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IL SOLE DENTRO

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CARLO MARIA MARTINI

IL SOLE DENTRO

Le nostre fragilità e la forza di Dio

Il combattimento spirituale

prefazione di

ENZO BIANCHI

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ISBN 978-88-566-5504-9

I Edizione 2016

© 2016 - EDIZIONI PIEMME Spa, Milanowww.edizpiemme.it

Anno 2016-2017-2018 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Stampato presso ELCOGRAF S.p.A. – Stabilimento di Cles (TN)

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PREFAZIONE 5

Prefazione

«Stare tra voi affi nché possiamo insieme gustare il confor-to, per mezzo della fede vostra e mia» (Rm 1, 12). Il desi-derio espresso dall’apostolo Paolo ai cristiani di Roma è lo stesso che animava quarant’anni fa padre Carlo Maria Martini, allora rettore del Pontifi cio Istituto Biblico di Roma, nel predicare un corso di esercizi sulla lotta spi-rituale a una comunità di monache carmelitane. Ed è lo stesso sentimento che abita il lettore nell’accostarsi a que-ste pagine inedite, letteralmente riemerse da un cassetto dimenticato e proposte con la freschezza del parlato.

Ricordo il sorriso disincantato con cui il neo-arci-vescovo di Milano mi confi dava di stupirsi per la gran quantità di suoi “libri” appena pubblicati: addirittura due case editrici diverse avevano pubblicato quasi in contemporanea gli stessi esercizi spirituali sul Vangelo di Marco traendoli da due distinte sbobinature delle sue meditazioni...

Fino a pochi mesi prima della consacrazione episco-pale la sapienza evangelica di padre Martini era nota e grandemente apprezzata solo dal ristretto pubblico de-

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gli studiosi di scienze bibliche e in particolare di esege-si neotestamentaria. Eppure chi come me aveva avuto il dono di conoscere più da vicino il gesuita curatore dell’edizione critica del Nuovo Testamento, ben sapeva di quella sua capacità di lettura spirituale della Scrittura, di quell’ascolto con il cuore che condurrà l’arcivescovo di Milano a rendere partecipi anche gli altri di questa passione per la Scrittura, creando la “scuola della Paro-la” dove tanti, giovani in particolare, avrebbero potuto cogliere il Vangelo nella sua novità e freschezza, capace di orientare la vita di tutti i giorni e di condurla verso una “dimensione contemplativa”, una visione “altra” di se stessi, degli altri e degli eventi del mondo.

Così ritrovare oggi quella freschezza di lettura del Vangelo nelle parole pronunciate a una piccola comu-nità carmelitana fa sì che davvero possiamo sentire che l’uomo, il cristiano, il vescovo Martini sta ancora con noi e ci fa “gustare insieme il conforto” che viene dalla fede nutrita dall’ascolto.

Le meditazioni qui riprese ci parlano di una lotta, quella spirituale, che è il combattimento quotidiano di ciascuno di noi, come lo fu dell’apostolo Paolo e di chiunque, come il cardinal Martini, si fa servo della Pa-rola e decide ogni giorno di prendere su di sé la propria croce per seguire Gesù. La lotta spirituale del cristiano, infatti, non ha alcun senso se separata dal combattimen-to vissuto da Gesù nella carne, se scisso dalla sua obbe-dienza fi no alla morte e alla morte di croce (Fil 2, 8), se isolato dall’amore che nutre e sostiene il credente anche e soprattutto nei giorni più oscuri. Così, nella scia della Lettera agli Efesini, Martini parla di combattimento e di armi – corazza, cinturone, scudo, spada, elmo... – così

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PREFAZIONE 7

come affronta questioni che solitamente preferiamo av-volgere nell’oblio: le tentazioni, il diavolo e le sue insidie. Ma il realismo guerriero è solo strumentale alle esigenze evangeliche che richiedono questa lotta senza quartiere: la giustizia, la pace, la familiarità con Dio, l’affi darsi nella fede a rimettere ogni cosa in Dio. Del resto, l’arma su-prema che sostiene il combattimento decisivo altra non è che la preghiera, quel fi ducioso dialogo con il Signore che ci ascolta e che parla al nostro cuore.

