I PRINCIPI POLITICI DELL’UNIONE EUROPEA: TRACCE, DIREZIONI,...

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SAGGI E RICERCHE Nuova Umanità XXIII (2001/5) 137, pp. 601-653 I PRINCIPI POLITICI DELL’UNIONE EUROPEA: TRACCE, DIREZIONI, PERCORSI II: Tra Nazione e Federazione 1. EUROVISIONI Il dibattito sull’Unione Europea, sulle sue caratterizzazioni politiche e istituzionali e sulle sue finalità, sul suo presente e sul suo futuro, da almeno un decennio è stato reso estremamente complesso e intricato, sia dai “sostenitori” (che hanno fatto prefi- gurare una riedizione “estesa” dell’Europa “carolingia”, con in più l’accentramento dello Stato “giacobino”) sia dai “denigratori” (che hanno usato argomenti federalisti o “girondini” per intral- ciare l’integrazione e per salvare lo Stato nazionale, o meglio, gli apparati di governo statali). In questo scritto tenterò di riassumerne i principali elemen- ti, privilegiando un’ottica più politologica che giuridica e più po- litica che “diplomatica”. La Federazione di Stati-nazione Per Jacques Delors 1 , ex presidente della Commissione Eu- ropea, l’Europa non può farsi semplicemente eliminando gli Stati, né può trasformarsi in una federazione, ma deve cercare una via diversa: divenire, almeno per alcuni Paesi (il gruppo precursore o 1 Jacques Delors, Audizioni presso la delegazione del Senato francese per l’Unione Europea, del 16 giugno 1999 e del 5 aprile 2000.

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SAGGI E RICERCHE Nuova UmanitàXXIII (2001/5) 137, pp. 601-653

I PRINCIPI POLITICI DELL’UNIONE EUROPEA: TRACCE, DIREZIONI, PERCORSI

II: Tra Nazione e Federazione

1. EUROVISIONI

Il dibattito sull’Unione Europea, sulle sue caratterizzazionipolitiche e istituzionali e sulle sue finalità, sul suo presente e sulsuo futuro, da almeno un decennio è stato reso estremamentecomplesso e intricato, sia dai “sostenitori” (che hanno fatto prefi-gurare una riedizione “estesa” dell’Europa “carolingia”, con inpiù l’accentramento dello Stato “giacobino”) sia dai “denigratori”(che hanno usato argomenti federalisti o “girondini” per intral-ciare l’integrazione e per salvare lo Stato nazionale, o meglio, gliapparati di governo statali).

In questo scritto tenterò di riassumerne i principali elemen-ti, privilegiando un’ottica più politologica che giuridica e più po-litica che “diplomatica”.

La Federazione di Stati-nazione

Per Jacques Delors 1, ex presidente della Commissione Eu-ropea, l’Europa non può farsi semplicemente eliminando gli Stati,né può trasformarsi in una federazione, ma deve cercare una viadiversa: divenire, almeno per alcuni Paesi (il gruppo precursore o

1 Jacques Delors, Audizioni presso la delegazione del Senato francese perl’Unione Europea, del 16 giugno 1999 e del 5 aprile 2000.

gruppo di punta), una “Federazione europea di Stati-nazione”nell’ambito di un’entità geo-politica più ampia (l’Unione) 2. Lanazione rimane un quadro d’appartenenza di cui la mondializza-zione rafforza la necessità. In questo contesto, occorrerebbe fissa-re le competenze di ogni livello istituzionale, e ciò è possibile soloadottando un approccio federale che consenta di distinguere tracompetenze esclusive dell’Unione, competenze esclusive degliStati, competenze miste o condivise; l’incidenza di queste ultimedovrebbe però essere ridotta al minimo indispensabile. Si tratte-rebbe di un modo per coniugare, in una nuova architettura istitu-zionale, nazione e federazione, concependo il difficile equilibriotra i due termini non a partire da preconcetti ideologici, ma inmodo pratico e concreto 3.

In questo contesto, interessante è l’associazione, che Delorsvalorizza, tra il metodo comunitario e la peculiarità istituzionaledella costruzione europea, che certamente non può essere giudi-cata alla luce dei parametri di Montesquieu in tema di divisionedei poteri, e che rende possibile la compresenza, accanto ad esso(ma non in alternativa), di un approccio intergovernativo 4.

L’Europa a strati

Diversa l’impostazione proposta da Valéry Giscard d’E-staing e Helmut Schmidt 5.

Per questi due ex-statisti, l’Europa dovrebbe costruirsi a trediversi livelli. Il primo sarebbe rappresentato dalla «organizzazio-ne dello spazio europeo», e cioè l’Europa attuale, più i nuovi Pae-si; dunque un’Europa prevalentemente economica, con un gradominimo d’integrazione politica. Le nuove regole decisionali sa-

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2 Cf. Jacques Delors, Un’avanguardia di Stati per la Nazione europea, in «laRepubblica», 6 ottobre 2000.

3 Cf. Jacques Delors, in «Le monde des débats», luglio-agosto 2000; cf.anche «Bulletin Quotidien Europe», n. 7799, 15 settembre 2000.

4 Cf. Jacques Delors, Intervento al «Colloque Temoins/Europartenaires/Friedrich Ebert Stiftung», Paris, 29 giugno 2000 (testo dattiloscritto).

5 Valéry Giscard d’Estaing - Helmut Schmidt, Pour une «Europe del’Euro», in «Le Figaro», 10 aprile 2000.

rebbero accompagnate da un «livello appropriato di solidarietà»,ma soprattutto dalla piena attuazione (in senso, per così dire,“escludente”) del principio di sussidiarietà.

Il secondo livello sarebbe quello dell’Europa della “dife-sa” (ma si pensa in realtà all’Europa come “potenza”), promos-sa dagli Stati che hanno maggiori capacità militari. Infine, alterzo livello, vi sarebbe un’Europa integrata, ma limitata agliStati già tra loro “simili” in senso economico e sociale; in prati-ca, un’Europa dell’Euro, fatta dai quei Paesi che intendonoraccogliere «ciò che resta dell’ambizione iniziale dell’integra-zione». Questa Europa avrebbe proprie istituzioni, e assomi-glierebbe a ciò che rappresentano gli Stati Uniti nel continentenord-americano.

Il sospetto è che questa Europa “a strati” finisca soprattuttoper approfondire le differenze, più che per unire. Si tratterebbe,comunque, di un’Europa dei più forti, sia in senso economico chemilitare, con una coorte di Paesi “satelliti”. È una nuova versionedel vecchio ed oramai antistorico sogno (o meglio, incubo) dell’e-gemonia europea in Europa.

Molto più lungimirante l’idea di una strategia “incorporan-te”, di cui è simbolo questo invito di Giovanni Paolo II: «Possanogli Europei impegnarsi risolutamente in una collaborazione co-struttiva, per consolidare la pace fra di essi e intorno ad essi! Pos-sano non lasciare nessuna nazione, neanche quella meno potente,al di fuori dall’insieme che stanno costituendo!» 6.

Föderation

Per Joschka Fischer la meta finale è l’Europa federale, manon nell’accezione tradizionale del termine 7. Si tratta, potremmodire, di una risposta implicita alla richiesta epistemologica di

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6 Dal Messaggio del Santo Padre ai Capi di Stato presenti a Gniezno, 3giugno 1997.

7 Cf. Joschka Fischer, Dalla Confederazione alla federazione. Riflessionesulla finalità dell’integrazione europea, discorso all’Università Humboldt di Berli-no, 12 maggio 2000.

Haas, e cioè la necessità di identificare la “variabile dipendente”del processo di integrazione 8. Ma quale federazione?

Un “trattato costituzionale” dovrebbe anzitutto delimitarele competenze tra il livello “federale” ed il livello “statale”. Que-sto approccio si concentra soprattutto sulle istituzioni, presentan-do un’architettura complessa, ma niente affatto chiara. Il rappor-to degli Stati-nazione con la Federazione sarebbe caratterizzatoda una “condivisione di sovranità”, nel senso che le istituzioni fe-derali sarebbero organi misti, dovendo garantire la rappresentan-za e la partecipazione degli Stati-nazione in seno sia al Legislativoche all’Esecutivo.

La parola “federazione”, accanto a quella “Costituzione”,appare più volte in questa costruzione, ma si tratta di una federa-zione dalle forti caratterizzazioni “confederali”, una federazioneparzialmente federale. L’idea del passaggio da un’Unione di Statiad una “piena parlamentarizzazione” nell’ambito di una Federa-zione Europea, da un lato, e della identificazione di un potereesecutivo, dall’altro, non è indipendente, quanto ai suoi esiti, dal-le scelte da operare per la composizione di tali organi. In effetti,la proposta di Fischer contiene seri rischi di “rinazionalizzazione”delle istituzioni europee.

La prospettiva di Fischer genera non poche perplessità an-che dal punto di vista della teoria generale dello Stato, rispetto,ad esempio, alle costruzioni di Jellinek e Kelsen. Tra i due riferi-menti classici della Confederazione e dello Stato federale, Fischerprospetta una terza soluzione, quella della Föderation (distinta dalBundesstaat). Per taluni teorici (eccessivamente) “ortodossi”, lapossibilità di una coesistenza degli Stati-nazione e della Federa-zione è tutta da dimostrare.

La soluzione di questa antinomia strutturale è stata ricercatanella teoria di Carl Schmitt del “patto federativo”, in base allaquale la creazione della Federazione non comporta la “fusione” ela conseguente scomparsa nell’insieme federale delle unità politi-che costitutive. I soggetti del patto costitutivo della Federazione

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8 Cf. Ben Rosamond, Theories of European Integration, MacMillan Press,Houndmills-Basingstoke-Hampshire-London 2000.

continuerebbero perciò ad esistere accanto al nuovo Soggetto fe-derale 9.

L’Europa degli Stati Uniti

Per Jacques Chirac 10 non bisogna prospettare la creazionedi un “Superstato europeo”, che decreterebbe la fine degli Statinazione in quanto attori della vita internazionale. Piuttosto cheprefigurare gli «Stati Uniti d’Europa», occorrerebbe costruireun’«Europa degli Stati Uniti».

I fondamenti dello sviluppo dell’Unione dovrebbero essere iseguenti: le nazioni dovrebbero rimanere i riferimenti principalidella politica europea; per acquisire una «nuova potenza» eun’accresciuta proiezione gli Stati dovrebbero accettare di eserci-tare «sovranità comuni», riconoscendo, tuttavia, che le istituzionidella sovranità condivisa sono sempre «perfettibili».

Al di là delle modifiche istituzionali di corto respiro, perChirac si dovrebbe aprire nel prossimo futuro un periodo di“grande transizione” per una “stabilizzazione” dell’Europa nellesue frontiere e nelle sue istituzioni. La prospettiva a più lungo ter-mine potrebbe essere quella dell’adozione di una “Costituzioneeuropea”.

Superpotenza, non superstato

La visione anglosassone (espressa da Tony Blair 11) dell’Eu-ropa del futuro non è “solo” intergovernativa. Tra i due modellidell’area di libero scambio (modello NAFTA) e quello federali-sta classico, Blair indica la prospettiva di un’Europa «superpo-

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9 Cf. Charles Leben, Féderation d’Etats-nations ou Etat féderal? (paper),Harvard Law School - Jean Monnet Chair, Cambridge MA 2000.

10 Cf. Jacques Chirac, Pour une constitution européenne, in «Le Monde»,28 giugno 2000 (discorso dinanzi al Bundestag). Cf. anche il Discorso in occasionedell’incontro con gli Ambasciatori francesi all’Eliseo, Parigi, 28 agosto 2000.

11 Cf. Tony Blair, Speech to the Polish Stock Exchange, Varsavia, 6 ottobre2000. Il testo è consultabile al sito internet http://www.fco.gov.uk/news/speech-text.asp.4215.

tenza, non superstato». Un’Europa che non sia solo libero com-mercio, ma anche una «potenza collettiva», le cui tre principalifinalità siano «prosperità, sicurezza, forza». Una visione che raf-forza, dunque, la teoria di Milward sulla “strumentalità” dell’in-tegrazione europea non solo per la “salvezza”, ma per il raffor-zamento dello Stato in Europa. L’Europa del passato, del pre-sente e del futuro è dunque, nonostante le diverse e contingentisommatorie o reciproche neutralizzazioni di potenza, un conses-so di nazioni libere e sovrane che hanno scelto di perseguire inmodo più razionale i propri interessi, nella convinzione, fonda-ta, di poter ottenere assai più (potere, influenza, ricchezza) as-sieme che isolatamente. E, d’altra parte, la principale fonte dilegittimazione democratica in Europa non sono certo, nella vi-sione inglese, le istituzioni comunitarie, bensì le istituzioni rap-presentative ed elettive delle nazioni europee, e cioè i parlamen-ti ed i governi nazionali. Quest’Europa non ha perciò bisognodi ulteriori sovrastrutture giuridiche, come ad esempio una Co-stituzione; tutt’al più, essa dovrebbe dotarsi di una carta “politi-ca” (non vincolante) che stabilisca i criteri per l’individuazionedei livelli di competenza.

Sovranità condivisa

Romano Prodi, da parte sua, ha esplicitamente escluso chel’approccio intergovernativo possa ancora svolgere una funzionetrainante e riformatrice in Europa 12.

Il metodo intergovernativo produrrebbe, per Prodi, due im-portanti conseguenze negative: trasformerebbe la Comunità in«centro di dibattiti internazionali», incapace di creare una condi-visione di sovranità attorno all’interesse generale; oppure ingan-nerebbe i cittadini, creando continuamente nuovi soggetti sottrat-ti allo scrutinio democratico. Questo sì, per Prodi, darebbe luogodavvero ad un «governo di burocrati» 13.

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12 Cf. Romano Prodi, Discorso alla Sessione Plenaria del Parlamento Euro-peo, Strasburgo, 3 ottobre 2000.

13 Ibid.

Per Carlo Azeglio Ciampi 14 la contrapposizione tra sovrana-zionalità e sovranità nazionale dovrebbe essere radicalmente ri-pensata. Salvaguardia dell’identità nazionale e superamento dellasovranità sono, per Ciampi, riferimenti solo apparentemente con-traddittori, in realtà complementari e necessari ambedue all’avan-zamento dell’Europa.

A partire da questa fondamentale premessa, s’impone il varodi un progetto di architettura istituzionale europea, fondata, inprimo luogo, sul diritto a un’integrazione più stretta fra i Paesiche sono in grado e desiderino farlo, prevedendo comunque lapossibilità di un “ricongiungimento” successivo (è l’idea di una“forza trainante”). L’altro pilastro dovrebbe essere costituito dallaCostituzione europea.

Il dibattito sulla struttura dell’Unione non dovrebbe esserecondizionato da schemi rigidi, come l’alternativa tra Bundesstaate Staatenbund (modello federale o modello confederale), in quan-to entrambe le ipotesi sono utilizzabili «in forme nuove e compo-site», sia per definire una nuova configurazione istituzionale del-l’Europa sia per chiarire le competenze dei diversi soggetti cheoperano nell’ambito europeo.

Nella costruzione di Ciampi l’affermazione della centralitàdell’identità nazionale non si confonde dunque con la difesa del-l’esclusività del potere dello Stato-nazione. Solo come Europa isingoli Stati nazionali potranno essere davvero «convincenti pro-tagonisti della comunità internazionale». In caso contrario, «la so-litudine degli Stati europei nel mondo della globalizzazione con-durrebbe al velleitarismo e alla marginalizzazione» 15.

