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Piero Crispiani - Manuale ITARD. Manuale clinico di pedagogia speciale 2013-14 Libreria Floriani Macerata - 0733-230409. E’ severamente vietata la riproduzione in fotocopie. www.pierocrispiani.it www.centroitalianodislessia.it 1 PIERO CRISPIANI Università degli Studi di Macerata Dipartimento di Scienze della Formazione, dei Beni culturali e del Turismo MANUALE ITARD 2013-14 MANUALE CLINICO DI PEDAGOGIA SPECIALE Limitiamoci umilmente a fare i pedagogisti. andremo molto più lontano di quanto s’immagini. Antoine de La Garanderie LIBRERIA UNIVERSITARIA FLORIANI Via Don Minzioni, 6 62100 Macerata tel. 0733-230409 2013

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Piero Crispiani - Manuale ITARD. Manuale clinico di pedagogia speciale 2013-14

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PIERO CRISPIANI Università degli Studi di Macerata

Dipartimento di Scienze della Formazione, dei Beni culturali e del Turismo

MANUALE ITARD 2013-14

MANUALE CLINICO DI PEDAGOGIA SPECIALE

Limitiamoci umilmente a fare i pedagogisti. andremo molto più lontano di quanto s’immagini. Antoine de La Garanderie

LIBRERIA UNIVERSITARIA FLORIANI Via Don Minzioni, 6

62100 Macerata tel. 0733-230409

2013

Piero Crispiani - Manuale ITARD. Manuale clinico di pedagogia speciale 2013-14

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AVVERTENZA La presente dispensa costituisce un materiale provvisorio ed

incompleto ad uso degli studenti, degli insegnanti e dirigenti scolastici e dei pedagogisti ed è aggiornato annualmente

Il Manuale ITARD si compendia con il Glossario

P. Crispiani, Hermes 2014. Glossario scientifico professionale, Ed. Junior 2013.

SOMMARIO

PARTE PRIMA - SCIENZA E PROFESSIONE

NEL RISPETTO DI ARETEO Responsabilità e competenza Civiltà e tendenze Nuovi professionisti Nuove frequenze Nascita e curva dell’educabilità Sinergie Orizzonti tecnologici Fasi dell’azione pedagogica PATOLOGIE E FORMAZIONE DISABILITA’ ED EDUCAZIONE Disabilità Tipologie di disabilità Il diagramma fondativo Il diagramma dell’integrazione

PARTE SECONDA - PATOLOGIE E SINDROMI

PATOLOGIE, SINDROMI E DISABILITA’ Eziologie e catena causale Le eziologie e la causa primaria La catena Cause/sintomi Sindromi quantitative e qualitative: deficit e disordine Il quadro sindromico La sindrome e il tipo Il quadro RITARDO MENTALE Il quadro Intellettivo e cognitivo: funzioni e stili

Ritardi e disturbi Il disturbo mentale Il ritardo mentale L’intelligenza

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Problemi ed approcci Teoria dell’analisi fattoriale dell’intelligenza Teoria psicometrica, test e Q.I.: l’evoluzione Il Quoziente Intellettivo Standardizzazione e validazione Valutazioni della psicometria

Apprezzamenti qualitativi Il test dell’omino di F.Goodenough Il mental-test ed altri impieghi La lettura diacronica La lettura neuro-psichica Le chiavi di lettura Una sintesi teorica dell’intelligenza Natura della funzione intellettiva Funzioni dell’intelligenza I requisiti Il ritardo

Orizzonti della patologia Linee eziologiche Ritardo mentale e sviluppo neuro-motorio Regressione mentale Definizioni e polivalenze Il ritardo mentale nel DSM-IV Quantità e qualità nel ritardo mentale La diagnosi funzionale Pseudo-ritardo mentale

Il trattamento Prime scelte Il piano del trattamento Strategie Ambiti di lavoro primari

Modalità strategiche comportamentiste Modalità strategiche umanistiche Modalità strategiche cognitiviste

PARTE TERZA - PEDAGOGIA DELL’EDUCAZIONE SPECIALE EDUCAZIONE SPECIALE Fondamenti Trattamenti, approcci e strategie Pluralità I trattamenti Il trattamento educativo Gli approcci Le strategie La strategia comportamentista/comportamentale PROGETTAZIONE EDUCATIVA SPECIALE Programmazione e progettazione Lo Skill Analysis Model La Progettazione clinica Indicatori

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Il modello-guida Il Piano mensile

PARTE QUARTA - AZIONI DI EDUCAZIONE SPECIALE IL CONTRATTO FORMATIVO La token economy Il contratto formativo LA TERAPIA OCCUPAZIONALE

PARTE QUINTA - DOCUMENTI SCHEDE DIDATTICHE DI SINDROMI PARTE PRIMA - SCIENZA E PROFESSIONE

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IL RITARDO MENTALE

Il quadro Intellettivo e cognitivo: funzioni e stili Tra i paradigmi concettuali più rilevanti si pone la distinzione, oramai assunta dalle scienze cognitive, anche se non sempre nei modi più acclarati, tra l’intellettività e la cognitività, riferendosi a funzioni umane essenzialmente prossime ma diverse. Il sistema neurobiologico umano e la sua funzione complessiva qual è la mente, regolano infatti le due aree di funzioni (capacità, potenzialità, azioni) che, insieme, danno luogo e rendono efficiente il pensiero e l’agire umano.

L’intellettività è la funzione psichica umana che esprime l’efficacia logica del pensiero, quindi regola l’intelligenza1 e inerisce l’elaborazione razionale delle informazioni, il suo tratto dominante è la logica. La funzione intellettiva: - regola l’intelligenza; - inerisce l’elaborazione delle informazioni; - ha effetti sull’efficacia del comportamento; - fonda sulla logica; - è parzialmente misurabile.

La cognitività2 è il processo sinergico ed integrato di apprendimento e di elaborazione delle informazioni e si delinea come un gestore del pensiero3, ovvero come una funzione psichica/mentale che organizza, regola e garantisce l’organizzazione coordinata del comportamento in tutte le sue dimensioni (motorio, percettivo, emotivo, affettivo, intellettivo, linguistico, sociale, operativo). Ci si riferisce quindi alla cognition, quale esteso processo in cui si riconosce la conoscenza4, essa costituisce una funzione trasversale a tutte le altre e ne organizza i processi d’azione. La funzione cognitiva: - regola i processi cognitivi;

1 Intelligenza – Astrazione di funzioni psichiche, concetto variamente definito, identificato in forma unitaria o disaggregata, universale o personale, misurata o descritta o narrata, ecc., storicamente ha ammesso approcci quantitativi o qualitativi. Per alcuni corrisponde alla logica, per altri ad un insieme di funzioni (memoria, elaborazione di informazioni, soluzione di problemi, adattamento, linguaggio, ecc.), o ad un potenziale, per altri ancora non esiste come entità specifica. In J. Piaget è uno stato mentale e un processo organizzati intorno alla logica ed ingloba il pensiero e lo sviluppo mentale. Trova la migliore rappresentazione nelle strutture matematiche, da cui la dizione logico-matematico. In Eysenk 1986, è la capacità di elaborare informazioni. In R. Feuerstein è la plasticità cognitiva che consente la capacità di adattamento a situazioni nuove e complesse, come modificazione mentale ed è modificata dalle esperienze di apprendimento mediato, quindi è educabile. In H. Gardner si esprime nella abilità a risolvere problemi e costruire oggetti o azioni. La locuzione viene utilizzata in varie associazioni concettuali. – Intelligenza Artificiale – Fenomeno e teoria. Come fenomeno è la funzionalità espressa da sistemi elettronici in relazione a degli scopi e materiali informativi (es. macchina di Turing). Come teoria è l’opzione, di provenienza matematica e cibernetica, circa l’associazione del cervello e della mente alle procedure ed all’efficacia dell’elaboratore elettronico, in quanto elaboratore di informazioni. Espressa anche come H.I.P., prelude alla teoria del computazionalismo. – Intelligenza collettiva – Produzione di pensiero espresso da gruppi come sinergia di una pluralità di intelligenze individuali, con esito che va oltre il loro cumulo. – Intelligenza dinamica – Concezione dell’intelligenza come processo di continuo mutamento, modificazione verso le competenze potenziali, quindi sensibile all’educazione, non misurabile in quanto plastica e qualitativa (Piaget, Sternberg, Feuerstein, ecc.). Cfr. Crispiani P., Hermes 2014. Glossario scientifico professionale, cit. 2 Cognitività (Cognition) – Capacità di produrre e controllare processi cognitivi, ovvero di organizzare e coordinare il pensiero in tutte le sue manifestazioni (senso-motorie, coordinative, rappresentative, formali, mnestiche). La cognitività, distinta dalla funzione intellettiva, consiste nell’organizzazione coordinata delle azioni umane da ogni tipo e ne garantisce i caratteri di correttezza, sequenzialità, ordine spazio-temporale, simultaneità, coordinamento con l’intenzionalità, controllo, ecc. Cfr. Crispiani P., Hermes 2014. Glossario scientifico professionale, cit. 3 Cfr. Crispiani P., Didattica cognitivista, cit., p. 56. 4 Ibidem, p. 57.

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- inerisce l’apprendimento1 e la conoscenza2; - ha effetti pervasivi sui principali coordinamenti; - fonda sull’organizzazione del pensiero; - non è misurabile. Entrambe le funzioni vengono esercitate con modalità individuali diversificate e fortemente sensibili ai contesti, onde hanno evocato l’analisi e classificazione secondo la categoria degli stili3.

Gli stili intellettivi si riferiscono all’intelligenza ed alle particolari disposizioni privilegiate, o attitudini che essa può assumere in diversi soggetti o in popolazioni o gruppi, secondo la teorizzazione elaborata da neuropsicologi modularisti come Olson, Gardner, Feldman, Goleman, ecc. Le oramai nove formae mentis isolate da H. Gardner4, attengono ai campi di esercizio (logico-matematico, linguistico, musicale, corporeo-cinestesico, visivo-spaziale, inter-personale, intra-personale, naturalista, esistenziale), a settori della cultura o linguaggi nei quali singole persone esprimono particolare vocazione e competenza, e non coinvolgono le strategie cognitive con le quali vi si esercita l’attività di pensiero.

Gli stili cognitivi ineriscono il coordinamento e l’organizzazione delle più ampie prestazioni mentali che si prolungano nella ricezione delle informazioni (apprendimento) e nella loro elaborazione, quindi nell’azione di approfondimento, o processazione, che consente all’individuo di mettere le informazioni in relazione con le conoscenze pre-esistenti, con il reticolo dei concetti, con i linguaggi, ecc. Ritardi e disturbi Riconosciuto da tempo come entità funzionale specifica ed autonoma, il ritardo mentale compare nei manuali nosologici attuali come il l’ICD-10 ed il DSM-IV-TR, benché si presenti perlopiù in situazione di comorbilità con sindromi quali l’autismo, i deficit sensoriali, la tetraparesi, ecc. Anche per questo motivo, risulta di grande rilievo differenziare il concetto da una pluralità di paradigmi con i quali sovente esso si accompagna. Assunti diffusamente nella clinica e nella letteratura, certamente per l’efficacia e l’immediatezza dei riferimenti che evocano, i due gruppi terminologici rimandano in verità a concetti che presentano ambiguità, i quali richiedono quanto meno opportune precisazioni di campo. Naturalmente l’uno può veicolare anche l’altro, associarsi ad esso o esserne causa, ma se ne distingue comunque per sintomi ed eziologia. Per gli stessi motivi, nel DSM-IV compaiono illustrate separatamente, entro il capiente capitolo dei disturbi mentali, le sindromi definite come ritardo mentale e come disturbi dell’apprendimento, riferiti soprattutto all’età evolutiva. Le stesse appaiono perlopiù nei primi stadi evolutivi (fino all’adolescenza), ma spesso vengono diagnosticate in fasi successive o, talvolta, come esiti di tali disturbi, ovvero in forme attenuate, o residue o in remissione, ecc. Anche per questi motivi, si tratta di un ambito sindromico che manifesta particolare variabilità individuale, sfumature e frequenti sovrapposizioni con altre patologie. E' possibile, in conclusione, convenire sul riferimento del ritardo mentale ad una generale difficoltà di adattamento all'ambiente, ovvero al mancato sviluppo di condotte adattive. Le stesse

1 Azione mentale di percepire e registrare informazioni di ogni tipo sulla base di un’attività personale e soggettiva, pressoché immediata. 2 Processo mentale di elaborazione/processazione delle informazioni apprese o ricordate, in relazione alle conoscenze pregresse, ai contesti, ai conflitti, alle forme di transfert, ecc. In D. Ausubel corrisponde all’apprendimento significativo, nei teorici della concettualità attiene alla concettualizzazione, nella psicologia sociale o culturale, nella teoria della cultura, ecc., si identifica come l’attribuzione di significato alla realtà, che J.Bruner esprime come fare significato. 3 Cfr. Giaconi C., Didattica e stili cognitivi ,Junior, Bergamo 2004. 4 Gardner H, Formae mentis, New York 1983, Feltrinelli, Milano 1987

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considerazioni, se connesse al livello interiore e più complesso dell'attività umana, valgono per le condotte che si manifestano come deficit nell'uso di strategie consapevoli e finalizzate nell’azione e nel pensiero. Il disturbo mentale Per un verso, il disturbo delle funzioni mentali (disturbo mentale o malattia mentale) rimanda allo stato della psiche, quindi a malattie, menomazioni o disagi clinicamente significativi1, che alterano la qualità dei processi mentali e si associano a stati di sofferenza, quindi si esprimono a carico delle funzioni emotive, affettive, dell’Io, della ragione, dell’agire, ecc. La definizione contiene un equivoco sostanziale, dal momento che si antagonizza necessariamente con il disturbo fisico, secondo una frontalità tra fisico e psichico, tra corpo e mente, oggi non più accreditata. Figlia del tradizionale dualismo mente-corpo, la netta distinzione appare oggi precaria in termini concettuali, mentre continua ad essere impiegata più per ragioni di comodità lessicale. La fisiologia umana tende a separare sempre meno il versante corporeo da quello mentale, per effetto della constatazione che i disturbi dell’uno hanno radici, oppure si declinano nell’altro. La mente esprime vissuti anomali della corporeità, così come il corpo fa propri e manifesta in più modi, le sofferenze della psiche. Si determina, con ciò, la dinamica delle conversione psico-somatiche. Del resto, nessuna definizione specifica coglie in modo adeguato il senso e le dimensioni del disturbo mentale. Per contro annotano D. Hales e R. Hales2, “La salute mentale non consiste nell’assenza di sofferenza o di conflitti, quanto nella capacità di pensare in modo razionale e logico e di affrontare i cambiamenti, lo stress, i traumi e le perdite, a cui ognuno di noi va inevitabilmente incontro nel corso della propria vita, in un modo che garantisca la stabilità e la crescita emotiva”. E poi, “il confine tra salute mentale e malattia mentale non è ben definito. Dove termina l’eccentricità e ha inizio l’anormalità? Quando la tristezza si trasforma in depressione? In quale momento lo stress assume la forma di un’ansia cronica? In che modo la fantasia fa perdere totalmente il contatto con la realtà? Dove sta la linea di confine tra gli alti e i bassi di tutti i giorni e i disturbi gravi che necessitano urgentemente di assistenza?”. Disturbi mentali più comuni risultano allo “Studio nazionale sulla comorbilità” – USA 1994 – riferito da D. Hales e R. Hales3 : depressione maggiore, abuso o dipendenza da alcol, fobie specifiche, fobie sociali, abuso o dipendenza da sostanze chimiche, disistima. Il ritardo mentale (RM) Il fenomeno del ritardo mentale attiene alla qualità delle funzioni intellettive umane, quindi all’efficacia ed all’efficienza dell’intelligenza, riguarda pertanto uno stato di minore intelligenza, definibile in termini quantitativi, come deficit o minorazione.

