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INTRODUZIONE Il Trauma costituisce la prima causa di morte per le persone al di sotto dei 40 anni. Il pesante impatto di questa patologia sui giovani è la causa principale di perdita di anni di lavoro con enormi costi sociali. Inoltre i traumi severi sono frequentemente gravati da esiti invalidanti con ulteriori costi aggiuntivi, tanto che negli USA i costi relativi ai traumi ed alle loro conseguenze superano quelli di qualsiasi altra patologia, incluse le affezioni cardiovascolari e neoplastiche. Benché la prevenzione rappresenti il cardine per la riduzione delle patologie traumatiche, un migliore trattamento del paziente politraumatizzato può portare ad una netta riduzione della mortalità e dei costi sociali stessi. Molte delle morti e delle invalidità da trauma sono infatti prevenibili. La percentuale delle morti prevenibili è stimata tra il 33% e il 73% dai diversi autori. Poiché la maggior parte dei decessi conseguenti a trauma avviene prima dell'arrivo in ospedale è di importanza fondamentale migliorare la qualità del soccorso nella fase preospedaliera. Il miglioramento del soccorso preospedaliero ha non solo l'obiettivo di ridurre la mortalità nella prima fase del trattamento, ma soprattutto quello di limitare i danni secondari dovuti ad anossia, ipotensione o a manovre incongrue, fattori che sarebbero responsabili della maggior parte degli esiti gravemente invalidanti. La centralizzazione dei gravi politraumatizzati in pochi centri ad alta specializzazione, si associa, in tutte le statistiche pubblicate, ad una netta riduzione sia della mortalità globale che del numero di decessi prevenibili. La designazione di ospedali dotati di tutti i presidi diagnostici e terapeutici per garantire il trattamento ottimale dei traumatizzati più gravi (trauma center), unitamente ad una strategia di indirizzamento immediato a queste strutture dei feriti gravi (centralizzazione), diminuisce in modo significativo il tempo necessario per un corretto trattamento definitivo. L'impiego sul terreno di tecniche di rianimazione avanzata permette di ridurre la mortalità e di limitare i danni secondari. Dati della letteratura indicano che tra il 15 e il 35% dei pazienti con trauma cranico grave va incontro ad una sofferenza cerebrale secondaria all'ipossia ed all'ipovolemia verificatesi prima dell'arrivo in ospedale e che i pazienti in stato di incoscienza sottoposti ad intubazione tracheale sul posto, hanno il 40% di possibilità in più di sopravvivere con un miglior outcome neurologico. La stabilizzazione dei pazienti sul terreno ha dato ottimi risultati in caso di trauma chiuso e quando sono state impiegate equipe dotate di alta professionalità. In caso di trauma penetrante, invece, la stabilizzazione sembra non fornire vantaggi rispetto all'immediato trasporto del paziente in ospedale (scoop and run), a condizione che quest’ultimo sia raggiungibile entro pochi minuti ed in grado di affrontare qualsiasi tipo di emergenza chirurgica. Anche se nel corso base non verranno descritte le manovre di soccorso avanzato è tuttavia importante imparare ad identificare le situazioni cliniche e dinamiche che richiederebbero l’intervento sul terreno di un’equipe in grado di assicurare il supporto vitale avanzato. Infatti la possibilità di modulare il tipo di soccorso dipende dalle caratteristiche organizzative dei servizi di emergenza territoriale la cui analisi esula dagli obiettivi del Corso.

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INTRODUZIONE

Il Trauma costituisce la prima causa di morte per le persone al di sotto dei 40 anni. Il pesante impatto di questa patologia sui giovani è la causa principale di perdita di anni di lavoro con enormi costi sociali. Inoltre i traumi severi sono frequentemente gravati da esiti invalidanti con ulteriori costi aggiuntivi, tanto che negli USA i costi relativi ai traumi ed alle loro conseguenze superano quelli di qualsiasi altra patologia, incluse le affezioni cardiovascolari e neoplastiche. Benché la prevenzione rappresenti il cardine per la riduzione delle patologie traumatiche, un migliore trattamento del paziente politraumatizzato può portare ad una netta riduzione della mortalità e dei costi sociali stessi. Molte delle morti e delle invalidità da trauma sono infatti prevenibili. La percentuale delle morti prevenibili è stimata tra il 33% e il 73% dai diversi autori. Poiché la maggior parte dei decessi conseguenti a trauma avviene prima dell'arrivo in ospedale è di importanza fondamentale migliorare la qualità del soccorso nella fase preospedaliera. Il miglioramento del soccorso preospedaliero ha non solo l'obiettivo di ridurre la mortalità nella prima fase del trattamento, ma soprattutto quello di limitare i danni secondari dovuti ad anossia, ipotensione o a manovre incongrue, fattori che sarebbero responsabili della maggior parte degli esiti gravemente invalidanti.

La centralizzazione dei gravi politraumatizzati in pochi centri ad alta specializzazione, si associa, in tutte le statistiche pubblicate, ad una netta riduzione sia della mortalità globale che del numero di decessi prevenibili. La designazione di ospedali dotati di tutti i presidi diagnostici e terapeutici per garantire il trattamento ottimale dei traumatizzati più gravi (trauma center), unitamente ad una strategia di indirizzamento immediato a queste strutture dei feriti gravi (centralizzazione), diminuisce in modo significativo il tempo necessario per un corretto trattamento definitivo.

L'impiego sul terreno di tecniche di rianimazione avanzata permette di ridurre la mortalità e di limitare i danni secondari. Dati della letteratura indicano che tra il 15 e il 35% dei pazienti con trauma cranico grave va incontro ad una sofferenza cerebrale secondaria all'ipossia ed all'ipovolemia verificatesi prima dell'arrivo in ospedale e che i pazienti in stato di incoscienza sottoposti ad intubazione tracheale sul posto, hanno il 40% di possibilità in più di sopravvivere con un miglior outcome neurologico.

La stabilizzazione dei pazienti sul terreno ha dato ottimi risultati in caso di trauma chiuso e quando sono state impiegate equipe dotate di alta professionalità. In caso di trauma penetrante, invece, la stabilizzazione sembra non fornire vantaggi rispetto all'immediato trasporto del paziente in ospedale (scoop and run), a condizione che quest’ultimo sia raggiungibile entro pochi minuti ed in grado di affrontare qualsiasi tipo di emergenza chirurgica.

Anche se nel corso base non verranno descritte le manovre di soccorso avanzato è tuttavia importante imparare ad identificare le situazioni cliniche e dinamiche che richiederebbero l’intervento sul terreno di un’equipe in grado di assicurare il supporto vitale avanzato. Infatti la possibilità di modulare il tipo di soccorso dipende dalle caratteristiche organizzative dei servizi di emergenza territoriale la cui analisi esula dagli obiettivi del Corso.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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PREMESSA Con la parola "POLITRAUMA" si intende la presenta lesioni associate a carico di

due o più distretti corporei che possono coesistere con la compromissione più o meno grave delle funzioni vitali. Un intervento qualificato nelle prime ore (Golden Hour, ora d’oro) dal momento dell’evento aumenta le probabilità di sopravvivenza e la qualità della vita del paziente. La mortalità per trauma ha la seguente distribuzione:

Picco temporale Causa della morte Possibili azioni per ridurre la mortalità

1° PICCO (secondi o minuti)

• Rottura di cuore o grossi vasi • Lacerazioni del tronco dell’encefalo

• PREVENZIONE

2° PICCO (golden hour)

• emo – pneumotorace • shock emorragico • rottura di fegato e milza • ipossiemia • ematoma extradurale

! SOCCORSO

PREOSPEDALIERO ! CENTRALIZZAZIONE

3° PICCO (giorni o settimane)

• Sepsi • MOF(insufficienza acuta multiorgano)

Per ridurre la mortalità e la morbilità da trauma occorre che si susseguano in maniera

ottimale un complesso coordinato di azioni definite catena del soccorso traumatologico, dalla fase di allertamento al trasporto dei feriti alla struttura più adatta per il loro trattamento, i cui anelli sono: 1. Allarme e Dispatch - Il Dispatch regola i meccanismi di processo della chiamata per

garantire l’invio dell’équipe più adeguata. Inoltre l’arrivo dell’équipe sulla scena non deve prescindere dalla valutazione della sicurezza ambientale e dei potenziali rischi.

2. Triage preliminare - In caso di incidenti la presenza di più vittime è frequente ed è pertanto essenziale riconoscere le lesioni che richiedono un trattamento prioritario e quali feriti trasportare prima.

3. Trattamento preospedaliero – Primary Survey , Resuscitation e Secondary Survey 4. Triage dei feriti agli ospedali più idonei: centralizzazione dei traumi gravi

Questo anello fondamentale esiste nei sistemi avanzati regolati da precise strategie e normative e dove operano sul terreno équipe di soccorso avanzato in grado di stabilizzare adeguatamente i feriti indirizzandoli direttamente agli ospedali più idonei .

5. Trattamento ospedaliero - La fase diagnostica e la terapia intra-ospedaliera di emergenza rivestono un’importanza cruciale e si rimanda a testi classici come il manuale A.T.L.S dell’American College of Surgeons.

6. Verifica di qualità del sistema - La solidità della catena della sopravvivenza è condizionata dalla solidità dell’anello più debole. In tal senso è essenziale che i risultati ottenuti siano misurati sia nel loro complesso (decessi, decessi evitabili, decessi in funzione di indici di gravità) che nell’ambito dei singoli anelli in modo da apportare correttivi mirati nei settori carenti. La raccolta dei dati non è uno sterile elemento statistico, ma l’anima stessa di un processo di miglioramento: per migliorare dobbiamo misurare.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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Il terzo anello della catena rappresenta il nucleo del trattamento preospedaliero ed ha come obiettivo innanzitutto la sopravvivenza immediata del paziente, ottenibile con la rapida valutazione e riconoscimento di uno stato critico ed il contemporaneo inizio delle opportune manovre di rianimazione. Questa fase è definita Primary Survey ed è contemporanea alla fase di rianimazione (Resuscitation). Si passa quindi all'identificazione delle singole lesioni (certe o potenziali). L’obiettivo di questa fase (Secondary Survey) è definire quali sono le principali lesioni, quale il possibile trattamento definitivo, quale struttura ospedaliera può garantirlo, quale tipo di trasporto sia indicato, se è necessario l’allertamento di una équipe ALS o un sistema di trasporto più rapido.

Primary survey (valutazione primaria) e Resuscitation (rianimazione) A. Airway : mantenimento delle vie aeree e controllo rachide cervicale

B. Breathing: respirazione e ventilazione

C. Circulation: circolazione e controllo delle emorragie

D. Disability: disabilità : stato neurologico

E. Exposure: esposizione: scoprire il paziente prevenendo l’ipotermia

Secondary survey (valutazione secondaria, dalla testa ai piedi)

Metodo sequenziale di approccio al traumatizzato grave nella fase preospedaliera

PREMESSA IMPORTANTE

L’approccio iniziale al traumatizzato è analogo a quello di ogni paziente critico. Si deve pertanto inizialmente valutare:

Coscienza - Presenza di respiro - Presenza di polso centrale

Le vittime di trauma non coscienti, che non respirano e non hanno polso centrale vanno sottoposte a manovre di rianimazione cardio-polmonare standard (vedi BLS) con l’unico imperativo di immobilizzare il rachide cervicale garantendola posizione neutra del capo.

Quanto segue si riferisce pertanto a feriti che non siano in arresto cardiaco.

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1 COME VALUTARE ED OTTENERE

LA SICUREZZA SULLA SCENA DELL’EVENTO

OPERARE IN SICUREZZA NEL SOCCORSO AI TRAUMATIZZATI

“La sicurezza non è un concetto assoluto, c’è sempre un rischio intrinseco in qualsiasi attività. Pertanto la sicurezza diventa il metodo con cui si gestisce il rischio.”

È sorprendente come i soccorritori anche più esperti, così attentamente impegnati nell’assistenza alle vittime di incidenti, spesso abbiano così poca attenzione per la propria incolumità. Lo dimostrano i dati sconcertanti che ogni anno sono emessi dagli enti preposti al controllo e prevenzione infortuni, in materia d’incidenti sul lavoro del personale che opera a vario titolo sui mezzi di soccorso. Profondi motivi culturali sono alla base di tale comportamento: la nuova realtà operativa al di fuori delle mura dell’ospedale non di rado pone gli operatori sanitari di fronte alle contrapposte esigenze di salvaguardare la propria ed altrui incolumità da un lato e di eseguire precocemente manovre terapeutiche potenzialmente salvavita dall’altro.

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operando invece sul posto per tempi piuttosto lunghi (stay & play) e spesso in situazioni critiche, obbliga le équipe di soccorso ad agire in condizioni di tensione, talora in grado di pregiudicare il successo di un intervento. In queste condizioni diventa irrinunciabile ottenere una sufficiente garanzia di sicurezza della scena, obiettivo perseguibile solo attraverso:

Riconoscimento delle situazioni di pericolo e garanzia della sicurezza ambientale

All’arrivo sulla scena, è necessario eseguire una valutazione ambientale ad ampio raggio evitando che l’attenzione rimanga concentrata solo sul ferito. Inoltre è necessario conoscere i potenziali fattori di rischio correlati a: • luogo dell’evento (cantiere, autostrada, montagna, ...), • tipologia dell’infortunio (sul lavoro, sportivo, della strada, ...), • dinamica dell’infortunio (caduta, proiezione, scoppio, scontro, mezzi coinvolti ...),

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Coinvolgimento delle strutture di soccorso non sanitario

Nel soccorso extra-ospedaliero di frequente si pone la necessità di demandare la messa in sicurezza della scena a specifiche figure dell’emergenza non sanitaria, con cui è fondamentale interagire in maniera corretta, evitando che la scarsa informazione delle rispettive procedure generi dispersione di risorse, aumento dei tempi di soccorso o diminuzione dell’efficacia dell’intervento. Le rispettive esigenze operative sui tempi e le modalità d’azione possono trovare una risposta “a priori” attraverso un breve colloquio iniziale tra i leader al fine di pianificare le modalità e le priorità di intervento delle rispettive équipe.

Approccio al ferito

Esistono una serie di fattori in grado di influenzare negativamente la sicurezza anche in operatori con grande esperienza. Fra essi ricordiamo:

• il coinvolgimento emotivo del soccorritore • la presenza di condizioni meteorologiche sfavorevoli • la complessità apparente o effettiva dell’intervento

Ancora una volta è evidente l’importanza di non ridurre l’attenzione per la sicurezza anche durante il trattamento del ferito.

Necessità di operare con metodo: attribuzione di un ruolo di coordinamento

Per ottenere gli obiettivi suesposti è necessario che l’équipe identifichi nel suo ambito un team-leader prima dell’arrivo sulla scena. Normalmente non esiste un’investitura ufficiale per ricoprire tale ruolo; piuttosto, la designazione avviene automaticamente in base a considerazioni sulla situazione operativa contingente e sulle necessità/priorità che vengono a delinearsi, quali:

• la necessità di individuare una figura di riferimento per far fronte alle decisioni operative più complesse;

• la maggiore competenza ed esperienza posseduta da uno dei team-members relativamente ad una situazione specifica;

• l’autorevolezza, fatta di credibilità, competenze operative, abilità di regia e capacità di coinvolgere i singoli operatori, anche non facenti parte dell’ambito sanitario

• la capacità di gestire l’intero scenario senza essere sopraffatti dagli eventi. In base a queste considerazioni, risulta chiaro come la figura del team-leader non sia

automaticamente identificabile con una particolare categoria professionale, ma venga attribuita “ad personam” su specifiche problematiche di carattere tecnico, sanitario, organizzativo: è il team-leader chi sa fare e sa essere leader.

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2 PRIMARY SURVEY

La mortalità e gli esiti invalidanti conseguenti ai traumi, sono legati all’effetto diretto dell’impatto iniziale (danno primario) ed al manifestarsi di condizioni, come ipossia, ipercapnia, ipovolemia ed ipotensione, che aggravano l’entità delle lesioni e causano danni spesso irreversibili (danni secondari). La strategia da impiegare prevede una sequenza di priorità diagnostico-terapeutiche che vanno affrontate sempre rigorosamente nella stessa sequenza: prima la pervietà delle vie aeree (A), poi la ventilazione (B), infine la circolazione (C) secondo lo schema: 1. identificazione delle condizioni di pericolo

2. trattamento delle condizioni di pericolo

3. rivalutazione continua e contemporanea di 1 e 2

A – AIRWAYS

La pervietà delle vie aeree: è sempre la priorità assoluta. Di ipossia si muore in pochissimi minuti. Emorragia e ipovolemia portano a morte in tempi nettamente superiori. Prima di iniziare le manovre di ripristino della pervietà delle vie aeree deve essere valutata l'attività respiratoria del paziente. Se il paziente sta respirando adeguatamente potrebbe non essere necessario eseguire alcuna manovra, se al contrario è presente una ostruzione delle vie aeree ricordiamo che la manovra di iperestensione del capo deve essere sempre evitata, potendo determinare lo scivolamento-lussazione di una vertebra instabile e provocare lesioni al midollo. In sostituzione si possono utilizzare tecniche alternative quali:

1. sub-lussazione della mandibola; la trazione della mandibola può essere eseguita anche se fratturata perché comunque facilita la pervietà delle vie aeree.

