Marazzi, M., PRATICHE ORDALICHE NELL’ANATOLIA HITTITA, Studi dedicati al Padre W. R. Mayer, M.G....

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UNIVERSITÀ DI ROMA « LA SAPIENZA » DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE ARCHEOLOGICHE E ANTROPOLOGICHE DELL’ANTICHITÀ SEZIONE VICINO ORIENTE QUADERNO V R O M A 2 0 1 0 ana turri gimilli studi dedicati al Padre Werner R. Mayer, S.J. da amici e allievi

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Ordeal practices in the Hittite texts

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UNIVERSITÀ DI ROMA « LA SAPIENZA »

DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE ARCHEOLOGICHE E ANTROPOLOGICHE DELL’ANTICHITÀ

SEZIONE VICINO ORIENTE

QUADERNO V

R O M A 2 0 1 0

ana turri gimilli

studi dedicati al Padre Werner R. Mayer, S.J.

da amici e allievi

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VICINO ORIENTE – QUADERNO V

ana turri gimilli

studi dedicati al Padre Werner R. Mayer, S.J.

da amici e allievi

a cura di M.G. Biga – M. Liverani

ROMA 2010

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VICINO ORIENTE Annuario del Dipartimento di Scienze Storiche Archeologiche

e Antropologiche dell’Antichità - Sezione Vicino Oriente I-00185 Roma - Via Palestro, 63

Comitato Scientifico: M.G. Amadasi, A. Archi, M. Liverani, P. Matthiae, L. Nigro,

F. Pinnock, L. Sist

Redazione: L. Romano, G. Ferrero

Copertina: Disegno di L. Romano da Or 75 (2006), Tab. XII

La foto di Padre Mayer è di Padre F. Brenk

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA «LA SAPIENZA»

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SOMMARIO

Presentazione 3

M.G. Amadasi Guzzo - Encore hypothèses à Karatepe 7

L. Barbato - Esarhaddon, Na’id-Marduk e gli šībūtu del Paese del Mare 23

M.G. Biga - War and Peace in the Kingdom of Ebla (24th Century B.C.) in the First Years of Vizier Ibbi-zikir under the Reign of the Last King Išar-damu 39

F. D’Agostino - Due nuovi testi dal British Museum datati all’epoca più antica di Ur III 59

P. Dardano - La veste della sera: echi di fraseologia indoeuropea in un rituale ittito-luvio 75

G.F. Del Monte - Su alcune tecniche contabili delle amministrazioni di Nippur medio-babilonese 85

F. Di Filippo - Two Tablets from the Vicinity of Emar 105

F.M. Fales - The Jealous Superior (ABL 211) and the Term ýābtu in Neo-Assyrian ‘Everyday’ Texts 117

P. Fronzaroli - Les suffixes éblaïtes de la première personne du duel 129

M. Giorgieri - Osservazioni sull’uso di accad. kubbutu e kubburu in EA 20:64-70 137

M. Liverani - The Pharaoh’s Body in the Amarna Letters 147

P. Mander - The Mesopotamian Exorcist and his Ego 177

M. Marazzi - Pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita 197

G. Marchesi - The Sumerian King List and the Early History of Mesopotamia 231

L. Mori - The City Gates at Emar. Reconsidering the Use of the Sumerograms KÁ.GAL and KÁ in Tablets found at Meskené Qadime 249

P. Notizia - Ðulibar, Duðduð(u)NI e la frontiera orientale 269

F. Pomponio - Assiriologia e letteratura poliziesca: rapporti tra due nobili avventure intellettuali 293

M. Ramazzotti - Ideografia ed estetica della statuaria Mesopotamica del III millennio a.C. 309

D.F. Rosa - Middle Assyrian ginā’ū Offerings Lists: Geographical Implications 327

M. Salvini - Contributo alla ricostruzione del monumento epigrafico degli Annali di Sarduri II, re d’Urartu 343

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C. Saporetti - Qualche nota dai testi di Ešnunna 353

S. Seminara - ‘Uno scriba che non conosca il Sumerico, come potrà tradurre?’ I Proverbi bilingui: fra traduzione e reinterpretazione 369

C. Simonetti - Note in margine ad alienazioni immobiliari d’età paleo-babilonese 375

G. Torri - The Scribal School of the Lower City of Hattuša and the Beginning of the Career of Anuwanza, Court Dignitary and Lord of Nerik 383

L. Verderame - Un nuovo documento di compravendita neo-sumerico 397

P. Xella - Su alcuni termini fenici concernenti la tessitura (Materiali per il lessico fenicio - IV) 417

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[Quaderno di Vicino Oriente V (2010), pp. 197-230]

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PRATICHE ORDALICHE NELL’ANATOLIA HITTITA

Massimiliano Marazzi - Napoli

PREMESSA

Nel 1973, E. Laroche pubblicava un breve ma ricco contributo sulle possibili pratiche ordaliche connesse con il fiume in ambiente hittita (cf. Laroche, Ordalie). Da allora l’argomento, pur toccato nell’ambito di numerosi contributi hittitologici (cf., fra i tanti, Lebrun 1995, Taggar Cohen 2006, Pecchioli Daddi 1995, Marizza 2007), non è più stato affrontato globalmente, sia sotto il profilo del corpus testuale attestante tale pratica, sia sotto quello, egualmente importante, delle possibili diverse forme che l’ordalia in generale sembra assumere nell’Anatolia del II millennio.

Alle testimonianze anatoliche veniva, tuttavia, dedicato pochi anni dopo un capitolo nell’opera di T. Frymer-Kensky contenuta in ben due tomi sul Judicial Ordeal nell’intero Vicino Oriente Antico (cf. Frymer-Kensky Ordeal, in particolare alle pp. 227ss.). Il pregio di tale lavoro, che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento essenziale per gli studi vicino-orientali sull’argomento1, consiste non solo nell’aver riunito in un’unica opera tutte le maggiori testimonianze al riguardo, analizzandone procedure e terminologie, dall’età sumerica a quella neobabilonese, ma soprattutto nell’aver operato una serie di necessarie distinzioni ad evitare che l’uso di una generalizzata nominazione “ordalia” portasse a confondere pratiche fra loro distinte sia sotto il profilo procedurale che ideologico (religioso e giuridico). La stessa studiosa è successivamente ritornata sull’argomento, con diversi contributi specifici, dedicati ad ambiti culturali particolari del Vicino Oriente antico (1981, 1982, 1983, 1984) e con una forte attenzione per i collegamenti con la tradizione vetero-testamentaria.

Inoltre, di recente, la possibilità che la pratica ordalica connessa con il fiume fosse già ampiamente presente nell’Anatolia di età paleoassira è stata ribadita da C. Günbatti (2001) sulla base del riesame di un testo di protocollo

1 Per la Mesopotamia si vedano però anche i precedenti contributi generali di Cardascia

1967 e Lieberman 1969; successivamente il quadro in Bottero 1981.

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da Kültepe (Kt n/k 504) redatto in occasione di un contenzioso fra una rappresentanza del kārum e la corte di Kaneš a proposito dell’arresto da parte di quest’ultima di un mercante assiro.

Alla luce di tali premesse, si è ritenuto utile, a oltre trent’anni dal ricordato contributo del Laroche, tentare un bilancio dei dati a disposizione2 e un ordinamento delle conoscenze raggiunte, ponendo particolare attenzione al contesto “letterario” (da intendere sia come genere che come processo redazionale) nell’ambito del quale i riferimenti a pratiche ordaliche devono essere necessariamente riportati.

Il lavoro che qui segue si articola, pertanto, in 2 sezioni distinte: la prima relativa, appunto, a una riconsiderazione e ordinamento dei testi contenenti passaggi possibilmente riferibili a pratiche ordaliche; la seconda, offre trascrizione, analisi e commento di due testi fondamentali per quanto attiene alle pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita e funge pertanto da supporto e da riferimento alla discussione che precede.

1. I TESTI “ORDALICI” IN LINGUA HITTITA 1.1 DEFINIZIONE E DELIMITAZIONE DEL CORPUS

Rispetto ai 4 testi originariamente considerati in dettaglio dal Laroche (e una serie di altri testi contenuti nelle note a pie’ di pagina), il presunto corpus testuale contenente pratiche ordaliche o riferimenti a esse apparirebbe oggi più ampio.

Le sue caratteristiche possono sintetizzarsi secondo il seguente schema3:

Età storica di riferimento

Testo Ductus Inquadramento di genere

Riferimento Laroche

Età antico-hittita

KBo III 28 (CTH

9.6)

jh

Editto reale

4

2 Vanno ricordati, in proposito, i riferimenti ai possibili testi ordalici hittiti contenuti anche

in HW2 s.v. hapa- e in CHD ss.vv. paprant-, papre-, papress-, parkui-, parkuess-. 3 Per quanto attiene alle 5 voci individuate, si tenga presente che: l’età storica di

riferimento fa uso della terminologia corrente negli studi hittitologici che differenzia fra Antico Regno, cd. Periodo Medio o Pre-Suppiluliuma e Periodo imperiale, da Supp. in poi; l’indicazione di CTH fa riferimento ai dati offerti nel Hethitologie Portal (www.hethiter.net) da S. Košak; il ductus si orienta egualmente secondo le più recenti indicazioni in Portal; l’ inquadramento di genere rappresenta soltanto un’indicazione orientativa di massima; il riferimento Laroche indica il numero del testo discusso in Laroche, Ordalie, oppure la nota a pie’ di pagina dei testi citati ma non discussi in dettaglio.

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Pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita

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KUB XXXI 74

(CTH 23.3)

KBo III 29 // VIII 41 (CTH 9.3A-B)

KBo VIII 42 (CTH

9.5)

KUB XXXI 115

(CTH 24.II.A)

jh

jh.

ah

jh

Editto reale (?)

Testo di carattere cronachistico

Testo di carattere

cronachistico

Testo di carattere didascalico-sapienziale

p. 183, n. 12 1

Età pre-Suppiluliuma

KUB XIII 4 (e testi paralleli

CTH 264)

KUB XIII 3 // L 282 (CTH 265)

KUB

XLIII 35 (CTH 275)

KBo

XVIII 66 CTH 209)

KBo VII 53 (CTH

470)

jh

jh

mh

mh

mh

Istruzioni per il personale templare

Istruzioni per gli

inservienti di palazzo

Protocollo/dispositivo di carattere giudiziario

Lettera di funzionario a funzionario superiore (età

di Arnuwanda I ?)

Frammento di rituale (?)

p. 185, 19a

3

p. 185, n.19a

2

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Età post-Suppiluliuma

KBo XVIII 45

(CTH 188)

KBo

XXVIII 102 (CTH

208)

jh

(jh?)

