-re, di fatti significativi e politicamente rilevanti nel corsodei quali appunto il comitato della programmazione hadimostrato la validità della scelta operata dal legislatorecon la legge numero 16 del 1978.

Accanto a questa attività prevista dall’articolo 12della legge 16, il Comitato ha svolto altre proprie attivi-tà, come quella di esprimere preventivo parere allaGiunta di governo sulle delibere per la utilizzazione del-le spese in conto capitale. Ha realizzato, come dicevo al-l’inizio, il più significativo dei suoi atti con la definizio-ne, nella seduta del 10 aprile di quest’anno, del docu-

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mento di linee, di principi e di obiettivi della program-mazione regionale.

Prima di passare ad alcune considerazioni specifichesu questo documento credo sia utile sottolineare qualchealtro aspetto del funzionamento della struttura dellaRegione per la programmazione. Il Comitato della pro-grammazione ha costituito dei gruppi di lavoro in dire-zione di due adempimenti particolari, quello relativo allaidentificazione delle azioni prioritarie previste dal docu-mento di linee e di principi e quello relativo a una sua or-ganizzazione interna per la predisposizione dello schemadi piano quinquennale. Accanto a questa organizzazioneinterna è stata avviata con impegno una attività che ha vi-sto particolarmente impegnata la struttura servente delComitato cioè la struttura della programmazione.

Con i suoi funzionari e con gli esperti che la legge nu-mero 16 prevede è stata avviata dal Comitato una serie diacquisizioni, di documentazioni, di materiale indispen-sabile al Comitato stesso per il suo funzionamento.Debbo dire che è sorta, in questo lavoro, così come il do-cumento dei principi sottolinea, ad un certo momento, lavalutazione di una esigenza complessiva di revisione deicomportamenti della Regione, sia a livello legislativo,sia a livello amministrativo. Per esempio la ricerca effet-tuata dalla direzione della programmazione sulla situa-zione attuale della programmazione, che è molto più ric-ca di quello che si immagini, ha dimostrato come vi sia-no una serie di sovrapposizioni sia in orizzontale che inverticale, di ipotesi programmatorie settoriali che certa-mente non facilitano il compito del Comitato della pro-grammazione incaricato di esprimere un lavoro di sinte-

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si. Le ricerche finora compiute hanno identificato unasettantina di ipotesi di programmi subregionali, regiona-li e statali che comportano, in base a precise disposizionidileggi, predisposizioni di programmi tutti di caratteresettoriale da una parte e di carattere autonomo dall’altra.Si ottengono, come dicevo, in questa settantina di ipote-si, diverse serie di cose che non si conciliano, ma si so-vrappongono o per settori in verticale o per titolari inorizzontale, fra comuni, province, comunità montane,Regione, enti regionali, Stato, enti statali. Questa consta-tazione, che appunto è risultata evidente da questa ricer-ca, è sottolineata nel documento che oggi esaminiamoproprio per dimostrare la obiettiva difficoltà del lavoroprogrammatorio, soprattutto di quello che sarà affronta-to per la compilazione del piano quinquennale, in pre-senza di una rete di fatti programmatori che è in piedi eche, certamente, condizionerà le scelte del piano quin-quennale.

Un’altra considerazione preliminare a quelle di con-tenuto sul documento è quella relativa alla partecipazio-ne esterna alla compilazione del piano quinquennale.Essa parte appunto dal dibattito attorno al documento dilinee e di principii che trova in questa seduta il momentopiù significativo. L’Amministrazione ha provveduto adinviare, come la legge prevede, il documento ai comuni,chiedendo, con una nota del 7 maggio, a ciascuna ammi-nistrazione comunale, osservazioni, proposte, indicazio-ni che potessero scaturire da un dibattito a quel livello.Ma il documento è stato trasmesso, proprio per arricchi-re il dibattito su questo strumento, per allargare le occa-sioni e i momenti di confronto su questo documento, ol-

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tre che agli enti locali così come previsto dalla legge 16,ad una quantità di enti, comunità, gruppi sociali, forzeproduttive e culturali, enti locali diversi dai comuni e dal-la province, enti statali che attengono con la loro attivitàalla realtà del Mezzogiorno, enti statali che con i loroservizi sono presenti nella nostra Regione: un complessodi soggetti che va dalle camere di commercio, agli entiprovinciali del turismo, alle aziende di turismo, ai con-sorzi industriali, ai consorzi di bonifica, agli enti regio-nali, agli istituti di credito, alle università, agli ordini pro-fessionali, ai sindacati, alle organizzazioni di categoria,ai presidenti dei comitati consultivi istituiti attorno allavita della Regione, agli uffici del lavoro, all’Enel, alleFerrovie dello Stato, e a una serie di altre entità, ripeto,subregionali, regionali e statali che, certamente, possonodare un contributo e delle indicazioni ai fini della formu-lazione del piano quinquennale.

Noi aspettiamo che si sviluppi l’iniziativa degli entilocali che, peraltro, dalla legge hanno assegnato un ter-mine di trenta giorni, che per la verità è già scaduto sen-za che ci siano stati se non limitatissimi riscontri, peral-tro privi di contenuti specifici. Al di là della scadenzatemporale, che certamente non cadeva nel momento piùidoneo perchè coincidente con un eccezionale impegnodelle forze politiche e delle realtà istituzionali per viadelle due tornate elettorali, al di là di questo termine, evi-dentemente, riteniamo che possa pervenire un comples-so di indicazioni e di proposte, possa svilupparsi un di-battito che certamente costituirà per il Comitato dellaprogrammazione un patrimonio necessario ed utile ai fi-ni del lavoro successivo. Questa seduta è certamente un

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momento altamente qualificato di questo dibattito. Lasua natura, a mio avviso, però, come ho avuto modo di di-re nella conferenza dei capi gruppo, non credo possa es-sere quella di un esame conclusivo del documento per-chè certamente questo, ove precedesse il dibattito e le in-dicazioni degli enti locali, potrebbe anche apparire esau-stivo di quel dibattito e di quegli apporti. Quindi, credoche sia estremamente utile ed importante avviare oggi ildibattito per concluderlo in un momento successivo allapartecipazione di enti minori, come appunto gli enti lo-cali ed altri enti, perchè esso abbia una sua scadenza tem-porale, ripeto che non appaia esaustiva degli apporti de-gli altri.

Quanto al merito del documento, io farò un’ampiasintesi dei contenuti essenziali del documento stesso, af-finchè essa possa costituire per gli onorevoli colleghi unpunto di riferimento al di là della lettura e della cono-scenza che i colleghi possono già aver realizzato del do-cumento medesimo. La caratteristica peculiare della pro-grammazione regionale in Sicilia è quella di non esseresoltanto programmazione di spesa pubblica volta ad allo-care in modo più razionale le risorse finanziarie disponi-bili e reperibili nella Regione, ma di costituire uno stru-mento di azione capace di alimentare, in maniera autono-ma, il processo normativo delle risorse regionali affinchèlo sviluppo dell’economia isolana possa meglio avvan-taggiarsi sia delle risorse esistenti provenienti dallaRegione stessa, dalla Cassa per il Mezzogiorno, dalloStato, ed infine, dalla Comunità europea, sia per le risor-se incrementali prodotte dal sistema regionale, capaciancora di contribuire alla eliminazione dei vincoli che in-

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ceppano le capacità di sviluppo dell’economia siciliana emeridionale, determinando così un più equilibrato asset-to produttivo, sociale e civile del Paese. A partire dal pia-no degli interventi — primavera del 1975 — la legisla-zione della Regione è andata assumendo un carattereprogrammatico con una serie di leggi che danno vita adazioni e ad organi di coordinamento e di guida nei varisettori. Questo processo ha il suo culmine nella scelta de-finitiva e generale del metodo della programmazione av-venuta per la Regione con la già ricordata legge numero16 del 1978.

Essa indica tre finalità generali dello sviluppo sicilia-no: il conseguimento della massima occupazione; il rag-giungimento di equilibrati incrementi di reddito; il supe-ramento degli squilibri economici settoriali e territorialiall’interno della Regione e nei confronti della Comunitànazionale.

Per il conseguimento di tali finalità la programmazio-ne tende agli obiettivi della valorizzazione delle risorseumane e materiali dell’isola e della trasformazione e mi-glioramento delle strutture socio-economiche.

La valorizzazione delle risorse umane può realizzarsiattraverso due linee fondamentali: l’aumento del tasso dioccupazione della popolazione siciliana mediante lacreazione di nuovi posti di lavoro, la promozione dellecondizioni necessarie ad assicurare la nuova occupazio-ne e a mantenere quella esistente, idonei requisiti di effi-cienza e redditività.

Una linea di sviluppo economico, sociale e civile delnostro Paese non può non fondarsi su una strategia di mo-dificazione dei dati strutturali della crisi, principali tra

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essi il divario fra Nord e Sud e lo squilibrio profondo frai vari settori produttivi, ai quali si aggiungono fatti e vin-coli oggettivi antichi e recenti, in termini internazionaliche, tuttavia, l’azione di Governo può contribuire a supe-rare.

Accanto agli aspetti strutturali della crisi è necessariotenere conto, per collocare in un preciso momento lo svi-luppo del Paese, dello scenario internazionale ed internocon cui deve fare i conti una politica di programmazione.

Tutto lascia presumere che la crescita dei paesi indu-strializzati, complessivamente considerati, si avvia ad unulteriore rallentamento. Previsioni attendibili fanno rite-nere che il prodotto nazionale dei Paesi Ocse non aumen-terà nell’anno 1979 più del 3 per cento, contro un 3,5 percento già stimato nel 1978. Nell’ambito dei Paesi Ocsel’Italia occupa da tempo un posto di retroguardia con untasso di incremento del prodotto interno lordo che, pur increscita, è notevolmente inferiore alla media.

Pur in tal quadro, gli indici di fine 1978 hanno segna-to un miglioramento della situazione economica italiana.Ne va però colto attentamente il senso che non è senzaombre e contraddizioni in un giudizio di prospettiva, co-me dimostrano i segnali di ripresa inflazionistica.

L’evoluzione dell’economia italiana, nell’ambito del-la quale la ripresa è fondata, quasi esclusivamente, sulsettore industriale, è in buona parte conseguenza delloscenario internazionale del quale per la prima volta negliultimi tempi, il nostro Paese ha colto, della tendenzacontraddittoria e assai incerta, alcuni aspetti per sè favo-revoli, specie nei risvolti monetari.

L’apprezzamento della lira nei confronti del dollaro e

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il deprezzamento nei confronti del marco e delle altremonete europee ha creato una situazione sicuramente ot-timale nei tempi brevi per una economia di trasformazio-ne quale quella italiana, con importazione di materie pri-me e di prodotti petroliferi dall’area del dollaro ed espor-tazione di manufatti, prevalentemente nei Paesi comuni-tari.

Qualsiasi giudizio voglia darsi sulle cause, sulle ca-ratteristiche, sulle qualità, sulle prospettive della ripresa,è indubbio che essa, nell’aleatorietà del quadro interna-zionale, come i più recenti avvenimenti confermano, puòconsentire al nostro Paese l’opportunità di frenare la ten-denza al distacco dai Paesi più industralizzati del mondo.

Occorre, però, utilizzare il momento favorevole de-terminato, si può dire, da un concorso di casualità pertentare il consolidamento, anche se nell’ambito di un si-stema internazionale assai incerto, di una tendenza chepotrebbe altrimenti cambiare al più presto. Occorre cioè,tendere a trasformare una ripresa che in se stessa è soloun fatto momentaneo in una espansione stabile ed equili-brata. I rischi, peraltro, non sono pochi.

Gravi conseguenze potrebbero nascere specificata-mente per l’Italia dalla rinnovata crisi petrolifera, e vi è ilgrosso pericolo connesso con la ripresa della tensione suiprezzi, già preoccupantemente in corso, che, rimettendoin moto il meccanismo perverso della inflazione, farebbeperdere in breve i vantaggi conseguiti.

I rischi sono particolarmente gravi per il Mezzogiornoove, peraltro, alcuni fatti positivi si presentano con aspet-ti diversi.

Il tipo di ripresa che si è profilato, fondato in parte non

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secondaria sulla cosiddetta «economia sommersa», su-scita molti timori per alcune preoccupanti analogie so-stanziali, nelle motivazioni e nelle qualità, con lo svilup-po disordinato ed incontrollato degli anni ‘50, quando siapprofondirono allora gli squilibri territoriali e settorialicon gravi danni per l’intero Paese, essendosi rilevata er-roneamente la liberistica convinzione che l’alta congiun-tura che si immaginava irreversibile avrebbe alla fine ag-giustato ogni cosa. Sarebbe stata necessaria, invece, unapolitica di programmazione per concepire la quale i tem-pi non erano però maturi.

Oggi la programmazione può trovare grossi ostacolinella non facile controllabilità della porzione sommersadell’economia, eppure mai, come in questo momento,l’unica garanzia per il Mezzogiorno è la ripresa della pro-grammazione.

Oggi è sempre più diffusa nel Paese la sensazione chela centralità del Mezzogiorno, al di là di una affermazio-ne culturale, è una esigenza inderogabile per la ripresadell’intero Paese. Per converso è impraticabile un dise-gno di crescita del Mezzogiorno che voglia mantenersiseparato e voglia realizzarsi autonomamente rispetto al-le linee di sviluppo dell’intero Paese.

Dato permanente del sistema economico siciliano èl’insufficienza della ricchezza nuova prodotta a coprire ifabbisogni complessivi per consumi ed investimenti conla conseguente dipendenza costante dall’esterno, perquote variabili dal 16 al 18 per cento che entrano nel si-stema regionale attraverso il meccanismo dei trasferi-menti.

La debolezza del sistema nel suo insieme riceve con-

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ferma dall’esame dei dati settoriali, tutti indicanti un bas-so grado di capitalizzazione ed un sistematico sottoim-piego dei fattori della produzione.

Ma forse sono i dati relativi all’occupazione quelliche meglio possono dare una sintetica idea delle struttu-re del sistema economico siciliano.

I circa un milione e quattrocentomila disoccupati rap-presentano il 29,1 per cento della popolazione residente,quasi sette punti in meno del corrispettivo dato nazionale.

La situazione che emerge dall’analisi della strutturaeconomica e sociale della Sicilia ha riferimento sul pianoterritoriale, dove la debolezza delle strutture produttive eil conseguente fenomeno dell’emigrazione hanno favori-to la divaricazione fra le vocazioni naturali delle zone in-terne e quelle delle zone costiere di più largo spettro inuna concezione di sviluppo spontaneo. Da qui un sempremaggiore peso delle città costiere, sedi di servizi poliva-lenti, mentre è permanentemente innescato un meccani-smo di attrazione anomala nel terziario nei grandi centri.È da tenere presente, al riguardo, come connotazione deltutto peculiare, che la Sicilia, unica fra le Regioni italia-ne, soffre più di altre dell’aggravarsi della situazione disovraffollamento delle aree urbane dato che le sue tremaggiori città — Messina, Catania e Palermo — risulta-no inserite nelle prime tredici città del Paese.

Non si vuol certo affermare che tanti anni di interven-to per il Mezzogiorno non abbiano apportato in Siciliamodifiche positive; è certo però che essi non hanno datorisultati adeguati all’impegno profuso.

L’avversa congiuntura degli ultimi anni ha colpitogravemente la Sicilia, ove in più l’inflazione si è somma-

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ta negli ultimi anni con la caduta della spesa statale inopere pubbliche.

La migliorata congiuntura statale mostra peraltro alcu-ni segni invero modesti anche in Sicilia. Sicchè la Siciliagiunge all’appuntamento con la programmazione nazio-nale rilanciata con il programma economico ’79-81 e conl’ipotesi di allargamento della Comunità EconomicaEuropea ad altri paesi mediterranei con una situazionecongiunturale lievemente migliore rispetto a quella regi-stratasi nel triennio precedente.

Il piano economico triennale, ancorchè modificatodall’attuale congiuntura in talune fondamentali condi-zioni della strategia, rappresenta un tentativo di ripresadella programmazione nazionale nel cui ambitoMezzogiorno e occupazione sono indicati come finalitàdella strategia stessa.

Si rileva, però, una sensibile caduta di attenzione, dirigore nel passaggio dalle premesse generali alle concre-te azioni specifiche. Il Mezzogiorno e la Sicilia hannoprettamente bisogno di azioni intese a bloccare le spinteinflazionistiche che penalizzano sempre le economie piùdeboli, ma hanno bisogno di contestuali azioni per la ri-presa dello sviluppo.

La strategia ideata dal piano è punitiva per ilMezzogiorno e per la Sicilia perchè sancisce la logica deidue tempi per le diverse fasi di azionamento delle duemanovre e va quindi respinta.

Con l’allargamento della Comunità nel Mediterraneo,il Mezzogiorno e la Sicilia cambiano posizione nei ri-guardi della Comunità: saranno una parte di una grossarealtà ancora da sviluppare, tale da conferire all’intera

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economia europea il carattere e i problemi di una econo-mia dualistica.

La collocazione mediterranea della Sicilia in questoquadro e con queste dimensioni, non velleitarie ma realisti-che, potrebbe essere un elemento importante del suo svi-luppo e del suo contributo allo sviluppo dell’intero Paese.

Esiste, quindi, una emergenza specifica siciliana nel-la emergenza del Paese e del Mezzogiorno fatta di molteombre e di alcune luci.

La questione di fronte alla quale la Sicilia si trova og-gi è quella di cogliere con tempestività gli aspetti positi-vi della situazione generale ove durino, evitando in ognicaso che prevalga ancora la tentazione di uscire dalla cri-si del Paese secondo la strategia dei due tempi.

Per conseguire tale risultato l’azione della Regionedovrà muoversi lungo tre binari, dovrà intensificare gliesistenti collegamenti con le altre regioni meridionali,dovranno essere individuati metodi e contenuti di un rap-porto con il governo centrale che, senza rompere la soli-darietà meridionale che certamente non è in antitesi conessa, valorizzi la specialità della autonomia. Occorre in-fine una convinta adesione al metodo della programma-zione. Essa soltanto consentirà di passare dalla sterile fa-se contestativa alla partecipazione reale, al disegno disviluppo del Paese con la proposizione in chiave costrut-tiva di un disegno proprio, di volta in volta integrativo oalternativo. Il piano regionale di sviluppo economico esociale dovrà quindi essere un quadro strategico di riferi-mento degli obiettivi, delle risorse, degli indirizzi, con-cepito come valido per l’intero quinquennio ma da veri-ficare anno per anno.

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Una serie di azioni programmatiche generali, pro-grammi e specifici progetti settoriali e territoriali, vi siinseriscono man mano che il processo di decisione rela-tivo a ciascuno di essi sarà effettivamente maturato veri-ficandone la coerenza con il quadro di azione.

Il bilancio pluriennale organizzerà il flusso della spesapubblica nel medio periodo e ne orienterà la destinazionein modo da rendere coerenti le proiezioni finanziarie conle scelte di sviluppo. Il programma annuale sarà il fonda-mentale atto esecutivo di verifica del piano in raccordo trail quadro d’assieme e l’azione programmatica e di colle-gamento tra la politica economica di breve e medio perio-do. Il bilancio annuale sarà lo strumento di attuazione perla parte di competenza della spesa regionale.

La programmazione regionale, nei suoi momenti do-cumentali e di azione, dovrà indirizzare le scelte politico-economiche della Regione, dovrà guidare l’uso raziona-le delle risorse finanziarie della Regione, dovrà costitui-re il terreno concreto sul quale aprire un confronto dialet-tico e costruttivo con il Governo centrale fondato sul ri-goroso e puntuale confronto sul programma e sui proget-ti concreti. Essa deve penetrare nella mentalità e nel tes-suto della società siciliana. La prescrizione legislativadovrà divenire fatto di cultura, consapevolezza.

In quali settori o comparti produttivi creare nuovi po-sti di lavoro e in quali territori localizzarli non può esse-re affidato soltanto alla fantasia creatrice dei program-matori. Si richiede, anzitutto, un approfondimento dellasituazione socio-economica siciliana e dei rapporti esi-stenti con altri contesti produttivi e di mercato infrana-zionali ed esteri con particolare riguardo ai Paesi del ba-

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cino mediterraneo. Occorre che subito siano avviati glistrumenti della conoscenza, perchè l’attività program-matoria sarà tanto più concreta quanto più fondata su sal-de basi conoscitive. Dovrà però essere subito avviato unprogetto obiettivo conoscenza per la rilevazione dellarealtà produttiva e della realtà sociale dell’Isola, per l’ap-prontamento di una carta del territorio sulla quale sianosegnate le vocazioni agricole o industriali o turistiche,per l’accertamento del mercato del lavoro in essere o inprospettiva. Un aspetto da affrontare subito è quello del-la conoscenza dei problemi, delle condizioni, dei biso-gni, del clima socio-economico dei Paesi emergenti cheè poco conosciuto non solo in Italia ma anche nell’interooccidente. In tale quadro la Regione deve chiedere al go-verno centrale, sottolineandone il vantaggio che deriva atutto il Paese, l’istituzione di un organismo ubicato inSicilia. Si impone ancora una ricognizione esatta di tuttele procedure e le strutture di programmazione settoriale eterritoriale esistenti e operanti in Sicilia, per la rilevazio-ne e valutazione del loro stato di attuazione, dell’attualevalidità, nonchè dei coordinamenti opportuni da avviaresubito in specifiche iniziative.

Programmazione significa anche coordinamento edaccelerazione della spesa pubblica. Occorre, quindi, chesiano subito avviate, nell’ambito e ai fini della program-mazione, indagini sui tempi effettivi di spesa relativa-mente a tutto il settore pubblico allargato ed analisi dellemotivazioni soggettive ed oggettive di ritardo. L’indaginepotrà evidentemente essere condotta per una sua partesoltanto per campione. È quindi fondamentale l’identifi-cazione di una metodologia che, soffermandosi su criteri

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di definizione del campione e del fronte di avanzamentodella indagine presso i vari soggetti di spesa pubblica,consenta di pervenire nei tempi più brevi a prime valuta-zioni attendibili. Attraverso l’approfondimento e la defi-nizione di studi per una revisione di procedimenti di spe-sa regionale dovranno essere identificate nuove strutturee nuovi modi di spesa utilizzando le opportune offertedelle prerogative statutarie anche per determinare modi-fiche radicali in relazione ai soggetti ed alle attrezzaturetecnico-amministrative ed al sistema dei controlli.

Occorre procedere alla ricognizione dello stato di at-tuazione di tutti gli interventi della spesa pubblica inSicilia, statali e regionali, con l’accertamento di even-tuali duplicazioni di interventi ed il coordinamento de-gli interventi regionali anche nella legislazione. Le atti-vità elencate faranno parte di un unico progetto obietti-vo: coordinamento e razionalizzazione della spesa pub-blica.

Quali che abbiano ad essere le scelte di strategie e leazioni del piano è indiscutibile che il problema dell’ener-gia sarà al centro di ogni politica e ne condizionerà il suc-cesso. La predisposizione di un articolato programmaenergetico regionale, collegato agli spunti del piano na-zionale e portatore di uno specifico disegno siciliano, èpertanto assolutamente prioritaria.

L’edilizia è tradizionalmente un settore che salda lacongiuntura con la struttura. È pertanto da avviare un pro-gramma di edilizia residenziale in coordinamento con ilprogramma decennale della casa. È altresì necessario af-frontare un piano di interventi urgenti di edilizia pubblicarelativamente ai settori della scuola e della sanità.

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Il piano regionale dei trasporti è elemento essenzialeprioritario di un processo di programmazione che vogliavalorizzare la collocazione geografica della Sicilia, checostituisce premessa generale perchè l’Isola, forte dellasua posizione mediterranea, si proponga come mediatri-ce tra la vitalità produttiva delle aree nord europee e iPaesi del bacino mediterraneo. Obiettivo ne dovrà esserela spinta verso un livello più alto di tutto il sistema dei tra-sporti dell’Isola, sia di quelli connessi con l’esterno (ma-rittimi ed aerei) sia di quelli interni, ed il miglioramentodei sistemi gommati e ferrati in particolare nelle grandiaree urbanizzate.

Sono queste priorità da considerare già nel primo bi-lancio poliennale. La Sicilia deve cogliere con tempesti-vità l’opportunità di nuove localizzazioni industriali chederivano dalla esigenza, ormai largamente avvertita nel-la realtà industriale del Paese, di procedere ad un decen-tramento produttivo che si avvalga anche della somma diincentivi esistenti nel Mezzogiorno, nell’ambito degliindirizzi della conversione delle strutture industriali delPaese. L’inserimento in questo processo, che va fatto concapacità propositiva, deve significare una scelta alterna-tiva a quella compiuta in passato, la scelta della piccola emedia industria individuata come la fascia più attiva delnostro sistema industriale, scelta che segue peraltro quel-la già fatta in talune zone più sviluppate dell’area meri-dionale.

Altro tema dettato dalla contingenza, e che merita unintervento immediato di taglio politico ma che è anche diprospettiva, è quello dell’agricoltura siciliana e meridio-nale, il cui problema strutturale va posto con forza in se-

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de comunitaria dal governo italiano, con un radicale mu-tamento di rotta rispetto alla conduzione della politicaagricola comune fin qui seguita. Nell’agricoltura inter-venti prioritari, da quantificare già nel primo bilancio po-liennale della Regione, vanno indirizzati nei seguentisettori: completamento di invasi e connesse opere di ca-nalizzazione; elettrificazione rurale; viabilità minore,strutture di commercializzazione e conservazione deiprodotti agricoli; incremento della forestazione.

Per risolvere realmente i problemi dello sviluppo sici-liano occorre perseguire la crescita complessiva dell’e-conomia e della società regionale tenendo sempre pre-sente l’obiettivo del riequilibrio territoriale. Politica disviluppo settoriale e politica del territorio vanno viste co-me momenti connessi di una generale programmazionesocio-economica. Da questa scelta di fondo si specifica-no le forme stesse di intervento programmatico, attraver-so un intreccio tra programmazione per settore e pro-grammazione per zone, articolata in programmi e pro-getti specifici.

Il piano e il bilancio annuale sono il naturale momen-to di sintesi e di risoluzione della griglia. Uno degli obiet-tivi prioritari del piano è il riequilibrio territoriale tra zo-ne interne nelle quali vive il 30% della popolazione sici-liana e zone costiere. Un ruolo determinante a tal fine èchiamata a svolgere l’agricoltura, attraverso la valoriz-zazione di determinare culture, nonchè il potenziamentodelle attività zootecniche e di forestazione. Anche il turi-smo può dare un grosso contributo attraverso la realizza-zione di attrezzate linee di penetrazione che raggiunganoda vari punti della costa i territori interni. Al fine della va-

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lorizzazione delle risorse umane e materiali della Siciliaè fondamentale l’allargamento e la riqualificazione delsettore industriale. È illusorio, infatti, pensare che l’agri-coltura, così come il terziario sia pure qualificato, possaassorbire in modo significativo la forza lavoro.

Ciò ovviamente non toglie nulla al ruolo strategicodell’agricoltura, il cui sviluppo dovrà articolarsi su speci-fici progetti di intervento, ben precisati nei contenuti, neitempi e nella durata. Dovrà puntarsi, pertanto, su progettiterritoriali integrati, con carattere di immediata operativi-tà, così come dovrà tendersi all’allargamento della baseaziendale, stimolando in tal senso l’associazionismo e laconcentrazione degli aiuti pubblici. L’individuazionedelle linee di sviluppo del settore agricolo risulta di fattocondizionata da due livelli di vincoli: nazionale e comu-nitario, tra loro strettamente interconnessi. Le pressioniper una revisione delle politiche comunitarie dovrannoperò essere accompagnate dall’accelerazione dei proces-si di riconversione e riqualificazione produttiva e dal-l’avvio di nuovi processi; in particolare dovrà essereidentificata una strategia per l’ampliamento delle inizia-tive industriali nel comparto agro-alimentare ed in que-sto disegno sarebbe determinante che nascesse in Siciliail previsto centro di ricerca nel settore dell’industriaagro-alimentare.

La riqualificazione del tessuto produttivo regionaleimpone come scelta di fondo la valorizzazione delle pic-cole e medie imprese; per conseguire tale risultato occor-re che il quadro programmatico si leghi al processo di ri-strutturazione e riconversione che sta per avere inizio nelPaese. Il Piano determinerà le porzioni di risorse che do-

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vranno essere destinate a questo come a tutti gli altri set-tori economici e sociali, la cui evoluzione dovrà essereperseguita con opportuni progetti che tengano conto de-gli analoghi piani nazionali.

In particolare il documento di linee, principi ed obiet-tivi prende in esame ed approfondisce, sia pure in una vi-sione di insieme, i problemi connessi alla difesa del suo-lo, alla valorizzazione delle risorse idriche, alla pesca, al-l’artigianato, al turismo, al commercio, alla cooperazio-ne, alla formazione professionale, alla sanità, alla ricercascientifica ed alla istruzione.

Quella tracciata è l’idea di una programmazione chesi caratterizza come processo permanente.

La formulazione del Piano è da considerare un mo-mento essenziale del processo di programmazione, ma inessa non si risolve la programmazione che sta anche e inmisura non secondaria nel ventaglio di azioni che dalPiano si dipartono e al Piano si coordinano specificando-ne il disegno. La legge precisa dettagliatamente i modiper conseguire il consenso sul documento di linee, prin-cipi e obiettivi e sul Piano; è essenziale però ricercare ilconsenso attorno ai programmi e ai progetti non soltantodelle comunità ma anche di tutti i soggetti comunque in-teressati, quali attori e destinatari della programmazione.

Particolare attenzione andrà rivolta all’instaurazionedi un costruttivo rapporto anche con gli operatori privati.Gli enti economici regionali non possono essere esclusidal numero dei soggetti operativi di una politica di pro-grammazione; le esperienze negative che per moltepliciragioni si sono sommate negli ultimi anni non debbonoportare ad una condanna indiscriminata di un tipo di in-

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tervento pubblico nell’economia, il cui ruolo promozio-nale nell’area regionale attende ancora la sua piena e con-creta definizione. In un disegno di programmazione taleruolo viene concretamente valorizzato nella misura in cuisi considerino come requisiti irrinunciabili l’efficienza ela redditività di ciascuna unità operativa. Le cooperative ele associazioni dei produttori sono soggetti fondamenta-li dello sviluppo e quindi della programmazione; il ruolodell’impresa cooperativa, già operante nei vari settoriproduttivi, va potenziato principalmente con un sostegnoreale nella direzione dell’assistenza tecnica e dell’attivi-tà promozionale, della presenza nei mercati, direttamen-te finalizzato a specifici programmi aziendali, evitandoforme di sostegno puramente assistenziale. Un’atten-zione particolare va riservata alla prima esperienza di co-operazione giovanile, specie in agricoltura, che si avvaledi forze giovani e spesso qualificate e che tende a supera-re tradizionali cristallizzazioni. Nel complesso delle for-ze politiche, sociali e culturali chiamate a partecipare alprocesso di formazione degli orientamenti programmati-ci e dell’attuazione delle scelte, un ruolo di singolare ri-levanza dovrà spettare al sindacato dei lavoratori nellaveste significativa non solo di rappresentante istituziona-le degli interessi di parti sociali, ma di proponente pro-gettuale di una società capace di bilanciare sviluppo eco-nomico e giustizia sociale.

In questo quadro si inserisce l’esigenza della defini-zione di un rapporto tra programmazione ed attività am-ministrativa della Regione. Questo processo va svilup-pato in due direzioni: da una parte la riforma delle fun-zioni amministrative, la valorizzazione della partecipa-

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zione delle autonomie locali; dall’altra la riforma del-l’amministrazione regionale, complessivamente consi-derata, in una visione di unità che assicuri la corrispon-denza tra azione degli organi amministrativi ed i conte-nuti delle funzioni di Governo. È evidente l’urgenza diprocedere alla completa attuazione della riforma dellaRegione, secondo le linee emerse nel lungo dibattito po-litico e culturale di questi anni. L’esigenza di una nuovacorrispondenza tra funzioni di governo e funzioni ammi-nistrative sollecita inoltre la rapida definizione di quel-l’altro momento della riforma della Regione che attieneall’organizzazione degli apparati centrali. In questo qua-dro il problema principale rimane quello del pieno recu-pero della funzionalità dell’amministrazione regionale,intesa come strumento fondamentale per il consegui-mento degli obiettivi della Regione e per l’esigenza difornire risposte puntuali alle domande pressanti che sal-gono dalla società siciliana.

A questo compito si aggiunge l’altro, non meno es-senziale per la pubblica amministrazione, di divenirestrumento efficace del processo di programmazione: lapolitica del credito ordinario e speciale dovrà avere unpeso determinante nella positiva evoluzione di una lineadi sviluppo. Per una programmazione efficace deve esse-re possibile ed essenziale orientare le linee di interventodel credito ordinario e del credito speciale con l’assecon-damento delle politiche di sviluppo, utilizzando piena-mente le competenze statutarie della Regione. La que-stione del maggior costo del denaro al Sud, e quindi inSicilia, rispetto agli altri comparti del Paese, è un aspettoemblematico e non secondario delle difficoltà che si op-

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pongono al superamento del dualismo, proprio per il ca-rattere che ha, rispetto ad esso, di causa ed effetto ad untempo.

Apartire dalla programmazione può aprirsi un terrenonuovo di confronto e di collaborazione tra forze produt-tive e sociali, tra Regione ed enti locali, che alimenti ilprocesso di programmazione e di scelte coordinate delsettore pubblico e del settore privato. In questa prospetti-va si evidenziano le potenzialità dell’uso di intese traRegione, organizzazioni sindacali e associazioni degliindustriali e dei produttori per la realizzazione di partico-lari iniziative legate all’attuazione del programma di svi-luppo e dei progetti specifici, settoriali e zonali, di cui sicompone.

Ultimo problema è quello della verifica sull’attuazio-ne; un ruolo importante nell’ambito del sistema disegna-to dalla legge dovranno svolgere, per questo, il Comitatoregionale della programmazione economica e la direzio-ne della programmazione. A questo riguardo un cennomerita il problema del rapporto tra Comitato della pro-grammazione e le altre sedi collegiali, comitati e com-missioni, cui la legislazione regionale ha affidato funzio-ni consultive o di decisione, rispetto alla formulazione diprogrammi di intervento in diversi settori. Il numero diquesti organi rende reale il rischio di una sovrapposizio-ne di azioni programmatiche che prescinda dagli obietti-vi generali della programmazione. Si richiede, pertanto,nell’immediato, un raccordo della loro attività con quel-la del Comitato della programmazione e in prospettivaoccorre andare verso un riordinamento nell’ambito delsistema di programmazione di tali comitati settoriali.

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Rispetto a questi contenuti, che, come ho detto all’inizio,si dividono nella indicazione di azioni prioritarie e nellaindicazione di linee e di principi per la formulazione delPiano di sviluppo, il Comitato, come dicevo poc’anzi, siè articolato al suo interno in gruppi di lavoro, che corri-spondono: il primo al progetto obiettivo conoscenza; ilsecondo al coordinamento e all’accelerazione della spe-sa; il terzo a un programma energetico regionale; il quar-to ai problemi dell’edilizia; il quinto ad un piano regio-nale dei trasporti; il sesto al decentramento produttivo(piccola e media industria); il settimo all’agricoltura.

Questi gruppi corrispondono alle azioni prioritarieidentificate dal documento di linee e di principi, che, pro-prio per questa parte, riesce a superare il rischio di tutti idocumenti programmatori, di elencare tutti i problemi diuna comunità senza privilegiarne alcuno. L’indicazionedelle azioni prioritarie ha voluto superare questo rischio,che non solo atteneva alla natura stessa del documento,ma era un rischio che poteva rinviare, al momento delladefinizione del piano quinquennale, decisioni che invecenon erano differibili nella vita della Regione. Con laidentificazione di azioni prioritarie si consente, attraver-so appunto l’indicazione di interventi urgenti, di interve-nire prima della definizione dello schema di piano di svi-luppo. Per quanto attiene invece alla predisposizione del-lo schema di piano, il Comitato ha costituito già da ora unprimo gruppo per l’esame dei contributi che verranno al-la Regione dagli enti locali e da tutte le altre entità cui ildocumento è stato inviato per una loro elaborazione ai fi-ni della programmazione.

Mi pare utile, infine, per concludere questa mia intro-

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duzione che mi auguro possa essere utile ai colleghi, sot-tolineare che il Comitato per la programmazione ha defi-nito questa proposta e questo documento all’unanimitàdelle presenze in esso contenute e ha ritenuto, accoglien-do una proposta del Governo, di allegare al documentoprincipale due documenti di particolare rilevanza politi-ca nella vita della Regione, e cioè le dichiarazioni pro-grammatiche che io ho avuto l’onore di rendere allaAssemblea il 3 aprile del 1978 ed il documento che è sta-to approvato dall’Assemblea, sulla base delle dichiara-zioni del Governo, il 28 febbraio 1979 e che costituisce laposizione della Regione sul programma triennale1979/’81 dello Stato. Il significato di questi due allegatiè quello di dare ai contenuti del documento di linee e diprincipi una cornice più vasta, nella convinzione che, perla dimensione dei loro contenuti, sia il programma delGoverno sorto nell’aprile del 1978, sia le osservazioni alprogramma triennale del Governo dello Stato, costitui-scano a livello regionale e a dimensione sovraregionale,dei punti di riferimento sui quali, al di là della vastità deicontenuti, si è manifestata un’aggregazione di consensoparticolarmente ampia.

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La Sicilia è in Europa (*)

Palermo, 6 settembre 1979

Signor Presidente,Le porgo innanzitutto il benvenuto e La ringrazio di

questa Sua visita in Sicilia. Una visita che considero unfatto non formale ma di portata ed interesse vastissimoper l’Isola che non da oggi è attenta alla ComunitàEuropea e alla sua vita. Ma prima che alla Comunità di-rei che la Sicilia è attenta all’Europa, alla sua realtà stori-ca, geografica, alla sua tradizione, all’Europa alla qualela Sicilia sente di appartenere in pieno, mentre avvertecon consapevolezza tutto il peso del suo esserne estremoconfine meridionale: in positivo, per la posizione geo-grafica avanzata verso un mondo che va emergendo e innegativo per una condizione di marginalità che essasconta ogni giorno in tante cose.

Questa visita dunque, signor Presidente, è un fattoimportante al quale il Governo della Regione, e direi tut-ta la realtà produttiva e cuiturale della nostra Isola, guar-da con attenzione come ad una occasione per fare senti-

(*) Discorso rivolto dal Presidente della Regione a Palazzod’Orleans, nella sala della Giunta regionale, al Presidente dellaCommissione esecutiva della Comunità Economica Europea, RoyJenkins, in visita ufficiale in Sicilia.

Alla lettura del discorso era presente la Giunta regionale di governo,funzionari del seguito di Jenkins e della Presidenza della Regione.

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re, in modo non retorico ma vivace e consapevole delproprio peso politico, la propria voce.

Io credo, signor Presidente, che per comprendere ap-pieno la realtà europea che oggi la Sicilia vive il discorsovada ripreso dalle origini e quindi dagli stessi trattati diRoma del ’57. In essi, Ella lo sa bene, era inserito un appo-sito protocollo aggiunto che riguardava il Mezzogiornoitaliano, nel quale le parti contraenti prendevano atto cheil Governo del nostro Paese era impegnato nell’esecuzio-ne di un programma straordinario di espansione econo-mica che mirava a sanare gli squilibri strutturali dell’e-conomia italiana, in particolare lo squilibrio fra l’area delNord e quella del Sud. Le parti contraenti ricordavanoinoltre che quel programma era stato approvato dalle or-ganizzazioni di cooperazione internazionale di cui esseerano membri e riconoscevano infine, fatto questo assairilevante, che il raggiungimento degli obiettivi del pro-gramma italiano rispondeva al loro interesse comune.

Si tratta di affermazioni molto importanti che politi-camente e giuridicamente fanno parte integrante del trat-tato di Roma e che quindi vanno riguardate come qual-siasi altra parte del trattato stesso e strettamente collega-te con l’obiettivo che esso si proponeva.

Se oggi noi volessimo fare una verifica dello stato diattuazione dei trattati nel loro complesso potremmo age-volmente constatare come quegli obiettivi e quei propo-siti siano in larga misura ancora da realizzare. Certo daallora molte cose sono mutate: quel programma decen-nale riguardante l’intervento straordinario nel Sud attra-verso la Cassa per il Mezzogiorno è stato più volte proro-gato e questo proprio perché, ad esito del primo periodo,

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non si pervenne, come forse illuministicamente si era spe-rato anche nei trattati di Roma, al superamento del diva-rio, pur tra innegabili e cospicui progressi dell’area meri-dionale. Questo però non attenua ma semmai accentual’impegno comune tanto solennemente sottoscritto dalleparti contraenti di pervenire alla soluzione del problema.

Io credo però che la lenta attuazione del dettato di que-sta parte dei trattati non è solo dipesa da scarsi finanzia-menti e da mediocre impegno. Da tempo si è convinti nelMezzogiorno d’Italia, sulla base della esperienza di que-sti anni, che la mole delle risorse non è elemento risoluti-vo dei divari fra zone ricche e zone svantaggiate: esso di-pende invece in larga misura dalle scelte politiche opera-te o meglio dalla piena coerenza di esse con gli obiettivi difondo individuati appunto nel nequilibrio strutturale.

La verifica da compiere quindi, onorevole Presidente,di cui la Commissione Esecutiva dovrebbe farsi carico,non è solo del passato ma riguarda piuttosto il futuro omeglio ancora riguarda la quotidiana gestione delle ri-sorse comunitarie che va filtrata attraverso una griglia dicompatibilità che tenga conto appunto di questa finalità anostro avviso prioritaria della vita economica dellaComunità.

E, d’altra parte, per tornare ai trattati, è possibile rin-venire in essi misure che tendono a farne uno strumentodi crescita sociale ed economica europea, solidale e ge-neralizzata, pur nel massimo rispetto del libero gioco deimeccanismi di mercato.

Liberalizzazione e coordinamento sono dunque dueelementi intorno a cui ruota tutta la meccanica dei tratta-ti di Roma in un continuo intreccio che, se rappresenta in

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certo senso un compromesso fra opposte tendenze, ri-specchia d’altro canto assai bene quella realtà del regimedi economia mista presente in larghissima misura neipaesi membri ed offre allo stesso tempo gli strumenti persoddisfare le esigenze di politiche strutturali, particolar-mente avvertibili nel nostro come in altri Paesi dellaComunità; e che sempre più lo saranno nella prospettivadell’allargamento che, a parte ogni altra valutazione po-litica positiva rivolta a Paesi di recente riguadagnati al re-gime democratico che completano con l’adesione allaCEE il loro processo di reinserimento in Europa, serviràa far crescere in misura considerevole il pesodell’Europa mediterranea in seno alla Comunità.

E lo stesso rapporto Tindemans del ’75 con la costata-zione della esistenza dell’Europa a due velocità rappre-sentò un vero e proprio tentativo di prendere atto della si-tuazione e di prevedere uno sviluppo differenziato delledue aree, maturato in un clima internazionale di tipo cen-trifugo scaturito dalla crisi petrolifera e in cui riaffiora-vano tendenze protezionistiche, testimonianza allo stes-so tempo di un atteggiamento in certa misura rinunciata-rio rispetto agli ideali solidaristici degli anni ’50.

Occorre recuperare invece il valore comunitario cheera alla base dei trattati e della stessa idea d’Europa.Comunità vuol dire messa in comune di tutto il bene e ditutto il male di ciascuno dei membri, per vivere insiemeuna comune esperienza: non significa certo defatigantitrattative commerciali che prevedono compensi e corri-spettivi sacrifici commisurati con il bilancio; in definiti-va una concezione tutta mercantile e polemica di una co-munità che rischia di non essere più tale.