2. apertura della bocca ed impiego di cannule orofaringee e nasofaringee. Il posizionamento di un collare cervicale talora permette di per sé di risolvere

un’ostruzione delle vie aeree. Un'altra priorità è rappresentata dalla rimozione delle secrezioni o materiale estraneo attuata con un aspiratore portatile o con le dita per il materiale voluminoso. È opportuno che gli aspiratori da soccorso siano dotati anche di una cannula rigida ad ampio lume (tipo chirurgico), essendo molto più efficaci per rimuovere vomito e corpi semi-solidi.

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Cannula oro faringea Nonostante opinioni contrastanti, esiste un’interpretazione estensiva secondo cui i

soccorritori volontari addestrati possono essere autorizzati all’utilizzo di cannule oro-faringee di Guedel. Questa non va impiegata nei pazienti che conservano qualche riflesso perché stimola il vomito e limita le difese delle vie aeree. Le uniche chiare indicazioni al suo impiego sono l'arresto respiratorio e l'arresto cardiaco; in pazienti comatosi con attività respiratoria presente è preferibile l'impiego di cannule rino-faringee.

Descrizione: la cannula di Guedel è un dispositivo ricurvo in plastica di varie misure contraddistinte da un numero ed in genere di colori diversi. E’ inserita sopra la lingua fino al retro faringe con lo scopo di impedire lo scivolamento all’indietro della lingua con conseguente occlusione delle vie aeree.

Indicazioni: ostruzione delle vie aeree in pazienti con scarsi o nulli riflessi di difesa.

Tecnica: 1 – Scelta della cannula adatta: distanza tra l’angolo della bocca e il lobo dell’orecchio.

2 - Inserimento: la metodica classica prevede che la cannula debba essere inserita capovolta, cioè con la pancia della curvatura appoggiata sulla lingua e poi girata di 180° una volta giunta a livello faringeo (in genere 2/3 della lunghezza della cannula stessa. Nel traumatizzato con grave trauma cranio-facciale, tuttavia, è indicato l’inserimento della cannula senza rotazione, con l’aiuto di un abbassalingua, in maniera da evitare potenziali lesioni del palato.

Complicanze: se non inserita correttamente può spingere la lingua all’indietro e aggravare l’ostruzione delle vie aeree; è importante, prima di eseguire la manovra, escludere la presenza di corpi estranei nel cavo orale.

Cannula rino-faringea

Descrizione: la cannula rino-faringea è un dispositivo ricurvo in gomma o plastica morbida di varie misure contraddistinte da un numero: in genere si utilizzano esclusivamente le misure n° 7 e n° 8 della lunghezza di 15 cm circa. Presenta una base svasata ed una punta tagliata a becco di flauto. Viene inserita attraverso una narice e fino alla porzione bassa del faringe, in immediata prossimità del laringe. La sua funzione è quella di sostenere la lingua impedendole di occludere le vie aeree e, allo stesso tempo, offrire una via aerea che colleghi direttamente le narici con l’aditus laringeo. Attraverso la cannula è possibile somministrare O2 (con un sondino) e aspirare secreti o sangue. È generalmente ben tollerata (meglio in ogni caso della cannula di Guedel) e raramente induce vomito.

Indicazioni - Pazienti traumatizzati con ostruzione anche parziale delle vie aeree (anche in presenza di riflessi di difesa); ingombro delle prime vie aeree da sangue e/o secrezioni (per aspirazione attraverso la cannula). Il suo utilizzo è da riservare esclusivamente al paziente adulto.

Tecnica - Prima di eseguire la manovra è importante escludere la presenza di corpi estranei nel cavo orale. Dapprima è necessario determinare la corretta misura della cannula adatta: n° 8 per maschi adulti, n° 7 per adulti di sesso femminile e giovani (controindicata in età pediatrica). Preventivamente lubrificata, se possibile con

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lubrificante anestetico, la cannula dev’essere inserita dolcemente e senza mai forzare. Per i primi 2-3 cm si procede parallelamente al palato duro (a 90° rispetto all’asse testa-piedi). Successivamente si indirizza la punta in basso, “verso i piedi”, verticalizzando contemporaneamente la cannula e spingendola lentamente In genere la cannula viene inserita completamente fino a che la base svasata si trova a livello della narice. Raramente (pz. con collo corto) in questa posizione l’apertura a becco di flauto della punta supera il laringe e può imboccare l’inizio dell’esofago. È essenziale valutare, mentre si introduce la cannula, la qualità del flusso d’aria attraverso la stessa ed arrestare la progressione quando e se questo viene a ridursi. Nella pratica questa misura è raramente necessaria.

Controindicazioni - L’uso della cannula rino-farinegea è controindicato nei seguenti casi: - Età pediatrica - Segni di frattura della base cranica - Grave trauma facciale; (l'impiego delle cannule sia oro che rino-faringee può comportare gravi rischi con vantaggi modesti). Se la pervietà delle vie aeree è compromessa e non può essere ripristinata né con le

comuni manovre, né con una leggera trazione anteriore della lingua, va effettuato un tentativo con cannula rino-faringea morbida. In nessun caso, il personale non addestrato e comunque i soccorritori non professionali, devono posizionare la cannula rino-faringea.

Complicanze: se la cannula è forzata attraverso le coane ed il rino-faringe si possono determinare lesioni anche gravi di queste strutture. In caso di lesioni della base cranica è teoricamente possibile la penetrazione accidentale della cannula nell’encefalo o la possibilità di favorire la contaminazione delle meningi da parte dei germi presenti nel rino-faringe. Se la cannula non è inserita correttamente può oltrepassare l’apertura del laringe aggravando l’ostruzione delle vie aeree (raro se la scelta della misura è corretta).

Somministazione di ossigeno

Lo scopo primario di tutte le manovre rianimatorie è quello di migliorare il trasporto di ossigeno al cervello e agli altri organi nobili. Pertanto:

(A) ottimizzare l’ossigenazione nel sangue attraverso una corretta ventilazione;

(B) erogare ossigeno alla massima concentrazione possibile, utilizzare sempre mascherine al 100% con reservoire;

(C) sostenere comunque il circolo con il reintegro della volemia.

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A - ... AND CERVICAL SPINE CONTROL

Le lesioni del rachide con coinvolgimento midollare sono tra le lesioni traumatiche che comportano le conseguenze più gravi, quali paraplegia e tetraplegia. Ne deriva che il collare cervicale deve essere sempre posizionato a tutti i traumatizzati subito dopo aver verificato la pervietà delle vie aeree. Unica eccezione potrebbe essere rappresentata dalle lesioni penetranti, purché sicuramente non associate ad altri traumatismi. L’incidenza di fratture del rachide varia a seconda della dinamica dell’incidente; ad esempio, le cadute dall’alto comportano il massimo rischio di lesioni vertebro-midollari a livello toraco-lombare. Due recenti statistiche U.S.A. riportano che su tutti i traumatizzati giunti in un Trauma Center il 4.3% presenta fratture del rachide cervicale ed il 4.4% del rachide toraco-lombare, mentre uno studio italiano evidenzia come 18% dei traumatizzati gravi che richiedono ricovero in Terapia Intensiva presenta fratture del rachide.

I segni che comunemente si rendono evidenti nei traumi spinali sono:

• Dolore localizzato a testa collo e dorso ( evocato con la palpazione o spontaneo). • Deficit neurologici (intorpidimento, formicolio, debolezza o paralisi delle estremità).

In alcune situazioni è tuttavia possibile sospettare la presenza di un trauma spinale anche in assenza di tali sintomi:

• Pazienti con trauma cranico, toracico o del collo hanno un’elevata probabilità di avere anche una lesione del rachide; infatti, le forze che hanno provocato il trauma a carico del capo o del tronco possono aver anche causato un trauma spinale.

• Presenza di shock - In un paziente nel quale non è evidente una fonte di sanguinamento, lo shock potrebbe essere causato da una vasodilatazione secondaria ad una diminuzione del tono vasale; in questo caso, l’ipotensione si associa in genere a bradicardia o comunque all’assenza di tachicardia.

Va ricordato che l'assenza di segni e sintomi caratteristici non rende mai superflua l'immobilizzazione. Infatti, alcuni studi americani hanno evidenziato che in pazienti perfettamente coscienti e con fratture del rachide, il dolore manca completamente nel 27% dei casi; inoltre, sempre in presenza di frattura, il dolore è assente nel 72% dei casi se il paziente è in coma o solo confuso. Infine, l’assenza di dolore a livello del rachide è particolarmente frequente nei feriti che presentano traumi gravi a livello di altri distretti.

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ALGORITMO “A” : VIE AEREE

NOTE: (1): presenza di stridore, raucedine, respiro russante (2): presenza di ematomi, aspetto di giugulari e trachea (3): sublussazione mandibola, sollevamento mento (4): vomito, sangue, corpi estranei (5): aspirazione, rimozione digitale (6): edemi, ematomi pulsanti

Blocca la testa in posizione neutra e chiama il paziente

RISPONDE ? SI NO

VALUTA: rumori patologici (1)

e collo (2)

ALGORITMO BLS (posiziona il collare)

VIE AEREE PERVIE (4)

SI

NO

VALUTA: volto e collo per

incipiente ostruzione (6)

VALUTA: necessità cannula oro/rinofaringea

SOMMINISTRA O2

ALLERTA per INTUBAZIONE TRACHEALE

URGENTE

Rimuovi ostruzione (5)

Persiste ostruzione ?

SI

Posiziona collare Valuta prime vie aeree (3)

ALGORITMO B

RESPIRAZIONE

NO

SI BLS (... collare)

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B - BREATHING

Se pur resa cronologicamente conseguente, con finalità squisitamente didattiche, la valutazione della presenza di respiro avviene inevitabilmente in maniera contemporanea al controllo della pervietà delle vie aeree. Un paziente che verbalizza, ad esempio, è di fatto cosciente, ha le vie aeree pervie, ventila ed ha verosimilmente una pressione sistolica >50 mmHg. Il riscontro di arresto respiratorio o di ventilazione inefficiente sarebbe stato un problema già evidenziato e risolto in “A”. La prevenzione dell'ipossiemia e dell'ipercapnia costituiscono una priorità assoluta nel trattamento del traumatizzato, specialmente in presenza di un trauma cranico. È quindi necessario garantire tempestivamente, oltre alla pervietà delle vie aeree, la somministrazione di ossigeno ed un adeguato supporto ventilatorio. Le cause di insufficienza respiratoria (acuta post-traumatica), oltre all’occlusione delle prime vie aeree (già analizzata al punto A - Airways), possono essere numerose: (ingombro tracheo-bronchiale, lesioni ossee della gabbia toracica, lesioni del parenchima polmonare o delle pleure, lesioni tracheo-bronchiali, lesioni diaframmatiche, lesioni neurologiche.). La valutazione della ventilazione l’eventuale trattamento devono essere rapidi. Il punto B della primary survey prevede pertanto:

1. Valutazione delle condizioni della ventilazione:

• Frequenza: normale 12-24 nell’adulto (eupnea), eccessivamente alta (polipnea) eccessivamente bassa (bradipnea)

• Carattere del respiro: normale, difficoltoso (dispnea), agonico (gasping)

• Espansione toracica: simmetrica, asimmetrie

• Presenza di lesioni ossee evidenti a carico della gabbia toracica: volet costali ecc.

• Auscultazione: (solo personale sanitario professionale): ventilazione normale, ipoventilazione

• Valutazione della saturimetria: appena possibile

2. Manovre terapeutiche e provvedimenti

• Ossigeno sempre - Il primo fondamentale provvedimento terapeutico da attuare in un paziente politraumatizzato è quello di somministrare ossigeno puro (100%), al fine di ottenere una correzione dell’ipossiemia:. nei pazienti in respiro spontaneo è indicato l’utilizzo di mascherine con reservoir che permette di ottenere una FiO2 dell’80% (utilizzando un flusso di 12 - 15 lt/min e con il reservoir gonfio) .

• Assistenza ventilatoria - In caso di depressione respiratoria, assenza del respiro o gasping la ventilazione deve essere assistita avendo tuttavia sempre cura di rispettare il rachide cervicale. Le tecniche utilizzabili sono molteplici, tuttavia un soccorso base deve essere in grado di provvedere a una ventilazione con face-mask o pallone Ambu, per la quale si rimanda al BLS. Si ricorda che sia la face-mask che l’Ambu possono essere impiegati in pazienti con collare cervicale, avendo cura di non forzare l’iperestensione del capo ed eventualmente ricorrendo all’utilizzo di cannule oro o rinofaringee, se non controindicate. Infatti nel paziente politraumatizzato non è raro il riscontro di una notevole dilatazione gastrica da

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paralisi riflessa che può essere peggiorata dalle insufflazioni, causando un eventuale rigurgito e inalazione di materiale gastrico o peggiorando lo shock.

• Riconoscimento di segni di allarme per presenza di pneumotorace iperteso - Il pneumotorace, cioè la raccolta di aria sotto pressione tra i due foglietti pleurici, può determinare una compressione del polmone sottostante e uno stiramento dei grandi vasi intra-toracici, con ridotto ritorno del sangue al cuore. Si può giungere rapidamente all’arresto cardiaco. Il pneumotorace iperteso non riconosciuto o non adeguatamente trattato è una delle principali cause di morte prevenibile e pertanto è fondamentale che, anche coloro i quali non possono trattare questa condizione sappiano riconoscerla prontamente in modo tale da allertare chi ha le competenze per intervenire con una manovra di decompressione e ridurre i tempi di trasporto. Il primo passo per il corretto trattamento di un pneumotorace è sospettarlo.

L'esistenza di un pneumotorace deve essere sempre ricercata in tutti i politraumatizzati con alterazioni della saturazione arteriosa in O2, polipnea, ipotensione con o senza turgore giugulare, una tachicardia inspiegabile. Il pneumotorace va sospettato soprattutto nei pazienti con enfisema sottocutaneo o in quelli con volet costale.

• Pneumotorace aperto - È una situazione del tutto particolare e che richiede un intervento rapido da parte dei soccorritori per evitare che l’aria, penetrando nel torace attraverso la ferita, porti al collasso polmonare. In questi casi è necessario:

Non rimuovere eventuali corpi contundenti penetranti nel torace: In caso di corpo penetrante, questo non va rimosso (si creerebbe un pnx aperto); il ferito va pertanto trasportato con l’eventuale lama, tondino, ecc. ..., ancora infissi nel torace. A volte, soprattutto in caso di incidenti sul lavoro, può essere necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco per tagliare e ridurre di dimensione strutture penetranti nel torace. È necessario stabilizzare il corpo penetrato alla parete con una medicazione per evitare ulteriori movimenti e trasportare il ferito in questo modo fino all’ospedale. In caso di ferita aperta chiudere il tragitto con medicazione sterile lasciando aperto un lato (tre lembi chiusi e uno aperto). La medicazione deve essere ben aderente alla cute circostante: in questo modo l’aria raccoltasi tra le pleure può uscire liberamente, mentre una medicazione ben fatta si accolla alla parete in inspirio impedendo all’aria esterna di penetrare nel torace. In assenza di medicazione l’inspirio fa penetrare aria nel cavo pleurico con possibile insorgenza di un pneumotorace iperteso e collasso polmonare.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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ALGORITMO “B”: RESPIRAZIONE

NOTE: (1): Osserva, Palpa il torace, Conta la FR, Saturimetria (2): Ridotta espansione di un emitorace, crepitii, segni di enfisema sottocutaneo, volet costali (3): Medicazione chiusa su tre lati lasciando un lembo libero

O.Pa.C.S. (1)

Respiro presente

FR < 10/m’

Saturimetria Esame obiettivo

del torace

Enfisema s.c., asimmetrie della

gabbia toracica (2)

SpO2 < 90% episodi di desaturazione

Ventilazione con pallone di Ambu, O2 e reservoire

ALLERTA équipe ALS per trattamento definitivo

Considera Pnx iperteso

Medicazione occlusiva (3)

Freq. respiratoria

FR > 30/m’ mm accessori

normale negativo

Soluzioni di continuo della

gabbia toracica

normale SpO2 > 90%

Considera Pnx aperto

ALGORITMO “C”

CIRCOLO

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C - CIRCULATION

Controllo delle emorragie La priorità di trattamento al punto C - Circulation è sempre la ricerca e

l’identificazione di importanti foci emorragici arteriosi, in particolare di quelli esterni comprimibili (fondamentalmente a carico degli arti). Escludendo la pinzatura del vaso, gravata sul terreno dal rischio ulteriore di lesione, le possibili tecniche sono:

PRESSIONE DIRETTA - L’unica tecnica sicuramente efficace, ed al contempo la meno dannosa per i tessuti, è la pressione diretta sul focolaio di emorragia, inizialmente attraverso una compressione manuale. Si può quindi posizionare un pacchetto di garze sul focolaio di emorragia e utilizzare un bendaggio compressivo della zona con una benda elastica autoretraente ed autoadesiva. In tale maniera si esercita una pressione selettiva sull’arteria lesionata determinando una minore ischemizzazione dei tessuti a valle. Anche in caso di una ferita più o meno profonda dalla quale non si evidenzia emorragia esterna, se l’arto inizia a gonfiarsi in maniera evidente, per un continuo sanguinamento interno, è necessario agire tempestivamente per controllare l’emorragia attraverso una pressione diretta.