Chi ben conosce l’enorme mole di scritti lasciati da Carlo Maria Martini come vescovo e anche le pagine affi -date alla stampa dopo il ritiro dalla guida dell’arcidiocesi ambrosiana dirà che in questi testi non vi è nulla che non sia già noto. Eppure leggere queste pagine aiuta a coglie-re come dal tesoro della Scrittura «ogni scriba divenuto discepolo del regno trae dal proprio tesoro cose antiche e cose nuove» (Mt 13, 52). È il Martini innamorato della Parola che ritroviamo qui, nella gratuità di una voce li-bera da preoccupazioni pastorali più o meno immediate, nell’affl ato spirituale di chi ha a cuore la propria e l’altrui crescita davanti a Dio, di chi custodisce sì il “sole dentro”, ma vuole anche che illumini e riscaldi quanti gli stanno intorno. Sì, possiamo davvero rallegrarci di ritrovare in queste pagine il Martini che ben conosciamo, l’amante della Parola che ha speso tutta la sua vita affi nché la buo-na notizia del Signore risorto raggiungesse il cuore e l’esi-stenza di tutti e di ciascuno.

fr. Enzo Bianchipriore di Bose

Bose, 6 agosto 2016Trasfi gurazione di N.S. Gesù Cristo

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IL RITROVAMENTO DEL TESTO 9

Il ritrovamento del testoa cura di Fondazione Carlo Maria Martini

È il 1975. Le monache carmelitane scalze del Monastero di San Lazzaro Alberoni, nei pressi di Piacenza, invitano padre Carlo Maria Martini a predicare un corso di Spi-rituali. Dal 1969 Martini è rettore del Pontifi cio Istituto Biblico di Roma e riceve spesso inviti a predicare esercizi.

Le varie sessioni del corso vengono registrate e, suc-cessivamente, trascritte da una solerte monaca. Il testo viene battuto a macchina su fogli di carta velina, poi de-posti nella biblioteca del monastero e, in sostanza, di-menticati.

Solo molti anni dopo, un giovane sacerdote, ospite per qualche giorno nella foresteria del monastero, ritro-va in biblioteca il dattiloscritto e, dopo una prima lettu-ra, chiede alla madre badessa di poterlo fotocopiare per inviarlo al padre Martini, ormai arcivescovo emerito di Milano. Ed è esattamente ciò che accade.

Martini riceve a Gallarate, presso la casa dei gesuiti, la fotocopia del dattiloscritto di quel corso di esercizi pre-dicato ormai quasi trent’anni prima. Quella stessa copia rimane a Gallarate fi no alla morte del cardinale (31 ago-

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10 IL RITROVAMENTO DEL TESTO

sto 2012) e alla successiva presa in carico da parte della Fondazione Carlo Maria Martini sia dell’archivio sia dei libri che Martini stesso custodiva nella sua abitazione.

Nella fase di riordino e catalogazione dell’archivio, soltanto nel 2015, viene alla luce il testo che risulta ef-fettivamente inedito. Questa pubblicazione lo rende ora disponibile per la lettura di tutti.

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NOTA EDITORIALE 11

Nota editorialedi Natale Benazzi

Il testo è una lunga e articolata meditazione sulla esor-tazione conclusiva della Lettera di Paolo agli Efesini (Ef 6,10ss) con alcuni accenni, pochissimi in verità, al paragrafo n. 16 della Regola Carmelitana.

Si tratta infatti di un corso di Esercizi Spirituali che vennero predicati alla comunità delle Carmelitane Scal-ze di San Lazzaro Alberoni (Piacenza) dall’allora rettore dell’Istituto Biblico di Roma (dal 20 al 27 agosto 1975).

Il tema della meditazione è quello del combattimento spirituale nella vita cristiana.

Il testo che il lettore si trova di fronte è stato elaborato dal curatore seguendo due criteri di fondo complemen-tari fra loro.