1 Cfr.,DSM-IV, p. 21. Il disturbo mentale vi è definito come: una sindrome o forma comportamentale o psicologica clinicamente rilevante che si manifesta in un individuo e che è associata a una sofferenza attuale, a invalidità o a un rischio notevolmente elevato di morire, soffrire, rimanere invalido o perdere la propria libertà”. 2 D.Hales, R.E.Hales, La salute della mente, cit.,pp. 39 ss. Gli autori riportano la definizione ufficiale del disturbo mentale resa dal Governo degli Stati Uniti nel 1993, come “un disturbo mentale, comportamentale o emotivo diagnosticabile che interferisce con una o più delle normali attività di un individuo, come vestirsi, mangiare, lavorare”. Gli stessi riferiscono che, ad uno studio del 1994, il 48% della popolazione americana ha avuto un disturbo mentale in un momento della propria vita, e che il 30% ne soffre ogni anno. 3 D. Hales, R.E. Hales,cit.,pp.40 ss. Ricerca epidemiologica condotta su 8098 uomini tra i 15 ed i 54 anni, rappresentativi dell’intera popolazione USA, di essi il 14% ha sofferto di tre o più disturbi contemporaneamente.

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Il ritardo o deficit mentale rimanda dunque a considerazioni sulla funzionalità intellettiva della mente a fronte di problemi da risolvere e di azioni del pensiero da regolare: l’attività mentale (pensiero, intelligenza), unitamente ai processi cognitivi (coordinamento, organizzazione, elaborazione) è all’origine di ogni comportamento umano (dal sensoriale al formale) ne garantisce le funzioni ed i coordinamenti tra le funzioni, per tale motivo la diagnosi di queste ultime costituisce un importante segnale dello stato intellettivo del soggetto. Collegandosi in vario modo a forme di apprezzamento o confronto tra rendimenti mentali di persone diverse, la cultura scientifica in materia rimanda comunque ad una dimensione quantitativa delle funzioni intellettive, con particolare riferimento ad apprendimento, conoscenza, funzioni simboliche e linguaggio, coordinamenti senso-motori, neuro-motori, ecc. Benché appaia oggi poco accreditabile l’idea che l’efficacia mentale possa essere misurata, così come hanno fatto nel tempo la testistica e la psicometria, il senso del ritardo, in ambito mentale, inerisce l’apprezzamento della funzione intellettiva in un individuo. Inevitabilmente la nozione di ritardo si connette anche ad altre forme di comparazioni in qualche modo quantitative che, pur non matematicamente misurabili, ricorrono a forme di apprezzamento secondo diverse modalità: comparazioni, confronti, scale di livello, ecc. D’altra parte, la cultura neuropsicologica odierna tende a far proprie modalità qualitative di approccio alle condotte intellettive, quindi con mirata attenzione alle caratteristiche del pensiero, alle sue varietà e competenze, ai potenziali di lavoro con e nei concetti, piuttosto che alla loro mera misurazione. La principale letteratura tuttavia, compreso il DSM-IV, associano il RM ad un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, quindi con un Quoziente Intellettivo (Q.I.) massimo di 70, che compare prima dei 18 anni ed esprime compromissioni nella sfera generale dell’adattamento.

Per l’americano H. J. Grossman si attribuisce la diagnosi di ritardo mentale in età adulta con maggior circospezione, ovvero allorché siano presenti tre condizioni: a- basso livello nei test di intelligenza; b- problemi di adattamento comportamentale; c- comparsa in età infantile.

Il ritardo mentale, in definitiva, comporta minore intelligenza in senso generale e si manifesta in gran parte delle condotte umane che richiedono l’esercizio della logica., o razionalità. L’intelligenza Problemi ed approcci L’indagine attorno alla sindrome da ritardo mentale ed alle sue connessioni sulla condotta umana, avanza costanti riferimenti ad una questione primitiva inerente la natura dell’intelligenza umana e le modalità del suo sviluppo. Si penetra così in un dominio scientifico ampio e problematico, tradizionale campo di esercizio della filosofia prima, quindi della psicologia e della pedagogia, frequentato da temi di ricerca tutt’oggi centrali in tali scienze, come in quelle neuropsicologiche, cibernetiche e didattiche. In questa sede, si delinea unicamente il quadro problematico, riservando invece maggiore attenzione ai temi della disfunzionalità, si prende atto pertanto della persistenza di grandi problemi, in parte irrisolti, di seguito enunciati. • natura innata-acquisita; • natura generale o specifica/settoriale; • analisi dei fattori o dei componenti; • quali relazioni con il linguaggio; • quali relazioni con lo sviluppo neuro-motorio; • quali relazioni con la logica; • quali relazioni con la razionalità;

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• quali relazioni con la creatività; • sua misurabilità; • approcci qualitativo o quantitativo; • evolutività, rapporto con l’età; • ecc. Se si escludono speculazioni di carattere filosofico, che pur risalgono alle origini del pensiero classico, studi sistematici sull’intelligenza sono apparsi tra fine ‘800 ed inizio ‘900, soprattutto ad opera della psicologia sperimentale. Qui stazionavano principalmente due blocchi di opzioni problematiche, temi essenziali, su cui si sono confrontati molti ricercatori: la misurazione dell’intelligenza e la sua disaggregazione negli elementi che la compongono. Si sono così consolidati approcci teorici riconoscibili in riferimento ai capitoli della: misurazione ed analisi fattoriale dell’intelligenza, sui quali è vissuta per un secolo la psicologia più accreditata.

Teoria dell’analisi fattoriale dell’intelligenza La teoria dell’analisi fattoriale dell’intelligenza, è parte della stessa convinzione a carico sia dell’intera personalità che di altre aree di funzioni umane, ovvero dell’idea che funzioni specifiche, così come la persona stessa, risultino dal cumulo delle singole loro parti e che queste siano separatamente conoscibili e misurabili. A proposito dell’intelligenza dunque, questa teoria tende ad analizzare le funzioni intellettive distinguendone le componenti, o fattori, mediante l’impiego di test di indagine.

La teoria fattoriale non ha trovato unanimi pareri né teorizzazioni univoche, del resto nel tempo si sono espresse concezioni che proponevano da 2 (J. L. Horn e R. B. Cattel,1966) a 150 fattori (J. L. Guilford). I primi consistenti tentativi di localizzare le funzioni cerebrali si devono, tra la fine del 700 e l’inizio dell’800, allo scienziato austriaco Franz Joseph Gall1 protagonista, attorno al 19712, di un’interessante ricerca anatomo-funzionale che, osservando la conformazione morfologica del cranio, pretendeva di derivarne l’individuazione delle attitudini individuali. Fin da ragazzo Gall aveva ritenuto di rilevare, nei compagni di scuola, l’esistenza di connessioni tra la forma della testa e le caratteristiche mentali (es. occhi sporgenti = buona memoria); sviluppando questa idea elaborò una concezione, detta frenologia3, che riscosse notevole fortuna nell’800. Il cranio umano differisce da individuo ad individuo, tali variazioni riflettono diverse conformazioni del cervello, per quanto attiene il volume e la forma. Poiché le facoltà mentali sono per Gall localizzabili in specifiche aree cervicali, ciascuna delle quali presiede una più o meno distinta funzione, la loro pressione sulla scatola cranica ne determina delle deformazioni, pertanto la conformazione fisica di tali zone può predirne il livello qualitativo, la forza o la debolezza. Per Gall non esistono poteri mentali generali o sintetici (l’attenzione, la memoria, il linguaggio, ecc.), bensì diverse forme di tali funzioni più specifiche, quindi vari tipi di percezione, memoria, linguaggio, musicalità, ecc. Antesignano della teoria fattoriale, egli pone una corrispondenza tra le capacità mentali e morali e la conformazione del cranio, il quale, con le sue protuberanze e depressioni, era “impronta fedele della superficie cerebrale”4. In forza di questa concezione, Gall invita a “sbarazzarsi del presupposto erroneo secondo cui il cervello è organo unitario” mentre, piuttosto, “il cervello consiste di plurime parti dalle funzioni totalmente diverse”5.

1 F. J. Gall 1758 – 1828. 2 F. J. Gall,L’organo dell’anima,Marsilio,Milano 1985. 3 Cfr. R. Luccio,”Storia e metodi”,in P.Legrenzi (a cura),Manuale di psicologia generale,Il Mulino,Bologna 1994,p. 19. 4 F. J. Gall, L’organo dell’anima,cit.,p. 51. 5 Ibidem, p. 91.

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Onde può affermare che “il cervello non è un tutto unico, bensì un insieme di tanti organi quante sono le facoltà particolari”1. Il lavoro di Gall si concretò quindi nella identificazione e circoscrizione di aree cerebrali e craniali in una sorta di mappa cerebrale, da cui ricavò, poi modificato nel 1810 dal collaboratore Joseph Spurzheim, un elenco di trentasette poteri, o facoltà mentali, includenti i sentimenti, la speranza, la riflessione, le percezioni, le diverse funzioni linguistiche, ecc. Con l’inglese C. Spearman, ai primi del ‘9002, ha esplicito inizio la teoria fattoriale dell’intelligenza, che ne isola i fattori compositivi e li rende apprezzabili all’analisi ed alla misurazione. A partire dal 1904, Spearman elabora una concezione bifattoriale dell’intelligenza che riconosce nell’uomo una competenza intellettiva generale, pervasiva di ogni prestazione intellettiva, definita fattore G dell’intelligenza, quale capacità di applicare relazioni logiche in ogni campo di esercizio del pensiero. Egli si riferiva ad una facoltà unitaria, oppure ad un insieme di facoltà ma strettamente interagenti, capaci anche di dar luogo ad altri tipi di abilità, ovvero fattori specifici, quali i tempi di reazione, la discriminazione sensoriale, l’identificazione di relazioni logiche, la memoria, ecc. Dunque una fattore universale, innato ed immutabile, e fattori specifici educabili e potenziabili.

Sempre ai primi del 900, L.L. Thurstone sostiene una teoria multifattoriale dell’intelligenza fondata su sette abilità mentali primarie, o fattori costitutivi, i quali combinandosi in vario modo danno luogo all’attività del pensiero, e che possono sottoporsi ad analisi ed a test misurativi: a- comprensione verbale (fattore V); b- fluidità verbale (fattore W); c- abilità numerica (fattore N); d- abilità spaziale (fattore S); e- memoria (fattore M); f- abilità percettiva (fattore P); g- ragionamento (fattore R).

Sulla scorta di questa costruzione teorica (1931), Thurestone mise a punto una serie di batterie multifattoriale per l’analisi e selezione di fattori specifici della condizione mentale di individui, soprattutto in ambito lavorativo e militare.

Malgrado che l’analisi fattoriale appaia più pertinente alla complessità del pensiero umano, essa tuttavia perderà progressivamente credito, a fronte delle concezioni più dinamiche ed interattive nutrite in merito sia dalla psicologia analitica (psicoanalisi nelle varie espressioni, psicologia umanistica e suoi sviluppi) sia dal cognitivismo. In suo luogo si afferma una visione più organica, che rifiuta scomposizioni ed atomizzazioni della facoltà intellettiva.

Con D.O.Hebb nel 1949 si incrementa la visione multifattoriale dell’intelligenza unitamente a quella della sua misurabilità, distinguendo tra due livelli:

- Intelligenza A, il potenziale intellettivo genetico, ereditario, non misurabile, che l’individuo può esercitare in ogni ambiente favorevole;

- Intelligenza B, l’efficienza mentale presente, sensibile alle condizioni ambientali, misurabile attraverso test, effetto di educazione.

Ulteriore approccio multifattoriale è di P.Hofstatter che nel 1957 isola ben 50 fattori attitudinali costitutivi dell’intelligenza, riducibili tuttavia ad 8 principali, rappresentati dalle 7 abilità di Thurestone più la motricità (fattore MO). A P. Vernon si deve (1961) una concezione più articolata della struttura del pensiero che, a fronte dell’universale fattore G prevede, in via gerarchico-piramidale, altri gruppi di fattori in via di crescente specificità, di tipo verbale, scolastico, spaziale, meccanico, ecc. Le ricerche di J.P.Guilford pervengono ad una visione multifattoriale ma più articolata dell’intelligenza, e cominciano a prendere atto della univocità dei test misurativi e della nozione di

1 Ibidem,p. 115. 2 C. Spearman, The abilities of man, their nature and measurement, Macmillan, New York 1927.

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Quoziente.Intellettivo, i quali esprimono una serie di limiti e contraddizioni, tra i quali l’incapacità di porre in rilievo il pensiero divergente, quindi di apprezzare le larghe correlazioni tra intelligenza e creatività. Egli tende dunque ad una visione più allargata dell’intelligenza1, sviluppandone un modello interpretativo tridimensionale che individua complessivamente 120 abilità primarie (incrementati a 180 nella versione del 1988), o fattori, riferiti a tre elementi/componenti2 dell’agire mentale umano ulteriormente distinti: 1. Le operazioni: - cognizione;

- memoria (24 fattori); - pensiero divergente; - pensiero convergente; - valutazione.

2. I contenuti: - figurativi; - simbolici; - semantici; - comportamentali. 3. I prodotti: - unità; - classi; - relazioni; - sistemi; - trasformazioni; - implicazioni. Ogni atto mentale si delinea dall’incrocio delle tre dimensioni, pertanto tale spazio è rappresentabile nella forma di un cubo a 12° caselle, ciascuna delle quali rappresenta una delle componenti basilari dell’intelligenza: ad es. dire che dopo 3 – 5 – 7 – 9… viene 11, deriva dalla convergenza di numericità, simbolicità, lingua, ipotesi, memoria, ecc.

Nel 1971, l’anglo-americano R. B. Cattel3 , nell’ambito del più ampio approccio fattoriale alla personalità, procede ad un’ulteriore scomposizione dell’intelligenza generale, individuandone una suddivisione in fluida e cristallizzata. All’analisi di Cattel, l’intelligenza fluida, misurabile attraverso le prestazioni di elaborazione astratta di simboli, analogie, seriazioni, è poco sensibile all’esperienza ed ai contesti culturali, si esprime in astrazioni ed in forme di pensiero flessibile ed è propria degli adulti.

Per contro, l’intelligenza cristallizzata, misurabile attraverso prove di cultura, comprensione linguistica, organizzazione, decisione, quindi capacità acquisite, è più sensibile all’esperienza ed ai contesti culturali, e può crescere infinitamente nel corso di tutta la vita.

Per alcuni versi, principi della teoria fattoriale possono parzialmente ritrovarsi nella frantumazione delle funzioni intellettive operata dalla teoria modularista e da quella della intelligenze plurali di H. Gardner, D. Feldman, Olson, ecc.

