Matematiche ossessioni. Su "Proof - La prova"

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Matematiche ossessioni Su “Proof – La prova” 1 di Salvatore Colazzo 1. Matematica, anticamera della follia? Esiste uno strano commercio tra matematica e follia, nel senso che capita, talvolta, che chi coltivi la difficile arte dell’operare con gli universali rappresentati dai numeri finisca con l’allontanarsi dalla realtà, rapito nei tentativi di risoluzione di formule impossibili o attratto da ossessioni di tipo numerologico, coltivando l’illusione di svelare per queste vie l’arcana chiave che regge la molteplicità del mondo. Questo commercio in più di un’occasione ha affascinato il cinema che al tema del matematico folle ha dedicato più di un titolo. Notissimo è, ad esempio, il film sulla vita di John Nash, A Beautiful Mind. Può pure capitare che chi lavori ai numeri possa scatenare la follia di chi non tollera che esistano attività intellettuali che si pongano non ideologicamente alla ricerca della verità. Di questo parla una pellicola recente, che ha suscitato molte vivaci discussioni, Ipazia, matematica e filosofa alessandrina assassinata dall’integralismo oscurantista dei “parabolani”. La superiorità morale di Ipazia è nel credere nella dimostrazione, cioè nell’importanza di “dire le ragioni per cui si accetta, si crede, si afferma che il risultato è vero, invece di limitarsi a enunciarlo, o a usare altri mezzi di convinzione, la forza, la prepotenza” 2 . La storia di cui parleremo in questo contributo riflette sul difficile rapporto tra una figlia e suo padre, rapporto mediato dalla matematica. Si interpone nella loro relazione la follia, nel senso che la figlia accudisce il padre, cattedratico di matematica, ma che non ci sta più con la testa. Scrive formule compulsivamente, formule che hanno senso solo per lui. La matematica è una bestia non facile da addomesticare, poiché la verità che chi si vota alla matematica cerca, con spirito di esploratore, inseguendo una bellezza che è sotto la scorza fenomenica delle cose, rischia continuamente di sfuggirgli di mano: egli null’altro ha che l’esercizio al massimo grado (si potrebbe dire: al limite) delle proprie facoltà mentali per ascendere alle somme vette dell’astrazione, del non-pensato di concatenazioni concettuali inesplorate. Gabriele Lolli apre la sua Filosofia della matematica 3 riprendendo la definizione che di questa disciplina alcuni fra i suoi massimi esponenti hanno offerto. Ci piace qui riproporne alcune: C.S. Peirce (1881). [La matematica] è lo studio di costruzioni ideali (spesso applicabili a problemi reali) e la scoperta attraverso di esso di relazioni prima sconosciute tra le parti di queste costruzioni”. J. F. Herbart (1890). Tutto quello che le più grandi menti di ogni tempo hanno ottenuto nella comprensione delle forme per mezzo di concetti è racchiuso in una grande scienze che è la matematica” 4 . 1 Proof - La Prova è un film del 2005, diretto da John Madden, con Gevyneth Paltrow e Antony Hopkins. 2 G. Lolli, A cosa servono le dimostrazioni nella scuola e nella ricerca. Conferenza tenuta ai Mercoledì dell’Accademia, Torino, 30 marzo 2005 il e al Giardino di Archimede, Firenze, 2 maggio 2005. Può essere letta sul sito web del Politecnico di Torino, all'indirizzo http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/SeVic/Lolli%20- %20Dimostrazioni.pdf . (Link verificato il 12 agosto 2010). 3 Cfr. Filosofia della matematica. L'eredità del Novecento , Il Mulino, Bologna, 2002. 4 Entrambe le citazioni sono tratte da G. Lolli, op. cit., p. 21.

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Saggio contenuto nel volume a cura di Giovanni Invitto, I numeri sullo schermo, Amatea edizioni, Melpignano, 2010.

