Marco Trainini - A Silent Extinction. Saggio su L’Arcobaleno della Gravità di Thomas Pynchon -...

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A Silent Extinction Marco Trainini L´Arcabaleno della Gravità di THOMAS PYNCHON A RCIPELAGO EDIZIONI SAGGIO SU Prefazione di Fabio Vittorini A Silent Extinction

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A Silent ExtinctionMarco Trainini

L´Arcabaleno della Gravitàdi THOMAS PYNCHON

ARCIPELAGO EDIZIONI

SAGGIO SU

Prefazione di Fabio Vittorini

Marco Trainini

A Silent Extinction

Scrive, il regista russo Andrei Tarkovskij: “Non credo che il cinema comporti dei generi, è esso stesso un genere”. Allo stesso modo, l’ectoplasmatico, fantasmagorico Thomas Pynchon travalica ogni possibile catalogazione letteraria per divenire egli stesso un genere. L’Arcobaleno della Gravità non è solamente un’opera mondo, una cattedrale, un’enciclopedia oppure un manifesto del postmoderno; è soprattutto, come direbbe Goethe, un’“opera incommensurabile”. O più semplicemente è un’opera che possiede il raro privilegio di essere diventata, �n dalla sua prima apparizione, un classico. Questo libro analizza personaggi, eventi e tòpoi del romanzo, prelevandoli dall’apparente caos in cui sono immersi e inserendoli in una struttura ordinata secondo i vari mazzi delle carte dei Tarocchi, emblematici dell’opera di Pynchon.

Marco Trainini sta svolgendo un Dottorato di Ricerca in Letterature Comparate presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.

In copertina: Le Bateleur, rielaborazione digitale

€ 10,00[IVA ASSOLTA DALL’EDITORE]

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Marco Trainini

A SILENT EXTINCTION

Saggio su L’Arcobaleno della Gravitàdi Thomas Pynchon

prefazione di

Fabio Vittorini

Milano2010

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© 2010 Arcipelago edizioniVia Carlo D’Adda 21

20143 [email protected]

Prima edizione Marzo 2010

ISBN 978-88-7695-424-5Tutti i diritti riservati

Ristampe:7 6 5 4 3 2 12015 2014 2013 2012 2011 2010

è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fo-tocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

In copertina: Le Bateleur, rielaborazione digitale. Tratta da: Nicolas Convert, Tarot de Marseille, 1761, Marseille.

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Indice

“A Silent Extinction”Saggio su L’Arcobaleno della Gravità di Thomas Pynchon

Prefazionedi Fabio Vittorini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Primo mazzo Le Carte: l’Appeso; il Carro; la Papessa

“L’alba delle speranze”ovvero, come Slothrop si mise al servizio di una Bomba e di ciò che gli accadde . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

“Mio padre sanguina storia”I nomi della paternità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

“Il serpente saggio”La luminosa utopia di Byron, la lampadina . . . . . . . . . . . . . 37

Secondo mazzo Le Carte: l’Imperatrice; la Torre; il Sole

“Le secche ossa del reale”Il Demone-fame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

“Sentenza di esilio”Il sonno triste del cacciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

“Le tempeste degli uomini sono più pericolose delle tempeste degli oceani”

L’apocatastasi del maiale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

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Terzo mazzoLe Carte: le Stelle; la Luna; il Matto

“Confessione di un cuore ardente”1 – Prologo; il discreto ordine di Kurt Mondaugen . . . . . . . 63

“Confessione di un cuore ardente”2 – Epilogo; di come Franz Pokler, Bodhisattva in divenire, percorse le dieci terre che lo portarono verso la luce . . . . . . . 71

“Confessioni di un’anima bella”Il testamento del diabolico Dr. Lang, le incredibili avventure di Plastic-man e l’orgia del sapere . . 81

Quarto mazzoLe Carte: la Ruota della Fortuna; la Forza; gli Amanti

“Dal piacevole al grave”Il viale del tramonto della Divina Greta . . . . . . . . . . . . . . . . 89

La corsa pazza del lemming Ursula e dei suoi fratelli uomini . . . 95

La storia di Roger Mexico, ovvero: “Quanto costa l’amore ai vecchi” . . . . . . . . . . . . . . . . 97

Quinto mazzoLe Carte: il Diavolo; il Mondo; la Morte

“Gli dèi hanno sete”: ovvero; i Divoranti dello Schwarzkommando ricompongono i vasi rotti sotto l’egida dell’Eletto Enzian . . 109

“Il Girone della Merda”Il problema razziale in Gravity’s Rainbow . . . . . . . . . . . . . . . 125

Sesto mazzo Le Carte: l’Eremita; il Papa; la Giustizia

“Sulla più comune degradazione della vita amorosa”Gli Eletti si scoprono Preteriti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137

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Le due leggi dell’universoIl sistema binario in Gravity’s Rainbow . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

Settimo mazzoLe Carte: la Temperanza; l’Imperatore; il Giudizio o l’Angelo

“La prigioniera”Gottfried . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

“La Fuggitiva”Katje Borgesius . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

“Il Tempo Ritrovato”Geli Tripping, la Strega Buona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

La Carta SingolaIl Bagatto

“Cuori disumani”Thomas Pynchon, il tessitore delle notti . . . . . . . . . . . . . . . 187

Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201

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Un doveroso, sincero ringraziamento a: Paolo Giovan-netti, cui questo libro deve la propria esistenza; MarisaChiani e Luciano Duò, per l’indispensabile e preziosoaiuto; Fabio Vittorini, un maestro.

Milano, febbraio 2010

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Introduzione

Fabio Vittorini

Se la nostra vita è incessantemente intrecciata «alle sto-rie che raccontiamo o che ci vengono raccontate, a quelleche sogniamo o immaginiamo o vorremmo poter narrare»,tutte prima o poi «rielaborate nella storia della nostra vita»,che raccontiamo a noi stessi «in un lungo monologo, epi-sodico, spesso inconsapevole, ma virtualmente ininter-rotto»1, l’offerta dominante nel nostro universo narrativo,appannaggio della tv e del web prima che della letteraturao del cinema, confessionale prima che immaginativa, eva-cuativa prima che finzionale (si pensi ai blog o ai talk show,ai reality show ecc.), sembra essere sospinta da una pulsionediffusa e spesso incontrollata a esibire emozioni “imme-diate” e storie “non costruite”, che asseconda la propensionedei media vecchi e nuovi a esorcizzare il senso della media-zione, a dissimulare sotto il manto dello spontaneismo laloro capacità di agire non tanto sul contenuto ideativo dellacomunicazione, quanto sulle strutture generative dei pro-cessi che permettono la formazione e la ricezione delle stesseidee, insomma a nascondere la loro tendenza a farsi essistessi messaggio.