TORNIQUET E LACCIO - L’uso del torniquet, o del laccio emostatico in senso lato, è normalmente da proscrivere in quanto determina una riduzione o arresto del circolo a valle con rischio di danno ischemico secondario. Tale manovra è pertanto da limitare a circostanze estreme (emorragie non controllabili con la sola pressione diretta, più feriti con emorragia esterna da soccorrere contemporaneamente), avendo comunque l’accortezza di utilizzare modelli di altezza adeguata. Il torniquet risulta indicato altresì nel controllo delle emorragie dal moncone di un arto amputato, venendo a mancare il problema dell’ischemizzazione dei tessuti a valle. In caso di emorragie conseguenti a fratture esposte, in cui è controindicato esercitare la pressione in corrispondenza del focolaio di frattura, la prima scelta dev’essere la compressione sui punti di pressione (zone a monte del focolaio nelle quali l’arteria è palpabile e scorre su un piano osseo, ad esempio l’inguine per l’arteria femorale); in caso di controllo inefficace si ricorrerà al laccio.

Perdite di volume e shock L’ipotensione in un traumatizzato va sempre attribuita ad un problema di volume fino a che non venga dimostrato il contrario. Le cause più probabili sono quindi:

• emorragia, e quindi la diminuzione del sangue circolante nei vasi, • lesione midollare, con aumento della capacità dei vasi che, anche senza che vi sia stata

perdita di sangue, determina una diminuzione della pressione arteriosa, • PNX iperteso o tamponamento cardiaco, con scarso riempimento del cuore, • un’associazione delle cause sovracitate.

Il paziente politraumatizzato è spesso in stato di shock. Lo shock è una sindrome clinica e dovrebbe essere rapidamente riconosciuto, ricercandone i segni precoci quali:

• estremità fredde e pallide, • tachicardia con polso piccolo, • tachipnea, • stato confusionale fino all'agitazione e al coma.

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Il primo parametro da rilevare è la presenza/assenza di polso radiale, che consente di avere anche un’idea grossolana della frequenza cardiaca. La presenza di polso radiale palpabile è indicativa di una pressione arteriosa sistolica (PAS) maggiore o uguale a 80 mmHg. La mancata rilevazione di polso radiale imporrà l’immediata ricerca della presenza di polso carotideo; la sua presenza indica una PAS fra 50 e 80 mmHg. La rilevazione della pressione con lo sfigmomanometro può essere così ritardata di quel tanto che basta a liberare il braccio del paziente e dotarsi del materiale: una PAS inferiore a 100 mmHg deve indurre il soccorritore non professionale a un immediato allertamento di un’équipe ALS. Un segno importante è la valutazione del riempimento delle vene del collo, in genere effettuata durante il posizionamento del collare. In genere un paziente in shock con vene del collo vuote è considerato ipovolemico fino a che non si è dimostrato il contrario. Se, al contrario, le vene del collo appaiono distese dobbiamo considerare: a) tamponamento cardiaco, b) pneumotorace iperteso, c) contusione miocardica, d) infarto miocardico acuto.

Shock emorragico Rappresenta il 90-95% dei casi di shock nel politraumatizzato; l'entità della perdita

ematica può essere sottostimata in assenza di emorragie visibili. Si consideri, ad esempio, come un emotorace possa corrispondere al 30-40% della massa ematica circolante, mentre, indicativamente, possiamo stimare una perdita di 1000 - 2000 ml. per una frattura pelvica, 500 - 1000 ml. per una frattura del femore (fino a ml 1500), 250 - 500 ml. per una frattura di tibia o di perone, 125 - 250 ml. per una frattura di un osso piccolo, circa 500 ml. per un'ematoma di 8 cm. di diametro.

Provvedimenti e terapia I soccorritori non professionali non possono garantire accessi venosi né somministrare

infusioni, tuttavia devono essere in grado di poter valutare la gravità di uno shock, utilizzando l’apposita tabella, e di comprimere correttamente foci emorragici esterni. Nel caso in cui i soccorritori professionali possano provvedere alle infusioni è bene ricordare che l’obiettivo primario è l’ottenimento di una adeguata perfusione degli organi vitali nel più breve tempo possibile. Pertanto la terapia infusionale dovrebbe poter garantire nei casi di trauma chiuso una pressione arteriosa sistolica di circa 90 mmHg ( o superiore a 110 mmHg se coesiste trauma cranico), mentre nei casi di trauma penetrante, in cui è prioritario il rapido raggiungimento dell’ospedale per il trattamento chirurgico definitivo (scoop & run) , una PAS di circa 70 mmHg può essere sufficiente a garantire la perfusione cerebrale senza incrementare l’entità dell’emorragia. A tal fine il computo delle perdite attraverso la tabella dello shock può essere una valida guida nel calcolo dei volumi da reinfondere, ricordando che per motivi di ridistribuzione dei fluidi nei compartimenti corporei intra ed extracellulari la quantità di colloidi (Es. Emagel®) da somministrare sarà pari alle perdite stimate, mentre se si utilizzano cristalloidi sarà necessario infondere un volume cinque volte superiore. In nessun caso dovranno essere utilizzate soluzioni glucosate che si dimostrano di scarsissima efficacia nell’espandere la volemia ed inoltre possono peggiorare una situazione di edema cerebrale, in grado di influenzare negativamente la prognosi neurologica. Infine la velocità di infusione, anch’essa critica per l’efficacia del trattamento, potrà essere sensibilmente aumentata ricorrendo all’impiego di sacche a pressione e di uno o più cateteri venosi di grosso calibro ( 14-16 G).

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CLASSI 1 2 3 4

Volemia ↓15% ↓ 30% ↓ 40% ↓ > 40%

Perdite ml. 750 800-1500 1500-2000 >2000

F.C. Tachicardia modesta

100-120, polso piccolo

100-120, polso filiforme

>120, polso assente

F. R. Normale Normale Tachipnea Tachipnea

P.A.S. Normale Normale Bassa n. v.

Estremità Normali Pallide Pallide Fredde

Sensorio Normale Ansia Sonnolenza Coma

Classificazione dello shock ipovolemico

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ALGORITMO “C”: CIRCOLO

NOTE: (1): medicazione compressiva, torniquet, ecc. come indicato (2): PAS = Pressione Arteriosa sistolica, PAM = Pressione Arteriosa media (3): F.C., F.R., Cute, Sensorio, Riempimento capillare (4): Pneumotorace iperteso, Tamponamento cardiaco, Shock spinale (5): vedi tabella 8

Ricerca emorragie evidenti

SI NO

FERITE IN DISTRETTI COMPRIMIBILI

Comprimi (1)

POLSO PERIFERICO presente?

Escludi cause alternative (4) e allerta ALS

SI (PAS >80 mmHg)

VALUTA PAS e segni accessori (3)

Shock classe 3 (5)

Perdite stimate < 30%

Shock classe 1 o 2 (5)

NO (PAS <80 mmHg)

Perdite stimate 30-40%

Perdite stimate > 40%

PRESENTE (PAS >50)

ASSENTE (PAS ≤ 50)

FERITE PENETRANTI IN DISTRETTI

NON COMPRIMIBILI

ALLERTA OSPEDALE, CARICA E VAI

VALUTA POLSO CENTRALE

Parametri normali

Shock classe 4 (5)

Osserva e prosegui la primary survey

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D - Disability or Disfunction of the C.N.S.

Al termine della valutazione primaria si procede ad un esame dello stato neurologico del paziente, valutando rapidamente lo stato di coscienza.

Lo score A.V.P.U. Il metodo A.V.P.U. è stato finora proposto nella primary survey del soccorso al

trauma in quanto ha il vantaggio di essere assai rapido e di semplice applicazione. Per questi motivi, lo schema A.V.P.U. è utilizzabile indistintamente da qualsiasi soccorritore addestrato, indipendentemente dalla qualifica, e si applica valutando rapidamente:

A - Alert (Pz. sveglio, cosciente e reattivo) V - responds to Vocal stimuli (Pz. incosciente, che reagisce ad uno stimolo verbale) P - responds to Painful stimuli (Pz. incosciente, che reagisce ad uno stimolo doloroso) U - Unresponsive (Pz. incosciente, nessuna reazione agli stimoli)

Un paziente rinvenuto in condizioni P o U impone l’immediato allertamento di un’équipe ALS per possibili problemi legato alla compromissione delle vie aeree.

Glascow Coma Scale La valutazione neurologica al primo esame è importante anche al fine di poter interpretare correttamente l'evoluzione del quadro a una seconda osservazione intra-ospedaliera. L’impiego della Glascow Coma Scale, nel corso della primary o della secondary survey, può fornire elementi aggiuntivi alla valutazione e al monitoraggio intra-ospedaliero del paziente.

Apertura occhi Spontanea 4 Alla voce 3 Al dolore 2 Nessuna 1 Risposta verbale Orientata 5 Confusa 4 Parole inappropriate 3 Suoni incomprensibili 2 Nessuna 1 Risposta motoria Ubbidisce al comando 6 Localizza il dolore 5 Retrae al dolore 4 Flette al dolore 3 Estende al dolore 2 Nessuna 1 TOTALE GCS

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Glascow Coma Scale

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E - Exposure

La primary survey si conclude idealmente con l’esposizione dei distretti corporei (svestizione del paziente) limitando i movimenti attivi e passivi del ferito e la simultanea protezione termica (impiego di coperte e/o metalline). Tuttavia in ambiente preospedaliero il punto E viene effettuato limitatamente a quanto concesso dalle condizioni meteorologiche e tenuto conto della necessità di non esporre il paziente alle basse temperature. Restando inteso che i vestiti bagnati devono comunque essere rimossi, per quanto riguarda gli abiti asciutti ci si comporterà tenendo conto sia dell’esigenza di poter procedere ad un esame obiettivo il più completo possibile (senza che sfuggano eventuali foci emorragici), ma anche della situazione ambientale.

Al termine della fase E sarebbe opportuno impiegare i sistemi di monitoraggio eventualmente a disposizione e non ancora utilizzati (SpO2, ECG); in particolare la pulsiossimetria può risultare particolarmente utile perché in grado di fornire informazioni sia sulla respirazione (ossigenazione) che sulla perfusione periferica, ricordando tuttavia le limitazioni della metodica sia in condizioni cliniche (vasocostrizione intensa, ipotermia, alti livelli di carbossiemoglobina, severa anemia) che ambientali ( eccessiva luce, presenza di altri strumenti elettromedicali) di frequente riscontro nell’emergenza extra-ospedaliera.

I Quattro Comandamenti Prima di passare alla valutazione secondaria è fondamentale ribadire alcuni concetti:

1. L’ABC va sempre eseguito in questo ordine: A - B - C. Mai invertire l’approccio!

2. Durante l’ ”A B C”, l’identificazione delle situazioni che mettono il paziente in pericolo di vita e il loro trattamento sono CONTEMPORANEI (finire sempre “A” prima di passare a “B”: riconoscere il problema e risolverlo).

3. Se durante l’A B C la situazione peggiora, ritornare ad “A” e ricominciare valutazione e trattamento.

4. Prima di passare alla valutazione secondaria, l’ABCDE deveessere concluso e il paziente stabilizzato.

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3 SECONDARY SURVEY

La secondary survey è una rapida valutazione clinica del paziente che deve essere effettuata in tempi ristretti e secondo uno schema che va seguito rigorosamente. La secondary survey preospedaliera inizia solo una volta completata la primary e se le condizioni del ferito lo consentono. Al termine dell'ABCDE primario devono essere stati garantiti: pervietà delle vie aeree, ventilazione e circolo. Tutti i feriti (tranne i traumi penetranti) devono avere: un collare cervicale, e, con l'eccezione dei soli traumi minori, O2 alla massima concentrazione di ossigeno (FiO2 ). Qualora l’equipe di soccorso sia composta da personale professionale è opportuno che i feriti (con l’esclusione dei soli traumi minori) abbiano una via venosa (due se vi sono segni di compromissione emodinamica o se il trauma è maggiore). Lo scopo principale della secondary survey è identificre l’ospedale più adatto al trattamento definitivo del paziente in funzione della sua gravità. A tale scopo vanno ricercati segni e quelle condizioni cliniche potenzialmente associati a patologie gravi e rapidamente evolutive il cui trattamento richiede il ricovero in strutture specialistiche (centralizzazione presso un trauma center). I tempi di esecuzione devono pertanto essere molto brevi e la secondary survey può essere sospesa, se necessario, quando, nel corso dell'esame si evidenziano segni clinici che indicano la necessità di una centralizzazione immediata (segni d'allarme o red flags). In un sistema ove non sia possibile modificare l'indirizzamento di un ferito, la secondary survey sul terreno permette tuttavia di escludere lesioni non rilevate nel corso della primary survey e che possono comportare rischi durante il trasporto (foci emorragici, presenza di ferite o corpi penetranti). La secondary survey, eseguita secondo uno schema semplificato, può permettere anche a personale non professionale l’identificazione di segni di allarme tali da indurre a richiedere l’intervento immediato di un’equipe ALS. A conclusione della secondary survey deve essere comunque e sempre garantita la corretta immobilizzazione delle eventuali fratture. In tutti i casi rientra negli obiettivi della secondary survey la raccolta di informazioni sulla dinamica dell'evento e di succinte informazioni anamnestiche. La dinamica dell'evento può costituire un criterio di centralizzazione anche in assenza di elementi clinici evidenti. L'anamnesi può indicare la necessità di un centro specialistico oppure di un livello di monitoraggio più elevato.

Pertanto, la Secondary Survey preospedaliera consiste in:

1. RIVALUTAZIONE CONTINUA DELL’ABCD

2. ESAME COMPLETO DALLA TESTA AI PIEDI

3. VERIFICA DELLA DINAMICA DELL’INCIDENTE

4. ANAMNESI

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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Esame testa-piedi

TESTA

• Cranio - Ispezione e palpazione della teca cranica dal vertice alla base per ricercare ferite penetranti, fratture evidenti. In presenza di uno di questi segni: informare la C.O. 118, allertare, se possibile, un’equipe ALS; considerare riferimento a Centro Neurochirurgico)

• Base cranica - Ricerca di segni che possono far sospettare una frattura: otorragia, (presenza di sangue che fuoriesce dal meato acustico) segno del procione (ematoma periorbitale), ematoma mastoideo. In presenza di uno di questi segni: informare la C.O. 118, allertare, se possibile, un’equipe ALS ; considerare riferimento a Centro Neurochirurgico.

• Encefalo - Ricerca di segni di sospetta lesione intracerebrale: anisocoria (diverso diametro pupillare: attenzione, può essere preesistente!), midriasi, segni di lato (deficit motorio prevalente da un lato). Ricontrollo regolare del livello di coscienza : Di fondamentale importanza! Segni di allarme sono la comparsa o l’aggravamento di confusione, agitazione, sopore, coma (Glascow Coma Scale < 9, livello P della scala AVPU).Talvolta dopo il trauma il paziente può rimanere per qualche tempo in condizioni relativamente buone prima di evidenziare un approfondimento dello stato di coscienza (intervallo libero): in questi casi il rapido riferimento ad un centro dotato di neurochirurgia è vitale per la prognosi del paziente. Attenzione anche alla comparsa di crisi convulsive. In presenza di uno di questi segni: informare la C.O. 118, allertare un’equipe ALS; considerare riferimento a Centro Neurochirurgico. E’ importante ricordare che indipendentemente dalla lesione primitiva (danno primario), la prognosi del paziente con trauma cranico può essere enormemente aggravata da episodi di ipossia o ipotensione anche di breve durata (danno secondario) che pertanto vanno assolutamente prevenuti.

• Faccia - ricerca di evidenti fratture con emorragie massive, ferite penetranti; la presenza di uno di questi segni può comportare rischi importanti di compromissione delle vie aeree. In questi casi informare C.O. 118, allertare l’équipe ALS E’ importante considerare che un trauma facciale severo è frequentemente associato a trauma cranico e/o a trauma del rachide cervicale che impongono una attenta valutazione e gestione del paziente. Il controllo delle emorragie della faccia si ottiene con la compressione diretta della ferita, limitandosi ad esercitare una pressione sufficiente a fermare il flusso di sangue. I corpi penetranti conficcati nella guancia sono gli unici che possono essere rimossi.

⇒ comportamento in caso di avulsione dentaria post-traumatica - I servizi di Stomatologia possono effettuare il reimpianto di denti avulsi in maniera traumatica. Si consiglia prima di tutto di non toccare la superficie radicolare del dente avulso ma la sua corona, e di sottoporre il dente a un getto di soluzione fisiologica sterile, o acqua corrente, per una immediata detersione. Successivamente è opportuno immergere completamente il dente in soluzione fisiologica sterile, nella quale sia stato diluito un antibiotico (es. Rifocin), se possibile.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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• Lesioni bulbi oculari - In loro presenza, riferimento immediato a centro con Oculistica. Attenzione, il paziente non deve tossire! Verificare l’eventuale presenza di lenti corneali a contatto e segnalarne la presenza.

COLLO • Tessuti molli - Ricerca di ferite penetranti, ematomi pulsanti, enfisema sottocutaneo

(possibile compromissione delle vie aeree e grossi vasi). La presenza di stridore inspiratorio, voce roca, grave difficoltà respiratoria possono indicare un trauma laringeo e la possibile necessità di intubazione tracheale: In presenza di uno di questi segni: informare la C.O. 118, allertare, se possibile, un’equipe ALS;

• Rachide cervicale - Ricerca di segni e sintomi di interessamento midollare: parestesie, priapismo, alterazione della sensibilità e motilità ai 4 arti, ipotensione con bradicardia relativa. In presenza di qiesti segni, considerare riferimento a Centro Neurochirurgico

TORACE • I segni ed i sintomi suggestivi di lesioni potenzialmente e rapidamente fatali (pnx

iperteso, pnx aperto) dovrebbero già essere stati individuati nell’ambito della primary survey; nel corso della secondary survey bisogna confermare l’assenza di queste patologie e ricercare i segni più sfumati evocativi di trauma toracico maggiore. Tra i segni evocatori di lesione toracica maggiore ricordiamo: # Contemporanea presenza di lesioni craniche e addominali (il torace è in mezzo!). # Segni di shock ipovolemico in assenza di rigonfiamento addominale o di fratture

multiple delle ossa lunghe. # Asimmetria nell'espansione della gabbia toracica, distensione delle vene del collo,

deviazione della trachea dall'asse mediano del collo, segni di distress respiratorio, enfisema sottocutaneo (crepitii).