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Matematiche ossessioni

Su “Proof – La prova” 1

di Salvatore Colazzo

1. Matematica, anticamera della follia? Esiste uno strano commercio tra matematica e follia, nel senso che capita, talvolta, che chi coltivi la difficile arte dell’operare con gli universali rappresentati dai numeri finisca con l’allontanarsi dalla realtà, rapito nei tentativi di risoluzione di formule impossibili o attratto da ossessioni di tipo numerologico, coltivando l’illusione di svelare per queste vie l’arcana chiave che regge la molteplicità del mondo. Questo commercio in più di un’occasione ha affascinato il cinema che al tema del matematico folle ha dedicato più di un titolo. Notissimo è, ad esempio, il film sulla vita di John Nash, A Beautiful Mind. Può pure capitare che chi lavori ai numeri possa scatenare la follia di chi non tollera che esistano attività intellettuali che si pongano non ideologicamente alla ricerca della verità. Di questo parla una pellicola recente, che ha suscitato molte vivaci discussioni, Ipazia, matematica e filosofa alessandrina assassinata dall’integralismo oscurantista dei “parabolani”. La superiorità morale di Ipazia è nel credere nella dimostrazione, cioè nell’importanza di “dire le ragioni per cui si accetta, si crede, si afferma che il risultato è vero, invece di limitarsi a enunciarlo, o a usare altri mezzi di convinzione, la forza, la prepotenza”2. La storia di cui parleremo in questo contributo riflette sul difficile rapporto tra una figlia e suo padre, rapporto mediato dalla matematica. Si interpone nella loro relazione la follia, nel senso che la figlia accudisce il padre, cattedratico di matematica, ma che non ci sta più con la testa. Scrive formule compulsivamente, formule che hanno senso solo per lui. La matematica è una bestia non facile da addomesticare, poiché la verità che chi si vota alla matematica cerca, con spirito di esploratore, inseguendo una bellezza che è sotto la scorza fenomenica delle cose, rischia continuamente di sfuggirgli di mano: egli null’altro ha che l’esercizio al massimo grado (si potrebbe dire: al limite) delle proprie facoltà mentali per ascendere alle somme vette dell’astrazione, del non-pensato di concatenazioni concettuali inesplorate. Gabriele Lolli apre la sua Filosofia della matematica3 riprendendo la definizione che di questa disciplina alcuni fra i suoi massimi esponenti hanno offerto. Ci piace qui riproporne alcune: “C.S. Peirce (1881). [La matematica] è lo studio di costruzioni ideali (spesso applicabili a problemi reali) e la scoperta attraverso di esso di relazioni prima sconosciute tra le parti di queste costruzioni”. “J. F. Herbart (1890). Tutto quello che le più grandi menti di ogni tempo hanno ottenuto nella comprensione delle forme per mezzo di concetti è racchiuso in una grande scienze che è la matematica”4.

1 Proof - La Prova è un film del 2005, diretto da John Madden, con Gevyneth Paltrow e Antony Hopkins. 2 G. Lolli, A cosa servono le dimostrazioni nella scuola e nella ricerca. Conferenza tenuta ai Mercoledì dell’Accademia, Torino, 30 marzo 2005 il e al Giardino di Archimede, Firenze, 2 maggio 2005. Può essere letta sul sito web del Politecnico di Torino, all'indirizzo http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/SeVic/Lolli%20-

%20Dimostrazioni.pdf. (Link verificato il 12 agosto 2010). 3 Cfr. Filosofia della matematica. L'eredità del Novecento , Il Mulino, Bologna, 2002. 4 Entrambe le citazioni sono tratte da G. Lolli, op. cit., p. 21.