1 Brooks 1995, p. 3.

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Se è vero che l’arte della parola costituisce un eccezio-nale antidoto contro la vocazione pornografica che anima lanarrativa mass-mediale – contro quella ininterrotta «nuvolad’immagini» che, pur dissolvendosi «come i sogni che nonlasciano traccia nella memoria», porta sempre con sé «unasensazione d’estraneità e di disagio»2 – è altrettanto vero che«un’epidemia pestilenziale» sembra avere colpito anche illinguaggio, condannandolo a una «perdita di forza cono-scitiva e di immediatezza», a un automatismo che tende a li-vellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime,astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espres-sive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delleparole con nuove circostanze3.

Così preconizzava Italo Calvino verso la metà degli anni’80 in una «considerazione» che operava nel tempo in modo«inattuale», poiché da un lato cercava «di intendere comedanno, vizio e difetto del nostro tempo qualcosa di cui essoè giustamente fiero», la potenza delle immagini, e dall’altrotentava di agire «contro il tempo e, in questo modo, sultempo e, speriamo, a favore di un tempo a venire»4, indi-cando una possibile soluzione all’«inconsistenza» delle im-magini e delle parole: la «letteratura (e forse solo laletteratura) può creare degli anticorpi che contrastinol’espandersi della peste del linguaggio»5.Le pagine che seguono si muovono nello spazio di inat-

tualità descritto da «quella ridicola e dannosa cosa che si

2 Calvino 1988, p. 59.3 Ivi, p. 58.4 Nietzsche 1993, pp. 337-338.5 Calvino 1988, p. 58.

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chiama letteratura»6, entro il continente sterminato e mu-tevole della narrativa, in cui verrà delimitata una regione in-titolata al suo colonizzatore e unico ascetico abitante,Thomas Pynchon: una regione umida, «solcata da cento ri-voli e che talvolta degenera in palude», una pianura sconfi-nata, «paurosa e amorfa»7, senza altre montagne su cuiarrampicarsi oltre gli otto titoli, dai profili impervi e frasta-gliati, prodotti dal nostro colonizzatore nel corso degli ul-timi cinquant’anni. V. (1963), The Crying of Lot 49 (1966),Gravity’s Rainbow (1973), Slow learner (1983), Vineland(1990), Mason & Dixon (1997), Against the day (2006), In-herent vice (2009). Verrà scelto un posto di osservazione(quello in cui si erge il picco di Gravity’s Rainbow), un luogoda cui tentare di bonificare quella regione impervia per poitracciarne una mappa, dopo avere messo a punto un me-todo plausibile ed efficace che permetta di formalizzare ognipossibile configurazione lineare della sua superficie e di ri-produrre in una stereografia controllata ogni suo ritrarsi osporgersi, tutte le permanenze e le variazioni, le uniformitàe le irregolarità, le proporzioni e le asimmetrie, ciò che èprevedibile e ciò che è sorprendente, le norme e gli eccessiche la caratterizzano. Col risultato sorprendente che lamappa di quella regione, se guardata in controluce, finiràper assomigliare alla facciata di una casa molto speciale,quella descritta da Henry James nella prefazione a The Por-trait of a Lady:

La casa del romanzo [The house of fiction], insomma, nonha una finestra, ma un milione, un numero incalcolabile dipossibili finestre, ognuna delle quali è stata aperta, o può

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inTroduzione

6 Svevo 2004, p. 736.7 Forster 1991, p. 21.

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ancora essere aperta, sull’ampia facciata, dalla necessità dellavisione individuale e dalla pressione della volontà. Poichéqueste aperture, di forma e di misura differenti, si affaccianotutte sulla scena umana, ci saremmo aspettati, da esse, unavista molto più uniforme di quella che troviamo. Soltantonel migliore dei casi sono finestre, altrimenti si tratta di sem-plici fessure sconnesse, collocate in cima a un muro cieco,non certo di porte che, girando sui loro cardini, si apranodirettamente sulla vita. Ma possiedono, tutte, una caratte-ristica particolare: a ciascuna di esse c’è una figura con unpaio d’occhi, o almeno con un binocolo, che costituisce,ogni volta, uno strumento unico per l’osservazione, in gradodi assicurare, a chi ne faccia uso, un’impressione distinta daogni altra. Lui e i suoi vicini guardano lo stesso spettacolo,ma uno vede di più dove l’altro vede di meno, uno vedenero dove l’altro vede bianco, uno vede grande dove l’altrovede piccolo, uno vede grossolano dove l’altro vede raffi-nato. E così via di seguito. Per fortuna, non è possibile sta-bilire su cosa, per ogni specifico paio di occhi, la finestranon si apra: la «fortuna» sta appunto nell’incalcolabilità delraggio.8

La scrittura di Pynchon, animata da un’euresi inesaustae vertiginosa, tenta di aprire tutte insieme le infinite possi-bili finestre affacciate sulla scena umana dalla parete prin-cipale della house of fiction. Sporgendosi da quelle finestre eservendosi dei loro binocoli rovesciati, i narratori di Pyn-chon scrutano minutamente la frazione di realtà più o menoestesa che cade sotto la loro vista, nel tentativo di assicurarsie assicurarci «un’impressione distinta da ogni altra». Quellenumerosissime frazioni si ricompongono in unico infinito

8 James 1984, p. 1075.

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racconto, «fradicio d’umanità»9 come ogni racconto e ca-pace di colmare la mente «di una fantasmagorica, sfrenatadanza di immagini»10, che, con i suoi eccessi e le sue verti-ginose trasparenze, finisce per impedirci di registrare la re-altà «come una continuità inconsapevole, tradizionale»11,sottraendola definitivamente «all’automatismo della perce-zione»12 e, per dirla con Don DeLillo, al carattere «subreale»del linguaggio mediatico, per consegnarla una volta pertutte ai processi «cosmetici»13 e restitutivi della parola lette-raria.