In presenza di questi segni, rivalutare l’ABCD primario, informare la C.O.118, allertare, se possibile, un’equipe ALS considerare trasporto a centro dotato di TI.

• Attività respiratoria - Valutare carattere e frequenza. I segni di allarme sono rappresentati da una frequenza respiratoria maggiore di 29 atti al minuto nell’adulto, distress respiratorio (dispnea), presenza di fame d’aria.

• In caso di ferite penetranti (potenziali lesioni vascolari maggiori) considerare accesso rapidissimo a centro dotato di chirurgia toracica (vedi pnx aperto). I corpi trapassanti non devono essere rimossi.

ADDOME • Parete - Ricerca ferite penetranti, rapida distensione della parete addominale,

(emorragia acuta?) ; NB: I corpi trapassanti non devono essere rimossi N.B. - Non vi sono indicazioni ad eseguire nella secondary survey sul terreno manovre di

roll-over per palpare la colonna o esaminare la parete posteriore del tronco (tranne in caso di forte sospetto di trauma penetrante).

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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BACINO • Una lesione traumatica dell’anello pelvico presuppone un trauma di elevata energia

che si associa frequentemente a lesioni degli organi interni. • Ricordare che il sanguinamento da fratture pelviche complesse è sempre rilevante;

perciò le gravi fratture del bacino comportano una mortalità elevata e vanno centralizzate.

• Particolare attenzione va riservata alle fratture esposte, sospettabili in presenza di evidenti asimmetrie o di lesioni sanguinanti; si tratta di lesioni gravissime, che presuppongono traumi di estrema violenza, gravate da altissima mortalità; Nel sospetto di trauma al bacino è importante allertate la C.O. 118 e l’équipe ALS.

ARTI • Vasi - Ricerca di foci emorragici non identificati durante la valutazione primaria. • Ossa e articolazioni - Ricerca di segni e/o sintomi di frattura (allineamento ove

possibile, immobilizzazione).

AMPUTAZIONI

Per amputazione si intende la rimozione traumatica mediante strappamento o taglio di una parte del corpo (generalmente un arto o parte di esso). Le possibilità di reimpianto dipendono da molteplici fattori: semplicisticamente gli arti sezionati di netto e conservati correttamente vengono reimpiantati con maggiori probabilità di successo. È importante segnalare l’ora della avvenuta amputazione in quanto secondo gli attuali protocolli tutti gli arti sono suscettibili di reimpianto entro 6 ore dall’evento traumatico. Le amputazioni distali come dita e falangi permettono il reimpianto fino a 12 ore dal trauma.

Trattamento del paziente amputato

• Rallentare l’emorragia con la tecnica della pressione diretta applicata sul punto di pressione a monte della lesione. Applicare un torniquet/laccio emostatico solo come ultima risorsa, soprattutto in caso di sub-amputazioni, per mantenere valida la perfusione tissutale a valle (vedi punto C della primary survey)

Trattamento del moncone amputato

• Recuperare il moncone amputato, se necessario lavarlo con poca soluzione fisiologica, asciugarlo e avvolgerlo con garza o telo sterile (se disponibile).

• Riporre la parte amputata in un sacchetto di plastica e mantenere il moncone amputato a temperatura bassa senza congelare.

• Il moncone amputato non deve essere mai a contatto diretto con il ghiaccio, non immergere mai le parti amputate in acqua o soluzioni saline.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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Conclusione della secondary survey La secondary survey si conclude con l’immobilizzazione delle fratture, la

stabilizzazione in toto della colonna e la preparazione del paziente al trasporto con monitoraggio adeguato. Particolare attenzione dovrà inoltre essere rivolta alla protezione del paziente dall'ipotermia e dal dolore in grado entrambi di aggravare gli squilibri metabolici innescati dal trauma e dai quali il paziente dovrà essere protetto durante il trasporto. È in questo momento che verrà individuato l’ospedale più idoneo ad accogliere il paziente.

STABILIZZAZIONE DELLE FRATTURE

La stabilizzazione di una frattura deve avvenire mediante steccaggio, allo scopo di:

1. ridurre il movimento delle parti riducendo in questo modo il dolore e il danno locale; 2. prevenire ulteriori lesioni a carico dei vasi e nervi ad opera dei monconi ossei; 3. prevenire lacerazioni cutanee e la trasformazione in una frattura chiusa in aperta; 4. prevenire la riduzione del flusso ematico distale e l'eccessivo sanguinamento in sede

di lesione.

Per la procedura si rimanda all’apposito capitolo, tuttavia è importante ricordare che:

• Vanno evitate il più possibile le manovre che possono far rientrare il moncone osseo, per il rischio di ulteriore contaminazione della lesione.

• I monconi ossei esposti devono essere sempre abbondantemente lavati e disinfettati. • Chiunque osservi la presenza a livello cutaneo di ferite in comunicazione con l’osso o

la fuoriuscita di un frammento osseo deve sempre segnalare in modo chiaro “frattura esposta”: queste fratture sono soggette a trattamento chirurgico-ortopedico, urgente, non differibile anche qualora l’osso sia rientrato. Ricordare che questi feriti devono ricevere antibiotici entro due ore dal trauma.

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“IL POLITRAUMATIZZATO” approccio e trattamento preospedaliero

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Riassunto esame testa-piedi

DISTRETTO SEGNI DI ALLARME

Cranio # Avvallamenti

Base # Otorragia (confermare)

# Segno del procione

# Ematoma mastoideo

TESTA Encefalo # Anisocoria (può essere preesistente), midriasi

Coscienza # Peggioramento (AVPU)

# Confusione, agitazione, coma

Faccia # Ispezione per fratture e/o emorragia massiva

# Lesioni bulbi oculari

Tessuti molli # Enfisema sottocutaneo

# Ematomi pulsanti

COLLO # Evidente deviazione tracheale

Rachide # Parestesie

# Motilità e sensibilità quattro arti

# Asimmetrie motorie non giustificate da fratture

Attività respiratoria # Dispnea

TORACE Lesioni polmonari # Frequenza > 29 nell'adulto

# Enfisema sottocutaneo

ADDOME Parete # Addome che si distende

BACINO Organi pelvici # Segni visivi di trauma maggiore

Vasi # Emorragia arteriosa da ferite a braccio e/o coscia

ARTI Ossa, articolazioni # Frattura 2 o + ossa lunghe prossimali # Amputazioni

Segni di allarme indicativi di elevata probabilità di lesioni maggiori

N.B. - ferite penetranti alla testa, al collo, al torace, all’addome o alla radice degli arti

costituiscono un immediato segno di allarme!

Dinamica dell’evento

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La secondary survey non si conclude con l’esame testa-piedi. Per determinare la

destinazione più idonea per il paziente, tale da permettere un corretto iter diagnostico-terapeutico intraospedaliero, è opportuno raccogliere anche notizie sulla dinamica dell’evento.

Meccanismo del danno: il trauma chiuso La lesione traumatica è la risultante dell’interazione tra il corpo della vittima e

l’energia su di esso applicata con precise modalità ed in determinate condizioni ambientali. L’energia assorbita (più comunemente l’energia meccanica) dipende dalla velocità degli oggetti e dei corpi coinvolti, dalla loro massa e dalla presenza di eventuali mezzi di protezione (air-bag, casco, ecc.). Poiché l’applicazione dell’energia sul corpo della vittima non può che seguire rigidamente le leggi fisiche, la lesione traumatica avverrà secondo schemi prevedibili, la conoscenza dei quali permette di ipotizzare la presenza di lesioni apparentemente non evidenti o in fase evolutiva e fornisce un ulteriore elemento per la scelta della più idonea destinazione (vedi sezione sul triage e la centralizzazione) e per una corretta gestione intraospedaliera del paziente. È necessario ricordare che in caso di incidenti frontali ad alta velocità o quando vi sia un grave danno ai veicoli, è possibile che gli occupanti, apparentemente illesi al momento del primo soccorso, risultino invece aver riportato un trauma grave. Questo accade nel 5-15% dei casi. E’ opportuno, quindi, attraverso la formulazione di domande (a eventuali testimoni o al paziente stesso) e l’acquisizione di elementi dallo scenario avere una risposta per i seguenti quesiti: # Cosa è successo? (tipo di incidente: stradale, sul lavoro,...) # Che tipo di energia è stata applicata? (meccanica, termica, chimica,…) # Quanta energia è stata trasmessa? (velocità, mezzi pesanti, deformazioni del veicolo…) # Con che modalità l’energia è stata applicata al corpo della vittima? (scontro,,caduta, ...) # Quale parte del corpo è stata interessata? (scontro frontale o laterale, ...)

Meccanismo del danno: il trauma penetrante Numerosi oggetti sono in grado di produrre lesioni penetranti, nel novero sono da

comprendere le ferite da lama (punta e taglio) e le ferite da arma da fuoco. La gravità delle lesioni da lama dipendono essenzialmente dai seguenti fattori: lunghezza della lama, angolo di penetrazione della stessa e regione del corpo interessata. Ad esempio una pugnalata nella regione alta dell’addome può aver causato lesioni intratoraciche e viceversa, una ferita della base del torace può aver determinato lesioni della milza o del fegato. È importante ricordare che qualora l’agente causale della lesione fosse ancora ritenuto nel corpo della vittima, questo non andrà rimosso per nessun motivo perché la presenza del corpo estraneo consente talora di garantire l’emostasi di un vaso lesionato e perché la rimozione “alla cieca” senza visualizzazione chirurgica può compromettere il successivo trattamento. È quindi buona norma mantenere in sede qualsiasi corpo estraneo penetrante, riducendone la dimensione se necessario e stabilizzandolo con mezzi di contenzione (garze, medicazioni,…) in modo da limitarne i movimenti. Nel caso di ferite da arma da fuoco particolarmente rilevanti nel determinare la gravità della lesione appaiono la regione corporea colpita, il tragitto del proiettile (foro di entrata e di uscita) e il tipo e velocità del proiettile stesso. La valutazione di questi aspetti può essere di grande aiuto nella comprensione dei sintomi e nella gestione del paziente.

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IL TRAUMA NEL BAMBINO

Il trauma è la prima causa di morte nel bambino, con un'eziologia variabile in relazione all'età:

# Dalla nascita a un anno - Soffocamento, ustioni, annegamento, cadute.

# Da 1 a 4 anni - Incidenti del traffico (come occupante del veicolo), ustioni, annegamento, cadute.

# Da 5 a 14 anni - Incidenti del traffico stradale (come occupante del veicolo o pedone), lesioni da bicicletta, ustioni, annegamento.

Nei bambini sono più frequenti le lesioni multisistemiche; lesioni toraciche e addominali sono generalmente dovute a traumi chiusi di notevole entità, mentre, contrariamente all'adulto, sono meno frequenti le lesioni da corpi penetranti. Inoltre possono verificarsi lesioni anche severe ad organi interni in assenza di fratture ossee; frequente anche l'associazione con traumi cranici (edema cerebrale). Le priorità di trattamento sono le stesse che negli adulti, ma occorre avere a disposizione materiali idonei, unitamente ad una buona conoscenza delle diversità anatomo-fisiologiche che devono essere tenute ben presenti nella valutazione dei parametri vitali e nella attuazione delle terapie (ad esempio farmaci ed infusioni venose rapportate al peso corporeo). La malattia coronarica è rara nei bambini ed un cuore giovane e sano è in grado di sopportare meglio gli insulti di un cuore adulto. È quindi improbabile che una lesione miocardica primitiva o una aritmia siano responsabili di un arresto cardiaco. Più comunemente, gli arresti sono dovuti a compromissione respiratoria con ipossiemia, severe perdite di volume intravascolare o massivo aumento della pressione endocranica. La rapida correzione di queste anormalità è prioritaria. Da ultimo, nei limiti del possibile, non separare i bambini dai genitori, trattarli con delicatezza e parlare loro con gentilezza.

A - Airways e B - Breathing

Considerazioni generali sulla gestione delle vie aeree Il bambino è particolarmente esposto ad ostruzione delle vie aeree: 1. le dimensioni del capo del bambino, relativamente più grande di quello di un adulto,

consentono una scarsa flessione del collo quando il bambino è posto in posizione supina su una superficie piana;

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2. il bambino soporoso o incosciente perde il tono faringeo e diviene rapidamente incapace di deglutire e proteggere le vie aeree;

3. la lingua molto grande tende ad occludere rapidamente le vie aeree nel bambino incosciente;

4. i bambini in età prescolare e scolare possono avere denti mobili, che possono facilmente staccarsi ed ostruire le vie aeree;

5. statisticamente, l’incidenza maggiore di ostruzione delle vie aeree da inalazione di corpo estraneo è a carico dei bambini in età prescolare;

6. nei bambini traumatizzati la dilatazione gastrica è di comune riscontro per la grande quantità d’aria deglutita sotto stress, ciò favorisce il vomito con rischio aumentato di inalazione, disloca il diaframma e comprime la vena cava inferiore, diminuendo il ritorno venoso e quindi provocando ipotensione.

C - Circulation

Il polso carotideo è di difficile reperimento nel bambino di età inferiore ad un anno: il polso brachiale è quello più facilmente apprezzabile; il polso femorale rappresenta una valida alternativa.

Ricordare che la tachicardia compensatoria di una ipovolemia nel bambino non si accompagna ad un'ipotensione proporzionale, come nell'adulto, per la sua maggior capacità di vasocostrizione: un bambino può essere spiccatamente ipovolemico e mantenere una pressione relativamente normale! È errato quindi pensare che un bambino sia in equilibrio solo perché mantiene una buona pressione; il reintegro vascolare dovrebbe essere iniziato precocemente.

Segni di shock I parametri vitali del bambino differiscono sensibilmente da quelli dell’adulto: ad

esempio, la pressione arteriosa sistolica (massima, PAS) normale è uguale a 80 mmHg più 2 volte l'età, la volemia è pari a 80 ml per Kg di peso, i segni di shock compaiono dopo una perdita volemica del 25%. la tachicardia rappresenta il più importante segno di ipovolemia e shock in un bambino; ogni tachicardia in un bambino traumatizzato va considerata, a priori, come indice di ipovolemia); considerare segni di allarme sempre:

• la presenza di estremità fredde;

• la presenza di tachicardia in funzione dell’età.

Età Freq. Cardiaca max Pressione sistolica Frequenza respiratoria

Lattante 160 pulsaz./min. 80 mmHg 40 atti/min.

Prescolare 140 pulsaz./min. 90 mmHg 30 atti/min.

Adolescente 120 pulsaz./min. 100 mmHg 20 atti/min. Parametri vitali normali nel bambino

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IL TRAUMA IN GRAVIDANZA

Il trauma è la causa principale di morte per la donna in gravidanza; in genere il maggior pericolo per madre e feto è costituito dal rischio di shock emorragico, sia per lesioni penetranti che per traumi chiusi.

Le priorità di trattamento in caso di politrauma per una donna gravida sono esattamente le stesse indicate per i soggetti adulti, ma le diversità anatomiche e fisiologiche proprie della gravidanza devono essere tenute ben presenti.

In relazione a tali diversità, durante la stabilizzazione della paziente gravida occorre ricordare che:

• la donna gravida perde una maggior quantità di sangue prima che i segni di ipovolemia si manifestino ed il sangue viene deviato dal circolo utero-placentare per privilegiare la perfusione degli organi vitali. Saranno quindi necessarie maggiori quantità di liquidi per compensare le perdite;

• la somministrazione di ossigeno deve essere particolarmente abbondante, in relazione ad un fabbisogno aumentato di circa il 20%;

• la compressione esercitata sulla vena cava ad opera dell’utero gravido determina, in posizione supina, una riduzione del ritorno venoso e quindi della gettata cardiaca di circa il 40%; la comparsa di bradicardia in una donna gravida deve far pensare alla compressione cavale. In caso di ipovolemia la compressione cavale può precipitare il quadro fino all’arresto cardiaco. Anche in caso di RCP può essere utile limitare la compressione cavale mettendo un cuscino sotto il fianco destro.

Pertanto durante il trasporto, se non sussiste pericolo di lesione spinale, la paziente

gravida potrà essere trasportata sul fianco sinistro; in caso di sospetta lesione spinale ruotare la barella in modo da evitare la compressione.

L'aumentato tempo di svuotamento gastrico, unitamente ad una diminuzione del tono dello sfintere esofageo, determinano un aumentato rischio di vomito e, quindi, di inalazione.

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6 LE USTIONI

L’ustione è un processo patologico determinato dall’azione di elevate temperature su una parte più o meno estesa della superficie corporea. Possono essere determinate sostanzialmente da quattro agenti eziologici principali:

1. Calore - la sua azione è legata al contatto diretto 2. Sostanze chimiche - le lesioni sono caratteristicamente profonde nei tessuti interessati 3. Elettricità - lesioni estese sia in superficie che in profondità’: grave errore valutare la

severità del danno solo in base alle lesioni superficiali 4. Radiazioni - le ustioni da radiazioni conseguono all’azione di intense fonti luminose o

di radiazioni ionizzanti; l’esposizione alle radiazioni nucleari comporta sia delle lesioni termiche che radianti.