Lettera (di un funzionario di corte al re Mursili II)

Lettera internazionale in accadico frammentaria

Una prima impressione generale dal quadro presentato è che la

distribuzione temporale e di genere dei riferimenti indicherebbe che l’uso di possibili pratiche ordaliche fosse fenomeno che accompagna l’intero periodo della storia hittita. La presenza di riferimenti a pratiche ordaliche non è però egualmente esplicita e certa per tutti i testi raccolti in questo schema, né tutti i testi si riferiscono probabilmente alla stessa pratica ordalica (come già delineato dalla Frymer-Kensky Ordeal, loc. cit.).

1.2. TESTIMONIANZE INCERTE A. KUB XXXI 115

Il testo fa parte di quel complesso documentario, certamente da riferire storicamente ai primi dinasti dell’Antico Regno, la cui redazione più antica fino a oggi attestata è rappresentata dalla tavoletta KBo III 23 (=2 BoTU 9), il cui ductus è definito in Portal “mh.”. Non si tratta certamente di un “editto reale”, bensì di una raccolta di istruzioni inserite, però, nell’ambito di una cornice di sapore lealistico e sapienziale e ruotanti attorno al personaggio di Pimpira, paradigma del buon funzionario. Sotto quest’aspetto il testo può essere anche visto come il “modello”, in termini ideologizzanti, della produzione tecnico-prescrittiva delle vere e proprie istruzioni che comincia proprio in epoca immediatamente post-antico hittita. Su tale base si può comprendere sia la fortuna di tale composizione in età imperiale, tanto da essere diffusa in diverse redazioni tra loro parallele per contenuto, ma non esattamente duplicate, sia il fatto che proprio a epoca pre-imperiale risalga la sua redazione più antica4.

4 Non escluderemmo che a quest’epoca si possa farne risalire la composizione originaria,

frutto di un’opera redazionale di diverse composizioni di carattere politico-didascalico; su tutta la problematica di questo gruppo di testi cf. Marazzi 2001. La recente edizione a cura di M. Cammarosano (2006) offre ora una nuova completa trascrizione e un ordinamento dei diversi testi; si noti tuttavia in margine che le supposte relazioni nello schema testuale a p. 17 non riflettono l’effettivo rapporto fra le redazioni; infatti, se pure la loro divisione

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Pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita

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Il presunto riferimento a una pratica ordalica sarebbe contenuto alla r. 23’ (secondo quanto indicato in HW2, s.v. hapa- al punto I.1.a, p. 198), nell’ambito di una serie di raccomandazioni/prescrizioni relative alla lealtà dei funzionari nei confronti del re, e quindi dell’obbligo di non nascondere atti di frode rendendosene quindi complici: 21’ ku-i]t a-ut-te-ni na-at te-e[t-te?-en? 22’ m]u-un-na-at-te-ni ú-wa-t[e- 23’ m]a-a-an pár-ku-iš-ta(-)x[5

Il tema ricorre in diverse altre composizioni di carattere giuridico, come, ad esempio, l’editto KUB XIII 9+, III 12’ss. Proprio qui, alle rr. 18’-20’ si ammonisce che al momento della successiva scoperta i complici verranno puniti al pari dei colpevoli, rendendo, attraverso un giusto processo, giustizia degli eventuali errori pregressi: nu apāt uttar SIG5-in parkuwanzi. È quindi probabile che anche in XXXI 115 l’azione espressa dal verbo parkuešš- possa riferirsi al ripristino dello stato di giustizia (nei confronti di qualcuno o di qualcosa). Non vi sono, d’altra parte, in tutto il testo allusioni che possano far pensare a un procedimento ordalico.

B. KBO III 29 // VIII 41

Questa composizione, data in trascrizione e traduzione in Soysal, Diss., è stata da ultimo brevemente considerata da F. Pecchioli Daddi (1995) nell’ambito di un riesame dei cd. testi cronachistici riferibili storicamente agli inizi dell’Antico Regno.

Entrambi i frammenti sono di ductus recente e il loro effettivo parallelismo, data la lacunosità del contesto, è accertabile solo parzialmente. Da quanto è possibile dedurre, ricorre il tema della lealtà nei confronti del sovrano, al quale nulla va nascosto (cf. III 29 Vs. I 6’-10’). Alla metà del § 2’di III 29 (r. 13’ // VIII 41 4’) uno dei personaggi, un certo Hapruzi, appare sottoposto a giuramento attraverso la formula analogica: “come ciò è stato colpito, così anche Hapruzi sia colpito”, al quale appaiono aderire sia i funzionari di palazzo, sia Haštajari (15’s. ... humanteš DUMUMEŠ É.GAL/ [linkanzi?] MUNUSHaštajariš=a likzi). Immediatamente di seguito è indicata l’espressione [(pí-ra-an a-ba-aš)] hu-i-ja-an-za, con ogni probabilità riferita a Haštajari. Il problema consiste nel valore da assegnare alla sequenza dei segni A-BA-AŠ, contenuta, tra l’altro, solo in VIII 41 6’. L’uso del segno

in 3 gruppi appare in parte sostenibile, all’interno dei guppi I e II il rapporto fra i testi non è sempre quello di duplicati.

5 Lettura pár-ku-iš-ta x[ e non pár-ku-iš ta-x[.

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“BA” per la scriptio del pronome dimostrativo apa- (normalmente notato con “PA”) appare certamente particolare, ma non in contrasto con la sua realtà fonemica (cf. HED, p. 86 e anche quanto messo in evidenza in HW2 s.v. apa-2). La possibilità di un emendamento in ÍD!-aš (per altro non escluso a priori in HW2 loc. cit.), e quindi di una interpretazione del tipo “correre/recarsi al fiume”, appare poco probabile per diverse ragioni: 1) la chiarezza dei segni, senza alcun indizio di incertezze o difficoltà di sorta, tracciati dall’estensore di VIII 41; 2) l’uso del verbo huwai-/hui-, che non appare mai ricorrere in contesti “ordalici”, e la mancanza di ogni e qualsiasi altro riferimento a tale pratica; 3) la difficile sintassi, che vedrebbe un genitivo posposto a piran, per esprimere (come vorrebbe Pecchioli Daddi

loc. cit), “è corso al fiume” (riferito, per altro a Hapruzi). Propenderemmo, quindi, per una interpretazione nel senso: “...anche Haštajari giura/dovrà giurare, camminando costei davanti” (nel senso di “venendo per prima”).

C. KBO XVIII 45 (CTH 188)

Si tratta di una lettera molto frammentata inviata da Aranhapilizzi a Mursili II (cf. Hagenbuchner 1989, Nr. 11). Che il riferimento alla r. 11’ del bordo sup. -i]t ÍD-za ú-┌it ┐[ possa effettivamente riferirsi a un procedimento ordalico, ci sembra sinceramente molto improbabile, mancando il contesto di qualsiasi indicazione in tal senso.

1.3. CONTESTI

Prima di tentare una individuazione delle possibili procedure ordaliche nell’ambito dei singoli testi (fatta, naturalmente, esclusione di quelli incerti sopra ricordati), riteniamo sia essenziale definire più in dettaglio i contesti all’interno dei quali tali riferimenti vengono ricordati.

Per “contesto” intendiamo, quindi, non la caratterizzazione di genere del documento (per altro già orientativamente indicata nello schema generale presentato poco sopra), bensì l’occasione effettiva della celebrazione/esecuzione/menzione della pratica, a prescindere dal tipo specifico di pratica ordalica.

Orientativamente, si possono individuare 3 diverse situazioni occasionali: a) Ordalia come procedura stabilita direttamente dall’autorità regia

Compare in testi di carattere giuridico-prescrittivo, come editti, istruzioni o protocolli, nell’ambito dei quali il procedimento ordalico viene indicato esplicitamente dal re quale mezzo per l’accertamento dell’effettiva colpevolezza di un funzionario, un membro della famiglia regia, o di

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un’intera categoria di personale di servizio. Il dispositivo regio è tuttavia espresso più come possibile deterrente che come effettiva regola procedurale. Di conseguenza, spesso, la minaccia del ricorso a tale pratica viene rafforzato attraverso il riferimento ammonitore a un evento ordalico già verificatosi in passato (più o meno prossimo) con esiti devastanti per il malcapitato.

KBo III 28

Ro . II 10’s.

(in relazione a mancanze nei confronti del re da parte dei principi di corte) kinuna mān DUMU-aš SAG.DU LUGAL waštai kuitki apašan A[NA dÍD h]alzai n=aš paittu

KUB XXXI 74

Ro. II 9’

(in relazione a mancanze probabilmente commesse da membri della corte regia; contesto lacunoso) happa anda šešten

KUB XIII 3 e // KBo L 282

Ro. II 14’ss.

(rivolto ai cuochi di palazzo, che devono garantire la purezza degli alimenti del re, quale deterrente per eventuali mancanze nascoste) kuwapi UD-at LUGAL-waš ZI-za išhizzijazi šumeš=a ENMEŠ TU7 hūmanduš halzihhi nu=šmaš ÍD-i mānijahmi

KUB XIII 5 (e testi paralleli)

Vo.IV 48ss.

(rivolto ai pastori che devono garantire le offerte di bestiame e di prodotti derivati agli dei, quale deterrente per eventuali possibili frodi nascoste) nu=šmaš=kan PANI DINGIRLIM kiššan anda pedatteni ... (segue giuramento con formula di maledizione)...n=ašta BIBRU DINGIRLIM ZI-aš arha ekutteni

b) Ordalia come topos nell’ambito di paradigmi ammonitori

Come già indicato al punto a), il ricordo della messa in atto di procedure ordaliche quale evento esemplare con scopo ammonitore, proiettato indietro in un tempo più o meno passato, ricorre sempre in associazione con un dispositivo regio volto non tanto a fare dell’ordalia un’effettiva e regolare

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pratica giuridica soprarazionale, per riprendere la definizione data in più occasioni dalla Frymer-Kensky, bensì a presentarla quale minaccia, un vero e proprio deterrente contro i pericoli impliciti nel manifestarsi di qualsiasi forma di deriva morale a scapito dell’ordine determinato dal dettame regio. Il ricordo, quindi, che nella comunità politica hittita svolge il ruolo di rafforzativo consuetudinario della pratica giudiziaria, facendo diretto riferimento alla memoria collettiva (cf. Marazzi in Dardano 1997, pp. IXss., e Marazzi 2007), funge da collegato alla paventata applicazione della pratica ordalica.

Lo schema di tale connessione può essere rappresentato come segue:

KBo III 28 Ro. II 17’ss.

episodio di Kizzuwa ai tempi del “padre del re”

KUB XXXI 74 Ro. II 12’ss.

episodio di Alluwamna (?)

(contesto lacunoso)

KUB XIII 3 Vo. III 24ss.