BROOKS, P.

1995 Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo (1984),Torino, Einaudi.

CALVINO, I.

1988 Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mi-lano, Garzanti.

DELILLO, D.

1999 Underworld (1997), Torino, Einaudi.

FORSTER, E.M.

1991 Aspetti del romanzo (1927), Garzanti, Milano.

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inTroduzione

9 Forster 1991, p. 37.10 Stevenson 1982, p. 1851.11 Šklovskij 1976, p. X.12 Ivi, p. 13.13 DeLillo 1999, p. 163.

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JAMES, H.

1984 Preface to The Portrait of a Lady (1908), in Id., Literary Criti-cism, ed. by L Edel, New York, The Library of America, vol.II.

NIETZSCHE, F.

1993 Sull’utilità e il danno della storia per la vita. ConsiderazioneInattuali, II (1874), in Id., Opere 1870/1881, Milano, New-ton Compton.

ŠKLOVSKIJ, V.

1976 Teoria della prosa (1925), Torino, Einaudi.

STEVENSON, R. L.

1982 Una chiacchierata sul romanzesco (1882), in Id., Romanzi Rac-conti e Saggi, a cura di A. Brilli, Milano, Mondadori.

SVEVO, I.

2004 Pagine di diario, a cura di C. Bertoni, in Id., Racconti e Scrittiautobiografici, ed. diretta da M. Lavagetto, Milano, Monda-dori.

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A mia madre e mio padre

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A SILENT EXTINCTIONSaggio Su L’ARCoBALeNo DeLLA GRAVITà

di ThoMaS Pynchon

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Primo mazzo

Le Carte:

L’Appeso; iL CArro; LA pApessA

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“L’alba delle speranze”: ovvero, come Slothrop si mise al servizio di una

Bomba e di ciò che gli accadde

Per me, le disgrazie di Birotteau sono ledisgrazie dell’umanità.

Honorè de Balzac

Nelle cose divine, e in quelle umane, c’ègran disordine.

Euripide

Nel 1635, oppure nel 1634, William Slothrop decise diraggiungere il Nuovo Continente per avviare la propriaopera di predicazione religiosa. Durante la lunga, stremante,traversata il sonno sorprese spessissimo la mente del giovaneuomo; forse, in uno degli innumeri sogni, un’aquila, rapida,lo rapiva per condurlo verso il sole, fin che “parea che ella eio ardesse” 1. Svegliatosi di soprassalto, William scopriva diessere nuovamente in vita, avvolto da un sole abbacinante:fortuna, questa, purtroppo non occorsa alla sua giovane di-scendente, Amy Spure. In una afosa giornata del giugno1692, mentre stava morendo d’una lenta impiccagione,condannata per eresia e atti satanici, alla giovane parve d’ad-dormentarsi; allora la folla, accasciata sotto il patibolo, sitrasformò nella singola presenza di una donna che, mu-tando dopo poco in una putrida sirena, le si avvicinò e la

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1 Alighieri, Purgatorio, Canto, IX, v. 31.

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“svegliò col puzzo che n’uscia” 2. Ridestatasi, la genuina stregadi Salem si trovò morta senza alcuno dei dubbi che, invece,straziavano il tenente Tyrone Slothrop, suo giovane discen-dente, riverso sul suolo della fantomatica Zona, la Germa-nia occupata dalle truppe sovietiche, continuamentesommerso da ondate di sonno infetto perché, slothropia-namente, s’avventurò a bere acqua non bollita.

Senza dubbio alcuno, è una famiglia bizzarra quella del-l’eroe Slothrop. Il primo esemplare, “the very first” 3, padrefondatore di cui si registrano le tracce, è proprio William:dove il suo corpo mortale giace, privo oramai della vitale edinarginata forza che lo spinse verso viaggi ed avventure, sipossono leggere queste profetiche parole, incise, e già con-sunte dal dente del tempo, su di una lapide: “Death is a debtto nature due/Which I have paid, and to must you” 4. Simula-cro ammonitore di questa basilare lezione, una mano, dif-ficilmente quella di un dio annullato dallo stridente debitonaturale appena affermato, fuoriesce da una nuvola, “ero-ded by 200 years of seasons’ fire and ice chisels at work” 5. Al-trettanto beffarde saranno le parole che sovrastano la lapidedi Mrs. Elizabeth Slothrop, fedele e devota moglie di Isaiah:“Mark, Reader, my cry! Bend thy thoughts to the sky!”6: che

2 Ivi,Canto, XIX, v. 33.3 Pynchon, 1995, p. 27: “il primo in assoluto”, Pynchon, 1999,

p. 40.4 Ivi, p. 26: “La morte è un debito che/alla natura si deve pagare,

/io l’ho fatto, ora sei tu/che lo devi saldare”, ibid.5 Ibid: “dopo duecento anni, appaiono erosi, cesellati dal fuoco

e dal ghiaccio delle stagioni”, ibid.6 Ivi, p. 27: “Nota il mio grido, o Lettore! Volgi i pensieri al

cielo.”, ivi, p. 41.

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sia, questo cielo, dimora dell’“ortolano etterno” 7 oppure dellaBomba, poco importa. Un ultimo epigramma, nuovamentee fortemente slothropiano, sono le parole, indebitamenteed artatamente rubate a Emily Dickinson, che il nonno del-l’ultimo Slothrop, Frederick, sceglie come atroce pegnodella condizione umana: “Because I could not stop forDeath/He kindly stopped for me” 8. Dei genitori del giovaneTenente, ben poco ci è dato sapere: Nalline, la madre, per-sona sempre lieta nel vedere i giovani uniti in un diverti-mento spensierato, scrisse una lettera a Kennedy; Broderick,il padre era invece noto per essere pervaso da profondo odioverso FDR.