1 I test identificati da Guilford prevedono due tipi di domande: - che cos’è………. – con una sola risposta corretta – pensiero convergente; - che uso puoi fare di…… - con possibilità di risposte variate – pensiero divergente. Alle valutazioni di Guilford risulta che:

1) le differenti misurazioni mentali hanno carattere duraturo, quindi predittivo; 2) tra i 12 ed i 20 anni l’80% dei soggetti raggiunge i valori propri degli adulti; 3) tra i 25 e i 34 anni raggiunge il culmine il fattore verbale; 4) con l’età si determina un declino nei punteggi soprattutto nei test inerenti la velocità di esecuzione; 5) i test verbali e di ragionamento non danno segni declino prima dei 60 anni, ma esso si allontana in presenza di

pensiero senza intervento del linguaggio e di pensiero connesso a motivazioni. 2 I tre elementi che Guilford individua nelle azioni intellettive sono: 3 Raymond Bernard Cattel (1905-1998), già allievo di Spearman a Londra, si trasferisce negli USA nel 1937, dove diviene assistente di E. L. horndike. E’ autore di una Teoria della personalità e di ricerche fattoriali e misurative sull’intelligenza, ha realizzato il Cattel-test 16 PF (test di personalità).

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In H.Gardner è sostenuta l’idea di una intelligenza quale capacità di condotta efficace in relazione agli specifici contesti, che tende a manifestarsi in forma settoriale, in una sorta di frantumazione in diverse facoltà. Contrario alla posizione generalista, di un’intelligenza come funzione generale, Gardner riconosce che le prestazioni elevate si esprimono in relazione a contenuti specifici, non universalmente, ovvero “le prestazioni del genio sono probabilmente specifiche a contenuti particolari”, onde si può ritenere che “gli esseri umani si sono evoluti in modo che consente loro di esibire varie intelligenze e non di attingere variamente a un’intelligenza flessibile”1. Teoria psicometrica, test e Q.I.: l’evoluzione Dal presupposto della natura innata e relativamente immutabile dell’intelligenza, tale che può essere misurata, quindi da una concezione non evoluzionista, prende originariamente corpo un approccio misurativo che tende a tradurre in indicatori quantitativi, perlopiù numerici, le prestazioni dell’intelligenza umana. L’approccio psicometrico allo studio ed alla valutazione dell’intelligenza nella direzione della sua misurabilità, può considerarsi come “l’assegnazione di valori, espressi con numeri, a fenomeni secondo determinate regole di tipo logico matematico per riuscire a rappresentarli come grandezze”2. La pratica della misurazione dell’intelligenza “è progredita in maniera straordinaria, ma i risultati che ha fornito si sono dimostrati nel complesso di importanza limitata”3. Tra i primi psicometristi è lo psicologo sperimentale Francis Galton, il quale attorno al 1869, nel suo laboratorio antropometrico di Londra, connette l’intelligenza ad altre funzioni come la motricità, la percezione sensoriale, la reattività, e costruisce un test mentale centrato sulla percezione uditiva (tempi di reazione e qualità) e visiva. Da una similare piattaforma scientifica, ma non mancano antefatti di lunga tradizione4, si evidenzia la posizione sperimentale e misurativa in psicologia dell’americano J. Mc K.Cattel5 sostenitore di una psicologia avulsa dall’introspezione e vocata al metodo empirico-sperimentale, che nel 1890 introduce il concetto di mental test6, quale strumento diagnostico costituito da uno stimolo e dalle istruzioni o linee per interpretare le relative risposte. Esperienze di misurazione del comportamento e delle prestazioni mentali furono condotte anche in ambito psichiatrico a fine ‘800 (Oehrn, Rieger, Kraepelin, Ferrari), in criminologia da seguaci di C.Lombroso, e in pedagogia mediante i reattivi di intelligenza di Munsterberg7, Bolton, Gilbert, Ebbinghaus8. D’altra parte, numerosi test cominciarono ad essere impiegati in America nella selezione degli immigrati e nella formazione dei militari, soprattutto nel 1917 in occasione dell’intervento degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, l’Army-Beta-test. Non mancarono valutazioni critiche, a partire da quelle di C. Wissler che, già allievo di J.M.Cattel, nel 1901 presso la Columbia University, osservò la scarsa correlazione tra i valori dei test mentali e gli altri indici di rendimento, soprattutto scolastici, il che indusse a considerare più

1 Gardner H., Formae mentis, cit., p. 85. 2 Cfr. Pedrabissi L., Santinello M., I test psicologici, Il Mulino, Bologna 1997. 3 Comoglio M., ”Potenziamento e recupero delle capacità cognitive e metacognitive”, in Orientamenti pedagogici, n.. 4/2002, p. 568. 4 Hofstatter P. R. individua una preistoria dei test mentali nelle prove somministrate nei riti di iniziazione delle società primitive, riflesse poi nella mitologia e nelle leggende (es. la capacità di risolvere enigmi come in Edipo e la Sfinge, Turandot, ecc.), ritrovabili in prove per selezioni riferite nella Repubblica di Platone, nell’Antico Testamento, una pratica frequente nella preparazione militare (vedi psicologia militare) soprattutto degli Stati Uniti, di cui riferisce J.P. Guilford. Cfr. Hofstatter P. R., Psicologia, Feltrinelli, Milano 1957, 1971, p. 272. 5 Cattel J. Mc K. (1860-1944). 6 Test = reattivo, prova, quindi reattivo mentale. 7 Munsterberg H., tedesco-americano incaricato di costruire test di idoneità professionale per i guidatori dei tram di New York, nei quali comparivano molti item di tipo intellettivo. 8 Cfr. Hofstatter P. R., Psicologia, cit., p. 273.

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adeguatamente l’insieme della variabili personali (emotive, affettive) e contestuali (culturali, ambientali, di tempo disponibile, ecc.) che agiscono sulla situazione testistica. Alfred Binet1muove da una analisi critica dei test in uso, in quanto riferiti ad una base limitata di capacità, e concepisce l’intelligenza in forte connessione con l’insieme delle facoltà che la compongono e che si manifestano nell’esperienza quotidiana dei bambini2: motricità, attenzione, memoria, immaginazione, linguaggio, senso estetico, perseveranza, giudizio, ecc. Su tale presupposto teorico, nel 19053 costruisce, in collaborazione con T. Simon, una serie di test di intelligenza, da applicare agli alunni subnormali delle scuole di Parigi. L’originaria scala di test consta di trenta problemi in ordine crescente di difficoltà, con prevalenza di prove verbali su quelle percettive e sensoriali che ponevano in evidenza le funzioni mentali di comprensione, ragionamento e giudizio ritenute componenti essenziali dell’intelligenza. Dalla media delle risposte ai test, si ricavava un indicatore di età mentale, primo criterio di misurazione dell’intelligenza. Nel 1908 la scala viene sottoposta ad una prima revisione, mediante l’aggiunta di altre prove ed il loro diverso raggruppamento, in particolare furono assunte prove idonee a bambini mentalmente normali di tre anni, in modo da riportare a quella stessa età mentale i bambini subnormali attestati sulle medesime prove. Inizia così una prima forma di associazione tra il rendimento mentale e l’età dei soggetti in esame. Una seconda revisione della batteria di prove di Binet fu apportata nel 1911 e comportò, tra l’altro, l’estensione delle stesse alle età adulte. Alla scala Binet-Simon, ed al relativo modello teorico, si riconosce un indubbio rilievo per lo sviluppo della psicologia e della pedagogia, per una serie di motivi sia storici che teorici. Per un verso, la ricerca di Binet si colloca in una fase di risveglio dell’attenzione scientifica ed umanitaria per il mondo del ritardo mentale e del deficit psichico, per l’altro conferì un riconosciuto incremento di valore scientifico alle pratiche diagnostiche e misurative del comportamento mentale in genere. Il lavoro segnò infatti una netta accelerazione delle ricerche in ambito di psicologia sperimentale, ma va segnalato che la scala nacque come strumento clinico e di applicazione individuale, condotto sul singolo caso e con una forma di misurazione non comparata agli altri, mentre solo più tardi fu utilizzato per la rilevazione di standard mentali di popolazione. La scala di Binet e Simon fu poi oggetto di diverse revisioni in altri paesi, tra le quali si evidenzia quella di L. M. Terman del 1916, detta Revisione Stanford4 che adotta il riferimento dell’età mentale all’età cronologica, dal cui rapporto deriva il quoziente intellettivo (età mentale diviso età cronologica5, EM/EC, per 100) e che sostituisce definitivamente l’originario strumento di Binet. Di seguito all’intuizione già avanzata nel 1911 dal tedesco W. Stern, circa l’esigenza di separare l’età mentale dall’età cronologica dal cui rapporto derivare un quoziente dell’intelligenza6, si mette a punto la pratica del Q.I.

1 Nizza 1857-Parigi 1911, medico, psichiatra e psicologo sperimentale, allievo di J.M.Charcot, dal 1894 dirige il laboratorio di psicologia fisiologica alla Sorbona. Dalle ricerche sulle funzioni psichiche superiori, si concentrò su intelligenza, attenzione, immaginazione, ecc. Per incarico del Ministero della Pubblica Istruzione francese, insieme a Th. Simon elaborò una scala di test per la misurazione dell’intelligenza infantile. Autore di: La psicologia del ragionamento (1886), Le alterazioni della personalità (1891), Introduzione alla psicologia sperimentale (1894), Le rivelazioni della scrittura in base a un controllo scientifico (1907) e, con Th.Simon,Le moderne idee educative (1909),Paravia,Torino 1976. 2 Cfr. V.Rubini, Test e misurazioni psicologiche,Il Mulino,Bologna 1984. 3 A seguito di incarico del Ministro della Pubblica istruzione di Parigi nel 1904, di effettuare ricerche sullo scarso rendimento scolastico di una parte degli alunni delle scuole primarie. 4 Dal nome dell’omonima università americana, da cui il test assume la definizione di scala Stanford-Binet. 5 Entrambi espressi in mesi. 6 Cfr. Miller G. A., ”Il problema dell’intelligenza fra teoria e pratica”, in Oliverio Ferraris A. (a cura), Il bambino e l’adulto, Laterza, Bari 1995, p. 93.

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Si determina pertanto: E M

--------------------- X 100 = Q. I. E C

Sulla scorta del sistema psicometrico e dell’applicazione del Test Stanford-Binet e del calcolo del Q.I., per L.M.Terman si assume la seguente scala dei valori:

CLASSIFICAZIONE DEI VALORI DELL’INTELLIGENZA Secondo L.M. Terman

Q.I. definizione frequenza 140 e oltre geniale 2% 120 – 139 eccezionale 7% 110 – 119 superiore 16% 90 – 109 media 50% 80 – 89 torbida 16% 70 – 79 al limite normalità 7% 50 – 69 deboli mentali 30 – 49 imbecilli 30 e meno idioti 0,5%

La misurazione dell’intelligenza resa dallo Stanford-Binet ha carattere globale, non discrimina entro le strutture o componenti della prestazione mentali, ma prende in considerazione esclusivamente le risposte ai test, perlopiù di natura verbale. Successivamente la Scala Stanford-Binet subì revisioni ad opera di L.M.Terman e M. Merril e, ancora, di D. Wechsler che aggiunge la misurazione del Q.I. verbale1 e del Q.I. pratico2. Mental test oggi impiegati, che consentono di pervenire alla definizione dell’età mentale attraverso diverse forme di prove/test (disegni, domande, prove orali, prove scritte, ecc.), per poi coniugarsi comunque con l’età mentale reale e proiettarsi convenzionalmente su una scala centesimale, sono principalmente i seguenti. 1. Le Scale dell’intelligenza di Wechsler,1974, 1987: WISC, la scala per bambini WISC-R, la scala per adulti WAIS-R. Scale articolate in una serie di sub-test derivati da Binet, alcuni di tipo verbale, altri di performance, riferiti a diversi fattori dell’intelligenza, es.

a- fattore comprensione verbale, che comprende informazioni somiglianze, vocabolario, comprensione;

b- fattore organizzazione percettiva, che comprende completamento di figure, storie figurate, disegno con cubi, ricostruzione di oggetti;

c- fattore capacità di concentrazione, che comprende memoria di cifre, aritmetica, cifrario, labirinti.

2. il BITCH (Black Intelligenze Test of Cultural Homogeneity) di R.Williams,1975. 3. Il Test della figura umana3 (Draw a man test) di F.Goodenough, 1926.

1 Riferito a prove di comprensione verbale, cultura generale, calcolo aritmetico, memoria. 2 Riferito a prove di manipolazione, completamento di figure, composizione di oggetti. 3 O test dell’Omino di F. Goodenough. Test, del quale segue una trattazione, ammette impieghi anche di tipo qualitativo (descrittivo/sincronico e narrativo/diacronico).

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4. I Reattivi non verbali: a. le Prove di incastro/puzzles di E.Séguin 1866, R.Pintener-D.G.Paterson 1917; b. i Labirinti di S.D.Porteus,1924; c. il Disegno con cubi di S.C.Kohs,1923; d. l’Army-Beta-test, USA 1917; e. le Matrici progressive (PM)1 di J.P.Raven,1938,1947; f. il Culture Fair Intelligence Test2 di R.B.Cattel,1981.

Il Quoziente Intellettivo Alla prima teorizzazione del QI di L.M.Terman, ricavato dal rapporto tra età mentale, misurata con la scala Stanford-Binet e l’età cronologica reale dei soggetti, espressa in mesi, oggi si preferisce il concetto del Q.I. di deviazione ricavabile comunque dallo Stanford-Binet. Il sistema Q.I. di deviazione consiste nel riconoscere la fascia dei valori medi riscontrati nella popolazione, entro cui si colloca il 70% degli individui, con una deviazione standard di 16 rispetto alla media di 100, quindi da 84 a 116, arrotondato a 85 e 115. In tale intervallo, si considerano il livello estremo in basso (85) come indice di sub-normalità, ed il livello estremo in alto (115) come indice di super-dotazione, pertanto tra i valori di 85 e 115 ci si colloca nella normalità, ovvero a scarto contenuto ed accettabile rispetto alla media di 100. 0 ------------------------ 85------------------115 ----------------------------N subnormalità normalità super-dotazione In tempi recenti, conformemente al ridimensionamento di credibilità scientifica sia degli strumenti psicometrici che della stessa idea quantitativa e sommativa dell’intelligenza, soprattutto in relazione all’infanzia si è estesa la fascia della normalità tra gli indici di 70 e 130. Si ha pertanto sub-normalità quando il punteggio ai tests si pone al di sotto della media (100), con una distanza superiore a due DS, quindi: 0 ----------------- 70---------------------------------130 -------------------N subnormalità normalità super-dotazione

Ovvero ritardo mentale differenziato in: 0 -----------20------------35----------------52--------------70------------100 profondo grave moderato lieve da H.J.Grossman3 Standardizzazione e validazione L’accreditamento dei test rimanda ad operazioni di convenzionale riconoscimento nel duplice senso della standardizzazione e della validazione.

1 Test d’intelligenza non influenzato dalla cultura del soggetto (culture-free), elude le competenze linguistiche e simbolico-matematiche, per sollecitare le capacità di osservazione, memoria e ragionamento logico. Consiste nel riconoscimento o completamento di figure poste in particolari relazioni logiche. 2 Consiste in prove di seriazione, classificazione, condizione. 3 Grossman H. J., Manual on Terminology and Classification in Mental Retardation, American Association on Mental deficiency, Washington 1977.

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La standardizzazion, processo di uniformazione di una procedura ad uno standard. richiede l’osservanza di due criteri procedurali:

1.a Uniformità delle procedure di somministrazione e della determinazione dei punteggi individuali grezzi (scoring), quindi dell’ambiente, degli atteggiamenti, della forma delle istruzioni, del tempo assegnato, delle modalità di risposta, degli stati soggettivi, ecc. La determinazione di tali condizioni standard è assunta mediante una originaria somministrazione ad un campione numericamente significativo (campione di standardizzazione).