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14 Cf. Carlo Azeglio Ciampi, Discorso in occasione del Conferimento dellaLaurea «Honoris Causa» dell’Università di Lipsia, 6 luglio 2000; in Carlo AzeglioCiampi, Verso una Costituzione europea, brochure della Presidenza della Repub-blica, Roma 2000.

15 Carlo Azeglio Ciampi, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 4 ot-tobre 2000.

L’Europa post-hobbesiana

Ralf Dahrendorf ha osservato che la maggior parte degli ap-procci sul futuro istituzionale dell’Europa curiosamente si diffon-de proprio sulla perdurante importanza dello Stato nazione 16, inun’epoca in cui la forma-Stato è sottoposta a tensioni e processidi trasformazione radicale.

Il grande dibattito sull’«Eurovisione» (e cioè la “competi-zione” tra i leader europei su chi prospetta il migliore “futuro”per l’Europa) rivela incongruenze ed aporie. Fischer, osservaDahrendorf, vuole il federalismo con un po’ di Stato-nazione;Chirac vuole lo Stato-nazione con un po’ di federalismo; Blairvuole tutto tranne il federalismo 17.

In questo senso, si può dire che l’Europa non ha anco-ra trovato il suo “Copernico”, e che rimane in parte legata adun universo che è già divenuto “multiverso” o “pluriverso”. Suun piano più generale, si è parlato persino di un superamentodel “multilateralismo” internazionale (di stampo nettamente“occidentale” o intergovernativo), che cederebbe oramai il pas-so alla più ricca, pluralistica ed articolata nozione di “onnilate-ralismo” 18.

Una visione in qualche modo eclettica ed eterodossa rispettoa queste impostazioni è quella di Giuliano Amato, che, pur rife-rendosi alla necessità per l’Europa di avere «un cuore politico» 19,cioè un centro pulsante, di un gruppo di Paesi che svolgano unruolo da “battistrada” 20, prefigura uno scenario europeo total-mente dissimile dalle caratterizzazioni dello Stato-nazione comeelemento centrale nella costruzione europea. L’idea federale è in-

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16 Esemplare è, al riguardo, Jérome Monod - Ali Magoudi, Manifeste pourune Europe souveraine, Odile Jacob, Paris 1999.

17 Cf. Ralf Dahrendorf, Non basta una Carta per fare l’Europa, in «la Re-pubblica», 14 novembre 2000.

18 Cf. Wolfgang Pape, Opening the World to the Omnilateralism, Commis-sione Europea - Nucleo di valutazioni prospettiche, Bruxelles, maggio 1998.

19 Cf. intervista di Franco Venturini a Giuliano Amato, L’Europa ha biso-gno di un cuore politico, in «Corriere della sera», 4 luglio 2000.

20 Cf. Giuliano Amato - Gerhard Schroeder, La porta stretta della GrandeEuropa, in «la Repubblica», 21 settembre 2000.

terpretata da Amato non tanto nella sua accezione di sistema plu-ralistico e articolato, ma come processo di unificazione e di ten-denziale uniformità, ed è, per questo, ritenuta una battaglia di re-troguardia. Nell’Europa dei poteri e dei territori frammentati edarticolati, in un ambiente politico “post-hobbesiano” e “post-sta-tuale”, l’ipotesi stessa del “trasferimento di sovranità” è destinataa condurre ad un vicolo cieco. Nel nuovo ordine mondiale ed eu-ropeo «non esistono più singoli, identificabili sovrani. Al loro po-sto esiste una moltitudine di autorità a diversi livelli di aggrega-zione, a ciascuna delle quali fanno capo diversi interessi degli es-seri umani» 21.

Per Amato, i federalisti «si muovono nella cultura di ieri» ecioè la cultura statuale così come si è sviluppata negli ultimi tresecoli. Essi pensano che, «denudando» gli Stati nazione della so-vranità, questa «traslochi» ad un livello superiore. In realtà, so-stiene Amato, il potere sovrano, spostandosi, «evapora, scompa-re». I poteri sono trasferiti a livelli superiori senza che questi di-ventino sovrani, e per questo è più appropriato parlare di trasferi-mento di funzioni e non di poteri 22.

Perciò l’intero dibattito federalista andrebbe reimpostato sunuove basi. Il federalismo è certamente stato «uno dei grandi mo-tori iniziali dell’Europa». Esso però rimane incapace di dare unnuovo contributo per l’avvenire, in quanto rimane legato all’ideadi sovranità. Nel concetto federalista c’è, infatti, un trasferimentodi sovranità, e dunque di poteri esclusivi, dagli Stati a un’entitàsuperiore. Ma nella realtà politica ed istituzionale del mondo con-temporaneo non si trasferiscono poteri sovrani; piuttosto, si tra-sferiscono funzioni con meccanismi e procedure nelle quali sonoframmiste in modo inestricabile integrazione e cooperazione. Iltrasferimento di poteri avviene a favore degli stessi soggetti che looperano, ma in un’altra veste e in un altro luogo. Questa è, perAmato, la peculiarità della costruzione europea, che si distingue

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21 Giuliano Amato, All’Europa non serve un sovrano, intervista di BarbaraSpinelli, in «La Stampa», 13 luglio 2000.

22 Ibid. Cf. anche Giuliano Amato, Un progetto per l’Europa, in «la Repub-blica», 21 maggio 2000.

sia dal federalismo “classico” che dalla concezione dell’Europadelle Patrie 23.

La nuova situazione darebbe luogo ad una discrepanza tra lasovranità de jure e l’autorità de facto, che suggerirebbe la sostitu-zione del concetto di sovranità con quello più fluido di autono-mia 24. La nuova struttura (che si configurerebbe come una rete)si consolida progressivamente, a misura che si allontana dal rigidoriferimento alle teorie di Bodin, Botero e Hobbes. L’idea di un“demos” della Federazione costituirebbe, per Amato, l’idea di un“demos” totalitario, che nella realtà non esiste e che è auspicabileche si formi. In questo senso, tra le due versioni della tesi “no de-mos”, quella soft che considera che il “demos” europeo non c’èancora, ma che potrebbe nascere in un futuro; e quella hard, se-condo la quale l’integrazione riguarda un’unione più stretta tra ipopoli europei, e quindi implicitamente esclude l’idea di un uni-co “popolo” europeo, Amato sembrerebbe preferire decisamentela seconda 25. In realtà, quando Weiler (autore che Amato evocanella sua riflessione) si riferisce al “demos” europeo, precisa sen-za ombra di dubbio che esso deve essere inteso in termini civili epolitici, piuttosto che in termini etnico-culturali 26. In questo sen-so, potrebbe dunque esistere un “demos” europeo solo nell’ambi-to di un’appartenenza “di secondo grado”.

Alla destrutturazione della sovranità e conseguente delegitti-mazione dell’idea federale “unificante” Amato accompagna però

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23 Intervista di Franco Venturini a Giuliano Amato, L’Europa ha bisogno diun cuore politico, cit.

24 Cf. H. Kassim - A. Menon, The European Union and State Autonomy, inH. Kassim - A. Menon (a cura di), The European Union and National IndustrialPolicy, Routledge, London 1996.

25 Cf. Joseph H.H. Weiler - Ulrich Haltern - Franz Mayer, European De-mocracy and Its Critique. Five Uneasy Pieces, Istituto Universitario Europeo di Fi-renze - Centro Robert Schuman, working paper no. 95/11.

26 Nella lettura di Weiler «la concettualizzazione di un demos europeonon si deve basare su reali o immaginarie affinità culturali transeuropee, ovverosu un retroterra storico comune, oppure ancora sulla costruzione di un “mito”nazionale europeo, secondo il modello che forma l’identità di una nazione “orga-nica”» (Joseph Weiler, La cittadinanza europea, in B. Beutler - R. Bieber - J. Pip-korn - J. Streil - J.H.H.Weiler, L’unione europea. Istituzioni, ordinamento e politi-che, Il Mulino, Bologna 1998, p. 674).

una serie di indicazioni che prefigurano politiche comuni pro-nunciate, quali «il governo comune dell’economia», «comuni re-gole sull’immigrazione», «comuni discipline del lavoro» e la crea-zione di «forze che presidino i comuni confini esterni» 27.

Il superamento del “Leviatano interno” non si accompagnaalla scomparsa del “Behemoth esterno” 28, cioè del caos, dell’a-narchia e dell’instabilità dovuti a differenti fattori, quali la pres-sione demografica e condizioni economiche di arretratezza.

Inoltre Amato prospetta un cammino futuro delle riforme inEuropa la cui “mappa” è costituita dalla ripartizione delle com-petenze a livello europeo e dalla suddivisione delle responsabilitàcon le istituzioni di Bruxelles; elementi, questi, che andrebberodisciplinati in una “Costituzione” europea, «chiara e comprensi-bile», da elaborare attraverso una «discussione costituzionale» 29.

Anche in questo caso alla fluidità del potere svincolato dagliattributi “sovrani” si accompagna uno strumento forte dell’affer-mazione sovrana dello Stato moderno, quale la Costituzione.

La strada per superare quest’aporia sta forse nella capacitàdell’Europa di disporre, pur nel pluralismo degli attori territorialie funzionali, di un Soggetto (non certo monolitico) e di un Proget-to. Ma il progetto deve essere comunque precisato per rendere ilpercorso più chiaro e agevole; un Progetto ha bisogno di un Sog-getto. Più che la metafora del «cantiere in formazione», all’Europasi attaglia l’immagine di «un’orchestra in formazione». L’orchestrarappresenta bene il suo aspetto più caratteristico, di unità nella di-versità; ma «un’orchestra ha bisogno di un Direttore» 30.

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27 «Pensiamo al problema dell’immigrazione clandestina nell’Unione.Dobbiamo avere regole comuni, dobbiamo avere una intelligence comune, dob-biamo avere, a mio parere, forze multinazionali a presidio delle frontiere dell’U-nione. Bisogna creare una sorta di FBI europeo per la sorveglianza dei confiniesterni» (intervista di Franco Venturini a Giuliano Amato, L’Europa ha bisogno diun cuore politico, cit.).

28 Per la distinzione tra Leviatano e Behemoth, cf. Franz Neumann, Behe-moth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Feltrinelli, Milano 1977, p. 21.

29 Cf. Giuliano Amato e Gerhard Schroeder, La porta stretta della GrandeEuropa, cit.

30 Giorgio Ruffolo, Chi dirige l’orchestra della UE?, in «la Repubblica», 16luglio 2000.

L’«anti-architettura» di Amato si rifà esplicitamente alle ri-cerche di Philippe C. Schmitter, ed in particolare al tentativo diriconcettualizzare, con una nuova terminologia, il fenomeno della“governance”, cioè l’articolazione di poteri non solo a livello“verticale” (spazi, territori), ma anche in quello “orizzontale”(competenze, funzioni) 31.

L’assunto di Schmitter è che l’Unione Europea, in quanto“non-stato” e “non-nazione”, in quanto “non-federatio” e “non-confederatio”, si sta evolvendo verso forme di potere denominate“consortio” e “condominio”.

Nell’ipotesi del “consortio”, un numero fisso di Stati formaun blocco spaziale unico e contiguo; essi regolano gli interessi co-muni attraverso una moltitudine di diverse autorità funzionali, soloparzialmente coordinate da un “centro” o da un “segretariato”.

Ancora più articolata sarebbe la forma del “condominio”.In questo caso, non solo ogni Stato membro potrebbe selezionareda un menu le funzioni politiche preferite e preferibili, ma ogniistituzione europea potrebbe essere composta da un diversogruppo di membri (con possibilità di sovrapposizioni). Invece diuna sola Europa con confini riconosciuti e contigui, vi sarebberomolte Europe, a seconda dei settori di cooperazione. Schmitterriconosce tuttavia che i problemi di coordinamento di quest’ar-chitettura politica fuzzy sarebbero enormi.

In sintesi, benché sia certo che l’Unione Europea abbia su-perato i limiti “intergovernativi”, è dubbio che essa possa rag-giungere il livello di coincidenza tra autorità territoriale e autoritàfunzionale – come nella prospettiva della federazione 32.

Schmitter propone poi un esercizio concettuale teso a pro-durre un “salutare” spaesamento. L’esercizio consiste nell’imma-ginare una politica priva dei seguenti elementi: un luogo ove insi-

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31 Cf. Philippe - C. Schmitter et alii, Governance in the European Union,Sage, London - Thousand Oaks - New Delhi 1996.

32 Cf. Philippe - C. Schmitter, How to Democratize the European Union... andWhy Bother?, Rowman and Little Field, Lanham - Boulder - New York - Oxford2000, pp. 15-19 (tr. it., Come democratizzare l’Unione Europea e perché, il Mulino,Bologna 2000).

sta un’autorità suprema, chiaramente definita, non questionabile;una gerarchia prestabilita di pubblici poteri; una sfera di compe-tenze predefinita e caratteristica, nella quale assumere decisionivincolanti per tutti; uno spazio territoriale fisso e contiguo sulquale esercitare autorità; un riconoscimento esclusivo da parte dialtre unità politiche, la partecipazione ad organizzazioni interna-zionali, e la capacità di concludere accordi internazionali; un’i-dentità ricapitolante ed “esponenziale” ed una presenza simboli-ca per i sudditi/cittadini; un monopolio effettivo e consolidatosull’uso legittimo di strumenti di coercizione; una capacità unicadi attuazione diretta delle decisioni su individui e gruppi; una ca-pacità esclusiva di controllo del movimento dei beni, servizi, capi-tali e persone all’interno dei confini.

Questa serie di condizioni “assenti” coesisterebbe con la ca-pacità di prendere decisioni, risolvere conflitti, produrre benipubblici, coordinare i comportamenti privati, regolamentare imercati, tenere elezioni, rispondere alle pressioni degli interessiorganizzati, generare reddito, allocare risorse, e perfino dichiararee finanziare guerre.

L’abbinamento di queste due serie di elementi conduce adimmaginare una situazione politica fondata su un’autorità «post-sovrana, pretero-nazionale, multistrato, sovrapposta, indefinita» 33.

Questa prospettiva teorica – a patto di non assolutizzarla –non rappresenta solo un’utile ipotesi di lavoro, ma riflette alcunedirezioni di sviluppo dell’Unione Europea.

2. FLESSIBILITÀ

È bene ricordare che già oggi alcuni utensili sono disponibiliper precisi obiettivi dell’integrazione europea. I due strumentifondamentali, che qui propongo di reinterpretare l’uno in funzio-

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33 Ibid, p. 17.

ne dell’altro, sono la flessibilità e la sussidiarietà. Ad essi si ag-giunge la nuova dimensione della “governance”.

Il significato della flessibilità è intuitivo. Ma esso contiene insé una serie di elementi che riguardano il rapporto dell’Europacon la geopolitica, ma anche, più profondamente, con le dimen-sioni dello spazio, del tempo, della materia.

Considerando il variegato scenario europeo, è perfettamentecomprensibile che sorga la necessità di prevedere forme aggrega-tive differenziali, libere e non discriminanti.