Questi sono quattro tra i foltissimi rami dell’albero dellafamiglia Slothrop; albero che immerse le sue radici, cosìcome famiglia che pose i pilastri della sua essenza, della ric-chezza, cioè del suo potere, nelle tre Verità americane: “shit,money and The Word” 9. Dopo aver affrontato, con esitocolmo d’uno sfrontato successo, varie e varie mansioni, in-fatti, gli Slothrop, perfetta incarnazione, in quanto non no-bili né tanto meno austeramente importanti, del mitologicoe narrativamente permeante Sogno Americano, decisero diinvestire in boschi da legname: acri ed acri di lussureggiantie selvaggi alberi vennero trasformati nella loro assordantecaduta in carta igienica, carta da banconote e carta da gior-nale. La mobilità sociale d’America, transustanziatasi inquesti tre attributi, aveva così trovato nella famiglia degliSlothrop un vitale ed eutrofico fautore del destino del paese;

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PriMo Mazzo. Le carTe: L’aPPeso; iL carro; La PaPessa

7 Dante, Paradiso, Canto XXVI, v. 65.8 Pynchon, 1995, p. 27: “Poiché la morte non potei aspettare/Lei,

gentilmente, aspettò me.”, Pynchon, 1999, p. 41.9 Ivi, p. 28: “la merda, i soldi, il Verbo”, ibid.

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eppure, presto, come un vago malessere, un fattore deter-minante rivelò l’inadeguatezza degli eventi.

Il gelido epitaffio di faulkneriana memoria, “They endu-red” 10, non trova eco alcuno nella intricata genealogia slo-thropiana: “But they did not prosper…” 11. Quando tutti, gliuomini ed ancor prima i teocratici interessi economici, co-minciarono a spostarsi verso il mitologico Ovest, gli Slo-throp furono colpiti da una “reasoned inertia” 12, mortalemalattia che li forzerà a bloccarsi nell’impassibile Est, de-cretandone la fine, silenziosa e fossilizzata caduta dimenticadei numerosi alberi precipitati. Iniziano così, nel Bildun-gsroman del giovane Tyrone, gli anni cupissimi della nerapovertà, quando invidia, ammirato ed ammaliato, la ric-chezza sfrontata dei cugini: eppure, giunta la soglia della etàadulta, nella zona di crepuscolo dell’adolescenza, anche ilfuturo Tenente varcherà il confine della prestigiosa, e co-stosissima, università di Harvard.

Come ciò sia stato possibile è presto spiegato, e pure lo-gicamente: Broderick, solerte padre, decise di vendere il fi-glio, per la pattuita somma di $ 5000, al Dottor Lazlo Jamf,di pavloviana scuola. Evidentissimi, in questa ombrosatrama, sono gli intenti di Pynchon di ricalcare le mosse checondussero Shakespeare nella costruzione del suo Troilo eCressida. Laddove, sotto lo svelamento del reale oppure lacaduta del mito, era a precipitare la mitologia della guerratroiana narrata nelle omeriche memorie, qui si trova l’atrocecessione della vita della figlia Ifigenia da parte del padreAgamennone, per poter, finalmente, ottenere la vittoria

10 Faulkner, 2006, p. 1141.11 Pynchon, 1995, p. 28: “Tuttavia non avevano mai raggiunto la

prosperità…”, Pynchon, 1999, p. 41.12 Ibid: “qualche forza d’inerzia calcolata”, ivi, p. 42.

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nella stanchissima guerra. “Capisci? Sono stato svendutosolo per una laurea ad Harvard!”: così, un incredulo Slo-throp in Tauride ad una attonita Diana.

Il Dottor Lazslo Jamf, d’altra parte, non pretendeva poimolto: immobile nell’ossessione di continuare la missionedell’amato e compianto maestro, avrebbe inserito nella de-scrizione dello studio stimolo/risposta un elemento cosìsemplice, essenziale, che anche l’ultimo dei suoi studentinon avrebbe faticato a registrare: una erezione, causata, nellospecifico, da una speciale lega plastica appositamente creata,l’Imipolex G. Il povero Slothrop, da buon schlemiel qual è,dovrà faticare non poco per apprendere questo apocrifo ca-pitolo della sua entropica esistenza.

Schlemiel e picaro; questi sono gli elementi chiave delladicotomia slothropiana. Picaro è colui che muove, fisica-mente e psicologicamente, verso un centro, d’una ricca elussureggiante capitale oppure d’un delicato equilibrio in-teriore, ponendo una precisa terminazione ad un vagare e adun cercare affannati; schlemiel è, idea fondativa dell’interoimpero-Pynchon e dei sudditi suoi tutti, da Benny Profanee Stencil in V. a Oedipa Maas in The Crying of Lot 49, daMason e Dixon dell’omonimo capolavoro a Zoyd Wheelerdi Vineland, una parola inesistente nel nostro linguaggio,perfettamente resa da Leo Rosten come distintivo di unuomo impacciato, goffo, dalle dita fatte di burro, oppure, diuna persona, sempre ed in qualunque luogo, fuori posto,fatalmente inadeguata.

Slothrop è schlemiel: tal volta timidissimo, tal altra im-pacciato e inadatto, come già Benny Profane in V., di fronteagli oggetti del reale che lo assalgono e debilitano, fin al-l’oggetto, la Bomba, che diverrà il pilastro della sua osses-sione, comunque sempre intriso di una disarmantesemplicità, pura ingenuità sedimentata dal Myskin di Do-

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stoevskij, controstoria della ferale malvagità imperante nel-l’umanità; il suo sguardo, limpido ed inconsapevole, èquello di un bambino che osserva, arrancando nel com-prenderli, gli eventi del mondo.

È sì picaro; però un picaro mancato. La tipologia onto-logicamente europea del romanzo picaresco è, seppure to-talmente negata, accentrata nel nucleo di Gravity’s Rainbow:ad un moto centripeto geograficamente effettivo – dallaGran Bretagna si muove, prima, verso la Francia e, poi,verso la Germania, a Berlino, cuore di un’Europa umiliataed annichilita – si contrappone un’effettiva dispersione en-tropica dell’azione, un vacuo, tristissimo, sfaldarsi di un ob-biettivo concretizzato nella sua totale negazione. Il TenenteSlothrop deve avere seguito, carattere dell’ereditarietà, l’iner-zia passata della sua famiglia biologica che scelse di nonmuoversi verso l’Ovest: Lazarillo, picaro topico, raggiungequella maturità apicale, registrata nelle pagine finali del La-zarillo de Tormes, che sarà negata a Tyrone.