1.b Uniformità convenuta delle norme statistiche di elaborazione dei punteggi grezzi e determinazione dei valori medi delle risposte relativamente al campione (taratura). I valori medi sono ricavati sulla base del calcolo della deviazione standard1 dalla media.

2. La validazione indica la significatività dei punteggi attribuiti, sulla scorta di un continuo

processo di validazione che si orienta alla validità, quale “grado di precisione e di accuratezza con cui di fatto esso misura ciò che si propone di misurare”2. Tale validazione va condotta in riferimento3 al contenuto (significatività, pertinenza dei contenuti del test rispetto a ciò che si intende rilevare), al costrutto teorico (ipotesi, concezione in possesso del costruttore e somministratore del test sul comportamento in analisi) ed al criterio (correlazione con io punteggi ottenuti in altri test).

Valutazioni della psicometria A fronte di un largo uso degli strumenti psicometrici, il periodo di massima credibilità si colloca tra 1l 1940 ed il 19604, molteplici e frequenti sono le critiche e le prese di distanza da tale considerazione teorica dell’intelligenza e della sua presunta misurabilità, come espresso da una larga letteratura5, se già H. J. Eysenk ricordava che “la difficoltà nel definire e nel misurare l’intelligenza sta nel fatto che l’intelligenza non è una cosa, bensì un concetto o un’idea”6. Dagli anni ’60 si avvera una sorta di “ rivolta antitest” che indusse la stessa APA7 a redarre norme specifiche per la costruzione e la somministrazione dei test. D’altra parte, va considerato che l’atto di misurare suppone un insieme di chiarimenti teorici inerenti la natura stessa del fenomeno preso in analisi. In questo caso occorre preventivamente distinguere tra la misurazione dell’intelligenza in quanto competenza multifattoriale e dinamica e, in alternativa, la misurazione di una o più delle sue settoriali componenti. Sia per il suo regime di espressione, che per la natura fisica stessa dei reattivi impiegati per la rilevazione e misurazione delle prestazioni intellettive, in realtà i testi apprezzano, isolano e misurano piuttosto i fattori sollecitati nelle prove: memoria, comprensione verbale, abilità grafica, organizzazione spazio-temporale, attenzione, concentrazione, motivazione, controllo emozionale, ragionamento, velocità, ecc. Essendo comunque il test riferito alla reazione/risposta del soggetto testato, quindi al comportamento terminale di una situazione-test, l’assunzione misurativa di esso comporta una rinuncia all’effettiva discriminazione dell’intelligenza, in evidente favore di una sua visione generale ed astratta. 1 DS, o Sigma, scarto quadratico medio dal valore medio, calcolo di quanto mediamente il campione si discosta dal valore medio. 2 Cfr. Schofield H., Valutazione e uso dei test, cit., p. 76. 3 Cfr. Pedrabissi L., Santinello M., I test psicologici ,cit.,p. 85.. 4 Cfr. Pedrabissi L., Santinello M., I test psicologici, cit., p. 38. 5 Una rassegna delle posizioni in H.Schofield,Valutazione e uso dei test,London 1972,La Nuova Italia,Firenze 1978; F.Del Corno-E.Pelanda,Metodologia dei test psicologici,Angeli,Milano 1985; V.Rubini,Test e misurazioni psicologiche,Il Mulino,Bologna 1984; L.Pedrabissi-M.Santiniello,I test psicologici,Il Mulino, Bologna 1997. 6 Cfr. H.Schofield,Valutazione e uso dei test,cit,p. 91 7 Associazione Psichiatrica Americana.

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Rilevante è poi l’effetto della deformazione culturale, o bias, che condiziona la valutazione del test per effetto delle variabili razziali, sessuali, linguistiche, socio-culturali dei soggetti in analisi. Decisiva vi è, del resto, la componente verbale, come ad es. nella Scala Stanford-Binet. L’analisi di E.Caracciolo1 colloca i test mentali ed il loro impiego entro i limiti e le contraddizioni della pratica della diagnostica constatativa, istantanea, statica, dichiarativa di situazioni più che indagatrice del loro stato funzionale. Per tali motivi Caracciolo ritiene che i test rendano pseudodiagnosi, avendo la pretesa di indicare in quale punto di una arbitraria e supposta scala di valori mentali debba collocarsi un individuo, ovvero il suo sviluppo in un ambito della personalità (mentale, linguistico, sociale, emotivo, ecc.), dunque ingannevoli termometri cognitivi2, dotati di nessuna vocazione prognostica, a rilevare le presenze e le assenze di strutture o capacità, ad ipotizzare le cause del deficit o ad apprezzare i processi in atto ed i possibili potenziali evolutivi. Dello stesso tenore sono prese di distanza che invocano l’incapacità dei test di fornire indicazioni sui processi che conducono a comportamenti apprenditivi, problema già rilevato da J. Piaget all’epoca della sua esperienza parigina di applicazione dei test di Burt agli alunni delle scuole elementari. Anche in riferimento all’abilità di problem solving, che nella cultura americana occupa un valore assolutamente centrale nella scala delle competenze mentali, si osserva come i test e la relativa valutazione non riescono a cogliere quell’abilità, prevedendo piuttosto un’unica risposta corretta o un unico metodo di soluzione3. Ai test d’intelligenza si muovono una serie di rilievi: a- di essere condizionati dal veicolo comunicativo impiegato, le parole, l’organizzazione del

messaggio, l’abilità grafica, ecc.; b- di penalizzare le condizioni culturali di fondo degli allievi, come dimostrato dalla ricerca USA

del 1984,la quale nei valori più bassi soprattutto gli alunni provenienti dalle classi culturalmente subalterne;

c- di derivare il termine di paragone per la normalità dalla cultura che è alla base dell’impostazione dei test, per cui i soggetti svantaggiati sono considerati come sub-normali;

d- di richiedere prestazioni avulse dai contesti per cui si hanno scarsi risultati in competenze che, invece, sono quotidianamente attivate;

e- di considerare una parte limitata delle competenze del pensiero, trascurando quelle emotive, sociali o creative;

f- di svantaggiare, soprattutto nei test a scelta multipla, l’allievo dotato di spinte creative, oppure che tende a soffermarsi a pensare a lungo sulle domande.

g- di non fornire indicazioni sulle procedure o forme o stili dei processi di pensiero. Allo stesso utilizzo dei risultati delle testazioni, sono mossi appunti critici, per il fatto che:

1. tendono ad essere sopravvalutati; 2. tendono ad essere accettati con troppa facilità; 3. si assumono decisioni sulla base di un solo test e non ripetuto; 4. si attribuisce forte predittività ai test, che diventano selettivi per l’accesso o la prosecuzione di

corsi scolastici;

1 E. Caracciolo, Diagnosi funzionale e assessment nel ritardo cognitivo: due facce della medesima medaglia,in E.Caracciolo-F.Rovetto (a cura),Ritardo mentale,Angeli,Milano 1994,pp. 7 ss. 2 Id.,p. 15. 3 Cfr. J. G.Borkowsky, N .Muthukrisna,”Il contesto di apprendimento e la generalizzazione delle strategie”,in R.Vianello-C.Cornoldi (a cura),Metacognizione, disturbi di apprendimento e handicap,Ed. Junior,Bergamo 1996,p. 37.

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Apprezzamenti qualitativi Su sponde scientifiche diverse da quelle di provenienza empirista, nelle cui trame si è consolidata la cultura dell’analisi fattoriale e della psicometria, appaiono emergenti concezioni di tipo qualitativo interessate alla descrizione della funzione intellettiva più che alla sua quantificazione in quozienti. Contenitore di una nuova e più complessa visione è l’alveo delle scienze cognitive e delle loro molteplici connessioni disciplinari con le neuro-scienze, la cibernetica e l’informatica, la linguistica, ecc. Dell’intelligenza si concepisce oramai una idea di funzione in movimento, un processo che costruisce strutture cognitive in relazione ai contesti culturali e linguistici e che evolve lungo tutta la vita dell’individuo. Fondamentale paradigma piagetiano, la natura qualitativa caratterizza l’intelligenza, le sue espressioni (il pensiero) ed i suoi processi evolutivi, onde lo sviluppo mentale è, in J. Piaget, non un accrescimento quantitativo ma una differenzazione qualitativa dal senso-motorio al formale; se ne ricava una sintesi delle attribuzioni date dall’epistemologo. L’intelligenza in J.Piaget: a. equivale al pensiero, a processi mentali; b. cambia in qualità, si trasforma strutturalmente e funzionalmente1; c. è regolata dalla logica o razionalità; d. lavora anche su se stesso, è strumento di indagine di se stesso; e. è correlata all’intenzionalità; f. si autoregola; g. tende all’adattamento, equilibrio, apprendimento, sviluppo mentale; h. è un processo; i. è un processo individuale; j. regola tutto il comportamento, Si può ritenere, con D. Feldman,che J.Piaget pur avendo prodotto lo studio più organico e dettagliato dello sviluppo mentale, ne assume a tratto dominante l’intelligenza logico-matematica2 trascurando invece il contributo del pensiero artistico e creativo, le differenze individuali nel lavoro cognitivo e la capacità dell’educazione di modificarne lo sviluppo. Sulla scia dell’approccio cognitivo all’intelligenza, si consolidano una quantità di paradigmi fondativi di una più comprensiva teoria dell’intelligenza: - la pluralità delle forme o manifestazioni dell’intelligenza (pluralità, stili); - la capacità dell’intelligenza di pensare se stessa (metacognizione); - la natura culturale dell’intelligenza (costruita nella prospettiva dei significati e dei codici

comunicativi della cultura di appartenenza); - la natura sociale dell’intelligenza (condivisa, negoziata); - la distinzione dell’intelligenza dai processi cognitivi.

La questione dell’unità dell’intelligenza rimane teoricamente centrale, conoscendo almeno due tendenziali posizioni: a. la posizione generalista, che identifica essenzialmente l’intelligenza con un fattore generale

(fattore G) e trasversale a tutte le attività mentali, e soprattutto associata alla logica, come in J.Piaget e nei primi cognitivisti;

b. la posizione pluralista, che accredita molteplici espressioni dell’intelligenza, qualitativamente tra loro diverse ed osservabili nel comportamento quotidiano delle persone ed in relazione ai contesti ambientali.

Dall'intelligenza tradizionale alla tesi delle intelligenze multiple, è questo per Filograsso "il frutto più maturo del cognitivismo"3, anche se le opzioni in questa direzione non mancano di equivoci e parzialità.

1 La teoria piagetiana del pensiero e dello sviluppo mentale è sia strutturalista che funzionalista. 2 In Piaget il pensiero è essenzialmente logica e come tale regola la cognitività sottesa ad ogni comportamento umano. 3 N. Filograsso, H.Gardner.Un modello di pedagogia modulare, Anicia, Roma 1995, p. 21.

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Ricercatori critici della teoria generalista ritengono che la stabilità dei rendimenti ai test si debba ad una specifica abilità di risposta al test, piuttosto che ad una intelligenza generale, e che sia poco significativa la correlazione tra rendimento ai test e successo scolastico e professionale (L.J.Cronbach, 1990). A favore di un’intelligenza G, generale ed unitaria, autori contemporanei come R.J. Hernestein e C.Murray (1994), adducono: - relativa stabilità dei risultati di test d’intelligenza diversi; - correlazione tra risultati dei test e rendimento scolastico e lavorativo. Il test dell’omino di F.Goodenough Il mental-test ed altri impieghi Il noto Test della Figura umana di F. Goodenough1, un test carta e matita del 1926, per la misurazione dell’intelligenza in individui da 3 ai 13 anni e 6 mesi, comunemente definito test dell’omino, appartiene alla categoria dei culture-fair test2 si presta tuttavia a molteplici usi sia diagnostici che educativi. Per tale motivo, lo consideriamo uno strumento diagnostico qualitativo che consente una valutazione sia sincronica/attuale che diacronica o dell’andamento evolutivo del bambino, essendo di facile somministrazione ed agevole lettura. Presupposto del test della Goodenough è che in corrispondenza del livello mentale si incrementa nella completezza e nei dettagli il disegno della figura umana, quindi che esiste una forte correlazione tra quoziente intellettivo e punteggio riportato nel test, ovvero tra intelligenza ed immagine corporea.

Conferma l’analisi di A.Oliverio Ferraris, che nei bambini “La povertà della raffigurazione non è dovuta soltanto all’incapacità di coordinazione motoria e all’assenza di tecnica, ma anche all’immagine che a quell’età il bambino ha del proprio corpo e di cui il disegno è la proiezione”3. Infatti “E’ uno schema ridotto ed essenziale: la testa è importante perché, come sede privilegiata di recettori sensori, attua il contatto con l’esterno; nelle braccia è insita la possibilità di raggiungere, toccare, stringere; nelle gambe quella di spostarsi da un luogo all’altro. All’inizio il tronco è ignorato perché le funzioni che svolge appaiono al bambino meno importanti. La risultante grafica di questo concetto elementare di uomo è una specie di cefalopode comune ai fanciulli di tutto il mondo. Sul foglio il cefalopode può presentarsi verticale, orizzontale o a mezz’aria”4. La somministrazione consiste nel mettere a disposizione una matita ed un foglio bianco e nella consegna: Disegna un uomo, fallo meglio che puoi. Il sistema di misurazione del test prevede: - attribuzione di un punto per ogni elemento della lista di Goodenough (di seguito riportata)

presente nel disegno; - moltiplicazione di tale punteggio per tre ed aggiunta di 36 punti (corrispondenti ai primi tre anni

di vita), tale punteggio è assunto come Età Mentale espressa in mesi; - individuazione dell’Età Cronologica reale del soggetto, espressa in mesi; - calcolo del Quoziente Intellettivo come rapporto tra Età mentale ed Età Cronologica per cento.

EM diviso EC , X 100 = Q.I.

Dato un bambino di 7 anni e 8 mesi il cui disegno della figura umana riscontra un punteggio

grezzo di n. 17 punti, attribuendo 3 mesi ciascuno (51 mesi) ed aggiungendo 36 mesi (i primi tre

1 Il test Draw a man di F. I. Goodenough, in “Measurement of Intelligence by Drawings”, riportato in S. G. Sapir,.A. N. Nitzburg (a cura), La diagnosi differenziale, New York 1973, Armando, Roma 1994, pp. 65 ss 2 Test culturalmente neutri, equi, non localizzati, comuni a tutte le culture. 3 A. Oliverio Ferraris, Il significato del disegno infantile, Boringhieri, Torino 1973, p. 35. 4 Idem.

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anni di vita), si ottiene l’Età mentale di 87, che va divisa per l’Età cronologica reale espressa in mesi (92), si ha:

EM 87 diviso EC 92 , X 100 = Q.I. 94,56 Il test è stato validato mediante la somministrazione ad un elevato numero di bambini/ragazzi e ricorrendo alla correlazione con le prove d’intelligenza di Stanford-Binet, correlazione che tuttavia tende ad abbassarsi dopo i 12 anni. Successivamente il test ha subito variazioni criteriali a carico della consegna del compito e dell’interpretazione dei punteggi alle risposte, come anche sostanziali modifiche del contenuto. Si deve ad Harris1, nel 1963, una revisione che dilata il compito a tre disegni su tre fogli distinti, nel senso di: - disegna un uomo.... - disegna una donna... - disegna una persona che conosci molto bene, così che deve essere necessariamente un disegno

ben fatto. La revisione Goodenough-Harris prevede una valutazione in 144 item suddivisi in due scale (disegno di uomo e di donna) e considera aspetti connessi alla elaborazione/concettualizzazione che il soggetto esercita sul disegno. Spinge l’indagine al concetto di immagine corporea posseduto dal soggetto, l’interpretazione di K.Machover2 mirata ai tratti strutturali e posturali disegnati da cui ricava un test di personalità (Draw a Person Test - DAP). Negli anni ’60 P.Vayer3, allo scopo di incrementare l’identificazione del bambino che disegna con la propria immagine corporea, piega il test DAP verso il “disegno di sé”.