// KBo L 282 1’ss.

episodio di Zulija in passato il re a Sanhuitta

Diverso è il caso di KBo VIII 42 (per un’analisi dettagliata del quale si

rimanda alla parte seconda). Qui l’intero testo rappresenta una narrazione fra l’aneddotico e il cronachistico, nell’ambito della quale i riferimenti alla pratica ordalica ( Ro. 8’, 13’; Vo. 9) sembrano essere il tessuto connettivo stesso del racconto. Non a caso questo testo è stato a suo tempo inserito dal Laroche, nel suo CTH, fra i frammenti appartenenti o simili alla cd. “Cronaca di Palazzo”, che altro non è se non una sequenza di brevi racconti di sapore aneddotico, espressi in uno stile fresco e conciso, tutti incentrati sul paradigma del “servitore incurante dell’insegnamento regio” e sulla giusta punizione che a questi viene alla fine comminata. Non è neppure un caso che i singoli episodi di tale “collana”, cui fa da contraltare quella dei cd. “Testi di Pimpira” (incentrato sul paradigma del fedele servitore), trovino un diretto riscontro negli esempi paradigmatici di accadimenti interni o connessi con la corte regia che costellano i dispositivi regi, proprio come i paradigmi ammonitori caratterizzati dal rinvio alla pratica ordalica.

In sintesi, sia gli episodi ordalici addotti a esempio nei testi giuridico-amministrativi sopra ricordati, sia la sequenza degli episodi che costellano il testo cronachistico KBo VIII 42, altro non sono che una variante specifica del pattern letterario dell’esempio ammonitore così ampiamente diffuso nella cultura hittita, soprattutto nelle sue manifestazioni più antiche.

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Pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita

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c) Ordalia come accadimento effettivo riportato/citato nell’ambito di un resoconto

Informazioni su pratiche ordaliche effettivamente avvenute (quindi fuori del meccanismo della minaccia di rinvio a tale prova in funzione deterrente, o del ricordo dell’episodio paradigmatico) sono, almeno per quanto è documentato fino a oggi, ben poche e, in due casi su tre, incerte.

I generi testuali sono rappresentati dalla corrispondenza epistolare e da un possibile rituale.

Cominciando da quest’ultimo, KBo VII 53 (CTH 470), occorre innanzitutto premettere, come già puntualizzato da P. Meriggi (1960, p. 100, n. 114), che il testo in questione, lungo ma per altro estremamente lacunoso (solo la metà di destra della colonna è mantenuta), più che di un rituale dà l’idea di una invocazione religiosa condotta in prima persona dal committente; alcune frasi frammentarie ricordano le dichiarazioni di innocenza (o di colpa non conscia) contenute nei testi di preghiera con introduzione innica, tipici di epoca immediatamente pre-imperiale. E, d’altra parte, potrebbe non essere un caso che il nostro frammento mostri (secondo quanto indicato in Portal) il cd. ductus medio-hittita. In tale ambito, la breve sequenza: ]x dÍD an-┌da?┐di fine riga Ro. 17’ (subito all’inizio di un nuovo paragrafo), potrebbe anche indicare il ricordo di una pratica ordalica cui il personaggio coinvolto sarebbe stato sottoposto (volontariamente?) a dimostrazione della propria innocenza. Come detto, però, la lacunosità del testo non permette neppure un suo inquadramento di genere e il solo riferimento al “dio fiume” non garantisce alcuna sicurezza.

I restanti 2 testi sono lettere. Della prima, KBo XXVIII 102 (Hagenbuchner 1989, n. 307), in lingua accadica, non è possibile accertare né il mittente, né il ricevente, e neppure il dove e il quando della sua redazione. Una datazione di massima, per quel poco di leggibile che resta, sembrerebbe collocarla in una generica età imperiale; tutto troppo poco per dare una valutazione della sequenza alla r. 14’ ]x ┌a-na┐ dÍD a-┌li-ik ┐[ .

Diverso è invece il caso della seconda lettera, KBo XVIII 66 (Hagenbuchner 1989, n. 69), per la quale si faccia riferimento alla recente riedizione in Marizza (2007, p. 54ss.) e all’inquadramento storico in De Martino (2005, p. 298s.). Si tratta di una lettera di età e ductus medio-hittita (età di Arnuwanda I?), di cui, pur essendo incerta l’attribuzione di mittente e ricevente, si può verisimilmente proporre che si tratti del resoconto redatto da un funzionario (periferico?) a un proprio superiore a proposito di una serie di eventi (bellici ?). Tra le varie vicende riportate nel Vo., il § 2’ (rr. 6’-

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11’) appare interamente dedicato alla notizia di una procedura ordalica nell’ambito di un procedimento giudiziario6.

La testimonianza, per quanto frammentaria, rappresenta un elemento di notevole interesse perché attesta (come si puntualizzerà meglio più avanti), fuori di qualsiasi retorica di carattere deterrente o di genere ammonitore, l’effettiva e reale celebrazione del procedimento ordalico connesso con l’elemento fluviale: 8’s. IN]A dÍD=ja pehute[r / ]x mān parkuiš[zi7 .

1.4. LE PROCEDURE

Arrivati a questo punto resta da tentare un approfondimento sull’effettiva sostanza delle pratiche ordaliche variamente ricordate per le diverse tipologie e nelle diverse occasioni.

Nel considerare quest’aspetto occorre preliminarmente tenere ben presenti due diversi punti del problema.

Il primo, più generale, riguarda le premesse metodologiche, esposte a più riprese dalla Frymer-Kensky (opp. citt.), dal momento che spesso sotto l’etichetta di “ordalia” vengono a essere sussunte procedure e forme giuridico-religiose di diversa natura.

Il secondo, di carattere più pratico-contestuale, riguarda l’effettiva caratterizzazione dei meccanismi delle supposte pratiche ordaliche. A nostro avviso, infatti (e come d’altra parte si ripropone anche per l’intero ambiente vicino-orientale del III, II e I millennio a.C.), la semplice citazione del “dio fiume”, non è automaticamente e sempre da intendersi come pratica di “immersione” nelle acque.

Tenuto conto di queste premesse, si procede qui di seguito attestazione per attestazione, cercando di arrivare di volta in volta alle definizioni più precise possibili.

6 A tal proposito, e come si ha occasione di esprimere più avanti, risulta importante la

presenza del verbo manijahh- alla r. 10’, che non ha nulla a che vedere con l’azione del “governare” (come sembrerebbe intendere Marizza nella sua edizione cit.), bensì rappresenta, nel tipico lessico giudiziario hittita, l’azione dell’”affidare, rinviare, assicurare” qualcuno indiziato di qualcosa a una pena o alla sentenza di un tribunale

7 Preferiamo qui decisamente l’integrazione del verbo al presente di Marizza rispetto a quella al preterito in Laroche, Ordalie. Infatti il mān che precede indica che all’atto della redazione della lettera il procedimento ancora non era stato portato a termine, oppure si dovrebbe pensare che la lettera riporti verbalmente la decisione di rinvio dell’accusato alla pratica ordalica. In entrambe i casi il verbo al preterito sarebbe fuori luogo.

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Pratiche ordaliche nell’Anatolia hittita

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1.4.1. KUB XIII 4: ORDALIA DEL BERE?

Come si è già indicato schematicamente all’inizio, il testo in questione, con le sue diverse redazioni, contiene le istruzioni per le diverse categorie di personale connesso con gli edifici di culto8.

L’interesse di questo testo è rappresentato dalla testimonianza che esso apporta di una pratica giudiziaria di tipo ordalico poco o nulla presente in ambiente vicino-orientale mesopotamico, e presente, invece, in ambiente semitico occidentale del I mill. a.C.9

Di fatto, il passaggio specifico che qui ci interessa e che riguarda nel particolare i pastori al servizio del tempio, rappresenta una variante rispetto a una serie di giuramenti proferiti dinnanzi alla divinità da diverse categorie di dipendenti, tutti incentrati sulla maledizione divina cui questi sono sottoposti in caso di frode non scoperta dall’amministrazione e quindi non punibile attraverso una procedura di carattere umano. Al § 18, dove si tratta dell’obbligo fatto ai pastori di fornire soltanto alle divinità alcune primizie in specifiche occasioni, dopo aver ricordato che atti di frode una volta scoperti prevedono la pena capitale, si conclude (rr. 46ss.):

“Se però ciò (scil. la mancata offerta delle primizie esclusivamente alle divinità) non viene scoperto, quando voi la (scil. la presunta primizia) porterete, allora comparirete al cospetto della divinità e (giurerete) in questo modo: ‹ Se noi abbiamo destinato questo primo nato al nostro soddisfacimento, sia a un nostro superiore, sia alle nostre mogli e figli o a una qualsivoglia persona, abbiamo causato (in tal modo) offesa all’animo degli dei›, quindi berrete completamente (quanto è contenuto nel) rython del “dio della vita”, e se (risulterete) privi di peccato, ciò (sarà in virtù del) vostro dio protettore, se invece (risulterete) impuri, allora andrete in malora insieme alle vostre mogli e ai vostri figli”.

Egualmente significativo è il giuramento che viene applicato per altre

simili frodi al paragrafo successivo. In questo caso, infatti, la formula di maledizione, nella quale è contenuta esplicitamente l’azione persecutoria divina in caso di dolo, viene proferita dopo aver preso il rython dalla tavola delle offerte; del bere non è però menzione. 8 Il testo è stato di recente interamente riedito e commentato in Taggar Cohen 2006, dove i

passaggi in oggetto sono adeguatamente caratterizzati nella loro valenza giuridico-religiosa. A tale edizione si fa qui riferimento per tutte le citazioni.

9 Per tutti i confronti, soprattutto con l’ambiente ebraico, cf. Frymer-Kensky, Ordeal; ead. 1984; più di recente, riassuntivamente Ashley 1993, 117ss.

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In effetti, come giustamente già notato originariamente dalla Frymer-Kensky e successivamente, seppure in diverso modo, sia dalla Pecchioli Daddi (2004, p. 456) che dalla Taggar Cohen (2006, p. 129ss.), non ci troviamo di fronte a un vero e proprio procedimento ordalico. Come nel caso del famoso esempio del “sospetto adulterio” in Numeri V, 11-31, ripreso anche nell’episodio dell’acqua della prova di Maria nei cd. vangeli apocrifi10, anche qui l’intera procedura viene interamente demandata alla divinità, cui non spetta soltanto il compito di indicare la colpevolezza o meno, ma anche quello di perseguire, secondo tempi e modi non prevedibili umanamente, il colpevole. Il caso in questione non rientra dunque nella tipologia ordalica ben conosciuta dell’assunzione di una pozione le cui conseguenze, manifestandosi in diverse forme, permettono poi al giudice umano di emettere la propria sentenza. Non è infatti il liquido ingerito di per sé a operare “fisicamente” sull’indiziato. In questo senso assume un valore significativo la definizione di BIBRU DINGIRLIM ZI-aš/ZITI, alla lettera “il B. del dio della vita”. Infatti, la specificazione ZITI “della vita”, non si riferisce a un appellativo proprio della divinità (che come tale non è caratterizzante del pantheon hittita), bensì alla funzione che la divinità stessa in questo caso è chiamata ad assolvere: quella di decidere della vita dell’indiziato all’atto del suo solenne giuramento che accompagna la procedura del bere (e che negli altri paragrafi compare unico elemento caratterizzante).

Altro elemento particolare è rappresentato dal carattere “collettivo” della procedura.