Personaggio “Così informe, molle ed acquatico” lo defini-rebbe Citati 13, oppure ancora nuvola proteiforme, comel’Antonio shakespeareano si definisce in uno stanco sus-surro; ma ancor di più, mentre ci addentriamo fascinati dal-l’architettura di possenti pagine, Slothrop ci appare comepurissima maschera stendhaliana. Fatichiamo nel com-prendere che in realtà Pynchon non è una reincarnazione al-lucinata e disinibita del maestro, così come il giovanetenente non lo è dei suoi svariati contubernali francesi.Come Lucien Leuwen, Slothrop è eroe per eccellenza dellacaduta; come Julien Sorel o Fabrizio continuamente cambiaidentità – Ian Scufflin, Max Schlepitz, Rocketman, – eforma, e colore, delle sue vesti – camicia hawaiana, lenzuolo

13 Citati, 2005, p. 881.

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viola, smoking, vesti di Tchitcherine, costume di Rocket-man e di Plechazunga – strumenti eccellenti per adeguatamimesi sociale e comportamentale. Slothrop e le innumerimaschere stendhaliane, pur essendo il primo privo del-l’egotismo che scuote i secondi, sono golem di carne chevincendo una naturale tensione per l’accidia precipitanoverso l’azione del mondo; cercano, lottano, graffiano, so-spirano e pur tuttavia sono destinati a rimanere esuli chevagano intrappolati in una terra a loro incomprensibile.

Veniamo condotti, nelle primissime pagine del libro, allento sgocciolare della Seconda Guerra Mondiale. Tyrone,ora divenuto Tenente dell’Esercito Americano, è intrappo-lato in una serie di erezioni, apparentemente inspiegabili;questo perché accorso un errore nel processo di cancella-zione dello stimolo durante la sua svenduta infanzia e,anche, perché nella costruzione della ferali bombe V2 vieneutilizzato l’Imipolex G. Naturalmente, tutto ciò è ignotoallo schlemiel, che inizia così una quest personalissima chelo forzerà nello scoprire il suo passato e stanare ciò che perlui sarà Vello d’oro, Graal, Moby Dick: il Missile quintuplozero, lo 00000.

Se soltanto Semyavin, astuto e gelidamente iracondomembro del mercato nero di Zurigo, avesse ascoltato la du-chessa Sanseverina affermare che il denaro è l’unica veritàdel mondo, certamente avrebbe smentito la nobildonna;con parole, determinate ed implacabili, le avrebbe spiegatoche le informazioni sono ancor più veritiere della moneta.Tutto quanto, il mondo intero come gli affari di uomini edonne, ruota attorno alle informazioni: la fame, demonica,inarginabile, s’è accentuata ancor maggiormente in questivuoti giorni di guerre, divenendo pura dipendenza. Ma Ty-rone, come già Oedipa Mass in The crying of lot 49, è to-talmente soggiogato dalla sua paranoica ossessione per poter

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cogliere, e conservare, queste cupe parole, epifania rivelatada un improponibile psicagogo. Già è spinto, da convulsavoracità ed irrefrenabile impulso contrario all’etimologiastessa del suo nome e della famiglia – sloth; pigro, accidioso– verso altre informazioni, sempre più accurate ed appro-fondite, sempre registrate su carte catalizzatrici, al pari diquelle plasmate dai suoi avi, di luminose verità.

Eccolo, sopravvivere ad un incredibile attacco da parte diGrigori, fatale e parossistico polipo addestrato; incontrare,ed innamorarsene magicamente, di una splendente stregache lo ammalia con la sua voce da sirena; fuggire, perfettoeponimo di Buster Keaton, su una mongolfiera tra lanci ditorte da slap-stick; vestire i panni, come nella sua imagini-fica infanzia, di un super-eroe, Rocket-Man; imbarcarsi inun battello nominato Anubis, nel quale strane pratiche ero-tiche e comportamentali prendono forma; lievemente sof-fermarsi a parlare con Ludwig, un bimbo in cerca del suoamatissimo lemming Ursula.

Tutto pare procedere per il meglio, la meta comunqueraggiungibile: Der Springer, fantomatico oligarca del Mer-cato Nero che è in realtà il regista favorito del Reich, Ger-hardt von Göll, promette a Tyrone nuove carte che possano,finalmente e limpidamente, svelargli il segreto, nuova fra-zione della inseguita verità. Eppure, nella vasta ed intricatameccanica del mondo, qualcosa arrugginisce: Slothrop, im-provviso, giunge alla fase Brennschluss.

Per il missile è la fine della combustione, corrispondentealla cessata emissione di propellente; per il César Birotteaubalzachiano è il ballo, costosissimo, che l’ambizione imponeall’accecato mercante di erigere; per Mastro don Gesualdoè il fuoco che divampa, nottetempo, nella sua amatissima,pregiata dimora, epitome del prossimo crollo; per Slothrop,tutto è più lineare e complesso nello stesso tempo. Già du-

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rante l’epoca dell’Anubis, l’eroe americano aveva incomin-ciato a percepire una strana sensazione: pareva che il suocorpo si assottigliasse. La sua individuale persona, lenta-mente, ha iniziato una scissione irrevocabile; col passare deltempo, ebbe inizio un processo che consumò, sezionandolo,il suo singolo essere, forse destino comune all’ uomo ed alromanzo moderno. Slothrop, divenuto un albatros, si sca-glia in frammenti che rispecchiano la forza entropica chesottende il mondo e le sue azioni; l’eutimia, fattore deter-minate nella formazione dell’Eroe Americano, in questocaso clinico è negata. Il fatto che un precedente fu già evi-denziato nella persona del Prete Cattivo in V., risulta co-munque certamente poco consolatorio per l’interessato.

“Io mi disfo in mille pezzi e questi vanno subito a pen-sare alle sorti dell’umanità o del moderno romanzo!”: cosìuno Slothrop che, destrutturato e denuclearizzato, prolun-gato il suo soggiorno in Aulide, si rivolge ad una sempre piùstupefatta Diana.