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Del resto, signor Presidente, noi in Italia abbiamo vis-suto la vicenda della unificazione del Paese le cui carat-teristiche di sviluppo differenziato di due aree geografi-che vanno assomigliando sempre di più alla esperienzaeuropea. Siamo per questo molto attenti e vigili a questiaspetti proprio perché siamo forti dell’esperienza internadel nostro Mezzogiorno per il quale una politica risoluta,che corrispondeva ad una coraggiosa presa d’atto nazio-nale, fu iniziata solo nel 1950 a quasi un secolo dall’av-venuta unificazione politica. E quel processo, come ap-punto stiamo constatando, è lungi dall’essere concluso.

La gestione quotidiana della vita comunitaria quale siavverte anche dalle direttive via via emanate, dalla riccanormativa comunitaria, appare in certa misura ispirata daun efficientismo proprio di burocrazie assai più avanzatedella nostra ma scarsamente sensibili alle finalità politi-che della Comunità, che non possono e non debbono es-sere sacrificate ad un metodo che rimane pur sempre talee non può trasformarsi in un fine.

Il risultato è l’emanazione di norme che non sempretengono conto della realtà di tutte le regioni dellaComunità, norme che sembrano fatte solo per una partedella Comunità e non per tutta, di modo che si innesca esi accresce quel processo centripeto di accorpamentodelle risorse che è proprio di ogni sviluppo dualistico nonintegrato e che ha per effetto l’allargamento del divario.

Sovente tali norme, signor Presidente, non tengonoconto, in particolare, neppure del livello di autonomia lo-cale di cui ad esempio la Sicilia fruisce all’interno dellacomunità nazionale, livello assai largo e che è frutto daun lato di peculiarità storiche, sociali, geografiche, eco-

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nomiche tuttora presenti; e dall’altro di lotte politiche edi tradizioni che costituiscono patrimonio inalienabile diquesta terra ed al quale non rinunciamo. In un tempo incui si assiste in tutta Europa al rinascere di antichi motiseparatisti che sembrano sopiti, la Sicilia non partecipa aquesto movimento pur essendo stata in passato protago-nista di una storia e di una tradizione autonome all’inter-no della comunità italiana. Ad essa la Sicilia resta salda-mente legata senza riprese, neppure nominali, di separa-tismi, qui veramente morti e sepolti. Ma l’autonomia re-gionale speciale che costituisce la risposta democraticaed unitaria del nuovo Stato repubblicano alle istanze del-la Sicilia del dopoguerra rimane patrimonio inalienabiledi cui siamo e saremo sempre gelosi custodi. È necessa-rio, signor Presidente, che di questo si tenga conto nellesedi opportune, non dimenticando che lo speciale Statutodella Regione prevede per essa poteri legislativi esclusi-vi, ad esempio in materia di industria e di agricoltura.

Non c’è dubbio che proprio il settore agricolo svolgenel quadro europeo un ruolo primario giacché la politicaagricola comune è quella ove maggiormente si è eserci-tata la spinta della integrazione, raggiungendo traguardiistituzionali, normativi ed anche pratici di grande rilievo.Su questi ultimi occorrerebbe a mio avviso soffermarsicon maggiore attenzione proprio per compiere, a ventianni di distanza dai trattati di Roma, un bilancio sereno diquesta politica. Un bilancio però non solo degli aspettipolitici che sarebbe facile ed anche corretto chiudere su-bito in attivo, quanto piuttosto un bilancio costi-beneficila cui chiusura in attivo per il Mezzogiorno, per la Siciliae forse per tutto il nostro Paese è, io credo, piuttosto pro-

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blematica. La verità è che in Europa si è subito determi-nata, anche a livello agricolo, la politica delle aree forti edelle aree deboli.

Tale politica, dapprima espressa con i ferrei regola-menti riguardanti zucchero, cereali, carne e latte, ha pe-nalizzato pesantemente il Mezzogiorno italiano.Successivamente essa si è impadronita di uno strumentoinventato per difendere i paesi deboli, quello cioè deimontanti compensativi, trasformatisi assurdamente inpremi per i ricchi e in penalizzazioni per i poveri, e oggidi difficile estirpazione dalla realtà comunitaria. A que-sto proposito è bene non dimenticare poi che le risorsecomunitarie destinate ai già cennati settori ricchi dellaagricoltura europea sono largamente superiori a quelledestinate al sostegno dei settori più poveri di modo che learee di questi ultimi finiscono fra l’altro con il sostenereoneri che non le riguardano direttamente.

Il fatto è che la politica dei prezzi ha finito per avvan-taggiare le agricolture ricche, che come realtà produttiveesistenti e ben avviate, dalla difesa dei prezzi avevano edhanno tutto da guadagnare. La contropartita, che dovevaessere ed è l’azione di riequilibrio strutturale delle agri-colture povere e che in ogni caso andava avviata subito almomento di partenza della politica agricola comune, tar-da invece ad arrivare se è vero che il Pacchetto mediter-raneo ha stentato ad essere approvato e stenta ora, nellasua concreta attuazione, a dare i frutti sperati. Le conces-sioni strappate in materia di prezzi dovevano trovareadeguate contropartite nelle politiche strutturali.

Ci sono poi regolamenti comunitari — come accen-navo poc’anzi — compilati per essere attuabili solo nelle

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aree sviluppate e non anche per essere attuati nelle areemeno sviluppate, magari accusando poi di ritardi e negli-genze il Mezzogiorno d’Italia. Farò un esempio. Il mini-stro dell’agricoltura Marcora ha, nel corso di un dibatti-to, dichiarato di avere avuto difficoltà a mettere assiemetutta la progettazione finanziabile dalla Comunità nelsettore della canalizzazione irrigua nel Mezzogiorno.Perché tanta difficoltà ad assorbire le disponibilità finan-ziarie? Forse per carenza di esigenze o per negligenzadelle Regioni meridionali? Certamente no. Ma per lasemplice ragione che la normativa restringeva la ammis-sibilità del finanziamento a progettazioni relative a cana-lizzazioni di sistemi irrigui con invasi già esistenti. Chiha steso e chi ha approvato tale regolamento non potevacerto ignorare la situazione delle aree meridionali e traesse di quella siciliana, nelle quali è in corso di realizza-zione un vasto programma di invasi per la irrigazione, eche sarebbe bastato, per ottenere i finanziamenti, che inquelle norme venissero ammessi sistemi irrigui nel lorocomplesso e non solo le relative canalizzazioni.

Da qui la considerazione generale di una revisione deimodi di essere della Comunità che deve calarsi nella real-tà agricola del Sud e finalizzare alle particolari esigenzedi questa le sue misure e i suoi interventi.

All’interno del settore agricolo desidero menzionaresolo due comparti per il rilievo che essi assumono nellarealtà produttiva dell’Isola di conseguenza per le preoc-cupazioni che essi comportano.

Il settore agrumicolo produce ogni anno circa 20 mi-lioni di quintali, un quarto dei quali mediamente destina-to alla esportazione. In venticinque anni la produzione

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complessiva si è triplicata e per dare un’idea del suo pe-so desidero ricordare che la Sicilia fornisce il 97% dei li-moni di produzione nazionale.

Il settore abbisogna di profondi rinnovamenti nellecolture anche per recuperare quote di mercato in perico-lo. Un notevole calo dei volumi esportati è già un perico-loso segnale in questa direzione. Grandi sono dunque leattese che in Sicilia si ricollegano al piano agrumicolocomunitario ed anche alle possibili rettifiche di taluni re-golamenti comunitari riguardanti il comparto.

Altro comparto di grande rilievo è quello della vitivi-nicoltura il cui valore produttivo annuo può essere com-putato intorno a 200 miliardi e a cui lavorano circa100.000 persone il che vuol dire, per la struttura socialedell’Isola, che da esso traggono sostentamento circa400.000 persone. Il settore ha conosciuto e conosce unaevoluzione in senso qualitativo intesa a superare, con unprocesso già avviato, la tradizionale produzione di viniad alta gradazione esclusivamente destinati al taglio.

Tale evoluzione è in larga misura dovuta ad un vasto earticolato movimento cooperativo che in atto conta inSicilia ben 448 cooperative sulle 1212 presenti in tutto ilMezzogiorno. Infatti al loro fatturato complessivo annuodi lire 62 miliardi il settore vitivinicolo contribuisce inSicilia con ben 43 miliardi.

Le preoccupazioni maggiori sono connesse a recentiprese di posizione franco-tedesche dirette alla richiesta,in parte ottenuta per un tempo delimitato, di un allenta-mento della normativa comunitaria in materia di tasso al-colometrico dei vini, le cui conseguenze sarebbero assaipesanti per l’export siciliano nel settore, a parte ogni al-

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tra considerazione in tema di misure di sostegno e strut-turali per lo stesso settore.

Altro settore di particolare interesse per la Sicilia èquello della pesca per il quale è ora la Comunità a doverrinnovare gli accordi con i paesi costieri africani delMediterraneo, ponendo fine a una situazione di grave di-sagio che ha finora afflitto la marineria di Mazara delVallo, sovente presa di mira dalle motovedette tunisine elibiche nel canale di Sicilia. Ciò crea grandi attese inSicilia e carica la Comunità di una grande responsabilità:quella cioè di dare in termini politici una risposta rapidae soddisfacente alle esigenze di un settore vitale della no-stra economia che attende per la prima volta dalle autori-tà di Bruxelles e non da quelle di Roma comportamentiche lo tutelino in modo equo nello svolgimento della pro-pria prevalente attività economica.

Altre e non minori preoccupazioni ha suscitato il pia-no comunitario per la cantieristica che, ispirato a criteridi puro e semplice efficientismo ed economicismo, nonsembra essere sufficiente a risolvere i problemi dei can-tieri navali siciliani e in particolare di quelli di Palermoche Ella avrà modo di visitare di persona: l’unico com-plesso industriale rnediogrande in una città di oltre700.000 abitanti che rischia di pagare però pesantementein Italia le conseguenze di una crisi di natura mondiale.Questo infatti è l’unico complesso del settore in Italia adavere il blocco del turn-over e 600 operai in cassa inte-grazione da un anno circa. E si tratta tuttavia di un com-plesso vitalissimo, posto in una invidiabile posizionegeografica, ricco di tradizioni di operosità e di professio-nalità almeno pari a quelle degli altri cantieri italiani. La

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esperienza anche recente di alcuni Paesi europei a noi vi-cini ci dice che non sempre o non più i puri e semplicimeccanismi di mercato si mettono in moto in modo spon-taneo e risolvono in tal modo i problemi della crescita edello sviluppo. Occorre anche qui uno sforzo ispirato aquella carica comunitaria originaria che ho sovente ricor-dato. Si tratta in definitiva di affermare il principio che iprocessi di ristrutturazione, ove comportino riduzioni ecorrezioni dei livelli occupazionali, vanno portati avanti acominciare dalle aree dove vi sono problemi di carenza dimanodopera e cioè nelle aree più altamente industrializ-zate ove esiste la concreta possibilità di dare luogo a pro-cessi di mobilità e di turn-over che alla fine salvaguarda-no e mantengono fermi i livelli complessivi dell’area.

Nè si può dimenticare poi che nella Comunità vivonocirca 350.000 lavoratori siciliani i quali recano un fortecontributo allo sviluppo economico complessivo dellaCEE. Eppure sovente essi trovano difficoltà nell’affer-mazione dei loro diritti, sanciti dalle norme che regolanola libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’areacomunitaria, tanto da auspicare, attraverso le organizza-zioni che li rappresentano, l’emanazione di uno Statutoeuropeo del lavoratore migrante già preso in considera-zione dal Parlamento europeo.

A queste carenze di ordine generale riguardanti il bi-lancio che ho tentato di tracciare nonché taluni elementiriguardanti settori specifici, si aggiunge la costatazioneche il meccanismo dei trasferimenti all’interno della co-munità avviene in atto alla rovescia, favorendo i Paesiricchi. La verità è che la logica ferrea delle aree forti hafinito, come peraltro era lecito attendersi, per prevalere;

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e ciò senza che la strumentazione ideata per ovviarvi sisia mossa con velocità adeguata. Si è rilevato autorevol-mente, all’interno della stessa Commissione esecutiva,che la politica regionale che avrebbe dovuto mettere inopera la solidarietà comunitaria a fini di riequilibriostrutturale è nata asfittica e che vi sono potenti resistenzenazionali ai tentativi della Commissione di rivitalizzarla.

Nè altri strumenti come il Fondo sociale hanno datomigliori risultati. Un cenno particolare merita poi l’atti-vità della Banca europea per gli investimenti che in ven-ti anni di vita ha finanziato progetti per 7,5 miliardi diunità di conto di cui un’aliquota abbastanza significativadi 3 miliardi di u. c. è andata al nostro Paese. Ma quali so-no gli effetti di queste scelte? Quali progetti finanzia laBEI? Essa si attarda a fornire prestiti ai Paesi più indu-strializzati, a finanziare centrali elettriche e addiritturaparti di progetto (due sezioni di un impianto nucleare inBaviera) che non hanno alcun effetto riequilibratore.

Quanto la BEI sia lontana dalla logica del riequilibriolo si è visto dalla vicenda dello SME, allorquando la con-tropartita dei sacrifici e dei rischi da affrontare da partedei Paesi più deboli come il nostro avrebbe ben potutoessere una politica che avesse la Banca come strumento;e ad essa non si è neppure pensato, dando il segnale diquanto questi strumenti siano ormai lontani dallo idealeche ne ha ispirato la creazione.

È ovvio, signor Presidente, che il quadro che ho tenta-to di delineare non è completo nè esaurisce le nostre pro-spettive europee. Esso infatti non annulla il valore di unascelta politica cui restiamo rigidamente fedeli, convintiche essa rimane giusta per il nostro futuro.

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È anzi proprio da questo che siamo spinti a muovereuna serie di considerazioni che non vogliono essere nèpolemiche nè sterilmente contestative. Esse invece simuovono in quello spirito e in quella logica comunitari dicui auspichiamo il recupero, nel quadro dei valori origi-nari del progetto dell’Europa che riteniamo costituiscapatrimonio inalienabile della Comunità. Si tratta dunquedi muoversi all’interno della Comunità stessa per recu-perarne la spinta politica ideale che fu alla base dellescelte compiute negli ormai lontani anni ‘50. Siamo con-vinti e consapevoli che tali nostre posizioni non solo han-no spazio all’interno della realtà comunitaria ma che es-se trovano piena comprensione nella alta sensibilità poli-tica di quanti oggi portano la dura responsabilità dellaguida degli organi esecutivi della CEE. Ed è in questospirito che ho parlato, signor Presidente, ed è in questostesso spirito che La ringrazio ancora per la Sua visita inSicilia.

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Le autonomie locali nella tradizione del popolarismo (*)

Modena, 11 settembre 1979

Desidero innanzitutto esprimere il mio sincero com-piacimento per lo svolgimento, nell’ambito della terzaFesta nazionale dell’amicizia, di questa giornata delleautonomie che vede le Regioni in primo piano assieme aiComuni come protagoniste e artefici di una delle opzionipiù utentiche del patrimonio ideale e politico della D.C.

Il nostro partito da prova anche qui a Modena di gran-de vitalità, di capacità di introspezione culturale, di ricer-ca e di approfondimento insieme delle proprie origini edelle proprie radici.

Il tema di questo nostro incontro e della mia relazione,autonomie e popolarismo, è certamente non facile mastrettamente legato a quelle matrici politico-culturali al-le quali accennavo. Si tratta di un tema talmente nostro,talmente proprio della nostra peculiarità politica origina-le da non richiedere su questo versante particolari espli-cazioni, al punto che con il semplice ripercorrere atti edocumenti nei quali il tema delle autonomie è affrontatoe proposto, si rischierebbe di sfiorare la banalità. Tutticonosciamo questi testi, dalle Idee ricostruttive alProgramma di Milano, ai primi documenti della DC,

(*) Relazione svolta alla tavola rotonda sul tema Popolarismo e au-tonomie tenutasi nell’ambito della festa nazionale dell’amicizia organiz-zata dalla D.C. a Modena.

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quella siciliana, del ’43, al discorso di Gonella del ’46,per ricordare solo quelli del dopoguerra. Tutti siamo pro-fondamente convinti di quanto queste prese di posizionee questa lunga tradizione abbiano influito non solo su dinoi ma anche su tutto il dibattito politico nazionale, suglialtri partiti, sull’assetto istituzionale stesso della nuovaItalia repubblicana a cui proprio il ceto politico cattolicodiede, nella fase costituente, un contributo che ben puòdefinirsi decisivo.

Si tratta per altro verso di un tema collegato a tutto unversante particolarmente ricco e significativo della real-tà e della stessa cultura del nostro Paese, la cui storia èstoria regionale e in qualche caso, e non dei minori, mu-nicipale.

Tutta la nostra storia è percorsa da fermenti tipici diuna realtà geografica, culturale, economica, scandita suilivelli regionali e locali più che su una unità raggiuntatardi e faticosamente, su modelli sui quali il consenso fudi assai modeste dimensioni.

Si tratta dell’eterno tema del centro rispetto alla peri-feria, del paese reale rispetto alla burocrazia accentrata eaccentratrice, un tema valido settanta anni fa all’epoca diLuigi Sturzo quanto oggi, sopratutto per noi che viviamola nostra battaglia politica su una particolare e specialetrincea regionale e che conosciamo ogni giorno gli sforzie le lotte, per riaffermare la nostra autonomia, per tutela-re e preservare diritti chiaramente sanciti da leggi ormaivecchie di oltre un trentennio e tuttavia ogni giorno, vo-glio dirlo con estrema franchezza, pervicacemente messiin discussione da una miope visione centralistica senzafuturo ma dura a morire. È vicenda politica, è vicenda

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economica (con quanti pesanti risvolti), è vicenda giuri-dica, è vicenda culturale di ogni giorno. Ed è vicenda cheper noi, nel Mezzogiorno e nelle Isole, si colora di un da-to aggiuntivo fornito dagli elementi del sottosviluppoche continuano ad offrire sostanziose motivazioni allanostra battaglia che del resto su di esse era fondata findalle origini.

Recentemente Giuseppe De Rita ha con la consuetalucidità ricordato che lo sviluppo regionale del nostroPaese è frutto appunto di quelle peculiarità alle quali hogià accennato, storiche e culturali, ma è anche legato allosviluppo e alla floridezza di tante economie regionali ge-lose della propria autonoma capacità e vitalità. Ouestogiudizio può benissimo però essere integrato in negativo:e cioè che tante autonomie, la cui carica originaria è tut-tavia fortissima nel Mezzogiorno, sono tali proprio per-ché traggono origine anche da condizioni di mancato ocarente sviluppo economico che ne giustificano la esi-stenza come strumenti vitali di autogoverno, diretto so-pratutto al riscatto economico. Che questi strumenti ab-biano o no finora raggiunto in pieno il loro fine è altraquestione che ci porterebbe molto lontano ma non c’èdubbio che questa è e resta la motivazione più evidente diquesta marcata spinta autonomista.

E del resto a ben vedere queste motivazioni erano for-tissime in Sturzo allorché lanciò con una proposta politi-ca ardita, ai primi del Novecento, il regionalismo e la tu-tela delle autonomie locali. Il Convegno di Caltanissettadel 1902 servì a Sturzo per superare in certo senso, purfacendosene scudo, il mero municipalismo, peraltrocomprensibile in lui che aveva fino ad allora vissuto

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esperienze politiche di taglio strettamente locale, per ar-rivare al regionalismo, «vera condizione di vita»; e pro-prio ai fini del riscatto del Mezzogiorno e della Sicilia,anche se in quel torno di tempo prevalevano in Lui preoc-cupazioni strettamente collegate alla realtà agrariadell’Isola. Si parlava infatti in quei primi testi sturzianidel problema dei grani, dei vini, degli ammassi come te-mi della battaglia autonomista che rivela in ciò le proprieorigini agrarie, del resto collegate anch’esse alla partico-lare struttura economica siciliana di quei lontani decenni.

E il meridionalismo sturziano, è stato ricordato auto-revolmente da Gabriele De Rosa, non è mai solamenteeconomico: esso si sostanzia di motivi di vita civile, mo-rale, sociale, istituzionale.

In esso il motivo regionalista e autonomista è presen-te con una modernità di visione politica per allora estre-mamente avanzata anche rispetto allo stesso progettodelle sinistre che aspettavano dal centro l’elemento ri-equilibratore di una situazione economica e sociale chepareva definitivamente compromessa. Per taluni dei me-ridionalisti classici anzi questa soluzione centrale eral’unica che poteva garantire il Mezzogiorno, troppo per-vaso dalla pratica delle clientele per essere capace di au-tonomo riscatto.

In Sturzo questa analisi sulla corruzione, sul basso li-vello di vita civile del Sud, è presente quanto in unSalvemini con cui condivise, seppur da un altro versanteanche se non meno moralistico, l’antigiolittismo. Essoveniva inteso appunto come lotta alla pratica clientelare icui effetti sfoceranno anni dopo, nel ’13, nel pattoGentiloni che vide Sturzo in posizione nettamente criti-

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ca, mentre è nota la sua interpretazione del non expedit co-me un divieto o almeno come un freno alla ricerca da par-te del clero di prebende e favori dalle classi dominanti.

Egli pure è convinto di quanto nuoccia al Mezzogiornola pratica clientelare collegata alla vecchia classe agra-rio-rurale e ai suoi modi di vita cui non si sottraeva certa-mente il clero meridionale che di essa era anzi partecipe.De Rosa cita una pagina non politica ma religiosa (unesposto alla Santa Sede) di Sturzo in cui il clero meridio-nale e siciliano dei primi anni del secolo viene bollato afuoco come smanioso di ottenere benefici dai nobili dicui finiva per essere schiavo anche nelle vicende eletto-rali, inclinando ad appoggiare candidati che di cattoliconulla avevano, talvolta neppure la apparenza esterna.

Tutto ciò però non escludeva ma semmai imponeva,la necessità dell’autogoverno locale e dava ad esso ulte-riori, più sostanziose motivazioni. Per Sturzo l’esperien-za originaria di organizzatore di casse rurali, cooperati-ve, leghe contadine, è il primo passo verso quella auto-nomista da lui vissuta in primo luogo quale pro-sindacodella sua Caltagirone per lunghi anni.

Ma tutto questo aveva un senso ben preciso che si so-stanziava in un nuovo e diverso concetto di libertà cheaveva lontane origini taparelliane e vichiane; di libertàcome esplicazione legittima di vita collettiva, come svol-gimento positivo, un concetto di libertà, come scrive DeRosa, che non discende dalle idee ma dalla dialettica rea-le e concreta degli interessi vitali di un popolo. E che al-lo stesso tempo è un modo per inserire nel processo deci-sorio dello Stato i ceti medi rurali, artigiani, quei vastistrati popolari sacrificati dalla scelta industrialista di

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Giolitti e, dall’altra parte, lasciati liberi dal sorgente so-cialismo. Sturzo comprese appieno la forte carica politicadi quei ceti che il nascente popolarismo tentò di inalveareverso un corretto sviluppo democratico. Quella caricaesplose poi a guerra finita con l’adesione massiccia diquei ceti al nazionalismo e al fascismo. E si spiega quindil’avversione del regime verso Sturzo e i popolari contro iquali non poteva certo essere agitato lo spauracchio delbolscevismo e a cui il fascismo contese l’apertura politicaverso gli stessi ceti medi e piccolo borghesi non diretta-mente coinvolti nel decollo industriale di fine secolo.

La lotta autonomista era dunque per Sturzo arricchitada queste eperienze intermedie, mezzo per risolvere ilproblema meridionale, strumento potente di affinamentodel processo di sviluppo democratico dei ceti medi e sicoloriva anche di un ultimo motivo sul quale torneremo.La sua scelta autonomista cioè non era venata di risenti-mento antistatale né antirisorgimentale nè da nostalgieultramontane e revansciste. L’accettazione del risultatomoderato del Risorgimento era in Sturzo totale e non ve-lato da polemiche che sarebbero apparse astratte al suorealismo politico. Esso rimase tale in tutto il personalepolitico cattolico formatosi alla sua scuola in Sicilia maanche fuori: penso sopratutto a De Gasperi.

Qual’era a questo punto il risultato tangibile dell’ope-ra di Sturzo? Avevo accennato all’inizio come autono-mia e popolarismo sono scelte talmente connaturate conil nostro Partito da rendere difficile una netta distinzionedegli sviluppi degli uni e dell’altro e allo stesso tempoquasi banale il ripercorrere i testi in cui essi trovano riaf-fermazione più o meno solenne. Ma vale leggere una bel-

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la pagina di Gabriele De Rosa a proposito del programmadi Caltagirone del 1905 (la proposta politica sturziana,già matura ben quattordici anni prima dell’Appello ai li-beri e forti) in cui questa tesi trova conferma ed appareevidente. Autonomia e popolarismo sono in pratica ter-mini che in Sturzo si confondono fino a diventare effettoe causa l’uno dell’altro in una mirabile sintesi. Scrive DeRosa che era nato «un grande e vasto movimento cattoli-co sociale», con un’eccezionale capacità di aggregazio-ne dei ceti medi sopratutto rurali. Non era un movimentopuramente contadino, anche se «le lotte contadine l’ave-vano cementato». Non era un movimento uscito «daqualche matrice legittimista-nostalgica», com’era statodella tenace «tradizione sanfedista delle plebi rurali delMezzogiorno». Era ben altro!

«Il movimento aveva una modernità, che nemmenoera immaginabile nei clubs liberali e negli stessi circolisocialisti defeliciani: la democrazia cristiana di LuigiSturzo era stata l’elemento di coordinamento ideologicoe morale di una volontà verificata alla base, nelle assem-blee delle casse rurali, delle cooperative e delle leghe. Leaspirazioni contadine «non erano state strumentalizzateper scaraventarle come rabbia scomposta contro lo Statoliberale, ma erano state razionalizzate entro una visionedi riordinamento pluralista e regionalista dello Stato uni-tario. E ciò avveniva per la prima volta nella recente sto-ria politica e sociale italiana. Era un programma che ade-riva alla migliore tradizione autonomista siciliana e che,pertanto, raggiungeva anche ambienti di una borghesiaurbana avanzata, antitrasformista e riformatrice».

«La guerra regionalista, l’antiprotezionismo soste-

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nuto a spada tratta da Sturzo, la proposta in sostanza diuno sviluppo del paese, che facesse posto ai ceti medi ar-tigianali, declassificati politicamente dalla scelta indu-strialista giolittiana, avevano scoperto a Luigi Sturzo unospazio politico, che di gran lunga trascendeva gli oriz-zonti dell’azione cattolica».

Ma qual’era il messaggio di Sturzo ai cattolici italia-ni? Qual’era il senso profondo di questo partito autono-mo, libero e forte (due parole che torneranno quattordicianni dopo)?

«Per Sturzo — scrive ancora De Rosa, citando il pro-gramma di Caltagirone — non c’era scelta per i cattoliciitaliani: ... o sinceramente conservatori o sinceramentedemocratici: una condizione ibrida toglie consistenza dipartito e confonde la personalità nostra con quella dei-conservatori liberali... A me democratico autentico, con-vinto e non dell’ultima ora, è inutile chiedere quale delledue tendenze politiche, nel senso comune della parola, iocredo che risponda meglio agli ideali di quella rigenera-zione della società in Cristo, che è l’aspirazione prima eultima di tutto il nostro percorrere, agire, lottare. È chia-ro che io stimo monca, inopportuna, che contrasta ai fat-ti, che rimorchia la Chiesa al carro dei liberali, la posi-zione di un partito cattolico conservatore; e che io credonecessario un contenuto democratico del programma deicattolici nella formazione di un partito nazionale».

«La necessità della democrazia nel nostro program-ma? — si chiedeva Sturzo — Oggi io non la saprei più di-mostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensieronostro. I conservatori sono dei fossili per noi, siano puredei cattolici».

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Ma consentitemi a questo proposito di ripercorrerebrevemente, onde recarne testimonianza diretta, la pre-senza della Sicilia nella vicenda delle autonomie e del lo-ro rapporto con il nostro partito. C’è infatti un ricco filo-ne siciliano che pur avendo Sturzo al centro non parte daLui e non arriva a Lui. Esso parte piuttosto dalla tradizio-ne autonomista dell’Isola, dalla sua storia in certo sensotanto diversa da poter essere considerata alternativa ri-spetto a quella nazionale di cui costituisce quasi un pun-tuale contrappunto: ad un momento di esaltazione necorrisponde uno di decadenza. Basti pensare al medioe-vo siciliano caratterizzato dalla dominazione arabo-nor-manna e concluso dal felice regno di Federico.

Era logico che questa storia, le cui propaggini si spin-gono fino agli albori del Risorgimento caratterizzato inSicilia dal mancato arrivo degli eserciti napoleonici e dauna eversione della proprietà feudale realizzata ai primidell’800 da una nobiltà inquieta proprio in polemica an-ticentralista con il regno insediato a Napoli, partorissedal suo seno una tradizione altrettanto ricca nel versanteculturale i cui frutti migliori furono proprio di marca cat-tolica. Mi riferisco a Vito D’Ondes Reggio e a padreGioacchino Ventura che accanto al laico Perez e a moltialtri teorizzarono nell’800 la legittimità di una autono-mia della Sicilia. Ma accanto ad essi fioriva, e i frutti siperpetuarono fino agli anni del secondo dopoguerra, quelsicilianismo il cui testo base, il Catechismo, si deve ad unsiciliano grande per altri meriti, Michele Amari, e le cuidegenerazioni antistataliche si perpetuarono fino a far daseme alla rnalapianta del separatismo, riapparsa puntual-mente in Sicilia all’indomani dell’occupazione alleata

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che concluse anzitempo (ed anche questo è connotatoproprio) la guerra in Sicilia, senza che vi si verificasseroepisodi di resistenza armata al nazifascismo.

Ma la tradizione dell’insegnamento sturziano era tan-to forte in Sicilia e Sturzo tuttavia tanto presente e direimessianicamente atteso che i democratici cristiani sici-liani non fecero nessuna fatica ad assumere subito in queipur difficili e tormentati mesi del 1943 le posizioni giustedi fronte al fenomeno separatista. Quelle stesse posizio-ni espresse in un manifesto tuttora inedito della DC sici-liana stilato fin dal maggio del ‘43 allorché fu chiaro qua-le sarebbe stato l’esito del conflitto; un documento di cuiha scritto Bernardo Mattarella sulla Discussione nel di-cembre del 1962. In esso si gettano le basi del futuroStato affermando che «la più efficace garanzia organicadella libertà si otterrà con la creazione dell’Ente regionedecentrandovi poteri e funzioni nella più larga misura;l’unità nazionale (ecco il pensiero dominante ed anche lachiave giusta) ne risulterà rinsaldata e ravvivata»...Dov’era in quel documento il pericolo per la sintesi laicadello Stato risorgimentale, accusa contro la quale Sturzodovè insorgere con estrema durezza ancora nel 1948?Dov’era la mancanza di senso dello Stato? E del resto so-no le stesse enunciazioni recepite quattro mesi più tardinel manifesto del 18 settembre 1943 uno dei primi appar-si in Sicilia; e ancora le stesse che alla fine di quello stes-so 1943 affioreranno nel Convegno di Caltanissetta (dicui quest’anno ricorre il trentaseiesimo anniversario) enel quale però si dovettero fare i conti con un gruppo dipopolari presso i quali l’istanza separatista, fortissima inquei mesi, pareva aver creato qualche breccia. Ed infatti

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l’ordine del giorno finale di Caltanissetta reca una chiarae netta presa di posizione antiseparatista che costrinse ta-luni di quegli esponenti ad abbandonare anzitempo ilConvegno.

Sul quale Convegno vorrei spendere ancora qualcheparola proprio per ricordare che esso faceva seguito, si-gnificativamente nella stessa città, a quarant’anni di di-stanza, a quello del 1902 ove Sturzo aveva lanciato il suoprogramma municipalista; e allo stesso tempo ricordarecome esso in definitiva rappresentò il primo congressotenuto in territorio nazionale dalla DC dopo la guerra. Ilmovimento politico dei cattolici che, come De Rosa ri-corda, non era stato lanciato nè a Roma nè a Napoli ma aCaltagirone con il discorso del 1905 con il quale Sturzoavanza sua proposta politica ormai matura, nel secondodopoguerra, dopo la tragica parentesi del fascismo, ritro-va le sue radici nella stessa Sicilia; e dalla Sicilia parte ilprimo slancio ideale della nuova Democrazia cristiana.

Uno slancio che aveva come punto di partenza pro-prio la risposta di marca sturziana e popolare al nuovoproblema politico del separatismo; vale a dire quella del-la formula felicissima della Regione nella Nazione.

Una autonomia che si sostanzia nel regionalismo e cheha al suo centro la piena fedeltà allo Stato nazionale, con-fermata non solo in senso giuridico ma anche morale nelmomento in cui, nel dicembre del ’43 da Caltanissetta,viene rivolto il pensiero al suolo della Patria invaso dalnazismo e manifestata la solidarietà dei siciliani a quantisoffrono per il loro attaccamento agli ideali di libertà.

Ecco dunque che la tradizione e la direzione di Sturzoconsentono alla DC del primissimo dopoguerra di essere

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la forza politica più avanzata in una originale e correttaposizione politica nei confronti della realtà nuova, men-tre altre forze si attardavano a superare al loro interno fie-re reazioni antiautonomistiche, e mentre ancor oggi la si-nistra siciliana è percorsa da visibili fremiti di rimpiantoper non aver saputo appropriarsi dell’istanza separatistao quanto meno della sua ala populista, anche se rappre-sentanti autorevoli di essa confluirono quasi subito nelPCI.

Ma dicevo che la tradizione autonomista siciliana senon parte da Sturzo non si conclude con Lui. Quella dellaRegione siciliana costituisce ad oggi la più lunga espe-rienza di regionalismo vissuto in Italia giacché è in Siciliache nel marzo del ‘47 viene eletto il primo parlamento re-gionale. Una storia quindi di oltre trentadue anni con lesue luci e le sue ombre, in certa misura esemplare di altrevicende italiane cui ha fatto sovente da banco di prova peresperimenti politici non tutti felicissimi. Una storia tutta-via che ha al suo attivo vivaci e significative presenze,istituzioni, leggi, una intera comunità come quella sicilia-na, a seconda per ampiezza del Mezzogiorno, la quartadell’intero Paese, in atto stretta in una difficile morsa de-terminata da una crisi economica il cui peso è ovviamen-te più forte laddove più viva si avverte la marginalità diuna condizione geografica ed economica che ancora nonha trovato pieno rimedio. E allo stesso tempo una auto-nomia speciale di cui siamo gelosi custodi che si è inqualche misura appiattita dal contatto, peraltro volonta-rio e addirittura frutto di scelta politica precisa di tagliomeridionalista, con le altre Regioni a statuto ordinario econ quelle del Sud in particolare nella convinzione, nella

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quale tuttavia siamo radicati, che il peso politico com-plessivo del Mezzogiorno è strumento migliore di unadisordinata lotta per impadronirsi di risorse assai meglioimpiegabili in una ottica programmatica complessivache guardi all’intero Mezzogiorno.

Ma se l’esperienza sturziana rimane quella centraledell’autonomismo popolare tuttavia essa non era nata percaso.

C’è una bella, quasi profetica, frase di Toniolo chevorrei riportare per intero e che risale agli ultimi annidell’800. Essa appartiene al saggio Il concetto cristianodella democrazia incluso nel volume La DemocraziaCristiana apparso nel 1900. Toniolo dice testualmente«...può prevedersi con ogni fondamento che la democra-zia nel suo aspetto politico in un prossimo avvenire, for-se più e meglio che nella partecipazione delle masse allasuprema e accentrata rappresentanza parlamentare, siesplicherà con la fioritura delle più numerose e svariateautonomie amministrative di classi e di località civiche,rurali, provinciali, regionali ecc.; in ciò massimamenterestituendo gli antichi ordini cristiani di civiltà».

Echeggia in questa frase, quando si parla della restitu-zione degli antichi ordini cristiani di civiltà, un altro deimotivi di fondo della tradizione autonomista cattolica,anche se in gran parte estranea alla proposta sturziana. Ecioè una certa velata nostalgia per la Cristiana republica,per il declino del Medio Evo. Un motivo chiaramente inpolemica con lo Stato liberale e laico, questo sì, che ve-dremo riaffiorare, e ce ne dà puntuale testimonianza unbel saggio di Giorgio Rumi, nel secondo dopoguerra ita-liano. Nella elaborazione culturale cattolica periferica,

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specialmente al Nord, tali venature cominciano a far ca-polino fin dalla stampa clandestina, in cui riappare pun-tuale l’istanza autonomista ma sostanziata di motivi cheabbiamo visto estranei alla elaborazione sturziana, comese il sacerdote di Caltagirone fosse passato invano. Checosa era dunque avvenuto? Credo che si possa risponde-re utilizzando una delle suggestive ipotesi formulate daRenato Moro nel suo recente saggio sulla formazionedella classe dirigente cattolica attraverso il fascismo. Ecioè che in effetti occorre pensare al fascismo stesso co-me ad un elemento di frattura nello sviluppo del movi-mento politico dei cattolici. Era avvenuto cioè che l’e-sperienza popolare, del resto troppo breve e collegata an-che ad una classe dirigente non giovanissima, si era inlarga misura dissolta e ad essa era succeduta, negli annibui del fascismo, quella dell’Azione cattolica.

Esperienza ricchissima non solo in sé per sé, oltre chenelle sue dirette filiazioni come la FUCI e il MovimentoLaureati, ma anche per gli effetti diretti che essa ha pro-dotto appunto nella formazione del personale politicocattolico poi passato alla guida del trentennio repubbli-cano.

Ma ricca anche per la peculiarità della esperienzacondotta in cui se da un lato era forte il tasso di politiciz-zazione proprio per l’avvenuto dissolvimento del Partitopopolare, era pur vero che si rafforzava la componenteconfessionale e più legata alla Chiesa. Emergono così neldopoguerra le correnti cattoliche nuove il cui apporto al-la lotta di liberazione e alla successiva elaborazione co-stituzionale fu cospicuo e in qualche caso decisivo mache non avevano conosciuto se non marginalmente la

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esperienza sturziana. Solo la lezione degasperiana e lavisione che ne scaturì, operò la mirabile sintesi della pro-posta politica dello statista trentino fra vecchio e nuovopopolarismo, facendo della D.C. la forza trainante del-l’intero movimento politico postresistenziale.

Ma io credo possa affermarsi che il movimento politi-co dei cattolici pagò un ulteriore prezzo alla dittatura edal fascismo, a cui dovette questa frattura nel proprio svi-luppo, quasi la interruzione forzata di un discorso altri-menti di limpida e conseguente continuità.

Il non aver approfondito la lezione di Sturzo per i ceticresciuti intorno ai movimenti cennati e che avevano co-me punto di riferimento la Università Cattolica del S.Cuore, significava nei fatti essere estranei al suo relativi-smo storico, come lo chiama De Rosa, secondo cui ilPartito non solo non è tutto e non promette tutto ma nonva identificato, neppure nel nome, con la Chiesa diCristo. In Sturzo, sacerdote cattolico, non c’è utopia ter-rena: c’è estremo rigore e realismo politico. La vera uto-pia per Lui, vero cristiano, è in Cielo ed essa non va con-fusa neppure lontanamente con la esperienza terrena cheresta la palestra per una proposta politica concreta, cheha per strumento, come ho già accennato, quella libertàpositiva che nasce dalle cose più che dalle idee.

Nei giovani emersi dalla guerra e dal fascismo invecela proposta politica autonomista, forse più di altre, na-sceva da un atteggiamento critico del cristiano verso laimpostazione laica dello Stato etico di marca liberale cheperaltro giustamente veniva considerato causa di tantimali. Ma da lì a negare tutto il Risorgimento e la stessaRivoluzione francese il passo era breve e in taluni testi

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veniva compiuto senza pensarci troppo. Ecco dunqueche pur restando ferma la richiesta di autonomia essa sicolorava di motivi afferenti al rispetto e allo sviluppodella persona umana di sapore mariteniano e che impli-cavano però un giudizio politico di totale rinnegamentodell’esperienza dello Stato liberale.

Tutta questa materia venne poi ricondotta ad unità nellavoro prezioso dell’Assemblea Costituente a cui comeho già accennato il gruppo dei deputati democratici cri-stiani diede un contributo decisivo. Ma c’è un episodioche vorrei ricordare che testimonia in modo inequivocodella portata del detto contributo e allo stesso tempo del-la attenzione dedicata al tema dell’autonomia del singo-lo oltre che degli organismi intermedi nella nostra inge-gneria costituzionale. Si tratta di un episodio riportato daEnzo Cheli in un suo bel saggio sul problema storico del-la Costituente e che ha a protagonista Aldo Moro che mipiace qui ricordare con voi, considerando come in effettiè, il Suo ricordo sempre vivo ed il suo insegnamentosempre attuale.

Moro faceva parte con altri del comitato di redazionecostituito all’interno della Commissione dei 75 nominataper la formulazione del progetto della Costituente.Questo Comitato ristretto si riuniva anche più volte algiorno e alle ore più impensate. Dopo la fine delle riunio-ni, non di rado il presidente Ruini tratteneva intorno a sèalcuni membri del comitato per chiarire il senso di questoo di quel comma, di questa o di quella parola. Erano con-versazioni libere dalle quali uscivano idee buone. In unadi esse, fu disegnato il profilo schematico dellaCostituzione secondo un determinato sviluppo concet-

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tuale. Erano rimasti attorno al presidente Ruini gli onore-voli Dossetti, Cevolotto e Moro. Tra una parola e l’altradella conversazione, Moro disse: «Si potrebbe dare allaCostituzione un profilo di piramide rovesciata, secondoil criterio della socialità progressiva»; e spiegò: nel ITitolo vedere il cittadino nella sua individualità, pur nelquadro della società della quale fa parte; nel II Titoloconsiderare i primi e più elementari rapporti del cittadinocon la comunità (diritti e doveri in rapporto alla famigliae alla scuola); nel III Titolo considerare la sfera, già piùampia, del mondo economico; nel IV Titolo quella, piùestesa, del mondo politico; quivi terminare la I parte e,con perfetta sutura ideologica, iniziare la parte II che di-sciplina l’organizzazione statale unitaria della società.L’on. Ruini ascoltava e annuiva; aggiunse che, allora, laII parte andava incominciata con il parlamento (e noncon l’ordinamento regionale), che della sovranità popo-lare è la più genuina espressione, anche per cominciare laII parte della Costituzione riallacciandosi all’afferma-zione sul popolo titolare della sovranità che andava fattanel primissimo articolo della costituzione. A questo pri-mo articolo pochi altri occorreva farne seguire e riunirlisotto l’intitolazione di «disposizioni generali», visto chel’idea del preambolo incontrava tante difficoltà. Lo sche-ma fu successivamente approvato dal comitato dei 18 erimarrà poi quello della Costituzione.

E nella stessa fase di elaborazione costituzionale ri-sposte puntuali da parte del gruppo cattolico pervennerosul tema delle autonomie a proposito della programma-zione, anche se, come ha notato Barucci, l’AssembleaCostituente, pur popolata di economisti, molti dei quali

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meridionali, non trovò modo di dedicare un solo dibatti-to politico al Mezzogiorno come tale, inteso come pro-blema nazionale. Di esso invece si parlò proprio a propo-sito dello ordinamento regionale del nuovo Stato quasi aconferma che la struttura istituzionale doveva essere ser-vente rispetto al disegno del riequilibrio territoriale delledue aree del Paese.

Lo spunto venne fornito anche dal tema della pro-grammazione per il quale Mortati offrì una soluzione deltutto corretta ed anticipatrice, perfettamente rispettosadelle autonomie non solo dal punto di vista formale maproprio dal punto di vista sostanziale, quali elementi cioèdecisivi di partecipazione per una diversa conduzionedella politica economica, finalizzata alla soluzione delproblema del Mezzogiorno.