Classificazione delle ustioni

1. PROFONDITA’ (spessore dello strato di tessuti interessati). • 1° grado: sono caratterizzate da arrossamento e bruciore dell’area cutanea interessata

per una reazione infiammatoria degli strati più esterni dell’epidermide. • 2° grado: il danno cutaneo raggiunge il derma; ne risulta la formazione di edema

vescicolare (flittene o bolle) e compare un dolore più intenso. • 3° grado: la cute è interessata a tutto spessore. Sono considerate di 3° grado anche lesioni

che interessino i tessuti più profondi (adiposo, osseo, muscolare e cartilagineo).

2. ESTENSIONE (superficie corporea interessata). Il calcolo della superficie corporea interessata dall’ustione è basato sulla nota “regola del 9”.

Indici di gravità La valutazione della gravità del paziente ustionato deve tenere conto di alcuni

elementi caratteristici, nell’ottica di predisporre l’allertamento di un’équipe ALS per la stabilizzazione sul posto e/o l’immediato riferimento del ferito ad un centro specializzato. I fattori principali che determinano la gravità di un’ustione sono:

• la natura dell’agente eziologico (termico, chimico, elettrico e da radiazioni) ed il suo meccanismo di azione;

• la profondità e l’estensione della superficie ustionata: si considera grave un’ustione di 2° o 3° grado che coinvolga più del 30% della superficie corporea di un adulto o più del 20% di quella di un bambino;

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• la regione lesa: Le ustioni del capo e del collo possono compromettere rapidamente la meccanica respiratoria attraverso una graduale ostruzione meccanica delle vie aeree; le ustioni al volto, specie se con segni di sospetto coinvolgimento delle vie aeree (peli del naso, baffi o barba bruciati, sputo carbonaceo, edema del cavo orale, tosse stizzosa,...), devono indurre la precoce attivazione di personale esperto in grado di garantire la pervietà delle vie aeree attraverso l’intubazione tracheale. Ulteriore indice di gravità è dato dalla presenza di ustioni circonferenziali del collo, del torace o della gamba.

• l’inalazione di fumi o vapori comporta lesioni indirette dell’apparato respiratorio. Inoltre, se l’ustione è determinata da esplosioni o da scoppi (sia in ambiente chiuso che aperto) vanno tenute in considerazione le possibili lesioni scheletriche o degli organi interni legate al trauma diretto o all’azione dell’onda d’urto.

• l’età del paziente: le ustioni sono più comuni in età lavorativa e in categorie a rischio. • la presenza di patologie preesistenti. • la presenza concomitante di altri importanti traumi.

Protocollo di primo trattamento del paziente ustionato La Primary survey nel paziente ustionato non differisce da quella di ogni altro paziente. Vi sono tuttavia delle attenzioni particolari delle quali tenere conto.

Primo: garantire la sicurezza Il primo provvedimento è provvedere alla sicurezza ambientale attraverso

l’estinzione delle fiamme e il trasporto del ferito in una zona sicura.

Secondo: raffreddare il paziente Poiché i tessuti cutanei continuano a rimanere sottoposti ad alta temperatura anche

una volta che l’agente causante sia stato rimosso, il principale provvedimento consiste nel raffreddare, irrigando con abbondante acqua o soluzione fisiologica fresca, le superfici corporee coinvolte. In caso di riscontro di acidi o alcali come agente causante l’ustione bisogna irrigare solo se l’acqua disponibile è abbondantissima. Subito dopo, sarà necessario eliminare tutti quei tessuti che risultano non adesi alla cute, allo scopo di rimuovere un’ulteriore fonte di calore residuo. I tessuti non rimovibili (come ad esempio, il nylon) andranno coperti da impacchi freddo-umidi.

Terzo: riscaldare il paziente Paradossalmente, subito dopo averlo raffreddato, la priorità diventa quella di

riscaldare il paziente, ossia di limitare l’importante dispersione termica derivante dalla distruzione dei tegumenti. Allo scopo esistono teli dedicati, costituiti di una doppia faccia di tessuto non tessuto sterile e metallina; con questi presidi è possibile limitare la dispersione termica e proteggere in qualche modo dalle infezioni.

Quarto: ospedalizzare il paziente Nel soccorrere un paziente ustionato, specie se rientra nei canoni di gravità derivanti,

come detto, dalla superficie coinvolta, dalla profondità della lesione o dal riscontro di elementi d’allarme (inalazione, ...), il soccorritore non professionale dovrà quindi rapidamente considerare l’allertamento di un’unità ALS per la stabilizzazione finale ed il trasporto verso il centro ospedaliero più adatto. Qualora ciò non fosse possibile, dev’essere considerata l’opportunità di riferire rapidamente il ferito al più vicino centro ospedaliero.

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7 IPOTERMIA ACCIDENTALE

L’ipotermia rappresenta un’evenienza molto più frequente di quanto non si ritenesse in passato. Le statistiche più recenti dimostrerebbero che il 12% dei traumatizzati gravi giunge in Pronto Soccorso con una temperatura corporea≤34°C ed oltre il 40% di quelli che subiscono interventi maggiori giunge in Sala Operatoria con una temperatura inferiore a 34°. La mortalità dei feriti che giungono in S.O. con temperatura interna (T°) ≤ 34°C è doppia rispetto a quella dei normotermici di pari gravità, mentre per T°<32°C la mortalità è quasi del 100%. L’ipotermia severa sul terreno è piuttosto rara nel trauma e limitata a luoghi freddi o a pazienti rinvenuti tardivamente, mentre spesso rappresenta l’effetto collaterale dei primi trattamenti aggressivi nella fase pre ed intraospedaliera.

È importante non sottovalutare le condizioni ambientali, collegando una eventuale condizione di ipotermia solo a freddi climi invernali. Infatti lo sviluppo di ipotermia può essere possibile anche in situazioni con temperature non particolarmente basse, soprattutto se lo stato generale del ferito può favorire tale condizione:

• Esposizione prolungata a temperature relativamente basse di feriti per incidenti stradali o calamità naturali

• Ambienti particolarmente sfavorevoli (alta montagna o temperature invernali)

• Temperature non particolarmente basse ma condizioni generali del ferito gravi (incidenti stradali, persone anziane)

• Assunzione di alcool (che provoca vasodilatazione periferica) o droghe

Classificazione delle ipotermie

Ipotermie lievi (36-34° C) • rallentamento psicomotorio (solitamente la coscienza è mantenuta, talvolta

confusione mentale) • vasocostrizione periferica con frequenza cardiaca aumentata e possibile ipertensione

arteriosa • brivido • aumento della diuresi

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Ipotermie moderate (34-30° C.) • riduzione della vigilanza (ma reattività ancora sufficiente) • riduzione dell’attività respiratoria (frequenza e volumi) • rigidità muscolare con assenza di brivido • tendenza alla midriasi pupillare • riduzione della diuresi • PA di difficile rilevazione • bradicardia con tendenza alle aritmie (in particolare fibrillazione ventricolare)

Ipotermie severe (< 30° C.)

• stato di coma • flaccidità muscolare • apnea • tendenza alla fibrillazione ventricolare spontanea (28°C) e successivamente

all’asistolia (21°C)

In condizioni normali il più importante meccanismo protettivo è la vasocostrizione cutanea, in grado di ridurre il flusso destinato alla cute e deviando il sangue caldo agli organi interni. Il brivido invece, aumenta la produzione di calore che può permettere un aumento della temperatura centrale anche di 3°C/h. Nel traumatizzato, tuttavia, i fattori di protezione sono compromessi ed intervengono altri elementi che predispongono il ferito ad un abbassamento della temperatura corporea.

Metodiche di riscaldamento corporeo Nella fase preospedaliera le possibilità di riscaldamento del ferito sono limitate e

l’obiettivo è generalmente solo quello di impedire l’ulteriore dispersione di calore.

1. PASSIVE (ambiente caldo, coperte, “metalline”) Vanno considerati come mezzi di protezione nei confronti di ulteriore dispersione,

piuttosto che come mezzi di riscaldamento. Le “metalline” agiscono per rifrazione e sono più efficaci delle coperte a condizione che siano utilizzate correttamente a diretto contatto della cute e coperte a loro volta in modo da impedire lo spostamento d’aria. Tuttavia poiché in condizioni termiche ed ambientali sfavorevoli è opportuno limitare la rimozione degli abiti e poiché la dispersione termica dal capo è pari almeno al 40% di quella totale, si raccomanda di proteggere la anche testa dei feriti e soprattutto con “metalline” o cuffie dello stesso materiale:

2. ATTIVE ESTERNE (imbottiture riscaldate, materassi ad acqua, materassi o cuscini ad aria calda forzata, lampade, bagni caldi, tavolette chimiche riscaldanti posizionate sotto le braccia, sul collo, torace e inguine)

L’efficacia delle metodiche attive esterne è variabile. I bagni caldi sono efficaci nei pazienti collaboranti in ipotermia moderata. Attualmente i nuovi modelli di materassi e cuscini ad aria calda forzata sono discretamente efficaci. Sconsigliate le lampade: possono causare ustioni anche gravi sulla cute vasocostretta, mentre sono inefficaci se la stessa viene protetta con lenzuola.

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8 IL FERITO CON NECESSITÀ DI ESTRICAZIONE

Definizione Vanno intese come “estricazione” quelle azioni mirate ad estrarre una persona da un

veicolo in assenza di una sua attiva collaborazione attraverso l’utilizzo di presidi e/o manovre che garantiscano la conservazione dell'integrità e la linearità dell'asse cervico-caudale. La passività del paziente può essere determinata da fattori diversi, in base ai quali le estricazioni possono essere suddivise in: a - ESTRICAZIONI PROPRIAMENTE DETTE - quando esiste una limitazione della mobilità imposta dai danni al veicolo (incarcerazione o intrappolamento fisico), ossia vi è la necessità di forzare e piegare una parte del veicolo per liberare la vittima. Definiamo il ferito in questa condizione come incarcerato reale b - ESTRICAZIONI PER PROTEZIONE DEL RACHIDE - Si parla impropriamente di estricazione anche quando, sebbene il ferito possa essere estratto agevolmente, il soccorritore decide l’utilizzo di presidi e/o manovre che avrebbe utilizzato in un’estricazione propria, verificato che:

1. il paziente ha ridotte o nulle capacità motorie o sensitive per cause centrali (danni cerebrali), periferiche (lesioni midollari e nervose) o locali (traumi muscolo-scheletrici);

2. esiste il sospetto di lesione del rachide sulla base di criteri dinamici (es. gravi danni al veicolo, ribaltamento del veicolo, assenza di cinture di sicurezza, ecc…)

3. esiste il sospetto di lesione del rachide sulla base di criteri clinici diversi o presenza di lesioni associate (es. grave trauma cranio-facciale $ possibile lesione rachide cervicale). Definiamo il ferito in questa condizione come incarcerato virtuale

Problematiche operative I tempi necessari per estricare un paziente incarcerato sono sempre rilevanti. Ne

deriva che la filosofia dello “scoop and run” non è applicabile a questa categoria di traumatizzati. Inoltre è importante considerare che le notevoli forze applicate al momento dell’urto alle strutture del veicolo hanno agito contemporaneamente sul corpo della vittima, e quindi si rende necessario allertare tempestivamente la Centrale Operativa, affinché disponga in tempi brevissimi l’invio sul posto di un’équipe ALS.

GESTIONE SULLA SCENA DEL FERITO INCARCERATO Il soccorso ad un ferito incarcerato impone di modificare la sequenza di approccio al

traumatizzato: infatti, la stabilizzazione delle fratture deve necessariamente precedere la secondary survey al fine di mobilizzare in sicurezza il ferito dall’auto.

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Stabilizzazione delle funzioni vitali - primary survey La primary survey inizia e viene portata a termine sempre sul paziente ritenuto

ancora nel mezzo incidentato; le uniche situazioni in cui è consentita l’estricazione rapida prima che siano concluse primary survey e stabilizzazione del rachide sono rappresentate dal riscontro di una situazione di arresto cardio-respiratorio, e quindi dalla necessità di procedere alla RCP, o dalla concomitanza di fattori di grave rischio ambientale .

A - Airways: Coscienza, vie aeree e stabilizzazione del rachide cervicale È controindicato scuotere, anche lievemente, l’infortunato per valutarne lo stato di coscienza poiché le sollecitazioni esercitate determinano inevitabilmente un movimento indesiderato della testa: pertanto Il posizionamento del collare cervicale deve sempre essere accompagnato dalla immobilizzazione manuale del capo finché il paziente non è immobilizzato con un estricatore spinale. Circa la pervietà delle vie aeree l’immobilizzazione manuale della testa in posizione neutra potrebbe consentire la risoluzione di eventuali ostruzioni delle prime vie aeree dovute a suo malposizionamento (es. capo reclinato in avanti). Infine occorre di somministrare ossigeno alla più alta concentrazione possibile (mascherina dotata di reservoire e flusso di 12-15 l/min).

B - Breathing: controllo e sostegno della funzionalità respiratoria La valutazione ed il sostegno della funzionalità respiratoria risultano particolarmente complessi: infatti, un incarcerato su due con trauma grave ha anche un grave trauma del torace; inoltre, la scarsa accessibilità al paziente rende problematica qualsiasi valutazione e pertanto le conseguenze più drammatiche di situazioni di compressione prolungata sul torace spesso si evidenziano tardivamente. La causa più grave di ipoventilazione è rappresentata dal pneumotorace (PNX) iperteso che rischia di rimanere misconisciuto fino a dopo l’estricazione. Nel sospetto di PNX e nell’impossibilità di portare velocemente il ferito in ospedale, occorre provvedere al rapido allertamento dell’équipe ALS.

C - Circulation Il ferito realmente incarcerato frequentemente ha perso molto sangue (trauma toracico, lesioni addominali, frattura di bacino e di ossa lunghe) o può essere ipoteso per cause diverse (lesioni midollari, PNX). La priorità assoluta rimane quella di cercare e tamponare eventuali importanti emorragie esterne. Spesso il ferito incarcerato nasconde importanti foci emorragici a carico soprattutto degli arti inferiori, invalutabili fino a quando le strutture del mezzo non vengono piegate. Il monitoraggio della pressione arteriosa può risultare particolarmente difficile in questi pazienti e pertanto può essere opportuno affidarsi alla valutazione della presenza/assenza del polso radiale e degli altri parametri clinici. Quale che sia la causa dell’ipotensione, l’immediato allertamento di un’équipe di soccorso avanzato è di vitale importanza.

D - Disability Nel corso della primary survey è previsto lo score “A-V-P-U”. Il protrarsi delle manovre

di estricazione impone di procedere a frequenti rivalutazioni dello stato di coscienza.

Stabilizzazione delle fratture Nell’approccio al paziente incarcerato la stabilizzazione delle fratture deve

necessariamente effettuata in coda alla primary survey, contestualmente alle manovre di immobilizzazione spinale ed estricazione. L’immobilizzazione è tecnicamente possibile solo per la parte distale dell’arto superiore.

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Extrication Una volta che il ferito sia stato stabilizzato, o sia comunque conclusa la primary

survey, qualsiasi ulteriore valutazione impone l’estricazione della vittima. Numerosi sono i limiti forzatamente imposti ad una tecnica “standard” d’estricazione da variabili riconducibili a: posizione della vettura, posizione del paziente all’interno della medesima, possibilità di accesso al paziente, stabilità o l’instabilità dei parametri vitali, presenza di traumi aperti o chiusi e gravità dei medesimi.

Strumenti e metodiche per l’estricazione Benché l’utilizzo di presidi di estricazione incida inevitabilmente sui tempi di soccorso, non vi sono che pochissime situazioni, peraltro molto ben individuabili, in cui l’operatore può ragionevolmente rinunciare all’immobilizzazione del rachide. Un ideale golden standard dovrebbe invece prevedere l’utilizzo di immobilizzatore spinale ogni qualvolta vi fosse la necessità e/o la scelta di mobilizzare il ferito prescindendo dalle sue capacità di spostarsi autonomamente o meno.

Finalità della tecnica Durante l’estricazione è necessario utilizzare di presidi che vincolino la testa, il collo, il tronco ed il bacino del paziente ad un piano rigido. Evidentemente il medesimo presidio non potrà essere utilizzato sempre e nello stesso modo su qualsiasi paziente, molto dipenderà: a) dalle condizioni generali (stato di shock grave, necessità di intubazione ed impossibilità di farlo nel veicolo, ACR, ...), b) dalla concomitante presenza di lesioni che necessitano di priorità di trattamento (es. lesioni penetranti), c) dalla concomitante presenza di lesioni che limitino il posizionamento dei presidi (es. fratture di femore o bacino), d) dalla concomitante presenza di situazioni di base del paziente (es. donna gravida, notevole cifosi del rachide), e) dalla presenza di situazioni a rischio per paziente ed operatori (es. incendio del veicolo, pericolo).

INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI ALL’UTILIZZO DI IMMOBILIZZATORI SPINALI PER L’ESTRICAZIONE INDICAZIONI ASSOLUTE: a) paziente incarcerato (i. reale) b) paziente non incarcerato (i. virtuale) ma con alterato stato di coscienza c) paziente non incarcerato (i. virtuale) ma con segni clinici di lesione vertebro-midollare INDICAZIONI CONSIGLIATE a) grave danno al veicolo b) criterio dinamico di presunzione di gravità (incidente autostradale, dinamica

frontale, ...) c) presenza di traumi potenzialmente associabili a lesioni del rachide (tr. facciale,

les. penetr. Sopra-clavicolare, ...) CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE (allungamento dei tempi di estrazione) a) arresto cardio-respiratorio b) pericolo di incendio incipiente del veicolo c) traumi penetranti con compromiss. emodinamica (dilaziona nel tempo l’accesso all’H),

estricazione con solo collare FATTORI DI CRISI (impongono precauzioni particolari nell'esecuzione delle manovre di estricazione) a) posiz. del paziente all’interno del veicolo tale da costringere i soccorritori a

mobilizzarlo prima di utilizzare il presidio b) frattura di bacino (compressione su focolai di frattura) c) frattura di femore (compressione su focolai di frattura) d) trauma toracico grave (limitazione dell’espansibilità del torace) e) ipotensione grave - shock, specie se associati a grave TC (dilaziona raggiungimento

posizione supina) f) stato di gravidanza avanzata (compressione addominale) FATTORI DI IMPEDIMENTO

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posizionamento del paziente all’interno del veicolo tale impedire ai soccorritori il posizionamento del presidio

Estricazione rapida - Presa di Rautek

La manovra o presa di Rautek è un escamotage utilizzato da un unico soccorritore, quando le condizioni del paziente e/o la situazione ambientale non consentono l’uso di presidi di immobilizzazione. Tuttavia non può garantire un’efficace immobilizzazione.

Tecnica Ipotizzando l’estricazione rapida di un ferito dal posto di guida, con accesso dalla portiera sinistra, il soccorritore si pone a lato del ferito, a stretto contatto col medesimo; fa passare il proprio arto superiore destro dietro le spalle dell’infortunato, in maniera da posizionarsi con la spalla grossolanamente dietro la nuca, la regione antecubitale del gomito sotto l’ascella, l’avambraccio in regione pettorale destra. Con la mano bene aperta, afferra quindi bilateralmente la mandibola del ferito, appoggiandone poi la nuca sulla propria spalla destra. Se non vi è riscontro di ferite sanguinanti al capo oppure al volto, il soccorritore può rafforzare la stabilità di questa posizione ponendo a sua volta il proprio mento sulla spalla sinistra del ferito e mantenendo la propria guancia destra a stretto contatto con la guancia sinistra della vittima. Il braccio sinistro del soccorritore viene fatto passare sotto l’ascella sinistra della vittima, alla quale preventivamente erano state conserte le braccia sul petto, con la mano sinistra posta sotto l’ascella destra e bloccata dall’altro braccio incrociato sopra. La mano sinistra del soccorritore va quindi ad afferrare il polso destro del ferito, polso che deve trovarsi al di sotto del gomito sinistro del paziente stesso. L’estricazione avviene facendo preventivamente compiere una rotazione al paziente sul sedile, in modo tale da presentarlo con le spalle alla zona di uscita e avendo cura di trazionarlo verso di sé, mantenendone sempre e comunque testa e torace a stretto contatto col corpo del soccorritore.

Conclusione delle manovre di estricazione ed exposure La conclusione dalla fase di estricazione dal veicolo coincide con il posizionamento

del ferito sul supporto definitivo per il trasporto. Il ferito viene dunque liberato dal vestiario e contemporaneamente deve venire coperto. A questo punto può iniziare la secondary survey e l’indirizzamento.

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9 LE TECNICHE DI IMMOBILIZZAZIONE

IL COLLARE CERVICALE Nella maggior parte delle situazioni il paziente dovrebbe essere mantenuto nella

posizione neutra e immobilizzato dalla testa ai piedi.

Posizione neutra La posizione neutra consente di ottenere il massimo spazio per il midollo all'interno

del canale vertebrale e permette la maggiore stabilità della colonna. La posizione può essere solo stimata impiegando i seguenti punti di riferimento: • Gli occhi - Lo sguardo del paziente dovrebbe essere rivolto in avanti, se guarda in basso

è verosimile che la colonna sia flessa, se guarda in alto che sia estesa. • Meato uditivo e acromion - con la testa nella posizione neutra, il meato uditivo esterno è

allineato con il punto della spalla denominato acromion. Per mantenere la posizione neutra, inoltre, la maggior parte degli adulti dovrebbe tenere la testa sollevata di due tre centimetri rispetto al tronco, mentre nei bambini al di sotto dei sette anni le spalle e la parte superiore del torace devono essere sollevati poiché le dimensioni del loro capo in rapporto a quelle del torace spesso causano una flessione della testa.

• Linea perpendicolare dallo sguardo alla colonna - Devono essere visualizzate due linee ideali che si intersecano perpendicolarmente: una che, guardando il paziente di lato, parte dalla testa verso il torace, l’altra dagli occhi alla parte posteriore del capo.

Controindicazioni alla posizione neutra La maggior parte dei pazienti può essere immobilizzata nella posizione neutra;

tuttavia il paziente non si deve posizionare in tale posizione se: 1. i movimenti causano uno spasmo dei muscoli del collo o del dorso, 2. la pervietà delle vie aeree o l'attività respiratoria sono compromesse da questa posizione. Se non è possibile mantenere il paziente nella posizione neutra, immobilizzare il paziente così come giace assicurandosi che le vie aeree, il respiro ed il circolo rimangano stabili.

Tecniche di immobilizzazione La tecnica di immobilizzazione della colonna cervicale consiste nell'applicazione di

un collare e nell'immobilizzazione del torace e delle estremità con supporto rigido. Il primo passo in questo procedimento è rappresentato dall'applicazione del collare cervicale dopo l'esecuzione dell'immobilizzazione manuale. Per funzionare efficacemente un collare deve essere della giusta misura ed applicato in modo corretto.

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I collari, tuttavia, non vanno considerati come l'unico mezzo di immobilizzazione ma sono parte di un sistema di immobilizzazione totale. È stato infatti chiaramente dimostrato che la stabilizzazione del rachide così ottenuta è solo parziale ed altri mezzi di immobilizzazione devono essere applicati unitamente al collare, in particolare durante le manovre di estricazione e durante l’intubazione tracheale. Di fondamentale importanza è la stabilizzazione manuale del rachide da parte di un aiutante. Il collare può essere applicato in posizione seduta o supina.

Indicazioni A meno di controindicazioni specifiche, ogni traumatizzato deve essere

immobilizzato in posizione neutra con un collare cervicale.

Esempio di applicazione di un collare rigido in posizione seduta L'applicazione nel paziente seduto è resa più semplice se si posiziona la porzione

mentoniera per prima. Per fare ciò occorre far scivolare il collare sopra la parete toracica fino a quando il mento non si appoggia completamente sulla porzione mentoniera del collare. Se non si fa scivolare il mento fino alla fine della parte mentoniera, il collare non risulterà posizionato correttamente. Per concludere l'applicazione avvolgere la porzione posteriore del collare intorno al collo del paziente e chiudere fermamente unendo le due estremità.

Esempio di applicazione di un collare rigido in posizione supina L'applicazione sul paziente supino è resa più semplice se la porzione posteriore del

collare è posta sotto il collo del paziente prima di quella anteriore. Dopo aver posizionato la parte posteriore si deve afferrare la parte anteriore del collare ed incastrarla sotto il mento. Per assicurarsi che il collare sia posizionato correttamente e che sia della giusta misura, controllare la posizione del collo e della testa. Se il collare è della giusta misura e applicato correttamente, la testa e il collo rimarranno nella posizione neutra ed il mento coinciderà con il bordo della porzione mentoniera.

Rischi e complicanze Un errore tecnico durante il posizionamento di un collare cervicale può causare la

mobilizzazione di una frattura del rachide. L’adeguata scelta della taglia del collare può e evitare compressioni indesiderate delle vie aeree e dei tronchi vascolari del collo. Il collare deve sempre essere posizionato prima dell'intubazione tracheale. il 10 - 15% dei traumatizzati cranici in coma presenta lesioni del rachide, spesso instabili !!

Limiti della tecnica Il posizionamento del collare cervicale non autorizza i soccorritori a procedere con

manovre imprudenti e/o maldestre in quanto lo stesso non assicura una totale immobilità del tratto cervicale. L’immobilità del tratto cervicale del rachide può essere raggiunta solo attraverso l’immobilizzazione del rachide in toto. Il capo andrebbe sempre stabilizzato e bloccato anche sul materasso a depressione o sulla tavola spinale, attraverso l’utilizzo di fasce, sacchetti di sabbia o fermacapo.

Efficacia dei presidi ortosici cervicali Per la colonna cervicale il movimento più difficile da controllare è la rotazione tra

occipite, C1 e C2. Un presidio ortosico efficace deve essere in grado di bloccare occipite e mandibola. Analizzando le funzioni biomeccaniche di alcuni tipi di presidi ortosici cervicali si evince che: a) l’efficacia nel controllare il movimento aumenta con l’aumentare della rigidità e dell’altezza , b) i collari convenzionali non sono efficaci nel limitare la

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rotazione assiale e la flessione laterale, c) l’immobilizzazione completa della colonna cervicale è impossibile, d) i collari morbidi non limitano alcun movimento.

RIMOZIONE DEL CASCO INTEGRALE Il primo passo nell’approccio al traumatizzato con casco integrale consiste nella

rimozione dello stesso al fine di mettere il soccorritore in condizioni di valutare e proteggere la pervietà delle vie aeree, indipendentemente dallo stato di coscienza. Si tratta tuttavia di una procedura alquanto delicata, da riservarsi a personale esperto ed allenato. Le manovre, quindi, devono essere rigorosamente effettuate da due soccorritori, utilizzando il metodo sotto descritto. Non vi è motivo per rinunciare alla rimozione del casco: 1. la manovra di rimozione, laddove sia effettuata correttamente da soccorritori esperti,

non produce movimenti pericolosi ed è portata a termine in tempi brevi; 2. La permanenza del casco durante il soccorso ed il trasporto, rappresenta una costante

incognita sulla possibilità di intervenire con manovre di protezione o ripristino della pervietà delle vie aeree in caso di vomito o inalazione di corpi estranei o percaduta della lingua secondaria a modifiche dello stato di coscienza;

3. il casco impedisce il posizionamento del collare cervicale e l’intubazione tracheale; 4. a causa dell’aumento di peso che la testa subisce indossando il casco il trasporto di un

traumatizzato con il casco non offre sufficienti garanzie rispetto alle sollecitazioni dinamiche a carico del tratto cervicale del rachide;

5. durante la secondary survey è impossibile l’esame obiettivo della testa e la ricerca dei segni di trauma cranico.

Metodo per la rimozione del casco: • Il primo soccorritore, posizionatosi dietro la testa del ferito e aperta la visiera, mantiene

la posizione neutra della stessa afferrando la base del casco e sostenendo contemporaneamente la base della mandibola con le dita; tale posizione rende uniforme la stabilità del casco, della testa e del tratto cervicale del rachide. Da questa posizione accompagna il capo con movimento solidale al resto del corpo qualora sia necessario riportare il paziente in posizione supina tramite il roll-over.

• A paziente supino, il secondo soccorritore si pone a lato del paziente, ispeziona per quanto possibile le vie aeree, rimuove eventualmente gli occhiali; procede poi ad aprire o tagliare la cinghia di fissaggio del sottogola. Quindi si prende carico dell’immobilizzazione del rachide cervicale: pone una mano alla base della nuca per reggere la regione occipitale, l’altra mano bloccherà bilateralmente i corpi della mandibola, utilizzando da un lato il pollice, dall’altro indice, medio ed anulare; posto il capo in posizione neutra, il rachide cervicale viene leggermente tragittano e mantenuto in asse. La responsabilità dell’immobilizzazione è ora del secondo soccorritore.

• A questo punto il primo soccorritore può iniziare la rimozione del casco afferrandolo bilateralmente alla base ed allargandolo quanto possibile in modo da diminuire il contatto fra casco e testa ed agevolare il passaggio delle orecchie. La trazione del casco deve avvenire lentamente e secondo la direzione dell’asse del rachide, con movimenti lievemente barcollanti in senso antero-posteriore atti soprattutto a facilitare il passaggio della mentoniera sul naso.

• Il secondo soccorritore avvertirà il primo qualora i movimenti da lui esercitati mettessero a repentaglio il perfetto mantenimento dell’immobilità del capo.

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• Rimosso il casco, il primo operatore riprende trazione ed immobilizzazione con la tecnica utilizzata per posizionare il collare cervicale. Il secondo operatore attende il feed back del primo per sospendere a sua volta l’immobilizzazione.

• Il secondo operatore posizione il collare cervicale. Rimozione del casco non integrale ( “Jet”) La tecnica non differisce dalla rimozione del casco integrale, tranne che nel primo punto, dove deve necessariamente prescindere dal bloccare insieme casco e mandibola; in ogni caso la manovra sarà più agevole essendo ridotta la resistenza all’allargamento offerta dal casco ed assente l’ostacolo al passaggio del naso.

LE STECCHE DA IMMOBILIZZAZIONE

Indicazioni Tutti i traumi ossei o articolari degli arti richiedono un’immobilizzazione con stecche.

Funzione Sono dispositivi concepiti per l’immobilizzazione senza trazione degli arti in caso di

fratture, distorsioni o lussazioni. Attenuano il dolore, riducono i rischi di lesioni vascolari o nervose secondarie e limitano il pericolo di embolie adipose che possono verificarsi a causa di spostamenti dei monconi di frattura.

Caratteristiche I tipi di immobilizzatori disponibili sul mercato possono essere ricondotti a due

modelli fondamentali: • immobilizzatori a depressione - Permettono un’immobilizzazione totale dell’arto in

tutte le posizioni. Sono costituiti da un doppio involucro suddiviso anch’esso in più settori in modo da permettere l’omogenea ripartizione delle biglie di polistirolo;

• immobilizzatori rigidi - Sono composti da un’armatura in alluminio radiotrasparente e da un rivestimento in spugna ricoperta da tessuto lavabile sintetico. Una serie di cinghie a velcro costituisce il sistema di fissaggio.

Regole generali per l’immobilizzazione Anche se ogni singolo distretto corporeo da immobilizzare ha determinate specificità che ne caratterizzano anche la tecnica di immobilizzazione, esistono alcuni principi che sono validi in un ambito più generale (i punti in corsivo possono essere eseguiti esclusivamente da personale sanitario professionale): 1. rimuovere i vestiti da ogni parte potenzialmente fratturata; 2. valutare lo stato neurologico e vascolare distalmente al punto di frattura (polsi, sensibilità, motilità); 3. medicare e proteggere le eventuali ferite con telo sterile prima di applicare la stecca; 4. immobilizzare sempre le articolazioni a monte e a valle del punto di frattura; 5. trazionare e riallineare quando possibile; 6. in caso di resistenza al trazionamento steccare l'arto come si trova; 7. nel dubbio steccare; 8. controllare i polsi periferici dopo l'applicazione della stecca. 9. non coprire completamente l’arto fratturato con i lembi dell’immobilizzatore; 10. non far passare le chiusure a velcro direttamente su ferite o esposizione di frattura.

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Spalla e braccio • Valutare la presenza di polso radiale prima e dopo l’immobilizzazione; • avvicinare l’arto flesso (piegato) al torace dopo avere imbottito il cavo ascellare e lo

spazio sotto al gomito con cotone; • fasciare il braccio a gomito flesso contro il busto del paziente o, in alternativa, fissarlo in

tale posizione con cerotti (torace/braccio).

Gomito • Valutare la presenza di polso radiale prima e dopo l’immobilizzazione; • immobilizzare l’arto con steccobenda a depressione in posizione antalgica; • sostenere l’arto così immobilizzato con una fascia passata intorno al polso e al collo del

paziente.

Avambraccio • Valutare la presenza di polso radiale prima e dopo l’immobilizzazione; • sollevare di circa 2 cm il braccio del paziente dal terreno (sostenere l’arto a monte e a

valle del focolaio di frattura) e farvi scivolare sotto una stecca rigida o a depressione in modo tale da comprendere anche la mano e fissare l’arto nell’immobilizzatore con le apposite chiusure a Velcro.

Polso e mano • Immobilizzare l’arto dalla punta delle dita fino al gomito mediante stecca rigida o a

depressione.

Bacino Un’efficace e rapida immobilizzazione del bacino può essere effettuata mediante posizionamento del paziente su materasso a depressione; il successivo modellamento anatomico subito dal presidio in seguito alla rimozione dell’aria, consentirà un’efficace immobilizzazione della zona (schiena, bacino e cosce) e permetterà al paziente l’acquisizione di una posizione relativamente antalgica.

Femore Com’è possibile intuire, gli immobilizzatori rigidi e a depressione descritti sopra non sono adatti ad immobilizzare un femore fratturato; un’efficace immobilizzazione, infatti, necessiterebbe di bloccare l’articolazione a valle (ginocchio) e a monte (anca). A tale scopo è descritto un utilizzo “non ortodosso” del corpetto di estricazione (KED, SED, o altri) che si ritiene doveroso riportare: • Aprire il corpetto di estricazione e stenderlo accanto al paziente con la parte del capo

verso i piedi; • far scivolare il corpetto sotto al femore, centrandolo sull’anca; • chiudere il corpetto con le cinghie in dotazione, fissandolo all’addome e alla coscia; • posizionare il paziente sopra il materasso a depressione utilizzando la barella “a

cucchiaio” per il sollevamento.

