ELOGIO DELLA LENTEZZA - quota96 · elogio della lentezza I test Invalsi hanno riproposto...

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Festina lente (“affrettati lentamente”), un motto apparentemente contraddittorio, metaforicamente rappresentato dalla figura della tartaruga sormontata da una vela gonfia di vento, il cui significato si riassume nella saggia raccomandazione di non intraprendere nulla sotto l’impulso della fretta, che rischia di compromettere l’efficacia della risolutezza, perché il tempo concesso a una cauta riflessione farà scaturire quelle idee che consentiranno di condurre rapidamente a buon fine le nostre azioni. ELOGIO DELLA LENTEZZA I test Invalsi hanno riproposto prepotentemente le ossessioni ideologiche neoliberiste, a partire dall’idea di poter misurare tutto e di fabbricare l’uomo rendicontabile, fin dagli apprendimenti nella scuola di base, dove per verificare la competenza della lettura si somministra a bambini di sette anni una prova di velocità di due minuti da cronometrare, in barba a ogni prescrizione pedagogico-didattica. “Essere e restare avanti” rispetto alla massa dei “perdenti” è il messaggio fondamentale del capitalismo neoliberista che vuole imporre il suo modello politico-economico totalitario di un mondo regolato e governato dai mercati e dal consumismo, dove la crescita è illimitata e l’avidità individuale è assunta a valore esistenziale. Dove il tempo non è né ciclico né lineare (come normalmente era nelle altre società della storia moderna e premoderna), ma frammentato in una moltitudine di particelle separate, sempre mutevoli, che richiedono rapidità di scelta per non perdere mai il momento opportuno e più vantaggioso (per una transazione commerciale, per un investimento finanziario, per un nuovo impiego, per l’avanzamento di carriera…). Dove la vita è irrimediabilmente segnata dalla condizione di permanente precarietà, infinita riconversione personale e continuo rischio, senza garanzie né individuali né collettive. Nella società consumistica e della competizione, si deve vivere in movimento continuo, non per soddisfare semplicemente i propri bisogni (reali o indotti), ma per aspirare al consumo infinito di bisogni sempre nuovi. Saper “sfruttare l’attimo” è indispensabile per chi deve farsi “imprenditore di se stesso”, il che significa anche “farsi prodotto” da presentare e vendere secondo criteri di “marketing”. Se la vita dedita al consumo è una vita di rapido apprendimento e fulmineo oblio, scandita dal ritmo mozzafiato di rinnovamento/rimozione dei beni o servizi da possedere (un ritmo che riguarda anche l’identità personale, e destinata a una frenetica adattabilità opportunistica agli eventi), anche il modello di istruzione deve ricalcare tali caratteristiche di velocità e consumo, favorite dall’introduzione di tecnologie digitali di comunicazione di massa e da sistemi standardizzati e standardizzanti di indirizzo, verifica e valutazione degli apprendimenti: computer, lavagne magnetiche, tablet, manuali online, registri elettronici, saperi essenziali, test seriali, prove Invalsi, competenze certificabili. E più la conoscenza è semplice e semplificata (cioè meno sistemica), fino a ridursi a essenziale informazione, maggiore è la possibilità di strutturarla in procedure meccanizzate di trasmissione, più facili e veloci da diffondere e di cui valutarne l’apprendimento. Di conseguenza, cambiano totalmente concetti come Sapere e Cultura. Senza computer, smartphone e Internet oggi ci si sente perduti. Bambini e ragazzi trascorrono davanti a un monitor più del doppio del tempo che passano a scuola e le conseguenze si vedono nell’incremento dei disturbi dell’apprendimento, dello stress, di patologie depressive, della predisposizione alla violenza. L’ansia della “connessione permanente” spinge a saltare da un sito a un altro, da un tema all’altro, senza sosta e in modo inconcludente. La Rete offre immense possibilità, ma crea aspettative inappagate e frustranti. Durante gli ultimi trent’anni si sono prodotte nel mondo più informazioni che nei precedenti cinquemila e oggi non solo è impossibile assimilare un tale volume di informazioni, ma bisogna essere assolutamente capaci di difenderci dal 99,99% delle informazioni che ci vengono offerte incessantemente. A seguito di questo invasamento, la capacità di concentrazione della nuova generazione sta decrescendo ad alta velocità. La tecnologia della comunicazione sta riprogrammando le menti: fa diventare più reattivi e le dita si muovono rapidamente sulle tastiere di computer e

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Festina lente (“affrettati lentamente”), un motto apparentemente contraddittorio, metaforicamente rappresentato dalla figura della tartaruga sormontata da una vela gonfia di vento, il cui significato si riassume nella saggia raccomandazione di non intraprendere nulla sotto l’impulso della fretta, che rischia di compromettere l’efficacia della risolutezza, perché il tempo concesso a una cauta riflessione farà scaturire quelle idee che consentiranno di condurre rapidamente a buon fine le nostre azioni.