Per la sua natura esclusivamente grafica ed idonea a soggetti in età infantile o pre-adolescenziale, il test dell’omino esibisce una forte variabilità qualitativa connessa alla plasticità dell’età in questione per un verso4, ed una trasparenza delle condizioni mentali del soggetto autore, che va ben oltre la sola intelligenza5. Del resto, scrive A.Oliverio Ferraris che “la nostra esperienza di questo test ci ha convinti che la prova è soggetta a forti variazioni dovute a fattori quali la motivazione, l’abilità grafica, l’esercizio, l’interesse del momento”6. In ragione di ciò, il test ammette anche una lettura di tipo diacronico ed una di tipo neuro-psichico. La lettura diacronica

Ad integrazione dell’uso prettamente psicometrico che ne fa l’autrice, il test può essere impiegato in ambito di pedagogia clinica somministrandolo mensilmente allo stesso individuo e con la stessa consegna (Disegna un uomo, fallo meglio che puoi). Si adotta pertanto il riferimento al singolo soggetto (modo individuale, idiografico) e perseguito nel tempo, allo scopo di rilevare le tendenze evolutive o involutive del disegno della figura umana e dei suoi correlati significati , dunque secondo una prospettiva diacronica o storica (modo diacronico, narrativo)7.

1 Cfr. A. Lis, Tecniche proiettive per l’indagine di personalità, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 40 ss. 2 Idem. 3 P.Vayer,Lo sviluppo psicomotorio nell’età prescolastica,Armando,Roma 1978. 4 Nostre ricerche condotte in un campione di scuole dell’infanzia delle Marche ci segnalano le seguenti tendenze: da 3 a 3,12 anni punteggio medio al disegno 9 da 4 a 4,12 anni 13 da 5 a 5,12 anni 15 da 6 a 6,6 anni 17 5 Applicazioni del test in presenza della sindrome autistica in P.Crispiani,Lavorare con l’autismo,cit.,pp. 175 ss. 6 Oliverio Ferrarsi A., Il significato del disegno infantile, cit., p. 37. 7 Si rimanda ai principi ed agli strumenti della diagnostica pedagogica, nell’ambito della pedagogia clinica, in P.Crispiani,Pedagogia clinica,Junior,Bergamo 2001.

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Ripetendo infatti il test nel tempo e con ritmi regolari, ad esempio una volta al mese, si visualizza l’andamento dello sviluppo mentale, relativamente a questo test e per lo stesso individuo, si può pertanto apprezzare l’eventuale sviluppo mentale. Ma la stessa rilevazione si ottiene, eludendo il computo degli elementi grafici presenti, osservando globalmente in progressione i disegni dell’omino nel corso dei mesi. Con questa procedura, il soggetto disabile non è rapportato agli altri, ovvero a valori medi, ma a se stesso, al proprio processo evolutivo, giusto il monito di J. M. Itard che, in relazione al selvaggio dell’Aveyron, afferma “Questo fanciullo non può essere confrontato che con se stesso”1. In tal senso, il test veicola un valore non psicometrico ma idiografico, connesso ai cambiamenti evolutivi o involutivi che l’autore dei disegni manifesta sul piano grafo-motorio e su quello mentale in generale. La lettura neuro-psichica

Il disegno della figura umana comporta l’espressione di proiezioni mentali nel loro complesso, individuabili al di là della componente strettamente logica che l’opzioni iniziale del mental test faceva propria. Quindi oltre all’intelligenza, il disegna tradisce condotte mentali inerenti gli stati dell’io e lo sviluppo complessivo della personalità, rimandando tuttavia alla valutazione di specialisti in materia.

Connessioni del disegno della figura umana con disturbi o patologie del sistema neurologico sono stati individuati sia a livello grafo-motorio che di organizzazione percettiva nel foglio e delle figure, si possono pertanto osservare: - irregolarità grafo-motoria; - tensione muscolare e del tratto grafico; - generale stato ansioso.

Dando seguito all’utilizzo del test in funzione di test della personalità, operato da K. Machover, autori in ambito psicologico e psichiatrico evocano la corrispondenza dei caratteri del disegno di sé con l’immagine psicologica di sé, una sorta di specchio proiettivo che riflette anche le pulsioni, gli aneliti e gli stati emozionali in genere, nonché l’identificazione di genere.

Di notevole interesse è l’impiego del Test dell’Omino in funzione proiettiva operato da autorevoli psichiatri dell’infanzia come riferito da A. A. Silver2 con particolare riferimento a soggetti affetti da psicosi o da schizofrenia.

La comparazione dei disegni in soggetti affetti da schizofrenia e delle relative analisi (Silver, Balvet, von Angyal, ecc.) o da stati di disagio adattivo o esistenziale o disturbi dell’Io, e la nostra esperienza, consentono di ricavare una serie di tendenze sintetizzabili in: 1. disegno estremamente precoce o regressivo; 2. disegno estremamente bizzarro, presenza di elementi bizzarri; 3. irregolarità globale; 4. disegni ripetuti; 5. presenza di corpi introiettati3; 6. presenza di corpi non separati; 7. presenza di strutture periferiche nel foglio; 8. presenza di strutture molto piccole; 9. concentrazione sugli occhi e sulla bocca di figure umane; 10. tratti grafici che tendono al circolare e al movimento vorticoso; 11. presenza di strutture “dentate”;

1 Cfr. P.Crispiani, Itard e la pedagogia clinica, cit. 2 Cfr. A. A. Silver,”Valore diagnostico di tre test di disegno per bambini”,in S. G. Sapir, A. N. Nitzburg (a cura), La diagnosi differenziale, cit., pp. 55 ss. 3 Corpi disegnati dentro altri corpi, es. il bambino dentro la pancia della mamma, un pesce dentro un altro pesce.

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12. corpi slegati, non unitari, legato da un “filo”; 13. assenza di arti; 14. irregolari dimensioni delle parti; 15. ecc.

Le chiavi di lettura Di seguito si riportano tabelle per la misurazione del test: 1. Tabella generale di Goodenough. 2. Tabella adattata per bambini da 3 a 6 anni. 3. Tabella adattata per bambini da 6 a 14 anni. CHIAVE DI MISURAZIONE DEL

TEST DELLA FIGURA UMANA di F. I. Goodenough

CLASSE A Fase preliminare, in cui nel disegno non si può riconoscere la figura umana.

1. Scarabocchi incontrollati, senza scopo. 2. Linee alquanto controllate, che si avvicinano a rozze figure geometriche.

CLASSE B

Nel disegno si può riconoscere la figura umana. 1. Testa presente. 2. Gambe presenti. 3. Braccia presenti. 4. Tronco presente. 5. Lunghezza del tronco maggiore della larghezza. 6. Spalle indicate. 7. Sia le braccia che le gambe attaccate al tronco. 8. Gambe attaccate al tronco; braccia attaccate al tronco al punto giusto. 9. Collo presente 10. Linea del collo continua con quella della testa, del tronco, o di entrambi. 11. Occhi presenti. 12. Naso presente. 13. Bocca presente. 14. Naso e bocca presentati in due dimensioni, si mostrano due labbra. 15. Narici indicate. 16. Sono mostrati i capelli. 17. Capelli presenti anche oltre la circonferenza della testa e non trasparenti. 18. Vestiti presenti. 19. Due capi di vestiario non trasparenti. 20. Intero disegno esente da trasparenze. 21. Quattro o più capi di vestiario indicati in modo preciso. 22. Vestito completo, senza incongruenze. 23. Dita presenti. 24. Numero esatto delle dita. 25. Dita presenti a due dimensioni (ciascuno due tratti grafici) , lunghezza maggiore della

larghezza. 26. Opposizione del pollice. 27. Mani distinte dalle dita e dalle braccia.

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28. Presenza delle articolazioni delle braccia: gomito, spalla o entrambi. 29. Presenza delle articolazioni della gamba: ginocchio, anca o entrambi. 30. Testa proporzionata (non oltre la metà del tronco). 31. Braccia proporzionate (almeno fino alla cintola). 32. Gambe proporzionate (più lunghe del tronco). 33. Piedi proporzionati. 34. Braccia e gambe a due dimensioni (due tratti grafici ciascuno). 35. Presenza del calcagno. 36. Coordinazione motoria: linee sicure, scarse sovrapposizioni nelle giunture. 37. Coordinazione motoria: linee correttamente congiunte. 38. Coordinazione motoria: lineamento della testa più che un semplice cerchio. 39. Coordinazione motoria: corretto lineamento del tronco. 40. Coordinazione motoria: corretto lineamento di braccia e gambe. 41. Coordinazione motoria: corretta simmetria. 42. Orecchie presenti. 43. Orecchie presenti nella giusta posizione e dimensione. 44. Occhi: presenza di ciglia e sopracciglia. 45. Occhi: presenza della pupilla. 46. Occhi: proporzione. 47. Occhi: sguardo diretto di fronte nei profili. 48. Presenza di mento e fronte. 49. Proiezione del mento. 50. Profilo con non più di un errore. 51. Profilo corretto.

CHIAVE DI MISURAZIONE DEL

TEST DELLA FIGURA UMANA di F. I. Goodenough

ADATTAMENTO PER BAMBINI DA 3 A 6 ANNI

CLASSE A Fase preliminare, in cui nel disegno non si può riconoscere la figura umana.

1. Scarabocchi incontrollati, senza scopo. 2. Linee alquanto controllate, che si avvicinano a rozze figure geometriche.

CLASSE B

Nel disegno si può riconoscere la figura umana. 1. Testa presente. 2. Gambe presenti. 3. Braccia presenti. 4. Tronco presente. 5. Lunghezza del tronco maggiore della larghezza. 6. Spalle indicate. 7. Sia le braccia che le gambe attaccate al tronco. 8. Gambe attaccate al tronco; braccia attaccate al tronco al punto giusto. 9. Collo presente 10. Linea del collo continua con quella della testa, del tronco, o di entrambi. 11. Occhi presenti. 12. Naso presente.

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13. Bocca presente. 14. Naso e bocca presentati in due dimensioni, si mostrano due labbra. 15. Narici indicate. 16. Sono mostrati i capelli. 17. Capelli presenti anche oltre la circonferenza della testa e non trasparenti. 18. Vestiti presenti. 19. Intero disegno esente da trasparenze. 20. Vestito completo, senza incongruenze. 21. Dita presenti. 22. Numero esatto delle dita. 23. Dita presenti a due dimensioni (ciascuno due tratti grafici) , lunghezza maggiore della

larghezza. 24. Opposizione del pollice. 25. Mani distinte dalle dita e dalle braccia. 26. Presenza delle articolazioni delle braccia: gomito, spalla o entrambi. 27. Presenza delle articolazioni della gamba: ginocchio, anca o entrambi. 28. Testa proporzionata (non oltre la metà del tronco). 29. Braccia proporzionate (almeno fino alla cintola). 30. Gambe proporzionate (più lunghe del tronco). 31. Piedi proporzionati. 32. Braccia e gambe a due dimensioni (due tratti grafici ciascuno). 33. Presenza del calcagno. 34. Coordinazione motoria: linee sicure, scarse sovrapposizioni nelle giunture. 35. Orecchie presenti. 36. Orecchie presenti nella giusta posizione e dimensione. 37. Occhi: presenza di ciglia e sopracciglia. 38. Occhi: presenza della pupilla. 39. Presenza di mento e fronte.

CHIAVE DI MISURAZIONE DEL

TEST DELLA FIGURA UMANA di F. I. Goodenough

ADATTAMENTO PER BAMBINI DA 6 A 14 ANNI

CLASSE A Fase preliminare, in cui nel disegno non si può riconoscere la figura umana.

1. Scarabocchi incontrollati, senza scopo. 2. Linee alquanto controllate, che si avvicinano a rozze figure geometriche.

CLASSE B

Nel disegno si può riconoscere la figura umana. 1. Testa presente. 2. Gambe presenti.

3. Braccia presenti. 4. Tronco presente. 5. Lunghezza del tronco maggiore della larghezza. 6. Spalle indicate. 7. Sia le braccia che le gambe attaccate al tronco.

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8. Gambe attaccate al tronco; braccia attaccate al tronco al punto giusto. 9. Collo presente 10. Linea del collo continua con quella della testa, del tronco, o di entrambi. 11. Occhi presenti. 12. Naso presente. 13. Bocca presente. 14. Naso e bocca presentati in due dimensioni, si mostrano due labbra. 15. Narici indicate. 16. Sono mostrati i capelli. 17. Capelli presenti anche oltre la circonferenza della testa e non trasparenti. 18. Vestiti presenti. 19. Due capi di vestiario non trasparenti. 20. Intero disegno esente da trasparenze. 21. Quattro o più capi di vestiario indicati in modo preciso. 22. Vestito completo, senza incongruenze. 23. Dita presenti. 24. Numero esatto delle dita. 25. Dita presenti a due dimensioni (ciascuno due tratti grafici) , lunghezza maggiore della

larghezza. 26. Opposizione del pollice. 27. Mani distinte dalle dita e dalle braccia. 28. Presenza delle articolazioni delle braccia: gomito, spalla o entrambi. 29. Presenza delle articolazioni della gamba: ginocchio, anca o entrambi. 30. Testa proporzionata (non oltre la metà del tronco). 31. Braccia proporzionate (almeno fino alla cintola). 32. Gambe proporzionate (più lunghe del tronco). 33. Piedi proporzionati. 34. Braccia e gambe a due dimensioni (due tratti grafici ciascuno). 35. Presenza del calcagno. 36. Coordinazione motoria: linee sicure, scarse sovrapposizioni nelle giunture. 37. Coordinazione motoria: linee correttamente congiunte. 38. Coordinazione motoria: lineamento della testa più che un semplice cerchio. 39. Coordinazione motoria: corretto lineamento del tronco. 40. Coordinazione motoria: corretto lineamento di braccia e gambe. 41. Orecchie presenti. 42. Orecchie presenti nella giusta posizione e dimensione. 43. Occhi: presenza di ciglia e sopracciglia. 44. Occhi: presenza della pupilla. 45. Presenza di mento e fronte. 46. Profilo corretto.

Una sintesi teorica dell’intelligenza Natura della funzione intellettiva

Probabilmente l’intelligenza costituisce la funzione umana più complessa, il che dà ragione della pluralità delle concezioni e della continua dinamicità delle ricerche in proposito e della letteratura di riferimento.

Così come la cognitività, quella intellettiva è una competenza trasversale a tutto il comportamento umano e regolatrice della sua qualità, recando il contributo orientativo di una serie di vettori tra i quali appare fondamentale la logica. Pur variamente interpretata, l’intelligenza consente di attivare il pensiero secondo connessioni e convenienze, regolarità e consuetudini, che la

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razionalità umana ha selezionato nei millenni ed ha tramandato tra le generazioni per mezzo dell’educazione.

Dunque l’intelligenza è azione mentale che si iscrive entro le dinamiche della logica classica, o logica pura, ma in continuo adattamento con i contesti naturali e socio-culturali nei quali si esercita. Essa è pertanto una capacità della mente che, dalla piattaforma neuro-biologica si costruisce e si dinamizza in relazione agli ambienti, realizzando l’idea prima filosofica, poi strutturalista e matematica1, quindi logicista e piagetiana, del pensiero umano costruttore di strutture logiche che appartengono, in egual misura, alla mente ed alla realtà.