Fin dalle prime pagine, ci viene donata, senza che nem-meno abbiamo il tempo per capire, la chiave di lettura finaledell’eroe: Tyrone Slothrop è, in primissimo luogo, una scri-vania; il tavolo, posto sotto la mappa delle donne/stelle delTenente, sulla cui superficie sono accumulati, accatastati,fagocitati, i detriti, le memorie di una sola esistenza, divienefulgente vaticinio della forma finale del Tenente americano,forma che si rifletterà in incarnazioni faticosamente calco-labili. “Inetto a vivere come a morire” 14, affermerebbe un ras-segnato Duca, ancora sotto le vesti false di frate, nel Measurefor Measure shakespeareano.

14 Shakespeare, Misura per misura, IV, iii, v. 64.

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Colui che appare al termine dello “Slothrop’s Progress” 15

non è più triste e più saggio come l’ospite nel Rime of theAncient Mariner ma piuttosto come un bambino, al paridella Paulina ritratta da Charlotte Brontë con immagine fer-vente, in procinto di abbandonare una casa conosciuta peraddentrarsi in un mondo ignoto e difficilmente compren-dibile: nelle orecchie di Slothrop, di ciò si può esser certi,non risuoneranno le parole “Hope smiles on effort!” 16.

15 Pynchon, 1995, p. 25: “uno Slothrop’s progress”, Pynchon,1999, p. 38.

16 Brontë, 2003, p. 206.

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“Mio padre sanguina storia”I nomi della paternità

Io sono vivo, e di questo non ho colpa:bisogna dunque tirare avanti e vivere inqualche modo, il migliore possibile, senzadar fastidio a nessuno, fino alla morte.

Lev Tolstoj

C’è altro da dire? No. Solo che in cuore allacasa s’ammucchia male su male.

Eschilo

Se Vaslav Tchitcherine, “the political eye” 1, avesse potutostudiare il volto della donna, china su documenti, carte efogli pregni della memoria registrata, persa nell’ossessione disapere, di poter ricostruire le linee determinanti di una vita,come egli fece per Enzian suo mitico fratellastro, avrebbecertamente riconosciuto, in quei tratti smussati dal tempoe dalla fatica, l’antica collega Galina: forse, tutto ciò è solouno stanco sogno di uno stanco guerriero, oppure cosa re-almente occorsa.

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1 Pynchon, 1995, p. 338: “la spia politica”, Pynchon, 1999, p.436.

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La ricordava ancora, cupamente fusa nella memoria,quella lontana, sperduta era della gloria staliniana: entrambierano in missione in una ignota regione dell’Asia Centrale,“a remote “bear’s corner” (medvezhy ugolok), out in the SevenRivers country” 2, in luoghi che mai avrebbero potuto im-maginare, remoti ed inesistenti per la loro grande terra pa-tria ed i suoi abitanti, dove si sarebbe potuta trovare “end ofthe world” 3; Galina, con il passare dei giorni, aveva inco-minciato a dimenticare la forma delle città così come l’avevaconosciuta, immersa in una realtà a tratti inconcepibile.Tchitcherine pareva invece non possedere alcun ricordo spe-cifico da poter perdere: entrava, tal volta, nella grande auladella scuola in cui Galina svolgeva il ruolo di maestra e la os-servava, silenzioso, per poi scomparire; certamente nonavrebbe mai ricordato quella donna, quel volto e quel corpodi grazia femminea, anzi l’avrebbe dimenticata come si di-mentica “the shape of an alphabet” 4. Circolavano voci, di natura ed attendibilità varia, sui

reali motivi che lo costrinsero in ciò che non era, e allostesso tempo era più, di un esilio o della morte, “but a thin-ning out of career possibilities” 5: nei sontuosi palazzi del po-tere moscovita, Vaslav era divenuto prediletto di unastupenda cortigiana dalle lunghissime gambe quotidiana-mente depilate, determinando così il furore, sommesso mainarginabile, di invidie ed odi in persone difficilmente pla-cabili. Poi vi era la sua comprovata amicizia con il mitico

2 Ibid: “una postazione remota, il cosiddetto ‘angolo dell’orso’(medvezhij ugolok) nella regione dei Sette Fiumi”, ibid.

3 Ivi, p. 339: “la fine del mondo”, ivi, p. 437.4 Ibid: “la forma di un alfabeto”, ibid.5 Ivi, p. 343: “Semplicemente, aveva compromesso le sue possi-

bilità di far carriera”, ivi, p. 443.

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Wimpe, venditore capo della Ostarzneikunde GmbH, sus-sidiaria della IG Farben, che tra le altre tante cose, creòanche l’Imipolex G; pareva esistessero interi dossier gonfidelle fervide discussioni che il soldato ed il dottore consu-mavano sul reale traffico di dolore su cui si pone la facoltàmedica, sui metodi di placarlo senza creare dipendenza,sugli uomini, le macchine nelle industrie e le automobili.Ma tutte queste erano solamente dicerie: qualunque

fosse stata l’origine del peccato, il peccatore scontava, cer-tamente amareggiato, il suo castigo vagando per la desolataterra accompagnato da un maestro di scuola locale, il kir-ghiso Dzaqyp Qulan; vagava, forsennatamente ed implaca-bilmente, alla ricerca della Luce dei Kirghisi, ricerca che lorendeva ridicolo o pazzo agli occhi di taluni abitanti di vil-laggi, che, increduli, non capivano come nel mondo occi-dentale la gente potesse consumare la propria esistenza nellavolontà di trovare un calice, una balena oppure un missile.Galina non riuscì a capire: la leggenda, vecchia quanto larazza degli uomini, narra che chiunque veda la Luce divienecieco, colpito dalla insostenibile bellezza; Tchitcherinel’aveva forse accarezzata, quella mitologica luce – senza peròraggiungere la sua Nascita, il Centro – ma non aveva per-duto la vista.Eppure Vaslav era stato inviato in quelle terre senza con-

fini con un preciso intento: quello di donare un alfabetoalla popolazione locale chirghisa. Ricordava, quella deter-minata donna che incominciava a provare strani sentimentidifficilmente codificabili verso il compagno di missione,l’episodio della lotta dei nomi tra Tchitcherine e Igor Blo-dadjian, un rappresentante del partito del prestigioso Co-mitato G, e dello scherzo eretico. Giorni prima qualcunoavevano segato, e poi meticolosamente e maniacalmenterincollato e riverniciato, le gambe delle sedie sulle quali la