1.4.2. KUB XIII 3: UN ESEMPIO DI ORDALIA COLLETTIVA “DEL FIUME”.

E qui si tocca un tema che accomuna per certi versi questa testimonianza a quella dell’altro testo di istruzioni inizialmente ricordato: KUB XIII 3. In questo caso si tratta delle prescrizioni (soprattutto di carattere igienico, con valenza quindi sacrale) del personale addetto alle cucine e al servizio del palazzo regio11. Anche in questo caso ricorre il tema della colpa commessa che, non scoperta dal re, è però patente agli occhi della divinità; a tal proposito il testo recita (II 14’ss.):

“Quando poi un giorno l’animo del re sarà esasperato, allora io convocherò tutti voi, inservienti delle cucine, e vi affiderò al

10 Cf. per tutti l’edizione (a cura di) L. Moraldi, 1996: Papiro Bodmer 34-35; Protovangelo

di Giacomo 16; Codici Hereford e Arundel, H/A 51; Pseudo-Matteo 12. 11 Il testo è ora interamente riedito in Pecchioli Daddi 2004. A esso ci riferiamo qui per tutte

le citazioni.

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fiume (ÍD-i mānijahmi): chi risulterà privo di colpa (parkuēšzi) rimarrà mio servo, ma chi invece risulterà impuro (paprišzi), io, il re, non vorrò più averlo, e a lui, con le sue mogli e i suoi figli, si darà un’orrenda morte!”.

Anche in questo caso non sono esplicitamente indicati dei sospetti

nell’ambito di un procedimento specifico. Tutto il personale viene affidato collettivamente al fiume per dividere i colpevoli dai puri. Tuttavia la pena capitale non sembra affidata a tempi e modi sovrumani; l’uso della 3^ pers. plur. nella espressione HUL-lu hinkan pieanzi (“si darà/daranno una terribile morte”) ha piuttosto il significato dell’applicazione di una sentenza regia, come nel caso delle possibili frodi commesse dai calzolai del re poco più avanti12.

Che probabilmente le cose stiano effettivamente in questo modo sembra confermato dall’esempio ammonitore che segue pochi paragrafi più avanti: al Vo. III r. 24ss. (dalla r. 27ss. // KUB L 282 r. 2’ss.); il re, dopo essersi raccomandato dell’osservanza delle prescrizioni per quanto concerne i portatori d’acqua, ammonisce (Vo. III r. 24ss.):

“Una volta, in passato, io, il re, nella città di Šanahuitta trovai un capello in un bacino, di conseguenza montò l’ira nell’animo del re che andò in collera con i portatori d’acqua: “questo è disgustoso!”; e Arnili si affrettò a dire: “Era Zulija l’incaricato!”. E allora il re: “che Zulija vada al fiume (hapā paiddu): se egli risulterà innocente, che la sua vita sia risparmiata (mān=aš parkuešzi nu=za ZI=ŠU parkunuddu), se invece risulterà impuro (mān=aš paprašzi=ma), che muoia!”

In questo caso il seguito della narrazione ci informa sul risultato della

prova (III rr. 32ss.):

“Zulija andò al fiume e risultò colpe[vole], di conseguenza si fece trasferire Zulija nella città di Šurišta, il re n[on] lo [graziò] e lui morì.”

Il testo parallelo (KUB L 282 x+5) riporta lo stesso evento in maniera più

complessa:

12 Vo. III r. 8: nu=ši QADU NUMUN=ŠU HUL-lu ÚŠ-an pijanzi e r. 19s.: nu=šmaš QADU

DAMMEŠ=KUNU DUMUMEŠ=KUNU idālu hinkan pijanzi.

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“... Se egli (scil. Zulija) risulterà innocente, allora anche tu (scil. Arnili ) sarai (dichiarato) innocente, se invece risulterà co[lpevole], allora dovrai andare (scil. al fiume) anche tu. E quando essi and[arono], Zulija risultò colpevole e l’alt[ro pure risultò colpevole?...”

Purtroppo a questo punto il testo parallelo diviene lacunoso e non è

possibile seguire le vicende. Tuttavia anche in questo caso siamo di fronte a una responsabilità collettiva e quindi alla celebrazione di un’ordalia di gruppo. .

1.4.3. LE TESTIMONIANZE DEL TESTO DI PROTOCOLLO (?) KUB XLIII 35, DELLE LETTERE KBO XVIII 66 E XXVIII 102, DEL FRAMMENTO DI

RITUALE KBO VII 53.

Tutti i quattro i testi in questione non sono ricchi di informazioni circa l’effettiva procedura, tranne che nel riferimento al “(dio) fiume”:

- XXVIII 102: da rilevare soltanto alla r. 14’ in contesto lacunoso: ]x a-na dÍD a-li-ik[;

- KBo VII 53: non contiene altre informazioni oltre quella generica del Ro. 17’ già sopra ricordata al punto 1.3.c).

- KUB XLIII 35: diverse sono le allusioni a una procedura ordalica connessa con il fiume in questo testo che presenta numerosi passaggi in discorso diretto. Entrambi i paragrafi iniziali hanno probabilmente a che fare con un evento di tal genere, come le forme verbali e aggettivali sembrano confermare, senza però che se ne possa ricostruire un senso compiuto:

2’ qua]lora io vad[a ........3’risult]erà colpevole e cost[ui.......3’]ascolterà [...... 4’innocen]te? ritornerà dal “dio fiume”[ ......../ 8’ ...] che non giudi[chi ....9’...]del “dio fiume” non v[ada?...13

13 x+2 ma-a-]an-wa ú-uk pa-i-m[i ... 3’ pa-a]p-ri-iz-zi nu a-pa-a[-aš ... 4’ ]iš-ta-ma-aš-zi na[- ...

5’ pár-ku-]iš IŠ-TU dÍD[ ..../.... 8’ ]x le-e ha-an-┌da?┐ [-i?... 9’]x dÍD-aš ┌le┐-e p[a?-

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- KBo XVIII 66: quanto desumibile da questo testo è stato già sopra esposto al punto

1.3.c). A parte il contesto chiaramente giudiziario, nel quale si inquadra il frasario (“condurre al dio fiume”, “nel caso risulti innocente” etc.) null’altro è possibile inferire.

1.4.4. IL RACCONTO KBO VIII 42

A parte l’espressione al Ro. 8’: tu-e-la-wa <LÚ>KUŠ7-iš-┌ma┐ I-NA ┌wa?-ar?-pí┐-ja dÍD[ (per la quale si veda il commento specifico al testo contenuto nella seconda parte) e le correnti espressioni dÍD-ja pait e dÍD-ja pait š=aš parkuešta, rispettivamente al Ro. 13’ e al Vo. 9, il testo non offre specifiche informazioni per quanto attiene alle procedure.

1.4.5. GLI EDITTI REALI KUB XXXI 74 E KBO III 28: ORDALIE “ANOMALE”

DEL FIUME?

I due editti reali in oggetto (per KBo III 28 si rinvia alla trascrizione e al commento contenuti nella seconda parte) presentano, rispetto ai rimanenti testi, alcune particolarità che toccano da vicino il problema delle procedure.

1.4.5. a)

Cominciando con XXXI 74, mantenuto in tutte le sue 4 colonne, ma purtroppo molto lacunoso, occorre innanzitutto notare due elementi particolari: l’anomala scriptio ha-ap-pa-, per regolare ha-pa-, ripetuta al Ro. II, rr. 9’ e 11’, e l’altrettanto particolare forma verbale šešten usata nell’interazione con il (supposto) “fiume”14.

Sul problema di happ(a)- in concorrenza con hapa-, la soluzione proposta da C. Watkins (1972) per cui in hittita sarebbe rimasta traccia dell’antica alternanza /p/ ≈ /b/ a indicare rispettivamente “acqua (in generale)” e “fiume” risulta di difficile accettazione15. Difficile, infatti, è costruire una tale ipotesi su quest’unica attestazione, per quanto di tradizione antico-hittita. D’altro lato il predicato verbale collegato alla forma allativa del supposto lessema per “acqua/fiume” è espresso dall’imperativo 2^ pers. plur. del verbo šeš-/šaš- “dormire, sdraiarsi”. La costruzione sintattica happā anda

14 Ro. II: 9’ ha-ap-pa an-da še-iš-te- ┌en┐[... 10’ ku-iš pár-ku-iš na-aš ÍR-KU-N[U ... 11’ ┌na┐-

aš a-ku šu-me-ša DINGIRMEŠ-aš ha-a[p-pa-. 15 Cf. quanto in ordine di tempo discusso criticamente al riguardo in HEG e EDHIL s.v.

hāp(a)- e NIL s.v. h2ep-.

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šešten (scritto, per altro, še-iš-te-en), pur trattandosi di copia di originale antico-hittita, appare di difficile interpretazione, tenuto anche conto del contesto frammentato (può essere happa posposto a un predicato verbale che precede in lacuna, oppure è semplicemente preposto all’avverbio anda?). Se si dovesse rendere una traduzione alla lettera, il senso potrebbe alternativamente essere “sdraiatevi lì, al/verso/nel fiume/acqua”, oppure “(andate) al fiume e lì stendetevi”, azione che di per sé appare anomala a fronte delle informazioni sulle procedure ordaliche fluviali che ci provengono da ambiente mesopotamico. Il poco contenuto nelle righe che seguono, d’altra parte, indica certamente qualcosa che ha a che fare con una pratica sovrumana finalizzata all’individuazione di una colpa:

10’chi risulterà innocente/puro, che costui (sia) il vos[tro] servo[... 11’ed egli muoia! E voi, degli/agli dei del/al/nel fiu[me...

Certamente, l’ipotesi di Watkins, che vede in happa- un luogo connesso

con le acque (stagnanti o meno), a parte i dubbi di carattere linguistico, appare suggestiva. Ma a questo punto sorge spontaneo il dubbio se, più che una pratica ordalica stricto sensu (es. per immersione nelle acque fredde), non debba invece trattarsi di una qualche forma di pratica oracolare (per incubazione?) volta egualmente all’individuazione di un colpevole. 1.4.5.b)

Veniamo, infine, al più famoso testo hittita riferito alle pratiche ordaliche connesse con il fiume: l’editto antico-hittita, in copia recente, KBo III 28. Il testo, già a suo tempo offerto in trascrizione da E. Forrer in 2 BoTU 10γ, pur abbastanza integro per 4 paragrafi, a parte quello iniziale e finale lacunosi, e giunto fino a noi solo nella sua seconda colonna, non è di semplice lettura, soprattutto a causa di una serie di errori/equivoci nei quali sembra essere incorso il copista neohittita. Per questa ragione si è scelto di presentare tale testo in dettaglio nella seconda parte di questo scritto, alla quale si farà di volta in volta riferimento.