L’intelligenza è pertanto prevalentemente riconoscibile nelle strutture logiche che sa riconoscere nella realtà ed in quelle che costruisce per intervenire sulla realtà, ovvero sui parziali e sottili confini che dividono le due dimensioni del pensiero, secondo il principio strutturalista della omologia formale tra le strutture del penero e quelle della natura.

Funzione trasversale comunque legata alla logica, generale ma sensibile a contesti, l’intelligenza è ad un tempo espressione e costruttrice della realtà che, nella civiltà odierna è largamente egemonizzata dalla cultura e dai codici comunicativi.

Così concepita, l’intelligenza pertiene alla logica ed alle infinite connessioni che essa pone nei confronti dei contesti culturali, giustificandone l’attributo di complessa, nel senso di irriducibile, dotata di infinite variabili, soggettuale, plurale, non semplificabile in misure o forme standard. ecc. D’altra parte, in quanto funzione bio-psichica a forte aderenza culturale, l’intelligenza si declina in forme e caratteristiche sulle quale paiono decisive le influenze di una quantità di fattori, tra i quali le occasioni e le opportunità, le condizioni emozionali ed affettive, le competenze comunicative e sociali, gli esempi familiari e nella comunità, le mode, le pressioni culturali, i condizionamenti e le suggestioni, ecc. Si manifestano così una pluralità di forme di esercizio dell’intelligenza, ovvero del pensiero, nel tempo indicate dai ricercatori come inclinazioni, attitudini, intelligenze (formae mentis), stili intellettivi, ecc. Funzioni dell’intelligenza

Pur alla luce della parziale definibilità dell’intelligenza e della naturale sua commistione con ogni espressione del comportamento umano, risulta comunque di notevole utilità sia diagnostica che educativa o riabilitativa, l’indagine sulle prestazioni, o competenze, che l’intelligenza può porre in atto, ovvero di cui si fa regolatore principale, e sono le Funzioni dell’intelligenza: 1. Apprendimento. 2. Associazione. 3. Conoscenza. 4. Induzione-Deduzione. 5. Analisi-sintesi. 6. Inclusione-esclusione. 7. Generalizzazione: spostamento, ritrovamento di concetti in altri contesti. 8. Astrazione. 9. Intuizione. 10. Partizione. 11. Creatività. 12. Metacognizione. 13. Predizione. 14. Invenzione. 15. Risoluzione di problemi.

1 Matematici logicisti come gli esponenti della Scuola di Bourbaki teorizzavano l’analogia tra strutture mentali e strutture del reale interpretata dai concetti matematici, appunto spontanei ed espremibili con un linguaggio naturale.

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16. Regolazione: orientamento e controllo del comportamento generale e specifico. 17. Correlazione causale. 18. Contraddizione-non contraddizione. 19. Correlazione parte-tutto. 20. Pensiero casuale. 21. Pensiero probabilistico.

I Requisiti Come ogni altra funzione umana, ai fini della migliore qualità del proprio esistere, anche

quella intellettiva necessità della sufficiente efficienza di una pluralità di altre funzioni che ne consentano il miglior esercizio. Si tratta di condizioni requisiziali, utili ma non indispensabili, identificabili o come strutture organiche o come funzionalità dei vari organi coinvolti o come sufficienti condizioni ambientali a- Sono requisiti organici le strutture o apparati biologici connessi al cervello (corteccia, encefalo, cellule neuronali, mediatori neuronali, ecc.), in particolare: - i minimali neurologici centrali (sistema reticolare corticale e sub-corticale); - i conduttori bio-chimici nel cervello; - i conduttori elettrici nel cervello.

b- Sono requisiti funzionali l’esercizio fluido e corretto delle capacità, o funzioni, di ogni organo o apparato, quindi:

- lo stato di coscienza o vigilanza; - l’attenzione; - l’affettività, interesse, motivazione; - il controllo emozionale; - le competenze comunicative minime; - la simbolizzazione; - i processi cognitivi;

c- Sono requisiti ambientali i contesti fisici, sociali e culturali che consentono l’esercizio e lo sviluppo dell’intelligenza e delle sue funzioni, quindi: - il contesto soggettivo, umano; - il contesto culturale, ideologico, etico; - il contesto comunicativo, i codici, le comunicazioni

L’analisi delle condizioni requisiziali torna di fondamentale importanza sia scientifica che professionale, costituendo un indispensabile riferimento per conoscere l’intelligenza e gli stati di deficit o di disturbo, per esercitare la diagnosi di intelligenza in individui, e per progettare e condurre azioni educative in suo favore.

Il ritardo Orizzonti della patologia Quella del ritardo mentale è la questione attorno alla quale si è costruita gran parte della tradizione della pedagogia speciale, mentre di più marcata pertinenza medica sono rimaste patologie di ordine psichico e neuro-psichiatrico. Idiozia, oligofrenia, imbecillità, deficienza, debolezza/insufficienza mentale, ecc. sono stati i nuclei concettuali che, nel tempo ed in contesti scientifici ben differenziati, hanno polarizzato l’attenzione degli specialisti e degli educatori che vi si sono dedicati.

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A fronte di una posizione totalmente arrendevole, votata a pregiudiziali classificazioni ed alla tesi della irrecuperabilità dei soggetti interessati da ritardo mentale, emblematicamente riconducibile alla condanna alla ineducabilità, per effetto di idiozia congenita, sancita da P. Pinel ai danni del selvaggio dell’Aveyron1, l’azione di ricercatori, sia pedagogisti che medico-pedagogisti, ha determinato una lunga rincorsa alla migliore conoscenza del fenomeno e dei possibili trattamenti educativi, che si pone all’origine di una vistosa inversione di tendenza. Dopo la lunga stagione egemonizzata dalla concezione della “ineducabilità” dunque, ovvero di limitazione entro la sfera della addestrabilità come ricorda E.Caracciolo2, l’affermazione sia in sede clinica ed educativa che della letteratura specialistica dell’idea della educabilità di tali soggetti, disegna una inequivocabile curva della educabilità, espressione del più ampio fenomeno dell’ottimismo pedagogico proprio del ‘900. Ben oltre la pretesa ottocentesca di natura congenita di tale deficit, è largamente acquisita la consapevolezza dei potenziali guadagni educativi accessibili sia come acquisizione di nuove conoscenze, sia come loro elaborazione o contestualizzazione. Fa il paio con tale ottimismo, la consapevolezza della straordinaria produttività terapica ed educativa dell’intervento precoce e tecnologicamente fondato. Una costante modificazione ha pertanto interessato la concezione della prognosi del ritardo mentale, d’altra parte una quantità di ricerche ed esperienze-pilota nel trattamento di disabili, fonda la sua spinta intellettuale proprio sulla convinzione che il ritardo mentale non sia, in molti casi, una condizione irreversibile, specie quando si deve a cause che non attengono a patologie, lesioni o disfunzioni delle strutture organiche del SNC. Del resto, la nozione di ritardo mentale, confermata dalle proposizioni e dagli sviluppi concettuali del DSM-IV-TR, contiene significativi paradigmi nel senso della natura poliedrica e complessa del fenomeno, della rarità della sua eziologia di tipo genetico o costituzionale, nonché la tendenza ad assumerla come condotta, più che come stato funzionale definito. A questo proposito sostiene anzi S.Soresi3 che, per effetto dell’incrementata fiducia sugli esiti della riabilitazione e dell’integrazione, anche in presenza di grande difficoltà, molti ricercatori tendono “ad evitare di parlare di cronicità e irreversibilità, ritenendo che gli interventi educativi e riabilitativi siano in ogni caso opportuni, se non altro per ostacolare il precoce deterioramento della situazione di ritardo e di handicap, e tutto ciò ricercando e rinforzando un effettivo coinvolgimento parentale”. Espressione del nuovo clima scientifico e dell’esperienza clinica maturati in questo ambito, è anche la consapevolezza che il ritardo mentale sfugge a visioni rigide e statistiche, per confrontarsi con una pluralità di approcci, dai quali derivano diversi modi di condurre sia la diagnosi che il trattamento, e che M. Cesa-Bianchi4 individua in: a- impostazione nomotetica, statistica, riferita alle tendenze generali, connessa alla misurazione dell’intelligenza ed al suo collocamento entro classi di livello preventivamente definite, per cui il ritardo mentale consta di una anomalia statistica; a. impostazione personalistica, centrata sulla individualità ed integralità di ciascun caso, quindi sul

rifiuto di classificazioni e tipologie; b. impostazione relazionale o sistemica, centrata sulle implicanze, sulle convergenze e sinergie

relazionali e comunicative che la patologia comporta. Per effetto della rinnovata piattaforma teorica, hanno preso corpo molteplici approcci riabilitativi tendenti a prevenire, ridurre o eliminare gli effetti del deficit intellettivo, onde

1 Cfr. Crispiani P., Itard e la pedagogia clinica, Tecnodid, Napoli 1998. 2 E. Caracciolo, Diagnosi funzionale e assessment nel ritardo cognitivo: due facce della medesima medaglia, in Caracciolo E., Rovetto F., Ritardo mentale, cit., pp. 16,17. 3 Soresi S., Sperimentazione di un programma di parent training con genitori di adolescenti handicappati ,in Caracciolo E., Rovetto F. (a cura), Ritardo mentale, cit. p. 300. 4.Cesa-Bianchi M., cit. p. 67.

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E.Caracciolo ritiene che “in questi ultimi decenni la prognosi del ritardo mentale si è andata progressivamente modificando”.1 Sostiene la nuova considerazione di questa patologia e disabilità, l’identificazione dei suoi propri caratteri e delle strette interazioni che nutrono con l’intera personalità, quindi con la dinamica, singolare ed irripetibile vicenda evolutiva di ciascun caso. Un’opinione alquanto convenuta, connette la funzionalità mentale all’interezza della persona e, nelle linee del modello evolutivo interazionale considera “il ritardo mentale in termini di ritardo delle interazioni significative fra l’individuo e l’ambiente”.2 L’attenzione del diagnostico e dell’educatore, sottolinea M. Cesa-Bianchi, è da convergere su tutti gli elementi presenti, in gradi e con modalità molto variabili, da individuo ad individuo, e tali da far si che il ritardo mentale si configuri con intenti e con caratteri visibilmente differenziati.3 Su questo versante infatti si sono realizzati significativi progressi scientifici, allorché si sono congiunte acquisizioni teoriche oggi largamente accreditate: • isolamento del ritardo mentale come deficit specifico, isolato o connesso a patologie o

minorazioni o forti disagi/disadattamenti; • discriminazione del ritardo mentale da disabilità strumentali altre (spaziali, temporali, grafiche,

linguistiche, psicomotorie, emotive,ecc.); • abbandono dell’approccio misurativo e statistico; • riconoscimento della singolarità dei casi, tipizzazione (approccio clinico); • apprezzamento del coinvolgimento dell’intera personalità (approccio ecologico) e rifiuto delle

mere tipologie classificatorie. Linee eziologiche E’ preventivamente da affermare l’obsolescenza della tradizionale antinomica distinzione tra origini genetiche (ereditarie, innate, endogene)4 ed ambientali, ovvero acquisite dopo il concepimento, per cause fisiche, chimiche, batteriche, traumatiche, psichiche,ecc. che intervengono nella fasi pre-peri e post-natale. Limiti teorici appartengono ad entrambe le posizioni nel senso del riconoscimento della non assolutezza delle due fonti eziologiche, consapevolezza ora rinforzata anche dalla rivelata “modificabilità” delle condizioni patologiche innate,5 come pure dagli esiti positivi o negativi di azioni terapiche o educative sulla conseguenza degli stati di ritardo. In proposito rileva inoltre M. Cesa-Bianchi la “Opportunità di considerare che programma genetico e influenza ambientale non operano separatamente e con quote percentuali identiche per gli individui, ma attraverso una interazione continuativa che può, di volta in volta, accentuare relativamente il peso genetico e quello ambientale”.6 D’altra parte il ritardo mentale si intreccia fatalmente con alcune malattie psichiche, tra cui l’autismo con il quale, anzi, condivide una serie di sintomi o condotte, inerenti il linguaggio, l’emotività, la scarsa attenzione, devianze comportamentali, disaffezioni, irritabilità,ecc.7

1 Caracciolo E., cit. p. 17. 2 Cfr Perini S., ”Tecniche e metodologie progredite di insegnamento della lettura” ,in Caracciolo E., Rovetto F. (a cura), cit. p. 201. 3 Cesa-Bianchi M., cit. p. 70. 4 Valutate dal DSM-IV nella misura del 5%, cit.p. 57. 5 A fronte della scoperta falsità delle ricerche dell’inglese Buirt, M.Cesa-Bianchi riferisce del successo del trattamento, mediante terapia alimentare, di casi di oligofrenia fenilpiruvica (anomalia genetica che impedisce la formazione di un aminoacido essenziale, con conseguente alterato sviluppo cerebrale e gravissimo deficit mentale).M.Cesa-Bianchi,cit.p.68. 6 Cfr. M.Cesa-Bianchi,cit.p. 69. 7 Sulle correlazioni tra ritardo mentale e disturbi psichiatrici cfr. G.Battagliese-P.Meazzini, “Psicopatologia dell’handicap:i primi passi”,in HD,n.51/1993,pp. 2-7.

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Di interesse è poi l'interpretazione di R. Zazzo, il quale colloca la ritardo mentale all'interno di un fenomeno di immaturità globale dello sviluppo, contraddistinta da eterocronie1,ovvero da andamento evolutivo differenziato nelle varia aree della personalità. Si dà pertanto un ventaglio poliedrico delle possibili fonti eziologiche: il deficit mentale può farsi risalire a: - infezioni ed intossicazioni (rosolia congenita, sifilide), - traumi o lesioni prenatali, perinatali o postnatali, - disordini del metabolismo e della nutrizione; - malattie organiche del cervello; - alterazioni o lesioni cerebrali (idrocefale, microcefalea,cerebrolesioni); - insufficiente flusso sanguigno nei lobi frontali o temporali o altre anomali vascolari cerebrali; - anomalie genetiche2; - aberrazioni cromosomiche (sindrome di Down per traslocazione o sindrome dell'x fragile); - mutazioni cromosomiche (sindrome di Down per trisomia 21); - disordini della gestazione (prematurità o danni pre-natali, malnutrizione, ipossia, infezioni,

traumi); - disturbi generalizzati dello sviluppo (nella misura del 75-80%);3 - disturbi mentali gravi (autismo); - forte deprivazione socio-ambientale; - grave deficit della motivazione; - grave deficit dell'attenzione; - grave deficit della memoria; - grave disturbo della simbolizzazione; - altre. L’ereditarietà in questa sindrome è indicata, dal DSM-IV, nella misura del 5%4. Ritardo mentale e sviluppo neuro-motorio Malgrado costituisca una acquisizione teorica piuttosto antica, questo paradigma non è sempre giustamente riconosciuto sia in ambito clinico che nel senso comune. Eppure le connessioni tra efficacia mentale e funzionalità del sistema neuro-motorio sono molteplici e significative fin dalla nascita tali che consentono un reciproco vantaggio diagnostico In tale azione infatti, l’indagine sulle condizioni cognitive, per la sinergia neuropsicologica che coinvolge, determina indubbiamente una prospettiva rilevante ed “un completamento indispensabile dell’esame neurologico classico, rappresentando appunto l’indagine propria delle funzioni superiori o corticali”5. L’esame cognitivo è vieppiù indispensabile in presenza di patologie nella fase neonatale o della prima infanzia, allo scopo di discriminare disturbi di tipo percettivo-motorio (sfera neurologica) da quelli essenzialmente cognitivi, ovvero di elaborazione o integrazione delle percezioni e dei movimenti (sfera cognitiva). Essenziali sono le correlazioni tra motricità e sviluppo cognitivo, per la forza predittiva che esse nascondono, pertanto le due prospettive si congiungono nello stesso atto diagnostico, com’è negli esami funzionali del neonato6.