La tecnica descritta è però gravata da una serie di limiti: 1. non è possibile immobilizzare l’articolazione a valle, ossia il ginocchio; 2. il corsetto, che necessariamente rimane in sede sino al completamento della

diagnostica, è mal tollerato dal paziente; per lo spostamento del ferito è comunque necessario utilizzare la barella a cucchiaio.

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Una semplice ed efficace soluzione per la gestione preospedaliera della frattura di femore è costituita dall’utilizzo della barella a cucchiaio per caricare il ferito su materasso a depressione o tavola spinale, mantenendo al contempo la trazione del segmento fratturato. Posizionato il paziente, si provvederà ad eliminare lo spazio di “aria” tra le cosce utilizzando un cuscinetto o un telo ripiegato. A tal punto, l’immobilizzazione sarà garantita dalle cinghie della tavola spinale o dalla struttura stessa del materasso.

Ginocchio • Se è piegato, posizionare un immobilizzatore a depressione e fissare l’arto in posizione

antalgica; • Se il ginocchio è diritto, posizionare una stecca rigida o a depressione sotto il ginocchio,

imbottendo le parti non aderenti alla stecca e chiudendo anche la parte sotto al piede.

Gamba • Sollevare la gamba del paziente di circa 2/3 cm dal suolo, ponendo le mani sotto la

caviglia e sotto il ginocchio;

• Fare scivolare una stecca rigida o a depressione sotto la gamba fino a comprendere tutto il piede ed il ginocchio; chiudere la stecca intorno alla gamba con le strisce di Velcro.

Piede o caviglia • Immobilizzare il piede nella posizione in cui si trova, utilizzando una stecca rigida o a

depressione.

LA MOBILIZZAZIONE ATRAUMATICA

Premessa generale La mobilizzazione atraumatica va intesa come l’effettuazione di una serie di

manovre atte a consentire il trasferimento del traumatizzato dalla superficie su cui giace ad un piano rigido, in modo da mantenere l’allineamento e l’immobilizzazione del rachide durante il trasporto e la prima fase diagnostico-terapeutica intra-ospedaliera. Perché tali manovre offrano massima garanzia di efficacia, è necessario l’ausilio di strumenti mentre sono invece da evitare manovre di mobilizzazione manuale, (sollevamento “a ponte”, rotazione in asse, trascinamento con cappio, ...) poiché, oltre a necessitare di almeno quattro operatori ben addestrati ed affiatati fra loro, non offrono garanzia assoluta di stabilità della colonna. Unica deroga a tale proposizione è data dalla necessità di riportare in posizione supina un traumatizzato che giaccia disteso in postura diversa (prona, di fianco), non esistendo in questo caso delle valide alternative sul piano tecnico.

Il “roll-over” È una manovra che da impiegare ogni volta che il ferito è reperito in posizione

diversa da quella supina. La tecnica in oggetto risulta utile anche nella manovra di posizionamento della barella atraumatica, quando la presenza di una superficie sconnessa o di capi di vestiario ingombranti impone una manovra di rotazione sul corpo del ferito. Affinché la manovra risulti efficace dev’essere posta in opera da quattro operatori:

• Team-leader - Il team-leader si posiziona dietro la testa del paziente ed immobilizza manualmente il capo, tenendo ben presente la posizione d’arrivo a fine rotazione allo

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scopo di rendere fluido il movimento; il collare cervicale verrà necessariamente posizionato a supinazione avvenuta;

• Secondo operatore - un secondo operatore si porta ai piedi dell’infortunato, allinea gli arti inferiori e, postosi di fronte al team leader, afferra saldamente le caviglie ed esegue una trazione in senso longitudinale rispetto all’asse del corpo. In caso di fratture a carico della gamba, la trazione dovrà essere portata a partire dal cavo popliteo, immobilizzando preventivamente (o assicurando l’immobilizzazione manuale in caso di rotazione d’emergenza) al gamba; in caso di frattura del femore, il secondo operatore manterrà la trazione manuale della coscia, delegando agli altri tre operatori le manovre di rotazione.

• Terzo operatore - Si posiziona dal lato verso il quale avverrà la rotazione e si pone a fianco della vittima, con le ginocchia ben aderenti al tronco dell’infortunato. Dapprima pone se necessario il braccio omolaterale del ferito a stretto contatto con il busto. Con la mano più vicina al capo della vittima ne afferra controlateralmente la spalla, con l’altra il fianco. Attende quindi ordini dal team leader.

• Quarto operatore - Si posiziona dal lato verso il quale avverrà la rotazione e si pone a fianco della vittima, con le ginocchia ben aderenti al bacino dell’infortunato. Afferra l’anca e la coscia controlaterali. Attende quindi ordini dal team leader.

• Con l’avambraccio della mano più vicina al terreno ben aderente alla superficie d’appoggio e con lo sguardo a livello del capo del ferito, il team-leader dà l’ordine di iniziare la rotazione; la “forza motrice” della manovra è assicurato dal terzo e quarto operatore, mentre leader e secondo mantengono la linearità dell’asse testa-piedi.

• Durante ogni momento della manovra, il team-leader impone i tempi della rotazione. In caso di partenza da posizione prona, il leader dapprima assicura un sollevamento verticale dal capo del ferito onde compensare il gap che si viene a creare a causa del perno imposto dalla spalla; inizia quindi la rotazione del capo non appena verificato il raggiungimento dell’allineamento dei punti di repere per la posizione neutra (acromion-meato acustico, sguardo perpendicolare all’asse del rachide).

• A rotazione completata, mentre il leader mantiene ancora l’immobilizzazione manuale del capo, il terzo operatore posiziona il collare cervicale.

La barella atraumatica (“a cucchiaio”) Funzione

La barella “a cucchiaio” è un presidio efficace e di semplice utilizzo per lo spostamento dei pazienti traumatizzati dal piano in cui si trovano (strada, pavimento, ...) al presidio di trasporto ritenuto più idoneo (tavola spinale o materasso a depressione). La barella a cucchiaio non è un presidio adatto al trasporto dei traumatizzati, poiché, essendo aperta lungo l’asse centrale, non offre sufficiente sostegno alla colonna.

Caratteristiche La barella “a cucchiaio” ha una struttura metallica tubolare che pesa 9 kg, può essere

allungata da 168 a 201 cm ed è scomponibile longitudinalmente in due parti, che vengono fatte scivolare, di lato, sotto al ferito.

Procedura standard di applicazione Qualora non si evidenzi la necessità di manovre di rotazione, il posizionamento della

barella atraumatica può essere effettuato da due soli operatori. Aperta longitudinalmente,

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le due metà, con la parte più larga posta sotto la testa, vengono fatte scorrere sotto il corpo del ferito per essere quindi richiuse attraverso un meccanismo ad aggancio rapido. Prima di mobilizzare il ferito, è indicato e raccomandato l’utilizzo di tre cinghie di fissaggio, poste rispettivamente a livello di spalle/torace, bacino e ginocchia.

La barella atraumatica (“a cucchiaio”) nell’estricazione La barella atraumatica (BA) può trovare una nicchia di applicazione anche in corso di

estricazione. Date le sue caratteristiche il suo utilizzo è da escludere del tutto nel soccorso a pazienti realmente incarcerati perché richiede l’accesso totale al paziente da ambo i lati, ovvero da un solo lato ma con possibilità di rotazione del traumatizzato. L’utilizzo “ortodosso” della BA in fase di estricazione è limitato a feriti completamente accessibili e distesi, proni, supini o di fianco, su di un piano sufficientemente lungo da consentire il totale inserimento del presidio come ad esempio: • dal cielo di un veicolo capottato. Il ferito, che giace supino, prono o di fianco sul

“soffitto” del veicolo capottato, deve essere accessibile da ambo i lati, non essendo applicabili efficacemente manovre di roll-over a più operatori se questi ultimi non sono in grado di posizionarsi di fianco alla vittima;

• da uno dei sedili della vettura con lo schienale completamente reclinato. Qualora il ferito giaccia supino o di fianco e sia accessibile da ambo i lati, può essere preso in cosiderazione l’utilizzo della BA. Tuttavia, a causa della superficie necessariamente discontinua costituita da sedile e schienale della vettura, comporta di norma compiere sul ferito pericolose manovre di trazione e sollevamento; pertanto, benché da prendere in considerazione per una situazione particolare (es. KED già utilizzato per altro ferito o assente), risulta meno rischioso posizionare il KED anche nel caso sopra descritto.

Gli immobilizzatori spinali Dispositivo di estricazione a corsetto ( KED®, SED®,…)

Caratteristiche È un corsetto semi-rigido ideato per consentire l’immobilizzazione dell’asse cervico-

caudale (testa-collo-tronco-anche). E’ concepito per essere fatto scivolare facilmente dietro al ferito che si trovi in posizione seduta o semiseduta in corso di estricazione da un veicolo incidentato. L’immobilizzazione del capo e del collo è garantita da un supporto rigido posteriore e da due supporti laterali, il cui fissaggio è assicurato da una cinturino mentoniero e da uno frontale. È fornito in dotazione un cuscino morbido allo scopo di eliminare l’eventuale spazio libero tra capo e supporto posteriore. Un corsetto semi-rigido garantisce la stabilità del tronco e delle anche, avvolgendo la vittima posteriormente e bilateralmente; dal lato anteriore, il torace è chiuso da tre cinghie mentre l’immobilità del bacino è garantita da due cinghie inguinali, tutte munite di chiusura a sgancio rapido. Le cinghie possono essere o meno identificate da fibbie di colore diverso per facilitarne il corretto riconoscimento in fase di aggancio a due operatori.

Procedura standard di applicazione L’applicazione dell’estricatore a corsetto (EC), perché sia eseguita nella maniera più

efficace, presuppone la presenza di almeno tre operatori addestrati. 1. L’infortunato deve trovarsi in posizione seduta o semiseduta; il soccorritore che,

preferibilmente da tergo ove possibile, ha finora mantenuto l’immobilità e la posizione

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neutra del rachide cervicale dopo l’applicazione del collare, la mantiene anche per tutta la durata di posizionamento dell’EC.

2. Compatibilmente con le condizioni del veicolo incidentato, gli altri soccorritori si posizionano ai due lati del ferito e fanno scivolare l’EC, con le cinghie ancora fissate ai propri supporti, dietro la schiena del paziente. La manovra, soprattutto in presenza di sedile anatomico, poggiatesta ingombranti o sedile danneggiato, dovrà necessariamente giovarsi di un leggero sollevamento del tronco del ferito dal piano dello schienale, da compiersi con un movimento lento, coordinato e progressivo dei tre operatori, coordinati da quello addetto all’immobilizzazione del capo.

3. Una volta in posizione, l’EC va centrato sul rachide: si estraggono di seguito le cinghie inguinali facendole scorrere lateralmente e posteriormente al paziente, quindi si avvicinano al torace i lembi laterali del corsetto.

4. Vanno agganciate dapprima le cinghie toraciche inferiore e media. 5. Trazionando sulle due maniglie poste lateralmente dietro il torace, si sposta l’EC verso

l’alto fino a che i lembi toracici del corsetto vengono a contatto con la zona ascellare; si stringono a fondo le cinghie toraciche media e inferiore già agganciate in precedenza.

6. Nel caso in cui si sia in presenza di una donna in stato di gravidanza avanzato, le cinghie in questione vanno mantenute allentate.

7. Gli operatori posti di lato fanno passare la rispettiva cinghia inguinale sotto la coscia omolaterale del ferito. Afferrandola dal lato interno delle cosce, la cinghia di destra viene presa in consegna dal soccorritore di sinistra, che provvede ad agganciarla nella sede adeguata, posta in zona lombare; analogamente si comporta il soccorritore del lato opposto. Verificato che esista un perfetto contatto delle cinghie con la regione inguinale, allo scopo di evitare spostamenti dell’EC in fase di estricazione, le cinghie vengono strette.

8. Nel caso di sospetto di fratture del bacino o del femore, le cinghie inguinali non devono essere incrociate, ma allacciate “ad occhiello”, utilizzando cinghia e fibbia di uno stesso lato. Le cinghie in questione vanno sganciate immediatamente dopo l’estricazione

9. Valutata la necessità di eliminare con il cuscino morbido l’eventuale spazio tra il supporto posteriore dell’EC e la nuca del paziente, si pongono i due supporti laterali del presidio a contatto con la testa del paziente, fissandoli in questa posizione con il cinturino frontale; subito dopo l’immobilizzazione del capo va definita utilizzando il cinturino mentoniero, da posizionare anteriormente al collare cervicale, nella sua zona pre-mandibolare, incrociato con quello frontale.

10. Il primo soccorritore è autorizzato a sospendere l’immobilizzazione manuale del capo e, sceso dal veicolo, si porta accanto all’operatore dal lato in cui verrà estratto il ferito.

11. Si chiude la cinghia toracica superiore e si stringe. 12. In presenza di un importante trauma toracico, la cinghia in questione può essere

mantenuta allentata e sganciata immediatamente dopo l’estricazione. 13. Si legano fra di loro le mani, utilizzando ad esempio una benda, allo scopo di evitarne

la caduta durante gli spostamenti, soprattutto con paziente incosciente. 14. Controllato il posizionamento del corsetto e la tenuta di tutte le cinghie, inizia la fase di

estricazione dell’infortunato. I due soccorritori che si trovano dal lato della portiera da cui uscirà il ferito, afferrano con una mano le maniglie laterali, con l’altra quella posta in regione occipitale; il terzo operatore, dopo averli eventualmente liberati, accompagna e sorregge gli arti inferiori. Trazionando sulle maniglie laterali si fa compiere una rotazione al paziente sul sedile, in modo tale da presentarlo con le spalle alla zona di uscita. Quindi, inclinandone il busto verso l’esterno, si traziona l’infortunato, cercando di evitare gli ostacoli offerti dal telaio della vettura. Eventuali astanti (Vigili del Fuoco,

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ad esempio) possono essere coinvolti per accompagnare il bacino e prendere in consegna gli arti inferiori a mano a mano che il paziente fuoriesce. Una volta estricato, il ferito viene posto sulla barella atraumatica o sul materasso a depressione.

A paziente estricato, l’EC potrebbe anche essere rimosso facendolo scivolare da sotto il paziente evitando movimento dannosi. E’ importante comunque sganciare le cinghie toraciche ed inguinali per consentire l’effettuazione della secondary survey.

Tavola spinale corta La tavola spinale corta (TSC) rappresenta una scelta alternativa all’uso

dell’estricatore a corsetto. È una tavola di legno sagomata avente lo scopo di consentire l’immobilizzazione dell’asse cervico-caudale (testa-collo-tronco); a differenza dell’EC, non ne è previsto l’ancoraggio alla regione inguinale. Pur di dimensioni ridotte, rappresenta un ingombro importante tra le dotazioni di un mezzo di soccorso. La tavola è un pezzo unico; la superficie maggiore della tavola è dedicata a garantire la stabilità del tronco e delle anche; posizionata posteriormente alla vittima, viene fissata con una cinghia incrociata sul torace e da una che circonda la vita, tutte munite di chiusura a sgancio rapido. Anche per l’applicazione della TSC è da preferirsi la presenza di tre operatori addestrati, soprattutto al fine di rendere più agevoli i passaggi delle cinghie da destra a sinistra in caso di ingombri ridotti. A causa della assoluta rigidità del presidio e del suo maggior ingombro in larghezza rispetto all’EC le manovre di posizionamento della tavola e del paziente risultano notevolmente ostacolate.

Il materasso a depressione Caratteristiche

Il materassino a depressione o “materassino a conchiglia” è concepito per l’immobilizzazione e la contenzione dell’intero corpo, realizzando in modo semplice e rapido un blocco unico tra materasso e paziente. Adattandosi perfettamente alle forme del corpo che vi viene adagiato, dopo l’indurimento creato dall’applicazione del vuoto all’involucro interno mediante un aspiratore, esso permette di immobilizzare, fissare, sollevare e trasportare il paziente in qualsiasi posizione (supina, semiseduta o seduta) mantenendo l’allineamento della testa, del collo e del tronco. Essendo radio-trasparente, si presta a seguire il paziente durante tutta la fase diagnostica intra-ospedaliera.

Procedura standard di applicazione 1. Si stende il materassino al suolo o sulla barella; 2. si distribuiscono uniformemente le palline di polistirolo al suo interno e si eliminano le

pieghe della tela; 3. il ferito viene sollevato con barella a cucchiaio e deposto al centro del materassino con la

testa allineata al bordo superiore; 4. si modella il materassino ai lati della testa, del tronco e degli arti inferiori. Fare

attenzione a non modellare il materassino sulla sommità del cranio e sulla pianta del piedi: nel momento in cui si fa il vuoto, il compattamento del materassino avviene principalmente lungo l’asse longitudinale. Per evitare che il rachide sia sottoposto ad una compressione nefasta, si deve evitare di incappucciare i piedi e la testa del paziente;

5. la depressione creata grazie alla fonte di vuoto fissa le sfere di polistirolo in un unico blocco;

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6. il materasso, una volta irrigidito, deve essere sempre assicurato alla barella da trasporto.

Limiti e precauzioni La rigidità del materasso a depressione non è tale da assicurare garanzia di stabilità

al rachide durante le fasi di trasporto a braccia, dalla sede del soccorso al piano della barella. Una precauzione d’obbligo è pertanto quella di assicurare gli spostamenti almeno con sei soccorritori, ovvero di posizionare sotto al materasso la barella “a cucchiaio”.