Si può cioè pensare a diversi “moduli”: “integrazione flessi-bile”, o anche “rafforzata” oppure “differenziata”. È previstaesplicitamente la possibilità che anche solo alcuni Stati membridell’Unione che lo desiderino prevedano forme di integrazionepiù vincolanti in alcuni settori: sono le cosiddette “cooperazionirafforzate” 34.

Emmanuel Mounier, in tema di innovazioni sociali e cultura-li, parlava della necessità di «minoranze profetiche di choc».Quella di cui si parla oggi è l’Europa delle Avanguardie.

Ma le varianti concettuali sono molteplici e complesse. Ilconcetto di Europa a più velocità si riferisce ad una modalità di in-tegrazione differenziata in base alla quale il perseguimento di co-muni obiettivi è guidato da un gruppo interno, da un nucleo diStati membri che sono al contempo capaci e desiderosi di proce-dere oltre, nell’assunto di fondo che gli altri potranno unirsi in se-guito. È una nozione che ha come riferimento principale il tempo.

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34 Esempi, sia pure impropri, sono quelli del Trattato Schengen (abolizio-ne delle frontiere interne marittime e terrestri) e dell’Unione Economica e Mone-taria, che prevedeva, tra l’altro, al suo lancio nel 1999, l’adozione dell’Euro daparte di 11 Paesi su 15. L’accordo di Schengen è stato firmato in detta località il14 giugno 1985 tra Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi, al finedi sopprimere progressivamente il controllo alle frontiere comuni e di predispor-re un regime di libera circolazione di tutte le persone, siano esse cittadini degliStati firmatari o degli altri Stati membri della Comunità, oppure di Paesi terzi. LaConvenzione di Schengen è stata firmata da detti Paesi il 19 giugno 1990 e stabi-lisce le modalità di applicazione, nonché le garanzie inerenti all’attuazione dellalibera circolazione. Ai firmatari si sono successivamente associati: l’Italia, la Spa-gna e il Portogallo, la Grecia, l’Austria, la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, eanche Islanda e Norvegia, Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea.

L’idea di Europa a geometria variabile riguarda una modali-tà di integrazione differenziata che, concependo la possibilità diuna separazione permanente o irreversibile tra un “nucleo duro”e unità integrative meno sviluppate, ammette l’esistenza di un di-vario incolmabile nella struttura integrativa complessiva. È unanozione che ha come riferimento principale lo spazio.

Infine, l’Europa à la carte è concepita come una modalità diintegrazione differenziata in cui gli Stati membri possono sceglie-re (pick-and-choose), come da un menu, a quali politiche intendo-no prendere parte, condividendo al contempo solo un numerominimo di obiettivi comuni. È una nozione che ha come riferi-mento principale la materia 35.

Nella situazione dell’allargamento, alcuni identificano nella“libertà di obiettivi” un principio di soluzione a quella “sindromedel numero” che tutte le istituzioni europee dovranno necessaria-mente fronteggiare. Sarebbero riprese le idee elaborate forse pre-maturamente nel “Rapporto Tindemans” del 1975 36. Con la dif-ferenza che mentre in quel rapporto le cooperazioni rafforzatesono configurate in termini di décalage temporale nell’adozione,da parte di tutti gli Stati membri, di misure applicative di un“programma d’azione”, esse potrebbero acquistare caratteristichedi “flessibilità permanente”: in altri termini, la “configurazioneparziale” dell’Unione su talune materie potrebbe assumere trattidi durata e progressivo consolidamento. Ovviamente queste for-me di cooperazione dovrebbero conservare le tre caratteristichefondamentali, e cioè la loro applicabilità giuridica, la loro realiz-zabilità politica e il loro effetto prevalentemente (ma non esclusi-vamente) centripeto 37.

Nell’approfondimento della riflessione sulla flessibilità sidistingue l’approccio fondato sull’idea di “integrazione rafforza-

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35 Claus-Dieter Ehlermann, Increased Differentiation or Stronger Unifor-mity, Istituto Universitario Europeo di Firenze (paper), 1995.

36 Cf. Leo Tindemans, Report to the European Council, in «Bulletin of theEuropean Communities», 1976, supplement 1.

37 Francesco Milner - Alkuin Kölliker, How to Make Use of Closer Coopera-tion?, Commissione Europea - Nucleo di valutazioni prospettiche (working pa-per), Bruxelles 2000.

ta” 38, che riconduce ad un’unica categoria il lessico introdotto direcente nel dibattito politico sull’evoluzione dell’Unione, dalconcetto di “avanguardia aperta” a quello di “gruppo pioniere”,da quello di “gruppo precursore” a quello di “plotone di testa”,da quello di “centro di gravità” a quello di “cuore dell’Europa”.L’integrazione rafforzata si riferisce, infatti, ad un processo diavanzamento dell’Unione unico, contrapponendosi ad un’idea diflessibilità che serva invece ad inaugurare politiche “a macchia dileopardo”. La differenza è fondamentale, principalmente perchéil concetto di “integrazione rafforzata” si discosta dalle imposta-zioni che rischiano di configurare le cooperazioni rafforzatecome un mero espediente per aggirare la regola dell’unanimità oper creare “nuclei duri” di matrice intergovernativa.

In effetti, “cooperazione rafforzata” e “integrazione raffor-zata” costituiscono due modalità distinte di cooperazione, ciascu-na rispondente ad una logica diversa e, soprattutto, con una“densità” diversa. Mentre le cooperazioni rafforzate sarebberotendenzialmente “centrifughe”, l’integrazione rafforzata sarebbeessenzialmente centripeta.

Si tratta, in ogni caso, di inventarsi una sorta di nuova “mor-fogenesi” dell’Unione Europea. A questo scopo non può servire ilquadro concettuale della “costituzionalità” westphaliana, e cioè lanozione di ordine giuridico unico e di attore unico (lo Stato).

Ma anche le consuete categorie di analisi della costruzionecomunitaria vanno ripensate. Alla metafora esteticamente perfet-ta ma irrimediabilmente statica delle colonne del tempio greco,evocata a proposito dei “pilastri” del dopo-Maastricht, bisogneràpreferire quella dell’“albero europeo”, più vitale e dinamica. Leforme aggregative, come nel caso delle cooperazioni rafforzate, siconfigurano come “modelli di aggregazione a diffusione limitata”(per utilizzare una terminologia assunta dalla biologia molecola-re), nei quali la produzione di nuove forme e la moltiplicazionerimangono all’interno di un quadro di sviluppo flessibile ma defi-

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38 La definizione si deve all’Ambasciatore Silvio Fagiolo, rappresentantedel Governo italiano alla Conferenza Intergovernativa per la revisione dei Tratta-ti nel 2000.

nito. In altri termini, in natura come per l’Europa, la similaritànon implica forme identiche, ma si esplica piuttosto come simila-rità di processi, capaci di dar vita a forme diverse.

È questa la sola via per evitare che le “cooperazioni rafforza-te”, invece di rimanere nell’ambito di una “differenziazione teleo-logica”, assumano o la caratteristica di “enclave” intergovernativeextra-istituzionali, o diventino la proto-struttura di un’Europa pi-ramidale, dei “liberi perché forti” invece che dei “liberi e forti”.

3. SUSSIDIARIETÀ E “GOVERNANCE”

In realtà, la ridefinizione della struttura dell’Unione Euro-pea non può essere concepita come un processo indolore, di cali-bratura sapiente di accentramento e decentramento, come un“adattamento” di Proudhon, o come una “macchina di Montes-quieu” perfettamente funzionante in un ambiente forgiato sullafalsariga delle idee di Jean Bodin sulla sovranità. Si tratterà di sce-gliere consapevolmente di intraprendere un’esplorazione politicain una “terra incognita”. Le due grandi tendenze che entrerannosempre più in competizione saranno quella centralistica “forte”(basata su una concezione “debole” della sussidiarietà e sulla riaf-fermazione “forte” del principio della stabilità) e quella federali-stica, fondata sulla sinergia tra “sovranità” responsabili e compe-tenti per ambiti ben limitati, “sovranità” concepite come origina-rie e non derivate 39.

Ma questa concezione di poteri ripartiti e/o condivisi, ricca-mente articolati su base territoriale e/o funzionale, presupponeun’idea di politica non in termini di principio-guida a presidiodella stabilità irreversibile, ma in quelli di contrattazione-pattui-zione, in termini di reversibilità e cioè di geometrie altamente va-riabili 40.

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39 Cf. Massimo Cacciari, Pensare l’Europa, in «Micromega», n. 4/99. 40 Ibid.

In altri termini, il federalismo deve coniugarsi alla luce deiprincipi di sussidiarietà, di proporzionalità, di specialità 41, intesinel loro più ampio significato politico, e non solo come misure di“contenimento” dell’azione dei poteri centrali o sovranazionali,come riflesso di un diffuso sentimento anti-giacobino 42. Ora, nel-l’Unione, a parte il caso degli Stati a struttura interna federale(soprattutto la Germania e il Belgio, ma anche la Spagna), il prin-cipio di sussidiarietà è interpretato, anziché come «pedagogia del-l’approccio federale» 43, come «debolissimo antidoto ai meccani-smi omologanti ed ai poteri forti meta-politici della Comunità» 44.

Nei sistemi federali più complessi, come quello tedesco, lasussidiarietà è invece interpretata come principio di identificazio-ne del livello di competenza, che si specifica, a sua volta, in trecriteri-guida: il diritto dell’entità federale di legiferare perché unaquestione non può essere risolta in modo efficace al livello regio-nale o locale; perché la legislazione dell’entità “federata” può in-cidere in modo negativo sulla normativa analoga di altri compo-nenti sistemici; o, infine, perché è necessario salvaguardare l’unitàgiuridica ed economica dell’entità federale 45. La sussidiarietà,

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41 «La specialità è propria di qualsiasi organizzazione internazionale e si ri-assume nella frase: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sonoconferite”. La proporzionalità si riassume nella frase: “L’azione della Comunitànon va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi previstidal presente Trattato”. Essa, in realtà, si applica a tutta l’azione della Comunità enon solo nell’esercizio di competenze concorrenti: è alla base del ricorso allostrumento della direttiva, che vincola gli Stati a raggiungere determinati obiettivi,rimanendo però liberi di scegliere forme e mezzi, purché compatibili con il Trat-tato» (Cosimo Risi - Sandro Gozi, Polivalenza del concetto di sussidiarietà nell’or-dinamento dell’Unione Europea allargata, in «Sviluppo Economico» maggio-di-cembre 1999). Cf. anche Gráinne de Búrca, Reappraising Subsidiarity’s Significan-ce after Amsterdam, Harvard Law School - Jean Monnet Chaia, Working Paper,Cambridge (MA) 1999.

42 Un eccellente e sintetico studio sulla nozione di sussidiarietà si deve aChantal Millol-Delsol, Le principe de subsidiarité, Presses Universitaires de Fran-ce, Paris 1993. Di grande rilievo, in particolare, il legame che vi si stabilisce tra ilprincipio di sussidiarietà e quello di «bene comune europeo», ben più pregnantedell’ «interesse generale».

43 Cf. Sandro Gozi, Il Governo dell’Europa, il Mulino, Bologna 2000; l’Au-tore riprende, a sua volta, una formulazione di Jacques Delors.

44 Cf. Massimo Cacciari, art. cit.45 Cf. Sandro Gozi, Il Governo dell’Europa, cit., p. 95.

pertanto, non può essere intesa come ripartizione di competenzenel senso di delimitazione di competenze, quanto piuttosto comeprincipio regolatore dell’esercizio di competenze 46. Ciò ancheperché in tutti i sistemi politici vi è un’inevitabile commistione, alivello di norme fondanti, tra la gestione della realtà fisica e l’indi-cazione programmatica di obiettivi non ancora realizzati 47. L’ap-plicazione organica del principio di sussidiarietà comporterebbe,in primo luogo, più che la ridefinizione di architetture istituziona-li o la creazione di organi “arbitrali”, un cambiamento di “ethos”che consenta di configurare, accanto ai “diritti fondamentali” de-gli individui rispetto al potere politico, dei “confini fondamenta-li” dell’esercizio delle competenze a favore dei livelli comunitari“meno-che-globali” 48. Sembra questa la strada indicata dal Trat-tato di Nizza, che, nella Dichiarazione sul futuro dell’Unione, in-dica tra i prossimi obiettivi politici sia una delimitazione dellecompetenze tra l’Unione europea e gli Stati membri più precisa epiù conforme al principio di sussidiarietà; sia una riflessione sulruolo dei Parlamenti nazionali nell’architettura europea.

Il dibattito sulle forme federative incrocia, nella prospettivadi un disegno organico, quello sulla “governance”, cioè sui diver-si sistemi di governabilità, sui livelli istituzionali, decisionali e par-tecipativi e sulla loro reciproca interazione.

Si va profilando un’architettura europea fondata su unarete, su diversi ma paritari livelli di partecipazione per tutti i citta-dini, per tutte le istituzioni, per tutte le autorità, locali, regionali,nazionali, comunitarie 49. Ed anche a diversi gradi di integrazione,frutto però della libera scelta dei vari Paesi.

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46 Cf. Renaud Dehousse, Le principe de subsidiarité dans le projet de consti-tution du parlement européen, in AA.VV., A constitution for the EuropeanUnion?, Atti della Conferenza organizzata il 12-13 maggio 1994 dall’Istituto Uni-versitario Europeo di Firenze - Centro Robert Schuman, working paper dell’IUERSC No. 95/9.

47 Cf. Giuliano Amato, Distribution of Powers, ibid.48 Cf. Joseph H.H. Weiler - Ulrich Haltern - Franz Mayer, European De-

mocracy and Its Critique. Five Uneasy Pieces, cit. 49 La costruzione contenuta nel “Trattato Spinelli” del 1984, pur limitata

ai due livelli nazionale e comunitario, era frutto di una sapiente calibratura nelgioco delle competenze: «Quando il presente Trattato attribuisce una competen-za esclusiva all’Unione, soltanto le istituzioni dell’Unione sono competenti per

Le finalità di quest’approccio originale al problema della go-vernabilità “multi-livello” sono essenzialmente due: anzitutto,porre alcuni interrogativi fondamentali sulle politiche che si ren-deranno necessarie in un’Unione europea che potrebbe raggiun-gere i 30 membri e sul modo migliore per attuare tali politiche. Insecondo luogo, chiedersi di quali istituzioni avremo bisogno per ilXXI secolo e proporre una nuova divisione dei compiti tra laCommissione Europea, le altre istituzioni, gli Stati membri e lasocietà civile. In sintesi, «una nuova e più democratica forma dipartenariato tra i diversi livelli di governo in Europa» 50.

Il discorso della ripartizione delle competenze e della sussi-diarietà si pone non in termini di livelli gerarchici separati, quan-to nella prospettiva di un “sistema reticolare”, in cui tutti i livellidi governo concorrono a formulare, a proporre, ad attuare le po-litiche e a verificarne i risultati.