Giunti sì in alto, cosa può assicurare che il parlare che si fa degli oggetti matematici non è vuoto?, che è garantito e affidabile? Nel film I ragazzi di via Paninsperna (1988) di Gianni Amelio, il giovanissimo Ettore Majorana, dopo aver concluso una difficilissima dimostrazione, invitato dal suo interlocutore (in realtà Enrico Fermi in incognita) ad abbracciare gli studi della fisica risponde manifestando tutta la sua insofferenza per l’uso strumentale che le più svariate discipline (compresa la balistica) fanno della matematica; egli ama la bellezza che emana dall’esercizio puro del pensiero: “La fatica di risolvere un problema dovrebbe bastare a se stessa. Un calcolo perfetto andrebbe distrutto”5. È possibile immaginare che la scomparsa di Majorana sia legata al senso di colpa da lui provato per aver intravisto quale scempio si sarebbe fatto della bellezza assoluta di calcoli chiamati a sostenere lo sforzo di chi voleva trovare nuove possibilità di distruzione6. Quando si sia rifiutato, come criterio di controllo, il riscontro, offerto dall’uso, all’esercizio matematico, per essere garantito nella sua affidabilità, rimane soltanto l’essere irregimentato entro precise regole. Distruggere un calcolo matematico perfetto è come dire che la matematica è pratica di autoreferenzialità. Ma questo non è esente da pericoli per la psiche. L’esercizio matematico deve potersi - a prescindere dal ruolo giocato, in foro privato, dall’immaginazione o dall’intuizione – mettere in forma di teoria ipotetica, deduttiva, “costituita - come diceva all’inizio del XX secolo G.D. Fitch - da un preciso sistema di concetti o simboli primitivi, non definiti, e di assunzioni non contraddittorie primitive, non dimostrate (di solito chiamate assiomi), assieme alle conseguenze logicamente deducibili da esse con processi rigidamente deduttivi senza alcun appello all’intuizione”7. Ciò per consentire alla comunità scientifica di validare il processo seguito e per includere la teoria nel corpus della disciplina. Il secondo toerema dell’incompletezza di Gödel stabilisce chiaramente che non esiste alcuna possibilità di render certo un sistema coerente ricorrendo ai suoi assunti. (Nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza). La coerenza allora o è una scommessa, una personale incrollabile fiducia in sé e nelle proprie capacità, o è un atto di negoziazione sociale: il dibattito nella comunità scientifica certifica la tenuta del mio “discorso”. La prima soluzione non è dal punto di vista psichico la più ecologica. Può succedere che quando si insegua la trovata creativa, quando si persegua l’innovatività, si scivoli facilmente dall’assertività, dal senso di autoefficacia, al narcisismo autoesaltato. 2. Il genio, che stranezza Cerco di prendere il discorso da un altro punto di vista. Pareyson ha dedicato un libro a Fichte8, in cui ricostruisce il modo attraverso il quale il filosofo tedesco affronta la questione del genio che liberamente opera, guidato dall’immaginazione. “Per questo lavoro - scrive Fichte - non vi è nessuna regola, e non possono esservene. Lo spirito umano fa parecchi tentativi, mediante un cieco brancolare al crepuscolo, e solo da questo passa poi al giorno chiaro”9. Il genio si lascia guidare da un ‘senso della verità’, ma i suoi risultati, quantunque presentati in forma di sistema, rigorosamente governato dalla deduzione, sono esposti al rischio della fallacia, relativamente alla quale non è garantito che dal suo stesso ‘senso’ della verità. Il genio è oltre il normale modo di intendere le cose, il suo ragionare esprime un ‘salto’ che può essere colto solo da chi riesca a compiere quel medesimo ‘salto’. “La filosofia - osserva Pareyson -,

5 Questo passaggio del film è disponibile su Youtube all'indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=EZciPGHikMw. (Link verificato il 20 agosto 2010). 6 Com'è noto è questa l'ipotesi lasciata aleggiare da Leonardo Sciascia, nel suo La scomparsa di Majorana, Adelphi, Milano, 1997. (Prima edizione: 1975). 7 Citato da G. Lolli, op. cit., p. 20 8 L. Pareyson, Fichte. Il sistema della libertà, Mursia, Milano, 1976 9 Citato da L. Pareyson, op. cit., p. 115.