Disse Mortati in quella occasione: «Non so se e quan-to l’economia si indirizzi verso forme di economia piani-ficata; ma se queste esigenze di pianificazione ci sarannobisogna che siano attuate non da una burocrazia più omeno competente e responsabile ma dalle autorità regio-nali; è necessario che queste autorità regionali siano in-serite nell’ordinamento centrale in modo che i piani sia-no concretati attraverso la partecipazione attiva dellemedesime. E questo inserimento dovrebbe avvenire inmodo da correggere la sperequazione attuale fra le regio-ni d’Itala più numerose e più ricche e le regioni più pove-re e meno popolate».

Giudizio illuminato ove è presente, oltre ad un corret-to disegno istituzionale, anche la problematica del ri-equilibrio territoriale del Paese.

Ma il tema delle autonomie, cari amici, ha una sua vi-

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talità e potenzialità attuali che non vanno sottovalutate,pena l’ulteriore aggravamento della crisi di ingovernabi-lità del nostro Paese. È stato detto acutamente da De Ritache uno dei sottosistemi da governare è proprio quellodelle autonomie locali, un sottosistema nel quale si sonoinnescate tante speranze, forse troppe, e che oggi è prota-gonista di una crisi di rigetto, di crescita e insieme di fru-strazione che, se non risolta, può essete fatale per la no-stra democrazia.

L’anno prossimo si celebreranno per la terza volta leelezioni per la scelta dei consigli regionali delle Regionia statuto ordinario ed insieme, in un larghissimo numerodi Comuni, le elezioni amministrative.

Il tema delle autonomie locali verrà fuori ancora unavolta con tutta evidenza e in tutta la sua drammaticità.

Proprio in sede locale si vanno manifestando da qual-che tempo pericolosi segnali centrifughi che accoppianoalla polemica antistatalista, una certa ripresa di autono-mismi esasperati che sembravano sepolti e allo stessotempo una pericolosa carica di qualunquismo che si so-stanzia, del resto abilmente montata, in un diffuso anti-parlamentarismo e in un ancor più diffuso anti partiti-smo. Due fenomeni assai pericolosi che in tempi lontanil’Italia ha già conosciuto con gli esiti che sappiamo. Tuttisiamo d’altro canto coscienti che il sistema che abbiamomesso in piedi ha nella condotta dei partiti, non semprecomprensibile, uno dei punti più deboli e per ciò stessopiù facilmente vulnerabili.

Tuttavia non è da sottovalutare l’altra componente al-la quale ho accennato, vale a dire la ripresa, specie nelleregioni marginali del Paese (ma la Sicilia è finora sostan-

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zialmente indenne da questo sintomo), di autonomismisopiti che mirano a rivalutare, proprio in polemica con ilcentralismo anche politico dei partiti, motivi e peculiari-tà proprie di ciascuno per rilanciare una proposta magariconfusa di autogoverno che trova però larga eco nellaopinione pubblica.

Si tratta del resto di un fenomeno europeo che coin-volge vaste zone del Regno Unito, la Frisonia, l’Alsazia,l’Occitania nella Francia meridionle, la Regione basca inSpagna, la Bretagna, la stessa Corsica. Qualcuno ha par-lato di separatismi sotto la cenere per movimenti con-trassegnati da confuse motivazioni ideologiche in cui sifondono influenze socialiste di vago sapore anticolonali-sta insieme ad elementi sia pure alla lontana collegabili aforme di razzismo, sovente accoppiati ad una fortissimacomponente religiosa di marca tipicamente locale e dif-ferenziata rispetto ad una realtà nazionale più diffusa.L’elemento comune è quello dello sfruttamento da partedella nazione dominante di una nazione dominata. Maanche qui occorre ricordare come la Chiesa, che ha orec-chie buone ed alta sensibilità per ogni movimento sotter-raneo, prima che farsene sorprendere, ha già espressocon grande lucidità il proprio pensiero al riguardo. Lo hafatto Giovanni XXIII fin dalla Pacem in terris, ove a que-sto riguardo si legge: «Va affermato nel modo più espli-cito che un’azione diretta a comprimere e a soffocare ilflusso vitale delle minoranze è grave violazione dellagiustizia; e tanto più lo è quando viene svolta per farlescomparire. Risponde invece ad una esigenza di giustiziache i poteri pubblici portino il loro contributo nel pro-muovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misu-

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re efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura,del loro costume, delle loro risorse ed iniziative econo-miche». «Qui però va rilevato — aggiungeva PapaRoncalli nel seguente paragrafo — che i membri delleminoranze, come conseguenza di una reazione al lorostato attuale o a causa delle loro vicende storiche, posso-no essere portati, non di rado, ad accentuare l’importan-za degli elementi etnici da cui sono caratterizzati, fino aporli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è pro-prio dell’umanità fosse in funzione di ciò che è propriodella nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapesseropure apprezzare gli aspetti positivi di una condizione checonsente loro l’arricchimento di se stessi con l’assimila-zione graduale e continua di valori propri di tradizioni ociviltà differenti da quella alla quale essi appartengono.Ciò però si verificherà soltanto se essi sapranno esserecome un ponte che facilita la circolazione della vita nellesue varie espressioni fra le differenti tradizioni o civiltà,e non invece una zona di attrito che arreca danni in nu-merevoli e determina ristagni o involuzioni».

«Come un ponte»: il Papa riesce a scorgere nella con-dizione delle minoranze nazionali un aspetto positivoche va valutato probabilmente anche a livello di soluzio-ne del problema. Il discorso del Papa richiama a valoripuramente umani e non specificatamente cristiani, faesplicito riferimento a criteri di ragione e prudenza. Sitratta di criteri ineliminabili dal contesto europeo; qui, inEuropa, saggezza vorrebbe che per dare ad ogni popolola sua dignità fossero trovate le soluzioni atte a garantireinsieme e il soddisfacimento di queste aspirazioni e lastabilità dell’equilibrio politico. Per farlo è necessario il

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convergere di due azioni di pari intelligenza. Occorre chei governi europei prendano atto di situazioni di tensioneche, se non lo hanno ancora fatto, rischiano di scoppiare;occorre che dall’altra parte non si insegua la strategia fol-le di una «africanizzazione» dell’Europa occidentale. Senon controllato e risolto in qualche modo, il fenomeno —forse non domani, neppure dopodomani, ma quando cisarà motivo per l’esasperazione di una delle due parti —può produrre risultati imprevedibili. Forse, probabil-mente anzi, alcuni di questi punti caldi dell’Europa occi-dentale già rientrano in strategie di potenza che hannofatto bella mostra di sè e la fanno tuttora in Asia e inAfrica.

E la soluzione, invece, c’è: se si guardano le cose conobiettività, Si può intuire che quello che oggi si presentacome un problema a volte drammatico può risolversi do-mani in un motivo di ricchezza. Magari proprio nel qua-dro di un’Europa Unita che non sarebbe veramente talese rinunciasse anche solo ad una parte del suo patrimoniostorico, cultuialc e umano.

Anche la dimensione dell’Europa può e deve servirequindi ad affrontare questi gravi problemi, anche se fino-ra dobbiamo registrare con amarezza che i mezzi imma-ginati negli anni ’50, al momento della scelta europeista,per affrontare gli squilibri strutturali in Europa non han-no funzionato come dovevano e che per quanto riguardal’Italia lo stesso protocollo aggiunto per il Mezzogiornonon ha avuto seguito, restando inattuata quella parte deiTrattati ove si afferma che l’avvio a soluzione del proble-ma del Mezzogiorno italiano era interesse comune delleparti contraenti.

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Neppure l’Europa unita dunque sa dare risposte sod-disfacenti alle domande che provengono da talune regio-ni periferiche e che restano perciò prive di esiti politiciprima che economici e sociali.

Ma qual è in definitiva l’esperienza politica che leRegioni porranno sotto gli occhi degli elettori del 1980?È essa una esperienza positiva? Si assiste sempre più difrequente a pianti antiregionalistici e talvolta sembra chela realtà regionale non riesca ad uscire da un circuito ne-gativo che ha da un lato le accuse di inefficienza soventeinteressate di tanta parte dello schieramento politico(penso per esempio, accanto a taluni «nordisti», ad unnoto meridionalista come l’onorevole Compagna di cui ènota la avversione antiregionalista) e dall’altro le frustra-zioni di un potere tuttavia non pienamente realizzato.Sotto gli occhi delle comunità regionali sono una serie diproposte, talune originarie tal’altre derivate da compe-tenze statali troppo frettolosamente cedute senza creareprima gli strumenti per un effettivo esercizio delle stesse.Fra le prime basta ricordare il territorio e la gestione, icomprensori e gli enti intermedi, le unità locali, il decen-tramento urbano, la partecipazione, tutte cose in fase difaticosa elaborazione, non ancora uscite dal limbo di unaconvegnistica sovente fine a se stessa. Fra le seconde ba-sta ricordare la riforma sanitaria, i beni culturali, la stes-sa programmazione. E a quest’ultimo riguardo anzi — elo accennavo all’inizio — si registra una tendenza peri-colosa e assai insistente fondata su una sorta di riappro-priazione, sopratutto attraverso programmazioni setto-riali, di competenze che avviene di fatto da parte delloStato. Essa può avere radici nella gestione di una crisi

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economica assai grave che esige spesso decisioni finan-ziarie e monetarie certo non decentrabili. Ma accanto aquesto elemento, che se è comprensibile non è per questomeno grave, se ne registrano altri chiaramente collegati avolontà accentratrici, assai difficilmente disponibili a de-legare competenze e poteri spesso di fatto e che danno anoi meridionali, nelle non infrequenti occasioni di incon-tro a Roma a livello ministeriale o magari interregionale,la netta sensazione che «i giochi siano già stati fatti altro-ve» e che le discussioni procedano stancamente per arri-vare a decisioni prese in precedenza.

Ne è sorta una massiccia dose di frustrazione e di ri-sentimenti di cui i sintomi cui prima accennavo sono iprimi segnali e a cui occorre provvedere prima delle sca-denze elettorali, sia attraverso una più giusta redistribu-zione e allocazione delle risorse al centro, sia attraversola organizzazione in periferia di gestioni efficienti.

Non si tratta certo di una azione facile nè priva di osta-coli; e in essa tuttavia il nostro Partito, proprio per la tra-dizione di cui è portatore, deve porsi in primo piano.

Occorre in definitiva, cari amici, recuperare in pienonello svolgimento della nostra azione quotidiana queivalori di autonomia e popolarismo che costituiscono bi-nomio inscindibile del nostro passato e che devono esse-re suggello quotidiano del nostro presente e del nostro fu-turo. Sono i valori che garantiscono la nostra piena de-mocraticità, del resto mai messa in discussione. Sono va-lori tipicamente democratici: da un lato le radici popola-ri del movimento, dall’altro il rispetto per le peculiaritàdi ognuno per le origini, per le tradizioni, per l’autogo-verno. Due temi intersecantisi di una realtà complessa e

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difficile come quella del nostro Paese, ricco di diversitàpiuttosto che di uniformità, anche se questo talvolta puòcostare.

Ed in questa vicenda il Mezzogiorno gioca un ruolo an-cora estremamente significativo, quel Mezzogiorno cheper Sturzo era serbatoio non solo di energie politiche e dipotenzialità economiche ma anche e sopratutto di valorimorali e civili originari, custoditi gelosamente nella seve-rità del costume, come patrimonio inalienabile. Quellostesso Mezzogiorno che ancora oggi «tiene» nonostantetutto e che consente al nostro Partito di mantenere un pri-mato politico che non è e non è mai stato fine a se stessoma che invece resta, proprio per le premesse da cui nasce— popolarismo e autonomie appunto — la migliore ga-ranzia per la libertà e la democrazia nel nostro Paese.Grazie.

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Istituzioni pubbliche e politica meridionalista (*)

Erice, 12 ottobre 1979

A me sembra ovvio cominciare da una valutazione,che anche ieri è affiorata nel corso del dibattito, sulla sus-sistenza o meno della questione meridionale, per dareuna risposta perfettamente consona ai due relatori di ieri,e soprattutto alle due repliche di ieri, di Borgomeo eBarucci. Voglio dire che la politica per il Mezzogiorno(che Barucci dice «sempiterna») è una delle risposte tut-tora irrinunciabili ad una realtà e ad una somma di fatti edi scelte, che creano la questione meridionale.

Quando si legge, come abbiamo letto nel mese scorso,dichiarazioni come quella di Morra, il quale dice che ilsindacato ha già liquidato da tempo la politica per ilMezzogiorno perchè essa offre solo spazi all’assistenzia-

(*) Testo registrato della relazione pronunziata al convegno promos-so dalla Lega democratica sul tema Mezzogiorno anni ’80 svoltosi adErice, Centro di cultura scientifica E. Maiorana. Il convegno, introdottoda Pietro Scoppola, ebbe come relatori anche Piero Barucci e CarloBorgomeo.

Nella relazione si riscontrano, oltre ad una valutazione critica delfunzionamento degli istituti dell’intervento straordinario previsti dallalegge 183, una difesa delle autonomie regionali, la richiesta di correzio-ne degli indirizzi di politica economica nazionale secondo una decisa li-nea meridionalista, l’opportunità di una riduzione delle aree dell’inter-vento straordinario, nonché alcune proposte in ordine alle strutture isti-tuzionali che dovranno essere previste dalla nuova normativa sulMezzogiorno.

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lismo e crea deviazioni rispetto alla programmazione ge-nerale, si rafforza il convincimento che la questione me-ridionale permane e che la esigenza di una politica per ilMezzogiorno deve essere difesa.

Quando scelte di natura politica, di natura economica,il permanere di realtà culturali segnano ogni giorno ilpermanere di questo squilibrio così netto tra due aree delPaese, credo che si corra il rischio, nel negare l’esigenzadi una politica per il Mezzogiorno, di fare annacquare ilproblema del Mezzogiorno nel grande mare della pro-grammazione generale. Ma è la nostra realtà, più che gliatteggiamenti altrui, che ci impone di affermare, comeieri hanno fatto Borgomeo e Barucci, l’assoluta esigenzadel permanere di una politica meridionalistica, sopratut-to se si tiene conto di quella che è la realtà della disoccu-pazione di massa nel Mezzogiorno, di quello che è il tipodi produzione nel Mezzogiorno, di quella che è la realtàdella imprenditorialità nel Mezzogiorno, di quella che èla realtà pesante tuttora delle condizioni di vita e di con-vivenza civile, di quello che è il livello delle stesse strut-ture di base nell’organizzazione civile e nella organizza-zione della produzione nel Mezzogiorno.

Quindi credo che la risposta a questo quesito non siasuperflua, nel momento in cui il dibattito segna posizionistrane e fa segnare anche sintomi meno importanti, macomunque significativi. Io ho pensato molto all’interpre-tazione che ha dato Borgomeo ieri dei fatti piccoli e gran-di che accadono, i quali, al di là degli effetti direttamenteconnessi alla vita del Mezzogiorno, hanno una matricepolitica. Quando noi continuiamo a leggere sulla stampa,sul «Sole-24 Ore» di qualche giorno fa, l’ennesimo an-

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nuncio dei soliti 20 mila miliardi della «183», come se sitrattasse di nuovi 20 mila miliardi, con la chiusura in cuisi dice «il centro-nord non dispone di fondi per interven-ti straordinari», da un lato viene fuori la convinzione chel’eternità della questione meridionale finisce con l’esse-re alibi a queste posizioni, ma dall’altro che tuttora per-mane nella sua dimensione complessiva il problema delMezzogiorno come problema economico, come proble-ma sociale, come problema culturale, come problema dicostume.

Fatta questa premessa, desidero farne un’altra nelsenso delle cose che io dirò oggi, che vuole inserirsi – efaccio riferimento alla introduzione del prof. Scoppola –in una esigenza che è oggi irrinunciabile per la gravità deiproblemi e per la difficoltà dei rapporti politici; l’esigen-za di andare a fondo ai problemi, ai contenuti della realtàdel nostro Paese, per trovare lì, misurandoci, quelle inte-se che fanno tutti i protagonisti politici responsabili deldomani del nostro Paese.

Ieri c’è stata la simpatica coincidenza di alcune tesi,che io andrò ad esporre, con le proposte fatte qui dall’ing.La Cavera. Ignoravamo, l’uno e l’altro, ciò che avremmodetto in questo convegno. Questo voglio ricordare, perosservare che molto spesso, misurandoci realmente suiproblemi, si trovano coincidenze che, se si parte da posi-zioni politiche preconcette, è più difficile raggiungere eperseguire. Questo è il valore, io credo, di questa meto-dologia che la Lega Democratica sottolinea, nel momen-to politico che il Paese attraversa. Io credo che si pongaindiscutibilmente, per l’intervento straordinario, un’ana-lisi attenta, per arrivare non all’ennesima modifica (per-

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chè troppe ve ne sono state modifiche e legislazioni inte-grative sull’intervento straordinario) ma per arrivare, al-la scadenza della «183», alla formulazione di una propo-sta complessiva che possa, mantenendo e garantendol’intervento straordinario, assumere due connotati essen-ziali: quello del largo consenso attorno ad essa, quellodella meditata e razionale efficienza del sistema che sipone in essere. A questo proposito, credo che, nonostan-te la completa relazione del prof. Barucci, io debba farequalche passo indietro, sia pure veloce, rispetto a quelloche è stato e soprattutto a quello che è in questa fase, conla vigente normativa, l’intervento straordinario. Vorreipartire da un altro momento di valutazione di contenuti,che ha visto posizioni di largo consenso e di unità.

Dal convegno di Palermo delle Regioni meridionalidel 1971, scaturito dalla constatazione che l’avvio delleRegioni a statuto ordinario poneva per la strategia delMezzogiorno come protagoniste le Regioni, le quali nonpotevano affrontare questo problema divise, scoordinateo, peggio ancora, concorrenti l’una con l’altra. Ebbeneda Palermo (andrebbero riletti gli atti) da parti diverse,vennero fatte proposte concrete che, a distanza di anni,diventarono i contenuti essenziali della «183».

Se si leggono alcuni interventi (scuserete l’autocita-zione: l’intervento che io ebbi modo di fare in quel con-vegno, l’intervento che fece l’on. Corallo, l’interventoche fece l’on. Fasino), si trova la proposta precisa, con an-ticipo di cinque anni, della costituzione del Comitato deirappresentanti delle Regioni meridionali. Avvertimmo inquel momento tutti insieme, in maniera convergente, l’e-sigenza di evitare il pericolo dello spappolamento del

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problema del Mezzogiorno in una sorta di concorrenzia-lità, che poteva diventare drammatica, tra realtà che sor-gevano in quel momento, ma che certamente sarebberodiventate i punti di riferimento dei problemi drammaticidelle varie aree del Mezzogiorno. Da lì partì la richiestadi partecipazione delle Regioni alla politica per ilMezzogiorno, ma partì contemporaneamente altro dato,altro carattere pregnante della «183» — l’esigenza di unaprogrammazione nel Mezzogiorno e per il Mezzogiorno.Due livelli di programmazione: un livello generale cheavesse il riequilibrio tra Nord e Sud come indicazioneprioritaria e una programmazione degli interventi nelMezzogiorno.

Questa intuizione, a mio avviso, era valida allora e ri-mane valida ancora oggi. È amaro constatare che daquelle intuizioni, immesse nella legge «183», siamo arri-vati ad una realtà gestionale dell’intervento straordina-rio, di segno del tutto opposto. Perché? Se noi conside-riamo l’articolazione dei momenti di partecipazione e didecisione dell’intervento straordinario, se noi conside-riamo l’articolazione istituzionale dell’intervento straor-dinario, ci accorgiamo che non si è potuto fare inParlamento la sintesi tra l’esigenza, giusta, di momenti dipartecipazione e di garanzia, e l’esigenza di efficienzadell’intervento straordinario. Per l’intervento straordina-rio, in base alla «183», c’è una partecipazione vorrei diredi base, propositiva, delle regioni, delle singole regioni,c’è un momento della Cassa per il Mezzogiorno e del suoconsiglio di amministrazione, c’è un successivo momen-to del comitato delle Regioni meridionali, c’è un mo-mento del Ministro per il Mezzogiorno, c’è un quinto

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momento, che è il CIPE, c’è un sesto momento che è lacommissione parlamentare. Come poteva immaginarsiche questi passaggi fossero compatibili con una rapiditàdegli interventi straordinari?

C’era e c’è, soprattutto per chi è politico prima che es-sere efficientista, l’esigenza di una partecipazione e dimomenti di garanzia nella gestione dell’interventostraordinario. Ma evidentemente il sistema trovato non èquello giusto. Infatti per la formulazione del piano per ilMezzogiorno, che è un piano quinquennale, abbiamo im-piegato due anni. Certamente questi due anni hanno pe-sato sulla gestione dell’intervento straordinario. Questaprocedura si applica non solo al documento complessi-vo; si applica parzialmente a quasi tutti i programmi dispesa. Alla scadenza si impone quindi il problema dellarevisione. Revisione peraltro avvertita dopo la promul-gazione della «183», perchè con legge si è modificata lacomposizione del consiglio di amministrazione dellaCassa per il Mezzogiorno e la composizione delComitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali.Noi constatiamo che questa nuova legge, per quanto ri-guarda la composizione del Comitato dei rappresentantidelle Regioni meridionali non è neppure applicata; cirendiamo conto pertanto delle incongruenze che tuttequeste innovazioni finiscono con il realizzare, presen-tandosi esse non talmente significative da poterle appli-care.

Voglio fare una indicazione di esperienza personale,per dimostrare come si sia realizzata, in questa somma dipassaggi, una istituzionalizzata confusione di ruoli, unaripetuta sovrapposizione di ruoli, che ha avuto come ri-

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sultato la deresponsabilizzazione di tutti. Se si fa oggiuna critica, la Cassa per il Mezzogiorno risponde che re-sponsabili sono le Regioni, le Regioni rispondono che èla Cassa per il Mezzogiorno, la Cassa per il Mezzogiornoreitera che è il Ministro, il Ministro contraccusa dicendoche sono le Regioni, le Regioni dicono che è laCommissione interparlamentare. Insomma si è creato unsistema che, per la confusione e la sovrapposizione, nonconsente di responsabilizzare in maniera precisa chi de-ve gestire l’intervento straordinario. La mia esperienza èquella di componente del Comitato dei rappresentantidelle Regioni meridionali. Vi ho partecipato sin dal suosorgere per delega del mio predecessore: vi partecipo inquesto momento nella qualità.

Il Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridio-nali aveva, nello spirito della «183», un compito ben pre-ciso, che era quello di essere realmente incidente nellescelte di carattere generale della programmazione del-l’intervento straordinario. Il Comitato dei rappresentantidoveva costituire il momento di partecipazione e di sinte-si della programmazione dell’intervento straordinario nelMezzogiorno. Che cosa è diventato? È diventato il sitodove ciascun rappresentante e ciascuna regione segue lasingola ottica, si occupa del singolo progetto. Perchè que-sto ruolo, che invece dovrebbe appartenere alla Cassa peril Mezzogiorno? Per il semplice fatto che la Cassa, primaancora che cominciasse a funzionare il Comitato dei rap-presentanti, si è appropriata del ruolo della programma-zione dell’intervento straordinario. Come in ogni rappor-to sociale ciascuno occupa lo spazio che trova, così, dopoun tentativo di braccio di ferro tra il Comitato dei rappre-

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sentanti e la Cassa per il Mezzogiorno, l’unico spazio daoccupare era quello. Il Comitato dei rappresentanti si èsvilito ad essere un luogo di verifica di programmi ese-cutivi e di singole opere dei programmi. Si è trovato, que-sto Comitato, schiacciato dalla pretesa della Cassa per ilMezzogiorno di continuare a esercitare un ruolo che po-trebbe essere esercitato, in mancanza del Comitato deirappresentanti, dal Ministro, dalla Commissione interre-gionale, dal CIPE. La Cassa continua a ritenere di potereoperare come operava prima della «183». E questo è ungrosso peso nell’intervento straordinario. Oltre all’inva-denza della Cassa c’è la presenza del Ministero che, purnon avendo strutture sufficienti, ha finito con l’essere ilcontraltare della Cassa per il Mezzogiorno, a livello disingole cose. Noi abbiamo creato una serie di organi chesi sono tutti voluti occupare del contenuto dei singoliprogrammi: tutto questo, ovviamente, è stato non solo ascapito di una visione complessiva e programmata, ma ascapito anche della celerità della spesa. Il Comitato haperduto la capacità di sintesi, perché ogni regione ha ge-stito il «suo».

Questo certamente non è compatibile con la costitu-zione di un organo collegiale. Basti pensare che la primafase della «183» indica nelle regioni gli organi propo-nenti dell’intervento straordinario. Da questa realtà, daquesta esperienza, vissuta riunione per riunione, scaturi-sce l’esigenza di una modifica radicale dell’organizza-zione dell’intervento straordinario, che sappia salva-guardare, questo è il punto, sia l’esigenza dell’efficienzasia l’esigenza politica irrinunciabile di momenti di parte-cipazione e di garanzia.

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Io debbo, fatta questa valutazione, riferirmi ai com-portamenti e agli atteggiamenti, nei confronti della poli-tica meridionalistica, di una serie di realtà istituzionaliche si occupano del problema del Mezzogiorno.

E comincio dalle regioni, anche qui, ieri, chiamate al-la responsabilità determinante, non solo come organipartecipanti dell’intervento straordinario, ma come or-gani indispensabili. Io non voglio fare l’avvocato d’uffi-cio delle regioni. Le regioni meridionali, tutte le regioni,si trovano oggi sotto un concentrico attacco. Molto puòdirsi sulla efficienza delle regioni, molto può dirsi sullacapacità non pienamente dimostrata delle regioni di es-sere momento di sintesi nella gestione della vita econo-mica delle comunità amministrate, molto può dirsi sulleregioni come momenti di partecipazione al sistema dellaspesa pubblica nazionale. Io però voglio dire questo:guardiamo, come diceva ieri Borgomeo, il senso di que-sta resistenza antimeridionalistica; da quali moventi,verso quali finalità può essere indirizzato questo attacco.Perchè di questo si tratta. Si vuole creare, soprattutto nel-l’opinione pubblica, nelle realtà politiche, una condizio-ne di pesante difficoltà delle regioni, nella richiesta diraggiungere quella dimensione complessiva di poteri e distrumenti che è indispensabile per le proprie finalità.Dicevo che non voglio apparire il difensore delle regioni,perchè ho subito ammesso che ci sono tante cose da fareper mettere le carte in regola. Oltre a segnalare la prove-nienza e le finalità di questo attacco alle regioni, credoche vadano dette alcune altre cose, perchè è necessarioricercare le cause di questi mali della vita regionale perporvi rimedio.

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Infatti — questo lo dico con certezza, per quel che miriguarda — è ingeneroso attribuire soltanto a cause inter-ne gli errori e i ritardi delle regioni. È questa una valuta-zione che tutte le regioni hanno fatto unanimemente, per-chè i motivi di alcune insufficienze sono obbiettivamen-te identificabili e quindi eliminabili. Anzitutto le regionimeridonali: credo che si ipotizza un giudizio sulle regio-ni meridionali che ignori le realtà delle società meridio-nali, lo faccia perlomeno con superficialità. La gestionedel «quotidiano», di ciò che sopravviene, la gestione del-l’emergenza, dei quotidiani e sempre nuovi punti di crisi,sono una realtà che toglie alle regioni meridionali buonaparte delle energie dedicabili ad una impostazione più or-ganica del proprio lavoro. Questo è uno dei dati peculia-ri di differenza tra le regioni meridionali e le regioni delnord, le quali, prive di tali pesi, possono svolgere in con-dizioni diverse il loro lavoro. Ma se andiamo dentro iproblemi, dentro l’utilizzazione delle risorse, ci accor-giamo che nelle regioni meridionali gran parte delle ri-sorse sono tuttora da destinare a condizioni strutturali dibase, prive di effetti diretti di produzione di reddito negliinvestimenti.

All’inizio dicevo che noi abbiamo tuttora condizionie livelli di strutture civili (acquedotti, fognature), noi ab-bamo tuttora nelle nostre campagne insufficienze strut-turali per strade, elettrificazioni, che assorbono e assor-biranno gran parte delle risorse finanziarie delle regioni,e comunque dei programmi di spesa pubblica nelMezzogiorno.

Tutto questo non ha niente a che fare con una politicaed una spesa pubblica in direzione di fatti produttivi, ri-

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generatori in maniera autosufficiente di nuove ricchezze;siamo a quelle condizioni di base che sono indispensabi-li, ma non sono direttamente produttive di effetti econo-mici reddituali. E poi c’è il problema fondamentale dellaoccupazione, del dramma di trovare in continuazione so-luzioni particolari, soluzioni tampone, soluzioni che pos-sono non apparire organiche, non sono organiche, ma so-no risposte da dare per «tenere» il tessuto sociale delle re-gioni meridionali.

Sembrerebbe da questo panorama, che non ci possaessere una possibilità di gestione programmata, organicanelle regioni meridionali. Non è così.

Questo va detto per evidenziare quanto sia più diffici-le distaccarsi dal quotidiano per guardare ai disegni com-plessivi. Vanno fatte queste cose, ma non possono esserefatte trascurando ciò che ogni giorno è davanti all’impe-gno delle forze politiche e delle forze sindacali.

Questo va detto non per giustificarsi — questa è unarealtà molto evidente — ma per fare presente che, ob-biettivamente, talune condizioni difficili non possono es-sere trascurate.

Ma da tutto questo deriva un’altra considerazione cheriguarda la accusa di inefficienza alle regioni meridiona-li. Molto spesso si ha l’impressione che il sistema co-struito dall’intervento pubblico sia un sistema costruitoin maniera omogenea, in una sorta — immaginiamo —di rete di distribuzione per tubi. Non ci si accorge, o nonci si è voluti accorgere che la portata dei tubi della rete èdiversa secondo le varie realtà e che questi congiungi-menti non funzionano, non possono funzionare, perchèci sono realtà che hanno diametri molto più larghi e delle

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realtà che hanno diametri molto più piccoli; ciò malgra-do, si continua a tentare di imporre la stessa circolazione.Questo è anche un errore di valutazione di chi non vuolearticolare il sistema di funzionamento dell’apparato pub-blico.

Premetto questo non per giustificare nessuno, perchèdi ritardi, di colpe, di negligenze ce ne sono tante, ma per-chè dovremmo tutti andare — per non offrire alibi — al-la ricerca delle motivazioni, affinchè tutti insieme si pos-sano eliminare le cause e andare con maggiore impegnoin avanti.

Ci sono fatti macroscopici in questa disfunzione, inquesta mancanza di raccordi. Basti citarne uno: nella leg-ge «183» c’era l’art. 7 (se non ricordo male), che asse-gnava alle varie regioni, per i propri piani di sviluppo, co-spicui stanziamenti. Noi abbiamo iscritto nel bilanciodella Regione degli anni 78, 79 e 80 (lo stanziamento eraper un triennio) la somma assegnata alla Sicilia.Abbiamo utilizzato questo stanziamento con la legge 34del 1978 (legge d’«emergenza»). Il risultato qual è? Chequeste somme alla Cassa per il Mezzogiorno risultanoresidui, perchè la Cassa non ce le ha versate; noi le ab-biamo già impegnate e cominciamo a pagare con i fondidel bilancio regionale.

A noi questo sta bene, perchè purtroppo abbiamo unatale pesantezza di situazione di cassa che il problema dianticipare, dal punto di vista dell’erogazione, questesomme non ci crea problemi, ma è la dimostrazione dicome questi vasi siano comunicanti per modo di dire. In-fatti alla Cassa questi 3000 e passa miliardi figurano co-me residui, non impegnati; noi siamo già alla erogazione

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di queste somme, per le singole opere. Potrei fare lo stes-so esempio in altro settore: l’edilizia scolastica. Noi ab-biamo iscritto nel nostro bilancio le somme per i piani diedilizia scolastica ma lo Stato ritarda a versarli. Quindi,là figurano somme non spese, nella realtà sono sommegià impegnate.

Ho citato questi due esempi non per poter ritorcerel’accusa da parte delle regioni meridionali, perché —credo — siccome siamo tutti entità appartenenti ad un’u-nica istituzione che è lo Stato, questo tipo di polemicanon serve assolutamente se non a screditare le istituzionipubbliche; ma per dire come i meccanismi non hanno ra-gionate e razionali forme di collegamento e di coordina-mento. Ma c’è una ragione che riguarda tutte le Regioni,che deve essere pur detta, per motivare altre forme di in-sufficienza dell’azione regionale. Sono due, queste ra-gioni fondamentali. Una si è realizzata dopo la costitu-zione delle regioni ed è costituita da una sorta di riappro-priazione di poteri da parte del governo centrale, ed, inogni caso, da una sorta di pesante condizionamento delleregioni, attraverso quella politica di settore che contienenorme minuziose, non facilmente conciliabili con la ge-stione organica, libera e programmata, da parte delle re-gioni, di quegli stessi settori.

Talune norme lo sono in forme macroscopiche e cer-tamente contraddittorie. Basta vedere la legge «quadri-foglio» o la legge «675» per rendersi conto come non so-lo manchi qualsiasi raccordo tra funzione centrale e fun-zione regionale, ma come le attività che scaturiscono daqueste due leggi di settore, indiscutibilmente importanti,renderanno la politica delle regioni, nei settori medesimi,

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certamente condizionata da scelte che vengono dal difuori. I condizionamenti arrivano al punto da apparireanche delle «prese in giro». L’una e l’altra legge preve-dono forme di partecipazione delle Regioni, ma quandonoi siamo stati chiamati, come Regioni, a dare i pareri ri-chiesti sui programmi della «675» abbiamo depositatoun documento che, di fatto, era la dimostrazione dellaimpossibilità di una partecipazione reale.

Infatti, da un lato si riscontra una penetrazione a fon-do di carattere normativo, dentro i settori prescelti checostituisce la premessa di scelte «verticali», le quali fru-strano ogni disegno programmatorio delle Regioni; dal-l’altro — e la considerazione riguarda il Mezzo giorno —la logica, nella politica industriale, dei piani di settore èuna logica che, finalmente, privilegia il più forte. Il piùforte in tutti i settori è il Nord, non è certamente il Sud.Questi sono quindi i due aspetti: il riappropriarsi di com-petenze da parte dello Stato (la legge finanziaria dell’an-no scorso rifinanziava una serie di spese trasferite alleRegioni; la legge «Quadrifoglio», così com’è impostata,restituisce al Ministero dell’agricoltura una serie di spe-se che sono delle Regioni); e la giusta scelta del trasferi-mento di nuove competenze alle Regioni, al di là di quel-le materialmente gestite negli ultimi anni, accompagnatadalla non contemporanea possibilità di organizzare strut-turalmente in modo diverso le Regioni stesse.

Ma pensate al processo di trasferimento di competen-ze alle Regioni, che impone altre specializzazioni (dallalotta alla droga, alla riforma sanitaria, dall’assistenzaagli handicappati ai problemi di tutela dell’ambiente),senza che ci sia data la possibilità, nè per indicazione del-

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lo Stato né per capacità proprie della Regione, di organiz-zare a gestire questi problemi. C’è l’aggravante, invece,che lo Stato trasferisce alle Regioni i dipendenti degli en-ti disciolti, cioè di quegli enti a finalità ritenute inutili, iquali hanno una preparazione professionale certamenteinconciliabile non solo con la gestione di fatti specifici,come quello della lotta alla droga o della tutela dell’am-biente, ma perfino con la gestione di fatti di ordinaria am-ministrazione. Si tratta infatti di personale formato esclu-sivamente in attività minuziosa e specifica, ritenuta su-perflua o inutile per il pubblico interesse, tanto è vero chesono stati sciolti i relativi enti. Ora la somma di tutte que-ste cose, obiettivamente, senza voler togliere nulla alla re-sponsabilità e ai momenti di insufficienza delle Regioni,certamente ha costituito condizioni di appesantimentograve delle Regioni e sopratutto di quelle ordinarie, chenate recentemente, stavano modellandosi in una struttu-ra ancora fragile, che rischia di essere travolta da questeriforme.

Dopo le Regioni, l’attenzione va rivolta alla realtà na-zionale. Io sfuggirò alla facile tentazione di esaminarescelte di politica economica, innovazioni nel sistema as-sistenziale, tagli della spesa pubblica e di quella socialein particolare. Tutto questo è presente nel dibattito diquesti anni, di questi mesi, di queste settimane.

Per quanto riguarda l’esperienza della nostra Regio-ne, il dibattito su queste cose ha visto momenti unitari divalutazione; per esempio, quando sul documento Pan-dolfi, sul cosiddetto «Piano triennale», noi facemmo del-le valutazioni molto severe da una parte ma costruttive epropositive dall’altra, che ebbero il consenso e la conver-

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genza di larghissime forze politiche, soprattutto di quellepopolari e democratiche. Quindi non ritorno su questi ar-gomenti, perchè dò per scontato come sia unanimamentericonosciuto che recenti, anche recentissime, decisioni escelte hanno un taglio che ignora la realtà meridionale,che finisce per avere effetti perversi in direzione dell’e-quilibrio, determinando invece fatti di squilibrio.

Collegandomi anche a quello che ha detto ieriBorgomeo io chiedo: com’è possibile immaginare che cisia una concreta prospettiva di sviluppo tagliando la spe-sa pubblica e comprimendo quella sociale? Abbassandoulteriormente i livelli minimi di condizione di vita nelMezzogiorno, come è possibile pensare che questa poli-tica sia di interesse nazionale? Diceva ieri Borgomeo: ilpeso del Mezzogiorno sulla comunità nazionale è indi-scutibile, ma immaginare che il Mezzogiorno possa resi-stere, anche sul piano delle tensioni sociali, aggravando-ne le condizioni attraverso la compressione della spesapubblica, attraverso l’abbassamento dei livelli minimi direddito, è una follia. Tralascerò quindi questi aspetti dipolitica economica di carattere generale (che sono, però,una dimostrazione di incoerenza quotidiana rispetto allaconclamata scelta meridionalista) per passare ad alcuniesempi, ad alcune indicazioni specifiche, relative allaspesa diretta dello Stato.

Vero è che con la creazione delle Regioni gran partedella spesa diretta dello Stato ha subito vistosi tagli, ma èaltrettanto vero che, al di là dell’intervento straordinarioper il Mezzogiorno, non c’è alcun’altra destinazione dispesa. Come se l’intervento straordinario non fosse unfatto aggiuntivo, integrativo, riequilibratorio, ma fosse

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un fatto sostitutivo dell’intervento dello Stato nelMezzogiorno. Ci si dice: voi avete i famosi 20 mila miliar-di della «183». Ebbene li abbiamo dal 1976, sono sempregli stessi. Spesa ordinaria non ce n’è. Tutti gli stanziamen-ti gestiti dal Ministero dei LL.PP. con la legge finanziariadello scorso anno, sono stati divisi in tutto il territorio na-zionale, tranne quelli per opere igienico-sanitarie destina-ti per intero al Mezzogiorno. Taluni di questi stanziamentisono stati destinati in prevalenza al Nord del Paese; dove iproblemi spingono, gli interessi premono, dove, certo, inuna visione astrattamente economistica la costruzione diun tratto di strada o la costruzione di una infrastruttura ae-roportuale, economicamente è più spiegabile. Ma se sia-mo in questa logica, non siamo certo in una logica meri-dionalistica. Lo stesso vale per le partecipazioni statali.Qual è stato il ruolo delle PP.SS. nel Mezzogiorno? Certo,se si fanno i paragoni, giocando sulla statistica e sulle per-centuali, si può anche dimostrare che l’incremento dellePP.SS. nel Mezzogiorno, nel dopoguerra, è stato molto piùforte che altrove. Vivaddio: si partiva da sottozero! Maquale è stato il ruolo veramente promozionale delle PP.SS.? Se noi consideriamo, in relazione agli ultimi dieci an-ni o anche a un tempo più breve, quali nuove iniziative oprelievi di iniziative esistenti le PP.SS. abbiano fatto, e do-ve li abbiano fatti, ci accorgiamo che c’è non direi una con-traddizione, ma una violazione di legge.

Noi siamo grati al Parlamento per avere dettato unaserie di norme che sanciscono vincoli legislativi relativia percentuali di investimento nel Mezzogiorno per lePP.SS. per la spesa pubblica. Ma lo stesso Parlamentonon ha mai tratto le conseguenze dalla constatazione del-

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la violazione costante di queste percentuali. Se guardia-mo le percentuali di investimenti nel Sud delle PP.SS.,troviamo che forse nella telefonia (nella telefonia noncome industria ma come impianti di rete telefonica) c’è ilrispetto della percentuale nel Mezzogiorno, perchè sitratta di consumi.

Analoghe osservazioni valgono per tutte le altre strut-ture, per investimenti o promozionali o di assistenza (loIASM, lo stesso FORMEZ, la INSUD).

In proposito ci sono da fare due considerazioni (le hagià fatte ieri l’ing. La Cavera): sono troppe e ognuna vaper conto suo. Le sovrapposizioni sono ricorrenti, ma i ri-sultati sono pressocchè inesistenti. Io posso dire respon-sabilmente, da presidente della regione, che di questi en-ti, alcuni non li conosciamo affatto, se non per la visita diqualche funzionario che si presenta per fare dichiarazio-ni di buoni propositi.

Vogliamo considerare come sono utilizzati gli intel-lettuali del FORMEZ, se i quadri dirigenti e i quadri do-centi del FORMEZ siano meridionali o siano di altre uni-versità? Se dovessi fare un accertamento sul corpo do-cente siciliano utilizzato dal FORMEZ, dovrei trarne unaconclusione estremamente amara. E non per il corpo do-cente universitario siciliano, dove energie di qualità cer-tamente si trovano, ma per un andazzo che nel FORMEZrispecchia quello di carattere generale. Il problema è diguardare — come è stato detto ieri — dentro questi stru-menti, non per il gusto di cancellare o di tagliare, ma pervalorizzare ciò che c’è di buono, per articolarli meglio,per arrivare a momenti realmente efficaci di promozionee di iniziativa industriale.

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Ieri l’ing. La Cavera avanzava l’ipotesi di una finan-ziaria regionale, che avesse però una rete di sportelli nel-le varie regioni. Io sono convinto, a questo proposito,che, se è vero che le realtà meridionali sono diverse, equindi c’è bisogno di un osservatorio locale e di un coor-dinamento, è altrettanto vero che il Mezzogiorno è unarealtà che ha alcuni problemi essenziali identici, alcuniobiettivi identici; quindi la esigenza di una dimensionecomplessiva è irrinunciabile, se non si vuole cadere nelparticolarismo e nella concorrenza. Pensiamo cosa suc-cede con le finanziarie che si battono per avere incre-mentati i fondi di dotazione o per fare politiche, ognunaper conto proprio, magari ripetendo le iniziative indu-striali, rendendole concorrenti e quindi, in prospettiva,destinate a crollare. In questa giungla di enti, di istituti, diiniziative, si avverte realmente l’esigenza di riesaminaretutta la materia, con lo sguardo sereno e distaccato, senzal’interesse di difendere questa struttura o quella soluzio-ne, per prendere il meglio, lasciare cadere ciò che non ser-ve, coordinare rigorosamente l’azione di queste entità.

Un’altra istituzione che mi pare opportuno ricordare,è il CNR. Cosa questa istituzione fa per correggere larealtà, vergognosa, per cui il 14% della spesa relativa al1977 — è il mio ultimo dato — era destinato alMezzogiorno e l’80% al centro-nord?

Il numero dei ricercatori, finanziato dai piani delCNR, nel Mezzogiorno è ridicolo rispetto a quello delcentro-nord e del nord del Paese. Certo, ci sono condi-zioni di partenza che favoriscono questo enorme squili-brio; ma questo «gap» si deve in qualche punto annulla-re. Ma, perchè mai questi centri di ricerca, in una realtà

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ormai talmente indifferente ai mezzi di collegamento,debbono continuare ad essere ubicati in determinatearee? Questo riguarda non solo il CNR, riguarda anchegli altri centri di ricerca, relativi sia all’amministrazionepubblica sia alle partecipazioni statali. Riguarda anche,in qualche maniera, la ricerca destinata ad attività fuoridel Mezzogiorno, fuori anche dal resto del Paese.