Si tratta di prospettive nuove, ma con radici antiche. Senzarisalire al tema medievale della “communitas analogiae”, recente-mente evocato da Cacciari in funzione di una radicale riconcettua-lizzazione della sussidiarietà, basterà ricordare che già Alcide DeGasperi sosteneva che «per quanto riguarda le istituzioni bisognaricercare l’unione soltanto nella misura in cui ciò è necessario, e,per meglio dire, in cui è indispensabile. Preservando l’autonomiadi tutto ciò che è alla base della vita spirituale, culturale, politica inogni nazione, si salvaguardano le fonti naturali della vita comune.Quale deve essere la nostra parola d’ordine? A mio parere, l’unio-ne nella varietà, la varietà delle forze naturali e storiche. Si potrà

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agire; le autorità nazionali non possono intervenire se non per quanto previstodalla legge dell’Unione. Finché l’Unione non ha legiferato, le norme nazionali re-stano in vigore. Quando il presente Trattato attribuisce una competenza concor-rente all’Unione, l’azione degli Stati membri si esercita nei casi in cui l’Unionenon è intervenuta. L’Unione agisce esclusivamente per svolgere i compiti che incomune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli Stati membriseparatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede l’azione dell’U-nione giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i confini nazionali»(Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, approvato dal ParlamentoEuropeo con risoluzione del 14 febbraio 1984, art. 12).

50 Romano Prodi, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 15 febbraio2000, cit.

arrivare a questa direzione di marcia se si potrà marciare verso unnuovo umanesimo europeo; nel rispetto delle tradizioni, nelloslancio verso il progresso, nell’esercizio della libertà» 51.

Un principio federatore costruito a partire da segmenti terri-toriali e identitari e dalla mobilità costituisce una forma di equili-brio instabile: dev’essere, infatti, abbastanza denso per tener unitiquesti insiemi sociali compositi; e abbastanza flessibile per preser-vare l’autonomia delle differenti entità sub-statali. Il “patriotti-smo costituzionale” prospettato da Habermas 52 non sarebbe suf-ficiente a svolgere questa funzione di collante. C’è perciò bisognodi elementi aggiuntivi, come la scelta di un ruolo etico internazio-nale (ad esempio, in favore dei diritti umani), l’opzione della neu-tralità, la scelta di un multiculturalismo “forte” e aperto, di unapolitica attiva tra polis e cosmopolis 53.

Già Altusio concepiva la politica come simbiotica, cioècome arte di associare gli uomini per l’istituzione, la direzione e laconservazione della vita sociale. La cellula-base della costruzionepolitica di Altusio è la nozione di “consociatio symbiotica”. Que-ste aggregazioni si dipartono da quella elementare (consociazioninaturali necessarie private, come la famiglia) per configurarsi, adun livello intermedio, in universitas, in comunità miste pubbliche,e cioè le comunità rurali, le città, le province; al cerchio più am-pio corrisponde la comunità universale, formata dall’aggregazio-ne di città e province, ma anche di Stati. Il “federalismo precoce”di Altusio, che risente tuttavia di elementi corporativi, si costitui-sce nella pluralità e con un approccio, si direbbe, bottom up, cioèsenza che emerga necessariamente un centro unificatore. Al tem-po stesso, i poteri federati conservano più “sovranità” di quantanon ne cedano all’entità federale 54.

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51 Cf. G. Galasso, Critica e documenti storici, Martano Editore, Napoli-Fi-renze, 1972 (vol. 3).

52 Cf. Jürgen Habermas, L’inclusione dell’altro, Studi di teoria politica, Fel-trinelli, Milano 1998.

53 Cf. Alain Dieckhoff, La nation dans tous ses États. Les identités nationa-les en mouvement, Flammarion, Paris 2000, pp. 279ss.

54 Cf. Marcel Prélot - Georges Lescuyer, Histoire des idées politiques, Dal-loz, Paris 1994, pp. 212-214.

Questi concetti forse possono essere meglio intesi risalendoalla fonte del pensiero federalista, il cui esponente più “europei-sta” è senz’altro Denis de Rougemont. Il senso di un federalismoche unisce ma non unifica, non si ritrova semplicemente nell’ar-chitettura istituzionale, che è solo una dimensione del federali-smo; quest’ultimo si estrinseca in tutte le dimensioni, dalla perso-na sino all’Europa intesa anche in senso istituzionale.

A cosa servirebbe dotare l’Europa d’istituzioni comuni an-che tecnicamente perfette – si chiede de Rougemont – se gli Eu-ropei di domani non credessero più ai loro valori, ai loro ideali, atutto ciò che fa la grandezza dell’Europa 55?

Il pensiero di de Rougemont è straordinariamente attualeanche alla luce del dibattito sugli effetti della globalizzazione sulleentità statuali costituite 56.

De Rougemont distingue lucidamente un «problema fede-ralista» da una «soluzione federalistica» e dalla «politica fede-ralista», fornendone le definizioni. Per «problema federalista»egli indica «una situazione nella quale si affrontano due realtàantinomiche ma ugualmente valide e vitali, in modo che la so-luzione non possa essere ricercata né nella riduzione dei duetermini ad uno, né nella subordinazione dell’uno all’altro, masolo in una creazione che inglobi, soddisfi e trascenda le esi-genze dell’uno e dell’altro». Designa quindi come «soluzionefederalistica» «ogni soluzione che accetti la regola di rispettarei due termini antinomici in conflitto, pur ricomponendoli inmodo tale che la risultante della loro tensione sia positiva».L’insieme dei problemi e delle soluzioni così definiti costitui-

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55 Cf. Denis de Rougemont, La culture et l’Union de l’Europe, in «Caractè-re et Culture de l’Europe», n. 7, 1962, p. 12.

56 «Convergenza e diversificazione, esigenza simultanea di unioni sovra-nazionali più grandi e di unità infra-nazionali più piccole, solidarietà e autono-mie: questi movimenti contrari prendono forma contemporaneamente, scaturi-scono in parte dalle stesse cause e producono ambedue effetti complementari,cioè il superamento dello Stato-nazione sia dall’alto che dal basso, in direzione difederazioni di tipo continentale da una parte e in direzione di un federalismo re-gionale dall’altra» (Denis de Rougemont, L’uno e il diverso. Per una nuova defini-zione di federalismo, Roma 1995, pp. 4-5).

sce, per de Rougemont, la «politica federalista» nel senso piùampio del termine 57.

Già Karl Jaspers poneva all’Europa, quanto alle istituzioni,l’alternativa tra “balcanizzazione” e “elvetizzazione” 58; oggi po-tremmo dire che mentre il primo riferimento conserva tutta la suadolorosa e persino tragica attualità, il secondo potrebbe essere ri-volto ad altri esperimenti politico-istituzionali, come quello delBelgio o della “devolution” britannica. Il federalismo si opponesia ad un sistema di unificazione integrale (l’unitarismo), sia alladifesa ad oltranza delle autonomie (separatismo). La realtà di rife-rimento ultima del federalismo non riguarda la meccanica delleistituzioni, che è conseguenza piuttosto che finalità del principiofederale. Il federalismo riposa, nella sua essenza, sull’idea di per-sona, una realtà paradossale, un’entità spirituale dotata di una vo-cazione creatrice, «un essere solitario e solidale, distinto e connes-so, autonomo e partecipante, libero ed impegnato» 59. Secondo deRougemont, «per l’uomo d’Europa, che egli lo sappia o no, il ri-ferimento assoluto è la persona» 60.

La convinzione di de Rougemont è che il federalismo nonsia una formula politico-istituzionale, un’architettura dei poteri,per quanto complessa e raffinata. Il federalismo politico è un casoparticolare di una concezione molto più ampia delle relazioniumane e della città politica, delle relazioni pubbliche in genere 61.Si tratta, a ben guardare, del lungo confronto dell’Occidente conil problema dell’uno e del diverso, di identità e differenza, della“tensione” di polarità opposte, di realtà (apparentemente) antino-miche.

In concreto, quali sono gli elementi che, nella visione fede-ralista-personalista, sono tipici della federazione?

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57 Cf. ibid.58 Cf. Karl Jaspers, in «L’Esprit européen», La Baconnière, Neuchâtel

1947.59 Bruno Ackermann - Denis de Rougemont, De la personne à l’Europe,

L’âge d’Homme, Losanna 2000, p. 131.60 Denis de Rougemont, La personne comme fondement des valeurs euro-

péennes, Deuxième Table Ronde du Conseil de l’Europe, 19 settembre 1974,Strasburgo (d.69558), p. 5; citato in Bruno Ackermann, op. cit.

61 Denis de Rougemont, L’uno e il diverso, cit., p. 26.

Vale la pena premettere che il paradosso della politica fede-ralista è quello di rendere indispensabile l’unione delle (pretese)sovranità per conservare le diversità, di creare un potere federaleper la salvaguardia delle autonomie. Il federalismo persegue l’uni-tà differenziata.

Per prima cosa, una federazione non può nascere che alprezzo della rinuncia formale e vigile ad ogni idea di egemoniaorganizzatrice, esercitata da una delle nazioni componenti. No,dunque, all’Europa solo intergovernativa, no all’Europa dei nu-clei duri e chiusi.

In secondo luogo, il federalismo non può nascere che dallarinuncia allo spirito di sistema ideologico o tecnocratico. No,dunque, all’eccessiva burocratizzazione delle istituzioni, sì ad unariforma radicale delle istituzioni europee ed alle “esternalizzazio-ni” (purché non si risolvano in un aumento netto del potere delletecnocrazie irresponsabili). Nel complesso, tutte le istituzioni do-vrebbero essere riviste a partire da un “elogio della leggerezza”,realistico e non demagogico.

In terzo luogo, per il federalismo non esiste un problema di“minoranze”, in quanto tutte le componenti hanno la stessa di-gnità di soggetti. A questo riguardo, recentemente il Presidentedella Commissione ha ricordato che l’Europa ha sinora forgiatoun modello in cui viene messa consensualmente in comune la so-vranità. Si tratta, in definitiva, di «un modello in cui ciascuno dinoi accetta di appartenere ad una minoranza» 62. Questo “essereminoranza” dev’essere inteso sia in senso “funzionale” (Stati “mi-norizzati” nel voto) sia in quello “strutturale” (entità territoriali econtesti etnico-culturali molteplici).

La “condizione minoritaria” diviene quasi un elemento ca-ratterizzante dell’essere europei. Il Presidente della CommissioneEuropea ha recentemente raccontato di aver appreso una possibiledefinizione del pluralismo europeo da un deputato del Parlamen-to rumeno, autodefinitosi “membro di una minoranza non unghe-rese del Parlamento rumeno”. Questo stesso deputato potrà aspi-

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62 Romano Prodi, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, 15 febbraio2000, cit.

rare ad essere un europarlamentare; non sarà più “minoranza”,“orfano”, perché l’Europa è «un’Unione di minoranze» 63.

In effetti, molti nel mondo guardano al modello europeo eai suoi successi per trarne ispirazione. In particolare, molti fannoriferimento proprio all’originale esperimento europeo di un’“Unione di Minoranze” come «all’unico strumento capace diconciliare le esigenze della globalizzazione con la riaffermazionedei diritti dei cittadini» 64.

Il quarto requisito di una concezione autenticamente federa-lista è che la federazione non ha come fine quello di cancellare lediversità e di fondere tutte le nazioni in un unico blocco, ma, alcontrario, di salvaguardare i loro caratteri distintivi. Infine, il fede-ralismo non rifugge la complessità, ma la predilige, per contrastocon il semplicismo brutale che caratterizza lo spirito totalitario.D’altra parte, bisogna ricordare che Ilya Prigogine ha dimostratoche spesso ciò che sembra disgregazione (in bio-chimica, ma forsenon solo) non è che una nuova forma di organizzazione, e che nonè vero che l’entropia equivale necessariamente a disordine 65.

Inoltre una federazione si forma nella “prossimità”, tra lepersone ed i gruppi, e non a partire da un centro o attraverso deigoverni. Oggi l’Europa non ha bisogno né di una Prussia, né diun Piemonte, tantomeno nella forma di un “asse” bicefalo o“multicefalo”.

Infine, una federazione non si crea contro una minacciaesterna (le incognite dell’allargamento, l’instabilità balcanica,l’immigrazione clandestina) né a fini imperialistici 66 (e lascianoperplessi certe coniugazioni “schmittiane” dell’Europa-potenza)ma, al contrario, per la salvaguardia e la sopravvivenza delle co-munità costitutive, affinché esse possano esercitare insieme delle

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63 Cf. Romano Prodi, Allargamento e integrazione dell’Europa, relazione alConvegno su «Ispirazione Cristiana, Causa dell’Europa», Camaldoli, 2 luglio2000 (dagli appunti dell’autore di questo studio).

64 Romano Prodi, Discorso alla Sessione Plenaria del Parlamento Europeo,Strasburgo, 3 ottobre 2000, cit.

65 Cf. Ilya Prigogine, Le leggi del caos, Laterza, Roma-Bari 1999.66 Cf. Bruno Ackermann, Denis de Rougemont. De la personne à l’Europe,

cit., pp. 132-133.

funzioni che superano le forze di ciascuna di esse (il principio disussidiarietà) 67.

Se questo è il contenuto politico della federazione, de Rou-gemont delinea anche un “metodo” per poter costruire l’edificiofederale, delineando le sei «virtù principali» di una politica per ilfederalismo.

Anzitutto, la tolleranza, cioè l’accettazione dell’alterità, del-l’infinita diversità delle persone e delle comunità, delle culture edelle religioni. Poi il coraggio ed il dovere di essere sé stessi, ecioè la fedeltà alla “vocazione” identitaria. In terzo luogo, l’amoredella complessità, poiché ogni volontà di semplificazione, di uni-ficazione (uniformità) politica conduce fatalmente alla guerra edalla costruzione di sistemi totalitari. Quarta virtù, il «rispetto delreale», e cioè la necessità di un riferimento agli spazi e circostanzein cui l’umanità estrinseca la sua socialità; e questo, in un’era didelocalizzazione e di rapporti virtuali, suona come la necessità ditornare ai fondamenti della comunità e della politicità. La quintavirtù federalista è il senso del paradosso, che implica un rovescia-mento di logica sul piano politico: le entità politiche ed umanepiù piccole sono le meno vulnerabili e le più efficaci, e che il ri-spetto della diversità è la condizione stessa di ogni Unione che siarealmente tale. Infine, la virtù del buonumore, dell’ottimismo,dell’ironia, che è una forma dello spirito di tolleranza, in quantotende a disarmare la violenza 68.

La prospettiva rivoluzionaria di de Rougemont appare oggicome la più prossima alle prospettive della politica del terzo mil-lennio, e non solo in Europa: «Bisogna disfare lo Stato-nazioneistituendo le regioni e superarlo con la federazione. Bisogna redi-stribuire lo Stato ai vari livelli di decisione, là dove può servire adun’entità vivente, civica, economica e culturale, e deve essere con-trollato dall’utente. Bisogna ridistribuire lo Stato a partire dal co-mune e dall’impresa fino alla regione e ai raggruppamenti di re-gioni, su su fino al livello europeo; là, delle agenzie federali deltipo della Comunità di Bruxelles saranno incaricate della pro-

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67 Ibid., pp. 132-133.68 Cf. ibid., pp. 78-79.

grammazione dei grandi compiti di interesse pubblico, compitipolitici nel senso stretto della parola: l’economia, l’ecologia el’ambiente, la ricerca scientifica, i trasporti, le relazioni globalicon altre federazioni continentali. E noterete che non parlo di af-fari “esteri”, o di relazioni con paesi “stranieri”: questa è una pa-rola da cancellare dal lessico politico di un’Europa federata, allesoglie dell’era del Mondo unito» 69.