dunque, non è alla portata di tutti, ma non per insufficienza sua, bensì per insufficienza di chi non la comprende”10. Tanto più che la filosofia pretende di fondare la validità di quelle stesse leggi logiche che essa, nello svolgersi come indagine scientifica, usa. Trasponendo: il matematico che assume una similare teoria del genio si trova esposto al rischio di entrare in una spirale di autoreferenzialità, per cui ogni criterio esterno di validazione della teoria viene escluso, e rimane la indecidibilità logica che distingua ragione da sragione, genio da follia. In questo caso è ben possibile che uno si convinca che esseri alieni gli mandino dei messaggi utilizzando i codici di classificazione dei libri della biblioteca ovvero di poter sviluppare la propria dimostrazione come una musica. È ciò che è successo a Robert Lewelling, il protagonista di Proof, come riferisce la figlia al funerale in una commemorazione che, nella sua sconcertante sincerità, si connota come sfogo liberatorio. “…Parlava da solo. Puzzava. Poi ha cominciato a scrivere, anche quindici, venti ore al giorno. Era convinto di poter sviluppare la sua dimostrazione come una musica. Sono felice che sia morto”. Catherine ha 27 anni, per accudire il padre, ottenebrato dai suoi deliri, ha dovuto rinunciare a gran parte delle proprie ambizioni: ha lasciato l’università dove avrebbe voluto studiare matematica mettendosi sulle orme del padre; ha una vita relazionale praticamente nulla che le lascia molto (troppo) spazio per porsi domande di esistenziale gravità. Morto il padre, scopre quante poche energie abbia dedicato all’edificazione di sé: è una donna ormai non giovanissima, sull’orlo dell’abisso della follia. La domanda che comincia a perseguitarla è: cosa mi può garantire di non essere avviata a divenire folle come mio padre? Cosa può sostenere l’amore che ho per la matematica senza che si trasformi in furia divorante, ragione di allontanamento dal mondo, autistica chiusura, delirio nutrito di numeri, assiomi, dimostrazioni e teoremi?. Il padre le ha lasciato l’ingombro di ben 103 quaderni di appunti, riempiti con furia da “grafomane compulsivo” alla ricerca di un innovativo teorema sui numeri primi. Se non è l’esercizio della ragione (perché la matematica è esercizio della ragione) a proteggere dalla follia, cosa mai bisogna fare per sfuggire al rischio della dissipazione dell’esistenza nel balbettio di ciò che non sa arrivare a fari “opera”? Di cosa la ragione ha bisogno per essere rassicurata della sua solidità? C’è sempre la possibilità di un girare a vuoto della ragione senza che una forza interna ponga freno al suo vagare. La prova che non siamo nella morsa della ragione sragionante non può essere il risultato del rigore deduttivo, dell’assoluto controllo del processo cognitivo; è fuori dal mondo dei numeri, non è un teorema, è l’incontro con l’altro, purché però egli non sia nostro padre e non sia folle, non ci abbia preso nell’indecidibilità di un doppio vincolo che ci condanna alla confusività e ci allontana dalla possibilità di dire “io”. 3. Sono io l’autore? Cathy è irretita in un irrisolto complesso edipico; la sorella, invece, che ha lasciato Chicago per New York, si è liberata dell’ingombrante presenza del padre accettando di compromettere la matematica col mondo (è un’analista valutaria). Comprende il dramma di Cathy e vorrebbe indurla alla decisione di accettare il taglio (che la morte del padre ora rende possibilie) col suo passato, vendendo la casa che fino a quel momento ha condiviso col congiunto per spostarsi anche lei a New York e provare a trovare un lavoro. “O si vive o si scrive” aveva detto una volta Pirandello: Cathy può uscire dall’indecisione esistenziale che la paralizza ad una sola condizione, secondo la sorella: abbandonando l’idea che sia possibile racchiudere in un’unica formula il disordine, l’irrazionalità del mondo e accettare l’irriducibile singolarità, la molteplicità, recalcitrante alla categorizzazione, dell’esperienza, cercando l’incontro con l’alterità, imparando a misurarsi veramente con essa.