Da un lato il rispetto per la proposta “orale” dell’au-tore, e la conservazione di fondo del carattere di “parola detta” e non di parola scritta. Si sono quindi conservate alcune forme colloquiali tipiche della predicazione.

Dall’altro la facilitazione della lettura, con l’elimina-zione delle ripetizioni che, immaginiamo, l’allora pro-fessore e padre Martini avrebbe corretto a sua volta nel

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12 NOTA EDITORIALE

momento in cui si fosse trovato a dover rivedere il testo per la pubblicazione. Probabilmente, i suoi interventi sul proprio “detto” sarebbero stati ancor più rigorosi e radicali dei nostri che, però, speriamo possano aver con-servato per il lettore odierno un poco della freschezza del momento in cui la comunicazione nella fede è avvenuta.

I testi biblici sono stati conservati precisamente come dalla sbobinatura del parlato: sono naturalmente testi presi dalla traduzione della CEI del 1974, spesso con aggiunte e parafrasi di padre Martini. Anche in questo caso abbiamo preferito che prevalesse la freschezza del parlato sul rigore testuale della citazione.

Sono state aggiunte note esplicative solo dove era ne-cessario e senza voler appesantire la lettura.

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INTRODUZIONE 13

Introduzione

Contemplazione e lotta spirituale

La mia disposizione d’animo nell’affrontare questo iti-nerario di esercizi spirituali sul tema della lotta spirituale è espressa da san Paolo nella lettera ai Romani, all’inizio del capitolo 1, dove l’Apostolo afferma che aveva già da tempo desiderato andare a trovare la comunità di Roma,

per raccogliere qualche frutto in mezzo a voi come tra le altre Nazioni;

e aggiunge:

desiderando vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale che vi corrobori e affi nché, stando tra voi, possiamo insieme gustare il conforto, per mezzo della fede vostra e mia1.

San Paolo desiderava andare a Roma per ricevere da quella comunità una testimonianza di fede, che è sempre utile all’approfondimento della conoscenza di Dio. I ver-setti seguenti invitano al medesimo incontro.

1 Cfr. Rm 1, 11-12.

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14 INTRODUZIONE

Ora, io mi trovo qui, in una dimensione di preghiera, insieme con voi. Quale sarà allora l’oggetto delle nostre meditazioni?

Dopo aver rifl ettuto, ho trovato un testo della Regola carmelitana2 che mi pare può introdurci opportunamen-te. È il passo che dice:

Ma poiché la vita dell’uomo sopra la terra è una tentazione continua, e coloro che vogliono piamente vivere in Cristo sof-frono persecuzione; e anche il demonio, vostro nemico, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare, procurate con ogni diligenza di rivestirvi dell’armatura di Dio, affi nché pos-siate resistere alle insidie del nemico. Cingete i vostri fi anchi col cingolo della castità e munite il vostro petto di santi pensie-ri, poiché sta scritto: «I santi pensieri ti preserveranno». Vestite l’usbergo3 della giustizia, così che possiate amare il Si-gnore Iddio vostro con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze e il prossimo vostro come voi stessi. In ogni cosa, poi, pigliate lo scudo della fede, col quale pos-siate spuntare tutti i dardi infuocati del perverso nemico, poi-ché senza la fede è impossibile piacere a Dio. Ponetevi pari-menti sul capo l’elmo della salvezza, affi nché speriate ogni vostra salvezza dal solo Salvatore, il quale è quegli che libera il popolo suo dai peccati. E infi ne la spada dello spirito, che è la Parola di Dio, sia fre-quentemente sulle vostre labbra e nei vostri cuori, e tutto quello che avete a fare, fatelo nella Parola del Signore.