Il testo, che forma d’altra parte l’oggetto principale della più volte citata trattazione di Laroche sull’ordalia, alterna, nei paragrafi conservati, partizioni storico-descrittive (di sapore cronachistico), a partizioni di carattere normativo-dispositivo, associate con esempi ammonitori riferiti a un passato collocato al “tempo del padre del re”, secondo il seguente schema:

§ 1, rr. 1’-9’. (lacunoso e mancante della parte iniziale) narrazione di fatti connessi con la rivolta (?) del signore di Purušhanda. Gli dei aiutano il re

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consegnandogli il rivoltoso, e il re, a sua volta, dimostra la propria magnanimità nei confronti della famiglia del principe ribelle;

§ 2, rr. 10’-16’. Dispositivo nei confronti dei futuri principi ribelli, unito a insegnamenti morali e politici rivolti all 2^ pers. sing. (al futuro re?);

§ 3, rr. 17’-19’. Comportamenti e procedure messi in atto nel passato, ai tempi del “padre del re”, da parte del potere regio nei confronti di coloro (senza esplicito riferimento ai membri della famiglia regia) che ne avevano tradito la fiducia: episodio di Kizzuwa;

§ 4, rr. 20’-22’. Ritorno al presente con nuovi ammonimenti contro coloro che infrangono la parola del re. Ripresa (?) dell’episodio/contenzioso (sostanziante la parte non conservata iniziale dell’editto e probabilmente elemento centrale della emissione stessa dell’editto) della regina originaria di Hurma;

§ 5, rr. 23’-27’. (molto lacunoso) Continuazione del tema affrontato nel paragrafo precedente;

§ 6, r. 28’. Interamente perso; rimangono solo poche tracce della prima riga.

Gli eventi connessi con i processi ordalici si inseriscono: - al § 2, che si riallaccia direttamente alle colpe del principe di

Purušhanda, in relazione ai proclamati dispositivi contro i principi ribelli (II 10’-16’):

“e ora, se un principe si rende in qualche modo colpevole nei confronti della persona del re, convocalo al [dio fiume]. Che egli vada e se risulta innocente, che possa [continuare a vedere] i tuoi occhi; se invece “dÍD(-)ja-x mi-im-ma-i”, allora che resti nella sua casa. Se vuoi essere magnanimo e vuoi contare ancora su di lui, tienilo pure in considerazione. Ma se non intendi tenerlo in conto, che resti semplicemente nella sua casa. Non lo imprigionare, non fargli alcun male, non mandarlo a morte, non venderlo assolutamente (come schiavo)”.

- al § 3, i riferimenti paradigmatici alle pratiche ordaliche celebrate

nel passato, ai tempi del padre del re, nei confronti dei sudditi colpevoli, fanno da pendant al dispositivo del paragrafo precedente (II 17’-19’):

“nei confronti dello haršanī e del dÍD-ja di mio padre molti sono risultati colpevoli, e mio padre non li ha graziati. Lo stesso Kizzuwa

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risultò colpevole nei confronti del SAG di mio padre e del dÍD-ja e mio padre quel Kizzuwa non graziò”.

Come si può dedurre, anche attraverso l’analisi condotta su questi 2

paragrafi nella parte seconda di questo scritto, il problema interpretativo risiede tutto da un lato nella lettura di “dÍD(-)ja-x mi-im-ma-i” e nella spiegazione di ciò che in origine poteva essere semanticamente espresso dalla forma verbale mimmai, tenuto conto dell’anomalia che il verbo in questione (alla lettera “se rifiuta ...”) rappresenta rispetto alla normale formula “se risulta colpevole...se risulta innocente”; dall’altro nella giusta interpretazione da attribuire a haršanī, probabilmente, come già a suo tempo evidenziato da Riemschneider (1977, e ripreso dalla Frymer-Kensky, Ordeal, pp. 235ss.), da intendere, nella stesura originale del documento, come HURŠAN, definizione della pratica ordalica connessa con l’immersione nel fiume in ambiente mesopotamico.

Cominciando proprio da quest’ultimo punto, se la lettura di Riemschneider coglie nel giusto, come crediamo, il paragrafo assume una sua armonia interna (r. 17’ss.):

“in occasione della pratica ordalica del dio fiume disposta da mio padre, molte persone sono risultate colpevoli....lo stesso Kizzuwa risultò colpevole alla prova ordalica del fiume disposta da mio padre...”.

Il § 2, invece, funge, come si è sopra indicato, da dispositivo collegato

all’episodio che immediatamente precede, al § 1, relativo al principe di Purušhanda, nei confronti della cui famiglia il re riferisce di un suo atteggiamento apparentemente magnanimo (r. 8’s.: “andate, mangiate e bevete, ma non presentatevi al mio cospetto”). Il dispositivo del § 2 è esplicitamente finalizzato ai principi di palazzo (r. 10’: kinuna mān DUMU-aš) e non ai semplici funzionari/servi di corte, come è invece il caso dell’episodio descritto al paragrafo successivo, il § 3. Una lettura possibile (come in dettaglio analizzato nella seconda parte) potrebbe essere “ták-ku dÍD ┌ja-ra┐ mi-im-ma-i” (“se rifiuta lo jara del dio fiume”), dove però sia la lectio jara, sia la valenza semantica del verbo mimmai fanno difficoltà16. Ora, di fatto, una bevanda jara/ijara è attestata nella documentazione antico-hittita nell’episodio della cd. Cronaca di Palazzo relativo ai carristi che si

16 In relazione al problematico significato da dare in questo contesto al verbo mimma- cf. già

Frymer-Kensky, Ordeal, 238s.; l’ipotesi che si dovesse leggere qui jara- e che ci si potesse riferire all’ingurgitamento di una pozione era stata marginalmente suggerita da S. Bin Nun 1973, 7 e nota 18.

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sono dimostrati incapaci nelle esercitazioni di tiro con l’arco (KBo III 34 Ro. I, rr. 33ss.).17

“... chi colpisce il bersaglio, a lui si dà da bere del vino e costoro continuano a essere i [solda]ti del re; chi invece non colpisce il bersaglio, a lui si dà (da bere) una coppa di ijara e nudo è costretto a passare [dovun]que in rassegna”.18

Dal passaggio si deduce chiaramente che il sostantivo in questione deve

rappresentare una bevanda, nociva o meno che sia. Quindi, nel caso dell’ordalia in questione, potrebbe trattarsi di un’eguale pozione che, se rigurgitata (azione espressa dal verbo mimmai?), testimonierebbe della colpevolezza del soggetto: “se rifiuta/rigurgita il dio fiume (e cioè) la bevanda jara”. A sostegno di una tale interpretazione concorre anche la procedura che immediatamente segue l’atto del mimmai, cioè del rigurgitare (scil. non accettare di interiorizzare) il dio fiume: non è espressa la solita formula “se invece risulta colpevole...”, pendant di quella che precede “se risulta innocente...”, bensì si passa direttamente a sottolineare l’atteggiamento che può assumere il re, scegliendo fra un allontanamento o una riabilitazione, ma escludendo qualsiasi severa misura punitiva.

In tal caso saremmo di fronte a una vera e propria canonica ordalia del bere, cui seguirebbe una sentenza improntata alla moderazione. Che il trattamento riservato ai servi del re, esplicitato nel paragrafo successivo e collegato con la pratica dello HURŠAN, sia diverso non dovrebbe in principio porre problemi, dal momento che nel caso specifico dello jara la prescrizione regia è esplicitamente rivolta alla categoria dei principi di corte.

Se questa rappresenta la lectio difficilior, la soluzione più semplice potrebbe, invece, essere quella della non significatività dello spazio fra dÍD e la susseguente serie di 2 segni, da leggere il primo senza dubbi “JA” ed

17 Questo passaggio è stato oggetto di diverse interpretazioni e discussioni, soprattutto per

quanto concerne la lettura ijara in questione: cf. da ultimo Dardano 1997, 110ss. e, soprattutto Beal 1992, 536 e 554s.; sulla base di quanto argomentato da quest’ultimo, loc. cit., e del controllo del passaggio in oggetto su foto gentilmente fornitami dal collega, Prof. G. Müller dell’Akademie di Mainz, non mi sembra necessario l’emendamento in ijal proposto a suo tempo da E. Neu, come d’altra parte aveva già correttamente letto anche E. Forrer in 2 BoTU 12A.

18 34. ... ku-iš na-at-ta-ma ha-az-zi-iz-zi nu-uš-še i-ja-ra GAL-ri pí-an-zi 35 [ku?-wa?]-at-ta-an ni-ku-ma-an-za ú-wa-a-tar pí-it-ta-iz-zi. L’espressione qui resa con “passare in rassegna” corrisponde in hittita a uwatar pittaizzi, alla lettera “correre la rivista”. Tuttavia la forma verbale pittaizzi è equivoca e potrebbe anche essere interpretata come derivante dal verbo per “portare” pittae-, così come uwatar può anche essere una grafia arcaica per watar “acqua” e quindi avere il significato “nudo è costretto a portare l’acqua dovunque”.

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emendare il secondo in “MA” (dÍD-ja-ma!, come per altro proposto in CHD s.v. mimma-, dal Laroche, Ordalie, e Soysal, Diss.,) e, rimanendo di conseguenza per la forma verbale mimmai sempre il valore di “rifiutare/rigettare”, arrivare alla conclusione che il caso preso in esame sia quello che il sospetto di colpevolezza rifiuti di sottoporsi alla normale pratica ordalica dello HURŠAN e che quindi, non esistendo un esplicito responso sovrumano, sia previsto che il re si astenga da possibili punizioni, pur rimanendo a sua discrezione la possibilità di una completa riabilitazione del sospetto stesso; il senso sarebbe quindi (r. 11’ss.):

“se risulta innocente, che possa [continuare a vedere] i tuoi occhi; se invece rifiuta il dio fiume (scil. di andare al fiume per sottoporsi alla prova), allora che resti nella sua casa...”.

Anche nel caso della lectio facilior rimane però un punto “equivoco” (a

parte gli emendamenti da fare in ogni caso al testo): nell’ambito di un dispositivo regio volto a stabilire il ricorso alla pratica ordalica per i presunti colpevoli di lesa maestà appartenenti alla casta dei principi di corte, parallelamente alla possibilità di un verdetto liberatorio, verrebbe considerata la sola evenienza di un rifiuto ad accettarla, senza palesare cosa sarebbe previsto in termini di pena comminata dall’autorità regia nel caso di un verdetto divino di colpevolezza. Si tratta forse di un escamotage per evitare un’esplicita sentenza di colpevolezza nei confronti dei membri stretti della corte regia, magari offrendo implicitamente, nella possibilità di rifiutarsi di sottoporsi alla procedura ordalica, la libertà al potere regio di neutralizzare senza azioni drammatiche contrasti interni alla famiglia reale allargata?