Il solo elemento da sottoporre a revisione è quello del “dis-facimento” dello Stato-nazione, che forse alla luce degli sviluppiattuali si pone più in termini di “palingenesi” che non in quelli di“scomparsa”. Lo Stato non solo si riduce in quantità, ma cambiaradicalmente in qualità. La “redistribuzione” dello Stato forsepuò essere intesa in questo senso.

Quest’articolata visione del federalismo, con alcuni adatta-menti, è perfettamente compatibile con il dibattito moderno sulla“governance” e sulla sussidiarietà, e permette anzi di ricostruireun quadro d’insieme che altrimenti rischierebbe di arrestarsi al-l’immagine, pur epistemologicamente necessaria, dell’arcipelago.

Il federalismo, anche al di là del bagaglio “normativo” cheesso contiene, offre una serie di strumenti analitici che si adattanocon flessibilità alla nuova situazione dei poteri e dei territori inEuropa 70. In questo senso, il federalismo costituisce un eserciziodi creatività istituzionale, e non implica necessariamente la ripro-duzione di soluzioni istituzionali già sperimentate 71.

In particolare, la nozione di “governance” consente di ri-concettualizzare il ruolo dello Stato e della politica in senso am-pio nella stagione della globalizzazione e della perdita di poteredi intervento e di guida dei pubblici poteri rispetto alla società edall’economia.

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69 Denis de Rougemont, L’uno e il diverso, cit.70 Cf., ad esempio, Arthur Benz - Burkhard Eberlein, Regions in European

Governance: The Logic of Multi-Level Interaction, Istituto Universitario Europeo(working paper), Firenze 1998.

71 Cf. Alberta Sbragia, Thinking about the European Future: the Uses ofComparison, in A. Sbragia (a cura di), Euro-Politics, Brookings Institution, Was-hington DC 1992.

Il passaggio da una rappresentazione dello spazio politicointernazionale fondato sullo Stato ad un’altra basata sulla “gover-nance multi-livello” richiede un mutamento degli utensili episte-mologici. Ad esempio, mentre la risorsa decisiva nella concezionestato-centrica è il potere derivante dalla legge, gli attori che agi-scono in un ambiente di “governance multi-livello” utilizzano al-tre risorse, quali l’organizzazione, la competenza, mezzi finanzia-ri, la “legittimità” nell’accezione di “consenso”. Inoltre, mentre laprospettiva stato-centrica presuppone attribuzioni statali esclusi-ve, la “governance multi-livello” comporta che le attribuzioni sia-no condivise dagli attori ai diversi livelli; mentre l’approccio sta-to-centrico è gerarchico, quello proposto dalla “governance mul-ti-livello” è caratterizzato dall’interdipendenza degli attori a di-versi livelli politici 72.

La transizione teorica epistemologica tra i due approcci puòessere facilitata dal cambio di paradigma nella rappresentazionedello Stato, che non dovrebbe più essere configurato come un at-tore, ma come un’arena di confronto, composizione, contrapposi-zione e comparazione di interessi, valori, diritti. Lo Stato-arenas’inserirebbe in tal modo più agevolmente nello schema concet-tuale dell’Unione Europea come arena complessiva ma al tempostesso frammentata e plurima, con caratteri di entità discreta econtinua a seconda delle prospettive e delle tematiche assuntecome prevalenti e strategiche. Nell’arena europea i gruppi e le ag-gregazioni si mobilitano attraverso canali organizzativi che sistrutturano a livello locale, a livello transnazionale e persino al li-vello istituzionale europeo (ad esempio, nella cosiddetta comita-tologia). Si tratta di una rete di relazioni il cui equilibrio è alta-mente instabile e mutevole.

Più in generale, la stessa “governance” può essere intesa siain senso strutturale che con riferimento ai processi 73.

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72 Cf. Gary Marks - Liesbet Hooghe - Kermit Blank, Integration Theory,Subsidiarity and the Internationalisation of Issues: The Implication for Legitimacy,Istituto Universitario Europeo (working paper), Firenze 1995.

73 Seguo in questa parte le indicazioni tratte da Jon Pierre - B. Guy Peters,Governance, Politics and the State, MacMillan Press, Houndmills-Basingstoke-Hampshire-London 2000.

La “governance-struttura” si può configurare secondo quat-tro diversi modelli.

Il primo assume come riferimento l’idea weberiana della bu-rocratizzazione progressiva e massiva della società, a partire dalpresupposto di strutture statali tra loro integrate verticalmente.

Inoltre, la “governance” (secondo modello) si pone in modocritico rispetto ai mercati, che aspirano a costituire strutture indi-pendenti, e che non ammettono interferenze sia pure nel sensodel coordinamento complessivo.

Il terzo modello è quello fondato sull’idea di “rete” o “net-work”, che sembra la più vicina alla concezione pluralista e “po-liarchica” della politica. Tuttavia le reti (quelle telematiche, quelledelle nuove corporazioni) sono tenute assieme da interessi che,nel lungo periodo, sono concorrenziali con la pretesa di “indiriz-zo” dello Stato.

Il quarto modello prende le mosse dal presupposto dell’o-mogeneità e del comune interesse delle piccole comunità, ponen-do il problema dell’ammissibilità di un intervento dello Stato inquesti ambiti organicamente definiti.

La “governance-processo” si pone rispetto allo Stato in modiradicalmente differenti. Un primo approccio è quello che conside-ra lo Stato come una variabile indipendente; il suo ruolo può va-riare da quello di fattore chiave di coordinamento a quello di atto-re rilevante. Un approccio alternativo è fondato invece sull’altera-zione sostanziale che la “governance” produce sull’assetto del set-tore pubblico e sulle capacità di intervento reale delle strutturestatali.

La configurazione del ruolo dello Stato dipende a sua voltadal modello di interazione Stato-società assunto. Per la concezio-ne pluralistica, il pubblico potere è coinvolto solo in parte con gliinteressi dei gruppi, limitandosi in realtà a predisporre il contestonel quale interessi anche contrastanti possono essere fatti valida-mente valere.

Per la concezione neo-corporativa, invece, lo Stato attribui-sce rilevanza agli interessi di un gruppo limitato di attori e digruppi, legittimando gli stessi rispetto ai settori economici e so-ciali rappresentati.

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Il modello pluralista neo-corporativo amplia notevolmentela base di attori e gruppi legittimati, ed è quello più vicino alparadigma della “governance senza governo”, anche se in realtàesso funziona nel senso o di aumentare gli “input” rispetto allestrutture di governo, o di rendere più agevole l’attuazione dellepolitiche pubbliche.

La ricognizione degli “stili” politici della “governance” per-mette di apprezzarne tutti gli elementi rilevanti, da quelli funzio-nali a quelli territoriali.

Lo stile della “governance” a guida statale è quello che mag-giormente si affida all’azione dei poteri pubblici ed alle istituzioniper realizzare obiettivi politici quali, ad esempio, la redistribuzio-ne. È un processo di imposizione di politiche dall’alto, verso ilquale sono note le critiche di distorsione della competitività e del-la produttività del sistema.

Lo stile del decentramento verso il basso è quello che più siavvicina all’idea del federalismo per sussidiarietà. Esso forniscealle strutture statali la “risorsa addizionale” dei sistemi sub-nazio-nali per l’attuazione di politiche pubbliche e può contare, inoltre,su un grado maggiore di legittimità rispetto ai modelli di imposi-zione dall’alto. Il problema è quello della rinuncia inevitabile adun grado maggiore di coerenza complessiva delle politiche pub-bliche.

Il terzo stile, quello del decentramento verso l’esterno, con-siste nell’assegnare porzioni rilevanti di autorità ad “agenzie”esterne all’apparato istituzionale, portando ad un progressivo“orientamento al mercato” dell’azione pubblica nel suo insieme.Ciò dovrebbe incoraggiare nella società un maggior spirito di im-prenditorialità ed iniziativa, mentre sul piano degli obiettivi poli-tici generali esso dovrebbe indurre una maggior efficienza del si-stema nel suo insieme.

Questo schema non va tuttavia nella direzione della comple-ta destrutturazione del settore pubblico o della messa tra parente-si dei pubblici poteri. Né il decentramento verso il basso né quel-lo verso l’esterno possono essere avviati senza un centro autore-vole che possa legittimare e guidare l’intero processo. Aggiungoche è dubbio che senza un elemento di riferimento comune lo

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stesso processo risulti sostenibile nel lungo periodo.Anche perché, come è stato ironicamente osservato, vi è il

rischio concreto che, nel cabaret della globalizzazione, lo Stato di-venti protagonista di una sorta di “spogliarello”, e che alla finedello spettacolo gli restino solo le “nude necessità”: i suoi poteridi repressione. Con le sue basi materiali distrutte, la sua sovranitàe la sua indipendenza annullate, la sua classe politica travolta, loStato-nazione potrebbe essere ridotto ad una sorta di “servizio disicurezza” per le mega-compagnie transnazionali 74.

Per le prospettive europee 75, si tratta di immaginare nuoveformule politiche ed organizzative, situate a metà strada traun’entità che è qualcosa di meno di uno Stato sovranazionale maqualcosa in più dell’attuale mix tra livello sovranazionale e livellointergovernativo.

In ogni caso, le categorie politiche del federalismo possonocontribuire a dare una sostanza istituzionale al dibattito sulla “go-vernance”.

I modelli di federazione sono caratterizzati, in effetti, dallacombinazione di vari fattori: la distribuzione delle competenzetra i livelli di governo (sovranità condivisa o sovranità ripartita);la rappresentanza degli Stati al livello federale (forte o debole); ilsistema della finanza pubblica (gestito congiuntamente o separa-tamente).

Il federalismo cooperativo o infrastatale (modello tedesco), èbasato su una divisione del lavoro funzionale tra i diversi livelli. Leunità politiche costitutive (gli Stati) hanno competenze concorren-ti o condivise con lo Stato federale (“enumerazione bilaterale”) 76;godono di una forte rappresentanza a livello federale; gestisconocongiuntamente con le Autorità federali il sistema fiscale.

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74 Cf. Sept pièces du puzzle néoliberal: la quatrième guerre mondiale a com-mencé, in «Le monde diplomatique», agosto 1997.

75 Cf. per queste considerazioni Tanja A. Börzel - Thomas Risse, Who IsAfraid of a European Federation? How to Constituzionalize a Multi-Level Gover-nance System (paper), Harvard Law School - Jean Monnet Chair, Cambridge(MA) 2000.

76 Cf. Costantino Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova1976, tomo II, pp. 1511ss.

Il federalismo duale o interstatale (modello statunitense) sibasa sulla divisione netta delle responsabilità ai diversi livelli, e lecompetenze sono assegnate ripartendo interi settori piuttosto chefunzioni politiche (enumerazione delle competenze dello Stato cen-trale con riserva di tutte le altre agli Stati membri, o viceversa 77).Inoltre a livello federale la rappresentanza degli Stati, intesa comeproiezione delle strutture di governo statali, è debole. Infine, gliStati federati godono di ampia autonomia impositiva e conseguentecapacità di spesa (federalismo fiscale).

L’Unione Europea assomma in sé molte delle caratteristichedel federalismo cooperativo, ma è assai debole al livello propria-mente federale, specie in termini di capacità redistributiva.

E proprio la ricerca delle vie per “approfondire la democra-zia nell’Unione Europea” è il senso della riflessione sulle modalitàdella governabilità nella complessa intelaiatura di poteri, funzio-ni, competenze nello spazio politico, istituzionale e socio-econo-mico europeo 78.

Il “Libro Bianco sulla governance europea” intende chiarirei termini di un dibattito sui diversi livelli di competenza e respon-sabilità nell’Unione che si è andato intensificando in concomitan-za con la recente revisione istituzionale.

Identificando i tre principali contesti di riforma dell’Unionenell’equilibrio interistituzionale (sinora forse mai affrontato inmodo organico); nel funzionamento delle istituzioni (oggetto del-le ricorrenti riletture dei trattati); e nella revisione della gestionedelle politiche dell’Unione, la Commissione colloca il tema della“governance” a quest’ultimo livello. Si tratta, in sostanza, di deli-neare le modalità più appropriate affinché la composita architet-tura istituzionale europea sia “abitata” nel migliore dei modi.

I principi che dovrebbero orientare l’elaborazione di uncompiuto progetto di articolazione dei poteri e delle responsabili-

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77 Cf. ibid.78 Cf. Commissione Europea, Un libro bianco sulla «governance» europea -

Approfondire la democrazia nell’Unione Europea, SEC (2000), Bruxelles, 11 otto-bre 2000. Il motto della “governance” è forse questo proverbio cinese, riportatosulla copertina del testo in questione: «Dimmi, e dimenticherò; mostrami, e ri-corderò; coinvolgimi, e comprenderò».

tà in tutto lo spazio politico e deliberativo europeo (e cioè le“condizioni” per l’approfondimento della democrazia in Europa)dovrebbero essere:

– l’ampliamento e l’arricchimento del dibattito pubblico suitemi europei;

– la direzione e la capacità di orientamento dei processi co-munitari d’elaborazione e di esecuzione delle politiche;

– l’ottimizzazione dell’esercizio delle responsabilità europeetramite il decentramento;

– la promozione della coerenza e della complementaritàdelle politiche, nonché della cooperazione per la loro at-tuazione in un’Europa “in rete”;

– la definizione del contributo dell’Unione alla “governan-ce” mondiale;

– l’integrazione e la dimensione strategica delle politichedell’Unione a livello continentale.

Per la Commissione Europea la “governance” non è unaformula estratta arbitrariamente dall’armamentario terminologicodella scienza politica, ma una dimensione estremamente concretae sensibile della costruzione europea, che in parte definisce lastessa originalità del modulo integrativo e al contempo accentua-tamente pluralistico dell’Unione. L’obiettivo è far emergere e ren-dere manifesta (ma anche consolidare e ulteriormente sviluppare)“l’esemplarità del progetto democratico” dell’Unione. Bel al di làdella tradizionale richiesta, proveniente particolarmente dal com-plesso intreccio istituzionale del federalismo tedesco, di procede-re ad una “enumerazione” delle competenze (che potrebbe ancherivelarsi una “camicia di forza” che rischierebbe di immobilizzarelo sviluppo delle politiche comunitarie), la riflessione operativasulla “governance” chiama in causa due elementi centrali per ilsuccesso della formula istituzionale ed organizzativa dell’Unione.Il primo è la governabilità nei suoi molteplici aspetti, da quellodella riforma delle istituzioni a quello della partecipazione; il se-condo si riassume nel ripristino, a tutti di livelli, di quella “con-fiance légitime” che i fondatori avevano giustamente elencato trai postulati dell’integrazione. La fiducia, nel dipanarsi faticoso del-le politiche comunitarie, deve trovare oggi (e a maggior ragione

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nella prospettiva dell’allargamento) una puntuale conferma nel-l’esperienza dei decisori e degli operatori.

Non si tratta, tuttavia, della sola “deontologia” del potereesecutivo, dalla Commissione Europea al livello regionale, ma deitemi centrali del dibattito politico contemporaneo: trasparenza,responsabilità (accountability), “leggibilità”, efficacia, efficienza.La “governance” attiene ad una maggiore “maturità” dell’Unionenei suoi articolati e diffusi processi decisionali e riguarda anche laresponsiveness, cioè l’aderenza e l’adattabilità delle politiche alleattese dei cittadini. Sono proprio questi i temi specifici di una“governance all’europea”: da un lato, l’identificazione chiara nonsolo dei livelli decisionali, ma anche dei livelli di responsabilità;dall’altro, la capacità adattiva dei decisori rispetto a un mondo inrapida trasformazione.