ELOGIO DELLA LENTEZZA I test Invalsi hanno riproposto prepotentemente le ossessioni ideologiche neoliberiste, a partire dall’idea di poter misurare tutto e di fabbricare l’uomo rendicontabile, fin dagli apprendimenti nella scuola di base, dove per verificare la competenza della lettura si somministra a bambini di sette anni una prova di velocità di due minuti da cronometrare, in barba a ogni prescrizione pedagogico-didattica. “Essere e restare avanti” rispetto alla massa dei “perdenti” è il messaggio fondamentale del capitalismo neoliberista che vuole imporre il suo modello politico-economico totalitario di un mondo regolato e governato dai mercati e dal consumismo, dove la crescita è illimitata e l’avidità individuale è assunta a valore esistenziale. Dove il tempo non è né ciclico né lineare (come normalmente era nelle altre società della storia moderna e premoderna), ma frammentato in una moltitudine di particelle separate, sempre mutevoli, che richiedono rapidità di scelta per non perdere mai il momento opportuno e più vantaggioso (per una transazione commerciale, per un investimento finanziario, per un nuovo impiego, per l’avanzamento di carriera…). Dove la vita è irrimediabilmente segnata dalla condizione di permanente precarietà, infinita riconversione personale e continuo rischio, senza garanzie né individuali né collettive. Nella società consumistica e della competizione, si deve vivere in movimento continuo, non per soddisfare semplicemente i propri bisogni (reali o indotti), ma per aspirare al consumo infinito di bisogni sempre nuovi. Saper “sfruttare l’attimo” è indispensabile per chi deve farsi “imprenditore di se stesso”, il che significa anche “farsi prodotto” da presentare e vendere secondo criteri di “marketing”.

Se la vita dedita al consumo è una vita di rapido apprendimento e fulmineo oblio, scandita dal ritmo mozzafiato di rinnovamento/rimozione dei beni o servizi da possedere (un ritmo che riguarda anche l’identità personale, e destinata a una frenetica adattabilità opportunistica agli eventi), anche il modello di istruzione deve ricalcare tali caratteristiche di velocità e consumo, favorite dall’introduzione di tecnologie digitali di comunicazione di massa e da sistemi standardizzati e standardizzanti di indirizzo, verifica e valutazione degli apprendimenti: computer, lavagne magnetiche, tablet, manuali online, registri elettronici, saperi essenziali, test seriali, prove Invalsi, competenze certificabili. E più la conoscenza è semplice e semplificata (cioè meno sistemica), fino a ridursi a essenziale informazione, maggiore è la possibilità di strutturarla in procedure meccanizzate di trasmissione, più facili e veloci da diffondere e di cui valutarne l’apprendimento. Di conseguenza, cambiano totalmente concetti come Sapere e Cultura.

Senza computer, smartphone e Internet oggi ci si sente perduti. Bambini e ragazzi trascorrono davanti a un monitor più del doppio del tempo che passano a scuola e le conseguenze si vedono nell’incremento dei disturbi dell’apprendimento, dello stress, di patologie depressive, della predisposizione alla violenza. L’ansia della “connessione permanente” spinge a saltare da un sito a un altro, da un tema all’altro, senza sosta e in modo inconcludente. La Rete offre immense possibilità, ma crea aspettative inappagate e frustranti. Durante gli ultimi trent’anni si sono prodotte nel mondo più informazioni che nei precedenti cinquemila e oggi non solo è impossibile assimilare un tale volume di informazioni, ma bisogna essere assolutamente capaci di difenderci dal 99,99% delle informazioni che ci vengono offerte incessantemente. A seguito di questo invasamento, la capacità di concentrazione della nuova generazione sta decrescendo ad alta velocità. La tecnologia della comunicazione sta riprogrammando le menti: fa diventare più reattivi e le dita si muovono rapidamente sulle tastiere di computer e

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cellulari, ma riduce la precisione e toglie la capacità di distinguere una cosa dall’altra. Attraverso il multitasking (la necessità di affrontare più cose contemporaneamente) si può diventare più veloci, ma anche più stupidi. In ogni caso, non certo più colti o più capaci di capire. Per contrastare la tendenza alla regressione culturale occorrono due cose: 1) rinforzare nella scuola ciò che oggi si vuole cancellare, cioè una solida strutturazione organica e critica del sapere, secondo modalità educative capaci di sviluppare autonome personalità e cittadini consapevoli; 2) uscire dall’abbandono cronico e dal degrado progressivo in cui si lascia languire la scuola pubblica, per rivitalizzare questa istituzione fondamentale attraverso le necessarie risorse economiche e strumentali, il potenziamento degli organici di docenti e ata, la valorizzazione collettiva del personale senza distinzioni gerarchico-carrieristiche né premialità pseudoprofessionali.