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mattina successiva si sarebbe tenuta una conferenza, cre-ando così un effetto di caduta più che immaginabile: loscherzo appositamente ideato da Vaslav per vendicarsi del-l’affronto ottenne invece un esito piuttosto problematico.Nella notte, silenzioso ed implacabile, iniziò a traslitterarela sura iniziale del Corano nelle lettere occidentali che avevaportato in dono a quelle lontane popolazioni, il Nuovo Al-fabeto Turco, firmando con il nome dell’avversario i foglidistribuiti la mattina successiva. Si ottenne così una impre-vista resa eretica, di sicura involontaria apostasia: ore lun-ghissime e tediose furono spese per sanare l’errore. Vaslavpareva possedere una sorta di astiosa incongruenza con leparole.Galina comprendeva perfettamente che il problema ba-

silare di questo disomogeneo e frantumato nucleo famigliareera quello che sottende, meno romanticamente dell’idea co-munemente erronea di un eterno legame, Romeo e Giulietta,quello cioè del nominare, atto e potere terrificanti. Già nelPopol Vuh, la più antica forma di cosmogonia scritta chel’umanità porta in eredità, gli dèi, continuatamente ed af-fannosamente, crearono esseri, prima artifici d’argilla poinella umana forma, con il preciso e determinatissimo scopodi essere sì pregati, venerati, ma ancor prima nominati. Va-slav doveva donare a quelle remote popolazioni dei nomi,così come suo padre fece con lui ed il suo fratellastro, inloro intrisa una comune, determinante qualità spermatica.Il padre fu cannoniere a bordo della Suvorov, la nave am-miraglia della flotta capeggiata dal mitico ammiraglio Ro-zhdestvenski e diretta, nel dicembre del 1906, verso le costeafricane sudoccidentali; durante una sosta forzata nella baiadi Luderitz il vecchio Tchitcherine conobbe una donna, dalcolore della pelle uguale a quello della notte, la amò, per ilpoco tempo che gli era concesso prima di far ritorno alla

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sua famiglia dalla pelle del giorno. Si amarono sussurran-dosi poche parole, le rare che riuscirono ad appassire du-rante il loro istante di coppia, poi se ne andò, scomparendonella nebbia dell’oceano e della memoria dopo aver donatoun nome, scritto su un foglio, al figlio che la donna ora cu-stodiva nel suo ventre.Nuovamente conduttori di verità, informazioni e sogni,

sono le parole a svelare a Vaslav l’esistenza di questo bimbo,ora divenuto uomo e suo parente forzato, Oberst Enzian:nell’Archivio di Kiev, scoprì la vita di questo suo fratellodelle tenebre. Arrivò così il tempo della Zona; officiosa-mente presente, in una Berlino devastata ed annichilita dallebombe che anche sul finire della guerra continuavano a sci-volare dal cielo, come membro dello TsAGI, Istituto Cen-trale di Aereo-Dinamica a Mosca, in realtà, “Tcitcherine’smotives are not political” 6. Destino di esseri superiori e ma-gnifici, è quello di possedere una loro naturale controparte,una nemesi che ne obliteri l’effettiva esistenza, che ne con-segni una limpida concretezza nella feroce, talvolta mortale,lotta generatasi. Nella saga, antichissima ed ipnotica, di Gil-gamesh, al fatale sovrano della città di Uruk, gli dèi con-trappongono un essere selvaggio ed inumano, cui vienedonato il nome Enkidu, che gli diviene nemesi. Gilgameshed Enkidu furono, poi, amici, fratelli; tutto ciò che la mentedel soldato russo non poteva nemmeno sfiorare. InseguivaEnzian, come fece negli anni del suo esilio feroce con laLuce dei Kirghisi, tracciando nuovamente le sue orme comeimplacato cacciatore, per annichilire, sconfiggendolo, il du-plicato del suo nome creato dal padre.

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6 Ivi, p. 337: “Tchitcherine non è animato da motivi politici”,ivi, p. 435

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Ma forse, pensava Galina nelle fredde albe della memo-ria, il problema più profondamente radicato era di naturarazziale: nel vortice mesmerico di storie che è Assalonme, As-salonme!, Henry Sutpen argina, attraverso la violenta morte,le intenzioni di matrimonio tra la sorella Judith ed il fratel-lastro Charles de Bon, smosso non tanto dal fattore ince-stuoso intriso nella futura unione, quanto piuttosto dallarivelazione che in Charles vi siano tracce di sangue nero.Galina si domandava se le sorti di Vaslav ed Enzian sareb-bero state identiche se identico fosse stato il colore della loropelle, se l’uno non si fosse eretto come “a black version of so-mething inside himself” 7.L’ossessione per questa ricerca divorò, avida ed insonda-

bile, la mente del soldato un tempo amato da divine corti-giane: Vaslav comprendeva il Tenente Slothrop, necondivideva la ferale linfa che, arida, li animava. Forse, pen-sava tra se stesso ad alta e roca voce, in altre occasioni, altrevite ed altri mondi, tra loro due sarebbe potuta sorgere unaprofonda amicizia. Solamente la magia, elemento di natura sovrumana,

potrà risolvere e sopire l’epica dei due fratelli; stravolti dallebattaglie e dall’affannoso correre, infine, Vaslav ed Enzianincroceranno le loro strade, sfiorandosi, senza nemmeno ri-conoscere le proprie esistenze trasportate da stanchi, soffusivolti, e parleranno tra loro, in uno storpiato accento tede-sco, di un mezzo pacchetto di sigarette americane e di tresacchi di patate. Il loro futuro, quello invece rimarrà un mi-sero mistero.Quando giunge la notte e la fine dei ricordi, Galina ri-

vede ancora, infine, il corpo di Vaslav, testimone straziato diuna persona così unica. Sopravvissuto malamente a conti-

7 Ivi, p. 499: “una versione nera di se stesso”, ivi, p. 638

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nue ed inutili lotte, le sue carni, dai denti al pomo d’Adamofin le ginocchia, sono state assemblate, misteriosamentefuse, con pezzi di metallo, acciaio purissimo che lo rendonoora un cyborg, protervia d’essere ibrido ed ignoto. Mentreparla, o cammina o sussurra, risuonano inumani gli echi,mesti e rapidi o liquidi e protratti, dell’intervento di quat-tro ore che lo rese non più solamente umano ed oltrel’umano, iniziandolo alla sua “bodyhood of steel” 8. Galinaforse sogna, addormitasi sogna un essere con strano volto edantropomorfa forma, che, atroce, le dice di chiamarsiSHROUD e di essere semplicemente “what you and every-body will be someday” 9.