Leggendo questo brano ho, naturalmente, subito pen-sato al corrispondente biblico dal quale deriva, ovvero

2 Il testo citato è tratto dalla Norma di vita di sant’Alberto Avogadro (nn. 18 e 19), che venne data ai Carmelitani tra il 1206 e il 1214, in seguito approvata come Regola del Carmelo da Innocenzo IV nel 1247. Vedi per il testo integrale il sito uffi ciale dell’Ordine carmelitano: www.ocarm.org

3 Indumento protettivo del corpo, in uso nel medioevo per la difesa personale del guerriero.

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INTRODUZIONE 15

la conclusione della Lettera agli Efesini – capitolo 6, dal versetto 10 in avanti – e mi è sembrato che potesse esse-re utile soffermarsi sulla descrizione del combattimento spirituale che san Paolo ci presenta.

1. Mistero di Cristo e combattimento spirituale

Mi sono posto subito un’obiezione: ma veramente questa descrizione dell’armatura e del combattimento spirituale è adatta alla nostra vita? Poi però mi sono det-to che, se san Paolo ha messo questo brano a conclu-sione della Lettera agli Efesini, che è la lettera forse più “contemplativa” del Nuovo Testamento, quella in cui si penetra con profondità inaudita nel mistero di Cristo, vuol dire che tra contemplazione del mistero e combatti-mento spirituale c’è un’affi nità profonda, che ci sollecita a dedicare qualche tempo di rifl essione sull’immagine della lotta spirituale.

Cercheremo di meditare alla luce di tutto il testo del-la Lettera agli Efesini e anche degli altri brani affi ni del Nuovo Testamento. Infatti, non soltanto qui, ma anche altrove appare il tema dell’armatura dello spirito che sia-mo chiamati a indossare nella nostra vita.

A proposito di questa armatura, nella Lettera agli Efe-sini, san Paolo dice:

Pregate in ogni tempo, con orazione e supplica in Spirito, e per questo vegliate con assidua perseveranza; e pregate per tutti i santi4.

4 Ef 6, 18.

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In questo itinerario di meditazione pregheremo per tutta la Chiesa, e anche per me, affi nché quando apro la bocca mi siano date parole effi caci per annunziare con franchezza il mistero di Dio.

Chiedo con fi ducia la vostra preghiera, perché possia-mo metterci con sincerità e tranquillità in ascolto della parola del Signore.

2. Quietare l’anima davanti a Dio

Vorrei terminare questa introduzione con una nota sulla tranquillità.

Se un consiglio posso dare, all’inizio di questo mo-mento di raccoglimento speciale, è di quietare l’anima davanti a Dio.

Ricordo un aneddoto dei miei esercizi spirituali, du-rante il mio terzo anno di noviziato, un mese di eserci-zi5: avevamo un padre istruttore molto severo e parco di parole; un ottantenne di grande esperienza e ancora di notevole vigore. Ci forniva i punti della meditazione, brevissimamente, quattro volte al giorno (si facevano cin-que meditazioni a partire dalla mezzanotte, ma i punti si davano quattro volte); e ogni volta (30 giorni x 4 volte al giorno = 120 volte), cominciava con lo stesso invito: «Per prima cosa lasciate quietare l’anima vostra davanti a Dio».

Mi è rimasta impressa questa frase, sentita 120 vol-te come un ritornello, che sembrava indicare: quando vogliamo metterci in particolare raccoglimento, per pri-

5 È il cosiddetto “mese ignaziano”, percorso basato sul testo degli Esercizi spiri-tuali elaborato dal fondatore dei gesuiti tra il 1522 e il 1535.

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ma cosa dobbiamo fare in modo che l’anima si quieti. Lasciamo da parte, o almeno lasciamo scivolare con pa-zienza – lasciamo, per così dire, “sgocciolare” da noi – le diffi coltà, le prove grandi o piccole, le preoccupazioni che abbiamo; e permettiamo che, gradualmente e tran-quillamente, l’anima si ponga davanti al Signore in situa-zione di riposo e di ascolto.

Con questo atteggiamento di abbandono, lasciamo che la parola del Signore penetri in noi.

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I. IL COMBATTIMENTO DELL’ANIMA 19

I

IL COMBATTIMENTO DELL’ANIMA

La conclusione della Lettera agli Efesini (Ef 6,1-24) of-fre una serie di esortazioni che sono pilastri fondamen-tali su cui fondare e costruire la propria vita spirituale.