In questo contesto, bisognerà rendere possibile, analoga-mente a quanto avviene in termini di sicurezza alimentare, la“tracciabilità” del processo decisionale, e quindi del suo controllodemocratico in ogni fase. Occorrerebbe inoltre rendere più pro-duttivi gli effetti di “retroazione”, cioè di verifica dell’impattodelle politiche europee sino al livello locale.

Devono essere anche approfondite le modalità di eserciziodi quelli che sono definiti “diritti partecipativi”, e cioè stabilireuno statuto per strutturare la partecipazione della società civile,senza che ciò implichi, come avviene attualmente, un’equipara-zione di fatto alla “società civile”, frutto di un approccio “naïf”,di gruppi di pressione e di interesse che già ora mirano ad in-fluenzare pesantemente l’elaborazione e la messa in opera dellepolitiche dell’Unione. Occorrerà, ad esempio, allargare il dibatti-to sulla gestione politica del “principio di precauzione”, e cioè sulrapporto tra “expertise” scientifica e responsabilità istituzionalein presenza di rischi potenziali per la salute o l’ambiente e, più ingenerale, in situazioni di rischio sistemico.

Come pure occorrerà rivisitare le condizioni di esercizio del-la “comitatologia”, cioè della delega di funzioni esecutive allaCommissione da parte del Consiglio, che si collocano oggi in unaregione opaca e difficilmente accessibile del processo decisionale.Per queste stesse ragioni, le possibili esternalizzazioni di cui si

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parla con riferimento alla possibilità di delegare la gestione di ta-lune politiche ad “agenzie” autonome, dovranno essere soppesatealla luce dei principi di responsabilità e dei profili di serviziopubblico che esse sicuramente chiamerebbero in causa.

Il consolidamento di uno “spazio pubblico europeo” potràinoltre trarre giovamento, secondo la Commissione, da una mag-giore interazione dei parlamenti nazionali tra loro, senza che ciòimplichi necessariamente, in prospettiva, la creazione di una “Ca-mera dei Parlamenti Nazionali”, la cui collocazione istituzionalenon risulterebbe comunque agevole. Il ruolo delle regioni (e par-ticolarmente di quelle a statuto legislativo) dovrà essere ripensato,specialmente per quanto attiene alla fase ascendente della legisla-zione comunitaria (è il tema della “co-regolazione”).

Benché la riflessione sulla “governance” debba compiersi a“istituzioni costanti”, due filoni potrebbero prospettare scenari dipiù ampio respiro. In primo luogo, le modalità di articolazionetra la “governance” europea e la “governance” mondiale; vale adire in che modo le soluzioni adottate nell’ambito dell’Unionepossano costituire non tanto un modello, quanto un contesto diriferimento anche per la riforma delle grandi istituzioni multilate-rali. In secondo luogo, la riformulazione delle politiche dell’Unio-ne al fine di identificare, come ha sottolineato Prodi sin dai suoiprimi discorsi dinanzi al Parlamento Europeo, ciò che è effettiva-mente “indispensabile” trattare e gestire a livello comunitario, ap-plicando con serietà la nozione ambivalente e onnipresente disussidiarietà.

4. DEMOCRAZIA

Il dibattito politico sulle strutture europee verte, prima an-cora che sull’architettura delle istituzioni e sulle loro funzioni, sulproblema della loro legittimità, inteso più precisamente nel sensodi “legittimazione” o processo di delega di poteri, di investiturad’autorità, di sistemi di controllo e di limitazioni, e quindi anche

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in termini di responsabilità (accountability). Il dilemma di fondo èproprio quello della possibilità di coniugare, ed in che misura, laresponsabilità con la rappresentatività 79.

Pertanto, l’intero sistema istituzionale è sottoposto a un con-tinuo (salutare) processo di verifica dei poteri 80.

Nel dibattito sull’Unione Europea, la questione della legitti-mità concerne essenzialmente la rappresentanza come responsa-bilità e la rappresentanza come partecipazione (essendo l’aspettoelettorale limitato al solo Parlamento Europeo) 81.

Il “deficit democratico”, inteso in questa particolare acce-zione, può essere ricondotto ad uno schema interpretativo basatosul tipo di “ricetta” o “prescrizione” indicata 82.

Il problema cui spesso si allude con la formula “legittimitàdemocratica” non riguarda la tipologia della rappresentanzacome fonte di legittimazione, bensì la particolare divisione deipoteri, non solo a livello di istituzioni centrali, ma anche, per cosìdire, nel rapporto centro-periferia (delimitazione delle competen-ze degli Stati membri rispetto a quelle dell’Unione e diversi gradidi esclusività o di condivisione). È l’erratica distribuzione e l’e-strema frammentazione dei poteri nell’Unione (in gran parte do-

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79 Cf. Giovanni Sartori, Elementi di teoria politica, il Mulino, Bologna1996, pp. 217ss.

80 Può essere utile, a questo riguardo, richiamare le diverse coniugazionidella rappresentanza proposte da Sartori: 1. Il popolo elegge liberamente e pe-riodicamente un corpo di rappresentanti: la teoria elettorale della rappresentan-za. 2. I governanti rispondono responsabilmente nei confronti dei governati: lateoria della rappresentanza come responsabilità. 3. I governanti sono agenti odelegati che seguono le istruzioni: la teoria della rappresentanza come mandato.4. Il popolo è in sintonia con lo Stato: la teoria della rappresentanza come idemsentire. 5. Il popolo consente alle decisioni dei suoi governanti: la teoria consen-suale della rappresentanza. 6. Il popolo partecipa in modo significativo alla for-mazione delle decisioni politiche fondamentali: la teoria partecipazionista dellarappresentanza. 7. I governanti costituiscono un campione rappresentativo deigovernati: la teoria della rappresentanza come somiglianza, come specchio (cf.ibid, p. 226).

81 Cf. ad esempio, Philippe Herzog, Manifeste pour une démocratie euro-péenne, Les Éditions de l’Atelier, Paris 1999.

82 Cf. Sverker Gustavsson, Reconciling Suprastatism and Democratic Ac-countability, in Cartherine Hoskyns - Michael Newman (a cura di), Democrati-zing the European Union. Issues for the 21s Century, Manchester University Press,Manchester 2000.

vuta a compromessi che fanno capo al metodo intergovernativo)a dare l’idea di un’incomprensibile matassa istituzionale imper-meabile al controllo democratico 83.

Restando a livello di istituzioni centrali, nell’Unione abbia-mo una situazione in cui la funzione legislativa principale fa capoad un organo (il Consiglio) formato da entità prevalentementeesecutive (Governi); la funzione esecutiva è affidata ad un organo(la Commissione), se vogliamo, rappresentativo di terzo grado(collegato alla Comunità e non direttamente ai Governi né allapopolazione) o di secondo grado (se configurata nel suo rapportocon il Parlamento Europeo). L’organo che detiene la rappresen-tanza di primo grado non è depositario della funzione di iniziati-va legislativa, che appartiene alla Commissione, e solo con faticaha conquistato un ruolo non ancora soddisfacente di co-legislato-re. Il Parlamento Europeo è piuttosto, nonostante la procedura dicodecisione (funzioni di “co-legislatore”), un organo di controllo,vaglio e garanzia, funzione del resto oramai acquisita tra quelle“proprie” anche dei Parlamenti nazionali. Estremizzando ai finianalitici, si potrebbe dire che, almeno fino a Maastricht, il Parla-mento Europeo si configurava non come un Parlamento, macome “un consiglio” (nel senso di organo consultivo). Il Consi-glio, per contro, non è oggi solo un organo esecutivo, ma un“Parlamento” (che per lungo tempo ha aspirato ad essere “mono-camerale”) che legifera, spesso a porte chiuse.

Per alcuni (secondo la “versione standard” della tesi dellamancanza di legittimità dell’Unione), il riferimento al deficit de-mocratico intende denunciare un processo di “regionalismo in-verso”, che rischierebbe di creare una distanza crescente tra citta-dini ed istanze decisionali. Tale esito sarebbe inevitabile ancheapplicando rigidamente all’Unione gli stessi meccanismi che stan-no alla base della struttura istituzionale degli Stati membri; si ve-rificherebbe, in ogni caso, una diminuzione della gravità specifi-ca, in termini di peso politico, nel livello di controllo degli indivi-

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83 Per un’analisi di queste caratteristiche «sistemiche» dell’Unione Euro-pea, cf. Sandro Gozi, Il governo dell’Europa, cit., pp. 137-159.

dui-cittadini nelle “frontiere politiche” allargate. La dimensionesarebbe, dunque, una delle cause della diluizione del controllodemocratico. Altri elementi della “versione standard” del “deficitdemocratico” sono l’insufficienza di poteri effettivi dell’istanzaparlamentare europea sull’Esecutivo; la mancanza, accanto aduno spazio di esercizio dei poteri, di un “foro pubblico” di dibat-tito (dovuta anche alla “lontananza strutturale” del ParlamentoEuropeo); la circostanza che i governi, organi esecutivi, agendocome organi legislativi nel Consiglio, finiscono per sottrarre com-petenze ai Parlamenti nazionali e per sfuggire al controllo giudi-ziario interno. Infine, le procedure dell’Unione sarebbero viziateda una mancanza di trasparenza a causa della loro complessità edel loro protrarsi lungamente nel tempo, fino a far perdere, percosì dire, le loro tracce 84.

Non è tuttavia sufficiente porre il problema astratto della le-gittimità democratica dell’Unione Europea limitatamente ai mec-canismi istituzionali (complessi, ma non per questo inintellegibili).

L’analisi della configurazione istituzionale e politica dell’U-nione dovrebbe prendere le mosse, per alcuni, da una “tricoto-mia” comprendente differenti ambiti, a ciascuno dei quali corri-spondono caratteristiche distintive: l’ambito internazionale, l’am-bito sovranazionale e l’ambito infranazionale. Questa tricotomia“inter-sovra-infra” mostra che i tre contesti, pur coesistendo nellaconfigurazione complessiva dell’Unione, differiscono profonda-mente quanto agli attori, alle procedure, alle regole decisionali,all’ethos politico generale.

Nell’ambito “internazionale” europeo il modello di demo-crazia utilizzabile sarebbe quello della “democrazia consociativa”ove gli interessi sono altamente segmentati tra gli Stati membri,ed in cui opererebbe un “cartello delle élites” (Dahrendorf) chetenta di rendere il sistema (intergovernativo) stabile e funzionale,superando l’impasse della reciproca neutralizzazione. Nel conte-sto sovranazionale, più simile al modello statale, la teoria applica-bile sarebbe quella delle “élites competitive”, sulle tracce di We-

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84 Cf. Joseph H.H. Weiler - Ulrich Haltern - Franz Mayer, European De-mocracy and Its Critique. Five Uneasy Pieces, cit.

ber e Schumpeter. Infine, l’ambito infranazionale, simile al mo-dello neo-corporativo di “governance” si fonda su un ethos mana-geriale e tecnocratico; privilegia la stabilità e la crescita (e guardacon sospetto politiche redistributive e persino la politica tout court); legittima “monopoli rappresentativi” e favorisce la crea-zione di strutture che veicolano interessi funzionali organizzati;opera al di fuori dei canali parlamentari, non per spirito cospirati-vo o carbonaro, ma perché – asseritamente – ricerca la propria le-gittimazione nei risultati più che nei processi.

Ma gli svantaggi di questo tipo di approccio alla complessitàsono più numerosi dei vantaggi. Anzitutto, le soluzioni tecnocra-tiche e manageriali mascherano troppo spesso scelte ideologicheche non vengono dibattute in pubblico. In secondo luogo, la par-tecipazione al processo decisionale è limitata, ed in pratica riser-vata agli interessi forti ed organizzati, con l’esclusione, di fatto, ditutte le altre istanze. Inoltre, lo schema operativo infranazionaledistorce le relazioni di potere e l’articolazione della democrazianegli stessi gruppi rappresentati. Ancora, il processo decisionalemanca di trasparenza e non assicura uguaglianza di condizioniper le istanze che esprimono interessi diffusi e valori. Infine, glistrumenti tradizionali del controllo democratico e della responsa-bilità giocano un ruolo assai limitato ed in ogni caso ininfluente.

Il tema della legittimità riguarda anche le modalità di produ-zione delle regole, ed in particolare il ruolo essenziale che in que-sto processo assume la Commissione Europea. Nell’analisi diquesta funzione, la legittimità incrocia alcune modalità di artico-lazione della “governance”. I principi che dovrebbero regolare lacostruzione di questa intelaiatura sono: la necessità di prevederesempre la partecipazione dei portatori di interessi, di valori, dipunti di vista (“stakeholders”); gli attori più forti e meglio orga-nizzati non dovrebbero essere indebitamente avvantaggiati; l’at-tuazione delle soluzioni identificate non dovrebbe essere concepi-ta come un processo “discreto”, ma dovrebbe prevedere forme“continue” di controllo e di valutazione per tener conto di even-tuali adattamenti; i pubblici poteri dovrebbero incoraggiare sia lapartecipazione collettiva che la più ampia riflessione pubblica sul-le tematiche; l’intero processo dovrebbe essere disegnato – sotto

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la guida dei pubblici poteri – per consentire un “apprendimentocollettivo”, anche attraverso una costruttiva valutazione critica ereciproca delle prospettive e dei valori proposti dagli attori; do-vrebbe essere garantita la coerenza sistemica, e cioè la mutua im-plicazione delle politiche; l’azione di controllo dei governi do-vrebbe essere concentrata maggiormente sui processi e sui livellidi sostegno politico e sociale dei programmi che non sui risultatiattesi; le procedure della “governance” non dovrebbero compor-tare né cambiamenti nella localizzazione della responsabilità ulti-ma del processo decisionale né una diminuzione della responsabi-lità degli attori pubblici 85.

Un compiuta transizione del sistema europeo dalla funzionedi armonizzazione a quella della regolazione per principi e nor-me-quadro, che si fondi anche sulla pluralità delle agenzie e delleentità che forniscono servizi, conoscenze, supporto, deve con-frontarsi con le problematiche teoriche e pratiche dello “hollowstate”, cioè della condizione di un pubblico potere che si “svuo-ta” di funzioni ed alleggerisce la sua struttura. Nello Stato “svuo-tato” si trasferiscono facilmente poteri e funzioni, ma non si pos-sono allo stesso modo traslare la legittimità e la responsabilità 86.Un governo per delega di funzioni non implica, pertanto, la prati-cabilità di un analogo processo di “trasferimento a terzi” degli at-tributi specifici della rappresentanza e dell’investitura politica.

Ad ognuno degli ambiti della tricotomia inter-sovra-infraandrebbero applicati appropriati criteri di valutazione del “tassodi democraticità” 87.

Come abbiamo visto, la “governance”, in quanto concettopasse-partout, può anche essere invocata per estendere il ruolodelle agenzie (“governance indiretta”), con il pretesto che vi è un

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85 Cf. Notis Lebessis - John Paterson, Evolution in Governance: What les-sons for the Commission?, Commissione Europea - Nucleo di valutazioni pro-spettiche (working paper), Bruxelles 1997.