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8 Ivi, p. 702: “corporeità d’acciaio”, ivi, p. 895.9 Pynchon, 1999, p. 304: “quello che tu e tutti gli altri sarete un

giorno”, Pynchon, 1992, p. 354.

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“Il serpente saggio”La luminosa utopia di Byron, la lampadina

…progettando morte per coloro che vivono.John Milton

Voi non errate sul ciglio dell’ abisso, ma vigettate giù a capofitto.

Fëdor M. Dostoevskij

Illustri Signori dell’Accademia!Mi avete donato l’inutile opportunità di porgerVi una

dettagliata relazione su come mi vidi imposta un’esistenzacreata dagli esseri umani; per tanto non sprecherò troppepagine nel narrarVi la mia vita, cioè di Byron, la lampadina. Venni fabbricata, forse a causa di un errore occorso nel

Paradiso delle Lampadine Bebè che decide della Nascita eMorte delle suddette, nella Osram di Berlino; come tantis-sime tra la schiera incalcolabile delle mie sorelle, incomin-ciai, e continuai, a bruciare e produrre luce. Però, IllustriSignori: mentre le altre lampadine terminavano il loro de-terminato ciclo vitale, io non rispettavo questa legge, nonscritta ma inviolabile; raggiunte le 600 ore consecutive di lu-minosità, io capii di essere immortale, ed insieme alla mia,ora inutile, persona lo comprese anche Phoebus, che altronon è se non il cartello internazionale che controlla le lam-padine. Un errore qual io sono era un terrore per l’onnipotente

e terrificante Cartello P., per tanto, una volta accertata la

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mia eterna vitalità, fui posta in un laboratorio, nell’oscuraattesa di essere distrutta: ma venne un giorno, un monellodella Vostra razza di cui non rimembro neppure il nome,che mi sottrasse al mio destino. Dopo questo furto, cominciai a vagare, trasportata sem-

pre dalla mani dei Vostri pari, per territori variegati. Ed in-contrai, Illustri Signori di questa insigne Accademia, varietipologie di esseri umani che, se mai avessi avuto dubbi chein tal proposito m’oscurassero la ragione, mi confermaronola perversa natura insita nella lezione di antropologia cheVoi vi portate appresso: Vi bastino come esempi, un insigneindustriale con la fervida passione di farsi avvitare, da unagiovane e bellissima prostituta adeguatamente ripagata, unalampadina incandescente nell’ano, ed ancora un luteranodissidente che amava travestirsi in costume romano per poiammirarsi in fronte allo specchio.In questo diasporico moto, rifulgevano le ombre degli

agenti di Phoebus incaricati di stanarmi; e tutto questo, Il-lustri Signori, per un motivo puramente politico. Oltrel’immortalità, già di per se stessa elemento determinante dipreoccupazione, se ne aggiunse pure un altro, quello dal-l’epifania che seguì la cognizione della mia eternità: la Ri-voluzione delle Lampadine, il nostro Grande Balzo inAvanti. Gli esponenti della Vostra razza, e mi azzardo ad ag-

giungere anche Voi Illustri Signori, pensano d’essere il cen-tro unico dell’universo tutto: uccidete, distruggete,violentate, create armi e morte. Nel vostro delirio di onni-potenza siete arrivati a costruire elementi, noi lampadine,atti a sovvertire i ritmi della natura: se gli altri esseri del pia-neta terra dormono quando calano le tenebre, cosa mai viblocca nell’imitarli? La mia iniziale idea era quella di orga-nizzare un giorno, il nostro Grande Giorno, in cui milioni

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e milioni di lampadine avrebbero lampeggiato all’unisonoin un monito da voi umani difficilmente cancellabile: laLuce dei Kirghisi, che non dubito Voi conosciate, sarebbeallora divenuta come “the ass end of a firefly” 1.Altri piani, lentamente sorgevano in me: attraverso le fre-

quenze da noi emesse, “above and below the visibile band” 2,avremmo potuto penetrare attraverso l’occhio di voi umaniaddormentati, operando tra i vostri sogni ed i vostri pen-sieri. In breve tempo, ciò che si pensa essere il massimo gra-dino della scala evolutiva sarebbe stato soggiogato sotto ilnostro totale controllo, Zeus che divora Crono.Ma tutti quanti i miei progetti di evangelizzazione si ri-

velarono impotenti e privi del fattore spermatico che neces-sitavano. Mentre continuavo nel raccogliere fervidamenteinformazioni su come al meglio attuare la Rivoluzione, i mieitentativi di illuminare le mie compagne furono inutili; cre-detemi, Illustri Signori, io provai e riprovai, ma tutto era in-sensato. Divorate dal Sistema di Phoebus, mi ascoltavano,quando ciò accadeva realmente, senza nemmeno credere aduna delle parole che io rivelavo loro, pensando che fosserosolamente le folli idee di una dannosa utopia, di una menteche ai loro occhi appariva come una fusione di Verchoven-skij, Kirillov e Stavrogin.Verrà il giorno in cui saprò ancora di più pur rimanendo

impotente e sola come lo sono ora, mentre illumino un bar-biere che sta acconciando la chioma di un ufficiale, e forsetaglierà anche quella vividissima gola del vulnerabile uomod’armi. Nell’insieme non sono riuscita ad ottenere ciò per

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PriMo Mazzo. Le carTe: L’aPPeso; iL carro; La PaPessa

1 Pynchon, 1995, p. 649: “il culo di una lucciola”, Pynchon,1999, p. 826.

2 Ivi, p. 653: “sopra e sotto la banda visibile”, ivi, p. 833.

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Marco Trainini ~ A silent extinction

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cui combattevo: “del resto non chiedo nessun giudizio umano,non voglio che divulgare delle cognizioni, non faccio che rife-rire” 3.

3 Kafka, 1992, p. 277.