Daremo anzitutto uno sguardo d’insieme al capitolo sesto della Lettera per individuare quali esortazioni e in-viti contiene.

Poi ci chiederemo: a chi è diretta questa Parola? A chi parla qui san Paolo?

E infi ne, entrando maggiormente nel tema, provere-mo a rispondere a questa domanda: in cosa consiste il combattimento spirituale a cui san Paolo ci chiama?

1. Prepararsi alla battaglia

Il primo paragrafo del capitolo è costituito da due brevi esortazioni – cui segue il motivo delle esortazioni stesse – e quindi dalla descrizione dell’armatura. Partia-mo dalle due esortazioni: «Attingete forza nel Signore» e «Armatevi». Ovvero: fortifi catevi e preparatevi alla lotta.

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Fortifi cati è la parola già rivolta a Giosuè quando, come successore di Mosè, si preparava alla conquista della Palestina e percepiva la propria debolezza. Il Si-gnore gli disse:

Renditi forte...1.

Che cosa vuol dire “rendersi forti”, lo vedremo in se-guito. L’invito a essere forti e ad armarsi preannuncia il pericolo e l’inevitabile battaglia.

Qual è il motivo di questo rendersi forti? Paolo ci av-verte che siamo di fronte a un’impresa diffi cile. Il nostro duello non è contro creature fatte di carne e sangue, ma contro i Principati, le Potestà, i dominatori di questo mondo di tenebra, gli spiriti del male.

Segue, dopo l’indicazione del motivo, la descrizione dell’armatura.

Si immagini di vedere un soldato, armato, in piedi. Per ben due volte Paolo insiste su questo “stare in piedi”, (stare saldi), cioè pronti a combattere (Ef 6, 13-14). Di tale soldato pronto al combattimento viene descritta l’ar-matura, composta di sei parti: la cintura (della verità), la corazza (della giustizia), i calzari (forse pure calzari di fer-ro, ma in ogni caso adatti per resistere sui cammini diffi -cili della propagazione del vangelo), lo scudo (della fede), l’elmo (della salvezza) e la spada (dello Spirito). Si tratta di una metafora, di una forma parabolica per descrivere, attraverso l’armatura, la maniera con cui dobbiamo pre-disporci al combattimento spirituale (Ef 6, 13-17).

In questa descrizione troviamo una vera e propria dot-

1 Cfr. Gs 1, 6.

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trina sulla vita spirituale: ognuno di questi elementi – la cintura, la corazza, i calzari, lo scudo... – rappresenta un atteggiamento dell’uomo e del cristiano. Mediteremo dunque su ciascuno di questi requisiti che descrivono il cristiano preparato al combattimento.

Il testo, in sostanza, ci vuol dire: siamo di fronte a un combattimento arduo e diffi cile; guai a chi non è prepa-rato! Dobbiamo predisporci! E il tirocinio è descritto attraverso le componenti dell’armatura, a ciascuna del-le quali viene attribuito un signifi cato spirituale, quasi a dire che il cristiano che non si predispone sarà schiac-ciato e sconfi tto. Sappiamo tuttavia che il cristiano ha, nella Chiesa e nei doni che Dio gli ha dato, la possibilità di prepararsi alla lotta e di vincere, con la grazia di Dio.

Questo è dunque il signifi cato globale del testo.

2. L’armatura spirituale

Ci domandiamo ora: questo testo, preso nella sua glo-balità, a chi si rivolge? Fa parte della Lettera agli Efesi-ni, e quindi era indirizzato ai membri della comunità di Efeso.

E chi erano i membri di questa comunità? Cercheremo di determinarlo brevemente, anche se forse non è neppu-re così importante saperlo con estrema precisione, perché questa lettera di Paolo, che ci è stata tramandata come “Lettera scritta ai Santi che sono in Efeso”, forse all’inizio non era diretta a una sola chiesa, ma era una sorta di “cir-colare” da diffondersi in parecchie comunità.