86 Cf. H. Brinton Milward - Keith G. Provan, Governing the Hollow State(paper), School of Public Administration and Policy, University of Arizona, Tuc-son 2000.

87 Cf. Joseph H.H. Weiler - Ulrich Haltern - Franz Mayer, European De-mocracy and Its Critique. Five Uneasy Pieces, cit.

“deficit” tra crescita della responsabilità pubblica europea (diret-ta azione di governo) e livello sub-ottimale di effettiva capacità diregolazione 88. Il problema è, in questo caso, rendere compatibilila competenza tecnica e la valutazione sociale, che non sono ne-cessariamente coincidenti, come dimostra la tematica del “princi-pio di precauzione”. In questo processo di “esternalizzazione”del potere, dovrebbero in ogni caso essere riaffermati non solo iprincipi di sussidiarietà, proporzionalità, trasparenza e flessibilità,ma soprattutto quelli di democraticità, legittimità e responsabili-tà. La responsabilità, in particolare, implica l’esigenza di un impe-gno, di un confronto, di un dialogo che dia spazio alle istanze so-ciali. Essa si traduce in un “obbligo di risposta” che non provieneda una sorta di “invocazione morale”, traducendosi, in realtà, inuna condizione strumentale necessaria all’affermazione della cit-tadinanza e di un progetto collettivo 89.

Non si tratta, perciò, solamente della questione dell’efficaciadei controlli e nemmeno solo della predisposizione di canali di par-tecipazione. Lo spazio pubblico europeo è l’anello di congiunzione(sinora mancante) tra la società civile e l’apparato istituzionale. Isuoi cardini sono costituiti dall’insieme Parlamento – sistema deimedia, il primo come foyer di dibattiti “in pubblico”, il secondocome cornice di dibattiti “pubblici”. In questa funzione, il Parla-mento europeo appartiene solo “parzialmente” al triangolo istitu-zionale, svolgendo un ruolo che, benché sinora solo accennato, è dicollegamento tra la società civile e il “potere costituito” europeo.

Uno “Stato europeo” si prospetta, in realtà, come una co-struzione giuridica senza Stato, se la parola Stato è intesa nel sen-so convenzionale del termine, e cioè come una monopolizzazionedella sovranità. Questa costruzione giuridica non potrebbe tutta-via arrestarsi ad una semplice strutturazione del mercato, poichédovrebbe necessariamente includere, per accreditarsi come legit-

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88 Notis Lebessis - John Paterson, The Future of European Regulation: AReview of the Workshop of 11 June 1997, Commissione Europea - Nucleo di va-lutazioni prospettiche (working paper), Bruxelles 1997.

89 Cf. Laurent Ledoux, Quelle éthique pour le XXIème siècle? Essai sur laResponsabilité, mimeo, Bruxelles (senza data).

tima, l’organizzazione di uno spazio pubblico. Esso dovrebbestrutturarsi a partire dai principi considerati come tipici del “co-dice culturale” dell’umanità europea: la civiltà (spirito di compro-messo, organizzazione metodica, capacità di negoziazione e diconciliazione, esercizio della “pazienza democratica”); la legalità(fondato sull’ethos generale – e generico – dei diritti dell’uomo);la pubblicità (come caratteristica della società aperta e idea dipartecipazione dei cittadini alla vita pubblica, che implica la pos-sibilità di discutere i problemi comuni, di avanzare critiche, e lacapacità di distinguere tra legalità e legittimità delle decisioni delpubblico potere) 90.

Anche l’altro elemento caratterizzante della dimensione po-litica, e cioè la fissazione di regole supreme ed intangibili (“Costi-tuzione”) assume nel dibattito sul futuro dell’Unione connotatipeculiari.

Le tesi sulla “Costituzione europea” divergono profonda-mente, anche e soprattutto negli ambienti accademici. Differisco-no anzitutto sulla valutazione circa l’esistenza o meno di una Co-stituzione europea. Taluni sostengono che l’Unione Europea sa-rebbe già un “sistema costituzionale”, anche se privo di una “Co-stituzione”, in quanto dispone di un proprio ordinamento giuri-dico, di propri principi costituzionali, dell’insieme di norme deri-vate dalle disposizioni “primarie” dei trattati (acquis communau-taire), degli atti delle istituzioni comunitarie e delle decisioni “co-stituzionali” ed interpretative della Corte di Giustizia 91. Per altri,è decisivo, per opinare sull’esistenza di una “Costituzione euro-pea”, da un lato, risolvere il problema della revocabilità (o meno)della cessione di sovranità da parte dei singoli stati all’ordinamen-to comunitario; dall’altro, pronunciarsi sull’attribuzione della“competenza sulla competenza” (Kompetenz Kompetenz) intesacome «capacità di determinare il proprio ambito di attività giuri-dica e politica» 92.

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90 Cf. Jean-Marc Ferry, La question de l’État européen, Gallimard, Paris2000, pp. 277ss.

91 Cf. Sandro Gozi, Il Governo dell’Europa, cit., p. 17.92 Cf. Emanuele Rossi, Una Costituzione per l’Europa, in «Il Regno», n.

863, 15 luglio 2000.

Quanti sostengono che la Costituzione europea esiste già os-servano che, se l’Unione Europea è un soggetto di diritto ed è ti-tolare di poteri concernenti la produzione e l’applicazione del di-ritto, non vi è dubbio che essa ha una Costituzione materiale insenso kelseniano: non solo, ma tale Costituzione è da ritenere ri-gida (non potendo l’Unione disporre delle regole che deve rispet-tare) e lunga (contenendo principi materiali direttivi), sebbene – allo stesso tempo – essa possa risultare fluida o parzialmentenon strutturata.

Quanti invece affermano che la Costituzione Europea nonesiste, fanno notare che, se la Costituzione è elemento imprescin-dibile e tratto distintivo della categoria dei soggetti collettivi do-tati d’autonomia o addirittura di sovranità, non è possibile sfug-gire a un paradosso, giacché la Comunità Europea, che pretendedi avere una Costituzione, non è né autonoma né, tantomeno, so-vrana: la sua “Costituzione” è un trattato, e a decidere se e comemodificarlo sono soggetti diversi dalla comunità stessa. Inoltre,mentre le nazioni si danno una Costituzione da sé, all’UnioneEuropea viene data una Costituzione da terzi. Di conseguenzaessa non può neppure disporre del proprio ordinamento fonda-mentale.

Per altri, infine, una Costituzione europea ancora non c’è;siamo in presenza di un movimento costituente, di una Costitu-zione in divenire; vi sono una materia e un processo costituziona-li. Siamo nell’aurora, in cui la notte non c’è più (la piena sovranitàdegli Stati) ma il giorno non è ancora arrivato (la CostituzioneEuropea) 93.

Le opinioni differiscono notevolmente, a maggior ragione,anche sulla “desiderabilità” di una Costituzione Europea 94.

Tra gli argomenti messi in campo a favore di una Costituzio-ne Europea, i principali sono i seguenti: l’unione politica, attra-

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93 Cf. Augusto Barbera, Esiste una «Costituzione europea?», in «Quadernicostituzionali» 2000, pp. 59ss.

94 Cf. Centro Robert Schuman - Istituto Universitario Europeo, Quellecharte costitutionnelle pour l’Union Européenne?, Parlamento Europeo, Lussem-burgo 1999. Cf. AA.VV., L’Europa ha bisogno di una costituzione?, The PhillipMorris Institute for Public Policy Research, London 1996.

verso il processo costituente, potrebbe sorgere alla luce del sole,coinvolgendo, a differenza di quanto accade ora, l’opinione pub-blica; una Costituzione europea colmerebbe il “gap di legittimità”esistente tra l’Unione Europea e il “popolo europeo”; la Costitu-zione consentirebbe di definire con chiarezza la gerarchia dellenorme; assicurerebbe una migliore protezione dei diritti umani;sancirebbe la democrazia costituzionale a livello europeo, e ciòpotrebbe favorirne lo sviluppo a livello nazionale. Una Costitu-zione europea sarebbe necessaria per dimostrare che la fonte ulti-ma della legittimità delle istituzioni nell’Unione Europea risiedenei cittadini.

Una Costituzione europea, da sottoporre con un referen-dum alla ratifica dei popoli europei, è l’obiettivo di un processodi rifondazione istituzionale dell’Europa. Una federazione euro-pea non può fondarsi che su un Trattato costituzionale; in presen-za di una Costituzione, l’ordinamento europeo sarebbe per defi-nizione “originario”: vale a dire troverebbe in sé la propria legitti-mazione e relegherebbe a mero fatto storico l’originale cessionedi sovranità da parte dei singoli Stati.

Tra gli argomenti contrari, si distinguono i seguenti: le Co-stituzioni sono legate agli Stati e l’Unione europea, per quantocomposta da Stati, non è a sua volta uno Stato; la legittimità co-stituzionale risiede nella popolazione, e non esiste una popola-zione europea: una Costituzione sarebbe pertanto meno legitti-mata di un trattato che discende dagli Stati membri; più che av-venturarsi in un processo costituente, sarebbe sufficiente unTrattato chiaro e semplice che non cambiasse i poteri fonda-mentali e le politiche dell’Unione Europea; esiste già una Cartadei diritti costituzionali, sancita implicitamente dalle decisionidella Corte di Giustizia Europea 95; una Costituzione non ha ob-bligatoriamente natura politica né legale; una Costituzione si

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95 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Parere 1/91 sulla bozza del-l’accordo EC/EEA. Secondo la Corte, «il trattato CEE costituisce la Carta costi-tuzionale di una comunità di diritto (...); i trattati comunitari hanno instaurato unordinamento giuridico di nuovo genere, a favore del quale gli stati hanno rinun-ciato, in settori sempre più ampi, ai loro poteri sovrani e che riconosce come sog-getti non soltanto gli stati membri ma anche i loro cittadini».

applica a un popolo, mentre ora in Europa ci sono 30 popoli edunque si porrebbe il problema dell’articolazione fra questaCostituzione europea del tutto inedita e le Costituzioni naziona-li; più che di Costituzione europea, occorrerebbe parlare diCarta di diritti, che si possiedono non in quanto cittadini nazio-nali, ma che si acquistano in quanto cittadini europei; la Costi-tuzione europea consiste nell’allargamento dei diritti dei cittadi-ni e, pertanto, sono i “Bill of Rights” che caratterizzano la citta-dinanza, e non l’esistenza di organismi e istituzioni; proprio per-ché l’Europa che si sta costruendo è un’organizzazione multili-vello, e non uno Stato, è difficile che abbia una Costituzionecome uno Stato.

Il concetto di Costituzione europea si è andato comunqueprecisando non nei termini dell’esatta riproduzione dei moduli edelle procedure delle Carte costituzionali “classiche”. Si è fattoriferimento, ad esempio, ad una serie aperta di “statuti” fra lorocoerenti e collegati, i quali regolino singoli aspetti e determinatisviluppi del processo politico europeo, rendendo possibili margi-ni di elasticità. Questi “statuti” (come ha sostenuto GianfrancoMiglio 96) non dovrebbero costituire la replica delle forme istitu-zionali consolidate dello Stato moderno, ma tentare di recuperaree rinnovare le istituzioni inventate e sperimentate in Occidenteprima della Rivoluzione borghese, ad esempio in termini di rap-presentanza degli interessi e delle funzioni e nel campo della pe-nalizzazione delle inadempienze costituzionali.

Secondo un’altra interessante pista, un’ipotetica “Costitu-zione europea” dovrebbe comprendere almeno cinque principifondamentali.

Anzitutto, il principio di democrazia, e cioè la necessità diuna legittimazione dei poteri e delle istituzioni attraverso l’eserci-zio della sovranità popolare (con forme dirette).

In secondo luogo, il principio dell’equilibrio dei poteri, checonsenta di realizzare una divisione il più possibile razionale e

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96 Cf. Gianfranco Miglio, Non dobbiamo sacrificare la diversità dell’Europain nome dell’integrazione, in AA.VV., L’Europa ha bisogno di una costituzione?, cit.

chiara tra l’ambito legislativo e quello esecutivo.Quindi il principio di sussidiarietà (abbinato a quello di

proporzionalità), a garanzia delle competenze rispettive dell’U-nione, degli Stati e delle regioni.

Ancora, il principio di solidarietà, inteso sia nel senso di unapolitica sociale efficace che in quello della ripartizione delle risor-se in favore delle regioni europee in ritardo di sviluppo.

Infine, il “diritto alla pace”, che dovrebbe guidare il proces-so di creazione di strutture di difesa comune, in modo da renderesemplicemente impossibile una nuova guerra europea, responsa-bilizzando al contempo gli europei al consolidamento della pacemondiale. Questo processo dovrebbe poi coniugarsi sia con unapresenza europea unitaria in seno alle organizzazioni internazio-nali sia con una devoluzione collettiva verso di esse di quote disovranità 97.

La tematica della Costituzione comprende quella, più am-pia, dell’identificazione, da parte dei cittadini, di un riferimentonormativo generale, una sorta di proto-costituzione.

La Carta dei diritti fondamentali, recentemente approvata,potrebbe costituire, in effetti, un elemento di “aggancio” del di-scorso costituzionale teorico, nel senso che essa potrebbe confi-gurarsi come la prima parte della Costituzione europea. In effetti,nel progetto di Costituzione elaborato nel 1994 dal ParlamentoEuropeo, i diritti umani fondamentali «garantiti dall’Unione»erano raggruppati in un unico titolo del documento pre-costitu-zionale 98.

Nella valutazione scettica di Ralf Dahrendorf 99, sarebbeinappropriato il tentativo di “stabilizzare” la dinamica della co-struzione europea, fissandola in una Carta costituzionale. UnaCostituzione europea richiederebbe un’ora zero, in cui si co-mincia da capo, o un momento in cui le conquiste (vale a direle politiche e gli obiettivi “alti” già realizzati) possano essere

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97 Cf. Antonio Padoa Schioppa, Cinquanta articoli e cinque principi fonda-mentali, in «Corriere della Sera», 7 luglio 2000 (intervista di Andrea Bonanni).

98 Cf. Documento del Parlamento Europeo n. A3-0064/94. 99 Cf. Ralf Dahrendorf, Non basta una Carta per fare l’Europa, cit.

convertite in regole. L’Europa avrebbe bisogno, per Dahren-dorf, più che di testi costituzionali, di una «comunione di valo-ri» espressa da politiche concrete. In ogni caso, prima di unaCostituzione, dovrebbe essere reso incontestabile dai fatti chel’Unione Europea è aperta e democratica, pronta a sostenere lacooperazione internazionale come ad aprire le proprie frontierea chi chiede asilo, a garantire la non discriminazione nei con-fronti delle minoranze e la responsabilità dei decisori politiciverso i cittadini.

CONCLUSIONE

Il dibattito sull’identità politica dell’Unione Europea non sipuò ridurre all’alternativa tra nazione ed integrazione o a quellatra inesistenza e onnipotenza 100. Nell’uno come nell’altro dilem-ma, l’Europa rischierebbe o di essere un soggetto contraddittorio(l’Europa delle Nazioni), un’«associazione di misantropi» 101, ac-cantonando i principi di responsabilità e di solidarietà; oppureuna «potenza collettiva» (l’Europa della Federazione – ma senzaautentico federalismo), oscurando i principi di sussidiarietà, pro-porzionalità, specialità.