Seguendo la spinta verso l’espansione del settore ter-ziario, perchè non ci deve essere anche lì una scelta chefavorisca il Mezzogiorno? Credo, peraltro, sia sufficien-temente dimostrato che il Mezzogiorno è capace di for-nire apporti ed energie umane ed intellettuali qualificateper questo tipo di impegno. Abbiamo finalmente avutodal CNR, quest’anno, un capovolgimento di tendenza.Hanno riconosciuto nel Mezzogiorno, nella nostra isolain particolare, un numero di centri di ricerca uguale aquello degli ultimi 25 anni, tutti in un anno.

Benissimo; ma ancora non funzionano. Comincia asorgere il sospetto che il CNR li ha istituiti, ma ora vuoleche la Regione ne paghi una parte.

Settore creditizio: non c’è dubbio che una politicameridionalistica non può prescindere da un apporto delsettore creditizio. Ebbene se noi guardiamo i dati del cre-dito agevolato, previsto in tutte le leggi dagli anni ’60 inpoi, troviamo cifre che forse dovrebbero essere cono-sciute meglio per valutare la gestione del credito agevo-lato. Io ne citerò soltanto alcune, perchè mi sembra chene valga la pena. Sono dati alla fine del ’77. Sulla legge«626», 1’81,4% del credito agevolato è stato utilizzato alNord, il 13% nell’Italia centrale. Fate la somma, 81,4 più13,6 fa 95%; il resto del credito agevolato è stato utiliz-

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zato nel Mezzogiorno. Sulla legge «949» il 97,3% nelCentro-Nord, il 2,7% nel Mezzogiorno. Sulla «623» —c’è stato un certo miglioramento – il Mezzogiorno arrivaal 32%. Ma la somma di questi tre dati è sconcertante.Uno strumento realizzato con l’apporto del pubblico de-naro, che non potrebbe non essere finalizzato al riequili-brio territoriale, è gestito dal sistema creditizio fuori daogni logica e da ogni indirizzo politico. Qui il problema èpiù complesso; cioè, se è possibile che il sistema crediti-zio gestisca strumenti, come il credito agevolato — chesono alimentati dal pubblico denaro — in una valutazio-ne del tutto estranea e contraddittoria con le finalità chehanno assunto il governo e il Parlamento nell’offrire in-centivi di questo tipo. Ci sarebbe in questo settore moltoda dire, ma il tempo scorre velocemente.

Vorrei ricordare il costo del denaro e domandare per-chè il sistema bancario, totalmente centralizzato, debbafare pagare alle regioni meridionali il denaro ad un co-sto più alto. Abbiamo sentito dire che la rete degli spor-telli nel Mezzogiorno costa di più; ma perchè mai que-sti costi non debbono essere distribuiti nella gestionenazionale dei grandi istituti e debbono essere scaricatiinvece nel Mezzogiorno, quando il risparmio è alimen-tato dal Mezzogiorno ed è offerto per gli investimentidel Nord?

Ci sono quindi tante cose che portano a fare la consi-derazione amara che nella gestione della politica meri-dionalistica, tra i proclami e le scelte quotidiane c’è unacontraddizione, che è assolutamente intollerabile e difronte alla quale non ci può essere la rassegnazione degli«autoflagellanti» che ieri sera Piero Barucci intravedeva.

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Deve esserci, invece, la caparbietà di chi vuole che,sia pure con gradualità, le cose cambino. Connesso al set-tore creditizio c’è il settore creditizio pubblico. Ad esem-pio la Cassa depositi e prestiti. Vero è che ci sono dei ri-tardi da parte degli Enti locali nell’utilizzare le agevola-zioni offerte. Io ho rivolto ai Comuni siciliani un appello— l’aveva fatto prima l’Assessore agli EE.LL. — perchètrovino tutti i modi per utilizzare le risorse della Cassadepositi e prestiti, le quali, per la prima volta, sono sud-divise fra le regioni, e quindi sono garantite a ciascuna re-gione. Ma anche qui non si ritiene che il sistema di ero-gazione sia uguale tra i comuni del nord e i comuni delMezzogiorno, perchè diversa è l’offerta dei cespiti e del-le garanzie.

Gli EE.LL. del Mezzogiorno non potrebbero mai of-frire determinate condizioni, per acquisire questi benefi-ci. Quindi nel settore della finanza locale, nel quale c’èuna profonda sperequazione tra i comuni del sud e i co-muni del nord, bisognava trovare sistemi diversi di ope-razioni creditizie, in favore degli EE.LL. Se ci riferiamopoi alla politica statale in rapporto con l’estero (politicacomunitaria, ecc.), ci accorgiamo come anche qui ci sia-no delle cose che stridono con la politica meridionalisti-ca. Ecco perché all’inizio dicevo che, indipendentemen-te dal fatto di esserci o non esserci un problema delMezzogiorno, c’è un problema di «antimezzogiorno»,che crea la necessità di una politica meridionalistica.

È purtroppo una costatazione che, anche di fronte adatteggiamenti responsabili che la realtà meridionale hasaputo assumere soprattutto negli ultimi tempi, senzapunte di contestazione o di rivendicazionismo, ciò che

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avviene nei confronti del Mezzogiorno ha il segno del«contro», non il segno dell’indifferenza. Credo che siimpongano a questo punto alcune valutazioni, prima diarrivare a delle proposte. Una riguarda le forze politiche,le forze sociali, le forze culturali. Dico subito che tra gliinterlocutori che contano, il sindacato certamente (nonper intero) ha guardato al Mezzogiorno come ad un pro-blema che lo impegna direttamente. Lo abbiamo verifi-cato in tante occasioni. Non in tutte.

Ieri sera, nella replica, Borgomeo ha voluto (ed è ap-prezzabile) sottolineare questo aspetto, dicendo che an-che da parte del sindacato poteva e potrebbe essere fattodi più. Però va detto con estrema chiarezza, il sindacatoha offerto delle condizioni che dovevano essere raccolteper alcune scelte a favore del Mezzogiorno. Non si puòchiedere peraltro al sindacato di indicare strade che poinessuno vuole percorrere.

Il problema riguarda complessivamente la realtà delnostro Paese. La realtà imprenditoriale, certamente, è as-sai colpevole nei confronti del Mezzogiorno. Questo cre-do sia incontestabile anche con riferimento all’imprendi-toria del Mezzogiorno. Quest’ultima, se ha esempi certa-mente meritori di intraprese coraggiose, con risultati fe-lici, ha anche numerosi esempi di inerzia e di insufficien-za, forse per una sorta di complesso di inferiorità nei con-fronti della realtà imprenditoriale organizzata nazional-mente. Il problema riguarda, però, principalmente le for-ze politiche, soprattutto quelle che, per il loro caratterepopolare, dovrebbero esprimere un potenziale di rispostaal Mezzogiorno.

Desidero riferirmi alla introduzione di Scoppola,

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quando diceva, ieri, che nel messaggio di Sturzo il pro-blema del Mezzogiorno, come in ogni visione a caratterepopolare, non è una porzione di programma, non è unaparte di impegno, ma è quasi la identificazione di un pro-gramma perchè è problema di popolo. Quindi alle forzeche hanno i connotati popolari si pone l’esigenza di tro-vare, in maniera irrinunciabile momenti di valutazionecome per una strategia che copra, almeno parzialmente,la risposta al Mezzogiorno. Io credo — non è una novità— che il problema del Mezzogiorno (l’ha detto ieri ancheCampione) sia l’occasione perchè su alcuni temi si veri-fichi una strategia delle intese, una capacità di aggrega-zione in direzione di una proposta, che sia al servizio dicomuni interessi di progresso e di sviluppo della realtàpopolare del Mezzogiorno. Mi è venuta estemporaneal’idea, stamattina chiacchierando, che potrebbe essere si-gnificativo, per esempio, se in Sicilia si riuscisse, con unconfronto serrato sui contenuti di una proposta che ri-guardi l’intervento straordinario, ad avanzare una «leg-ge-voto» che indichi, per quella che è la valutazione diuna regione come la nostra, quali possono essere talunerisposte, alla scadenza della legge sull’intervento straor-dinario. Sono convinto infatti che su questi temi c’è real-mente la possibilità di verificare il consenso, di raggiun-gere pienezza di intenti sulle soluzioni da prospettare.C’è un altro problema: è quello della pubblica funzione;tenendo presente le insufficienze delle Regioni, delloStato, degli organismi pubblici, emerge in tutta la sua at-tualità il problema del recupero della loro funzionalità edi efficienza. Non per privilegiare — l’ho detto all’inizioa proposito della «183» — valutazioni e valori di caratte-

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re efficientistico, ma per assicurare strumenti necessari aconseguire alcuni obiettivi. Credo che ci sia questo pro-blema, che riguarda lo Stato, gli enti pubblici, le Regioni,i Comuni, di un recupero di funzionalità ed efficienza,salvaguardando la piena e partecipata forma di democra-zia e di garanzia nella gestione.

Altrimenti continuerà ad essere poco credibile l’im-magine della pubblica funzione, che è già logorata, an-che per il fatto di avere scelto — giustamente — la stradadella estensione, in maniera penetrante, della presenzadella mano pubblica nella vita sociale, civile ed econo-mica, senza aver saputo adeguarne opportunamente lestrutture. Come possiamo pretendere che una struttura euna organizzazione pubblica, costruita tanti decenni ad-dietro, per determinate finalità, sia oggi in grado di ri-spondere a finalità totalmente diverse, profondamenteimpegnative, che non si limitano a gestire l’ordinario, mache promuovono nel vivo della società interventi di natu-ra economica, di natura culturale, di servizi civili, esi-gendo qualificazioni professionali altissime? Queste,nella pubblica amministrazione tradizionalmente eranoriferite soltanto alle opere pubbliche o a qualche altrocampo, non certamente ai servizi sociali o a quelli sanita-ri, o a quelli, talvolta più specifici, previsti dalla nuovalegislazione.

Dopo questa carrellata, passo — anche per non tratte-nervi a lungo — alle proposte. Esse sono, in sintesi: man-tenimento dell’intervento straordinario, modificando pe-rò il ruolo della Cassa per il Mezzogiorno. Credo che nel-la Cassa per il Mezzogiorno ci sia un livello di professio-nalità che non può essere disperso; questo livello di pro-

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fessionalità può essere esaltato invece ove alla Cassavengono affidati compiti di natura essenzialmente tecni-ca. Non capisco il senso di un Consiglio di amministra-zione della Cassa per il Mezzogiorno, che sia momentodi valutazione identico a quello del Comitato dei rappre-sentanti delle Regioni meridionali, del Ministro per ilMezzogiorno, del CIPE e anche della Commissione par-lamentare. La Cassa per il Mezzogiorno deve ritornaread essere quella che fu pensata all’inizio: una sorta diAgenzia che abbia snellezza di iniziativa, che abbia la ca-pacità di essere libera da procedure e da valutazioni poli-tiche.

C’è un’altra considerazione che riguarda l’interventostraordinario, di cui parlai lo scorso anno a Pescara aduna manifestazione del mio partito e che voglio qui riba-dire. Bisogna avere il coraggio di dire che l’area benefi-ciaria dell’intervento straordinario deve essere ridotta.Se è vero, come è vero, che l’intervento straordinario èun peso per la Comunità nazionale, non si può continua-re a sostenere che il problema del Mezzogiorno è sempredelle stesse dimensioni.

Noi sappiamo che ci sono aree del Mezzogiorno chehanno — per fortuna — raggiunto livelli di organizzazio-ne produttiva e sociale, tali da non essere diverse dallearee del Paese non soggette all’intervento straordinario.

Come si può immaginare la stessa incentivazione perle aree in provicnia di Latina e per quelle in provincia diAgrigento? La provincia di Latina è diventata una pro-vincia con un tessuto produttivo tra i più elevati delPaese; e tuttavia ricade nel Mezzogiorno. Aree comeLatina ce ne sono diverse; basta pensare ad alcune aree

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delle Marche, dello Abruzzo, delle Puglie, anche dellanostra Sicilia (per la verità poche). Continuare a mante-nere incentivi straordinari a queste aree servirà a stimo-lare ulteriori concentrazioni produttive. Quindi credoche si debba porre — e lo dobbiamo porre noi meridio-nali — il problema di una riduzione dell’area dell’inter-vento straordinario nel Mezzogiorno.

Ma non basta l’intervento straordinario. L’interventostraordinario non può che essere parte di una program-mazione generale che abbia come finalità prioritaria, chesia finalizzata alla eliminazione graduale (nessuno credein soluzioni miracolistiche) dello squilibrio tra il Nord eil Sud. Dentro questa programmazione generale apparegiustificato il mantenimento dell’intervento straordina-rio. L’intervento straordinario e, complessivamente, tut-to ciò che attiene agli interventi nel Mezzogiorno (quellidelle Regioni, dello Stato, degli Enti pubblici), è indi-spensabile che si svolga secondo una organica valutazio-ne, una programmazione complessiva.

Mi riferisco ad una proposta che è stata, ieri, fatta dal-l’ing. La Cavera e che coincide con quella che io avevoimmaginato. Noi abbiamo due problemi: la gestione del-l’intervento straordinario ha bisogno di una unicità di re-sponsabilità centrale; ma la gestione delle decisioni, pic-cole e grandi, prese a livello centrale, ha pure bisogno diun unico punto di riferimento, che sia responsabile.Perchè si possa adempiere a queste due funzioni, non sipuò che guardare molto in alto. Bisogna trovare il modo— questo è un tema, ovviamente, da approfondire — peridentificare al vertice del Governo il punto di responsa-bilità della politica meridionalista, nel duplice momento;

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quello della compatibilità tra le scelte complessive conl’obiettivo del riequilibrio territoriale e quello della uni-cità della gestione dell’intervento straordinario e del co-ordinamento degli interventi per il Mezzogiorno. E unasorta di Alta Autorità, che abbia la capacità di garantiresul piano politico, nei confronti degli interlocutori, e del-le forze politiche parlamentari, ma che abbia anche glistrumenti per superare una serie di passaggi e di incrosta-zioni. Questo non vuol dire rinuncia della presenza delleRegioni nell’intervento straordinario: sarebbe una con-traddizione nella quale non intendo cadere.

Dovrebbe restare il momento della partecipazionedelle Regioni, ma non ai fini della gestione, bensì a quel-la della programmazione dell’intervento straordinario,della compatibilità tra intervento straordinario e politicodi sviluppo regionale.

Questo era nella intuizione del convegno di Palermo;era nel proposito del Parlamento, allorchè venne appro-vata la «183»; era lo scopo e la finalità del Comitato deirappresentanti delle Regioni meridionali, costituito daiPresidenti delle Regioni e da una rappresentanza deiConsigli regionali (uno di maggioranza e uno di mino-ranza) in modo che rispondesse alla esigenza di parteci-pazione e di garanzia politica.

Quella sede, dotata delle strutture e degli accorgimen-ti perchè sia realmente momento di partecipazione e digaranzia (non soltanto momento di osservazione superfi-ciale di programmi già redatti) dovrebbe ovviamente ri-manere, assieme alla unicità di responsabilità della ge-stione dell’intervento straordinario.

Debbo dire ora un’ultima cosa, che riguarda i conte-

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nuti di questo intervento straordinario. Si suole sottoli-neare spesso che agricoltura e turismo siano le prospetti-ve del Mezzogiorno. Sono certamente due settori chepossono dare al Mezzogiorno, per vocazione naturale,ulteriori risposte di progresso e di sviluppo. L’agricolturaha segnato nel Mezzogiorno, anche nella nostra regione,momenti di avanzamento e di qualificazione della produ-zione certamente apprezzabili e, quindi, anche momentidi elevazione delle condizioni sociali e di reddito dellacampagna. Ma turismo ed agricoltura non possono esse-re la risposta al Mezzogiorno.

Barucci parlava di chi pensa ad un «Giardinod’Europa» molto vasto. Noi riteniamo che non sia suffi-ciente una visione di questo genere perchè segna uno svi-luppo incompleto e non organico. Occorre anche unosviluppo industriale. Io credo che si è sbagliato nell’i-dentificarlo solo nella grande industria. Questa certa-mente — come hanno dimostrato i fatti — non era la ri-sposta giusta, ma non dobbiamo cadere nell’eccesso didire che le grandi industrie sono di per sè un errore e checi vogliono soltanto le «piccole» e le «medie». Credo chein uno sviluppo complessivo, in una area vasta come ilMezzogiorno o anche in un’area come le singole regioni(la Sicilia, la Campania, le Puglie) non sia immaginabileuno sviluppo industriale che si identifichi solo con le pic-cole e medie industrie.

Ci vogliono le grandi industrie (bisogna vedere di chetipo, perche noi abbiamo avuto le peggiori), così come civogliono le piccole e le medie industrie. In questa dire-zione bisognerà risolvere il problema degli incentivi, deicontributi, dei sostegni ai servizi. Debbo dire che nella

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nostra legislazione regionale abbiamo, da alcuni anni,delle ipotesi di sostegno pubblico per servizi comuni adaziende industriali; non ha avuto molta fortuna questaipotesi per una difficoltà oggettiva, probabilmente, rela-tiva al modo di concepire servizi associati da parte di va-rie imprese. C’è ancora un problema: quello di guardareal terziario in termini più positivi di quanto non sia statofatto nel passato per il Mezzogiorno.

Devo ora fare una valutazione conclusiva, che si rifà aquella iniziale. Il tema dello sviluppo del Mezzogiorno,che ha aspetti non solo di ordine economico, ma aspettivari, anche drammatici, deve richiamare fatalmente leforze politiche a valutazioni unitarie. Non posso non ri-cordare come in queste settimane la Sicilia sia stata tur-bata dalla recrudescenza dei fenomeni antichi che condi-zionano lo sviluppo, e ai quali risposte in chiave com-plessiva, non soltanto in chiave repressiva, tardano a ve-nire. La dimensione di questi problemi, la complessità diquesti problemi, che sono economici, sociali, civili, dicostume, fanno della realtà del Mezzogorno una realtàspecifica.

Proprio per questo si rende legittima e necessaria laricerca di una specificità di risposta politica, a carattereunitario.

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Sicilia: tre problemi sul tappeto (*)

Palermo, 25 ottobre 1979

Il cantiere navale di Palermo escluso dalle commessedella Fincantieri; drammaticamente non risolti i vecchiproblemi della Halos di Licata e della IMSA di Messina;non ancora concluso l’accordo per la pesca con laTunisia; la sospensione delle assunzioni alla Sicilfiat diTermini Imerese; l’inflazione impetuosa che falcidia so-prattutto i piccoli redditi fissi, prevalenti nell’economiasiciliana. Onorevole Mattarella, francamente questo go-verno che lei presiede è ancora adeguato alle esigenze?

Questi problemi sono tutti determinati da comporta-menti e decisioni extra regionali; quindi non si tratta cer-to di adeguatezza o meno del governo regionale, si trattadi adeguatezza o meno, e certamente sono per questa se-conda ipotesi, della politica complessiva nazionale in di-rezione della realtà del Mezzogiorno. Questi punti di cri-si che lei ha citato, emblematici, sono la dimostrazione diuna scarsa sensibilità o per lo meno di una scarsa dispo-nibilità concreta a tramutare le scelte operative, le con-clamate attenzioni per il Mezzogiorno; io credo che il go-

(*) Intervista rilasciata a Vittorio Lo Bianco della RAI. In essa ilPresidente della Regione Mattarella affronta, in maniera concisa ma si-gnificativa, il tema della coerenza meridionalista delle scelte economichenazionali, quello dei rapporti con il Partito comunista e quello della lottaalle infiltrazioni mafiose nell’attività della amministrazione regionale.

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verno della Regione sia da questo punto di vista certa-mente adeguato; abbiamo svolto e continuamo a svolgereun’azione di sostegno delle rivendicazioni occupazionalie produttive di questi punti di crisi, di stimolo nei con-fronti del governo centrale, di iniziativa perché queste co-se vengano sbloccate. Proprio nei giorni scorsi ho chiesto,ed abbiamo concordato col presidente dell’Assemblea, diinvitare i parlamentari siciliani a Roma a discutere questiproblemi perché su questi problemi è indispensabile unamaggiore attenzione, una maggiore iniziativa da partedella realtà nazionale del paese; tutto questo comportaun’azione unitaria; per questo chiamiamo tutti i parla-mentari siciliani. Tutto questo comporta la constatazioneche siamo ancora in uno stato reale di emergenza.

Esiste anche qui una questione comunista? Questo èun problema a cui lei personalmente ha dimostrato di es-sere particolarmente sensibile: in che misura influisceoggi sulla situazione siciliana?

Il problema comunista è un problema nazionale.Credo che chiunque voglia svolgere un ruolo politicocon serietà debba porsi questo problema; ce lo siamo po-sti in tanti nel passato ed io sono tra quelli che lo continuaa porre in direzione del recupero di un rapporto che riten-go indispensabile per affrontare l’emergenza di cui pri-ma parlavamo; non si tratta di inventare formule o di det-tare partecipazioni ai governo, si tratta di creare soprat-tutto ed innanzitutto cose molto più vaste e meno ridutti-ve di una formula di governo: un clima di solidarietàcomplessiva che dia a ciascuno la responsabilità di unruolo costruttivo per risolvere i problemi della società si-

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ciliana sia per le cose che avevo detto poc’anzi sia pertante altre cose più complessive e più generali, dal costu-me da fare evolvere alla gestione di una amministrazionecomplessa, dalle scelte in direzione di vecchi nodi strut-turali da sciogliere ad un processo di adeguamento e di ri-forma dell’apparato pubblico. Sono tutte questioni checertamente richiedono uno sforzo complessivo, soprat-tutto da parte delle grandi forze politiche democratiche.

Ed è possibile creare questo clima in Sicilia secondolei?

Io credo di sì. Credo che anche qualche segnale re-cente possa far dire che in direzione di questo obiettivovada fatto ogni sforzo per recuperare questo clima che èconcretamente recuperabile, ovviamente non chiedendosolo atteggiamenti diversi agli altri, ma avendo la capa-cita di assumere, tutti, atteggiamenti diversi che servanoad una sintesi politica nell’interesse della Regione.

Per concludere, onorevole Mattarella, una questioneprettamente siciliana: parliamo di malia, ma per direche cosa... le consuete lagne generiche e rituali? E allo-ra che cosa si può fare in concreto per esempio nel setto-re degli appalti?

Ma veda, nel settore degli appalti noi abbiamo fatto inconcreto una legislazione nuova, rigorosa, proprio per-chè in questa area si chiudessero alcuni canali che pote-vano prestarsi a forme di intermediazione parassitaria equindi per eliminare condizioni economiche e sociali chefavorissero inserimenti di tipo mafioso. E questa è una

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realizzazione della Regione del periodo di politica di so-lidarietà che va mantenuta nonostante tentativi che ci so-no di modificarla in senso contrario quello voluto, che vamantenuta proprio perchè in questo settore certamentepossono verificarsi infiltrazioni che invece vanno respin-te. Il problema della mafia è però un problema ovvia-mente più complessivo, è un antico male che sarebbeutopistico e illusorio dire che può essere risolto con unalegge o con un intervento miracolistico; certo ci voglio-no le leggi che eliminino le condizioni che favorisconoquesti inserimenti, certo ci vuole un’azione anche di ca-rattere sanzionatorio e repressivo più decisa e più organi-ca, ma ci vuole anche, e non per rifuggire da scelte di ca-rattere politico, ci vuole anche un clima e un costume cheappartiene a tutti i siciliani: se tutti quelli che parlano dimafia si comportassero per isolare la mafia forse avrem-mo già fatto un grosso passo avanti e credo che questadebba essere la cosa che subito possa essere fatta: quellache tutti, tutti coloro che avvertono la gravità di questofenomeno, si comportino per creare condizioni di isola-mento.

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Lavorare con più coraggio per una immagine nuova del-la Sicilia (*)

Cefalù, 13 novembre 1979

Il presidente della vostra associazione, dottorOrlando Scarlata, ha ricordato come, a Favignana, io usail’espressione, riferita agli atteggiamenti reciproci fraRegione e realtà della stampa siciliana, di una caduta ditensione. Io sono ovviamente lieto del fatto che nella re-lazione di poc’anzi Orlando Scarlata abbia voluto sotto-lineare — e di questo gli sono grato — come rispetto aquel momento in cui avevamo fatto una diagnosi di queltipo, oggi ci si ritrovi con dei passi concretamente com-piuti in direzione di quel recupero di rapporto su temi chesono di interesse generale, che non appartenevano o ap-partengono nè a interessi specifici dell’amministrazioneregionale nè ad interessi specifici del mondo dei giorna-listi e vi sono grato di avere voluto ricordare gli adempi-

(*) Testo stenografico dell’intervento del Presidente Mattarella alcongresso dell’Associazione siciliana della stampa svoltosi a Cefalù.

Il Presidente Mattarella si riferisce nel testo agli echi della visita uffi-ciale del Presidente della Repubblica Pertini in Sicilia svoltasi pochi gior-ni prima, il 9 e 10 novembre 1979. In quella occasione il Presidente dellaRepubblica — conversando con i giornalisti — aveva espresso la esigen-za che l’immagine della Sicilia nella stampa e nell’opinione pubblica as-sumesse contorni maggiormente rispondenti alla realtà complessivadell’Isola e non fosse limitata all’identificazione di essa con il problema,pur grave e preoccupante, della mafia. Ciò offrì al Presidente Mattarella lospunto per riprendere un tema sul quale egli era solito insistere.

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menti già realizzati: sia la legge che riguarda le borse distudio, con la nuova impronta che ad essa si è data, sia laproposta di legge che riguarda l’introduzione del giorna-le nella scuola, che sono due atti compiuti dal governo,uno già sancito dal voto dato dall’Assemblea, l’altro conun prossimo avvio dell’esame dello stesso da parte dellacompetente commissione legislativa. Tra l’altro credosiano due fatti di particolare significato, al di là del con-tenuto degli stessi strumenti legislativi.

Abbiamo altre cose da fare in una strategia che nonvuole privilegiare il particolare sul generale, ma che riescaa collocare il compimento di passi in avanti dentro unastrategia complessiva; lo stesso Orlando Scarlata ha ac-cennato al problema della volontà dell’amministrazione,questa volta prevalentemente per un interesse complessi-vo della Regione, di avvalersi della stampa per la finalitàdi diffusione e di penetrazione dell’attività della Regionee per la conoscibilità della legislazione regionale sulleprocedure amministrative da parte degli utenti; di avva-lersi dello strumento della convenzione con organi distampa, perchè questo obiettivamente è il modo più effi-cace, oltre che più moderno, di collegarsi con la realtà.Questo coincide ovviamente con la sottolineazione di unruolo, da parte della realtà della stampa, di servizio allacomunità che viene, attraverso questo ulteriore strumen-to, confermato e confortato.

Questa è una proposta che io ho già sottoposto ai col-leghi della Giunta e che nel prossimo disegno di legge sul-la funzionalità dell’amministrazione regionale sarà inse-rita per essere sottoposta poi al vaglio dell’Assemblea. Ioconto di proporre ai colleghi della Giunta, in quella sede,

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anche il problema degli «uffici stampa» cioè della neces-sità — che è anche questa una necessità che parte dall’e-sigenza di funzionalità dell’amministrazione — di avva-lersi di più dell’utilizzo di giornalisti per la necessità diun collegamento con l’opinione pubblica.

Ma ci sono altri argomenti sui quali ci confronteremonei contenuti nei prossimi tempi; come quello qui propo-sto, di una scuola di giornalismo che abbia quei caratteridi qualità e di capacità di formazione professionale indi-spensabile perchè l’istruzione possa essere ripresa. Voisapete che c’è da lungo tempo una realtà di questo tipo,che certamente però, per essere considerata connessa conl’accesso alla professione, ha bisogno di una radicale, to-tale trasformazione, di un rinnovo della gestione, dellaqualità stessa della sua impostazione. E ci sono certa-mente altre cose anche più complessive, come quella delrilancio dei Consiglio regionale dell’informazione. Io hoassicurato Orlando Scarlata, e lo faremo nelle prossimesettimane, circa la convocazione del Consiglio regionaledell’informazione per riprendere i temi complessivi, au-gurando che nel frattempo la ripresa del dibattito parla-mentare sulla legge dell’editoria ci consenta di avere unpunto di riferimento dal quale partire e sul quale muover-ci per eventuali iniziative complessive che riguardinouna ripresa del tema sul piano legislativo da parte dellaRegione. Nel frattempo io cercherò di avere questo pare-re, rispetto all’utilizzo degli aspetti positivi della senten-za della Corte costituzionale che tutti conoscete, e che fuemanata a seguito della nostra legge regionale. Quindi cisono una serie di cose, alcune fatte, alcune in corso diconcreta proposizione, altre da affrontare nei prossimi

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tempi, che appartengono tutte a quel complesso di rap-porti tra Regione e realtà giornalistica che avevamo con-siderato arrivato ad un punto non certamente apprezzabi-le nei mesi scorsi.

Orlando Scarlata ha qui ricordato anche i problemidella radio e della televisione. Noi abbiamo voluto re-centemente evidenziare o meglio tornare ad evidenziarealla responsabilità degli organi centrali della RAI una si-tuazione obiettiva di carenza, che onestamente non è piùaccettabile nel momento in cui c’è, non solo una incapa-cità e, consentitemi di dire, una non volontà di rispostama c’è una sordità a qualsiasi ricerca di rapporto per va-lutare queste cose. O peggo c’è, per esempio rispetto alproblema della sede della RAI a Palermo, una strana po-sizione di chi è venuto a Palermo, anche autorevolmente,a parlare di questo argomento con il presidente dellaRegione ed anche con il presidente dell’Assemblea, adanalizzare concretamente ipotesi di soluzione, e improv-visamente, dopo avere, ripeto, completamente affrontatoil tema ed enunciato proposte, improvvisamente è scom-parso dal dibattito. Questo tema è stato abbandonatochissà per quali ragioni ed è stato legato, non so se fon-datamente o strumentalmente, ad aumenti di canone e acose di questo genere.

E su questi temi, che appartengono, pur essendo unfatto particolare, complessivamente alla funzione e alruolo dell’informazione e dell’aggiornamento in Sicilia,ci siamo sinceramente impegnati, perchè crediamo chebisogna compiere, da parte di tutti, degli sforzi per crea-re condizioni migliori di quelle attuali, affinchè la fun-zione di questo servizio (perchè di servizio si tratta) pos-

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sa essere espletata nel modo migliore possibile, con tuttigli ausili possibili, con tutti i sostegni possibili che lasci-no integra ed inalterata, come dissi a Favignana, la pienalibertà dell’espletamento di questa funzione, che è unafunzione affidata sopratutto alla qualificazione profes-sionale e alla capacità professionale di ciascuno di voi,perchè risponde, sommata tutta insieme, obiettivamentead una funzione di interesse pubblico rilevante.

Quindi desidero riprendere e sottolineare anch’io que-sta ripresa costruttiva dei rapporti e confermare qui l’im-pegno che assunsi a Favignana, e che è stato tramutato inquesti fatti concreti, di continuare a seguire questi argo-menti con particolare attenzione, con la volontà di conse-guire dei risultati, ripeto, anche a costo di conseguirli pas-so dopo passo, su singoli argomenti ma senza che questotolga nulla alla capacità di vedere il problema nella suacomplessità. Molto spesso il desiderio di risolvere tuttocontemporaneamente è un desiderio che cozza contro lafattibilità, mentre avendo delle linee generali entro le qua-li muoversi, il conseguire i risultati, anche uno alla volta,credo che possa essere una strada percorribile, purchè ri-peto, si rimanga dentro linee e dentro indicazioni che ab-biano valenza complessiva e di carattere generale.

Detto questo desidero fare una sottolineazione rivoltaagli organi dello Stato, perchè sarà consentito certamen-te a chi temporaneamente rappresenta la Regione di rife-rirsi particolarmente agli interessi complessivi della co-munità siciliana. È troppo facile che io riprenda qui ciòche ha detto il Presidente della Repubblica, con una sen-sibilità veramente da sottolineare, per la quale gli rinno-vo qui gratitudine sincera.

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Il Presidente della Repubblica, in quel suo passaggio,si era riferito occasionalmente alla RAI-TV, ma partivada una considerazione complessiva dell’immagine dellaSicilia, immagine della quale certamente la stampa, e tut-ti i mezzi di comunicazione, sono un canale formativo.

Quella mattina era uscita sulla « Repubblica » quellavignetta di Forattini, che, ricorderete, riguardava la no-stra isola, raffigurata in forma di pistola. Noi abbiamotanti guai, abbiamo realmente dei problemi gravissimi eacutissimi che riguardano l’ordine pubblico, la convi-venza civile, il costume dei siciliani, il fenomeno dellamafia, il fenomeno della violenza truculenta e tracotantemanifestatasi in questi mesi. Ma l’identificazione dellacomunità isolana, della Sicilia nel suo complesso conquesta realtà, a chi giova? Giova a combattere questarealtà o giova a far credere fuori e dentro la Sicilia chenon c’è la possibilità di liberarsi da questa realtà, ed ac-creditare una identità tra questa realtà che dobbiamocombattere e tutta la comunità siciliana? Giova ad aiuta-re le forze che vogliono combattere questa realtà e scon-figgerla o dà una patente di forza invincibile alla realtàche tutti insieme vogliano sconfiggere? Ecco io credoche senza pietismi di sorta — figurarsi se possa essereimmaginabile in questo momento, o in qualsiasi altromomento, un invito ad attenuare la gravità del fenomeno:sarebbe una follia, il fenomeno c’è ed è gravissimo —questo deve essere combattuto, ma deve anche essereisolato. Deve apparire, come è, una piaga grave della no-stra Regione che deve essere combattuta, ma deve ancheapparire che c’è nella realtà siciliana chi vuole una realtàdiversa, chi vuole riscattarla da questo aspetto.

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E se ci sono queste due realtà, come ci sono, quantebattaglie e quante testimonianze della vostra stessa real-tà giornalistica sono di questo senso? Se ci sono due real-tà, una da dovere sconfiggere, da dovere combattere, el’altra che vuole realizzare questo combattimento e vuo-le sconfiggere la prima, bisogna che si dia forza a chivuole cambiare questa società, e per dar forza bisognaper lo meno accreditare la tesi che questa seconda realtàci sia. Questo significa che non ci può essere quell’iden-tificazione. E noi troppo spesso — l’espressione è quellafelice del Capo dello Stato — troppo spesso, o quasi uni-camente, siamo in televisione o siamo sui grandi servizigiornalistici per i fatti di cronaca nera.

La Sicilia fa notizia solo in quelle circostanze. LaSicilia non fa notizia per altre cose. Non fa notizia perquelle cose di buono che certamente ci sono. E in fondoquesta è una realtà di cinque milioni di abitanti che vive,che lavora, che produce, che risparmia. È possibile chetutta questa dimensione diventi notizia solo in occasionedi fatti violenti, di fatti di cronaca nera o di fatti di mafia?Certamente non è giusto. Perché può andare in televisio-ne l’inaugurazione dei locali della regione Piemonte, enon ci va un lungo servizio per l’inaugurazione dellaconferenza regionale dell’agricoltura della Regione sici-liana? Perchè non è notizia a livello nazionale una leggeinnovativa che fa la Regione siciliana? Evidentemente ènotizia nell’informazione regionale mentre è notizia na-zionale una identica iniziativa di un’altra regione. Perchèc’è questo clichet che identifica la notizia da portare a di-mensione nazionale che viene dalla Sicilia soltantoquando è in direzione della cronaca nera.

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Ecco io credo che in questa deficienza voi possiate fa-re molto. Che la Sicilia sia colore della natura e degli uo-mini, non c’è dubbio, ma che la Sicilia sia solo colore,questo mi sembra che sia mortificante nei confronti, ri-peto, di una comunità di queste dimensioni, e che ha den-tro di sè anche positive capacità, in mezzo a tanti proble-mi, a tanti drammi, a tante situazioni difficili, a tantepreoccupazioni, a tante prospettive che la crisi economi-ca, la crisi della nostra società ci fanno toccare concreta-mente con mano ogni giorno. Ma, ecco, tutto questo nonpuò portare alla rassegnazione della mancanza di un do-mani, quando una comunità di queste dimensioni vienemantenuta dagli osservatori esterni come identificabilesoltanto negli aspetti negativi? Ecco, questo pericolo del-la rassegnazione, questo pericolo della impotenza a cam-biare diventa credibile. Perchè i nostri giovani debbonopensare, leggendo i grandi giornali d’informazione o ve-dendo la televisione, che la Sicilia è immodificabile, per-chè questa realtà è talmente forte da non essere cambia-ta? Perchè non debbono cominciare a credere che questarealtà non è invincibile? Quando si convinceranno chequesta realtà è vincibile ed è battibile avranno preso piùcoraggio anche loro, anche i giovani che sono così atten-ti, così aperti alle cose che cambiano, ma che corrono ilrischio, crescendo, di apparire dei rassegnati in una co-munità che questi mali non può abbattere e non può di-struggere. Ecco io credo, e mi consentirete la franchezzae sono certo che comprenderete tutti lo spirito di questomio discorso, io credo che il problema non è certamentequello di invocare stesure di veli sui mali che abbiamo.No: la maggiore spregiudicatezza, la maggiore capacità

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di critica possibile; ma anche la maggiore capacità di iso-lare i fatti negativi, che ci sono, per colpirli fino in fondo,per evitare di dare di questa regione un’immagine distor-ta e non comprensibile da parte della comunità nazionale.

Credo che ciascuno di voi possa realmente fare di piùper migliorare questa immagine. Ecco, mi consentireteun’ulteriore prova di franchezza. Io non so, perchè nonsono dentro il sistema e quindi non posso conoscerlo, sevi sia una griglia, se si verifichi una selezione sui serviziche vengono trasmessi ai grandi giornali. Ma perchè nondire — io non sono capace di tenermi dentro le cose —perchè non dire che certe volte alcune corrispondenzedalla Sicilia (a meno che — ripeto — non vi sia un filtroche ne chiude alcune e fa passare solo le altre) sono solodi questo taglio e in questa dimensione? Probabilmenteci sarà una visione di chi gestisce il giornale a livello divertice, che esclude alcune corrispondenze perchè sol-tanto altre fanno notizia. Ma certamente ciò può esseremodificato dal modo particolare della visione con cuiciascun giornalista svolge la sua funzione. È in questospirito che l’esigenza di creare collegamenti più strettitra Regione e realtà giornalistica, tra Regione ed editoria,tra Regione e chi lavora comunque nel mondo dell’infor-mazione va perseguita, proprio perchè ci possano esseretutti gli strumenti di maggiore accessibilità, di maggioreconoscenza di tutto quello che accade nella nostra regio-ne, perchè ci possa essere la possibilità di mostrare l’im-magine più vera, compresa la parte torbida della vita del-la nostra regione, di una società, che non è certamenteidentificabile con gli antichi e nuovi mali che la stringo-no e la tormentano. Questo collegamento io credo di po-

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tervi richiedere in questa mia temporanea funzione, nelmomento in cui il nostro rapporto è passato da una fasereciproca di insoddisfazione a una fase di esecuzione difatti comunemente identificati come positivi. Credo dipoter chiedere in spirito di fraterna amicizia il tentativoda parte di voi tutti di dare questa immagine diversa omeglio questa immagine più vera della nostra regione. Didarla per la funzione che anche all’interno essa può ave-re, ripeto, soprattutto in direzione delle nuove generazio-ni che debbono poter credere, anche attraverso tutto ciòche voi fate, come i mali nostri sono mali che possono es-sere corretti con la volontà, con la caparbietà, con l’im-pegno di tutti.

Non siamo insensibili da rassegnarci di fronte a que-sti mali. Ma occorre anche operare per modificare unaimmagine esterna che continua ad identificare la nostraregione, ripeto, con i suoi mali e con i suoi errori; che cisono e che debbono essere censurati, identificati, colpiti,senza nessuna pietà, ma senza fare, di questa realtà chec’è ma è certamente non riferibile all’intera comunità,l’immagine unica di questa regione, il clichet di una so-cietà arretrata, di una società fatta soltanto di tabù, fattasoltanto di violenza, fatta soltanto di fatti negativi, fattasoltanto di momenti delittuosi, quando invece c’è unarealtà umana che certamente ha tutto il diritto di esserevalorizzata, di essere sottolineata. Una realtà nel com-plesso certamente non peggiore di quella di altre realtàdel nostro paese e della comunità nazionale in generale.

Ecco, questa riflessione così franca e aperta, senzanessuna pretesa di alcun genere, io ho voluto farvi perchèho avvertito anche in quella espressione del Capo dello

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Stato, di Sandro Pertini — che lo ha fatto proprio in quel-la censura — il richiamo che certamente noi tante volteabbiamo fatto a noi stessi. Una volta che è stato fatto inmaniera così autorevole, credo che valga la pena di nonfar cadere nel vuoto una sottolineatura di questo tipo edessa possa invece essere e costituire per tutti, anche pernoi siciliani, un richiamo ad autoflagellarci di meno e acercare di correggerci di più. Grazie.

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Il concorso della Regione alla programmazione nazio-nale (*)

Palermo, 26 novembre 1979

Il nuovo modo di intendere la programmazione inItalia trova il proprio punto di riferimento nell’art. 11 deldecreto delegato n. 616 del 1977.

Esso, in via di fatto, interessa e coinvolge anche laSicilia, la cui autonomia speciale, in ogni caso, non puòrestare estranea al processo di coinvolgimento nelle scel-te di fondo che, ai diversi livelli, è in corso.

Ciò non significa ovviamente che i contenuti del de-creto n. 616 debbano applicarsi nella loro interezza al si-stema istituzionale che sta a base dell’autonomia sicilia-na, il cui carattere di tipicità garantito da uno statuto cheè innanzitutto legge costituzionale deve mantenere inal-terati quegli elementi che lo diversificano dagli altri.

Va sottolineato infatti come il 616, nel trasferire e de-legare funzioni amministrative dello Stato alle Regioni eda queste agli Enti locali, ha avuto come punto di riferi-mento esclusivamente gli ordinamenti di diritto comune,la qual cosa ha posto alla Sicilia numerosi problemi di

(*) L’Intervento venne pronunziato dal Presidente della Regione, di-nanzi alla seconda Commissione legislativa dell’Assemblea regionale,in vista della seduta della Commissione parlamentare per le questioni re-gionali in sede di indagine conoscitiva sul concorso delle Regioni allaprogrammazione nazionale e degli enti locali alla programmazione re-gionale.

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adeguamento. Ne è disceso, pertanto, che alla Regione siè posto ulteriormente, e questa volta in misura moltopressante, il problema del completamento del processodi attuazione del proprio statuto, che peraltro ha luogoper il tramite di una apposita Commissione pariteticaStato-Regione.

Questo processo, che non era stato completato primadella nascita delle Regioni di diritto comune e dell’iniziodel trasferimento — a partire dal 1972 — di materie eduffici, non deve però tradursi in una omogeneizzazionedei comportamenti di tutte le Regioni quale che sia la lo-ro natura, ma deve concretizzarsi, per le autonomie spe-ciali, nella possibilità di esercitare le stesse funzioni del-le Regioni ordinarie cui aggiungere quelle altre preroga-tive insite nel carattere della specialità.

Ciò si fa presente per sottolineare certe diversità el’impossibilità di rendere omogenea l’organizzazione si-ciliana con quelle delle altre Regioni con riferimento aldecreto 616.

Il nuovo approccio programmatorio identificato conl’art. 11, mentre cerca di recuperare e dare consistenza aduna grossa lacuna del nostro ordinamento generale, lamancanza cioè nelle articolazioni decentrate (particolar-mente in quelle ordinarie) di effettive capacità economi-che, viene a completarsi nell’individuazione di numero-se leggi di settore che si muovono per piani e programmii cui contenuti, in attuazione del modello previsto dal616, dovrebbero essere riempiti dallo Stato con il con-corso delle Regioni.