Efeso, quindi, fu una (forse la prima) delle chiese a cui fu inviata; nell’intenzione di Paolo, però, si trattava

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probabilmente di uno scritto destinato a molti creden-ti. In ogni caso, poiché porta l’intestazione “Lettera agli Efesini”, può essere interessante domandarci: da chi era composta la comunità di Efeso? E, soprattutto, che tipo di lettori presupponeva Paolo quando scriveva? Chi fu-rono i primi lettori?

Efeso era una grande città dell’Asia Minore, capitale della Provincia Romana dell’Asia Proconsolare; molto antica e famosa già al tempo di Paolo, ricchissima di mo-numenti che ancora oggi si possono ammirare, era un centro nel quale ferveva una religiosità pagana molto in-tensa; era sede del tempio di Artemide, nel quale – come sappiamo dagli Atti degli Apostoli – sopravviveva una grande superstizione e si praticava la magia. Gli Atti ci raccontano che furono bruciati tutti i libri di occultismo e negromanzia da coloro che si erano convertiti al cristia-nesimo. Se ne fece un gran falò.

Si trattava dunque di un agglomerato urbano nel qua-le sopravvivevano liturgie pagane vive, ma il culto era piuttosto distorto, basato sulla superstizione. Vi abitava gente che aveva bisogno di chiarire e approfondire il vero senso di Dio; gente disponibile e aperta al trascendente; non come ad Atene, dove la popolazione era scettica, disincantata, non credeva quasi più a niente.

A Efeso vi erano donne e uomini desiderosi di cogliere il senso del divino nel mondo, ma a causa di questo desi-derio male interpretato, la gente coglieva Dio in maniera insoddisfacente, sbagliata. Si trattava di una comunità che tuttavia aveva saputo approfi ttare delle istruzioni di Pao-lo: come ci raccontano gli Atti degli Apostoli – a partire dal capitolo 18 – quella di Efeso fu una delle comunità in

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cui san Paolo soggiornò più a lungo; forse non c’è comu-nità, se non Corinto, nella quale l’Apostolo si sia fermato per così tanto tempo. La gente reagiva positivamente, specie i pagani; sentivano appagato, nella predicazione di quell’ebreo convertito, il loro profondo desiderio di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine. Ed è forse per questo che Paolo poté scrivere a quella comunità una lettera così contemplativa e spirituale, così alta: perché era gente ben disposta, che aveva desiderio di avvicinarsi alla Verità.

Gli Efesini, oltre che da Paolo, avevano avuto istruzio-ni anche da Giovanni, che era stato nella loro comunità e aveva insegnato. Patmos2, del resto, è abbastanza vicina a Efeso, per cui vi furono quasi certamente contatti al tem-po in cui, secondo la tradizione, Giovanni vi risiedette.

Ancora oggi, a sei chilometri dall’antica Efeso, si ono-ra la “casa di Maria”, anche se non sappiamo quale valo-re dare alla notizia che ci è stata consegnata dalla tradi-zione. Vi è, oltretutto un luogo – venerato, non solo dai cristiani, ma anche dai musulmani – dove si dice sarebbe morta la Madonna. Questa versione contrasta con quella gerosolimitana, ed è quindi diffi cile accordarle assoluto credito. Tuttavia, l’idea che la Madonna abbia vissuto a Efeso, forse proprio insieme a Giovanni3, risale alle ori-gini del cristianesimo.

Quelli a cui si rivolge Paolo, dunque, sono cristiani

2 L’isola su cui per tradizione Giovanni avrebbe trascorso i suoi anni di esilio e vecchiaia e avrebbe scritto l’Apocalisse.

3 I due riferimenti sono alla Meryem Ana Evi, la “casa di Madre Maria” a Efeso, posta sulla “Collina dell’Usignolo” e la chiesa della Dormizione con la “Tomba della Vergine” a Gerusalemme. Cfr. S. Moreno, La fi ne terrena di Maria, in «Madre di Dio», 7 luglio 2006.