1 R.Zazzo,I deboli mentali, SEI,Torino. 2 Ad es. errori congeniti del metabolismo, errori della trasmissione genetica. 3 Cfr. DSM-IV,cit.p. 59. 4 DSM.IV,cit.,p. 57. 5 Cfr. F.Guzzetta,I disturbi dello sviluppo cognitivo nelle affezioni neurologiche,in F.Guzzetta (a cura),Neurologia infantile,Piccin,Padova 1987,p. 575. 6 Ad es. l’esame neonatale di Brazelton, in F.Guzzetta,cit.,p. 575.

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Regressione mentale In riferimento a patologie neurologiche o psichiche, non è infrequente riscontrare stati di involuzione delle capacità intellettive, la cui natura e fonte eziologica conosce una specificità per la quale si definisce come forma regressiva. “In un’ottica neurologica – conferma F. Guzzetta1 - si definisce ritardo mentale un rallentamento e/o arresto dello sviluppo cognitivo (abitualmente) dovuto alle ridotte potenzialità dei bambini affetti da cerebropatie fisse (congenite o ad insorgenza precoce), la regressione al contrario indica una perdita di competenze cognitive già acquisite, quale si osserva nelle cerebropatie cosiddette evolutive (dismetaboliche od eredogenerative)”. “Il riscontro di un processo di regressione costituisce pertanto un elemento di diagnosi prezioso per il sospetto di una cerebropatia evolutiva. La difficoltà di tale rilievo è tanto maggiore quanto più piccolo è il bambino, sia per il limitato corredo di acquisizioni cognitive di cui va registrata la perdita, sia per le difficoltà insiste nelle stesse tecniche di valutazione. La percezione della regressione può talora essere apprezzata dagli stessi familiari, ma – soprattutto nelle prime fasi – le errate valutazioni, nel senso dell’esagerazione ma, più spesso, della minimazione dei segni, sono assai frequenti dato il coinvolgimento emotivo degli osservatori”. Costituiscono possibili condizioni di errore nella valut regressione mentale, quindi motivi di false positività: 1. regressione psicomotoria può essere espressione di “labilità delle acquisizioni stesse” o per

ritardo mentale o per patologia (anche temporanea) neuromotoria o neuromuscolare; 2. riduzione di performances cognitive a causa di farmaci o altre patologie (la stessa epilessia); 3. impressione di regressione mentale dovuta a riduzione evolutiva globale es. in cereboapatie,

Down. Ci sono poi sindromi regressive mentali non legate ad encefalopatie ma connesse a “psicosi infantili” senza base encefalopatica o da una psicosi sopravvenuta su condizione primitiva di insufficienza mentale. Definizioni e polivalenze Arduo e complesso è tentare di definire il fenomeno del ritardo mentale, sia perché costituisce materia trans-disciplinare, su cui convergono prospettive mediche, biologiche, psicologiche e pedagogiche, sia perché deve far riferimento ad una piattaforma teorica altrettanto incerta e polimorfa. E’ la stessa nozione di intelligenza che, giustamente, non conosce un unico modo di essere concepita ed interpretata, e ripropone una serie di questioni fondazionali come, ad esempio, la sua natura unitaria o settoriale, l’integrazione con le funzioni linguistiche, la sua misurabilità, la pertinenza dei tests, ecc. Pur riconoscendo che, comunque, trattando del ritardo mentale si fa riferimento ad una ridotta efficienza mentale rispetto ai valori medi, permane una pluralità di criteri per la sua definizione e categorizzazione, una cui rilevante interpretazione è quella resa dall’AAMD2 che individua sei criteri di classificazione, corrispondenti ad altrettanti punti di vista o interessi scientifico-professionali: 1- gravità del sintomo, considerazione misurativa, riferita al Quoziente Intellettivo; 2- fattore etiologico, secondo dieci classi di cause; 3- descrizione della sindrome, su base sintomatologica ed osservativa; 4- comportamento adattivo, quale condotta essenziale dell’uomo;

1 F.Guzzetta, cit.,pp. 586 ss. 2 Associazione Americana sulla Deficienza Mentale, cfr. C. Vitale, ”Ritardo mentale e prospettiva psicopedagogia”, in HD, n,53/1993, pp. 2 ss.

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5- prospettiva pedagogica, nel senso di educativa, ovvero delle aspettative di crescita delle prestazioni mentali;1

6- manifestazioni comportamentali, capacità strettamente individuali. La definizione della sindrome resta ancor più problematica nei casini minore gravità, poiché inevitabilmente rimanda alle prestazioni cognitive medie nella popolazione di appartenenza ed in relazione alle età dei soggetti presi in considerazione, quindi dalla norma riconosciuta in senso statistico. E' pertanto possibile raccogliere una serie di considerazioni teoriche parziali, ma che riflettono prospettive utili al problema educativo e terapico, inerenti la natura del RM e le sue relazioni con le disabilità. Sono infatti molteplici le relazioni eziologiche che connettono il RM con patologie e/o minorazioni da un lato e forme di disabilità, non solo intellettive, dall’altro, tali che esprimono la complessità dei rapporti di causa ed effetto, ovvero tra le condizioni personali ed i sintomi manifesti. C’è del resto una generale contraddittorietà delle rincorsa causale che alcuni tendono a ricercare in ogni deficit o disturbo, ponendosi costantemente il problema di stabilire se una situazione, ad es. la dislessia, costituisce la causa/patologia od il sintomo. Si tratta di una rincorsa infinita, dal momento che ogni evento fisiologico ha un fattore causale ed è condizione necessaria per altri eventi, così un sintomo è, ad un tempo, fonte di altri sintomi. Tale regime di complessità può essere adeguatamente rappresentato con la formula di polivalenza eziologica, ad indicare da un lato la complessità e pluralità delle possibili eziologie dei disturbi e, dall’altro, l’infinita proiezione verticale che si dovrebbe percorrere per venire a capo, in termini sempre più analitici, degli stessi disturbi, operazione del resto oggi efficacemente osservata sul piano della ricerca genetica. Si tratta comunque di considerazioni certamente significative, sia per l'orientamento che consentono in sede diagnostica, che per le opzioni di strategia educativa e terapica che contribuiscono a definire. A questo proposito, si danno almeno tre tipi di situazioni, o relazioni eziologiche, tra RM, condizioni fisiologiche generali e disabilità. I^- Ritardo mentale come espressione di altre patologie, sia organiche che funzionali, quindi che si declina in una serie di disabilità a carico di gran parte delle aree funzionali. Il RM così identificabile, riguarda la compromissione della funzione ragionativa generale (fattore G), pertanto deborda massivamente e trasversalmente nell'intero comportamento umano, si manifesta ecologicamente in tutte le condotte e nella quotidianità e, di seguito, limita nettamente le prestazioni intellettive più significative, quali le concettualizzazioni2 ed il loro mantenimento.3 In questa condizione il residuo intellettivo è variabile, nella misura della gravità della compromissione generale indotta dalla patologia che la origina, pertanto i margini di abilitazione sono modesti o scarsi o nulli. Patologia RM Disabilità.

• coinvolto il fattore G • disabilità massive, estese, trasversali, costanti, omogenee; • interessamento di concettualizzazione e mantenimento; • residuo variabile; • guadagno educativo scarso.

1 In questo senso pedagogico/educativo, l’AAMD adotta 4 classi: educabile (Q.I. da 50 a 75/80), quasi educabile (70-80/90), esercitabile (20-49), custodibile (0-20). 2 Sono le molteplici azioni o strategie con i concetti: inibizione, facilitazione, retroazione, proazione, previsione, generalizzazione, differenzazione, associazione, induzione, ramificazione, disaggregazione,ecc. 3 Trattenimento apprenditivo, ritenuta, memorizzazione, stabilizzazione, ritrovamento, generalizzazione,ecc.

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II^ - Ritardo mentale come disfunzione specifica della funzione mentale generale, o fattore G, (insufficienza mentale vera e propria), che induce disabilità disomogenee nell'area dell'intellettività o nelle prestazioni ad essa connesse, ovvero a carico di alcune aree o di singole funzioni, ad esempio della logica, del linguaggio, dei processi di astrazione, di causalità, di associazione, di ipotesi,ecc. Anche qui il residuo funzionale varia con l'entità del deficit intellettivo centrale, ed in relazione ad esso sono consentiti guadagno educativi diversi, da scarsi a notevoli. RM Disabilità intellettive

• coinvolto il fattore G; • ritardo disomogeneo • residuo variabile; • guadagno educativo variabile.

III^ - Ritardo mentale come disfunzione secondaria, effetto della presenza di una o più disabilità (soprattutto a carico del linguaggio verbale) che rendono difficoltata o impossibile una serie di condotte intellettive umane. Non si dà una costituzionale insufficienza della funzione mentale, né del suo sviluppo, quindi la disfunzione è indotta, in stato evolutivo ed instabile e disomogeneamente a carico di prestazioni variabili.1 Le manifestazioni intellettive connesse a questa condizione sono talvolta definibili come forme di pseudo-ritardo mentale, pertanto ammettono un elevato guadagno educativo.

Disabilità RM • non coinvolto il fattore G; • ritardo disomogeneo, indotto, dinamico; • pseudo-ritardo mentale; • guadagno educativo elevato.

La singolarità della condizione: a- comporta effetti perversi (negazione del deficit, accentuazione del deficit, spostamento del

deficit nella relazione con i docenti,ecc.); b- evidenzia lievi patologie. Tendenza teorica odierna, espressa sia in letteratura che in clinica, è anche quella che associa il RM ad una condotta, ovvero ad una serie di condotte (comportamenti, rendimenti, prestazioni), ed i cui indicatori sono inevitabilmente riferiti alla esecuzione di atti o di adattamenti, quindi al contesto, al compito, alle consegne, allo scopo dell'agire, quindi al senso di condotte contestuali o condotte centrate sul compito, che non evocano necessariamente uno stato deficitario costituzionale o stabile.2 Si tratta di un assetto teorico denso di significati, poiché adotta una sempre più visibile attinenza della qualità della prestazione mentale alle singole abilità funzionali (capacità, competenze, funzioni): ciò ha l'effetto di concepire una maggiore evolutività di questa tipologia di disturbi, e di dilatare i potenziali abilitativi ed educativi in suo favore. Il RM pertanto si confonde tendenzialmente con una quantità di disabilità, lievi o medie che, per molti motivi, connessi alla odierna condizione dell'infanzia in molte situazioni, sono emergenti, quali la dislessia, disgrafia, dislalia, discalculia, disfasia che, infatti, nel DSM-IV compaiono come disturbi dell'apprendimento, dotati cioè di una connotazione sia strumentale che mentale.

1 Nei disturbi dell'apprendimento o nei disturbi della comunicazione, è compromesso lo sviluppo di un'area specifica (lettura,linguaggio espressivo), ma manca una compromissione generalizzata dello sviluppo intellettivo e del funzionamento adattivo. Da DSM-IV,cit.p. 59. 2 Si tratta certamente di un'ottica parziale, ma attualmente accreditata, e fa riferimento all'idea economica ed utilitaristica dell'intelligenza, alla pluralità degli stili intellettivi, al modello del problem solving,ecc.

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Per la poliedrica configurazione, per l'andamento evolutivo, per le correlazioni con l'intero sistema della personalità, la nozione di RM è oggi accreditata in sostituzione di quella angusta, e per certi versi contraddittoria, di insufficienza mentale, la quale rimanda piuttosto ad una condizione genetica o costituzionale che è meno frequente o, comunque, molto meno interessante, in sede sia terapica che educativa. Il ritardo mentale nel DSM-IV1 "Un ritardo mentale non dovrebbe essere diagnosticato ad un soggetto con QI inferiore a 70 se non vi sono deficit significativi o compromissione del funzionamento adattivo". l'affermazione è autorevole, a fa seguito all'indicazione che si è di fronte allo stato conclamato di RM quando si associano almeno i seguenti elementi, ovvero sono consentiti tre criteri diagnostici2. A- Funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media, quindi un Q.I.

massimo di 70/71 o, per l'età infantile, un giudizio clinico significativamente al di sotto della media.

B- Significative limitazioni del funzionamento adattivo, di almeno due aree di prestazioni (comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, funzionamento scolastico, lavorativo, nel tempo libero, relativamente alla salute ed alla sicurezza.

C- Esordio prima dei 18 anni. La misurazione delle prestazioni mentali è affidata ad una serie di tests standardizzati e validati, che formulano un indice centesimale, il Quoziente Intellettivo3. La distribuzione dei punteggi, secondo il valore della Deviazione Standard4, dà luogo ad una scala pentenaria ordinata con un intervallo di due DS. Pur in consapevolezza dei limiti del sistema psicometrico dei mental test, come la non perfetta omogeneità tra i diversi test e relativi punteggi, o la presenza di molteplici fattori che limitano le prestazioni mentali (ad es. la lingua, le condizioni culturali, l'istruzione, la motivazione, le caratteristiche di personalità, le prospettive sociali/professionali, i disturbi mentali,,ecc.), il loro impiego è alla base delle classificazioni di livelli o tipologie con cui si indica il RM.

GRADI DEL RITARDO MENTALE

da DSM-III (1987) Lieve da 50/55 a circa 70 Q.I. subnormalità Moderato 35/40 50/55 debilità Grave 20/25 35/50 imbecillità Gravissimo inferiore a 20/25 idiozia

da DSM-IV

Lieve da 50/55 Q.I. a circa 70 educabili

1 APA,DSM-IV,cit.pp.53 ss. 2 I medesimi tre criteri sono riconosciuti anche dal sistema di classificazione della Società Americana per il Ritardo Mentale (AAMR), seppur con scostamento numerico nella valutazione del Q.I. Cfr. DSM-IV, cit. p. 60. 3 Tests accreditati a tale misurazione sono: il Wechler per bambini (edizione aggiornata), lo Stanford-Binet, la Batteria di valutazione Kaufman per bambini, ecc. 4 Deviazione standard (Sigma, scarto quadratico medio) – Nella elaborazione statistica indica il grado di dispersione di valori rispetto alla media, quindi l’omogeneità o disomogeneità nella distribuzione dei calori/punti. Si calcola come radice quadrata della media degli scarti sul valore medio elevati al quadrato. La DS consente di costruire scale ordinali (scale di livello) sulla base dello scarto di una o più DS in alto o in basso rispetto alla media e di distribuirvi i valori o punteggi registrati di un fenomeno. Cfr. Crispiani P., Hermes 2014. Glossario scientifico professionale, cit.

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Moderato 35/40 50/55 addestrabili Grave 20/25 35/40 adattabili Gravissimo inferiore a 20/25 assistibili Gravità Non Specificata (non testabile).1

Da DSM IV 1- Ritardo mentale lieve. Si caratterizza per un punteggio al test d’intelligenza significativamente

inferiore alla norma (QI 50-70) ed interessa l’85% dei soggetti con RM. Il soggetto, così caratterizzato manifesta una compromissione minima nelle aree senso-motorie, ed è comunque in grado di rispondere efficacemente alle richieste sociali provenienti dai sui ambienti di vita, e conducono una vita autonoma.