La programmazione settoriale però è nella sua logicain contrasto con quella regionale: infatti, quando le desti-

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nazioni sono fissate con rigidità, non restano più spaziper decisioni a livello di autonomia e viene a ridursi per-tanto il margine di manovra anche in comparti produttivie sociali nei quali la Regione esercita una potestà legisla-tiva piena.

L’approccio per settore è, infatti, per sua natura il mo-do adatto per favorire il Mezzogiorno la cui programma-zione, così come quella regionale, è innanzitutto di tipoterritoriale.

Il concorso della Regione siciliana alla programma-zione economica nazionale si è, sino ad oggi, realizzatosecondo le modalità identificate in sede di organi centra-li, nel senso che la Regione è sempre intervenuta, appre-stando anche propri documenti, laddove l’intervento èstato richiesto.

La più recente esperienza di programmazione allaquale la Regione ha dato il proprio contributo, sia in sedepreparatoria che dopo la preparazione finale del docu-mento, è il progetto di piano triennale elaborato dalMinistro Pandolfi nel 1978. In proposito la Regione haampiamente dibattuto in sede di Governo e di Assemblealegislativa gli aspetti della politica di piano riguardanti laSicilia, e l’Assemblea stessa, al termine del dibattito, haapprovato la relazione conclusiva del Presidente dellaRegione.

L’impegno a partecipare in tutte le sedi istituzionalialle scelte di programmazione testimonia la consapevo-lezza dell’importanza del ruolo che hanno le Regioninella elaborazione ed attuazione delle linee di politicaeconomica. In tal senso la Sicilia ritiene che il rapportoStato-Regioni non può esaurirsi nella semplice consulta-

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zione in merito a scelte già identificate ma deve essere undato costante che mira a recepire e coordinare le indica-zioni che provengono dal basso.

Per quanto riguarda le prospettive future con partico-lare riferimento alla politica meridionalistica, si ritieneche un ruolo fondamentale debbono avere le Regioni nelriportare tale politica nello ambito della economia nazio-nale e non farne, come in passato si è verificato, un seg-mento, spesso residuale, della politica generale.

Il concetto di centralità, che tante volte si è affermato,deve trovare riscontro anche nel metodo nuovo di far par-tecipare le Regioni meridionali alla elaborazione dellescelte meridionalistiche, non intese in termini di inter-vento straordinario, ma riguardate sotto l’ottica dellacentralità e della unitarietà.

Sotto l’aspetto dell’unità degli indirizzi economiciva rilevato inoltre che le programmazioni settoriali, inassenza di un quadro generale di riferimento, possonofinire col creare sovrapposizioni, confusioni e contrad-dizioni.

Le più recenti leggi in tal senso prevedono, sia pure informa consultiva, l’intervento delle Regioni, le quali so-no state ascoltate, hanno esaminato proposte e ne hannoprodotto rilievi ed appunti. Ma l’aspetto che va messo inrisalto è la partecipazione delle Regioni nella fase esecu-tiva dei programmi. Spesso tale partecipazione si riducea margini economicamente non significativi e resta agliorgani centrali dello Stato un potere di discriminare suilivelli della spesa pubblica, sulle priorità e sui tempi diattuazione della stessa; pertanto il concorso delle regioninei fatti si riduce notevolmente.

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La soluzione finora adottata per l’inserimento delleRegioni nel processo di programmazione statale, cioèquella della Commissione interregionale dei Presidentidelle Giunte presso il Ministero del bilancio non apparedel tutto adeguata al tipo di coinvolgimento prefiguratodall’art. 11 del decreto 616 che postula la partecipazioneagli obiettivi della programmazione nazionale sullo stru-mento del «concorso». La presenza delle Regioni nellaCommissione, più che un fatto istituzionale, è da consi-derare una occasione episodica ed in ogni caso poco arti-colata. Il momento di coinvolgimento politico infatti vaesteso a tutte le materie soggette a processi di program-mazione: esso risulta però insufficiente e quanto mai ap-prossimativo se non preceduto da organici contatti preli-minari a livello tecnico in grado di fornire alla compo-nente politica attente analisi ed osservazioni sui fenome-ni di volta in volta considerati.

Si ritiene che la Commissione interregionale sia mol-to utile come momento di coordinamento e punto di arri-vo e, proprio per questo, bisognevole di un’adeguatastruttura tecnica di supporto, molto di più di quanto nonlo sia in atto l’apposita segreteria recentemente istituita.

Va sottolineato altresì che la Sicilia, in quanto regionemeridionale, partecipa al processo di programmazioneglobale anche attraverso il comitato dei rappresentantidelle regioni meridionali che dovrebbe essere presentesia nelle attività che discendono dall’intervento straordi-nario nel Mezzogiorno che in altre leggi di settore e diprogramma. Anche il funzionamento di questo comitatoha dato luogo a notevoli perplessità circa il ruolo realedelle Regioni e per l’assenza di strutture tecniche in gra-

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do di fornire a livello centrale il necessario apporto in ter-mini di assistenza e per la contemporanea presenza, nel-la determinazione delle scelte, di numerosi livelli politi-ci che fanno da filtro e finiscono con lo stemperare il ruo-lo della componente regionale nella formazione delle de-cisioni.

In ogni caso la Regione ritiene che il proprio inter-vento nella programmazione nazionale debba riguardarel’intero complesso e non momenti singoli di settore o diterritorio. E’ necessario pertanto il proprio concorso allaformazione del processo globale; anche di quello che de-riva dagli altri livelli di programmazione, quali possonoessere i Ministeri, gli enti di partecipazioni statali, leaziende autonome, il parastato.

Gli esperimenti di programmazione regionale globa-le (tutti peraltro rimasti allo stadio di progetto), compiutiin Sicilia negli anni ‘60 e nella prima parte di quelli ‘70,furono caratterizzati dalla definizione di obiettivi quanti-tativi di tipo macro-economico con una certa mancanzadi dettaglio operativo: in essi il coinvolgimento degli en-ti locali, sia pure nella fase della prima impostazione, fusempre episodico ed in ogni caso al di fuori di una logicaistituzionale.

Successivamente la Regione a partire dal 1975, ha co-minciato a caratterizzare la propria legislazione con unaserie di procedimenti di settore e di territorio, la cui arti-colazione concreta si svolgeva prevalentemente per iltramite di azioni di programmazione. Di queste azioni,numerose prevedono il coinvolgimento degli Enti localinella fase di elaborazione delle proposte; ciò con proce-dure e metodologie diverse le une dalle altre che però

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sempre hanno tenuto presente l’esigenza del più ampiocoinvolgimento possibile.

Soltanto da poco tempo, con la legge n. 16 del 16 lu-glio 1978, la Regione si è dotata di un apposito quadroistituzionale nel quale fare scorrere la programmazione:tra le caratteristiche di questa programmazione c’è, perl’appunto, quella di adottare il metodo con il concorso,tra l’altro, degli Enti locali territoriali, che, in vista dellaredazione del piano regionale di sviluppo, potranno for-mulare proposte ed indicazioni che saranno valutate dalComitato regionale per la programmazione.

Il Comitato a sua volta, nel predisporre il documentodei principi che sta a base ed è l’inizio dello schema dipiano, deve trasmettere agli Enti locali il documentostesso sul quale vengono espresse osservazioni e si apreun processo di ampio coinvolgimento. Di queste osser-vazioni e del dibattito che ne scaturisce si terrà conto, da-to lo stretto legame e le interconnessioni esistenti tra le li-nee politiche espresse nel documento e, in ben più ampioprogramma pluriennale, nei successivi passaggi che por-teranno con carattere di gradualità alla stesura definitivadel piano di sviluppo economico e sociale.

Va tenuto presente in ogni caso che la Regione ha incorso molto avanzato la riforma della organizzazioneamministrativa ed il riordinamento degli Enti locali: alcentro di questa riforma sta la creazione di un Ente inter-medio (normalmente individuato nel comprensorio o nellibero consorzio tra comuni) con compiti prevalente-mente di coordinamento e di programmazione, quasi unraccordo naturale tra l’ente comunale portatore delleistanze e delle esigenze della popolazione e la program-

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mazione regionale cui in ogni caso spetta il momento disintesi e di elaborazione degli strumenti e quello di un co-erente indirizzo di tutte le iniziative pubbliche e delle ri-sorse proprie e di quelle derivate.

La Sicilia non ha ancora un programma regionale disviluppo: il momento istituzionale che lo prevede è infat-ti molto recente. Nella prima fase di attività, come abbia-mo già sottolineato, è stato predisposto un documento dilinee, principi ed obiettivi (approvato formalmente nel-l’aprile del 1979), contenente anche quadri di riferimen-to territoriale, che costituisce la base politica sulla qualeinnestare successivamente il piano.

Il programma pluriennale che, come è stato sottoli-neato, si avvarrà nella fase di impostazione dei contribu-ti degli enti territoriali, dovrà prevedere le modalità conle quali coordinare gli interventi regionali con quelli sta-tali e locali: ciò andrà fatto prevedendo un flusso conti-nuo fra programmazione nazionale e regionale fino adarrivare al terzo livello, che è quello degli enti territoria-li, utilizzando gli strumenti del “concorso” e della “ar-monia”.

La legge regionale n. 16 del 10 luglio 1978, infatti,nell’adottare il metodo della programmazione nellosvolgimento dell’azione politica e amministrativa, iden-tifica nel piano regionale di sviluppo il quadro di riferi-mento al quale conformare tutta l’attività.

Il piano viene elaborato dal Comitato ed approvatocon legge; preliminarmente all’elaborazione dello sche-ma di programma pluriennale viene predisposto un do-cumento di linee, principi, obiettivi che, come già detto,è stato definito nell’aprile di quest’anno.

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Il Comitato, presieduto dal Presidente della Regione,è composto da esperti, rappresentanti delle organizzazio-ni sindacali, degli industriali e degli agricoltori; elaboratutti gli atti della programmazione regionale e quelli ri-chiesti da piani o prescrizioni nazionali. Ad esso fannocapo tutti i momenti di programmazione.

Gli organi della programmazione si affiancano allastruttura amministrativa della Regione composta dai se-guenti Assessorati: bilancio e finanze; territorio ed ambien-te; lavori pubblici; lavoro e previdenza sociale; coopera-zione, commercio, artigianato e pesca; turismo, trasporti,comunicazioni e sport; industria; agricoltura e foreste;pubblica istruzione e beni culturali; enti locali.

Attualmente il Comitato regionale per la programma-zione sta lavorando, articolato in gruppi, alla definizionedi alcune azioni prioritarie ed urgenti, metodologiche edi settore, alfine di portare al compimento iniziative bendeterminate la cui elaborazione è funzionale in ogni casoal piano pluriennale. A base dell’intero processo, adesempio, sta la formazione, sia pure con carattere di gra-dualità di un progetto obiettivo conoscenza della realtàsociale ed economica, mentre a base di qualsiasi ipotesidi sviluppo sta l’identificazione di un programma ener-getico regionale; queste azioni, assieme ad altre metodo-logiche (coordinamento e accelerazione della spesa, cen-simento delle iniziative di programmazione in corso) esettoriali (casa, trasporti, agricoltura, decentramentoproduttivo), daranno corpo all’attività della programma-zione regionale nei prossimi mesi, fermo restando chel’impostazione dello schema di piano è l’adempimentodi fondo cui già si lavora.

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Le leggi di coordinamento della finanza pubblica, edin particolare quella relativa alla elaborazione di un bi-lancio pluriennale (leggi n. 335 del 1976 e n. 468 del1978), trovano riscontro nel quadro istituzionale dellaRegione che, in virtù della propria competenza esclusi-va, ha emanato due leggi al fine di dotare la gestione del-la spesa pubblica di questo nuovo strumento strettamen-te agganciato alla razionalizzazione e programmazionedegli interventi.

La Sicilia si è dotata nel mese di agosto del primo bi-lancio pluriennale. Esso però, almeno in questo momen-to, non potrà collegarsi al piano di sviluppo (che in atto ènella fase di impostazione), al quale per la sua scorrevo-lezza si aggancerà successivamente. Infatti una riparti-zione delle spese per settori di attività e, nell’ambito diquesti, per “programmi” e “progetti”, sarà già di per séstessa un elemento non solo razionalizzante ma essenzia-le per la più propria definizione della programmazione.

In relazione a questa impostazione al primo bilanciopluriennale della Regione è stata data una coperturatriennale, pari cioè a quella del bilancio pluriennale delloStato e in conformità a quello che, allora, era il termineassegnato all’ipotesi di piano economico dello Stato.Esso verrà aggiornato annualmente in concomitanza del-la presentazione del piano e del bilancio di previsioneannuale.

Si ritiene che questo tipo di considerazioni vadanoestese anche con riferimento al bilancio pluriennale sta-tale.

Non c’è dubbio che qualsiasi programmazione trovaun vincolo di fondo nella quantità e qualità delle risorse

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disponibili. Va sottolineato però che la Sicilia ha un pro-prio grado di autonomia finanziaria che permette margi-ni di programmazione.

La stessa cosa non può dirsi per la quota di trasferi-menti per assegnazioni dallo Stato, che, normalmente,viene vincolata nella utilizzazione concreta dalle leggistatali di settore e di programma, con disposizioni assaifrequentemente troppo minuziose e uniformi per sceltefunzionali e per scelte programmatorie.

Va sottolineato tra l’altro che lo stesso processo di au-tonomia finanziaria da entrate tributarie, pur previstodallo Statuto, non è stato ancora completato con l’ema-nazione di tutte le norme di attuazione, la qualcosa ridu-ce i margini di manovrabilità dell’attività di spesa.

Un certo vincolo, nei fatti, alla funzione programma-toria della Regione si ha nella carenza di risorse umane etecniche. Questa limitazione può causare disagi ed insuf-ficienze nel processo di decentramento attualmente in at-to. Esiste uno squilibrio mezzi-funzione che determina ilblocco degli Enti locali. Si ritiene che per superare il di-sagio non bastano solo maggiori mezzi finanziari, ma an-che un rapporto di collaborazione Stato-Enti locali a li-vello di formazione professionale e manageriale.Occorre cioè affrontare il problema della riorganizzazio-ne in termini di efficienza produttiva della pubblica am-ministrazione nelle sue articolazioni locali.

Soltanto in tal modo sarà possibile una effettiva parte-cipazione degli Enti locali al processo di formazione del-la programmazione ed a quello della sua esecuzione, par-tecipazione che finora ha avuto un limite non indifferen-te proprio nella mancanza di un’adeguata attrezzatura

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tecnica in grado di fare da supporto ad indicazioni politi-che e a considerazioni spesso molto interessanti e sugge-stive ma raramente suffragate da un approfondimento dinatura programmatoria.

In atto è in corso in Sicilia un processo di trasferimen-to di competenze e funzioni dalla Regione agli Enti loca-li: il fenomeno del decentramento, che troverà la sua for-mulazione conclusiva nella creazione di quell’Ente in-termedio di cui già si è fatto cenno, trova riscontro e inleggi complessive ed organiche già approvate (la legge n.1 del 1979 in particolare realizza un ampio deferimentodi competenze e risorse ai comuni siciliani) e in leggiparticolari e di settore il cui filo conduttore è da tempoproprio il decentramento.

Al contempo, numerosi uffici che facevano partedell’Amministrazione dello Stato vengono trasferiti, sul-la base di rapporti non sempre efficaci e chiari, e qualchevolta unilaterali, alla Regione che, in tal modo vede au-mentata in misura crescente la propria articolazione peri-ferica. Nessun ruolo, in questa materia, può e deve svol-gere il Commissario delio Stato che in Sicilia è organodiverso dal Commissario del Governo presso le Regioniordinarie. Il Commissario dello Stato, infatti, come loStatuto prevede, limita la propria azione al controllo del-la conformità costituzionale delle leggi della Regione epotrebbe, competenza non esercitata, operare tale valuta-zione anche sulle leggi dello Stato.

Gli interventi realizzabili mediante la partecipazionefinanziaria della CEE (Feoga - Fondo regionale europeo- Fondo sociale - BEI) costituiscono di fatto un vincoloesterno al programma regionale di sviluppo.

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Si sottolinea pertanto l’esigenza che l’emanazione diregolamenti o direttive comunitarie riguardanti specifi-camente il Mezzogiorno tenga maggiormente conto del-le esigenze regionali, istituzionalizzando un rapporto or-ganico regioni meridionali - Stato - CEE, che consenta dipervenire a politiche di intervento fondate sul consenso esulla partecipazione.

Con particolare riferimento al decreto 616 la condi-zione della Regione siciliana è decisamente svantaggiatarispetto a quella delle Regioni ordinarie perché costrettaad attendere di volta in volta, per le materie interessate dainterventi comunitari, stabiliti con direttive e con regola-menti bisognevoli di norme integrative, la emanazionedella corrispondente legge statale, senza nulla poter farestante il limite degli obblighi internazionali (e quindi diquelli comunitari) valevole anche per la nostra Regione.Si impone pertanto l’emanazione di una norma di attua-zione di carattere generale che tenga conto del tipo di po-testà legislativa riconosciuta alla Regione.

Circa l’incidenza dei vari fondi sulla programmazio-ne regionale va sottolineato come gli interventi dellaComunità nel Mezzogiorno d’Italia vadano collegati inmaniera organica laddove in atto si ha la sensazione ditrovarsi di fronte ad un sistema di aiuti indipendenti gliuni dagli altri.

Essi normalmente non si presentano in forma partico-larmente originale, bensì si innestano su meccanismi dispesa già esistenti. Ne discende pertanto che la loro fun-zione finisce con l’essere quella di alleviare, sia pure do-po procedure particolarmente lunghe e complesse, l’one-re a carico della Cassa del Mezzogiorno o della Regione

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senza incidere efficacemente nella realtà sociale e inquella economica per colmare in modo originale deter-minati squilibri.

In particolare circa gli interventi in agricoltura va sot-tolineato come i riflessi della politica agricola comunita-ria siano in Sicilia molto evidenti.

Più nel dettaglio, nel settore viticolo, malgrado la ele-vata vocazionalità dell’Isola si è venuta ad imporre unaazione generale tendente alla riduzione degli impiantimentre nel campo ortofrutticolo ha prevalso complessi-vamente un indirizzo volto soltanto alla razionalizzazio-ne delle colture esistenti piuttosto che una loro espansio-ne in connessione con le opportunità offerte dallo svilup-po della irrigazione.

Al contrario possono considerarsi positivi gli effettiindotti dalla Comunità nei settori cerealicolo e olivicoloper il concreto sostegno assicurato a tali produzioni me-diante la corresponsione ai produttori di appositi aiuti. Diincerta efficacia, e pertanto di difficile valutazione del lo-ro grado di incidenza sul programma regionale di svilup-po, sono gli interventi comunitari che fanno parte del«pacchetto» mediterraneo.

Infatti si tratta di azioni, ancora non completate ed avolte neppure iniziate, carenti anche nella quantificazio-ne delle somme effettivamente spendibili nelle singoleRegioni.

Se gli interventi in agricoltura coprono una parte del-la spesa della Comunità in Sicilia, va sottolineato che an-che gli altri meccanismi di intervento sono stati e conti-nuano ad essere utilizzati, sia pure con quelle riserve difondo alle quali abbiamo fatto cenno.

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La Regione e gli organismi comunitari europei (*)

Palermo, 7 dicembre 1979

MATTARELLA, Presidente della Regione. Anche ame pare opportuno sottolineare il significato, il senso diquesto incontro, particolarmente rilevante per tante ra-gioni, sia per il momento in cui si realizza l’avvio del-l’attività del Parlamento europeo, sia per le difficoltà cheil parlamento incontra proprio in queste settimane. Infondo questo è un incontro che può essere indicato comeun incontro di speranza nel ruolo del Parlamento.Abbiamo creduto e crediamo tutti nell’importanza delpasso in avanti che è stato fatto con l’elezione diretta delParlamento, sappiamo però che i poteri del Parlamentosono rimasti quelli del passato. Ma la carica politica cheal Parlamento viene dalla elezione a suffragio diretto cre-do che debba poter portare, sia pure con la gradualità ne-cessaria, a una costruzione più reale della realtà europea.Anch’io penso che l’attuale vicenda del bilancio non

(*) L’intervento — di cui si riporta il testo registrato – venne pronun-ziato in occasione della riunione, promossa congiuntamente dai presi-denti della Regione e dell’Assemblea, Mattarella e Russo, di organi as-sembleari e del governo regionale con i deputati siciliani al Parlamentoeuropeo.

In esso si rivendicano il ruolo e la specialità dell’autonomia siciliana,si criticano taluni interventi e direttive della CEE di fatto inapplicabilinel Mezzogiorno e si sottolinea l’importanza di una adeguata utilizza-zione del fondo regionale di sviluppo e del fondo sociale.

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possa che portare ad una riaffermazione dell’autoritàdell’indirizzo del Parlamento, altrimenti la delusione,obiettivamente, sarebbe rilevante. Noi diamo per sconta-ta questa impostazione di speranza nel ruolo delParlamento, e in questo spirito credo che il nostro odier-no incontro, come gli altri che auspico potranno realiz-zarsi con la delegazione siciliana eletta al Parlamento eu-ropeo, possa e debba avere carattere di estrema concre-tezza e quindi non possa abbracciare tutto il ventaglio del-le cose che il rapporto, ormai molto diffuso, tra Comunitàe istituzioni e Comunità e società postulerebbe. Tale rap-porto si è ormai articolato in maniera pregnante e pesantenon solo nel settore agricolo ma in tanti altri settori dellavita economica e istituzionale della società europea.Sarebbe forse velleitario mettersi davanti tutto il venta-glio della incidenza della vita della Comunità nella socie-tà, ma non possiamo trascurare le cose più importanti e si-gnificative, alle quali il Presidente De Pasquale accenna-va poco fa. A me sembra che la coscienza e la consape-volezza del progredire della costruzione europea, oltreche manifestarsi negli impulsi e nelle manifestazioni dicarattere politico, comincia realmente ad avere riscontronelle cose concrete, nei condizionamenti sulle scelte eco-nomiche, nei condizionamenti sulle realtà istituzionali esinanco nei condizionamenti degli organi giudiziari del-la Comunità, le cui decisioni cominciano a farsi sentire inmaniera vincolante anche nei rapporti giuridici tra sog-getti della società europea.

Il primo punto che io vorrei toccare rispetto a questavasta tematica è quello dei problemi istituzionali, su cuisi è soffermato già l’onorevole De Pasquale e che io vor-

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rei affrontare dal punto di vista della possibilità di istitu-zionalizzare in senso informale i contatti tra le realtà re-gionali e i vari organi della Comunità. E in questo quadroquest’incontro e gli incontri successivi sono un elementoprezioso per questo obiettivo, perchè è indispensabileche questi contatti, questo scambio di informazioni, que-sto confrontarsi su singoli problemi, vengano sviluppatiper dare senso e concretezza, reciprocamente, alle regio-ni e alle istituzioni europee. Tutto ciò nella consapevo-lezza politica che la Comunità si costruisce superando ilmomento verticistico della concezione del trattato tra na-zioni e tra paesi ma andando al fondo della costruzionedei rapporti reali all’interno delle comunità nazionali conla Comunità europea. In questo quadro generale, nel pie-no rispetto di una linea politica che non può che essere delgoverno centrale, portatrice di scelte, di valutazioni, di in-dirizzi, deve essere consentito, in termini più concreti, unrapporto regioni-organi comunitari. Questo è l’unico mo-do per far diventare realtà anche le cose oggi in piedi, per-ché, in troppe occasioni, gli strumenti di sostegno, d’im-pulso, di finanziamento che la Comunità offre non diven-tano realtà per la mancanza di questo contatto diretto, re-so oggi difficile e quasi impossibile dal passaggio neces-sano ma non esclusivo attraverso il governo centrale. Inquesti giorni, ad esempio, è stato qui il direttore del Fondodi sviluppo regionale della Comunità; abbiamo avuto de-gli incontri molto interessanti e debbo dire che da incon-tri di questo genere gli uffici dell’amministrazione e noistessi abbiamo tratto una utilità enormemente maggioredi quanta non ne avessimo tratta in diversi anni dalle cir-colari del governo centrale.

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Questa è la conferma che il ritenere che i contatti, sen-za — ripeto — esorbitare dalle proprie competenze, trarealtà regionale e realtà comunitaria, siano lesivi di chis-sà quale competenza esclusiva dello Stato, è un atteggia-mento sbagliato che porta al non utilizzo della realtà eu-ropea, neppure per quello che già oggi è stato costruito.Quindi, senza ipotizzare, come peraltro qualche regionecorrendo in avanti ha fatto, rappresentanze regionalipresso la Comunità europea e cose di questo genere, cer-tamente perseguiremo con più impegno del passato la ri-cerca di contatti diretti e di occasioni di confronto tra lerealtà regionali e la realtà, ai vari livelli di competenze,della vita comunitaria.

Il secondo aspetto di questa problematica di carattereistituzionale è quello della specialità del nostro Statuto,che abbiamo già sollevato con una nota al Ministero degliesteri qualche settimana fa. Non possiamo infatti accetta-re che, attraverso una serie di direttive, di accordi comu-nitari che il governo centrale concorda a livello europeo,vengano di fatto svuotate competenze che appartengonoin generale alle regioni e in modo particolare a una regio-ne come la nostra, con una lesione delle indicazioni statu-tarie che hanno — proprio perchè costituzionali — giuri-dicamente prevalenza anche sugli accordi internazionali;il governo centrale non può infatti stipulare accordi inter-nazionali che modifichino norme costituzionali. Questaprassi ha finito con lo svuotare pesantemente talune com-petenze regionali, e questa impostazione del rapporto tragoverno centrale e organismi comunitari ha finito conl’indurre la Comunità ad una valutazione dei poteri e del-le competenze legislative regionali del tutto errata.

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Questo è il terzo degli aspetti del problema, e cioè ilcontenzioso che è ormai aperto tra realtà e istituzioni co-munitarie e legislazione regionale. Noi abbiamo già uncontenzioso in piedi che riguarda esattamente quattroleggi della Regione siciliana per le quali pendono le pro-cedure contenziose davanti agli organi comunitari. Maquesto è l’effetto di un convincimento dovuto anche al-l’atteggiamento del governo centrale di considerare inmaniera appiattita la realtà regionale italiano. E questoatteggiamento del governo centrale che ha indotto laComunità a giudicare ed a valutare le leggi della Regionesiciliana allo stesso modo delle leggi delle regioni a sta-tuto ordinario. In questo contenzioso ci sono delle coseobiettivamente assurde: persino la nostra legge sull’e-nergia solare ha subito censure che non hanno senso. Sedovesse prevalere questa impostazione addio autono-mia, addio riequilibrio, addio sostegno di apparati pro-duttivi! È una negazione talmente sconcertante del prin-cipio, tra l’altro comunitario, del riequilibrio dei territo-ri, che ci porterebbe molto lontano. Questo è certo un ec-cesso degli organi comunitari, ma è anche la conseguen-za del fatto che a livello comunitario il governo delloStato ha sempre presentato la realtà istituzionale regio-nale come una realtà appiattita ed uguale per tutte le re-gioni.

Ecco, io credo che ai parlamentari siciliani eletti alParlamento europeo la Regione possa affidare, contandosulla loro capacità di esprimere le esigenze del popolo si-ciliano e fidando anche nella loro esperienza — per i pre-senti acquisita nella sede dell’istituto regionale in tantotempo della loro attività — la tutela di questa autonomia

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e di questa specialità di autonomia presso gli organi isti-tuzionali comunitari che molto spesso dimenticano que-sta peculiarità. Ma vorrei dire che il pericolo è ancoramaggiore. Non si tratta soltanto di salvaguardare la no-stra specialità — cosa che potrebbe apparire una batta-glia campanilistica — ma si tratta di guardare con più at-tenzione al regime delle autonomie tutte, perchè c’è il ri-schio che l’applicazione burocratica e rigorosa di talunedirettive finisca realmente con il vanificare poteri assolu-tamente tranquilli delle autonomie regionali del nostroPaese.

Questi aspetti che l’onorevole De Pasquale ha accen-nato all’inizio della sua relazione io mi sono permesso diribadire in questo quadro (contatti diretti, specialità delnostro regime statutario, contenzioso) proprio perchècredo che sia questo il settore più importante, dal puntodi vista politico ed istituzionale, nei confronti del quale ipoteri del Parlamento europeo, che sono appunto politicie istituzionali, debbano espletarsi, contrastando la impo-stazione finora prevalente, molto pericolosa per i rappor-ti futuri.

C’è poi tutta una serie di altri problemi, diciamo, dinatura economica. Io non farò qui la carrellata di tutti ipossibili contatti tra la realtà regionale e quella comuni-taria, ma credo di dovere sottolineare cinque punti diquesta realtà economica: la politica agricola, la politicadel fondo di sviluppo regionale, i problemi della pesca, iproblemi del fondo sociale ed i problemi dei finanzia-menti, e cioè la politica relativa a tutte le possibilità di so-stegno finanziario che la Comunità offre, ultima quellacitata dall’onorevole De Pasquale e connessa con l’en-

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trata in vigore del sistema monetario europeo. Ritengoche queste ipotesi rivestano un carattere di prevalenza edi priorità per la realtà economica e sociale della nostraRegione e coincidano con una presenza particolarmenteconsistente della Comunità: quella agricola; quella delfondo sociale perchè è una politica in crescita e che ri-sponde ad uno degli obiettivi più importanti del trattato,cioè il riequilibrio delle aree all’interno della Comunità;quella per la pesca, per problemi nostri particolarmenteacuti e significativi; quella degli strumenti finanziari(Banca europea degli investimenti e altri fondi per finan-ziamenti) perchè, vorrei dire, sono la cartina di tornasoledella concezione comunitaria o meno della gestione eu-ropea.

La politica agricola è quella che ha moltissimi canalidi sostegno, di finanziamento, di interventi di varia natu-ra e di vario genere. I problemi di carattere complessivoe generale più volte sono stati oggetto di dibattito a livel-lo regionale e tutti concordiamo su alcune cose essenzia-li e precisamente sul giudizio negativo in ordine alla po-litica dei prezzi, sulla richiesta di una politica strutturalepiù decisa, più precisa e più concreta, più facile da at-tuarsi e sulla affermazione, di carattere procedurale emetodologico, che non è possibile che in un settore nelquale la nostra Regione ha competenza esclusiva viganosistemi, modi e procedure che di fatto privano la Regionedi cospicua parte di questa sua autonomia esclusiva nelsettore agricolo: in una duplicità di aspetti, quello dellagestione di questi strumenti e quello della costruzione diquesti strumenti. Troppo spesso — e questa è un’altraconsiderazione di carattere generale sulla quale tutti ci

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siamo spesso trovati d’accordo — le direttive che vengo-no accettate sembrano costruite in modo tale da non es-sere realizzate in una realtà come quella siciliana. Ora, segià questo nostro Paese, così lungo e così diverso geo-graficamente, ha problemi quando si fa una legge di set-tore uniforme per tutto il territorio nazionale, di difficileapplicazione per le realtà diverse, figuriamoci quandoappare una direttiva europea che si vuole applicare uni-formemente a realtà agricole che sono assolutamente im-paragonabili, anche all’interno dello stesso settore pro-duttivo, dello stesso comparto produttivo. E il governodello Stato non può accettare direttive che, se sono uni-formi per l’Europa, si sa che diventano applicabili sol-tanto in quell’area europea che è uniforme e ciò vuol di-re, nel nostro Paese, in tutto il territorio tranne che nelMezzogiorno. Io ho fatto altre volte l’esempio di una di-rettiva estremamente utile al Mezzogiorno, da applaudi-re appena è apparsa, cioè quella dell’intervento dellaComunità per il sostegno e per il finanziamento dell’irri-gazione nel settore dell’agricoltura. Bene, quando il mi-nistro Marcora ha dovuto fare i programmi da mandarealla Comunità si è accorto che nel Mezzogiorno non tro-vava progetti. E certo! Perchè la direttiva diceva che sipotevano finanziare canalizzazioni solo di invasi già esi-stenti o canalizzazioni primarie già esistenti. Ebbene,non si sapeva già in partenza che nel Mezzogiorno losforzo per la costruzione degli invasi e delle conduttureprincipali era in atto e quindi non si potevano trovare pro-getti di quel genere?

Questo è un esempio, uno dei tanti, nei quali le diret-tive della Comunità accettate dal governo centrale —

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perchè le direttive non sono imposte unilateralmente —sembrano costruite per non essere qui applicate. Se nelladirettiva sopra citata fosse stata aggiunta la previsioneche nelle aree depresse si prescindeva dall’esistenza de-gli invasi o delle condutture principali, noi certamenteavremmo potuto utilizzare in termini pieni questi finan-ziamenti. Quindi, lo svuotamento in settori come quelloagricolo non avviene soltanto e non è soltanto un proble-ma di gestione dei fondi che la Comunità assegna, è an-che un problema di partecipazione nella costruzione del-le direttive che molto spesso, ripeto, sono fatte in manie-ra tale da apparire come disegnate apposta per non esse-re applicate nel Mezzogiorno.

Ci sono tanti altri esempi di questo tipo. Nel settoredell’agrumicoltura, ad esempio, le difficoltà nell’appli-cazione della spesa per il piano agrumi, sono connesse adalcuni requisiti che le direttive richiedono e che mal si at-tagliano alla conformazione e alla tipologia della struttu-ra della proprietà e della produzione agrumicola dellanostra Regione. Mentre non si incontrano difficoltà e so-no spesi facilmente fondi di altro tipo, che sono quelli,però, che hanno natura non strutturale, per esempio i pre-mi per i capi di bestiame, i premi per il prezzo del grano,per il prezzo dell’olio. In definitiva, gli interventi suiprezzi o i sostegni di carattere meno produttivistico van-no avanti, cioè sostengono questo Mezzogiorno così co-me è, come se lo si volesse mantenere così come è, men-tre quelli di carattere infrastrutturale anzicchè essere co-struiti per essere applicabili nelle aree da sviluppare sonocostruiti per essere applicabili nelle aree già sviluppate.E questa è, per la realtà agricola, una esigenza non più di-

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lazionabile, se realmente si continua a dire, come noi ri-teniamo che sia giusto dire, che l’agricoltura deve subire,anche per l’intervento comunitario, una espansione eduna razionalizzazione nel Mezzogiorno del nostro Paese.Queste cose noi abbiamo chiesto unitariamente nellaconferenza regionale dell’agricoltura ed io ho scritto ieriuna lettera al Ministro per il Mezzogiorno, perché mi èparso strano (ma strano non molto, perchè conferma per-fettamente le cose da me dette poc’anzi) che nei giorniscorsi ci sia stata una riunione, non di tutte le regioni,onorevole De Pasquale, ma di tutte le regioni del Nord,sulla politica agricola comunitaria, che hanno posto iproblemi che sono perfettamente rispondenti ad altre esi-genze di altre aree agricole del centro Europa.

Io ho proposto al Ministro per il Mezzogiorno che, vi-sto che vengono poste da parte delle regioni del Nordqueste divisioni territoriali che nessuno di noi ha mai cer-cato, addirittura nel settore agricolo, ho proposto — di-cevo — che il comitato delle regioni meridionali pongaall’ordine del giorno di una prossima seduta la valutazio-ne delle regioni meridionali sulla politica comunitariacosì come è. Questa valutazione noi avevamo fatto nellaconferenza regionale dell’agricoltura, nella quale ci era-vamo dati carico, come ricordava il Presidente Russo,non di posizioni e di esigenze soltanto siciliane, ma diposizioni ed esigenze complessive della realtà agricoladel Mezzogiorno. Se in questa direzione riusciremo aproporre, a portare avanti una valutazione complessivadella realtà delle regioni meridionali, credo che daremoun ottimo spunto di intervento al Parlamento europeo an-che se la materia non è propria del Parlamento, che è for-

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temente condizionato dalle scelte del Consiglio deiMinistri e delle Commissioni. Ma il problema può, certa-mente, essere sollevato attraverso l’attività ispettiva e dicarattere propositivo del Parlamento perchè attiene real-mente, ormai in maniera pesante, alle prospettive dellosviluppo della realtà agricola della nostra regione.

Per quanto riguarda il problema del fondo di sviluppoil Presidente De Pasquale ha fatto un po’ la storia ed haindicato le strozzature di carattere procedurale che ci so-no, sottolineando come le complessità degli esami co-munitari ed i vari passaggi a livello di governo centralerendono questo canale, che va sviluppandosi quantitati-vamente e qualitativamente, non pienamente utilizzato.Il Presidente De Pasquale ha già ricordato come questautilizzazione ha registrato nella nostra Regione una per-centuale media del 15 per cento nell’ultimo triennio edha rilevato come questa percentuale sia passata progres-sivamente dal 14 per cento del 1977 al 15 del 1978 al 16del 1979. Bisogna quindi proseguire in maniera moltopiù massiccia in previsione di questo sviluppo.

Ci sono a questo proposito tre problemi che io vorreievidenziare: il primo è quello della qualità delle propo-ste, il secondo è quello delle procedure di esame delleproposte, il terzo infine è quello del merito dell’esamedelle proposte da parte della Comunità.

Non c’è dubbio che sulla qualità delle proposte noidobbiamo fare un salto di qualità. Come ricordava ilPresidente De Pasquale, fino al 1977 compreso questofondo è stato utilizzato soltanto dalla Cassa per ilMezzogiorno, la quale presentava progetti per avere rim-borsati delle somme da parte della Comunità che poi ri-

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servava nel fondo complessivo della Cassa delMezzogiorno. Nel 1978 e nel 1979 abbiamo fatto delleproposte autonome da parte della nostra Regione; abbia-mo fatto suppergiù la stessa cosa che faceva la Cassa, ab-biamo fatto un passo avanti appropriandoci della titolari-tà, ma non della qualità. E per essere certi di ottenere il fi-nanziamento non potevamo che mandare progetti relati-vi ad opere già realizzate, perchè i tempi per la predispo-sizione di progetti relativi ad opere nuove ci avrebberofatto perdere il contributo. Per il 1977, per il 1978 e per il1979 abbiamo presentato dei progetti sui quali laComunità, come le direttive dicono, ci ha attribuito il 30per cento delle somme richieste. Proprio ieri è arrivata lalettera del Fondo con allegato il provvedimento firmatoda Giolitti che per il ‘78 quantifica questo rimborso, per-chè di rimborso di fatto si tratta, da parte della Comunitàalla nostra Regione attraverso il governo dello Stato.

Quello che ho detto è importante anche per l’argo-mento a cui ho prima accennato e cioè il merito delle va-lutazioni che la Comunità fa dei progetti inviati. Nel1978 noi abbiamo mandato un pacchetto più consistentee più articolato di progetti, mentre nel 1979 potremmoaccogliere e mandare soltanto progetti relativi ad operedi carattere infrastrutturale: elettrificazione, strade e co-se di questo tipo. Il pacchetto del 1978 era più organicoperchè prevedeva anche parecchi progetti di investimen-ti nel settore industriale. Per quanto riguarda il futurodobbiamo cercare di passare ad un momento propositivopiù collegato, come diceva l’onorevole De Pasquale, afatti di sviluppo e non all’acquisizione di risorse da uti-lizzare poi successivamente. Di fatto noi in questi ultimi

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anni abbiamo presentato progetti di opere già realizzate efinanziate con fondi nostri, per i quali la Comunità ci haconcesso il contributo. Ci tornano delle risorse che poipotremmo utilizzare al posto delle nostre già impegnate.Qui si pone un problema che è di collegamento con gli or-gani centrali dello Stato. Le direttive della Comunità sonogestite nell’ambito di programmi generali che ogni paesepresenta alla Comunità includendo in questi programmigenerali i vari programmi regionali di sviluppo. E questaè una incombenza che appartiene al governo centrale per-chè è l’interlocutore della Comunità. Quindi si pone ilproblema di riuscire ad incidere in maniera più consisten-te di quanto in passato non sia stato fatto sulla formazionedei programmi che il governo centrale presenta allaComunità, programmi nazionali che includono i pro-grammi delle singole regioni. Nel passato siamo riuscitisoltanto ad indicare, per quanto riguarda i programmi, ta-luni obiettivi e talune azioni di carattere generico, mentrela indicazione analitica è stata poi realizzata dalMinistero per il Mezzogiorno, che ha provveduto ad in-serire nei prospetti programmatici allegati ai programmidello Stato delle schede per ogni regione; e, per la verità,quando in queste schede si è identificato l’obiettivo e leazioni per il conseguimento di questo obiettivo, c’è statauna interlocuzione tra il Ministero per il Mezzogiorno ele regioni meridionali.

Ma rimane una fase molto generica. Citerò un esem-pio, a proposito dell’agricoltura. Le indicazioni dicono:Obiettivo specifico: agricoltura: aumento della produtti-vità agricola, riduzione degli squilibri interni, migliora-mento della condizione di vita e rialzo dei redditi degli

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agricoltori. Azioni: ammodernamento delle strutture, va-lorizzazione qualitativa e quantitativa delle risorse agri-cole, sviluppo della irrigazione, aumento e diffusionedella dotazione delle infrastrutture. Sia gli obiettivi chele azioni sono indicati a carattere generico senza una pre-sentazione delle singole cose da fare, mentre poi, nellaseconda parte, l’indicazione analitica finisce con l’esse-re fatta per scelta del governo centrale: piano agricolo-alimentare, progetto speciale n. 10 produzione della car-ne, progetto speciale n. 11 agrumi, progetto speciale n.23 irrigazione, progetto speciale n. 30 schemi idrici e co-sì via, fino alle indicazioni anch’esse, per la verità, di ca-rattere generico: difesa del suolo, infrastrutture rurali,sviluppo dell’allevamento, eccetera.

Pertanto è indiscutibilmente necessario conseguireuna fase di puntualizzazione dei contenuti, dei program-mi e, all’interno dello Stato, dei programmi di svilupporegionale, ma è indispensabile conseguire anche un mo-mento diretto di concorso tra Stato e regioni, vista la tito-larità del governo centrale nel presentare le proposte ed ilcontributo delle regioni alla formulazione del program-ma. Certo sarebbe un fatto politico assai rilevante porta-re la regione a presentare il suo programma direttamenteagli organi comunitari; rilevante ai fini non solo di salda-re in maniera diretta il rapporto Comunità-realtà periferi-che, ma anche per potere spiegare e, quindi, sosteneremeglio i programmi presentati anche ai fini del terzoaspetto che mi permetto di evidenziare e cioè le decisio-ni di merito da parte degli organi comunitari. Perchèmolto spesso quei passaggi a cui l’on. De Pasquale face-va cenno determinano una visione molto burocratica e

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molto economicistica delle scelte della Comunità. Peresempio, in questa nota, che è stata qui comunicata rela-tiva all’anno 1978, ci sono alcune esclusioni: noi aveva-mo mandato 124 progetti, ne sono stati esclusi 22, uno èstato ritenuto inagibile, ne sono stati ammessi 101. Sitrattava, per la verità, di progetti che avevano tutti la stes-sa natura. Cercherò di sapere di più, al di là del decretofirmato da Giolitti, sulle ragioni di queste esclusioni. Mail discorso si illumina di più con il programma del 1979,che non è stato ancora ufficialmente comunicato (è statocomunicato l’ammontare, non le singole opere) ma per ilquale, attraverso le vie brevi, noi sappiamo quali sono leesclusioni previste.