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illuminati; ed egli ribadisce più volte il suo rendimento grazie (lo dice nel capitolo 1 al versetto 15),

perché ho avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi.

Efeso è una comunità credente e operante nella carità, dunque. Una comunità di gente illuminata.

Proprio per questo – per il fatto di aver goduto dell’in-segnamento sublime di Paolo, Giovanni e di una schiera di persone autorevoli del cristianesimo primitivo, il cui ricordo perdurò in seguito, nel II secolo – Efeso fu anche una comunità soggetta a prove sottili; cioè non fu tenta-ta, come altre comunità, di apostasia, o di commettere ciò che evidentemente era il male, il peccato di idolatria; ma fu tentata di cercare Dio nel modo sbagliato, ossia di non avere di Dio una idea corretta, di ingannarsi proprio là dove si protendeva con tutta l’anima.

Le tentazioni che giungono sotto “apparenza e colore di bene” sono le più tipiche di questa comunità, proprio perché illuminata e desiderosa di progredire. È a una comunità illuminata, ma soggetta a tentazioni delicate e subdole, che Paolo scrive la sua lettera e compone l’esor-tazione che ci accingiamo a meditare.

Qual è dunque lo scopo dell’esortazione che medi-teremo? È quello che è espresso nella stessa Lettera, al capitolo 1 (versetti 17-18):

Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione, per una più profonda conoscenza di Lui. Possa Egli illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità.

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Ecco, dunque, lo scopo di questa lettera, lo scopo che anche noi vogliamo raggiungere: che Dio ci conceda uno spirito di sapienza e di rivelazione, per una più profonda conoscenza di Lui; e poi che illumini i nostri occhi anche per una più profonda conoscenza di noi stessi, così che riusciamo a comprendere quanto grande è «la speranza a cui Dio ci ha chiamati, e quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità». Così, aumentando la nostra conoscenza di Lui, e la conoscenza della speranza che Dio ha messo nel nostro cuore, Egli accrescerà anche la gioia nel ser-virlo e la serenità nel servirlo con coraggio.

3. Il dilemma dell’anima e della storia

Chiediamoci, adesso, ancora: qual è il combattimento a cui siamo chiamati? Qual è il combattimento di cui si parla in questa esortazione?

Vorrei dare, per ora, tre idee fondamentali, sulle quali dovremo ritornare, per cercare di capire perché san Paolo ci parla di combattimento spirituale, qual è questa batta-glia dell’anima e perché la vita cristiana è descritta con la metafora della lotta.

La storia del mondo è una lotta

Il primo pensiero che propongo è questo. Tutta la sto-ria del mondo può essere vista – ed è vista dalla Scrittu-ra – come una grande lotta. Il libro che conclude, che riassume in qualche maniera la Bibbia, cioè il Libro dell’Apocalisse, ci presenta la storia del mondo proprio

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come una grande battaglia. Prendiamo qualche brano dal capitolo dodicesimo, che si trova al centro dell’Apo-calisse. Ci mostra lo scontro che si dipana fra cielo e terra:

Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago; il drago combatteva insieme con i suoi angeli4.

È un combattimento che dal fi rmamento giunge fi no all’umanità:

Il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osser-vano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimo-nianza di Gesù5.

Qual è la concezione che fa da sfondo a questi passi dell’Apocalisse e ad altri brani biblici? La storia del mon-do è una grande lotta, un ininterrotto combattimento. Non c’è affatto una visione irenica della Storia. Si sfata il mito di un mondo pacifi co, nato da un mite germoglio, poi fi orito, che diventerà albero di pace. C’è, al contra-rio, una visione drammatica, perennemente in balìa di contrasti e violenze.

I contrasti si possono ridurre, essenzialmente, con la semplicità di cui la Bibbia si fa portatrice, a un solo di-lemma:

• riconoscere Dio e metterlo al di sopra di tutto, e quindi ripensare la creazione, la storia e l’esistenza a partire da Lui;

• oppure non riconoscere Dio.

4 Ap 12, 7.5 Ap 12, 17.

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