2- Ritardo mentale moderato Si qualifica per un punteggio al test di intelligenza che si col- loca tra i 35 e 55 punti ed è stimato nella misura del 10% dei ritardati mentali. Struttura una sufficiente capacità comunicativa ma ha difficoltà a comprendere le situazioni e le regole. Può migliorare se inserito in adeguati processi educativi e trae vantaggi dall’addestramento.

3- Ritardo mentale grave. Il punteggio di QI si colloca tra 20 e 35 e manifesta un livello minimo della comunicazione. E’ in grado di apprendere solo nozioni di estrema semplicità e trae scarsi guadagni dalla scolarizzazione, si adatta alla vita di comunità.

4- Ritardo mentale gravissimo. Manifesta compromissione neurologica e senso-motoria, denota miglioramenti se trattato in ambiente specialistico e monitorato ed a seguito di addestramento.

5- Ritardo di gravità non specificata. Si determina nei casi di soggetti non testabili perché troppo piccoli o troppo compromessi in patologie.

Manifestazioni e disturbi associati Il RM non si associa in modo esclusivo a caratteristiche della personalità, e può accompagnarsi sia a tranquillità generale che a stili comportamentali aggressivi e dirompenti. Lo stato di comorbilità con altri disturbi mentali può risalire alla stessa etiologia (lesioni, traumi, patologie), in questi casi il RM complica lo stato della patologia e la relativa diagnosi. I disturbi mentali più frequentemente associati al RM sono i seguenti: deficit di attenzione/iperattività, disturbi dell'umore, disturbi generalizzati dello sviluppo, disturbo da movimenti stereotipati, demenza. Le fonti etiologiche del RM sono individuate in 5 categorie: 1. ereditarietà (circa il 5%); 2. alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (circa il 30%); 3. problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale (circa il 10%); 4. condizioni mediche generali acquisite durante l'infanzia o la fanciullezza (circa il 5%); 5. influenze ambientali e altri disturbi mentali (circa il 15-20%). Il RM è più frequente nei maschi, con un rapporto maschi-femmine di 1,5:1. Diagnosi differenziale. "I criteri diagnostici per il Ritardo Mentale non comprendono un criterio di esclusione: quindi, si dovrebbe fare diagnosi ogni volta che i criteri vengono soddisfatti, a prescindere dalla presenza di un altro disturbo e in aggiunta ad esso" (p.59).

1 Cfr. DSM-IV, cit. p. 53 ss.

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Restano tuttavia sindromi nei confronti delle quali discriminare diagnosticamente, le seguenti: disturbi dell'apprendimento, disturbi della comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo, demenza,ecc. E' segnalato il fenomeno del Funzionamento Intellettivo Limite1 riferito a Q.I. collocati tra i valori di 71 e 75, allorché associati agli altri deficit indicati tra i criteri del RM: per il fatto che l'attribuzione del livello di gravità, a seguito della misurazione testistica, ammette uno scarto compatibile di 5 punti.2 Quantità e qualità nel ritardo mentale A corredo delle diverse posizioni teoriche rispetto alla misurabilità dell’intelligenza, insiste la discussa questione della possibilità di quantificare e misurare il ritardo mentale

Sottolinea in proposito L.Tesio che “Il ricorso a misure di età mentale è quanto meno improprio, poiché lo sviluppo mentale di queste persone è tipicamente diacronico: alcune proprietà e caratteristiche ritardano più di altre”3. Nella logica più qualitativa dell’apprezzamento dell’intelligenza, trovano pertinenza strumenti diagnostici a bassa vocazione misurativa, come le scale, o scale di livello, assunte con riferimento a cinque gradi gerarchizzati, ciascuno espresso da un indicatore e da un relativo descrittore.

La scala del Ritardo Mentale di Grossman

H. J. Grossman4 negli anni ’70 fa propria una differenzazione quantitativa e qualitativa in quattro livelli, indicati in relazione alla distanza del punteggio del Q.I. riportato, rispetto al valore medio di 100, a partire da almeno due DS5 sotto la media. Si afferma perciò un ritardo mentale:

1. lieve da 70 a 52 Buona autonomia e comunicazione, abilità svariate 2. moderato da 51 a 35 Sufficiente autonomia e linguaggio, attività lavorative

routinarie. 3. grave da 34 a 20 Limitata autonomia (nutrirsi, lavarsi, vestirsi), scarso

linguaggio, attività lavorativa non autonoma. 2. profondo sotto il 20.

La Scala del ritardo Mentale di Caracciolo-Trombetta

da E.Caracciolo, C.Trombetta et al. (adatt.)6 A - LIEVE Per il disadattamento scolastico e/o per ragioni socio-culturali, ritardi cognitivi solo in alcune discipline, non ha bisogno di insegnante di sostegno ma di maggiore motivazione e integrazione sociale. B - MODERATO Per evidente svantaggio socio-culturale, mancate occasioni di sviluppo, ritardi e carenze in tutte le discipline, non ha bisogno di insegnante di sostegno ma di attenzioni dell’insegnante finalizzate a motivarlo ai contenuti delle discipline. C - MEDIO Sia per svantaggio socio-culturale che per pregresse cause patologiche, ritardo recuperabile, non ha bisogno di insegnante di sostegno fisso ma di ripetizioni di contenuti, trae profitto dalla frequenza in classe. D - GRAVE Per specifica patologia, ha bisogno di insegnanti di sostegno, anche a casa.

1 Id. p. 60, 744. 2 Tale diversità è assunta dal sistema AAMR e da quello dell'ICD-10. Cfr. DSM-IV, cit. p. 60. 3 L.Tesio,”Riabilitazione e assistenza nel ritardo mentale dell’adulto: dalla misura della persona alla classificazione del case-mix”,in Abilitazione e riabilitazione,n.1/2002,p. 126. 4 H.J.Grossman, cit. 5 La DS (Deviazione Standard o scarto quadratico medio) è considerato di 16 punti. 6 E.Caracciolo-C.Trombetta-F.Felici-R.Truzoli,Analisi della concordanza diagnostica fra due classificazioni del ritardo mentale attraverso la “ridit analysis”,in Studi di psicologia dell’educazione, n, 1-2-3/1994, p. 81.

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E - SEVERO Per varie patologie fisiche e/o mentali, sviluppo intellettivo ai limiti inferiori, ha bisogno di insegnante di sostegno e di trattamento specialistico. La diagnosi funzionale Appare qui, in tutta la sua irrinunciabilità, l’esigenza di una diagnosi funzionale, che penetri la complessità delle componenti della personalità, poiché il soggetto con ritardo mentale, segnala F.Rovetto, “non presenta unicamente deficit nelle capacità di apprendimento e di comportamento (….). Anche nel soggetto meno evoluto esiste una complessa realtà psicologica caratterizzata da emozioni, rapporti interpersonali, pulsioni sessuali, da aspettative e convinzioni sue proprie”1, quindi una complessa attività psicologica, cognitiva e relazionale. “E’ pertanto necessario conoscere a fondo la personalità del ritardato mentale, la sua dinamica affettiva, le sue motivazioni e le sue scelte, le sue frustrazioni e le sue speranza, il suo presente e il suo passato, così da poterlo considerare e trattare per quello che realmente è e potrà diventare e non in riferimento ad una assurda schematizzazione tipologica”.2 Ugualmente gli estensori del DSM-IV sottolineano che “Per fare diagnosi di ritardo mentale è sempre richiesta una valutazione individualizzata”3, fortemente protratta sui tratti singolari di ciascuna persona, colti nella loro interezza, che adottiamo come ecologia di I° livello. C’è poi da considerare che la presenza del ritardo mentale, come del resto di molte altre minorazioni, trapassa inevitabilmente nell’ambiente umano che gli è prossimo, e coinvolge le persone e la loro comunicazione con il ritardato e tra di esse. Assume allora rilievo l’insieme delle interazioni umane, ambientali ed oggettuali, con le quali il soggetto condivide la propria esistenza, e che rendono vieppiù complessa la situazione del singolo caso. Si tratta dunque di una contestualizzazione di ampia dimensione, che travalica le dimensioni della personalità, per distendersi sui contesti di vita, pertanto una ecologia estesa, o di II° livello. Sono quindi da tener presenti “tutti gli elementi statistici, personalistici, familiari e sociali che il caso rivela, così da poterne correttamente precisare il tipo di ritardo, la gravità, le prospettive prognostiche che consente”.4 Il ritardo mentale comporta, ovvero manifesta, una pluralità di possibili sintomi: - apprendimento ai primi livelli (per S-R, concatenazione,associazione, discriminazione

multipla, ecc.; - deficit di memoria; - difficoltoso utilizzo del potenziale mnestico; - disturbo di altre funzioni o strumentalità; - tendenza alla ripetizione; - lentezza generale; - tendenza all'inerzia mentale; - scarsa capacità di predire, progettare, pianificare, inventare, ecc. - ritardo linguistico; - scarso o assente pensiero formale; - scarsa autostima, fiducia di sé, sicurezza; - ecc. In relazione alla gravità poi, si configura il possibile decorso della condizione di ritardo mentale, il quale “non dura necessariamente tutta la vita. Soggetti che erano affetti da un Ritardo Mentale nei primi anni di vita, manifestato con incapacità nei compiti di apprendimento scolastico,

1 F. Rovetto,”Verso un approccio multimodale al trattamento del ritardo mentale”,in E.caracciolo-F.Rovetto (a cura),Ritardo mentale,cit.p. 57. 2 Cfr. M.Cesa-Bianchi, cit. p. 70. 3 DSM-IV,cit.,p. 58. 4 Cfr. M. Cesa-Bianchi, cit. p. 71.

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con un training e opportunità adeguati sviluppano buone capacità adattive in altri ambiti, e possono non presentare più il livello di compromissione richiesto per la diagnosi di Ritardo Mentale”1. Pseudo-ritardo mentale E’ un comportamento, ovvero un complesso di comportamenti, che esprimono una precaria o scarsa abilità cognitiva da non ascrivere a motivi eziologici di tipo intellettivo. Si tratta piuttosto di effetti secondari di problematiche condizioni personali, oppure ambientali. Lo stato più frequente è quello riduzioni qualitative delle prestazioni intellettive, sia nel senso dell’efficienza che della fluidità, come derivazione da stati critici che disturbano funzionalmente le condotte mentali, come nel caso della disorganizzazione neurologica, dei disturbi di apprendimento, della sindrome autistica, di minorazioni sensoriali, di disagio psicodinamica, ecc. Il ritardo mentale percepito in questi casi, è lieve o medio, e si manifesta principalmente all’incrocio con gli impegni scolastici, come scarso rendimento o difficoltosa capacità espressiva degli allievi. Si è pertanto di fronte a disfunzioni dell’attività cognitiva, per effetto di un ampio ventaglio di fonti: - disagi emotivi – ansia, scarsa autostima, tendenza alla fuga, paura,ecc.; - disagi affettivi – demotivazione, disinteresse, discontinuità; - disturbi percettivi; - disorganizzazione neurologica; - disturbi strumentali inerenti le coordinazioni, il lavoro sinistra-destra, la dominanza laterale, le

strutture spaziali e temporali; - disturbi del linguaggio; - forte deprivazione culturale ed ambientale; - disturbi cognitivi (autismo….).

Una manifestazione di qualche frequenza dello pseudo-ritardo mentale consiste in forme di inconsapevole contrazione e censura delle proprie capacità intellettive in presenza di talune condizioni di forte demotivazione o di disagio connesse principalmente alla percezione delle aspettative degli altri nei propri confronti.

Ritenendo di avvertire nel contesto una scarsa stima, o basse attese su proprio comportamento, l’individuo può dar luogo a forme di conferma di quelle ridotte attese, a prestazioni qualitativamente ridotte, dando luogo al fenomeno variamente definito come effetto pigmalione, effetto di predizione, profezia autoavverantesi.

Tale reazione comportamentale, che compromette sia la qualità delle prestazioni che lo stato emotivo-affettivo delle persone nei vari ambienti di vita, si riscontra anche nel fenomeno del burn out. Il trattamento Prime scelte Un’esperienza oramai lunga di lavoro educativo con soggetti in stato di ritardo mentale conferma con particolare insistenza la tesi della educabilità che aveva mosso le prime avventure in questa direzione, ad opera di J.M. Itard e di E. Séguin. Anche in presenza di stati di patologia severa, la situazione educativa pone comunque le condizioni per una attività cognitiva diffusa, e per la relativa possibilità di operare forme di acquisizione e rielaborazione di nozioni, concetti e conoscenze, che sollecitano in vario modo l’attività intellettiva individuale.

D’altra parte, l’azione educativa non limita la propria prospettiva alle sole prestazioni intellettive, per comprendere invece l’attivazione di tutte le funzioni umane le quali, a vario titolo, contribuiscono all’esercizio dell’intelligenza: motricità, percezioni, emotività, affettività,

1 DSM-IV,cit.,p. 59.

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linguaggio, socialità, operatività e processi cognitivi generali (coordinamenti,organizzazione, sinestesie).

In considerazione di ciò, occorre dar luogo a progetti educativi ad ampio spettro, inclusivi di molteplici funzioni umane e sufficientemente pervasivi del comportamento umano.

Vale, nel caso del ritardo mentale sia come disturbo specifico che come stato associato ad altre sindromi,una prima scelta di campo inerente le modalità dell’intervento, nel triplice senso di:

a. quale trattamento (educativo, psicologico, psicoterapico, farmacologico, dietetico); b. quale approccio (sul deficit, sui requisiti, ecologico); c. quali strategie (comportamentiste, cognitiviste, umanistiche, plurali, di iterazione dello

stimolo, ecc.). Il piano del trattamento Sulla scorta di un’adeguata diagnosi funzionale, che conferisca ai genitori ed agli educatori le necessarie conoscenze cliniche, l’intervento educativo si costruisce ed esercita professionalmente nelle seguenti azioni: 1. Preliminari opzioni di approccio e di strategia. 2. Progettazione dell’intervento educativo diretto. 3. Progettazione dell’intervento educativo indiretto (sul contesto: famiglia,ambienti,sussidi,

protesi, ecc.). 4. Azioni abilitative (didattiche, di addestramento, di monitoraggio, ecc.). 5. Controllo continuo. 6. Azioni di mantenimento e generalizzazione degli apprendimenti. 7. Azioni di metacognizione. 8. Azioni di comunicazione/negoziazione delle conoscenze. Strategie Le modalità d’azione, sostenute da consapevolezze teoriche e da pregresse esperienze, possono far ricorso a soluzioni che in presenza del deficit intellettivo risultano di maggiore efficienza:

1. iterazione dello stimolo; 2. variazione multimediale dello stimolo; 3. disaggregazione dello stimolo in parti, fasi, sequenze; 4. lavoro sulle emergenze, zone prossimali; 5. iterazione del compito/prestazione; 6. ricerca della fluidità esecutiva nel compito/prestazione; 7. ricorso alla etero-regolazione, monitoraggio, guida; 8. sollecitazione dell’autoregolazione ed autoistruzione verbale; 9. costante verbalizzazioni dell’esperienza; 10. modalità strategiche comportamentiste ; 11. modalità strategiche cognitiviste; 12. strategie umanistiche; 13. adozione del “contratto formativo”; 14. sollecitazione di momenti di metacognizione; 15. modalità in cooperazione cognitiva; 16. modalità evocative della gestione mentale.

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