Vana è l’illusione di riproporre, nell’Europa di oggi, sospesatra elementi di sovranazionalità e fattori di ri-localizzazione dellasovranità, una contrapposizione dai contorni netti tra sovranisti eunionisti, tra nostalgie dello Stato-nazione e l’utopia, persino pe-ricolosa, del Superstato europeo. Altrettanto fuorviante sarebbela riformulazione dell’alternativa tra l’opzione giacobina (accen-tratrice) e quella girondina (tendenzialmente federale e decentra-lizzante).

Neppure ci si può fidare della tripartizione classica tra ap-

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100 Cf. Nicole Gnesotto, La puissance et l’Europe, Presses de Sciences Pol.,Paris 1998.

101 Denis de Rougemont, L’uno e il diverso, cit., p. 43.

proccio federale 102, intergovernativo 103 e neo-funzionalista 104. Intutti questi casi, la riflessione rischia di rimanere ostaggio di unasorta di una «tirannia dei concetti» 105.

Persino nelle costruzioni giuridiche più “cartesiane”, l’Unio-ne Europea è collocata all’incrocio di tre possibili e diversi livellidi organizzazione possibile sulla base del diritto pubblico: jus ci-vitatis (livello nazionale interno); jus gentium (livello internazio-nale); jus cosmopoliticum (livello transnazionale) 106.

Nemmeno si tratta di contrapporre, richiamandosi a MaxWeber, “l’etica della convinzione” tipica della “condivisione disovranità” all’“etica della responsabilità” degli interessi nazionali.Adenauer, in una delle prime prove dell’architettura europeistica,identificava con acume il punto di equilibrio tra queste due forze,entrambe legittimate dalla storia: «Il Consiglio è collocato al pun-to di incrocio di due sovranità, l’una sovranazionale, l’altra nazio-nale... Ma benché esso debba salvaguardare gli interessi nazionali

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102 Cf. A. Spinelli, La rivoluzione federalista. Scritti 1944-47, il Mulino, Bo-logna 1996, e The Growth of the European Movement since the Second WorldWar, in M. Hodges (a cura di), European Integration, Penguin, Harmondsworth1972; A. Etzioni, Political Unification: a Comparative Study of Leaders and Forces,Holt, Rinehart and Winston, New York 1965.

103 Cf. S. Hoffmann, Obstinate or Obsolete? The Fate of the Nation Stateand the Case of Western Europe, in «Daedalus» 95, 1966; A.S. Milward, The Eu-ropean Rescue of Nation State, Routledge, London 1992; A. Moravcsik, Preferen-ces and Power in the European Community: A Liberal Intergovernmentalist Ap-proach, in «Journal of Common Market Studies» 31, 1993 e Liberal Intergovern-mentalism and Integration: A Rejoinder, in «Journal of Common Market Studies»33, 1995.

104 Cf. D. Mitrany, The Progress of International Government, George Al-len and Unwin, London 1933 e The Functional Theory of Politics, Martin Robert-son, London 1975; K.W. Deutsch, The Analysis on International Relations, Pren-tice Hall, Englewood Cliffs 1968; E.B. Haas, The Uniting of Europe. Political, So-cial and Economic Forces, 1950-1957, Stanford University Press, Stanford 1958 eBeyond the Nation State: Functionalism and International Organization, StanfordUniversity Press, Stanford 1964; P.C.Schmitter, Three Neo-Functional Hypothesesabout European Integration, in «International Organization» 23, 1969 e A Revi-sed Theory of European Integration, in L.N. Lindberg - S.A. Scheingold (a curadi), Regional Integration: Theory and Research, Harvard University Press, Cam-bridge (MA) 1971.

105 Cf. Giovanni Grevi, Position paper on Intergovernmentalism, The Eu-ropean Policy Centre, Bruxelles 2000.

106 Cf. Jean-Marc Ferry, La question de l’État européen, cit.

degli Stati membri, dovrà evitare di considerare questo compitocome quello principale. Il suo compito principale consisterà piut-tosto nel promuovere gli interessi della Comunità, senza di cuiquest’ultima non potrà svilupparsi. Ecco perché esso lascerà inbuona misura all’organo sovranazionale della Comunità – l’AltaAutorità – la libertà di svilupparsi e in certi casi esso dovrà crearetale libertà... Si tratta, per il Consiglio, di aprire una via comune,non di cercare un compromesso tra gli interessi nazionali. Neicasi previsti dal trattato, vi troverete associati all’esercizio dellanuova sovranità che caratterizza la Comunità» 107.

Nelle costruzioni più recenti, gli intrecci si fanno complessi:la mediazione degli Stati nazionali e dei loro diritti riconosciuti subase di parità è indipensabile per la Costituzione di un ordine co-smopolitico, che non potrebbe basarsi sulla semplice costituzio-nalizzazione universale dei diritti individuali fondamentali, madovrebbe scaturire da un riconoscimento, di uguale valore costi-tuzionale, anche dei diritti fondamentali dei popoli. Con la preci-sazione che al principio di “pari libertà” occorrerebbe aggiungerequello di solidarietà anche tra gli Stati 108.

Le due “filosofie” che presiedono alla costruzione europea,secondo un’analisi acuta, sono il modello “tecnocratico-moder-no” e quello “moderno-tecnocratico”.

Per il primo, il problema fondamentale consiste nel prospet-tare le possibilità – se ve ne sono – di “fondare” l’Europa a parti-re dall’estensione della nozione di sovranità nella sua accezione“nazionale”. Ma la “generalizzazione” su scala europea del mo-dello democratico non sembra in grado di costituire un fattore dimobilitazione delle persone e delle comunità per il rilancio dellacostruzione dell’Europa.

Il modello moderno-tecnocratico si basa, da un lato, sul su-peramento dello Stato come forma politica, dall’altro sull’intentodi costruire un principio d’identità post-nazionale. Questa doppiaoperazione conduce ad una regione inesplorata, inaugura una“nuova storia”, postnazionale, convenzionale, post-identitaria,

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107 Cit. in Jean Monnet, Memoires, Fayard, Paris 1976, p. 446. 108 Cf. Jean-Marc Ferry, La question de l’État européen, cit.

comunicativa. Ma si tratta di un progetto che corre il serio rischiodi essere al contempo volontaristico ed astorico 109.

Secondo un’altra prospettiva analitica 110, l’organizzazionedella costruzione europea risentirebbe fortemente dell’influenzafrancese, specie per quanto riguarda la funzione delle élites e laconfigurazione istituzionale. È abbastanza paradossale, a questoriguardo, che l’impulso in favore di una struttura accentratrice eburocratica sia venuto proprio da una nazione che propugna la di-fesa ad oltranza delle principali prerogative nazionali. Mentre sulpiano “interno” sarebbe prevalsa l’idea di una “Europa delle pa-trie”, a livello dell’Unione la Francia avrebbe trasferito la sua mi-gliore tradizione “statalista”. Tuttavia il processo sarebbe statospinto, oggi, sino al punto di rottura, e cioè avrebbe raggiunto unafase rispetto alla quale ogni ulteriore progresso nel senso dell’inte-grazione dovrebbe fare i conti con l’opinione pubblica, con la na-scente “società civile europea”. La fase di fondazione, basata su unimpulso originario all’integrazione non soggetto al vaglio demo-cratico, perché proveniente da una élite illuminata, sarebbe oraesaurita. La prosecuzione del processo di integrazione non potreb-be prescindere da un più ampio dibattito sulla sua stessa natura,alla stregua di quanto avvenne, per gli Stati Uniti, nella Conven-zione di Filadelfia nel 1787. Gran parte delle incongruenze e delledeficienze della costruzione comunitaria sarebbe da imputare pro-prio nell’assenza di un “James Madison europeo”, nel senso chenon vi sarebbe stato abbastanza spazio per un approfondito di-scorso politico sulle caratterizzazioni della tendenziale “federazio-ne europea”, per soppesare, da un lato, le virtù di una direzionepolitica e tecnocratica centralizzata; dall’altro, le istanze dell’auto-governo, dall’autonomia, del decentramento. All’Europa sarebbemancata una teoria del Governo “misto”, cioè un’ipotesi organiz-zativa dei poteri e dei loro contrappesi, ben al di là dei trasferi-menti di sovranità compiuti con l’integrazione economica. Proprionell’economismo risiede l’incompiutezza del progetto europeo,

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109 Cf. Dominique Wolton, La dernière utopie, Flammarion, Paris 1993.110 Cf. Larry Siedentop, Democracy in Europe, Allen Lane - The Penguin

Press, London 2000.

dal momento che esso configura gli individui come consumatori ocome ricorrenti in giudizio, e non ne riconosce ancora in modosufficiente le potenzialità di partecipazione politica, di apparte-nenza alla società civile, di esercizio di una cittadinanza attiva. Sa-rebbe sinora prevalso, in sostanza, il modello economico della de-mocrazia elaborato da Joseph Schumpeter. L’accezione di demo-crazia sarebbe stata inoltre limitata al suo significato più generico(democrazia contro dittatura, democrazia contro autoritarismo,democrazia contro dispotismo) e, almeno parzialmente, al suo si-gnificato istituzionale (democrazia come disposizione di poteri,democrazia come forma di governo). Mancherebbe all’appello ilterzo e più importante significato di democrazia, e cioè democra-zia come autonomia della società civile, come consapevolezza de-mocratica, come esercizio di diritti e assunzione di responsabilità.

In ogni caso, un’Europa nella quale non si trovasse un con-senso nella ripartizione dei poteri e delle responsabilità, sarebbedestinata a divenire sempre meno legittima, ed in essa la demo-crazia (nelle sue varie coniugazioni) correrebbe seri pericoli.

Nel disegno della “nuova Europa” prevalgono alternativa-mente, come ha scritto Ralf Dahrendorf 111, gli “euro-hegeliani” ogli “euro-kantiani”. Per i primi, la federazione europea sarebbegià stata decretata dallo “Spirito assoluto”, e il cammino versoquella meta sarebbe inarrestabile; per i secondi, occorrerebbepredisporre tutti gli strumenti utili per consolidare almeno la“pace perpetua”, risolvendo problemi pratici.

Le varianti rendono ogni approccio originale e unico, e ri-flettono, da un lato, il bisogno d’unione, dall’altro, la necessità dilimiti all’Unione 112.

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111 Cf. Ralf Dahrendorf, Una carta europea, in «la Repubblica», 5 luglio2000.

112 Molti studi e riflessioni sono stati prodotti negli ultimi tempi sulle ipo-tesi di ripensamento, anche radicale, dell’architettura europea. Cf., tra gli altri,Movimento Europeo, Construisons ensemble l’Europe du XXIème siècle (progettoa cura di Jean-Guy Girard), Lussemburgo, 15 dicembre 1998; Associazione«Amici dell’Europa», Un’Europa che funziona, Bruxelles 1999; Beniamino An-dreatta - Jean-Louis Bourlanges - Henning Christophersen - Michal Loblowicz -George Robertson - Martin Seidel, In una più ampia Unione tutti gli Stati membripotranno essere uguali?, The Philip Morris Institute for Public Policy Research,Bruxelles, aprile 1996.

In questo senso, e non solo in quello del riparto delle com-petenze, va intesa la ricorrente proposta di un “catalogo” dellematerie da distribuire tra Bruxelles, le capitali e persino i capo-luoghi. Il dibattito si muove così tra i due termini, apparentemen-te contraddittori, della ricerca di una risposta europea unitaria aiprocessi di globalizzazione e dell’esigenza di una dimensione lo-cale dei processi di integrazione in Europa.

L’Europa non è una realtà riducibile a semplici polarità poli-tico-istituzionali. La complessità è tra noi; le scorciatoie portanoad un vicolo cieco. Come le affermazioni sulla necessità di sce-gliere tra un’Europa-spazio ed un’Europa-potenza. Qui mi sem-bra riecheggi il dibattito intellettuale tra Europa come Tramontocontrapposta all’Europa come Compimento 113. E non convincenemmeno la versione raffinata di questa tesi: e cioè che l’Europa-potenza sarebbe un progetto da trasformare in fatto, mentre l’Eu-ropa-spazio sarebbe in fatto da trasformare in progetto 114. Inquesto secondo caso, avremmo «l’adesione completa del fatto alvalore, della realtà all’idea» 115.

In realtà, nessuna di queste polarità definisce, nei suoi trattiprofondi, l’identità europea.

Il senso, letteralmente la direzione che identifica l’Europa èaltra rispetto alle dimensioni dello spazio e della potenza. Più ar-ticolata e meno granitica la concezione di Jacques Delors, che,pur facendo riferimento alla potenza, l’associa indissolubilmentealla generosità 116.

L’Europa non è mai stata solo uno spazio; ma uno spazio-tempo. Un forma che L’Europa stessa dichiara intangibile, mache continua senza posa a modificare.

Quanto alla potenza, essa sembra comportare l’opzione perun’Europa “schmittiana”: una politica caratterizzata da una “ri-

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113 Cf. Roberto Esposito, Nove pensieri sulla politica, il Mulino, Bologna1993.

114 Cf. Giulio Tremonti, Il suicidio dell’Europa, in «Il giornale», 19 maggio2000.

115 Cf. Roberto Esposito, Nove pensieri sulla politica, cit.116 Cf. Jacques Delors, Esprit évangelique et construction européenne, Con-

ferenza nella Cattedrale di Strasburgo, 7 dicembre 2000 (testo dattiloscritto).

edizione” delle categorie amico/nemico (Freund/Feind). Alto è ilrischio di una variante insidiosa di questa formula: lo stranierocome estraneo, la difformità come minaccia, il Fremde comeFeind 117.

L’Europa, se non vuole solo allargarsi, ma anche crescere,deve uscire da questo labirinto di falsi rimandi, deve trovare ilsuo “passaggio a Nord-Ovest”, il suo “stretto di Magellano”, larotta impegnativa da una “geopolitica del caos” 118 ad una “geo-politica del senso” 119.

Ciò significa che, culturalmente e politicamente, l’Europadovrà essere “pensata” assai più come “erasmiana” 120 che noncome “schmittiana”.

L’Europa non è una struttura; l’Europa non è nemmeno solouna funzione.

Tra la vaste praterie dell’Europa-spazio e il massiccio roccio-so dell’Europa-potenza, si estende il territorio ondulato, poco fre-quentato ma ospitale, dell’Europa-relazione.

Non tanto un “essere”, e nemmeno un “co-esistere”; ma un“essere-con”, un “co-essere”.

L’Europa deve divenire soprattutto uno spazio di senso; cioè«un insieme di valori e d’interessi comuni, prodotti e condivisi dasocietà politiche che non sono né uguali né omogenee» 121.

PASQUALE FERRARA

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117 Carl Schmitt, Le categorie del politico. Saggi di teoria politica, il Mulino,Bologna 1996 (riedizione).

118 Cf. Ignacio Ramonet, Géopolitique du chaos, Galilée, Paris 1997.119 Cf. Zaki Laïdi, Geopolitique du sens, Desclée de Brouwer, Paris 1998.120 Mi riferisco all’Erasmo di Querela pacis e di Dulce bellum inexpertis.121 Guy Hermet, Quel espace de sens pour l’Europe, in Zaki Laïdi, Geopoli-

tique du sens, cit., p. 47.