Alle parole d’ordine della scuola-azienda (velocità, semplificazione, flessibilità, produttività, competitività, rendicontabilità), mutuate dalla dimensione delle relazioni economiche, si devono sostituire parole proprie della cultura e delle finalità educative della vera istruzione. Parole come “cooperazione”, perché è il comportamento socialmente più vantaggioso e democratico, per abituare al rispetto reciproco e dei beni comuni (e non alla prevaricazione), all’assunzione delle proprie responsabilità, alla coerenza e dignità (e non al conformismo e all’opportunismo utilitaristico), alla solidarietà (e non all’indifferenza), alla condivisione di diritti e doveri (e non alla ricerca di privilegi). Il modello di scuola-azienda, con il preside-padrone che ha il potere di assumere e premiare e con gli insegnanti in continua concorrenza tra loro, è un modello autoritario che distrugge la collegialità democratica e la coesione sociale della comunità scolastica, pregiudicando la funzione educativa degli insegnanti innanzitutto perché chi ha paura non può educare. Parole come “lentezza”, perché la cultura è assimilazione necessariamente lenta, per capire, approfondire e rielaborare contenuti che hanno significato per la vita dell’essere umano. Parole come “profondità”, perché la velocizzazione e la semplificazione concettuale della trasmissione e della ricezione del sapere è illusoria e controproducente, in quanto favorisce comportamenti frenetici ansiogeni, intermittenza dell’attenzione, conoscenze approssimative, capacità analitiche superficiali. Abbiamo bisogno di un altro modo di vivere il tempo rispetto a quello sbandierato per “avere successo”. Per il capitalista il tempo è denaro, nell’illusione distruttiva dell’infinita accumulazione e crescita. Per il neoliberismo il tempo-lavoro non si distingue più dal tempo-vita, nella competizione infinita dell’imprenditore “di se stesso” e nella formazione di un’identità personale liquida, in continuo adattamento opportunistico alle occasioni del momento da sfruttare. Per chi invece rifiuta questa distorta visione del mondo e questo disumano modello di società disumanizzante, il tempo disponibile è il “capitale” indispensabile all’autorealizzazione. Di sé stessi, certo, ma anche insieme agli altri.

Un buon insegnante deve avere tre caratteristiche: competenza disciplinare, comunicatività culturale e capacità psicologica. Di fronte al decadimento culturale e al provocato degrado della scuola pubblica nell’indifferenza della coscienza collettiva, gli insegnanti possono trasmettere motivazione, convinzione, serietà, vera cultura e spirito critico, solo se sono motivati, convinti, seri, colti e non intenti a “somministrare” test seriali. Altrimenti trasmettono demotivazione, noia, maleducazione, superficialità, conformismo e opportunismo. Ma un buon insegnante deve avere anche la consapevolezza dei tempi in cui vive, cioè di una fase storica, quella attuale, in cui il sistema economico-sociale dominante a livello globale, quello capitalistico, sta attraversando una gravissima crisi nel momento in cui appare trionfante e unico, insostituibile e immodificabile, modello del “migliore dei mondi possibili”. Una crisi epocale e sistemica, che attraverso le devastanti politiche del totalitarismo neoliberista manifesta sempre più la sua spietata determinazione, per mascherare la disperazione di un mondo sull’orlo della catastrofe economica, ambientale e bellica con la chimera ideologica della crescita infinita, dell’ottimizzazione produttiva illimitata, dell’avidità personale sfrenata, basata sul successo individuale a scapito della collettività, in una competizione che deve durare tutta la vita e in cui tutti sono contro tutti, dove pochissimi saranno i vincenti e meritevoli dei privilegi di rango, mentre moltissimi i perdenti, senza più diritti e destinati a servire i primi o condannati all’emarginazione, all’esclusione, alla cancellazione.

Avendo la consapevolezza di questa fase epocale sul crinale tra civiltà e fine della civiltà, il buon insegnante non può rimanere a guardare, perché “essere” un educatore (non “fare” semplicemente l’insegnante), significa educare ai diritti e insegnare ad esigere un mondo diverso da questo, con tutti i mezzi e con l’impegno in prima persona, insieme agli altri, nella resistenza al dominio che ci opprime e nelle lotte per un futuro diverso, di giustizia e uguaglianza, perché anche i principi fondamentali della nostra Costituzione non restino parole vuote ma trovino applicazione effettiva.

COBAS-Comitati di Base della Scuola

s.i.p. 4 maggio 2016 presso COBAS-Scuola, via dei pilastri 43 rosso, Firenze