I materiali di cui sono costituiti i materassi a depressione non offrono grande resistenza alla perforazione o alle lacerazioni; un’attenta verifica del materiale, sia in fase di preparazione che al momento dell’utilizzo, è pertanto assolutamente d’obbligo.

La tavola spinale Caratteristiche

La tavola spinale è costituita da un piano d’appoggio rigido, in materiale plastico o ligneo, non deformabile, che misura circa 2 x 0,5 m. Delle finestrature longitudinali, sul bordo di ciascun lato, permettono la presa dei soccorritori. È concepita per l’immobilizzazione e la contenzione dell’intero corpo. La tavola spinale permette di immobilizzare, fissare, sollevare e trasportare il paziente mantenendone l’allineamento della testa, del collo e del tronco. Essendo radio-trasparente, si presta a seguire il paziente durante tutta la fase diagnostica intra-ospedaliera.

Procedura standard di applicazione 1. Il ferito viene sollevato con barella a cucchiaio e deposto al centro della tavola spinale,

con la testa allineata al bordo superiore; sono da evitare manovre di sollevamento tipo “ponte olandese” non offrono garanzia assoluta di stabilità della colonna. Si fissa la testa al piano della tavola attraverso un fermacapo.

2. Si fissa il ferito al piano della tavola con una serie di cinghie. Grazie ad una scanalatura presente tra i due arti inferiori, è possibile rinunciare ad altri presidi di immobilizzazione, fissando con ulteriori cinghie i segmenti ossei fratturati direttamente al piano della tavola.

3. Per il trasporto, la tavola dev’essere sempre assicurata alla barella da trasporto.

Limiti e precauzioni Per la sua rigidità, la tavola spinale è poco tollerata da pazienti svegli, in quanto può

causare dolore ed anche lesioni da decubito. Inoltre si presta poco al trasporto di feriti con particolari traumatismi, quali lussazioni d’anca, o pazienti con decubiti obbligati. La presenza di ostacoli da superare lungo il tragitto verso l’ambulanza impone che il ferito sia ben legato sulla tavola spinale. Occorre evitare di stringere troppo le cinghie del torace e delle spalle per non ostacolare la respirazione o comprimere eventuali fratture.

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10 TRIAGE PREOSPEDALIERO nelle emergenze multiple e maxiemergenze

Con il termine triage, parola francese che significa cernita (o smistamento), si definisce l’atto di classificare le vittime di una catastrofe o di un incidente. Due sono gli obiettivi principali del triage preospedaliero:

I. Stabilire le priorità di trattamento -. In caso di maxi-emergenza e catastrofe, ad esempio, deve essere adottata una strategia specifica che tiene conto dello squilibrio tra le necessità terapeutiche e le forze a disposizione. L'obiettivo dei soccorritori è quello di garantire la possibilità di sopravvivenza al maggior numero di vittime, e non quello di impegnare tutte le forze nel soccorso a feriti con pochissime possibilità di sopravvivenza. Il compito della prima équipe che giunge sul posto è quello di eseguire un primo rapido triage e di comunicarne i risultati in modo conciso e preciso. Si deve procedere quindi al triage sanitario, definendo le priorità di intervento e mettendo in atto le manovre opportune. A tal fine viene adottato il protocollo americano START, che può essere eseguito anche da soccorritori non professionali.

Esiste, tuttavia, un’unica situazione in cui il protocollo START non deve essere applicato: ci si riferisce al caso in cui ci si trova di fronte a più vittime di folgorazione. In tale caso le priorità abituali del TRIAGE vengono invertite, dando priorità massima ai pazienti in arresto cardiocircolatorio perché: a) i pazienti folgorati, in arresto cardiocircolatorio se trattati precocemente hanno buone possibilità di recupero; b) i pazienti folgorati, non in arresto cardiocircolatorio, difficilmente incorrono in questa complicanza.

Il protocollo START è un procedimento del tipo “passo dopo passo” che non implica una diagnosi approfondita ma solo l’osservazione delle funzioni vitali, in un ordine prestabilito, permettendo così di definire in 60 secondi o meno il grado d’urgenza. Si attua in presenza di più feriti da valutare secondo lo schema sotto esposto. Ad ogni situazione verificata, corrisponde un codice colore che è assegnato al ferito tramite l’apposizione di una striscia di tessuto colorata.

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1. A chi è in grado di camminare si assegna un codice BIANCO o VERDE

2. Cominciare da dove ci si trova a VERIFICARE e IDENTIFICARE i feriti analizzando:

• VENTILAZIONE - se assente*, deceduto o irreversibile " AZZURRO - se > 30 atti al minuto " ROSSO

- se < 30 atti al minuto " verifica PERFUSIONE

• PERFUSIONE - se polso radiale assente " ROSSO - se polso radiale presente " verifica COSCIENZA

• COSCIENZA - se esegue ordini semplici " GIALLO - se non esegue ordini semplici " ROSSO

Codice colore Significato Azione

ROSSO Urgenza primaria Trattamento immediato GIALLO Urgenza secondaria Trattamento dilazionato VERDE Non urgente Trattamento minimo BIANCO Coinvolto non ferito Nessun trattamento AZZURRO Deceduto Non curabile

Codice colore per il triage nella maxi-emergenza

II. Stabilire le priorità di trasporto e la destinazione - Una volta garantite le funzioni vitali, i feriti dovrebbero essere indirizzati direttamente all'ospedale di definitivo trattamento. Perché ciò sia possibile è necessario che:

• Ogni ferito sia direttamente indirizzato a strutture in grado di completare l'iter diagnostico- terapeutico senza trasferimenti ulteriori (gravati da rischi e ritardi).

• Esista un’integrazione tra l’assistenza preospedaliera e quella intra-ospedaliera. Chi riceve un ferito deve conoscere i criteri clinici e dinamici che hanno guidato le scelte sul terreno. I criteri di triage preospedaliero devono essere pertanto conosciuti e compresi da tutti coloro che gestiscono i pazienti traumatizzati.

• Esista una strategia concordata e riconosciuta che permetta di indirizzare i feriti meno gravi a strutture ospedaliere di livello intermedio, in modo da non sovraccaricare gli ospedali con caratteristiche di “trauma center”. La centralizzazione deve essere attuata solo nell’ambito di una strategia chiara predefinita con la C.O. 118 oppure se presente sul terreno personale sanitario che possa assumersi la responsabilità di questa decisione.

Accanto ai criteri clinici che emergono nel corso della Primary e della Secondary Survey esistono caratteristiche dinamiche dell’evento che suggeriscono che l’entità della forza applicata sia stata tale da essere probabilmente associata a lesioni maggiori, anche in assenza di segni clinici evidenti, che impongono la centralizzazione.

* dopo aver garantito la pervietà delle vie aeree!

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Criteri dinamici di centralizzazione

• Caduta da oltre 5 mt

• Presenza di persone decedute nello stesso veicolo

• Proiezione all’esterno dell’abitacolo

• Incidente auto/pedone con proiezione o arrotamento

• Tempi di estricazione prolungata ( > 20 m’)

• Intrusione della carrozzeria nell’abitacolo > 20 cm

• Incidente motociclistico con distacco

• Ribaltamento del’’autoveicolo

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ALLERTAMENTI L’operatore di Centrale Operativa 118, alla richiesta di soccorso attua il protocollo

telefonico (Dispatch) che gli permette di individuare il problema, dare la risposta operativa più idonea e allertare sulla base di precisi criteri l’équipe di intervento sanitario più idonea (BLS,ALS) ed eventualmente le figure di soccorso non sanitarie ritenute necessarie (VVF, Protezione Civile, ecc.). Nei casi in cui il Dispatch non ha permesso di individuare correttamente il tipo di risposta necessaria, l’équipe giunta per prima sul posto richiede l’intervento di ulteriori forze e/o mezzi sanitari e non sanitari.

Criteri di Dispatch per équipe ALS Al fine di ridurre la mortalità preospedaliera da trauma in tema di organizzazione del soccorso possono essere attuate due strategie: 1. La prima prevede un miglioramento capillare delle competenze e l’utilizzo di

numerose équipe ciascuna delle quali tratta annulamente un numero limitato di casi 2. La seconda prevede l’impiego su una vasta area di una singola équipe con competenze

molto elevate. Nel primo caso il problema è garantire a tutte le équipe un livello adeguato di competenze ed esperienza, nel secondo caso è di identificare un meccanismo che permetta con sufficienti garanzie di allertare laddove sia necessario l’équipe molto competente; infatti, il ricorso a criteri di dispatch così ampi da garantire un intervento ALS senza restrizioni porterebbe ad un aumento dei costi ed al rischio di sottrarre l’unica équipe ALS lì dove sia realmente necessaria. Infine l’attivazione della équipe ALS solo dopo una prima verifica da parte della équipe BLS (dual run response), se da un lato limita i casi di intervento “avanzato” incongruo, determina un notevole allungamento dei tempi di intervento ALS, vanificandone i potenziali vantaggi in termini di riduzione della mortalità9. I criteri clinici di allertamento per equipe ALS sono stati già descritti nelle sezioni dedicate alla primary e secondary survey10. Infine uno studio prospettico italiano ha mostrato come l’uso di criteri “situazionali” di gravità può offrire un potere predittivo superiore a all’uso di criteri focalizzati sul quadro clinico ottenibili telefonicamente dagli astanti.

Invio immediato équipe ALS in tutti i casi di: # Incidente autostradale # Incidente stradale con necessità di estricazione (qualsiasi dinamica) # Incidente stradale con ferito proiettato all’esterno del mezzo # Scontro frontale su strada extra-urbana # Scontro auto + bici (o pedone) su strada extra-urbana # Incidente motociclistico (con distacco dal mezzo) # Coinvolgimento di mezzo pesante (qualsiasi dinamica) # Incidente coinvolgente più di 2 auto su strada extra-urbana # Uscita di strada (extra-urbana) # Persona caduta da 5 metri o più # Incidente sul lavoro (escluse lesioni minori) # Incidenti sportivi in montagna, acqua, aria

protocollo attivazione ALS su criteri dinamico-situazionali

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11 TRASPORTO

Dopo la stabilizzazione del paziente si può procedere al trasporto presso la struttura ospedaliera concordata con la Centrale Operativa comunicando alla stessa il codice di rientro (patologia - gravità - situazione) . Durante il trasporto è indispensabile:

• continuare la valutazione dell’A B C per il rischio di un improvviso aggravamento e controllare le terapie in corso

• fornire all’ospedale di riferimento informazioni che permettano la “preparazione” della struttura ad accogliere correttamente un ferito grave. Giunti in Pronto Soccorso, per garantire il massimo della continuità delle prestazioni,

l’équipe di soccorso provvederà a trasmettere in modo corretto e completo tutti i dati inerenti al servizio effettuato, integrandosi infine con l’équipe del pronto soccorso.

FISIOPATOLOGIA DEL TRASPORTO DEL PAZIENTE POLITRAUMATIZZATO

Gli effetti nocivi del trasporto sul paziente critico sono causati da:

Forze gravitazionali

Sono le forze che si esercitano sul paziente durante la partenza o la fermata di un’ambulanza, particolarmente se questa è brusca come una frenata improvvisa, ma lo sono anche i sobbalzi, i movimenti di carico e scarico del paziente. L’evento fisiopatologico comune consiste nello spostamento della massa ematica che viene facilmente traslocata. Il posizionamento dei pazienti può quindi essere studiato accuratamente in rapporto al tipo di patologia. Il paziente con trauma cranico è preferibile sia direzionato con le parti caudali verso la parte anteriore del mezzo e viceversa per quello con scompenso acuto cardiocircolatorio.

Vibrazioni meccaniche

In un trasporto sanitario si possono distinguere tre modi fondamentali di esposizione alle vibrazioni: a) vibrazioni trasmesse alla superficie di tutto il corpo, per esempio l’entrata in vibrazione del veicolo a certe condizioni di velocità; b) vibrazioni trasmesse all’insieme del corpo dalla superficie di sostegno; c) vibrazioni subite da una parte del corpo come la testa o le membra non immobilizzata correttamente. Le vibrazioni meccaniche provocano: turbe del sistema vegetativo, spostamenti dolorosi dei monconi

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delle fratture e delle parti molli delle ferite, peggioramento delle emorragie polmonari e delle lesioni renali, cefalea, dolori addominali da distorsione dei visceri.

Rumore

I rumori non danno problemi specifici ai pazienti sono solo fastidiosi aumentando così lo stress ed il disconfort e rendono difficili le manovre come l’auscultazione. Nell’elicottero i pazienti coscienti o solo leggermente obnubilati devono essere muniti di tappo di protezione delle orecchie.

Bumping movements (sobbalzi)

Questi movimenti avvengono principalmente nel momento di caricare e scaricare il paziente dal mezzo, possono generare pericolose variazioni pressorie fino alla sincope; debbono essere evitati con particolari accorgimenti tecnici (rotaie, elevatori idraulici) e anche con la preparazione ed il numero sufficiente dei membri della squadra di soccorso.

Temperatura

I pazienti in stato critico, non di rado già ipotermici, sono vulnerabili ai grandi cambiamenti di temperatura esterna. Il preriscaldamento ed il condizionamento appropriato del mezzo è requisito fondamentale. I valori ottimali di temperatura della cellula medicale si aggirano intorno a 22° C con una umidità del 70% ed una luminosità di 1000 lumen circa.

I problemi del trasporto di pazienti acuti con elicottero o aereo poco si discostano da

quelli esposti se non per il problema specifico delle variazioni di pressione barometrica che vanno ad incidere in special modo per alcune condizioni come la presenza di aria in alcune cavità del corpo (PNX) o anche in alcuni supporti alla ventilazione (cuffia del tubo tracheale).

Gli effetti nocivi del trasporto nel paziente traumatizzato non possono

essere eliminati ma solo ridotti con azioni preventive: 1. accelerazioni appropriate, moderata velocità, percorsi studiati;

2. caratteristiche tecniche del mezzo e della barella adeguate, rapporto barella–pianale ottimale, rapporto barella-paziente corretto, insonorizzazione

3. caratteristiche di accesso al mezzo idonee (elevatori, barelle speciali), capacità operativa dell’equipaggio;

4. termoregolazione della cellula medicale, termoregolazione del paziente;

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GESTIONE DELLE BOMBOLE DI OSSIGENO

Il corretto funzionamento degli strumenti sanitari quotidianamente impiegati nell’emergenza può essere critico per la sopravvivenza del paziente. L’ossigeno somministrato in quantità adeguate è uno dei cardini terapeutici nel trattamento del traumatizzato grave, e la bombola di ossigeno rappresenta una delle fondamentali dotazioni dei mezzi di soccorso. Tuttavia, non è infrequente che la conoscenza non perfetta delle caratteristiche della bombola comprometta la possibilità di trattare il paziente in maniera adeguata. Chiunque utilizzi una bombola di O2 per un trasporto sia intra che extra-ospedaliero dovrebbe essere certo di avere scorte adeguate di ossigeno. Tuttavia non di rado tale verifica viene effettuata in maniera approssimativa e superficiale, verificando magari solo il livello di pressione rilevato sul manometro della bombola. In realtà chiunque preveda di dover utilizzare l’ossigeno nel corso del proprio intervento dovrebbe porsi prima della partenza la seguente domanda: Ho abbastanza O2 ? Per rispondere a questa domanda è necessario sapere:

Qual è il consumo di O2 – Tutti i traumatizzati gravi dovrebbero essere trasportati somministrando ossigeno alle massime concentrazioni. Questo significa un consumo di 12-15 lit/min, stimato per mascherine con reservoire e paziente in respiro spontaneo.

Di quanto O2 si può disporre – In sostanza è necessario conoscere il contenuto in litri della bombola a disposizione. Sulla fascia bianca di ogni bombola è impresso il volume in litri (capacità della bombola) e il peso in Kg. In genere il peso è superiore al volume del 10% (10 lt = 11 Kg) per cui anche la sola indicazione del peso è sufficiente a dedurre il volume della bombola. La bombola contiene O2 a pressione e la pressione di caricamento è indicata dal manometro ed è espressa in Atmosfere (Atm). Il contenuto in ossigeno di ogni bombola (espresso in litri) è pari al volume (indicato sulla fascia bianca) moltiplicato per le Atmosfere (indicate dal manometro). Una bombola da 10 litri caricata a 200 atmosfere contiene quindi 2000 litri.

Durata della bombola in respiro spontaneo - Per calcolare il tempo di durata della bombola (per quanto tempo fornirà la quantità di ossigeno voluta) sarà sufficiente dividere il contenuto per il consumo di O2 al minuto (indicato sul flussimetro ed in genere pari come già si è detto a 12-15 lit/min). In tale maniera si otterrà il tempo di erogazione espresso in minuti.

Esempio: paziente in respiro spontaneo con mascherina e reservoire a 15 lit/min utilizzando una bombola di 5 lit. a 150 Atm: calcolo dell’autonomia: 5 X 150 = 750 (O2 disponibile) : 15 ( coms./min) = 50 minuti.

Anche se non rientra tra gli argomenti di questo testo è bene ricordare che se il paziente è in ventilazione meccanica parte della riserva di ossigeno (in genere 50 Atm) viene utilizzata dal ventilatore come forza lavoro e, pertanto, dovrà essere sottratta per il calcolo dell’autonomia, fermo restando che questa quota di O2 rimane disponibile per continuare a ventilare il paziente con il pallone di Ambu o con altro dispositivo manuale.