Noi avevamo mandato una serie di ipotesi che riguar-davano il bacino di carenaggio di Palermo (anche questosecondo la vecchia logica, cioè spese fatte dalla Regionee da rimborsare), il secondo bacino di carenaggio diTrapani, l’impianto di degassificazione di Messina. Lalogica comunitaria ferrea dei piani di settore, il pianoDavignon, porta ad escludere dal finanziamento tuttocioò che attiene direttamente o indirettamente a questeopere (direttamente il bacino di carenaggio, indiretta-mente la degassifica che viene fortemente tagliata). C’èuna concezione che obiettivamente non è da fondo regio-nale. Se il fondo regionale serve per riequilibrare le areedepresse, non si possono applicare nelle aree depresse iprincipi restrittivi del piano Davignon per la cantieristi-ca; questa è esattamente la negazione del fondo regiona-le europeo di investimenti, perchè significa mantenere icantieri dove ci sono e impedire che si realizzino o razio-nalizzino nelle aree da sviluppare. Quindi, c’è una pro-

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fonda contraddizione politica in questa decisione che,evidentemente, lascia spazio per una azione molto signi-ficativa da parte della Commissione, da parte delPresidente De Pasquale, da parte degli altri parlamentarieuropei, affinchè prevalga, nella decisione di ammissio-ne o non ammissione dei progetti, la logica che è al cen-tro del fondo regionale di sviluppo. Se è fondo regionaledi sviluppo deve servire per fare le compensazioni; se in-vece viene gestito con la logica del piano di Davignonnon è più un fondo regionale di sviluppo, è una distribu-zione di fondi comunitari secondo la logica economicarigorosa, che è certamente contraddittoria con quella delriequilibrio territoriale. Quindi, nella valutazione di me-rito dei progetti questo diventa un fatto significativo edimportante, perchè altrimenti lo sforzo di presentare unaquantità di progetti consistente sul piano finanziario, sepassa attraverso un esame di questo tipo, viene frustrato;quando, infatti, nelle richieste avanzate dalla Regione,cadono i 52 miliardi del bacino di Palermo, gli 8 miliardidel bacino di Trapani, una parte dei 13 miliardi della de-gassifica di Messina è chiaro che il risultato finale saràquantitativamente limitato. Credo quindi che un’azioneper un indirizzo nella gestione delle risorse del fondoperchè abbiano questa valutazione più di riequilibrio,che di natura di compatibilità con le singole direttive del-le varie politiche, sia un modo realmente concreto di da-re al fondo quella natura che in effetti esso ha, per volon-tà della stessa Comunità. Sono convinto infatti che l’o-biettivo del riequilibrio territoriale ne sia la reale matricee realizzi la volontà degli organi comunitari che il fondoeuropeo hanno voluto e che con difficoltà vanno svilup-

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pando. Io mi auguro che anche per il bilancio 1980 la bat-taglia fatta nel Parlamento europeo per l’incremento co-spicuo del fondo europeo di sviluppo abbia successo,perché altrimenti questo strumento che viene offerto pergli obiettivi del trattato finirebbe con l’essere molto sa-crificato.

L’altro problema è quello del fondo sociale europeo.Anche qui c’è una difficoltà di passaggi attraverso ilMinistero del lavoro; però qualche segno evolutivo, ri-spetto a questo tipo di utilizzazione, c’è stato. Anzituttoper quanto riguarda l’utilizzo che la Regione fa di questofondo, credo che sia utile precisare che tutto ciò che laRegione ha chiesto ed ottenuto dal fondo europeo socia-le per la formazione professionale viene utilizzato all’in-terno di un programma unico, che la Regione predisponeattraverso quella famosa Commissione istituita con lalegge regionale per i programmi della formazione pro-fessionale. Tale programma unico prevede l’utilizzo deicapitoli del bilancio regionale, l’utilizzo dei fondi delloStato, l’utilizzo delle somme che la Comunità dovesseversare. Quindi il pericolo che i fondi CEE siano destina-ti a settori di formazione scoordinati rispetto alle scelteregionali, da quando esiste questa Commissione, negliultimi anni, non c’è più. Questo vale per quello che ottie-ne la Regione; poi ci sono le utilizzazioni dei privati, cheobiettivamente rispondono ad un’altra logica e tra l’altroescono fuori dall’iniziativa della spesa della Regione.Ma, anche ai fini della utilizzazione, noi per esempio ab-biamo chiesto nel 1977-78 un contributo che aveva unaconsistenza molto minore di quella del 1978-79 e di quel-la che si è già chiesta per il 1979-80. Per il 1979-80 ab-

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biamo mandato un programma di 30 miliardi per un con-tributo di 16 miliardi, che è quasi il doppio di quello del1978.

Quindi andiamo verso una utilizzazione più consi-stente del fondo, ma anche verso una utilizzazione quali-tativamente migliore. A questo tipo di richiesta comples-siva per il programma di formazione professionale si so-no aggiunte alcune richieste specifiche, che a me sem-brano particolarmente significative, da questo anno1979-80 e cioè: è stato chiesto il finanziamento di unprogetto speciale nel settore turistico-alberghiero e deiservizi per una spesa di 3 miliardi e mezzo ed un contri-buto prevedibile di 1 miliardo e nove. È stato inviato unprogetto speciale rivolto alla formazione degli handicap-pati, da inserire in corsi aperti, per un importo di 4 mi-liardi ed un contributo prevedibile di circa 2 miliardi; èstato chiesto il finanziamento di un progetto speciale ri-volto solo agli emigranti per un spesa di 1 miliardo ed uncontributo previsto di 550 milioni. Come vedete, gra-dualmente si va verso la proposizione non solo della ri-chiesta di finanziamento complessivo, ma verso la pro-posta di progetti precisi, finalizzati a particolari esigenzedi aree della società e del mondo del lavoro. Anche que-sto è un settore nel quale credo sia possibile conseguirerisultati di estremo interesse per la realtà siciliana.

Il problema della pesca. Innanzitutto voglio fare unaprecisazione che mi pare opportuna anche perchè nonpoteva essere conosciuta, riguardando un’iniziativa mol-to recente. Per il regolamento CEE numero 355 laRegione ha fatto il 26 novembre 1979 al Ministero dellaMarina mercantile una proposta di programma per quan-

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to attiene ai finanziamenti da parte comunitaria dellestrutture della pesca (mercati ittici) in Sicilia.

Ed ha inoltrato un programma che riguarda, per l’e-sattezza, Porto Palo, Sciacca, Mazara, Trapani, San Vito,Tusa, Santo Stefano, Porticello, Palermo e Cefalù e con ilquale si chiede l’utilizzo delle risorse che il regolamentoprevede in questo settore per questo tipo di ipotesi, talu-ne già ammesse a finanziamento regionale, e, quindi, sitratterebbe di un rimborso, le altre in fase di istruttoria e,quindi, utilizzabili o come finanziamento diretto o, sequesto dovesse tardare, come rimborso dello eventualefinanziamento regionale.

Questa precisazione offre a voi la possibilità di segui-re questo regolamento sapendo che c’è ora una richiesta,che evidentemente non è ancora arrivata alla Comunitàperchè trasmessa soltanto da alcune settimane alMinistero. Ma fatta questa precisazione il problema im-portante è quello che riguarda il rinnovo ed il regime del-la pesca: rinnovo del trattato con la Tunisia, regime dellapesca nel Mediterraneo.

Concordo con l’onorevole De Pasquale nel ritenereche questa materia obiettivamente abbia bisogno di unamaggiore sottolineazione a livello comunitario perchè èstata sottovalutata. Rispetto ad altri problemi analoghic’è stata obiettivamente una sua cura molto relativa. Iodebbo cogliere l’occasione per rivolgere a voi rappresen-tanti della nostra regione e agli altri parlamentari europeil’apprezzamento per l’attività ispettiva svolta in questosettore con particolare forza. Il fatto di avere ottenuto chegli organi comunitari realizzino l’approccio con laTunisia non separatamente per il solo problema della pe-

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sca ma complessivamente dentro il complesso del rap-porto Tunisia-Comunità è un passo avanti importanteperché inserisce questo problema in un contesto nel qua-le la Tunisia ha un interesse rilevante; se la questione fos-se stata mantenuta separata certo sarebbe stato difficilesollevare l’interesse della Tunisia. Questo è certamente ilfrutto di una azione congiunta che è stata fatta, ma chevoi parlamentari siciliani al Parlamento europeo, specifi-catamente, siete riusciti a sottolineare.

Ma c’è tuttora una forma di non apprezzamento dellaconsistenza, anche economica, di questa realtà sicilianarispetto ai problemi da porre. L’occasione per inserire ilproblema in un quadro più generale potrebbe essere of-ferta da un incontro al quale far partecipare tutte le realtàmarittime mediterranee. Questa è l’idea che il collegaAssessore Pizzo ha lanciato in una recente dichiarazioneda lui fatta. Si tratterebbe di creare una occasione com-plessiva di valutazione delle realtà costiere mediterraneee quindi del problema della pesca nel Mediterraneo conla partecipazione delle realtà comunitarie. In tale occa-sione si dovrebbe riuscire ad evidenziare, con tutti glielementi obiettivi di riscontro, la consistenza economica,oltre che sociale, del problema della pesca in Sicilia e,quindi, la impellenza del rinnovo del trattato con laTunisia e complessivamente della revisione del regimedella pesca; il problema delle società miste; i vari altriproblemi che esistono con altri paesi Libia in particolare— e che diventano problemi gravi se si considera che cisono stati incidenti persino con Malta. Quindi, per la so-luzione del problema riguardante il regime della pescacomplessivo nel Mediterraneo, è estremamente impor-

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tante trovare una occasione per affrontarlo con tutti i pro-tagonisti e con tutti i responsabili di questo settore, com-presi (primi tra tutti vorrei dire) gli organismi comunita-ri, che ora hanno la responsabilità della trattativa diretticon i paesi rivieraschi meridionali del Mar Mediterraneo.Su questa ipotesi noi lavoreremo per costruire l’occasio-ne di cui abbiamo parlato in raccordo anche con voi, perrealizzare le migliori e più qualitative presenze rispettoal risultato che vogliamo conseguire.

L’ultimo aspetto è quello della attività finanziaria de-gli organi comunitari. Ho già detto che io volevo richia-mare l’attenzione di tutti su questo aspetto per una ragio-ne politica particolare, connessa all’attività passata diquesti organi finanziari che è stata certamente non ap-prezzabile finora e che può diventare la cartina di torna-sole, di verifica della logica comunitaria. Finora la BEIha finito col finanziare, anche nel Mezzogiorno, soltantogrosse operazioni di grossi gruppi: l’ENEL, la FIAT,gruppi chimici rilevanti, partecipazioni statali; cioè hafatto operazioni finanziarie dettate da interessi diversi daquelli dello sviluppo e del riequilibrio del Mezzogiorno,fornendo provviste finanziarie a gruppi di livello nazio-nale che svolgevano anche attività nel Mezzogiorno. Maquando si fa all’ENEL un prestito per la realizzazione dialcune strutture nel Mezzogiorno non si fa una politica diriequilibrio nel Mezzogiorno, si fa una politica di soste-gno finanziario dell’Ente nazionale, il quale risolve i suoiproblemi del Mezzogiorno con la BEI e utilizza le sue ri-sorse altrove. Questa è una logica obiettivamente diver-sa, non è la logica di finanziamento e riequilibrio nellaComunità, che dovrebbe esere quella prevalente. Del re-

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sto i dati che io ho avuto modo di citare anche in altre cir-costanze offrono dell’attività finanziaria della BEI unpanorama che non è assolutamente riferibile ad un obiet-tivo di riequilibrio delle aree depresse.

E in questa direzione c’è bisogno di una iniziativa ri-levante per cercare di correggere questa impostazione.C’è la possibilità di utilizzare altri canali più recenti chedovrebbero essere meno tecnico-finanziari rispetto allaBEI e, quindi, più accessibili. Ma anche qui si pone ilproblema del rapporto con il governo centrale; quando,infatti con queste attività finanziarie di sostegno, comeper quelle del fondo sociale, il governo centrale proponedi finanziare il metanodotto, certo, fa una cosa interes-sante, perchè il metanodotto è una cosa utile, ma togliealle regioni gran parte dello spazio per finanziare inizia-tive proprie. L’unica ipotesi che può avere una rilevanzapositiva è quella di far finanziare con questi mutui le retiminori distributive del metanodotto, perché questoavrebbe un senso diverso. Credo quindi che possa essereconcretamente un obiettivo da perseguire quello di vin-colare l’attività di finanziamento al gruppo ENI (cioè al-la SNAM) da parte degli organi comunitari non alla co-struzione del metanodotto principale, ma alla costruzio-ne delle reti di distribuzione; vorrei dire di più, delle retidi distribuzione finale, cioè quelle civili degli abitati equelle al servizio delle realtà industriali, ma nella fase fi-nale, non nella fase di partenza, non nelle adduzioni se-condarie dal metanodotto, ma nelle reti periferiche.Questo è l’unico modo per ancorare questi finanziamen-ti ad interessi effettivi, perché la SNAM avrà comunquel’interesse a costruire le reti intermedie, ma se la SNAM

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ottiene il finanziamento del metanodotto o dei bracci se-condari di esso ci sarà il problema — sappiamo tutti a ca-rico di chi — della costruzione delle reti ultime, quelleperiferiche. Se invece è ammessa a finanziamento comu-nitario la rete periferica, la SNAM dovrà comunque tro-vare i soldi per collegare queste reti periferiche con il me-tanodotto principale.

Ecco, io mi fermo qui per non abusare della vostracortesia, per non essere troppo lungo. Credo di avere of-ferto, assieme all’onorevole De Pasquale, un panoramadelle prospettive di sviluppo della nostra Regione in di-rezione degli strumenti che la Comunità offre. L’utilità diquesti confronti, la possibilità magari di esaminare i pro-blemi uno per volta in altre occasioni anzichè tutti insie-me oggi, può, credo, portarci reciprocamente a svolgeremeglio la parte che compete ad ognuno di noi per conse-guire, nell’interesse della Sicilia, i risultati migliori.

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I nodi sono grossi: spero di farcela e presto (*)

Palermo, 6 gennaio 1980

Prevedendo le cose degli anni ‘80 si diceva: arriva ilbuio, comincia il peggio; parole così frequenti da diven-tare trite. Ora, in Sicilia, la cronaca dei primi giorni del-l’anno dà ragione delle anticipazioni tristi. Il maltempodistrugge le coste, miliardi di danni ed una Regione è co-stretta a risposte inadeguate. Poi crisi internazionalesempre più acuta, il buco energetico si allarga, l’inflazio-ne cresce, possibilità di nuovi investimenti al Sud sempreminori, disoccupazione sempre maggiore.

Tra vuoti politici e duri fatti economici, il peggio èdavvero cominciato?

L’intervista con Piersanti Mattarella, presidente diuna giunta di governo dimissionaria dal successore in-certo, non può che cominciare da qui.

«Il peggio è cominciato. Il quadro internazionale èpoliticamente pesante, le conseguenze economiche sonogravi principalmente per le aree depresse come ilMezzogiorno d’Italia. Ma il peggio va affrontato».

(5) Sicilia: nel, buio degli anni ’80: è il testo dell’ultima intervista diPiersanti Mattarella, rilasciata a Giovanni Pepi del Giornale di Sicilia.L’intervista venne trasmessa dal Telegiornale di Sicilia la sera di sabato5 gennaio 1980. Il testo qui riprodotto apparve sul quotidiano palermita-no lo stesso giorno in cui il Presidente della Regione venne assassinato.

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Lo si può affrontare con armi spuntate. A Roma il go-verno è immobile, in Sicilia la giunta è in crisi. Poi si ag-giungono pessimi segnali di volontà politica.

«Quali?».

L’altro giorno su un quotidiano del Nord, proprioAntonio Gava, responsabile per la politica degli enti lo-cali della DC, che è il suo partito, legava la soluzionedella crisi siciliana ai tempi del congresso democristia-no; facendo i conti: quasi tre mesi ancora di vuoto politi-co. Non sono pessimi segnali?

«Intanto al congresso DC manca solo un mese. Maqui è necessaria una considerazione più complessiva.Non c’è dubbio, le armi possono apparire spuntate. I no-di poli tici ci sono e sono grossi, legati a scadenze, che delresto erano prevedibili, che riguardano la DC ma non so-lo la DC. Mi auguro possano sciogliersi nel minor tempopossibile al di là di ciò che Gava ha detto».

Quando i nodi politici di oggi non c’erano le cose nonandavano bene. Andiamo ai dati. Secondo l’ultimo rap-porto del Censis, nel ‘79 l’occupazione al Sud è aumen-tata più che al Nord. In questo processo la Sicilia è rima-sta in coda. I suoi posti di lavoro sono aumentati solodell’uno per cento, rispetto al 12,4 della Puglia e all’1,7della Campania. Perché?

«Perché ancora scontiamo il prezzo di una marginali-tà geografica che è anche economica. C’è un processo diespansione della struttura industriale del Nord di cui be-neficia chi sta più vicino e non la Sicilia. Qui sono au-mentati di poco i posti di lavoro nell’industria, si sono ri-

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dotti nell’agricoltura, si è avuto un incremento nei servi-zi e nel turismo. Contemporaneamente è aumentata ladomanda di posti di lavoro, dunque il problema della di-soccupazione si è aggravato diversamente dai nostri pro-positi. Da questo punto di vista le incognite dell’80 sonopiù preoccupanti ».

La marginalità esiste purchè non sia un alibi. Di fattola Regione ha sprecato occasioni. Un esempio è il meta-no. È un formidabile incen tivo in mano alla Regione. Mastando così le cose, quando esso arriverà dall’Algeriaandrà altrove: nulla è stato fatto per assorbirlo. Si faràqualcosa nei settecento giorni che ci separano dal suoarrivo?

«Qualcosa è stato fatto. La riserva alla Sicilia del tren-ta per cento della quantità che importeremo dall’Algeriaè una conquista della Regione, conseguita non senza fa-tica attraverso 1’EMS. Adesso bisogna programmarne ilconsumo. Non solo da parte degli enti pubblici, ma anchee soprattutto dalle imprese private. Qui bisognerà agirein due direzioni: favorire il consumo da parte delle indu-strie esistenti, sia pubbliche che private, le quali dovran-no modificare i loro impianti; fare in modo che il metano,un incentivo reale in tempi di crisi energetica, eserciti uneffetto attrattivo di nuovi insediamenti industriali. Si do-vrà operare immediatamente, certo. La questione riguar-da il governo ma non solo il governo, è necessario unosforzo di tutto il mondo produttivo».

Andiamo al contenzioso tra Regione e Stato, altro no-do dell’80. Per la Sicilia diventa pure difficile difendere

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le briciole. Le risposte a punti di crisi sono da Roma me-no generose di quanto non lo siano per altre regioni delSud. Alla fine dello scorso anno, governo ed Assembleaconcordarono una iniziativa per costituire un fronte co-mune con i parlamentari eletti nell’isola. Non se ne è sa-puto più nulla. Le cose sono migliorate?

«Non si tratta di questo. Nel ‘79 ci siamo sforzati difar conoscere più direttamente la realtà siciliana ai mag-giori protagonisti della vita pubblica nazionale. Le visitedel capo dello Stato Pertini, del presidente del ConsiglioCossiga e del massimo rappresentante della Cee Jenkinshanno segnato risultati utili per le prospettive di medio pe-riodo. Sui problemi immediati c’è un contenzioso con loStato. C’è e resta. Devo dire che dopo l’incontro con i par-lamentari di cui lei parla qualcosa è cambiato. Da parte go-vernativa, ma anche politica e sindacale, si è avuta diversaattenzione, per esempio, per il cantiere navale di Palermo.Sul Belice ci sarà l’incontro con il governo centrale fraqualche giorno. Passi in avanti si sono avuti pure per la de-finizione delle norme finanziarie con il conseguente au-mento delle entrate della Regione. Qualcosa si è mosso,pur se il clima generale resta tutt’altro che confortante».

Il 79 è stato l’anno in cui della mafia, dopo un cre-scendo di violenza, si è parlato dentro il palazzo. È rico-nosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere so-ciale per rispondere al quale sono necessari fatti politi-ci, non solo misure di polizia. Ma quali fatti politici in talsenso la Regione ha prodotto, quali potrà produrre?

«Fatti politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibatti-ti in Assemblea regionale conclusi con voto unanime.

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Scritti e discorsi

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Molte indicazioni concrete per far fronte al fenomeno so-no state accolte dai recenti provvedimenti del Consigliodei ministri in materia di ordine pubblico».

Siamo sempre sul piano delle misure di polizia. I fattipolitici riguardano il risanamento del costume pubblico.Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale hadetto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezzaprodotta dall’esser «protetti da un amico o da un gruppodi amici che contano». Questi gruppi si insediano puredentro la classe dirigente.

«Il richiamo del cardinale è appropriato. Il problemaesiste perchè nella società a diversi livelli, nella classe di-rigente non solo politica, ma pure economica e finanzia-ria, si affermano comportamenti individuali e collettiviche favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per elimi-nare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazio-ni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia. Pure ènecessario risvegliare doveri individuali e comporta-menti dei singoli che finiscono con il consentire il for-marsi di un’area dove il fenomeno ha potuto, dico stori-camente, allignare e prosperare».

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APPENDICE

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Scritti e discorsi

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INTERROGAZIONI PRESENTATE DALDEPUTATO MATTARELLA

NELLA VI LEGISLATURA (1967-1971)

N. 036 - Al Presidente della RegioneAll’Assessore per lo sviluppo economicoUbicazione in Sicilia di una delle prossime

iniziative dell’IRI, Avio-Sud ed Elettronica-Sud.

Presentata il 3-10-1967

N. 210 - All’Assessore per lo sviluppo economicoInserimento della classe professionale tecni-

ca siciliana nelle opere di ricostruzione dellezone colpite dal terremoto.

Presentata il 27-2-1968

N. 258 - Al Presidente della RegioneMontaggio a Salaparuta di baracche costrui-te senza criterio di razionalità.Presentata il 28-3-1968

N. 442 - All’Assessore per l’industria ed il commercioFusione di alcune società metalmeccanichea partecipazione ESPI. Presentata il 5-10-1968

N. 458 - Al Presidente della RegioneProvvedimenti per evitare la chiusura dellaRhem-Sofim tubi di Palermo.Presentata il 9-10-1968

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Piersanti Mattarella

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N. 1037 - All’Assessore per gli enti localiInterpretazione restrittiva, da parte di alcunipresidenti delle Commissioni provinciali dicontrollo, della legge che abolisce i gettoniper i dipendenti regionali.Presentata il 23-7-1970

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Scritti e discorsi

– 995 –

INTERPELLANZE PRESENTATEDAL DEPUTATO MATTARELLA

NELLA VI LEGISLATURA (1967-1971)

N. 16 - Al Presidente della Regione All’Assessore per lo sviluppo economico Atteggiamento del Governo regionale in or-dine al disegno di legge in discussione alParlamento sulle procedure per la program-mazione. Presentata il 9-11-1967

N. 38 - Al Presidente della RegioneProvvedimenti del Governo regionale a se-guito del terremoto del 15 gennaio 1968. Presentata il 18-1-1968

N. 92 - Al Presidente della RegioneAll’Assessore per la pubblica istruzione All’Assessore per il turismo Applicazione della legge regionale 20 aprile1967, n. 49, riguardante la tutela del patri-monio artistico della Sicilia. Presentata il 18-6-1968

N. 118 - Al Presidente della RegioneAssunzione indiscriminata di personale e diconsulenti da parte della So.Chi .Mi .Si. Presentata il 18-7-1968

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Piersanti Mattarella

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N. 286 - All’Assessore per i lavori pubbliciStato di progettazione esecutiva della stradadi grande comunicazione Trapani-Fulgatore. Presentata il 29-10-1969

N. 380 - All’Assessore per l’agricoltura e le foreste All’Assessore per l’industria e il commercioAll’Assessore per il turismo Interventi in favore dei comuni delleMadonie.Presentata il 26-10-1970

N. 389 - All’Assessore per il turismo Notizie stampa relative alla esclusione dellaSicilia dal potenziamento dei trasporti. Presentata il 18-11-1970

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Scritti e discorsi

– 997 –

MOZIONI SOTTOSCRITTE DALDEPUTATO MATTARELLA

NELLA VI LEGISLATURA (1967-1971)

N. 22 - Iniziative per l’insediamento in Sicilia del-l’industria elettronica e per assicurare lacontinuità del lavoro dell’ELSI. Presentata, letta, svolta ed approvata conemendamento il 21-3-1968.

N. 59 - Preoccupazioni suscitate dalla notizia del-l’introduzione nel progetto di legge-delegaper la riforma tributaria del principio dellaabolizione della non nominabilità dei titoliazionari.Presentata e letta l’11-6-1969. Svolta ed approvata il 18-6-1969.

N. 74 - Orientamenti e decisioni del Consiglio deiMinistri della CEE per il settore agrumicolo.Presentata, letta e svolta il 18-11-1969. Assorbita a seguito della approvazione del-la mozione n. 70.

N. 89 - Violazioni della legge 10 luglio 1970, n. 14,relativa alla sospensione dei concorsinell’Amministrazione regionale. Presentata il 17-11-1970. Letta il 18-11-1970. Svolta il 24-11-1970. Ritirata.

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Piersanti Mattarella

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ORDINI DEL GIORNO SOTTOSCRITTIDAL DEPUTATO MATTARELLA

NELLA VI LEGISLATURA (1967-1971)

N. 10 - Ripristino degli stanziamenti utilizzati per ilfinanziamento del disegno di legge recanteprovvidenze in favore dei comuni siciliani. Presentato il 17-11-1967. Letto, svolto e approvato il 20-11-1967.

N. 16 - Approntamento dei mezzi finanziari per larealizzazione della strada a scorrimento ve-loce Sciacca-Palermo. Presentato, letto, svolto ed approvato il 27-1-1968.

N. 56 - Stato dei lavori della Commissione di inda-gine sugli enti regionali. Presentato, letto e svolto il 14-11-1968. Superato per l’approvazione del n. 55(Comunicazioni Presidente Commissioneindagine enti regionali).

N. 89 - Organico programma di sviluppo dell’ESPIe delle società collegate. Presentato, letto, svolto ed approvato l’11-11-1969.

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Scritti e discorsi

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DISEGNI DI LEGGE SOTTOSCRITTIDAL DEPUTATO MATTARELLA

NELLA VI LEGISLATURA (1967-1971)

N. 9 - Contributi regionali per l’assistenza domici-liare ed ambulatoriale ai coltivatori diretti.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 22 - Contributo per l’acquisto di sementi e conci-mi.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 26 - Proroga della legge regionale 12 aprile1967, n. 38 sugli assegni familiari ai coltiva-tori diretti, mezzadri, coloni e categorie assi-milate. Approvato dall’Assemblea nelle sedute del18, 19 settembre e 1 ottobre 1969, - Legge 10ottobre 1969, n. 36 - Pubblicata nellaGazzetta ufficiale della Regione n. 50 dell’liottobre 1969.

N. 38 - Liquidazione dell’Ente siciliano per le caseai lavoratori. Approvato dall’Assemblea nella seduta del5, 7 e 14 dicembre 1967 - La legge regionale

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Piersanti Mattarella

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è stata impugnata dal Commissario delloStato avanti alla Corte Costituzionale.Questa, con sentenza 22 del 3-17 aprile1968, ha dichiarato non fondate le questionidi legittimità costituzionale della legge pro-poste dal Commisario dello Stato - Legge 22aprile 1968, n. 8 - GURS n. 20 del 27 aprile1968.

N. 41 - Assistenza e tutela della cooperazione dicredito rurale.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 89 - Provvedimenti riguardanti il risanamentodei quartieri malsani di Palermo.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 100 - Provvedimenti in favore degli ospedali sici-liani - Integrazioni alla legge regionale 30dicembre 1960, n. 54.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 106 - Nuove disposizioni in materia di lavori pub-blici.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

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Scritti e discorsi

– 1001 –

N. 121 - Estensione dei ruoli speciali misti a tuttiquegli Assessorati regionali nei quali attual-mente non sono previsti.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 132 - Determinazione dell’assegno mensile nonriversibile ai vecchi lavoratori (legge regio-nale 21 ottobre 1957, n. 58; legge regionale8 gennaio 1960, n. 1 e legge regionale 5 otto-bre 1965, n. 23) ed ai minorati psichici irre-cuperabili (legge 30 maggio 1962, n. 18).Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 141 - Indennità spettanti ai Presidenti ed ai com-ponenti dei Consigli di Amministrazione, aiPresidenti ed ai componenti dei collegi deirevisori dei conti, nonchè ai Sindaci deglienti economici regionali. Non esitato dallaCommissione per la sopravvenuta chiusuradella legislatura.

N. 160 - Provvidenze in favore degli ospedali sicilia-ni.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

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Piersanti Mattarella

– 1002 –

N. 164 - Interventi a favore dei terremotati del gen-naio 1968.Esaminato dall’Assemblea nella seduta del27 gennaio 1968 - Legge 3 febbraio 1968, n.1 - GURS n. 5 del 3 febbraio 1968.

N. 178 - Riordinamento del personale delle Cameredi commercio.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 182 - Norme per il finanziamento della strada ascorrimento veloce Palermo-Sciacca.Esaminato dall’Assemblea nella seduta an-timeridiana del 26 luglio 1968 - Legge 10agosto 1968, n. 27 - GURS n. 37 del 17 ago-sto 1968.

N. 185 - Provvedimenti in favore dell’Ente autono-mo del porto di Palermo.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 232 - Trattamento economico ai componenti delleCommissioni provinciali di controllo.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 257 - Contributo all’Ente nazionale per la prote-zione e l’assistenza dei sordomuti.

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Scritti e discorsi

– 1003 –

Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 300 - Applicazione al personale regionale dellenorme statali concernenti l’esodo volonta-rio.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 315 - Provvedimenti per la celebrazione in Siciliadel cinquantesimo anniversario dellaVittoria.Ritirato dai deputati proponenti il 29 mag-gio 1969.

N. 317 - Conferimento delle zone industriali regiona-li ai Consorzi per le aree ed i nuclei di svi-luppo industriale di cui alla legge 29 luglio1957, n. 634.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 321 - Proroga e modificazione della legge regio-nale 24 ottobre 1961, n. 18, recante agevola-zioni tributarie in favore dei proprietari col-tivatori diretti.Esaminato dall’Assemblea nelle sedute an-timeridiana e pomeridiana del 17 luglio1969 - Legge 30 luglio 1969, n. 27 - CURS n.36 del 31 luglio 1969.

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Piersanti Mattarella

– 1004 –

N. 330 - Contributi a favore degli Enti locali dellaRegione ed integrazione delle provvidenzepreviste dalla legge nazionale 12 marzo 1968,n. 326, per la razionalizzazione e lo sviluppodella ricettività turistica ed alberghiera.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 331 - Norme per l’affrancazione dei terreni degliassegnatari della riforma agraria in Sicilia.Approvato dall’Assemblea nella seduta del27 novembre 1968 - Legge 6 dicembre 1968,n. 44 - GURS n. 55 del 7 dicembre 1968.

N. 336 - Estensione ai comuni della Regione sicilia-na dell’applicazione della legge 2 aprile1968, n. 491.Esaminato dall’Assemblea nella seduta po-meridiana del 2 aprile 1969 - Legge 11 apri-le 1969, n. 9 - GURS n. 17 del 12 aprile 1969.

N. 360 - Norme integrative del disegno di legge n.317, concernente: Conferimento delle zoneindustriali regionali ai consorzi per le aree ei nuclei di sviluppo industriale di cui alla leg-ge 29 luglio 1957, n. 634.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 361 - Provvidenze in favore delle città di Palermo,Catania e Messina per l’esecuzione di opererelative alle reti idriche e fognanti.

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Scritti e discorsi

– 1005 –

Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 363 - Provvidenze per la costruzione e l’attrezza-tura di scuole materne.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 364 - Modifiche ed integrazioni alle leggi 3 feb-braio 1968, n. 1, 18 luglio 1968, n. 20 con-cernenti: Provvedimenti per la ripresa civileed economica delle zone colpite dai terre-moti del 1967 e 1968.Esaminato dall’Assemblea nelle sedute del17 serale e 18 luglio 1969 - Legge 30 luglio1969, n. 28 - GURS n. 36 del 31 luglio 1969.

N. 365 - Proroga delle norme previste dall’art. 12della legge 3 febbraio 1968, n. 1, concernen-te: «Provvedimenti per la ripresa civile edeconomica delle zone colpite dai terremotidel 1967 e 1968». Esaminato dall’Assemblea nelle sedute del17 serale e 18 luglio 1969 - Legge 30 luglio1969, n. 28 - GURS n. 36 del 31 luglio 1969.

N. 370 - Provvidenze in favore delle Isole minori del-la Regione siciliana.Approvato dall’Assemblea nelle sedute del12 e 18 giugno 1969 - Legge 27 giugno 1969,n. 18 - GURS n. 31 del 28 giugno 1969.

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Piersanti Mattarella

– 1006 –

N. 420 - Proroga dei termini di cui alla legge statale 5marzo 1961, n. 90.Esaminato dall’Assemblea nelle sedute del20 giugno e 3, 7, 8 e 16 luglio 1969 - Legge25 luglio 1969, n. 25 - GURS n. 35 del 26 lu-glio 1969.

N. 431 - Interventi integrativi della Regione per lacostruzione ed il riattamento di strade vici-nali ed interpoderali.Legge 27 ottobre 1969, n. 40 - GURS n. 54del 31 ottobre 1969.

N. 437 - Contributi a favore degli agrumicultori.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 439 - Ulteriore finanziamento per le finalità dellalegge 30 novembre 1967, n. 55, e costituzio-ne di un fondo in materia di pubblica istru-zione e di un fondo in materia di sanità.Esaminato dall’Assemblea nelle sedute del20 giugno e 3, 8 e 16 luglio 1969 - Legge 25luglio 1969, n. 22 - GURS n. 35 del 26 luglio1969.

N. 454 - Provvedimenti in favore del personale dellescuole materne.Esaminato dall’Assemblea nella seduta del 18dicembre 1969 serale - Legge 27 dicembre1969, n. 51 - GURS n. 63 del 27 dicembre 1969.

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Scritti e discorsi

– 1007 –

N. 464 - Proroga e coordinamento delle disposizioniagevolative in materia di costruzioni edili-zie.Approvato dall’Assemblea nelle sedute del17, serale, e 18 luglio 1969 - Legge 30 luglio1969, n. 29 - GURS n. 36 del 31 luglio 1969.

N. 472 - Provvedimenti per la ripresa dell’attivitàagricola in Sicilia.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 506 - Istituzione e riordinamento delle condotteagrarie in Sicilia.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 558 - Proroga della legge regionale 3 maggio1969, n. 13, per i corsi di qualificazione pro-fessionale della Tonnara Florio di Favignanae Formica.Approvato dall’Assemblea nelle sedute del19 e 20 novembre 1969 - Legge 29 novembre1969, n. 45 - GURS n. 59 del 29 novembre1969.

N. 577 - Stato giuridico dei messi di notificazione di-pendenti dai Comuni e dai liberi consorzi(modifica all’art. 200 della leggesull’Ordinamento degli enti locali nellaRegione siciliana).

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Piersanti Mattarella

– 1008 –

Approvato dall’Assemblea nelle sedute del23 settembre e 6 ottobre 1970 - Legge 15 ot-tobre 1970, n. 33 - GURS n. 46 del 17 ottobre1970.

N. 586 - Estensione alle cooperative agricole del be-neficio della esenzione dai tributi fondiari.Approvato dall’Assemblea nelle sedute del24 settembre e 6 ottobre 1970 - Legge 15 ot-tobre 1970, n. 29 - GURS n. 46 del 17 ottobre1970.

N. 587 - Modifica all’art. 6 della legge 18 novembre1964, n. 29, concernente l’albo regionale deiprogettisti, dei direttori dei lavori e dei col-laudatori delle opere pubbliche.Esitato dalla Commissione speciale -L’Assemblea non ne ha completato l’esameper la sopravvenuta chiusura della legisla-tura.

N. 670 - Provvedimenti per favorire l’ammoderna-mento e lo sviluppo delle imprese artigiane.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 687 - Modifiche alla legge regionale 25 luglio 1969,n. 25, recante provvedimenti per il funziona-mento degli uffici dell’Amministrazione re-gionale.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

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Scritti e discorsi

– 1009 –

N. 688 - Erezione in Palermo di un monumento aLuigi Sturzo.Esitato dalla Commissione e non esaminatodall’Assemblea per la sopravvenuta chiusu-ra della legislatura.

N. 701 - Contributi integrativi alle amministrazioniprovinciali, comunali ed a loro consorzi perla costruzione di edifici destinati a sezioni discuola materna.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 704 - Interpretazione autentica degli artt. 2 e 3 del-la legge 20 marzo 1950, n. 29, integrata dal-la legge 7 dicembre 1953, n. 61, recantiprovvedimenti per lo sviluppo delle indu-strie della Regione.Approvato dall’Assemblea nella seduta del2 aprile 1971 - Legge 14 aprile 1971, n. 12 -GURS n. 19 del 17 aprile 1971.

N. 734 - Agevolazioni in favore dei lavoratori chehanno prestato lavoro subordinato all’este-ro.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 754 - Disciplina dei canoni di utenza delle acque ascopo irriguo dei canali dell’antico dema-nio.

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Piersanti Mattarella

– 1010 –

Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 762 - Modifica alla legge regionale 30 dicembre1960, n. 48, e successive aggiunte e modifica-zioni concernenti norme per la tutela socialedei lavoratori e per lo sviluppo della coopera-zione.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

N. 766 - Provvidenze a favore dell’Associazione re-gionale famiglie numerose.Non esitato dalla Commissione per la so-pravvenuta chiusura della legislatura.

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SCHEDE DELL’ATTIVITÀ PARLAMENTAREDEL DEPUTATO PIERSANTI MATTARELLA

Anni 1967-1971 VI Legislatura

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

1 11-7-1967 Presta il giuramento di rito.

9 11-8-1967 Viene eletto componente della I Com-missione.

63 6-3-1968 Dichiara di rimettersi alla relazionescritta del disegno di legge n. 93(Abolizione delle cariche di Asses-sore supplente nelle Giunte comunalie provinciali).

269 11-11-1969 Per il suo gruppo si associa alla com-memorazione dell’ex deputato regio-nale Antonino Ramirez.

289 19-12-1969 Rende la relazione sul disegno di leg-ge n. 599 (Esercizio provvisorio delbilancio) - Formula gli auguri diNatale e Capodanno.

315 25-5-1970 Viene eletto membro della VI Com-missione.

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Piersanti Mattarella

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

316 26-5-1970 Sul disegno di legge n. 539 (Abroga-zione di norme di legge aventi riflessifinanziari sul bilancio della Regione).

337 22-9-1970 Per la morte dell’onorevole CamilloAusiello Orlando.

338 23-9-1970 Sui disegni di legge riguardanti con-validazione di decreti del Presidentedella Regione dal n. 525 al n. 533.

339 24-9-1970 Sull’articolo 1 del disegno di legge n.636 (Finanziamento straordinario aicomuni in materia di lavori pubblici).

340 29-9-1970 Per la morte di Nasser.

350 15-10-1970 Svolge la relazione sul disegno di leg-ge nn. 196-423 (Riforma burocrati-ca).

367 19-11-1970 Sul suo emendamento all’articolo 11 (di-segno di legge n. 559/351 articolo 38).

368 24-11-1970 Sulla mozione n. 89 (Sospensione diconcorsi nell’amministrazione regio-nale) - Di nuovo sul medesimo argo-mento.

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Scritti e discorsi

– 1013 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

374 2-12-1970 Quale relatore a conclusione della di-scussione generale del disegno di leg-ge n. 196/423 (Riforma burocratica).

377 23-12-1970 Formula gli auguri di Natale eCapodanno.

398 10-3-1971 Sull’articolo 8 del disegno di legge diriforma burocratica - Sull’art. 73 bis esull’articolo 76 ter dello stesso dise-gno di legge.

411 31-3-1971 Sul documento n. 8 (Modifiche alRegolamento interno dell’Assem-blea) - Sull’emendamento all’artico-lo 4 di detto documento.

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Piersanti Mattarella

– 1014 –

Anni 1971-1976 VII Legislatura

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

1971

1 12 luglio Presta il giuramento di rito.

9 10 agosto Viene eletto Assessore regionale (28°Governo).

17 11 ottobre Viene eletto Assessore regionale (29°Governo).

25 10 novembre Sulla data di discussione della mozio-ne e della interrogazione riguardantigli investimenti industriali deliberatidal CIPE.

35 22 dicembre Sul disegno di legge n. 110/A(Eserci-zio provvisorio del bilancio per l’an-no 1972).

1972

37 11 gennaio Sulla data di svolgimento di una in-terpellanza.

54 22 febbraio Sull’art. 13 bis del disegno di legge n.107 (Attività lirico-sinfoniche).

61 7 marzo Sul disegno di legge n. 78 (Bilanciodella Regione).

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Scritti e discorsi

– 1015 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

62 8 marzo Sugli emedamenti alla tabella A deldisegno di legge n. 78 (Bilancio dellaRegione) - Di nuovo sul medesimoargomento - Sul suo emendamento alcapitolo 1206 - Sull’emendamentoRusso Giuseppe al capitolo 1217 -Sugli emendamenti al capitolo 1218Sul suo emendamento al capitolo1401 - Sui suoi emendamenti al capi-tolo 4056 - Sui suoi emendamenti aicapitoli 5198 e 5901 - Sugli emenda-menti al Titolo II - Sul suo emenda-mento all’articolo 3 del disegno dilegge n. 109 (Norme finanziarie).

64 9 marzo Sull’emendamento all’articolo aggiun-tivo 15 undecies Lombardo del disegnodi legge n. 109 (Norme finanziarie) - Sulsuo emendamento concernente l’auto-rizzazione di spesa per singoli articoli.

74 12 giugno Risponde all’interrogazione dell’on.leGrammatico n. 249 sui risultati del-l’inchiesta nei confronti di un dirigen-te regionale.

77 15 giugno Sul rinvio della discussione della mo-zione riguardante lo sviluppo dei can-tieri navali di Palermo.

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Piersanti Mattarella

– 1016 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

83 3 luglio Sul fatto personale sollevato dall’on.Mancuso.

84 4 luglio Per il Governo su una istanza dell’on.Messina.

101 10 ottobre Si associa a nome del Governo allacommemorazione del professoreD’Alessandro.

112 23 dicembre Viene eletto Assessore regionale (30°Governo).

1973

114 11 gennaio Chiede la procedura d’urgenza con rela-zione orale per due disegni di legge pre-sentati dal Governo riguardanti l’eserci-zio provvisorio e variazioni di bilancio.

116 12 gennaio Sul disegno di legge n. 257/A(Esercizio provvisorio del bilancioper l’anno 1973).

122 1 febbraio Sull’articolo 1 del disegno di legge n.256-259-265/A- Sull’articolo 2 del me-desimo disegno di legge - Sull’articolo30 del disegno di legge precedente.

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Scritti e discorsi

– 1017 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

123 13 febbraio Si associa per commemorare la scom-parsa dell’on. La Terza.

126 22 febbraio Invita i presentatori dell’emenda-mento all’art. 1 del disegno di leggen. 266/A «Provvedimenti per la ge-stione delle miniere di zolfo nel pri-mo trimestre 1973» a ritirarlo.

128 27 febbraio Si associa a nome del Governo allacommemorazione dell’on. Canepa.

137 22 marzo Sul rinvio della discussione di unamozione - Sul disegno di legge n.302/A riguardante provvedimenti pergli alluvionati.

144 12 aprile Risponde all’on. Paolone sulla mozioneriguardante le anticipazioni ospedaliere.

145 17 aprile Sugli episodi di violenza a Roma e aMilano.

147 18 aprile Sul rinvio della discussione di un di-segno di legge Sul disegno di legge n.220-259/A (Bilancio della Regioneper l’anno 1973).

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Piersanti Mattarella

– 1018 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

155 9 maggio Sulla data di discussione della mozio-ne n. 46 riguardante la giunta comu-nale di Avola.

156 10 maggio Sull’art. 26 del disegno di legge n.196/A (Modifica alla legge 21-3-1973, n. 19).

158 17 maggio Illustra il suo emendamento sul dise-gno di legge 29-44-256/A (Danni delnubifragio).

163 29 maggio Sulla mozione n. 46 (Comportamentodella giunta comunale di Avola).

179 25 settembre Sull’ordine del giorno n. 56 (Condan-na del colpo di Stato in Cile).

189 6 novembre Sull’emendamento art. 1 bis delGoverno al disegno di legge 59-206/A (Norme sugli enti regionali).