1.5. L’ ORDALIA PRESSO GLI HITTITI : QUALCHE VALUTAZIONE FINALE

Al termine dell’analisi fin qui compiuta, alcuni risultati, seppur parziali, possono essere almeno schematicamente indicati:

- a parte la lettera KBo XVIII 45, che però probabilmente non è da connettere con una procedura ordalica, e la lettera KBo XXVIII 102, la cui collocazione cronologica e storica rimane estremamente aleatoria, non vi sono evidenti testimonianze, né di carattere didascalico, né di carattere pratico, che la procedura giudiziaria ordalica fosse in qualche modo praticata in età imperiale;

- per le stesse età precedenti, fatta eccezione per la lettera KBo XVIII 66 (se veramente ai riferimenti in essa contenuti dobbiamo dare il valore di resoconto di fatti effettivamente svoltisi), una regolare

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prassi giudiziaria fondata sul rinvio alla procedura ordalica non sembra accertabile;

- le citazioni relative al ricorso a pratiche ordaliche, infatti, pur contenute in paragrafi attuativi di dispositivi regî (decreti e istruzioni), sembrano avere più la valenza di elemento deterrente che di vera e propria consuetudine consolidata;

- vieppiù valore ammonitore e funzione deterrente sembrano assumere gli svariati riferimenti a episodi ordalici, avvenuti in passati più o meno lontani, contenuti all’interno di testi di carattere giuridico-amministrativo, come i decreti e le istruzioni;

- che la società politica hittita conoscesse, e in situazioni di particolare eccezionalità effettivamente praticasse, procedure ordaliche (sempre dipendenti da un verdetto regio) di tipo fluviale appare innegabile, tuttavia l’impressione generale è che, appunto, diversamente rispetto ad altri ambienti vicino-orientali, tale pratica non fosse uso consolidato;

- diverso è invece il ragionamento per quanto concerne l’esistenza di pratiche di tipo “paraordalico”, cioè collegate a giuramento o forme oracolari. In questi casi (dei quali il primo è certamente presente attraverso il testo KUB XIII 4, il secondo solo indiziato da KUB XXXI 74) non è corretto parlare di pratica ordalica in senso stretto del termine, bensì di trasferimento alla sfera giudiziaria divina dell’intero contenzioso, escludendo sentenze e scadenze di carattere umano. L’esistenza di questo tipo di usanza in ambito hittita (specificamente quella del bere connessa con il giuramento solenne) e la sua apparente assenza in ambito mesopotamico, assume, come già più volte sottolineato dalla Frymer-Kensky, un significato particolare, soprattutto alla luce della tradizione in proposito vetero e neo-testamentaria;

- infine, per quanto concerne il dettaglio dello svolgimento della procedura ordalica di tipo fluviale, i testi hittiti non forniscono purtroppo, differentemente rispetto a quelli mesopotamici, informazioni specifiche. L’unico indiretto collegamento risiede nella delineata possibilità che nell’originaria redazione dell’editto KBo III 28 fosse contenuta effettivamente l’espressione HURŠAN. Tuttavia sia la mancata comprensione del termine da parte del copista tardo-hittita, sia la non certezza che a eguale nominazione corrispondesse nella pratica anche in ambito hittita ciò che è verificabile per l’ambito mesopotamico, rendono una puntualizzazione in proposito quanto mai incerta.

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Resta il fatto che, se effettivamente il copista tardo ha equivocato quanto redatto in età più antica, ciò può rinforzare ancor più la convinzione che pratiche ordaliche di tipo fluviale non fossero più attuali in età imperiale e rimanessero patrimonio (più o meno propagandistico) di un lontano passato giuridico-sapienziale o di antiche cronache conservate negli archivi della capitale a vantaggio di una comune “memoria collettiva”19.

2. I TESTI KBO VIII 42 E III 28 E IL PROBLEMA DELLA REDAZIONE E

TRASMISSIONE TESTUALE

2.1. CONSIDERAZIONI GENERALI

I due testi qui di seguito trascritti e commentati, rappresentano nella discussione sulle pratiche ordaliche in ambiente hittita forse la testimonianza più interessante.

Dal momento che entrambi, a parte la schematica presentazione in trascrizione e traduzione in Soysal, Diss., si trovano spesso citati nella letteratura hittitologica, sempre però in forma parziale, e tenuto conto dei riferimenti a essi fatti nella prima parte del presente lavoro, si è ritenuto opportuno presentarli in forma completa in questa seconda parte quale necessario complemento.

Inoltre, trattandosi di due documenti storico-letterari, riferibili per contenuto e peculiarità scribali alle fasi inziali del regno hittita, l’uno redatto nel cd. ductus antico-hittita, il secondo mantenuto in copia tarda, riteniamo che la loro analisi possa presentare elementi utili ad arricchire l’interessante discussione in atto sulla effettiva datazione dei primi documenti in lingua hittita che ha visto nei recenti contributi di G. Wilhelm (2005), M. Popko (2007), J. Klinger (1998) e, soprattutto, Th. van den Hout (in stampa)20 i principali punti di riferimento.

Di fatto, in un breve saggio pubblicato nel 2002 sulla competenza linguistica nell’ambito del territorio anatolico nel II millennio a.C., notavo come il quadro linguistico-scrittorio dell’Anatolia all’indomani del processo di unificazione politica sotto il controllo della nuova dinastia di Hattuša, dovesse essere valutato in termini molto più complessi rispetto a quanto normalmente è dato nella manualistica storica, rilevando altresì come

19 Sul valore e sulle procedure di copiatura e archiviazione dei documenti durante l’arco

temporale abbracciato dal regno hittita, rinviamo ai recenti e stimolanti lavori di van den Hout 2002, 2005 e 2008.

20 Ringrazio il collega van den Hout per avermi inviato il manoscritto del lavoro in oggetto.

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l’esistenza di documenti in lingua accadica (paleobabilonese) di carattere storico-politico “interno” stridesse fortemente con l’uso che del babilonese è attestato per le epoche immediatamente successive: e cioè per la redazione di documenti di carattere strettamente “internazionale”.

Inoltre, nell’introduzione a un precedente lavoro (1986) sui testi accadici (e bilingui) da Hattuša di età antico-hittita (con riferimento alla originaria redazione e non all’effettivo ductus), notavo altresì come, da un’approfondita lettura di tali documenti, non risultassero, diversamente rispetto a quanto spesso affermato (mettendo, tra l’altro, erroneamente sullo stesso piano testi accadici di età antico-hittita con quelli di epoche successive), né tendenze a una “hethitisierende Syntax” e neppure carenze per quanto attiene alla conoscenza e all’utilizzo del sistema grammaticale in generale e verbale in particolare. Si rilevava invece come, a prescindere dalla presenza di elementi dialettali di area alto-eufratica (i cd. “marismi”), gli unici elementi “discordanti” si ritrovassero talvolta nei procedimenti di trasposizione in accadico di forme idiomatiche proprie dello hittita, venendo a creare “modi di dire” che assumono la propria valenza significativa soltanto se “pensati” nella loro lingua di origine. Ma questo, aggiungerei oggi, non pregiudicherebbe né l’eventuale “accadicità” dello scriba estensore, e neppure la comprensione da parte di un pubblico che certamente non doveva essere pensato come mesopotamico. Risulterebbe a tal proposito interessante oggi, dopo la pubblicazione della cd. “Lettera di Tikunani” e dei documenti correlati (Salvini 1994, 1996), un confronto fra l’accadico (con idiomatismi hittiti) redatto per documenti “interni” rispetto all’accadico di tale documento, pensato e redatto per un lettore “esterno”. Infine, per quanto concerne il famoso testo sull’assedio di Uršum, penso valga la pena riportare verbalmente quanto consideravo a conclusione delle note introduttive alla sua analisi filologica (p. 25): “Wie im Falle der sog. Militärannalen von Hattusili I, scheint es uns auch für die Uršum-Erzählung möglich, durch nähere Betrachtung mancher Passagen gewisse literarische Patterns entdecken zu können, die uns dazu veranlassen, diese Komposition als originelles Produkt unter dem Einfluβ verschiedener kultureller Traditionen zu betrachten”.

Ritornando, ora, ai due testi qui specificamente analizzati, mi preme mettere in evidenza alcuni elementi rilevati in dettaglio nei rispettivi Commenti.

Innanzitutto va sottolineato che nella trascrizione si è cercato di ridurre al minimo sia gli interventi di integrazione (limitandoli ai soli casi effettivamente certi) sia quelli di emendamento, rinviando alle Note e al Commento l’illustrazione di tutte le possibilità di integrazione e lettura. Ciò in primis al fine di rendere evidenti i possibili (e di fatto, numerosi) elementi

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contraddittorii non derivabili per via diretta da fenomeni di semplice disattenzione scribale.

Come evidenziato nella prima parte di questo lavoro, alcune espressioni connesse con la pratica ordalica che hanno diretto riscontro nei contemporanei testi di ambiente accadico, trovano riscontro essenzialmente nei testi cronachistici e giuridici attribuibili a età antico-hittita. Particolarmente interessante appare l’espressione I-NA wa-ar-pí-ja dÍD (VIII 42 Ro.? 8’; dove purtroppo il predicato verbale rimane in lacuna) e la confusione nella quale l’estensore di III 28 sembra incorrere alle rr. 17’-19’ a fronte di un originario termine huršan, ormai non più compreso, e la conseguente trasposizione in hittita con la parola “testa”, sulla base di una pura omofonia (o, meglio, omografia).

Diverso è invece il caso delle possibili interpretazioni di [t]ák-ku dÍD(-)ja-x mi-im-ma-i(-)na(-)É-ši-pát alla r. 12’ di KBo III 28; qui, infatti, a problemi di comprensione/trasposizione dal testo originale, indiziati da una possibile soggiacente lettura I-NA É (sempre che il na(-) non rappresenti semplicemente una dimenticanza del copista a fronte di un originario na-<aš>), si aggiungono le complicazioni derivanti dal cattivo stato della tavoletta proprio nel punto susseguente a “JA” e le implicazioni a livello contenutistico che la proposta lettura della Bin Nun, ja-ra, comporterebbe.

Da segnalare sono, infine, due ulteriori anomalie rilevabili in VIII 42: la prima riguarda lo strano MA all’inizio di Vo.? 5, per il quale non trovo alcuna spiegazione. Risolverlo semplicemente come un “ripensamento” all’atto della stesura della nuova riga (in Soysal, Diss., è notato <<ma?>>) mi sembra troppo semplicistico. La seconda è rappresentata dal chiaro segno “BI” in ú-uš-kat-┌te┐-BI alla r. 12 (ben visibile, per altro, anche in foto). In questo caso, però, potrebbe veramente trattarsi di una distrazione scribale. 2.2. KBO VIII 42 Ro.? x+1 ] xxx x1)-x[ 2’ [GI]Šl[u]-ú-ut-ta-an-za úš-┌ki-iz-zi┐x[ 3’ ša-an ú-wa-te-ir LUGAL-ša-an pu-nu-uš-k[i-2) 4’ ku-it ú-┌e┐-eš UM-MA ŠU-MA ki-iš-ša-an-pá[t 5’ ma-a-an URU┌Ha┐-at-tu-ša-ma ú-wa-u-en nu-u[n-?