10 L. Pareyson, op. cit., p. 117.

Nell’esistenza di Cathy la promessa di una possibile salvezza si incarna, ad un certo punto, nella figura di Hal, un ex studente del professore Robert Lewelling, suo tutor per la tesi di dottorato. Hal è un matematico che ama il jazz, non disdegna di improvvisare, è aperto all’evento, ha un’intensa vita relazionale. Egli, nell’economia del film, costituisce il catalizzatore in grado di far acquisire a Cathy “gradatamente personalità e autonomia”11, la allontana dalla gravitazione esistenziale attorno alla sorella, ponendole “un’alternativa metodologica nella ricerca di sé, attraverso la ricerca matematica, e rivelandosi egli stesso, dopo aver vinto radicate diffidenze e fugato i sospetti di subdolo arrivismo, come possibile approdo affettivo da parte della giovane”12. Alla morte del professore, l’allievo si presenta alla figlia per capire se il vecchio matematico abbia lasciato qualche appunto sui numeri primi, ed in particolare sulla procedura di Sophie Germain. Il nome della matematica francese non è gettato a caso nel film, anche se è buttato lì un’unica volta, in modo assolutamente criptico. A mio parere il regista ha voluto offrire un indizio: c’è qualche motivo di analogia fra le due vite, quella di Sophie e quella di Cathy. Ad esempio il fatto che entrambe abbiano frequentato l’università senza essersi laureate e ciò nondimeno essere riuscite, grazie al loro purissimo genio, a dare un contributo decisivo alla disciplina. La storia di Sophie Germain (1776 – 1831) è quanto mai interessante e varrebbe un film a sé. Accenniamolo rapidamente: lo scenario è quello della rivoluzione francese. Nonostante il trambusto degli eventi che scuotono Parigi e il resto del paese, nel 1789 una ragazzina di tredici anni, Sophie Germain, figlia di un ricco mercante della capitale nonché neo-deputato all’Assemblea Costituente, scopre un interesse irrefrenabile per la matematica. Le capita in mano una biografia di Archimede. La colpisce la morte del grande scienziato, ucciso dal soldato che gli aveva ordinato di seguirlo. Poiché non aveva ricevuto risposta, gli aveva inferto un colpo di spada. Il fatto è che Archimede non gli aveva prestato attenzione poiché assorto nei suoi calcoli. La matematica può avere questo potere: assorbire totalmente le energie di qualcuno, tanto da superare il pericolo della morte. Quale straordinaria potenza può avere, pensò la ragazzina, che assunse la decisione di far coincidere la matematica con la sua esistenza13. Per Sophie Germain e per la protagonista di Proof la matematica è esattamente questo: una passione totale. Vi sono alcune ragazze, racconta Lolli, che insegna all’Università e ha avuto modo di confrontare i diversi approcci dei suoi studenti alla materia, che quando incontrano la matematica, hanno di questa “una visione lucida, quasi supernaturale e mistica, e sofferente”. La matematica diventa per loro l’emblema “di una realtà più alta, cristallina, pulita. Esse vivono perciò paradossalmente in una insicurezza profonda, contraddittoria con la loro bravura e incomprensibile alle persone comuni razionali”14. Per la maggior parte dei matematici l’approccio è molto più pragmatico: la matematica è un insieme di tecniche, e fare il matematico è una professione come altre. Hal non può fino in fondo capire la passione bruciante di Cathy per la matematica. Solo una donna può arrivare a concepire un così ardente amore per questa disciplina, gli uomini si lasciano troppo facilmente distrarre dal mondo, dalle sue lusinghe. Cathy lo dice espressamente a Hal, a voi uomini dice, “basta una scopata” perché trovi appagamento il vostro io, trovi riposo la vostra inquietudine. Altro motivo di analogia è che Sophie Germain, entrata in corrispondenza con Gauss, per timore di non essere presa in considerazione a causa dei pregiudizi sessisti del tempo, usò uno pseudonimo (Mounsier Antoine-August Le Blanc). L’unico quaderno interessante dei 103 che Hal consulta non è firmato. È veramente di Robert o è di Catherine? La soluzione al dilemma non sta nella parola di Cathy, che peraltro si contraddice: è troppo fragile per essere creduta (il folle sta per definizione 11 P. Perrone, Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica, Le Mani, Genova,