208 12 dicembre Sul disegno di legge 412/A(Rendicon-to consuntivo dell’Amministrazioneregionale per l’anno finanziario 1972)- Sugli emendamenti aggiuntivi dellaCommissione al disegno di legge 53-206/A(Norme sugli enti regionali).

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Scritti e discorsi

– 1019 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

210 19 dicembre Chiede la procedura d’urgenza per idisegni di legge presentati dalGoverno riguardanti il personale re-gionale.

1974

214 22 gennaio Sullo svolgimento della interpellanzan. 247 (Nomina del Presidente delBanco di Sicilia).

220 7 febbraio Sull’emendamento Mattarella eNicoletti al disegno di legge 340bis/A (Autotrasporti).

221 13 febbraio Chiede la procedura d’urgenza per ildisegno di legge n. 451 (Proroga del-l’esercizio provvisorio del bilancio).

225 27 marzo Viene eletto Assessore regionale (31°Governo).

233 29 aprile Replica agli interventi nel dibattitosul disegno di legge n. 359-446/A(Bilancio della Regione per 1’anno1974).

(ant.)

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Piersanti Mattarella

– 1020 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

234 29 aprile Chiede il prelievo del disegno di leg-ge n. 359 - 446 (pom.) (Bilancio diprevisione della Regione siciliana an-no finanziario 1974) - Prende la paro-la sul predetto disegno di legge -Illustra gli emendamenti ai capitoli2452 e 2836 del titolo II.

235 30 aprile Dichiara di ritirare il suo emenda-mento al capitolo 2259 - Sull’emen-damento aggiuntivo al capitolo 2491;sull’art. 2 del disegno di legge; sull’e-mendamento sostitutivo all’art. 32del disegno di legge; sull’art. 38 dellostesso disegno di legge; sull’emen da-mento art. 11 bis del medesimo dise-gno di legge; sull’art. 24 del medesi-mo disegno di legge.

245 18 giugno Risponde all’interpellanza n. 481(Inserimento della Sicilia nel pianoenergetico nazionale)

246 19 giugno Illustra il suo emendamento aggiunti-vo e sostitutivo all’art. 2 del disegnodi legge n. 420/A riguardante provvi-denze per l’Università di Catania.

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Scritti e discorsi

– 1021 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

255 4 luglio Sul suo emendamento sostitutivo al-l’art. 43 bis del disegno di legge«Provvedimenti per l’economia sici-liana» (490/A).

256 9-10 luglio Sull’emendamento all’art. 44 bis deldisegno di legge n. 490/A.

257 16 luglio Sugli emendamenti Parisi ed Ordileall’art. 4 del disegno di legge n. 138/A(Stazione di granicoltura di Catania).

262 19-20 luglio Propone venga data delega alGoverno per il coordinamento forma-le del disegno di legge 425/A(Ordinamento degli uffici e del perso-nale della Regione). Sull’art. 3 del di-segno di legge «Soppressione dellescuole professionali regionali» (nn.1 1 4 - 2 5 4 - 3 2 9 - 4 2 8 / A )Sull’emendamento art. 7 bis disegnodi legge n. 114 e segg.

263 6 agosto Illustra il suo emendamento sostituti-vo all’art. 4 del disegno di legge n.521/A «Provvedimenti per la serri-coltura».

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Piersanti Mattarella

– 1022 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

290 26 novembre Per dichiarazione di voto sulla mo-zione n. 89 (Diritto di voto ai diciot-tenni) - Chiede che la Presidenzavenga delegata a concordare la datadi discussione della mozione n. 86(Ispezioni nei comuni di Taormina eGiardini) con l’Assessore per lo svi-luppo economico.

292 28 novembre Si riserva di rispondere sulla data disvolgimento della interpellanza n.349 dopo aver consultato l’Assessorecompetente - Sul disegno di legge n.568/A(Variazioni di bilancio)

294 4 dicembre Chiede che gli emendamenti relativial disegno di legge n. 523/A(Provvidenze per i dipendenti dellaCOMES di Catania) siano esaminatidalla Commissione di merito.

295 10 dicembre Chiede che l’esame del disegno dilegge n. 523/A venga sospeso per unesame più approfondito degli emen-damenti.

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Scritti e discorsi

– 1023 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

299 16 dicembre Sul disegno di legge n. 531/A «Bilancio di previsione della Regionesiciliana per l’anno finanziario 1975».

300 17 dicembre Sui suoi emendamenti capitoli 2452,2836, 2913: illustra il suo emenda-mento capitolo 2913.

301 18 dicembre Sull’emendamento Russo G. ed altricapitolo 11502; dichiara di ritirare isuoi emendamenti capitoli 21233,21418, 21451, 21452; sull’emenda-mento Rindone ed altri capitolo21142; sull’emendamento Tricoli edaltri, capitolo 21703; sull’emenda-mento Cusimano ed altri cap. 21703;sull’emandamento Cusimano ed altricap. 26127.

302 19 dicembre Sull’emendamento del Governo alcapitolo 26603; sull’emendamentoManiscalco Basile al capitolo 17553;sull’emendamento Cagnes ed altri alcap. 17652; sull’emendamento delGoverno al capitolo 17711; sull’ordi-ne del giorno n. 130 per il quale espri-me parere contrario; sugli emenda-menti De Pasquale ed altri capitoli28701 e 28722.

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Piersanti Mattarella

– 1024 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

303 20 dicembre Sugli artt. 17 e 31 e sul capitolo20911 del disegno di legge n. 531/A(bilancio 1975) - Chiede la sospen-sione dell’art. 5 del disegno di legge538/A«Nuovi provvedimenti per po-tenziare gli uffici tecnici delle zoneterremotate». Sugli emendamenti al-l’art. 5 e sull’art. 5 bis del disegno dilegge n. 538/A - Sull’articolo 4 deldisegno di legge n. 414 (attività liri-co-sinfoniche) - Chiede di accanto-nare l’art. 4 del disegno di legge n.530/A «Provvidenze per le aziendecolpite da infestazioni di aelia rostra-ta» - Sui suoi emendamenti sostituti-vi al numero 4, lettera b) art. 1 e ag-giuntivi all’art. 1, su emendamentoParisi ed altri e sull’art. 2 bis del dise-gno di legge 531 ter (impiego perl’anno 1975 di parte del fondo di so-lidarietà nazionale periodo 72-76) -Sugli artt. 1 e 6 e su emendamenti al-l’art. 13 bis, suo soppressivo e DePasquale sostitutivo al 2° commadell’art. 46 del disegno di legge 531bis (integrazioni e modifiche di nor-me finanziarie).

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Scritti e discorsi

– 1025 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

1975

308 22 gennaio Sul disegno di legge n. 463/A:«Provvedimenti straordinari in favo-re delle aziende industriali operantinell’ambito del porto di Palermo eprovvidenze in favore delle organiz-zazioni dei lavoratori del porto» -Sull’emendamento Tricoli all’art. 3del disegno di legge n. 463/A c.s.

309 23 gennaio Chiede la procedura d’urgenza per ildisegno di legge n. 600: «Norme peril finanziamento della spesa e dell’e-rogazione dell’assistenza ospedalie-ra».

312 30 gennaio Sull’art. 13 del disegno di legge«Rendiconto generale dell’Ammini-strazione regionale per il 1973»(527/A) - Sul disegno di legge «con-tributi per l’assistenza sanitaria gene-rica agli artigiani» (427-434457/A).

327 13 marzo Sulla mozione n. 100 - De Pasquale,Corallo ed altri «Rinnovo delle con-venzioni con gli istituti di credito peri servizi di cassa della Regione».

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Piersanti Mattarella

– 1026 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

329 14 marzo Sul disegno di legge «Anticipazioni alpersonale degli enti edilizi soppressi»(624/A) - Sul suo emendamento al-l’art. 4 bis, esprime avviso favorevoleall’emendamento Cagnes ed altri al-l’art. 4 bis, sull’ art. 5 del disegno dilegge «Provvedimenti finanziari nelsettore dei lavori pubblici» (577/A).

333 9 aprile Sul disegno di legge «Piano regiona-le di interventi per il periodo 1975-80» (636/A) - Propone di delegare laPresidenza ad apportare in sede dicoordinamento correzioni formali altesto dell’art. 1 del disegno di leggetestè citato - Sull’art. 3 dello stessodisegno di legge.

336 17 aprile Sull’uccisione a Milano dello studen-te Claudio Varalli.

338 23 aprile Sugli artt. 3 e 5 del disegno di legge«Prosecuzione di corsi di qualifica-zione professionale e di perfeziona-mento in favore dei lavoratori già di-pendenti del calzaturificio Leone diPalermo, costituitosi nella cooperati-va CO.SIL.CA.» (622/A).

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Scritti e discorsi

– 1027 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

339 29 aprile Sull’emendamento della Commis-sione all’art. 11 del disegno di legge«Norme per l’incentivazione della at-tività edilizia delle cooperative nellaRegione siciliana e modifiche al con-trollo sugli atti dei comuni concernen-ti strumenti urbanistici» (525-527-539/A) - Sugli emendamenti: DePasquale, art. 14 bis, della Com-mis-sione, art. 16 del d.l. «Norme per il fi-nanziamento della spesa e per l’eroga-zione dell’assistenza ospedaliera»(594-600/A) - Sull’emendamento delGoverno sostitutivo dell’art. 16 -Sull’emendamento della Commis-sione all’art. 17 bis.

342 6 maggio Fornisce chiarimenti circa la presen-tazione da parte del Governo di un di-segno di legge sul settore zolfifero.

349 16 maggio Contro l’aggressione subita dalPresidente della DemocraziaCristiana del comune di Milano, av-vocato De Carolis.

361 8 luglio Risponde all’interrogazione n. 1123(Tricoli) sulla liquidazione coattadella Cassa rurale di Caltavuturo.

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Piersanti Mattarella

– 1028 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

365 23 luglio Sul disegno di legge «Convalida deidecreti emanati dal Presidente dellaRegione concernenti prelevamentidal fondo di riserva per le spese im-previste per l’anno finanziario 1974»(704/A).

370 6 agosto Sull’art. 6 bis (Cangialosi ed altri) deldisegno di legge «Interventi dellaRegione per iniziative culturali»(292-430-435/A).

375 2 ottobre Chiede procedura d’urgenza con rela-zione orale per il disegno di legge n.750 (Provvedimenti per la vitivinicul-tura) - Sul disegno di legge«Integrazione della legge 3 giugno1975, n. 25 concernente provvedi-menti in favore dei lavoratori emi-granti e delle loro famiglie» n. 719/A-Sugli emendamenti sostitutivi (Gril-lo-Cangialosi-Pellegrino) all’art. 1del disegno di legge «Proroga dei ter-mini di cui all’art. 8 della legge 23marzo 1975, n. 5 contenente provve-dimenti per la pesca» (737/A) e sull’e-mendamento Grillo-Cangialosi art. 1bis del disegno di legge suddetto.

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Scritti e discorsi

– 1029 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

377 9 ottobre Sul disegno di legge «Rendiconto ge-nerale consuntivo dell’Amministra-zione della Regione siciliana,dell’Azienda delle foreste demanialie del Fondo di solidarietà nazionaleper l’anno finanziario 1974» (749/A).

385 13 novembre Sullo stato di attuazione della legge diriforma burocratica.

393 27 novembre Sull’emendamento art. 3 ter(Giuliano) del disegno di legge«Nuove norme per l’incentivazionedell’attività edilizia delle cooperativenella Regione» (746/A). Sull’ordinedel giorno 176 (Niceta-Lamicela-Giubilato) «Aumento dello stanzia-mento per contributi in favore dellecooperative edilizie».

396 4 dicembre Sul disegno di legge «Aumento deicontributi per l’assistenza sanitariagenerica e farmaceutica ai commer-cianti e modifica alla legge regionale31 luglio 1970, n. 26 (650/A) - Sul di-segno di legge «Provvidenze in favo-re dei pescatori di Mazara del Vallo di-soccupati a causa del mancato rinno-

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Piersanti Mattarella

– 1030 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

vo del trattato di pesca con la Tunisia»(756/A) - Sull’emendamento sostituti-vo (Giubilato ed altri) all’art. 1, su suoemendamento art. 2 bis e sull’emenda-mento (Grillo ed altri) aggiuntivo al-l’emendamento art. 2 bis del Governoal disegno di legge suddetto (756/A).

398 11 dicembre Sul disegno di legge « Proroga del fi-nanziamento regionale della Facoltà diMagistero di Palermo » (630-631/A).

403 19 dicembre Sul disegno di legge « Bilancio diprevisione della Regione siciliana perl’anno finanziario 1976 (739/A) e suirelativi emendamenti - Sugli ordinidel giorno 180-181 e 192.

1976

405 14 gennaio Risponde alle interrogazioni nn. 886-1196 (De Pasquale) ed alla interpel-lanza n. 479 (Chessari) riguardanti ri-spettivamente i risultati di una ispe-zione alla Banca industriale trapane-se; dissesto della Cassa rurale diMussomeli; blocco del disegno di leg-ge di finanziamento dei provvedi-menti per la zootecnia.

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Scritti e discorsi

– 1031 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

417 3 febbraio Sull’emendamento art. 1 disegno dilegge «Provvedimenti per il com-mercio» (664-741-819/A).

424 11-12 febbraio Su emendamento art. 30 bis, e lo ri-tiene improponibile, disegno di leg-ge 781/A «Nuove norme per la am-ministrazione della Regione e pergli enti locali e ospedalieri inSicilia».

425 12 febbraio Sul disegno di legge «Anticipazioniper la gestione provvisoria della di-sciolta ONMI e provvedimenti per ildisciolto ente «Gioventù italiana»(816833/A) - Sugli emendamenti al-l’art. 1, sull’emendamento sostitutivodel Governo all’art. 6 - Sul disegno dilegge «Provvedimenti per fronteg-giare gli oneri derivanti dalla revisio-ne dei prezzi contrattuali» (835/A).

434 2 marzo Rende alcune dichiarazioni sull’ar-gomento della mozione n. 139 (DePasquale-Corallo ed altri) «Defini-zione delle convenzioni per il servi-zio di cassa della Regione» e rispon-de agli oratori intervenuti.

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Piersanti Mattarella

– 1032 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

435 3 marzo Sul disegno di legge «Integrazioni al-la legge regionale 30 novembre 1974,n. 38 riguardante l’ordinamento ed ilfunzionamento delle Comunità mon-tane» (849/A).

439 11 marzo Sui disegno di legge sulle Commis-sioni provinciali di controllo (161 -Norme stralciate 589-738/A).

459 8 aprile Sugli emendamenti al disegno di leg-ge «Provvidenze straordinarie perl’ESPI, l’EMS e l’Az.A.Si. e provvi-denze per la piccola e media indu-stria» (864/A).

460 9 aprile Sull’emendamento 19 ter del disegnodi legge «Tutela dei centri storici enorme speciali per il quartiere diOrtigia e di Siracusa» (120/A).

472 23 aprile Sul disegno di legge «Norme concer-nenti i servizi di cassa e di tesoreria»(845/A) e sui relativi emendamenti.

474 27 aprile Su emendamenti al disegno di legge822/A «Provvedimenti in favore deicomuni siciliani».

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Scritti e discorsi

– 1033 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

476 28 aprile Sul disegno di legge 710-735764-779/A «Contributo acquisto libri me-die inferiori».

477 29 aprile Si associa alla commemorazione del-l’on. Girolamo Bellavista ed alle pa-role dell’on. Grammatico per 1’ as-sassinio del Consigliere delMovimento sociale italiano Pedenovi- Sugli emendamenti al disegno dilegge 688/A« Finanziamento del pro-gramma di investimenti per il qua-driennio 1975-78 dell’EMS». Sugliemendamenti al disegno di legge916-818/A «Norme sulla scuola ma-gistrale ortofrenica regionale e sullostato giuridico e sul trattamento eco-nomico del relativo personale».

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Piersanti Mattarella

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Anni 1976-1980 VIII Legislatura

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

1976

1 8 luglio Presta il giuramento di rito.

9 13 agosto Viene eletto Assessore regionale.

19 27 ottobre Assicura l’intervento del Governo in fa-vore dei comuni colpiti dall’alluvione.

24 17 novembre Sul disegno di legge «Rendiconto ge-nerale consuntivo dell’Amministra-zione della Regione siciliana,dell’Azienda delle foreste demaniali,del Fondo di solidarietà nazionale edel fondo regionale per l’assistenzaospedaliera, per l’anno finanziario1975» (n. 106/A).

35 15 dicembre Su un emendamento all’art. 1(Ravidà ed altri) al disegno di legge«Provvedimenti urgenti per la ripresaeconomica delle aziende agricolecolpite da eccezionali avversità at-mosferiche e da attacchi parassitari »(84-2-51-65-88/A) - Invita i presen-tatori (Grillo ed altri) a ritirare l’e-mendamento art. 7 bis al disegno dilegge di cui sopra.

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Scritti e discorsi

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

38 21 dicembre Sul disegno di legge «Variazioni albilancio della Regione siciliana perl’anno finanziario 1976 » (1° provve-dimento) (141/A) - Sul disegno dilegge «Bilancio di previsione dellaRegione siciliana per l’anno finanzia-rio 1977» (56/A). Sull’ordine delgiorno n. 18 «Iniziative per l’eroga-zione dell’assistenza ospedaliera in-diretta» (MSI). Sull’emendamento Chessari al cap.16602 del Bilancio (Agricoltura e fo-reste).Per dichiarazione di voto sull’emen-damento Cusimano al capitolo54351 (Agricoltura e foreste) del bi-lancio.

39 21 dicembre Sugli emendamenti al capitolo 33007(Lavoro) - Sugli emendamenti ai ca-pitoli 38066-38701-77851 (Pubblicaistruzione) e 16602 (Agricoltura).

1977

47 2 febbraio Risponde, a nome del Governo, agliinterventi nel dibattito sulla discus-sione unificata della mozione n. 11

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Piersanti Mattarella

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

«Iniziative atte a realizzare la parteci-pazione pubblica nella proprietà deiquotidiani» (Fiorino-Di Caro-Placenti-Pino-Pizzo-Sardo Infirri eStornello) e dell’interpellanza n. 75«Iniziative in relazione al licenzia-mento del Direttore del Giornale diSicilia» (Russo Michelangelo-Vizzini-Barcellona-Cagnes ed altri).

51 10 febbraio Sul disegno di legge « Provvidenzeper gli autoservizi di trasporto»(166/A).

52 10 febbraio Si associa al cordoglio per la scomparsadell’on. Orlando. - Sull’emendamentosoppressivo al primo comma dell’art. 6- Sull’art. 9 del disegno di legge nume-ro 166/A - Sull’art. 7 del disegno dilegge «Aggiunte alla legge regionale29-12-1975, n. 56 concernente prov-vedimenti a favore dei pescatori eproroga dei benefici al 31-12-77»(dd.ll. nn. 172-144149/A).

54 16 febbraio Sul documento predisposto dallaCommissione di finanza per la IVconferenza delle regioni meridionali.

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Scritti e discorsi

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

63 9 marzo Chiede la procedura d’urgenza conrelazione orale per l’esame del dise-gno di legge n. 220, riguardante anti-cipazioni agli enti ospedalieri.

66 24 marzo Sul disegno di legge «Concessione dianticipazioni a favore degli IstitutiOspedali riuniti “P. Pisani” diPalermo» (156/A).

69 30 marzo Sul disegno di legge «Norme per glienti economici regionali» (n. 234/A).

77 21 aprile Sul disegno di legge «Modifiche allalegge regionale 27 dicembre 1954, n.50 e successive aggiunte ed integra-zioni, riguardante l’istituzione dellaCassa regionale per il credito alle im-prese artigiane (CRIAS)» (57/A).

80 28 aprile Sull’emendamento del Governo sosti-tutivo dell’articolo 17 e sugli emenda-menti della Commissione all’art. 7 delmedesimo disegno di legge (57/A).

86 11 maggio Illustra l’emendamento del Governoall’art. 8 e sui vari emendamenti agli

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Piersanti Mattarella

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

articoli del disegno di legge:«Attuazione delle provvidenze di-sposte dal decreto legge 10 dicembre1976, n. 831 convertito nella legge 12febbraio 1977, n. 23, ed interventi in-tegrativi regionali» (227-151-163/A).

91 19 maggio Chiede il rinvio alla CommissioneFinanza del disegno di legge«Concessione di anticipazioni agli en-ti ospedalieri per far fronte al paga-mento delle competenze dovute e noncorrisposte per l’anno 1974 al perso-nale dipendente» (220/A).

93 26 maggio Sul disegno di legge «Eliminazionedei residui passivi dal bilancio dellaRegione per il finanziamento straordi-nario di interventi produttivi e promo-zionali ed altre norme finanziarie»(243/A).

104 16 giugno Sull’emendamento della Commis-sione art. 21 bis del disegno di legge«Norme per l’affidamento e l’ese-cuzione dei programmi di edilizia sco-lastica di cui alla legge 5 agosto 1975

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Scritti e discorsi

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

n. 412» (206-270/A) Sugli emenda-menti del Governo all’emendamentodella Commissione Finanza sostituti-vo del titolo e degli articoli 1-2-3 e 4del d.l. «concessione di anticipazioneagli enti ospedalieri per far fronte alpagamento delle competenze dovutee non corrisposte per l’anno 1974 alpersonale dipendente» (220/A).

107 29 giugno Sul disegno di legge «Norme in mate-ria di bilancio e contabilità» (292/A) esugli emendamenti agli articoli dellostesso.

123 19-20 luglio Illustra il suo emendamento all’art. 1del disegno di legge «Norme per la tu-tela, la valorizzazione e l’uso socialedei beni culturali e ambientali nel ter-ritorio della Regione siciliana» (31-39-132-145-175-254/A).

124 20 luglio Sul disegno di legge «Norme concer-nenti servizi di cassa e di tesoreria»(310/A) - Sul disegno di legge«Aumento del fondo di dotazione del-la Cassa di Risparmio per le provincesiciliane» (312/A).

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Piersanti Mattarella

– 1040 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

125 20 luglio Sul suo emendamento sostitutivo del-l’art. 7 del d.l. «Provvedimenti urgen-ti per il settore agricolo» (181/A).

126 21 luglio Sull’art. 3 del disegno di legge«Proroga anticipazioni per la gestio-ne provvisoria dei servizi della sop-pressa O.N.M.I.» (311/A).

127 21 luglio Sull’emendamento della Commis-sione art. 5 bis del disegno di legge«Modifiche alla l.r. 20 dicembre 1975n. 79, recante provvedimenti per l’in-centivazione dell’attività delle co-operative edilizie nel territorio dellaRegione siciliana» (301/A).

128 22 luglio Sugli emendamenti art. 9 bis e art. 10 bisdel disegno di legge «Provvedi-menti afavore delle aziende agricole colpitedalle avversità atmosferiche dell’aprilee maggio 1977» (288-289/A).

148 16 novembre Commemora Giorgio La Pira.

160 14 dicembre Sull’emendamento art. 1 bis del dise-gno di legge «Provvidenze in favoredella cooperativa agricola s.r.l. Prolat

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Scritti e discorsi

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SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

di Caltanissetta » (114/A) - Sul dise-gno di legge « Variazioni al bilanciodella Regione siciliana per l’anno1977 » (370/A).

161 15 dicembre Sul disegno di legge «Rendiconto ge-nerale consuntivo dell’Amministra-zione della Regione siciliana,dell’Azienda foreste demaniali, delFondo di solidarietà nazionale e delfondo regionale per l’assistenzaospedaliera per l’anno finanziario1976» (374/A).

165 20 dicembre Sull’emendamento all’art. 12 del di-segno di legge «Provvedimenti pergli enti economici regionali» (368/A)- Sul disegno di legge «Norme finan-ziarie» (372/A) e sugli emendamentiagli artt. 1-2 e 3.

166 20 dicembre Chiede che venga apportata una retti-fica al disegno di legge n. 126, riguar-danti i centri di servizio sociale e cul-turale.

167 21 dicembre Sull’emendamento all’art. 4 del dise-gno di legge «Norme per il personale

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Piersanti Mattarella

– 1042 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

dei disciolti enti nazionali per la for-mazione professionale operanti inSicilia» (373/A). - Sul disegno di leg-ge «Bilancio di previsione dellaRegione siciliana per l’anno finanzia-rio 1978» (333-371/A).

168 21 dicembre Commemora la scomparsa dell’ono-revole Libero Attardi - Sugli emenda-menti all’art. 28 (Bilancio).

1978

171 9 febbraio Viene eletto Presidente della Regione- Dichiara di accettare la carica con ri-serva e chiede che la seduta vengarinviata.

173 14 marzo Sciogliendo la riserva, dichiara di ac-cettare la carica di Presidente dellaRegione - In considerazione della ri-chiesta del Partito socialista italiano,impegnato nel congresso regionale,chiede il rinvio della seduta.

174 17 marzo Sul sequestro dell’on. Moro e sul-l’uccisione dei 5 componenti la suascorta.

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Scritti e discorsi

– 1043 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

176 3 aprile Rende le dichiarazioni programmati-che.

180 5 aprile Replica agli oratori intervenuti nel di-battito sulle sue dichiarazioni pro-grammatiche.

182 6 aprile Sul disegno di legge «Nuove normeper l’ordinamento del Governo edell’Amministrazione regionale»(405/A) - Sugli emendamenti all’art. 7.Sul disegno di legge «Provvedimentistraordinari per l’Ente siciliano per lapromozione industriale» (403/A).

192 10 maggio Commemora l’on. Aldo Moro edesprime il cordoglio del Governo.

200 25 maggio Sulle mozioni nn. 73 e 74 e sulle in-terpellanze nn. 293-295-296 e 301sulle zone del messinese colpite dalterremoto del 16 aprile 1978.

203 31 maggio Sulle interpellanze nn. 246-250-281-317-318 e sulle interrogazioni nn.451-455-503 e 537 riguardanti laventilata costruzione in Sicilia di unacentrale atomica.

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Piersanti Mattarella

– 1044 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

213 22 giugno Pone la questione di fiducia sull’e-mendamento del Governo sostitutivodegli artt. 1 e 2 del disegno di legge«Norme per la programmazione re-gionale» (282/A).

216 27 giugno Sullo stralcio del verbale della sedutadel 6 giugno 1978 della Commissioneparitetica per la determinazione dellenorme di attuazione dello Statuto dellaRegione siciliana.

228 19 luglio Sull’emendamento della Commissio-ne all’art. 4 del disegno di legge«Provvedimenti per il settore agrico-lo» (426/A) - Dichiara di ritirare l’e-mendamento art. 11 quater.

236 27 luglio Sulla discussione unificata della mo-zione n. 82 e delle interpellanze n.340, 342, 343, 349, 351 e 355 riguar-danti la realizzazione del ponte sullostretto di Messina.

237 27 luglio Sull’art. 20 del disegno di legge«Nuove norme in materia di lavoripubblici e per l’acceleramento e lasemplificazione delle relative proce-dure» (447/A).

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Scritti e discorsi

– 1045 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

238 28 luglio Sulla discussione unificata delle in-terpellanze nn. 344 e 346 e delle in-terrogazioni n. 574 riguardanti il pro-getto SITAS di Sciacca - Sull’ordinedel giorno n. 71 «Nomina delPresidente del Banco di Sicilia».

239 31 luglio Sul sequestro di due pescatori del pe-schereccio «Eschilo».

241 1 agosto Sugli emendamenti agli artt. 28-35-36 e 54 bis del disegno di legge«Interventi straordinari per il soste-gno e lo sviluppo dell’economia e peril potenziamento delle strutture civi-li» (434/A).

242 2 agosto Sul disegno di legge «Attuazione del-le provvidenze disposte dal Decretolegge 26 maggio 1978, n. 225 e relati-va legge di conversione, a favore del-le popolazioni della provincia diMessina colpite dal terremoto dell’a-prile 1978» (436-451-452/A).

246 4 agosto Sull’ordine del giorno n. 82 «Criteriper la nomina di amministratori perorganismi vigilati dalla Regione».

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Piersanti Mattarella

– 1046 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

250 4 ottobre Commemora la figura di PapaGiovanni Paolo I.

253 12 ottobre Sulla discussione relativa ai problemied alle prospettive della politica econo-mica nazionale abbinata alle mozioninn. 81 e 83 (Cusimano ed altri) e allainterpellanza n. 330 (Cagnes ed altri).

258 25 ottobre Risponde alle interrogazioni nn. 587(Natoli) e 597 (Messina) sui comunidel messinese danneggiati dall terre-moto.

279 19 dicembre Sulla discussione unificata di mozio-ni (nn. 61 e 84 Cusimano ed altri; n.90 Russo M. ed altri) e di interpellan-ze (n. 128 Tusa ed altri; n. 391 LoCurzio) riguardanti i patti agrari.

281 20 dicembre Sul disegno di legge «Attribuzioni aicomuni di funzioni amministrativeregionali» (n. 462/A) - Sugli emenda-menti agli artt. 9, 14, 23 e 30 del dise-gno di legge n. 462/A.

282 20 dicembre Sugli artt. 34 ter, 34 quater e 37 del di-segno di legge n. 462/A.

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Scritti e discorsi

– 1047 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

1979

284 24 gennaio Commemora il prof. GioacchinoScaduto, recentemente scomparso -Sulle interpellanze nn. 428, 429, 430,433 e 440 e sulla mozione n. 98 con-cernente il disastro aereo di PuntaRaisi.

300 28 febbraio Rende le dichiarazioni in ordine al«Piano economico triennale 1979-81».

302 1 marzo Sull’emendamento del Governo so-stitutivo degli articoli 6 e 7 del dise-gno di legge «Provvidenze per l’assi-stenza scolastica e per l’assistenza sa-nitaria dei minori predisposti alla tu-bercolosi e norme relative al Fondosiciliano per l’assistenza ed il collo-camento dei lavoratori disoccupati»(537-538-556/A).

305 8 marzo Dichiara che il Governo rassegna 1edimissioni.

306 9 marzo Dichiara «irrevocabili» le dimissionidel Governo.

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Piersanti Mattarella

– 1048 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

307 15 marzo Commemora Michele Reina, Segre-tario provinciale della DC di Palermo,assassinato. - Viene eletto Presidentedella Regione - Dapprima, dichiara diaccettare la carica con riserva - Dopola elezione degli Assessori, accetta lacarica di Presidente della Regione.

309 26 marzo Commemora Ugo La Malfa - Rendele dichiarazioni programmatiche delsuo secondo governo.

310 27 marzo Replica agli oratori intervenuti sullesue dichiarazioni programmatiche.

311 5 aprile Sulla discussione unificata della mo-zione n. 78 e delle interpellanze nn.147-266-442-450-451-456-460-469-478-491, riguardanti fenomeni diviolenza e di mafia che si verificanoin Sicilia.

317 19 aprile Sulla discussione unificata delle mo-zioni nn. 103-104-105, riguardantiprovvedimenti per rendere operantile norme in materia urbanistica im-pugnate dal Commissario delloStato.

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Scritti e discorsi

– 1049 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

319 2 maggio Sulla mozione n. 106 e sulla interro-gazione n. 754 riguardanti la gara diappalto per la costruzione dell’aero-stazione di Punta Raisi.

321 3 maggio Esprime sentimenti di cordoglio e dicondanna per l’attentato alla sede del-la D.C. di Roma in cui è stato assassi-nato un agente di Pubblica sicurezzaRivolge all’on. De Pasquale un indi-rizzo di saluto ed esprime il più vivoapprezzamento per l’attività svolta.

324 10 maggio Sull’art. 1 del disegno di legge«Norme per la prevenzione e la curadelle malattie da gozzo» (566/A).Sugli emendamenti agli artt. 1 e 3 deldisegno di legge «Riconoscimento diservizi al personale della Ammini-strazione regionale» (nn. 539-559/A).

326 16 maggio In sede di determinazione della datadi discussione della mozione n. 111«Censura all’Assessore per la agri-coltura e le foreste in relazione ai fat-ti connessi nella costruzione della di-ga Garcia», pur rilevando che la stes-

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Piersanti Mattarella

– 1050 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

sa può configurarsi come una mo-zione di sfiducia, rinunzia ad avva-lersi dei termini previsti dall’art. 157del Regolamento interno e proponeche la mozione suddetta si discutanella seduta successiva - Sugliemendamenti all’art. i del disegno dilegge «Norme concernenti l’utiliz-zazione provvisoria del personaledei disciolti enti per l’addestramentodei lavoratori ENALC, INAPLI eINIASA, di cui alla l.r. 30-12-1977,n. 104».

329 21 giugno A nome del Governo, rivolge un indi-rizzo di saluto all’on. Bonfiglio.

335 5 luglio Invita i presentatori a ritirare gliemendamenti all’art. 11 del disegnodi legge 567/A(Comuni delle provin-ce di Messina e Agrigento danneggia-ti dal nubifragio del ’78 e comuni del-la provincia di Messina colpiti dal si-sma del ’76).

340 18 luglio Sul disegno di legge «Norme riguar-danti l’ESA, l’IRVV, l’AST, 1’IR-CAC, la CRIAS e l’EAS» (582/A) -

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Scritti e discorsi

– 1051 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

Sugli ordini del giorno n. 105«Emanazione dei decreti di nominadei Consigli di amministrazione e de-gli organi di controllo degli Enti, dicui al disegno di legge 582/A» e n.106 «Integrale rinnovo del Consigliodi amministrazione della CRIAS» -Per dichiarazione di voto sull’ordinedel giorno n. 107 «Emanazione deidecreti di nomina dei consigli di am-ministrazione e degli organi di con-trollo degli Enti di cui al disegno dilegge 582/A» e sugli emendamentirelativi al disegno di legge 582/A.

342 25 luglio Commemora il capo della squadramobile Boris Giuliano, assassinato.

348 2 agosto Sugli emendamenti all’art. 2 e sull’art.4 del disegno di legge «Provvidenzeper i sali potassici» (641/A) -Sull’ordine del giorno n. 115«Osservanza del parere della CPR sulpiano di ristrutturazione dell’ISPEA»(Lo Giudice).

350 26 settembre Commemora il magistrato CesareTerranova ed il maresciallo LeninMancuso, assassinati.

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Piersanti Mattarella

– 1052 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

357 24 ottobre Sull’ordine del giorno n. 119 (LoGiudice ed altri) «Nomina ai sensi de-gli artt. 29 e 29 ter del Regolamentointerno di una Commissione parla-mentare per l’esame dell’attivitàdell’Assessorato regionale dei lavoripubblici».

363 9 novembre Rivolge un indirizzo di saluto alPresidente della Repubblica on.Sandro Pertini, in visita in Sicilia.

366 15 novembre Sul disegno di legge «Interventi per lapromozione dell’attività di ricerca eformazione dell’ISIDA, dell’ISAS,dell’ISVI e del CSEI» (644/A); sugliemendamenti del Governo agli artt. 1e 2.

367 15 novembre Chiede la procedura d’urgenza perl’esame del disegno di legge 697, ri-guardante norme integrative per la tu-tela dell’ambiente.

368 20 novembre Sul decesso di un operaio a Gela aseguito di un incidente di lavoro -Sulla discussione unificata delle mo-zioni n. 120 (Vizzini ed altri), n. 122

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Scritti e discorsi

– 1053 –

SEDUTA ARGOMENTO

N. DATA

(Mazzaglia ed altri), n. 124 (Nicolosied altri) e dell’interpellanza n. 588(Cusimano ed altri) riguardanti l’or-dine pubblico in Sicilia.

377 17 dicembre Chiede il rinvio della seduta per con-sentire alla Commissione di finanza diesaminare il disegno di legge riguar-dante l’esercizio provvisorio del bi-lancio della Regione siciliana perl’anno 1980.

380 18-19 dic. Dichiara che il Governo regionale ras-segna le dimissioni irrevocabili.

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“Le carte in regola”

a vent’anni dalla mortedi

Piersanti Mattarella

Palermo12 Gennaio 2000

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Scritti e discorsi

– 1057 –

Nicola CristaldiPresidente dell’Assemblea Regionale Siciliana

Signor Presidente della Repubblica, Eminenze Reverendissime,Signor Ministro, Onorevole Presidente della Regione, Autorità,Signore e Signori,

venti anni fa, nel giorno dell’Epifania di Nostro Signore, siconsumava una delle pagine più drammatiche della storia sicilia-na: Piersanti Mattarella, Presidente della Regione, veniva barba-ramente ucciso in un agguato mafioso mentre si recava con i suoifamiliari ad assistere alla Santa Messa.

La morte di Mattarella concluse tragicamente un periodo nelquale, al di là dei giudizi che se ne possono dare, l’Autonomia re-gionale siciliana espresse una grande capacità di rinnovamentoattraverso la mobilitazione piena delle prerogative e delle compe-tenze che lo Statuto del 1946 assegnava alla stessa Regione.

Mattarella ha rappresentato quell’ansia di modernizzazionedella nostra Terra che ha fatto capo ad una generazione di giovaniintellettuali che nel tempo si sono cimentati in politica.

In quegli anni, particolarmente difficili, si prendeva atto deilimiti che incontrava la politica meridionalistica fino ad allora im-postata dai Governi nazionali.

Ma, soprattutto, si prendeva atto che lo splendido isolazioni-smo, che una certa cultura autonomistica aveva nel passato impo-stato, non poteva disincagliare la Regione dal sottosviluppo pernagganciarla al treno nazionale.

Bisognava, dunque, riprendere le fila della politica meridio-nalistica, ridisegnare la presenza degli strumenti di intervento acominciare dalla Cassa del Mezzogiorno alla quale era necessa-rio dare «il ruolo di organo esecutivo» e, soprattutto, affermareche «le Regioni debbono saper conquistare quell’ampio grado dipartecipazione nel processo decisionale degli interventi straordi-nari».

Interventi che, superando la logica, fino ad allora praticata,del credito agevolato, puntassero sulla politica della infrastruttu-

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Piersanti Mattarella

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razione del territorio, necessaria allo sviluppo per superare il cro-nico dualismo fra meridione e settentrione.

Ma per far ciò era necessario che il meridione si presentasseunito agli appuntamenti più importanti sul piano nazionale.

Fu proprio Mattarella uno degli animatori della Conferenzadelle Regioni, assise necessaria a disegnare una linea politica co-mune per interloquire, autorevolmente, sulle scelte che si compi-vano nel Paese.

E sulla Regione, come istituzione, il Presidente Mattarellamostrò di avere idee chiare, di cornprenderne i mali profondi e gliostacoli che impedivano la liberazione delle energie vitali del-l’autonomismo regionalista.

La sua attenzione si puntò, fin dall’inizio del suo impegnoparlamentare, sulla burocrazia; a Mattarella si intestò una delle ri-forme più difficili e discusse, mirata a riorganizzare la pubblicaamministrazione per farne un efficiente strumento di sviluppopiuttosto che un ostacolo allo stesso.

La legge di riforma burocratica a cui con impegno lavorò nel-la sua prima legislatura, è anche un onesto tentativo di dare una ri-sposta alla domanda di trasparenza dell’azione amministrativa e dirottura delle incrostazioni corporative di cui l’amministrazione re-gionale da tempo soffriva ed oggi, purtroppo, continua a soffrire.

Così come gli altri due grandi problemi che Mattarella consi-derava preliminari rispetto a qualsiasi iniziativa di governo e cioèla riforma del bilancio e la conseguente accelerazione della spesaregionale che in quegli anni accusava gravi ritardi con correlativaperdita d’incisività.

La Regione doveva presentarsi, come spesso affermava – ed èun monito anche per l’oggi – con le «carte in regola»: solo dopoavere risolto i suoi cronici problemi interni, avrebbe avuto tantaforza da pretendere il rispetto di quegli impegni che lo Stato ave-va assunto nel momento in cui aveva concesso la speciale auto-nomia prevista dal Regio Decreto Legge n. 455 del 15 maggio1946.

Modernizzare la Sicilia: era questo lo slogan che sintetizzavail programma di Piersanti Mattarella. Ma per modernizzare la

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Sicilia, nella sua visione delle cose, era necessario allargare lapartecipazione a tutta quelle forze che nella Regione avessero unpeso condizionante.

Sindacati ed opposizioni di sinistra, a cominciare dal Partitocomunista, dovevano collaborare al grande progetto politico che,non solo in Sicilia, si andava avviando.

Per questo motivo Mattarella considerò il dialogo con laSinistra e le forze sociali non solo opportuno ma, addirittura, in-dispensabile.

Si può, su questa scelta, formulare qualche riserva, la storiaavrebbe avuto un corso diverso, ma non si può dubitare dell’one-stà e della buona fede dell’uomo politico. Ma per modernizzare laSicilia era necessario soprattutto chiudere le porte al malaffare,bloccare le infiltrazioni mafiose, combattere la mafia non solo co-me organizzazione criminale, ma anche come forma mentis.

Da qui la sua scelta di battersi per l’adozione di strumenti ditrasparenza nell’azione amministrativa, da qui il rifiuto di talunelogiche spartitone che hanno deteriorato nel tempo il costume nelnostro Paese.

Forse proprio questa presa di coscienza e questa forte azionedi contrasto contro i santuari del malcostume e della mafia hannosegnato la sua condanna.

Nell’esprimere ancora una volta il nostro cordoglio ai fami-liari e a quanti gli sono stati vicini, ed il rimpianto per avere per-duto un uomo politico di grande lucidità, animato da cristianasperanza, lanciamo da quest’Assemblea che lo vide protagonista,un forte richiamo a quanti si occupano delle indagini perché suquesto crimine verità piena sia fatta.

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Piersanti Mattarella

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On.le Angelo CapodícasaPresidente della Regione Siciliana

Illustre Presidente della Repubblica, Autorità, Colleghi,Signore e Signori.

La ringraziamo, Signor Presidente, per averci consentito di ri-cordare alla Sua presenza, Piersanti Mattarella, a vent’anni del-l’omicidio che ne spezzò la vita e ne interruppe la generosa espe-rienza politica e istituzionale.

Una commemorazione non rituale che significa riflettere sul-la nostra storia recente, sulla missione e sull’essenza profondadella politica.

Sulla permanente validità di un primato del bene comune co-me fondamento dell’impegno sociale; sulla priorità delle scelteetiche sulle tecniche di ricerca del consenso.

Erano anni quelli di Mattarella per certi versi comparabili conquelli che viviamo.

Anni di crisi economica mondiale, in cui già si annunciava laglobalizzazione e la contrazione delle risorse, la tensione sullostato sociale, sulle politiche di aiuto alle regioni periferiche, lacompetitività crescente, il ritardo della politica e delle istituzionirispetto alla società ed all’economia.

Veniva, nel contempo ad esaurimento un ciclo della vita politi-ca nazionale che postulava innovazione istituzionale, nuovi modidi intendere il rapporto tra politica ed istituzioni, tra istituzioni esocietà. Una nuova qualità della democrazia e del potere che pro-muovesse partecipazione ed efficienza, responsabilità e speranza.

Allora, come adesso, si trattava di scegliere tra la contempla-zione del disagio, condita magari dalla retorica dei grandi cam-biamenti annunciati e rinviati e lo sforzo di adeguare e aggiustareistituti e prassi, tra il ripiegare rassegnato su un’antistorico tenta-tivo di blindare i vecchi assetti a difesa di un vecchio ordine e unacoraggiosa ricerca del nuovo. Tra correre il rischio di osare e iltorpido adagiarsi nella gestione all’esistente, Mattarella scelsecon chiarezza da che parte stare.

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Era, allora come adesso, in questione la stessa autonomia del-la politica rispetto a poteri arroganti, persuasi della loro illimitatapotenza, sprezzanti delle regole democratiche, pronti con la vio-lenza a troncare ogni resistenza alloro disegno.

Il prologo già nella morte di Moro, con la quale il fanatismoaveva messo fine ad un delicato esperimento di rifondazione del-la Repubblica prima delle degenerazioni palesi e delle rotture ir-rimediabili.