6’ nu-an-na-aš pu-nu-uš-ki-┌iz┐-zi iš-pa-a-an-wa ku-wa-p[í(-)3) 7’ UM-MA A!-NA-KU-MA ú-ku-┌un┐ hal-zi-ih-hu-un UM-MA Š[U?-MA? 8’ tu-e-la-wa <LÚ>KUŠ7-iš-┌ma┐4) I-NA ┌wa?-ar?-pí┐-ja5) dÍD[ 9’ na-at-ta pa-iš-kat-tu-┌ma┐-a-a[t x x x x -]ti(-)A/a-HI/hi-JA/ja[6) 10’na-at-ta pa-iš-kat-┌tu-┐[m]┌a-a┐[-at ]x xx[7)

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11’pa-it ku-wa-a-at-k[a 12’LUGAL-uš URUTab-ti-x[ 13’dÍD-ja pa-i[t 14’┌hu┐-it-ti-an har-d[u? 15’[ ]LUGAL ta-wa-la-aš[ 16’[ ]i-ja-ah-┌hu┐-ut [ Vo.? 1 [x]x-iš-te-ni na-at-ta x[8) 2 i-iš-šu-wa-an da-iš-te-en[ 3 pí-ja-an-ni-wa-an da-iš-t[e-en? 4 ku-e-la-an ki-iš-ra-a š[u- 5 MA?9) mŠa-wa-na-i-li-aš ┌DUMU┐ m[- 6 ke-e UGULA 1 LI-eš e-šir m┌Ka ┐-[ta]h-┌ta┐-i-l[i- 7 UR.BAR.RA-aš-mi-iš e-eš-ta ša-an DUMUMEŠ-ŠU x[ 8 mHu-uz-zi-ja ŠUM-ŠU nu-uš-še a-pa-a-aš ti-i-e-i[t 9 dÍD-ja pa-it ša-aš pár-ku-e-eš-ta x[ 10 a-pé-da-ni-pát pí-i-ir nu-uš-še i-da-a-l[u(-) 11 na-at-ta ku-┌it┐-ki ú-uš-kat-┌te┐-BI !?9) nu G[IR? 12 ┌ma-ni-ah-hi-iš-kat-ta┐ Ka-tah-┌ta-i-li┐-iš[ 13 ] x x [ ] x [ Note al testo

1) Lettura incerta: GIR4 o, secondo Soysal, Diss., Ù. 2) Probabilmente da integrare -k[i-iz-zi 3) Soysal, Diss., propone a[t-. 4) Preferiamo questa lettura alla soluzione SAHAR di Soysal, Diss. (cf.

Commento al testo). 5) Per questa possibile lettura e per le considerazioni derivanti cf. Commento

al testo. 6) Possibile, sulla base del contesto, la lettura AHI=JA. 7) Probabile, sia sulla base delle tracce leggibili, che su quella del contesto,

l’integrazione di Soysal, Diss., ]x dÍ[D. 8) Possibile, sulla base della tracce ancora visibili, l’integrazione DU[MU

proposta da Soysal, Diss. 9) Sulla presenza dei due segni “MA” e “BI” in Vo. 5 e 11, ben leggibili e non

su rasura (da foto dell’Archivio di Mainz), si rinvia al Commento testo.

COMMENTO AL TESTO

Il testo, in ductus antico-hittita (cf. Portal), è stato fino a oggi presentato nella sua interezza soltanto in Soysal, Diss. Una serie di passaggi sono stati analizzati in Pecchioli Daddi (1995), che ne ha proposto anche un

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inquadramento di genere, e Beal (1992, p. 379). Laroche, nella sua trattazione sull’ordalia (Testo 1), ha considerato soltanto i passaggi alle rr. Ro. 13’ e Vo. 9, tralasciando le, pur frammentarie, ma fondamentali, letture alle rr. Ro. 8’ e 10’. Alla luce di queste ultime, il testo assume un sapore “cronachistico” (ricco, tra l’altro, di passaggi interlocutori che ricordano lo stile colorito, ma essenziale, del cd. “testo dell’assedio di Uršum”, CTH 7) tutto incentrato sul rinvio dei diversi personaggi, che appaiono caratterizzare la scena, alla prova ordalica del fiume. In questo senso una particolare attenzione va posta, se si accetta la lettura proposta per Ro. 8’, all’espressione INA warpija dÍD, “(appartenere/essere) nell’ambito/sfera del dio fiume”. Tale espressione traspone il concetto di “conquistare” e “circondare”, espresso in ambito mesopotamico dal verbo kašādu e dall’espressione sumerica šu...ri-ri per indicare la determinazione di colpevolezza in ambito ordalico (cf. CH §2 e il commento di Frymer-Kensy, Ordeal, p. 493), per mezzo di warpa/i- (lett. “luogo chiuso”) in hittita dal quale derivano le formazioni verbali per esprimere l’atto del circondare e del conquistare (cf., per ultimo la trattazione in EDHIL s.v. warpa- e la forma luvia in CLL s.v. warpa/i- con tutti i riff. bibliografici del caso).

Inteso in questo senso, e leggendo la sequenza dei segni IŠ-IŠ-┌MA┐ immediatamente precedenti come <LÚ>KUŠ7-iš-┌ma┐ (quindi, diversamente da Soysal, la cui proposta di lettura SAHAR poco si adatta al contesto), si restituisce al tutto un senso compiuto perfettamente coincidente con il tenore del testo: “il tuo cocchiere appartiene però al dominio del dio fiume”, cioè è risultato colpevole alla prova ordalica del fiume.

La mancanza del determinativo LÚ, normalmente premesso al titolo del funzionario, non rappresenta a nostro avviso un problema rilevante. Il testo, infatti, presenta (al pari di KBo III 28) numerose inesattezze e apparenti sciatterie: in primis i due segni MA (inizio Vo. 5) e BI (per la parte finale della forma verbale riferibile a usk- in Vo. 11) che pongono una serie ipoteca sull’effettiva originarietà della redazione della composizione in oggetto; si aggiunga, inoltre, la mancanza del determinativo per il nome di Katahtaili alla r. 12 del Vo. 2.3. KBO III 28 Ro. II x+1 [x]x xxx[ 2’ [x]x1) ma-a-an x-x-x2) x[xx]x(-)iš ┌ú-uk┐ x[ 3’ [i]š-ta-ma-aš-ta URUHa-at-tu-ši ku-u-ru-ur e-e[p-ta? 4’ [š]a-kán-zi LUGAL-un URUHa-at-tu-ša-an na-at-ta[

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5’ ┌e┐š-ta DUMU URUPu-ru-uš-ha-an-du-um-na-an da-a-ir ki-i[š-3) 6’ ke-e-da-am-mu a-pa-aš i-iz-zi šu-mu DINDIRDIDLI DUMU URUPu-r[u-

uš-ha-an-du-um-na-an] 7’ ki-iš-ri-mi da-i-ir LUGAL-uš A-NA DAM-ŠU ne-ga-aš-š[a]-aš-ša 8’ i-it-te-en az-zi-kat-te-en ak-ku-uš-kat-te-en LUGAL-wa-ša 9’ ša-a-┌ku┐-wa-me-et le-e uš-te-ni 10’ ki-nu-na ma-a-an DUMU-aš A-NA SAG.DU LUGAL ú-wa-aš-ta-i ku-

it-ki a-pa-ša-an A[-NA (d)ÍD(-)] 4) 11’ [ha]l-za-a-i na-aš pa-it-┌tu┐ ma-a-na-aš pár-ku-eš-zi nu ša-a-ku-wa-at-

te-et ú-uš[-ki-it-tu]5) 12’ [t]ák-ku dÍD(-)ja-x mi-im-ma-i(-)na(-)É-ši-pát6) e-eš-tu ge-en-zu-wa-

┌i┐[-7) 13’ na-an ka-pu-u-e-ši na-an ka-pu-u-i ták-ku na-at-ta-ma ka-pu-u-e-ši 14’ na-aš É-iš-ši-pát e-eš-tu A-NA É.EN.NU.UN le-e da-it-ti 15’ i-da-lu-ma-an le-e i-ja-ši hé-en-kán-še le-e ták-ki-iš-ši uš-┌ša-n┐[i-8) 16’ le-e ne-pí-ši DINGIRDIDLI iš-tar-ni-ik-ši ták-na-a-ma mi-e-nu-uš iš-tar-

ni-i[k-9) 17’ at-ta-aš-ma-aš HAR-ša-ni-i10) dÍD-ja me-ek-ke-eš pa-ap-re-eš-kir šu-uš

A-BI LUGAL 18’ na-at-ta hu-iš-nu-uš-ke-e-et mKi-iz-zu-wa-aš-pát A-NA SAG10) A-BI -

┌JA┐ dÍD-ja 19’ pa-ap-ri-it-ta ša-an at-ta-aš-┌mi-iš┐ mKi-iz-zu-wa-an na-at! hu-┌e┐!-nu-

ú-ut10) 20’ ki-nu-na LUGAL-uš i-da-lu me-┌ek┐-ki u-uh-hu-un ta LUGAL-wa11)

ud-da-a-ar-ra-me-et 21’ le-e šar-ra-at-tu-ma a-ši MUNUS.LUGAL URUHu-ur-ma É.GI4.A 22’ e-eš-ta ad-da-aš-mi-ša-aš-še ke-e-da-ni a-ra i-ja-an har-ta12) 23’13)[x]x-ša?14) MUNUS.LUGAL-aš DUMU.MUNUS ÉTIM ku-wa-ta-an pí-

ta-at-te-ni x[ 24’[xx]x-┌te?┐-ni ku-in LUGAL-uš GIŠŠÚ.A-mi a-ša-aš-hé

MUNUS.LUGAL[ 25’ [ i]š-ki-it(-)e-tu15) m?ga-ri-ja-an-še?(-)x[15) 26’ ]x-ma-na-an-te-eš a-ša-an-du[ 27’ ]x LÚMEŠ pa!? 16)-ah-hur-zi-e-eš x[ 28’ ]x[ Note al testo

1) Soysal, Diss., integra [ka-a-š]a, pur essendo lo spazio in lacuna, a nostro avviso, limitato per contenere l’integrazione dei due segni.

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2) L’integrazione in Soysal, Diss., ┌GIŠAB-az┐appare possibile sulla base sia dell’autografia, che della restituzione delle tracce in Forrer 2 BoTU 10γ (sui confronti dell’espressione con altri testi cf. Commento al testo).

3) Probabile l’integrazione ki-i[š-/eš-ri-mi(-) da-i-ir sulla base di quanto segue alla r. 7’; così anche Dardano 2004, p. 240.

4) L’integrazione probabile in relazione al contesto; così anche Soysal, Diss. e Laroche, Ordalie.

5) Preferiamo seguire qui l’integrazione di Laroche, piuttosto che quella in Soysal Diss. [-ki-iz-zi] semplicemente sulla base del parallelo imperativo e-eš-tu alla r. 12’.