2009, p. 87. 12 Ibid. 13 Per avere i primi ragguagli sulla vita e l'opera di Sophie Germain, cfr. F. Peiretti, Sophie Germain, in: “Progetto Polymath del Politecnico di Torino”, all'indirizzo web: http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/Articoli/Germain.htm (Link verificato il 12 agosto 2010). 14 G. Lolli, Proof, reperibile all'indirizzo: http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/SeVic/Proof.pdf (Link verificato il 21 agosto 2010).

nella non-verità), può solo consistere in una dimostrazione. Hal affida ad alcuni esperti il giudizio e alla fine il dilemma viene sciolto a favore di Cathy. Ma la dimostrazione di cui Cathy ha bisogno è un’altra, ha poco a che fare con la matematica, riguarda piuttosto l’esperienza di sé: riuscirà - è la domanda che la tormenta - a “ricucirsi una propria porzione di vita”? L’ultima scena del film ci mostra una Cathy disposta ad accettare le regole dell’esistenza. È confusa e non riesce a capire se sia stata lei o il padre a scrivere la dimostrazione? Non importa, gli suggerisce il pragmatico Hal. Provi a mostrare che se anche lei non sia stata l’autrice, aveva ogni potenzialità per esserlo: ora può rifare il percorso logico disegnato sommariamente (da lei? dal padre?) sul fatidico quaderno, passo dopo passo, assieme ad un testimone (partecipe): Hal. E lei accetta la sfida15. E così il film si chiude con i due che assieme rileggono la dimostrazione, la ricostruiscono pazientemente, lo spettatore è confortato dall’intuire che Cathy ormai abbia accettato “quelle regole soggettive e sfuggenti della quotidianità che vanno sempre e comunque negoziate, discusse , condivise”16. Il film mostra in tal modo la sua vera intenzione, quella di esplorare la “zona di confine tra l’inalterabilità delle leggi matematiche e la mutevolezza dell’esperienza umana, il rigore delle scienze esatte e l’insondabile intenzionalità delle persone. Il rischio di impazzire di fronte ai numeri, in fondo, è lo stesso di perdere l’equilibrio di fronte a sentimenti confusi” 17. Non sappiamo se Cathy vedrà pienamente riconosciuto il suo genio. Sophie Germain morì a Parigi nel 1831 per un tumore al seno prima che l’Università di Gottinger potesse conferirle, su proposta di Gauss, la laurea honoris causa. Quando verrà costruita la Tour Eiffel, venne deciso di scrivere sulla struttura i nomi di settantadue grandi scienziati, ma tra quei settandue nomi il suo. che avrebbe degnamente figurato nella lista, manca.

15 Anche in questo si può cogliere una certa qual analogia con Sophie Germain. Incuriosita dagli esperimenti del fisico tedesco Ernst Chladni, tenta di offrire una credibile spiegazione dei fenomeni che egli riesce a ottenere facendo vibrare una lastra di vetro cosparsa di sabbia. Partecipa perciò nel 1811 ad un concorso indetto da Napoleone allo scopo, ma non ottiene il premio poiché a giudizio della commissione la spiegazione, convincente, presenta qualche lacuna. Aiutata da Lagrange, che la sprona a non demordere, vedrà nel 1815 premiata la sua memoria. Anche la dimostrazione di Cathy, nel film, presenta lacune e limiti, pur essendo in gran parte ispirata dal genio. Va corretta e revisionata. E Cathy accetta di farlo assieme a Hal. 16 P. Perrone, op. cit., p. 81. 17 Ibid.