E poi, un lungo seguito di lutti e tragedie, nel Paese e in Sicilia.La violenza si scatenò contro le persone che si opponevano o

che esprimevano, anche solo a livello simbolico, l’ordine legitti-mo della politica democratica. Un tentativo minaccioso e semprepiù insidioso che la coscienza civile imparò a rovesciare ancheper l’esempio di uomini come Mattarella e come i tanti che da lo-ro appresero la necessità della resistenza, il dovere della inven-zione di soluzioni adeguate, il compito di costruire costantemen-te una credibilità delle istituzioni comuni pur nella dialettica del-le posizioni e nella denuncia dei limiti.

L’Italia vide che la mafia era divenuta feroce rivendicazione dionnipotenza, che presumeva possibile piegare l’interesse pubbli-co alla ricerca di potere ad ogni costo, che ogni voce a difesa dellalegalità, doveva essere spenta. E così in un decennio, nel «decen-nio terribile» in Sicilia cadde Mattarella, caddero La Torre, DallaChiesa, Costa, Terranova, Chinnici, Cassarà, Libero Grassi, BorisGiuliano, Falcone e Borsellino e tanti altri fino a don Pino Puglisi,che accolse con il sorriso sulle labbra i suoi assassini.

Con quelle morti una ferita profonda si è aperta nel cuore di unpopolo, che ancora sanguina. Non riterremo pienamente rimargi-nata quella ferita fino a quando non sarà fatta piena luce suglieventi di quei giorni.

Non solo sugli esecutori materiali e sui mandanti, ma sul dise-gno che, menti politicamente consapevoli, hanno pensato ed at-tuato per arrestare un processo che con Mattarella, e in Italia conMoro, imboccava la direzione del rinnovamento, della democra-zia compiuta, dell’affrancamento delle istituzioni dai poteri oc-culti e criminali.

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Piersanti Mattarella

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Ma la Repubblica non è stata piegata. La Sicilia non è divenu-ta irredimibile.

Vent’anni sono bastati per far capire che la storia non si fermache, dal punto di vista di chi lo concepì e di chi lo attuò, quell’o-micidio, quegli omicidi, sono stati inutili.

Come per il terrorismo, grazie all’impegno solidale della co-munità civile e politica, cosi per la mafia, il pericolo fu percepitoe contrastato.

Si capi che la posta in gioco era alta. Era il nostro stesso desti-no ad essere in gioco.

Non ci riterremo appagati fino a quando non sarà disvelato inmodo convincente il quadro delle collusioni e delle connessioniche portarono a quegli omicidi.

Non sarebbe stato del resto possibile venire a capo di una de-generazione cosi vasta, senza mobilitare le energie profonde del-la comunità, le istanza etiche, civili e perfino religiose di un po-polo che scopriva drammaticamente come la sottomissione al co-mando illegittimo in cambio di protezione, in concomitanza conla potenza finanziaria e criminale della mafia, finiva col produrreuna violenza permanente e la sfida all’ordine statale.

Il sistema politico italiano è uscito da quella fase profonda-mente cambiato in meglio, per maturità civile e percezione delleresponsabilità, ma anche con la fine di assetti istituzionali che, sefossero stati riformati per tempo, avrebbero potuto favorire unamaturazione più adeguata.

La società dovette insieme farsi carico di domande incalzantisotto il profilo produttivo ed organizzativo, dei consumi e degliinvestimenti, ma anche provvedere ad una fornitura di beni sim-bolici adeguata all’altezza della sfida, nel deperire dei congegniformali della democrazia partecipativa come la Costituzione ma-teriale ce li aveva consegnati fino agli anni Novanta.

In sostanza, come Mattarella aveva lucidamente anticipato, laquestione della rottura del patto nazionale e la costruzione neces-saria dell’Europa della concorrenza e dell’informazione, richie-devano istituzioni regionali e locali più forti, più mature e piùconsapevoli, classi dirigenti meridionali culturalmente attrezzate

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per la sfida della produttività, forze sociali in grado di negoziareil passaggio dall’integrazione per via di sussidio alla partecipa-zione attiva alla nuova economia.

Uno sforzo sintetizzato nello slogan della Regione con le«carte in regola», che si riferiva certo solo ai bilanci, ai conti pub-blici ed alle regole amministrative, ma alludeva alla percezionecomunitaria a suscitare autostima nel popolo siciliano, a creare lecondiioni inprendiscibili per misurarsi senza complessi, alla paricon i poteri istituzionali esterni alla Sicilia.

Ecco, Mattarella rimane il Presidente che volle una Regione«con le carte in regola», vale a dire la ricerca di una riforma fortedella Regione che includesse stabilità e consenso.

Di un sistema amministrativo snello e decentrato che coinvol-gesse le comunità locali dentro una programmazione regionale ingrado di negoziare e provvedere e, quindi, guidare con risorse eprogetti di livello europeo, l’evoluzione della società siciliana emeridionale.

Ci fu in Mattarella, come in altri protagonisti di quella stagio-ne spezzata, la consapevolezza che si stesse entrando in una fasediversa e più difficile che richiedeva un cambiamento vero, au-tentico, durevole, cioè non solo simbolico ed emozionale, nontutto affidato al principio carismatico, ma radicato in istituzioni eprassi in grado di dare alla società certezze e stimoli e di cogliereil nuovo che già allora emergeva nelle diverse aree del Paese.

Quel tentativo, certo, stava dentro le coordinate di quel siste-ma politico costituzionale, dei partiti di massa, della «conventioad escludendum», delle corresponsabilità della rappresentanzaistituzionale. E perciò si declinava nella forma dell’intesa, del-l’accordo, di uno spirito collaborativo che poté vedere, come vi-de successivamente, scadimenti consociativi.

Ma chi lo praticò fino a sfidare i poteri criminali e le aree dicontiguità o di palese compromissione, ne fornì la versione cor-retta.

Vogliamo perciò, ripetere con Lei, signor Presidente dellaRepubblica, che la competizione inevitabile che ha portato allaprima costruzione europea, impone stabilità, valorizzazione del-

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Piersanti Mattarella

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le risorse e del rischio, vigore finanziario e una più alta eticitàpubblica che deve sapere costruire un consenso responsabile.

Come per Mattarella, quindi, l’autonomia siciliana comportauna selezione delle priorità programmatiche, una netta scelta afavore degli investimenti, un innalzamento dei rendimenti ammi-nistrativi, una percepibile semplificazione degli adempimentipubblici, una apertura alla concorrenza ed insieme una sensibiledifesa delle posizioni più deboli.

Il che avviene anche con durezza nella richiesta di sostegnicomunitari e nazionali, che non possono risolversi in contromisu-re compensative né in stampelle assistenziali, ma che debbonorealizzare la prescrizione costituzionale di una solidarietà fatta diservizi reali, di infrastrutture produttive, di convenienze effettiveall’investimento e all’impiego di lavoro ben formato.

Un programma ancora valido, che passa per riforme come l’e-lezione diretta del Presidente della Regione - di cui attendiamo ladefinitiva approvazione da parte del Parlamento Nazionale - e unsistema elettorale di tipo maggioritario, sull’onda lunga e positivadella stabilizzazione degli esecutivi comunali; per il rafforzamentodei circuiti amministrativi locali fino alla piena gestione, secondo imodelli già suggeriti dalla Commissione di studi di cui facevanoparte Cassese e Bassanini tra tanti altri illustri teorici, oggi larga-mente presi, anche grazie alla più recente legislazione nazionale.

Fare della Sicilia una regione d’Europa, libera, sicura, forte evivibile, capace di mantenere le proprie promesse statutarie.

È quello che solennemente ribadiamo di volere per la nostraterra.

L’autonomia siciliana deve tornare ad essere il punto di riferi-mento della libertà e non dei privilegi, delle sfide e non delle si-curezze delle riforme e non delle elusioni.

Non basta certo un governo né solo una stagione, non ignoria-mo gli ostacoli e non ci nascondiamo le difficoltà. Sentiamo il pe-so ancora del vecchio e i mille pesi che frenano lo slancio, ma ladirezione tracciata è quella giusta e anche questa giornata, conl’onore della Sua presenza e con l’autorevolezza del suo monitocostante, Signor Presidente, incoraggia.

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Solo così il prezzo pagato non sarà stato né troppo alto né va-no.

Ora occorre guardare avanti, senza allentare la vigilanza, matramutando la tensione civile in volontà di fare e capacità proget-tuale, che sono la seconda e decisiva faccia della nostra battagliacontro la mafia.

Così potremo essere i continuatori creativi di quella stagioneche fu interrotta dalla violenza mafiosa, ma non spenta nella fer-tile capacità di contagio di tanti uomini e donne che oggi, qui, inSicilia, a Roma ed in Europa, svolgono la loro azione politica edamministrativa, con un solo grande obiettivo: dare speranza aigiovani, sicurezza alla comunità, pace e solidarietà a tutti coloroche hanno varcato questo millennio nel nome dei valori di libertàe giustizia che furono di Piersanti Mattarella come di tanti altriche a lui associamo nel ricordo e nell’impegno.

Dare lavoro vero e durevole, creare le condizioni perché sirealizzi la dignità e la libertà di scelta dei Siciliani, perché la libe-ra circolazione delle risorse, finanziarie ed umane, sia una sceltae non un piegarsi alla miseria, perché generazioni di uomini edonne che hanno lavorato altrove e contribuito alla crescita dellaricchezza di altri popoli, possano tornare e sentirsi a casa.

Diciamo queste cose alla presenza di un uomo che ha dedica-to la sua vita al grande ideale di fare dell’Europa un’area di be-nessere e di pace.

Lei, oggi, Signor Presidente, rappresenta costituzionalmentela Repubblica delle autonomie, cioè il valore delle responsabilitàlocali, regionali e nazionali, come strumenti per accrescere la cit-tadinanza democratica e garantire le libertà e i diritti.

In un contesto così mutato la Sua visita ci ricorda quella di unaltro grande Presidente, che fu amico del Presidente dellaRegione Mattarella e dei Siciliani, che resse l’angoscia e indiriz-zò la ricerca di una verità la cui completezza ancora non è realiz-zata.

Venendo allora a Palermo, Pertini ricordò antiche battagliecontro una mafia rurale ed assassina che già allora era ostacolo al-lo sviluppo, freno agli investimenti e componente parassitaria del

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corpo sociale. E richiese contro la nuova mafia un impegno supe-riore, pari alla drammaticità della sfida. Un impegno che giudici,politici, amministratori e sindacalisti siciliani hanno continuato adare.

A nome della Repubblica, allora come adesso, il Presidentegarantì impegno e sostegno per le dure sfide come la disoccupa-zione e la disgregazione che minacciano la fiducia pubblica.

Noi sappiamo che la battaglia non si vince mai del tutto; che lapolitica come la vita è fragile ed ha bisogno sempre di nuovi inizi.

Ci piace immaginare che la Sicilia, il Paese si apprestino avincerne ancora una.

Fa grande onore che, nel ventesimo anniversario dell’assassi-nio di Piersanti Mattarella, che noi vogliamo intendere come unavigilia, Lei sia con noi e parli con la Sua presenza da Palermo alPaese intero.

Grazie, Signor Presidente.

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Sabino Cassese

È stato scritto che un uomo muore davvero quando muorel’ultima persona che l’ha conosciuto. Vorrei, quindi, prima del-l’opera, ricordare, a chi non l’ha conosciuto la figura dell’uomo,quale me la riporta, dopo un quarto di secolo, il ricordo.

Tre suoi caratteri colpivano per primi l’interlocutore. Era unuomo mite e riflessivo. Era naturalmente attento alle ragioni deglialtri. Era, per inclinazione, pronto al fare piuttosto che al dire, edera infastidito dalla esaltazione delle cose che non si fanno (comedisse nell’ottobre del 1978, parlando dell’attuazione delle leggi).

Conoscendolo meglio, a questi primi tratti se ne affiancavanoaltri. Era tenace ed ardimentoso (che cos’altro poteva essere chi,negli anni ‘70, dedicava l’intero suo impegno politico al riordinofinanziario e alla riforma amministrativa?). Era avverso a quellainterpretazione bastarda del lasciar fare e del lasciar passare chesi traduce nell’accettazione delle cose come sono. Era, infine,pronto ad esporre le sue ragioni, per quanto andassero contro gliideologismi prevalenti in quegli anni.

In questi caratteri dell’uomo stanno, in nuce», i tratti dell’am-ministratore pubblico. Piersanti Mattarella, nato nel 1935, è en-trato nella vita pubblica quasi trentenne per svolgere prima, pertre anni, il compito di consigliere comunale; poi, per quattro quel-lo di deputato regionale, per sette quello di assessore al bilancio eper due quello di presidente della giunta. Questo percorso di sedi-ci anni nelle amministrazioni locali – affiancato negli ultimi tem-pi ad un ruolo politico nazionale – lo assegna a quel tipo di politi-co-amministratore che, nella seconda metà del XX secolo, ha per-duto d’importanza a favore del politicouomo di partito.

Come amministratore pubblico, i suoi interessi si sono con-centrati sulla finanza e sull’amministrazione, incontrando in am-bedue i campi, nell’assumere le due cariche, una situazione diffi-cile. Quando prende nel 1971, la responsabilità della finanza, tro-va bilanci di previsione immobilizzati dalle leggi di spesa, assen-za di rendiconti, una grande massa di residui passivi. Quando, nel1978, assume la presidenza della giunta regionale, trova un’am-

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Piersanti Mattarella

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ministrazione divisa in dicasteri, procedimenti rigidi, personaledemotivato.

Il maggiore moralista francese del seicento ha scritto che de-ve esserci una proporzione tra le azioni e il loro disegno, se si vo-gliono trarre da questo tutti gli effetti che esso può produrre.Ebbene, questa proporzione Piersanti Mattarella l’ha trovata intre modi: preparando accuratamente il disegno e facendo tesorodelle elaborazioni della cultura (ad esempio, conosceva, ancheper avervi partecipato, le discussioni dei convegni del ‘73 e del‘74 sulla contabilità regionale e di quello del ‘79 sull’ammini-strazione pubblica); tenendo sempre d’occhio le proposte e il di-battito nazionali (sulla materia della contabilità, la preparazionedelle leggi del ‘76 e del ‘78; su quella dell’amministrazione, lapreparazione del rapporto del 1979); infine, prestando attenzioneall’ammonimento di Sturzo, che la politica non diventi arte senzapensiero.

La riforma del bilancio e della contabilità era una tappa im-portante della innovazione non «per una sorta di venerazione del-le riforme» - così dirà nel dicembre 1975 - ma per togliere rigidi-tà al bilancio, impostarlo su base poliennale e programmatica, perridurre il fenomeno contraddittorio dell’alto indebitamento e de-gli ingenti residui passivi, per accelerare la spesa. Nella presenta-zione di sette bilanci di previsione e dei rendiconti, finalmentepubblicati con puntualità, ritornano gli stessi temi: diminuire lespese di mero sostegno e aumentare quelle produttive; prepararetempestivamente e rendere più chiari i documenti di bilancio perassicurare il controllo dell’Assemblea; ridurre la rigidità dei bi-lanci e assicurare una copertura reale degli aumenti di spesa; tra-sformare la discussione del bilancio da un inutile rito in un fonda-mentale atto di indirizzo; ridurre i residui passivi, che, alla lunga,portano alla incapacità di amministrare. Tutto questo si traducenella introduzione, nella Regione siciliana prima ancora che nel-lo Stato centrale, del documento di programmazione, del bilanciopoliennale, del bilancio di cassa, accanto a quello di competenza.

Era naturale che un uomo interessato al fare e un politico chesi era scontrato con il fenomeno dei residui passivi rilevasse l’i-

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nadeguatezza della struttura amministrativa regionale, ordinatacome un mini-Stato, con gli assessorati-ministeri, non chiamati agovernare, ma a gestire, una corona di enti ed organismi pubblici,spesso superflui, un funzionamento dominato dalle pratiche piùche dalle esigenze reali.

Individuato il problema, Mattarella perfezionò il suo metodo.Promosse una legge per l’istituzione di una commissione, in cuivolle quindici dei maggiori esperti nazionali. La commissione la-vorò dal 1975 alla preparazione di un «documento di base», dacui, poi, la regione trasse, nel 1976, un «documento di principi».Lo scopo - disse Mattarella nel dicembre 1974 - era di individua-re un modo di amministrare più puntuale e più pronto, risponden-do più celermente agli utenti della regione.

La regione, che nel 1971 era partita dalla legge sul personale,fu dotata di un ambizioso progetto di riforma, al centro del qualevi erano la collegialità della giunta, un ampio decentramento difunzioni agli enti locali, l’istituzione di un ente intermedio com-prensoriale, la determinazione di criteri di scelta del personale,norme sulla pubblicità e sui termini dei procedimenti, la riduzio-ne dei controlli, più attenzione ai risultati.

Prima come assessore al bilancio, più tardi come presidente,Piersanti Mattarella porterà a compimento gran parte di questo di-segno, con leggi sulla programmazione, sulla ristrutturazionedell’amministrazione centrale, sul trasferimento di funzioni aglienti locali. E, quando il suo cammino è stato interrotto, a 44 anni,stava costruendo, su questa duplice difficile tematica, quella del-le finanze e dell’amministrazione, una trama che non era solo diidee, ma anche di uomini, perché sapeva che è grande follia esse-re saggi da soli.

Ho citato prima un altro grande siciliano, che ho conosciuto econ cui ho lavorato, negli ultimi anni della sua lunga vita, LuigiSturzo. Nel mio ricordo, l’ottantenne Sturzo e il quarantenneMattarella hanno molti tratti in comune: ambedue fanno un lungotirocinio nell’amministrazione locale; nessuno dei due, per moti-vi diversi, sarà eletto in Parlamento o farà parte del governo; am-bedue regionalisti convinti (mentre il meridionalismo italiano è

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Piersanti Mattarella

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stato, in larga misura, antiregionalista); ambedue interessati allefondamenta e alla struttura dello Stato (al suo «organamento»,come diceva Sturzo); tutti e due privilegiano la varietà e la diver-sità contro l’uniformità e sono a favore di un’organizzazione a li-nea orizzontale, invece che a linea verticale, gerarchica; entram-bi conoscitori scrupolosi della macchina burocratica; l’uno e l’al-tro nemici dell’ipertrofia burocratica e favorevoli al decentra-mento e alla smobilitazione degli organismi superflui; sia Sturzo,sia Mattarella, infine, seguaci del metodo giobertano della per-suasione e della ricostruzione. Questa la figura e l’opera dell’am-ministratore pubblico che ricordiamo e che onoriamo oggi, un an-tesignano per la scelta dei temi, allora inconsueti, ai quali si è de-dicato, per la lungimiranza del disegno che ha elaborato e per ladecisione e il successo con cui l’ha realizzato. Egli ha messo laSicilia all’avanguardia sui due temi, la finanza e l’amministrazio-ne, per i quali l’Italia ha accumulato i maggiori ritardi, e che sa-ranno scoperti ed affrontati solo più di un decennio dopo dai po-teri centrali.

Venni qui a Palermo, nel gennaio di venti anni fa, per parteci-pare ai funerali. C’era una grande folla. E c’era sincera commo-zione. E c’erano commozione e rimpianto quando, qualche annodopo, venimmo a ricordarlo, Barucci, Elia ed io. Partecipazione,commozione, rimpianto non consolano certo i familiari, non ripa-gano la Sicilia, non risarciscono il Paese per la perdita di uno deisuoi migliori cittadini.

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Leopoldo Ella

Vent’anni trascorsi dall’Epifania del 1980 richiederebbero or-mai un tentativo di tracciare in sede storica le linee fondamentalidella vita e delle opere di Piersanti Mattarella. Non potendo certoassolvere a questo compito, che addito a chi si occupa professio-nalmente di storia contemporanea, mi limiterò a qualche rifles-sione utile, forse, a quella ricerca. Anche se mi manca, malgradoil tempo trascorso da allora, quel distacco dal tema che si preten-de dagli storici: tanto intensa è la commozione che provai in queigiorni e che oggi si rinnova.

Davvero singolare è l’esperienza umana e politica di Piersanti,malgrado il contesto siciliano in cui la sua vita e la sua morte sonocosì fortemente inseriti, è indubbio che molti aspetti del suo pen-siero e della sua azione hanno raggiunto una dimensione naziona-le, carica di esemplarità per chi svolge un ruolo politico non limita-to alla vita di partito.

La profonda formazione religiosa, convalidata da una praticapersonale continua e dalla partecipazione all’associazionismo cat-tolico, alimentò in lui, insieme agli abiti virtuosi, una fortissimatensione etica, proiettata dalla vita privata a quella pubblica inizia-ta a ventinove anni come componente del Consiglio comunale pa-lermitano: una morale esigente verso se stesso e verso gli altri, alie-na da quelle tacite acquiescenze che costituivano tanta parte dellaprassi politico-amministrativa in Sicilia ed in altre regioni italiane.

Questa coerenza tra la convinzione di alto livello etico e l’a-zione quotidiana nelle istituzioni e nel partito è la componente piùcaratteristica dell’attività di Piersanti nella politica siciliana ed inquella nazionale e costituisce la ragione preminente della sua af-fermazione come leader e insieme della sua drammatica morte.

Contribuirono a preparare Piersanti ad un’esperienza pubblicadi tipo moderno lo studio del diritto e insieme dell’economia: è ap-punto con una tesi in questa materia che si laureò in giurisprudenzanell’università di Roma. È questa preparazione giuridica ed insiemeeconomica che oggi, ma non allora, rappresenta il modello formati-vo dell’amministratore pubblico nella sua figura contemporanea.

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Piersanti Mattarella

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Le origini sturziane e la prossimità all’esperienza degasperianamaturarono in Piersanti una doppia polarità tra l’aspirazione all’au-tentica autonomia di una regione specialissima come la Sicilia e lapassione europeista: è continua la testimonianza della sua volontà ditenere l’isola dentro il processo dell’unificazione europea, di nonestraniarla da sviluppi che avrebbero contribuito a risolvere il suoprincipale problema, comune a gran parte della situazione meridio-nale: una inferiorità economica tale da motivare un meridionalismorealista, lontano da ogni retorica, propenso a chiedere allo Stato e al-le partecipazioni statali un intervento di tipo roosveltiano nel Sud einsieme attento a non disperdere clientelarmente all’interno delle re-gioni meridionali le risorse trasferite dai potere centrale. Influironocertamente sul meridionalismo di Piersanti le proposte formulate daPasquale Saraceno nel corso di un convegno di studio convocato aS. Pellegrino per iniziativa di Aldo Moro, confluite in parte nel di-scorso programmatico che il Segretario del partito democratico cri-stiano tenne a Napoli nel congresso del 1962.

È stata già sottolineata dall’amico Sabino Cassese la concretez-za dell’azione di politico governante e di alto amministratore svol-ta da Piersanti come assessore al bilancio nella giunta regionale perun lungo periodo e poi come Presidente della regione negli anni‘78-’79: egli non si accontentava di tracciare indirizzi o di promuo-vere leggi regionali di indubbia rilevanza ma si preoccupava da vi-cino dell’essenziale momento esecutivo, con continue verifichesull’operato della burocrazia e degli amministratori locali.

L’assessore e il Presidente della Regione si sentiva pienamen-te responsabile di fronte all’Assemblea regionale perché non tra-sferiva sulla burocrazia iniziative ed impegni che facevano partedelle sue attribuzioni e comunque poneva in prima linea il con-trollo sull’applicazione di leggi ed indirizzi, perché le scelte digoverno non restassero inanimata proposizione normativa.

La novità e modernità dei contenuti delle proposte di Piersantinon possono essere disgiunte dalla ricerca democratica del con-senso di forze politiche escluse per lungo tempo dagli schieramen-ti di maggioranza: ed è su questo punto che l’esperienza a livello re-gionale di Piersanti si collega strettamente all’iniziativa di Aldo

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Scritti e discorsi

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Moro per una scelta di solidarietà nazionale. Non è questa l’occa-sione per analizzare il parallelismo tra le due esperienze, quella na-zionale e quella siciliana: se una differenza può cogliersi, essa ri-guarda il carattere meno emergenziale e meno eccezionale chePiersanti attribuiva alla collaborazione con il partito comunista, do-po il superamento della fase di centro-sinistra. Anche quando non fupossibile continuare la collaborazione con questo partito, che avan-zava la richiesta di far parte della giunta di governo, giudicata alloranon accoglibile della Democrazia Cristiana e dagli altri partiti dellamaggioranza, Piersanti affermò ripetutamente il carattere non deli-mitato e non chiuso della nuova, più ristretta maggioranza. Ciò la-scia pensare che nel Congresso democristiano del febbraio 1980Piersanti sarebbe stato decisamente contrario alla soluzione del no-to preambolo, con cui si pretendeva anacronisticamente di far ritor-nare la situazione politica a quella precedente l’esperienza di solida-rietà nazionale, costruendo una specie di costituzione separata per leforze politiche, del resto non omogenee, del pentapartito.

Questi tratti caratteristici della personalità umana e politica diPiersanti, che ho cercato di sintetizzare, andrebbero però collocati nelcontesto della realtà siciliana di allora valutando «il prima» e «il do-po» della sua esperienza, analizzando quanto è sopravvissuto alla suafine e quanto è caduto con lui: ciò presuppone quella ricerca storicacui accennavo all’inizio, che è soprattutto indagine sul contesto e suimaggiori attori della vita politica e amministrativa della Sicilia neldecennio 1970-1980. Senza questa ricostruzione storica la figura diPiersanti, sicuramente eccezionale, campeggia però troppo solitariain un quadro di cui a noi continentali (ma credo anche ai giovani sici-liani di oggi) sfuggono troppi aspetti non secondari.

Prima di passare ad una breve riflessione sulla causale del de-litto che ha provocato la morte di Piersanti, sia consentita unaconsiderazione di carattere più generale. Nella vicenda tragicadel terrorismo (cui va aggiunta per la classe politica sicilianaquella della violenza mafiosa) l’Italia ha visto falcidiati alcuni de-gli esponenti migliori delle forze politiche democratiche: per li-mitarmi alla Democrazia Cristiana, che ha subito le maggiori per-dite con Moro, Mattarella, Bachelet e Ruffilli, si può dire che nel

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Piersanti Mattarella

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nostro paese, in confronto a tutti quelli dell’Europa democratica,si è raggiunto un tristissimo primato.

Quando parlo di migliori uso il termine nel senso del cantoXXVIII dell’Inferno allorché Dante rievoca la morte violenta dei«duo miglior di Fano» per mandato di un tiranno della famigliadei Malatesta. Tra i governanti nostri Moro in Italia, Mattarella inSicilia erano sicuramente i due migliori: meliores terrae, saniorpars, anche quando non avevano dallo loro la major pars.Ebbene, allorché oggi si ricercano le cause della crisi della c.d.prima Repubblica, si dimentica spesso che accanto alle vicendeeconomiche, al referendum sul divorzio, al Congresso del pream-bolo, e alle degenerazioni successive, c’è questo dato terribile chegetta una lunga ombra sulla storia italiana. Infatti non solo quegliomicidi bloccarono in gran parte le iniziative di Moro e diMattarella nel periodo immediatamente successivo al compimen-to dei delitti; ma la loro assenza, possiamo supporre con un futu-ribile non privo di plausibilità, ha danneggiato profondamente ilnostro paese nella transizione anomala, di esiti così diversi daquella del bipolarismo europeo, che non finiamo di attraversare.

Parlando dieci anni fa di Piersanti in questa sala dicevo che èil suo fare che dà significato alla sua fine e non viceversa. Questaconstatazione è ora pienamente avvalorata dalla motivazione del-la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Palermo, checondannava i mandanti mafiosi con una pronuncia confermatapoi in appello e in Cassazione. Certo, le verità processuali nonpossono coprire tutta la realtà ed è per questo che non sono statiidentificati gli esecutori materiali del delitto: del resto la mafia èspesso riuscita, preordinando la distruzione integrale di tutti glielementi di prova, a predisporre l’impunità organizzata, di cui giàscriveva il Manzoni a proposito dei bravi. Ma la motivazione è il-luminante (ed edificante) perché ravvisa la causale del delitto,con ricchezza di particolari, nella sfida che Piersanti aveva lan-ciato contro il monopolio mafioso dei grandi affari. Sfida moltooperativa, se possiamo citare, sulle tracce della sentenza, la leggeurbanistica regionale, la verifica sui collaudatori delle opere d’e-dilizia pubblica, l’ispezione sugli appalti per le sei scuole da co-

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Scritti e discorsi

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struire a Palermo realizzata con l’applicazione di una vecchia leg-ge del ‘62 sugli enti locali, che le precedenti amministrazioni re-gionali avevano abbandonato ad un lungo letargo. A differenzadel gen. Dalla Chiesa, che fu ucciso per il timore di ciò che si ri-prometteva di fare, Piersanti è stato assassinato anche per il mol-to che aveva già potuto e voluto fare.

«APalermo si spara per molto meno» ebbe a dire un alto funzio-nario della regione dinanzi all’iniziativa di Piersanti che, per indaga-re sugli appalti delle scuole, violava gli arcani imperi del Comune diPalermo, fino allora considerato (come testimonia il sindacoOrlando) una zona politicamente off limits egemonizzata da un co-mitato d’affari di imprenditori intraprendenti e di politici conniventi.

Piersanti era consapevole dei pericoli che correva; sempre at-tingendo alla testimonianza di un suo stretto collaboratore riferitanella sentenza, alla domanda se per le sue iniziative il Presidentedella Regione temesse conseguenze di ordine politico, Piersantispecificò «non politicamente, ma sul piano fisico, personale».

Consideriamo anche che Piersanti intensificò la sua linea di ri-gore anche dopo la fine della giunta di solidarietà regionale, iden-tificando con la sua persona, anziché con una formula politica,quella intransigente condotta aliena, sul terreno dell’etica pubbli-ca, da ogni compromesso. La verità è che una forte reazione anti-mafia era ancora lontana: dopo l’omicidio Dalla Chiesa (settem-bre 1982) c’è la legge Rognoni La Torre e iniziano nel 1983 le in-dagini della Magistratura palermitana che porteranno nel febbraio1986 al c.d. maxiprocesso terminato ventidue mesi dopo.

La sfida di Piersanti fu dunque tanto coraggiosa da apparire te-meraria. Ma chi traccerà il confine tra il coraggio e la temerarietà?

Sapere che la propria vita è in pericolo e perseverare nel com-portamento doveroso che suscita quel pericolo è la scelta più altache un cittadino possa compiere.

Non esistono soltanto i guerrieri democratici (i democraticiwarriors, che oggi si celebrano): esistono anche gli eroi democra-tici più umili e meno noti: Piersanti Mattarella è uno di questi.

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APPENDICE FOTOGRAFICA

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Piersanti Mattarella ritratto da Renato Guttuso

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Al banco del Governo all’A.R.S.

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Roma, 1955 - Con la Presidenza nazionale dellaGioventù Italiana di Azione Cattolica (G.I.A.C.)all’Altare della Patria

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Roma, 1956 - Convegno del Movimento studentidella Gioventù Italiana di Azione Cattolica(G.I.A.C.), con Monsignor Gino Nebiolo e AlviseCherubini

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Roma, 1958 - In udienza da Pio XII con i genito-ri e i fratelli

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Settembre 1965 - In occasione dei 60 anni del pa-dre, Bernardo Mattarella

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Palermo, 1969 - Con Aldo Moro, BernardoMattarella ed Enzo Occhipinti

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Con la moglie, Irma Chiazzese

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Con Giuseppe D’Angelo

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Con Aldo Moro

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Con Aldo Moro

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Con Aldo Moro e Benigno Zaccagnini

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A.R.S., 9 febbraio 1978 - Elezione a Presidentedella Regione Siciliana

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A.R.S., 9 febbraio 1978 - Discorso di accettazio-ne dell’incarico di Presidente della Regione

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A.R.S., 9 febbraio 1978 - Con il Presidentedell’Assemblea, Pancrazio De Pasquale

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A.R.S., 9 febbraio 1978 - Con i commessidell’Assemblea

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Palermo, 10 maggio 1978 - Corteo in commemo-razione di Aldo Moro, ucciso il giorno prima aRoma dalle B.R.

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Palermo, 9 novembre 1979 - Con il Presidentedella Repubblica Sandro Pertini e il Presidentedell’A.R.S. Michelangelo Russo

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Palermo, 9 novembre 1979 - Con il PresidentePertini e il Cardinale Pappalardo

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Primo piano

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Alla Presidenza della Regione con i bambini diuna delegazione Unicef

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Con il Cardinale Salvatore Pappalardo, arcive-scovo di Palermo

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Primo piano

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Con il Presidente della Commissione Europea,Roy Jenkins, in visita in Sicilia

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Enna - Comizio della Democrazia Cristiana

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Con Andrea Zangara e Francesco GirolamoGiuliana

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Bagheria - A Villa Cattolica, con Andrea Zangaraall’inaugurazione di una mostra

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Primo piano

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Con Monsignor Antonio Riboldi

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Con Guido Carli

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Con Piero Barucci e Carlo Borgomeo a un con-vegno della Lega Democratica

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Primo piano

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Primo piano

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– Discussione del disegno di legge: «Riforma del-la burocrazia regionale» (Seduta del 15 ottobre1970) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Bilancio diprevisione della Regione siciliana per l’anno fi-nanziario 1972» (Seduta del 7 marzo 1972) . . .

– Discussione del disegno di legge: «Esercizioprovvisorio del bilancio della Regione sicilianaper l’anno finanziario 1973 » (Seduta del 12 gen-naio 1973) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Sui fatti di violenza di Milano e di Primavalle aRoma (Seduta del 22 aprile 1973) . . . . . . . . . . .

I N D I C E

Presentazione, di Guido Lo Porto . . . . . . . . . . . . . Pag. XVNota redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XIX

VOLUME PRIMO

Presentazione, di Michelangelo Russo . . . . . . . . . Pag. XXVIIIntroduzione, di Leopoldo Elia . . . . . . . . . . . . . . . » XXIXNota redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XLV

6ª LEGISLATURA

(11 giugno 1967 - 12 giugno 1971)

7ª LEGISLATURA

(13 giugno 1971 - 19 giugno 1976)

Pag. 3

» 17

» 24

» 27

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cussione del disegno di legge: «Bilancio di previ-sione della Regione siciliana per l’anno finanzia-rio 1974» (Seduta del 29 aprile 1974 antimeridia-na) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Bilancio diprevisione della Regione siciliana per l’anno fi-nanziario 1975» (Seduta del 16 dicembre 1974) .

– Discussione del disegno di legge: «Piano regio-nale d’interventi per il periodo 1975-80» (Sedutadel 9 aprile 1975) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Sulla uccisione di Claudio Varalli (Seduta del 17aprile 1975) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Rendicontogenerale consuntivo dell’Amministrazione dellaRegione siciliana, dell’Azienda delle foreste de-maniali e del Fondo di solidarietà nazionale perl’anno finanziario 1974» (Seduta del 9 ottobre1975) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Bilancio diprevisione della Regione siciliana per l’annofinanziario 1976» (Seduta del 19 dicembre1975) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Norme perla nomina di amministratori e rappresentantidella Regione negli organi di amministrazioneattiva di enti di diritto pubblico, di organi dicontrollo o giurisdizionali» (Seduta dell’il mar-zo 1976) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Norme con-cernenti i servizi di cassa e tesoreria » (Seduta del23 aprile 1976) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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– Discussione del disegno di legge: «Rendicontogenerale consuntivo dell’Amministrazione dellaRegione siciliana, dell’Azienda delle foreste de-maniali, del Fondo di solidarietà nazionale e delFondo regionale per l’assistenza ospedaliera perl’anno finanziario 1975» (Seduta del 17 novem-bre 1976) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Bilancio diprevisione della Regione siciliana per l’anno fi-nanziario 1977» (Seduta del 21 dicembre 1976antimeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del documento predisposto dallaCommissione per la finanza, il bilancio e la pro-grammazione per la conferenza delle Regionimeridionali (Seduta del 16 febbraio 1977 pome-ridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Eliminazionedei residui passivi dal bilancio della Regione peril finanziamento straordinario di interventi pro-duttivi e promozionali ed altre norme finanzia-rie» (Seduta del 26 maggio 1977) . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Norme in ma-teria di bilancio e di contabilità» (Seduta del 29giugno 1977 pomeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: « Norme con-cernenti i servizi di cassa e di tesoreria » (Sedutadel 20 luglio 1977) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Commemorazione di Giorgio La Pira (Seduta del16 novembre 1977) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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8ª LEGISLATURA

(21 giugno 1976-6 gennaio 1980)

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– Discussione del disegno di legge: «Rendicontogenerale consuntivo dell’Amministrazione dellaRegione siciliana, dell’Azienda delle foreste de-maniali, del Fondo regionale per l’assistenzaospedaliera per l’anno finanziario 1976 (Sedutadel 15 dicembre 1977 antimeridiana) . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Bilancio diprevisione della Regione siciliana per l’anno fi-nanziario 1978» (Seduta del 21 dicembre 1977antimeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Appello al popolo siciliano per la difesa delloStato democratico (Seduta del 17 marzo 1978)(straordinaria) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Dichiarazioni programmatiche del Presidentedella Regione (Seduta del 3 aprile 1978) . . . . .

– Dichiarazioni programmatiche del Presidentedella Regione: replica al dibattito (Seduta del 5aprile 1978) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Nuove normeper l’ordinamento del Governo e dell’Ammini-strazione della Regione » (Seduta del 6 aprile1978) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Commemorazione dell’onorevole Aldo Moro(Seduta del 10 maggio 1978) . . . . . . . . . . . . . .

– Svolgimento di interpellanze e di interrogazionisulla installazione in Sicilia di una centrale nu-cleare: risposta del Presidente della Regione(Seduta del 31 maggio 1978) . . . . . . . . . . . . . .

– Comunicazioni del Presidente della Regione ediscussione di mozioni e di interpellanze sui pia-no Pandolfi (Seduta del 12 ottobre 1978) . . . . .

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– Discussione del disegno di legge: «Attribuzioniai comuni di funzioni amministrative regionali»(Seduta del 20 dicembre 1978) . . . . . . . . . . . . .

– Dichiarazioni del Presidente della Regione in or-dine al piano economico triennale 1979-1981(Seduta del 28 febbraio 1979) . . . . . . . . . . . . . .

– Commemorazione del segretario provincialedella Democrazia cristiana di Palermo, MicheleReina (Seduta del 15 marzo 1979) . . . . . . . . . .

– Commemorazione dell’onorevole Ugo La Malfa(Seduta del 26 marzo 1979) . . . . . . . . . . . . . . .

– Dichiarazioni programmatiche del Presidentedella Regione (Seduta del 26 marzo 1979) . . . .

– Dichiarazioni programmatiche del Presidentedella Regione: replica al dibattito (Seduta del 27marzo 1979) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione della mozione e delle interpellanzesull’ordine pubblico in Sicilia (Seduta del 5 apri-le 1979) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione delle mozioni per la promulgazionedelle norme in materia di riordino urbanistico-edilizio approvate dall’Assemblea ed impugnatedal Commissario dello Stato (Seduta del 16 apri-le 1979 antimeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione della mozione e della interrogazionesullo appalto di lavori per l’aereoporto diPalermo-Punta Raisi (Seduta del 2 maggio 1979)

– Sulle dimissioni dell’onorevole Pancrazio DePasquale da Presidente dell’Assemblea regiona-le siciliana (Seduta del 3 maggio 1979 pomeri-diana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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– Sull’attentato alla sede del Comitato romano del-la Democrazia cristiana (Seduta del 3 maggio1979 pomeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Sulle dimissioni da deputato regionale dell’ono-revole Angelo Bonfiglio (Seduta del 21 giugno1979 antimeridiana)

– Commemorazione del capo della squadra mobiledi Palermo, Boris Giuliano (Seduta del 25 luglio1979 antimeridiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Commemorazione del magistrato Cesare Terra-nova e del maresciallo Lenin Mancuso (Sedutadel 26 settembre 1979) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione del disegno di legge: «Nomina di unaCommissione parlamentare d’inchiesta sulla ge-stione dell’Assessorato regionale dei lavori pub-blici» (Seduta del 24 ottobre 1979 pomeridiana)

– Indirizzo di saluto al Presidente della RepubblicaSandro Pertini (Seduta del 9 novembre 1979straordinaria) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Discussione delle mozioni e della interpellanzasullo stato dell’ordine pubblico in Sicilia e sullalotta alla mafia (seduta del 20 novembre 1979) .

– Il ruolo delle regioni meridionali per una nuovapolitica economica dello Stato . . . . . . . . . . . . .

– Nel partito al servizio del Paese . . . . . . . . . . . .

– Per la riforma amministrativa della Regione . . .

– Rinnovamento e coordinamento dell’azione digoverno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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VOLUME SECONDO

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– Più poteri agli enti locali . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– D.C./P.C.I.: contrapposizione o confronto? . . .

– Padania: una Prussia in Italia? . . . . . . . . . . . . . .

– Una Sicilia nuova nella crisi italiana . . . . . . . . .

– La posizione della Regione siciliana sui pro-gramma quinquennale di interventi straordinarinel Mezzogiorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Il costo per la Sicilia della crisi economica nazio-nale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Regioni e Mezzogiorno: esigenza di una nuovapolitica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Magistero sociale, capitalismo, azione politicadei cattolici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Sull’assassinio di Aldo Moro . . . . . . . . . . . . . .

– Iniziativa politica della D.C. per lo sviluppo delMezzozogiorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Realtà e prospettive del Mezzogiorno d’Italia .

– La programmazione regionale strumento indi-spensabile di riequilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– La Sicilia non deve saltare la fase dell’industria-lizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– La Sicilia ed il piano triennale di sviluppo . . . .

– Linee di sviluppo dell’agricoltura siciliana . . . .

– La riforma amministrativa della Regione . . . . .

– Il ruolo dei Comuni nella Regione . . . . . . . . . .

– Il documento di linee, principi ed obiettivi dellaprogrammazione regionale . . . . . . . . . . . . . . . .

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– La Sicilia è in Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Le autonomie locali nella tradizione del popola-rismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Istituzioni pubbliche e politica meridionalista .

– Sicilia: tre problemi sul tappeto . . . . . . . . . . . .

– Lavorare con più coraggio per una immaginenuova della Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– Il concorso della Regione alla programmazionenazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

– La Regione e gli organismi comunitari europei

– I nodi sono grossi: spero di farcela e presto . . . .

APPENDICE

Elenco delle interrogazioni, interpellanze, mozio-ni, ordini del giorno, disegni di legge presentati daPiersanti Mattarella nella sesta legislatura (1967-1971):

Interrogazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Interpellanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Mozioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ordini del giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Disegni di legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Schede dell’attività parlamentare di PiersantiMattarella dal luglio 1967 al dicembre 1979 . . . .

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“Le carte in regola” a vent’anni dalla morte diPiersanti Mattarella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Nicola Cristaldi, Presidente dell’Ars . . . . . . . . . .

Angelo Capodicasa, Presidente della Regione sici-liana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Sabino Cassese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Leopoldo Elia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

APPENDICE FOTOGRAFICA . . . . . . . . . . . . . .

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Finito di stampare pressoEurografica Palermo

nel mese di dicembre 2004

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QUADERNI DEL SERVIZIOSTUDI LEGISLATIVI DELL’A.R.S.

– NUOVA SERIE –

N. 1 Giuseppe La Loggia - Attività Parlamentare

N. 2 Piersanti Mattarella - Scritti e discorsi

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A venticinque anni dalla sua scomparsa, questa

ripubblicazione degli scritti e dei discorsi di

Piersanti Mattarella dal 1971 al 1979 riproduce

fedelmente il contenuto dei due volumi pubblica-

ti nel 1980 a cura dell’Assemblea regionale sicilia-

na, all’indomani del barbaro assassinio del

Presidente della Regione allora in carica.

Sono stati aggiunti il resoconto della commemo-

razione che si svolse, a venti anni dalla morte, in

Assemblea alla presenza del Presidente della

Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il 12 gennaio

2000, nonché un album di fotografie che contras-

segna le tappe salienti del percorso intellettuale,

morale e politico di Piersanti Mattarella.