6) L’intera prima parte della r. 12’ presenta notevoli problemi di lettura e, conseguentemente, di interpretazione. La soluzione [t]ák-ku dÍD-ja-ma! mi-im-ma-i, proposta sia da Laroche Ordalie, che da Soysal, Diss., e ripresa un CHD s.v. mimma- a., pur restituendo una sequenza significativa, non rende ragione sia del chiaro spazio esistente fra dÍD e il susseguente segno “JA”, sia delle tracce (chiaramente visibili anche in foto) che seguono immediatamente quest’ultimo. D’altra parte, neppure la soluzione offerta nello stesso CHD, ma s.v. mān 7.a., dÍD(-?)┌ja-ma-za┐?, soddisfa pienamente, poiché le tracce susseguenti a “JA” (sia sull’autografia che in foto) non sembrano potersi riportare a 2 segni distinti, da leggere appunto -MA-ZA. Autografia, foto e l’indicazione di Forrer in 2 BoTU 10γ al margine, potrebbero far propendere per la soluzione di lettura, proposta da Bin Nun 1973, dÍD ┌ja-ra┐ (Forrer trascrive dubitativamente ja-zu?-) che, seppure appare la più aderente a quanto si vede, pone una serie di problemi interpretativi non indifferenti (cf. quanto discusso nel Commento al testo). Che l’intera riga, fino a ēštu, rifletta originari problemi di comprensione da parte del copista (che si ritrovano anche in altri punti fondamentali del testo, per i quali si rimanda egualmente al Commento al testo), è testimoniato dalla sequenza NA(-)É-ŠI- che Forrer a suo tempo in 2 BoTU risolveva leggendo la -I finale del precedente mimmai come parte del seguente NA a formare I-NA É.GALLIM, e che generalmente viene oggi invece risolta come na<-aš> É-ši-pát, lettura che restituisce un senso compiuto al passaggio, ma che non assicura che tale effettivamente fosse l’originaria redazione.

7) L’integrazione di Laroche, Ordalie, ge-en-zu-wa-┌i┐[-ši ma-a-an] ci sembra in questo caso, con il mān posposto, quindi con il significato di “così come” (cf. CHD s.v. mān 2.), la più appropriata. L’intero passaggio, fino all’inizio della r. 14’, prenderebbe conseguentemente il significato: “(se), così come più ti fa piacere, vuoi continuare a tenerlo in conto, allora tienilo pure in conto; ma se non (lo) vuoi più tenere in conto, allora ...”.

8) Diversamente rispetto a quanto a suo tempo proposto dal Laroche, molto probabile appare l’integrazione proposta in CHD s.v. mienu- A.c.2’., uš-┌ša-n┐[i-e-ši-an, quindi con il lē alla r. 16’ posposto rispetto alla forma verbale: “assolutamente non venderlo”. Questa integrazione, proposta anche da Soysal, Diss., con la sola possibile variante ...-ši-ma-an, rende la frase successiva, relativa alle divinità nel cielo, di valenza positiva e

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permette una interpretazione del genere: “offendendo gli dei nel cielo, offenderai anche i mienuš sulla terra!”; conseguente, quindi, anche l’integrazione iš-tar-ni-i[k-ši alla fine della r. 16’. Sulla difficoltà di definire semanticamente in maniera precisa la forma mienuš, si rimanda all’ampia discussione e ai riff. bibliografici in EDHIL, s.v. mienu-zi.

9) Per l’integrazione iš-tar-ni-i[k-ši cf. quanto già esplicitato alla nota precedente.

10) Al pari della precedente r. 12’, anche le rr. 17’-19’ sembrano essere state di difficile resa e possibile equivoco per il copista. Come messo a suo tempo in evidenza da K. Riemschneider (1977) e confermato dall’analisi svolta dalla Frymer-Kensky, Ordeal, pp. 231ss. (cui si rimanda per tutte le considerazioni del caso), appare molto probabile che nel testo originale (quale che ne fosse stata la lingua di stesura!) si facesse expressis verbis riferimento alla pratica ordalica dello hursan. Di conseguenza, vista la valenza HUR/HAR del primo segno per tale espressione, e tenuto conto da un lato della complessa valenza e resa nel tempo di tale termine (Frymer-Kensky, Ordeal, pp. 481ss.; ead. 1981), dall’altro dell’uso diffuso nel linguaggio di riferimento giuridico hittita della parola per “testa” (cf. quanto considerato in Dardano 2002), appare più che probabile che il copista (o lo scriba redattore in lingua hittita) abbia equivocato il contesto e restituito HAR-ša-ni dÍD-ja alla r. 17’ (riprendendo implicitamente la corretta espressione della r. 10’) e A-NA SAG... dÍD-ja alla r. 18’. Alla confusione interpretativa di queste 2 righe, si aggiungono, poi, confermando le difficoltà del copista, i successivi errori alla r. 19’: na-at<-ta> e hu-┌e┐!-<eš>-nu-ú-ut (secondo quanto proposto già a suo tempo da Forrer in 2 BoTU e confermato dalle trascrizioni di Laroche e Soysal).

11) Certamente, come per le inesattezze scribali della r. 19’, da correggere in LUGAL-wa<-aš>. Difficile ci sembra, invece, come in De Martino 1989, pp. 14ss.,, vedere nel -wa la particella del discorso riferito, visto il ta che precede.

12) L’intero paragrafo è stato recentemente ampiamente discusso da Beal 2003, pp. 26 ss. Seguendo la sua interpretazione, l’indicazione di città deve certamente essere riferita all’origine della regina, come indicato anche da H. Otten in RlA s.v. Hurma. Il senso che assumerebbe l’intero passaggio (come in parte suggerito anche da Cohen 2002, p. 154 e n. 662, e De Martino, loc. cit .) sarebbe dunque: “La suddetta regina era una sposa proveniente dalla città di Hurma, e mio padre, per quanto concerne questo fatto, le aveva reso giustizia”.

13) L’intero paragrafo risulta non solo lacunoso, ma anche di complessa interpretazione. Sia Beal che De Martino (locc. citt.), interpretando il kedani della precedente r. 22’ in senso cataforico, vedono in quanto segue alle rr. 23’ss. l’esplicitazione del discorso riferito al “padre del re” per quanto concerne l’atto di giustizia considerato; diversamente Soysal, Diss., che, riferendo kedani alla persona della regina e integrando diversamente l’inizio della r. 23’, fa del paragrafo un dispositivo attuale espresso

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direttamente dal re. Entrambe le soluzioni e le diverse integrazioni sono possibili, anche se noi propenderemmo per la seconda.

14) Diverse sono le integrazioni proposte (e possibili, anche sulla base delle poche tracce rimaste): Soysal [ka]┌-a-┐ša; Beal ┌na┐[-aš-]┌ta┐. Sulle conseguenze di tali integrazioni per l’interpretazione del paragrafo cf. quanto già indicato alla nota precedente.

15) Problemi presenta la sequenza E-TU (apparentemente su rasura). Forrer la leggeva come gruppo a parte, probabilmente collegabile all’origine con il cuneo verticale immediatamente successivo, per il quale postulava come possibili sia una lettura “1”, sia “m”, sia infine ME. Soysal, Diss., sulla base anche delle diverse imprecisioni presenti in questo testo, propone di collegarlo con la forma verbale precedente, emendando: i]š-ki-it-<e->tu quindi, proponendo una forma iterativa all’imperativo singolare. Di conseguenza, lo stesso Soysal interpreta la sequenza immediatamente susseguente come nome proprio mGarian=še.

16) L’emendamento in PA-ah-hur- risulta ovvio, come già indicato da Forrer. Il segno originario ricorda GÚ o DUR.

COMMENTO AL TESTO

Il testo, giunto fino a noi in copia di età imperiale, a suo tempo trascritto in Forrer 2 BoTU 10γ, è fino a oggi in trascrizione e traduzione completa solo in Soysal, Diss.; è stato in diverse occasioni trattato parzialmente da diversi studiosi fra i quali: Laroche, Ordalie, per quanto attiene ai riferimenti alle prove ordaliche (rr. 6’-19’), De Martino 1989, pp. 14ss. (rr. 17’-24’), Dardano 2004, p. 240s. (rr. 5’-9’ e 10’-19’) e Beal 2003, p. 26s.(20’-25’).

Esso rappresenta, pur nella sua estrema frammentarietà, molto probabilmente un editto reale all’interno del quale si alternano episodi di sapore aneddotico (ambientati cronologicamente sia in un passato prossimo, che vede come attore il re promulgatore, sia in un passato remoto, in un tempo che vede attivo il “padre del re”) con passaggi a carattere dispositivo (kinuna ... alle rr. 10’ e 20’). Il tema che caratterizza la disposizione regia appare essere (almeno per la parte giunta fino a noi) quello della colpa di lesa maestà (A-NA SAG.DU LUGAL wašta-/wašt-) nell’ambito della cerchia degli appartenenti (diretti o indiretti) alla famiglia reale e della pena da infliggere di conseguenza. I soggetti applicatori, quindi gli interlocutori (fittizi o reali) del dispositivo sono espressi alla 3^ pers. sing. del presente, con riferimento diretto alla persona del re (r. 10’ apaš halzāi), oppure alla 2^ pers. sing. (rr. 12’-13’ genzuwaši, kappūeši, kapūi etc.) o plur. (r. 21’ lē šarrattuma) dell’indicativo presente o dell’imperativo. Se si accetta la lettura ┌GIŠAB-az┐proposta da Soysal alla r. 2’, si potrebbe avere anche in questo caso (come d’altra parte anche in KBo VIII 42 Ro.? 2’) il topos dello “sguardo dalla finestra”, ricorrente in altri testi hittiti di carattere giuridico

(sul quale cf. da ultimo Cristiansen 2007).

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L’originaria redazione del testo (quale che ne fosse la lingua) è riferita ai primi dinasti hittiti (Mursili I ?). Come anche nel caso di KBo VIII 42, esso presenta numerosi passaggi indicanti difficoltà incontrate dallo scriba/copista all’atto della stesura. Ancor più che nel caso di KBo VIII 42, però, si possono individuare due diversi tipi di difficoltà/errori: quelli probabilmente imputabili a inesattezze/dimenticanze, abbastanza comuni nelle copie tarde di testi più antichi (come na-at<-ta> e hu-e-<eš>-nu-ú-ut alla r. 19’); altri, invece, la cui genesi farebbe pensare a un’effettiva difficoltà nella comprensione e resa dell’originale (rr. 12’ e 17’-18’).

ABBREVIAZIONI

A parte le correnti abbreviazioni in uso nel settore degli studi hittitologici per la citazione dei testi e delle opere di repertorio, per le quali si rimanda al Chicago Hittite Dictionary, si è fatto in questa sede uso delle seguenti specifiche abbreviazioni:

CLL = MELCHERT, 1993. EDHIL = KLOEKHORST, 2008 Ordeal = FRYMER-KENSKY, 1979. Ordalie = LAROCHE, 1973. NIL = WODTKO – IRSLINGER - SCHNEIDER, 2008. Portal = KOŠAK, www.hethiter.net. Soysal, O., Diss. = SOYSAL, 1989.

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