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c Culture sabato 25 luglio 2009 il P aese nuovo ncontro il prof. Mario Marti nella sua casa di Lecce alle diciot- to e trenta del 18 giugno scorso, previo accordo telefonico. Mi ac- compagna un amico, desideroso di conversare con lui. Il professo- re ci accoglie con la moglie Fran- ca e ci fa accomodare nel salotto; ci spiega che fino a qualche tem- po prima quel salotto era pieno zeppo di libri, come del resto tutta la casa – ed io penso alla casa del Carducci, a Bologna –, e che ora gli scaffali sono vuoti perché ha donato i libri, circa settemila e cinquecento, ma il trasferimento è ancora in corso, al convento dei Cistercensi di Martano (le lettere ricevute, in numero di quattromi- la, invece, sono custodite nella Biblioteca comunale di Mesa- gne). Cominciamo a parlare, e si va avanti per più di un’ora, senza pause, senza silenzi, con la natu- ralezza dell’autentica e ormai di- susata conversazione. Rievochia- mo i fatti della giovinezza, gli stu- di, le amicizie, la carriera accade- mica, i suoi libri. A novantacinque anni si hanno cose da raccontare, se si è vissuta una vita operosa. Alla fine, dico che avrei dovuto portare con me il registratore, per- ché nulla di quei discorsi andasse perduto. “Ma non sarebbe stata la stessa cosa”, dice la Signora Fran- ca, servendoci un ottimo tè fred- do, ed ha ragione. Allora, io tiro fuori una busta con le domande che avevo pensato a casa e la con- segno al professore. Il professore la apre, legge, sorride talvolta, e dice: “Dammi tempo e avrai le ri- sposte. Ma poi, che ne fai?”. Ricevo le risposte il 9 luglio scorso, scritte a macchina, con correzioni autografe, e una lettera di accompagnamento datata 4 lu- glio 2009, in cui il professore mi scrive: “…appena ricevi, fammi un fischio”. Gli telefono, dunque, per avvisarlo; e lui ancora: “Che ne fai di queste risposte?”. “Le pubblico”, gli ho detto. E così è stato. *** Prof. Mario Marti, Lei ha compiuto da poco (il 19 maggio scorso) 95 anni e, dunque, ha avuto il privilegio di attraver- sare tutto il ovecento lettera- rio italiano e oltre. Può dirmi quali autori (scrittori, poeti, critici) hanno lasciato un segno nella storia letteraria del ove- cento, e dai quali, a suo avviso, non si può prescindere? Chi abbia una qualche fami- gliarità con i miei scritti, in parti- colare con quelli, diciamo, “teori- ci”, o abbia anche avuto modo di ascoltarmi in pubbliche discus- sioni, sa bene che io sono forte- mente restio a formulare possibili canoni del contemporaneo per evitare grossi rischi di dire delle grosse sciocchezze. Ricordo la stroncatura che dei Promessi Sposi pubblicò nientemeno il Tommaseo, quando apparve il ro- manzo; e il clamoroso giudizio di Attilio Momigliano sul romanzo “Ilia e Alberto” di Angelo Gatti (oggi dimenticato da tutti) come “esperienza eccezionale” e da considerarsi “fra le maggiori creazioni della nostra narrativa”. Il giudizio sul contemporaneo, proprio in quanto tale, manca del- la prospettiva cronologica neces- saria ad ogni giudizio comunque “storico”, e, di solito, obbedisce al gusto personale, alla ideologia di moda, ai legami di interesse e anche di amicizia, di affetto, di simpatia (o viceversa). Comun- que, secondo me, il Novecento, in Italia, è stato un secolo di spe- rimentazioni e di saggistica, più che di creatività individuale. Si confronti, nello specifico, l’Italia con le altre nazioni della cultura “occidentale”, e si rifletta sul fat- to che la presenza dell’Italia, in quella cultura, è dovuta alle figu- re di Giovanni Gentile e, soprat- tutto, di Benedetto Croce, che fu – lo si sa bene – anche un grande storico. E’ possibile tracciare una li- nea di sviluppo della letteratu- ra salentina del ovecento? E anche qui, da quali autori non è possibile prescindere; e per- ché? Intanto bisogna bene intender- si sull’esatto significato di “lette- ratura salentina”. Se lo si usa in senso “categoriale”, il discorso è già chiuso, perché, a mio giudi- zio, non esiste una letteratura “ca- tegorialmente” salentina, come non ne esiste una della Ciociaria o del Cilento, e così via. E’ l’an- tropologia che magari va diffe- renziata; non la letteratura, visto che la buona letteratura regionale integra e arricchisce, dialettica- mente, la nazionale; dico quella buona, quando cioè riesce a pro- iettare il privato e il locale nel collettivo e nell’universale (mo- delli supremi, per esempio, Verga e Di Giacomo). Quali autori? Diomio, per il Salento è ormai davvero pacifico: Comi e Bodini per la poesia in lingua; Gatti e De Donno per quella in dialetto; e aggiungerei, per la tenacia e l’ori- ginalità della sua sperimentazio- ne Antonio Verri. Questo non significa ignorare o disconoscere la generosa esi- stenza, nel Salento, di poeti e di prosatori (anche narratori) forte- mente innamorati della creatività letteraria, e anche dotati, talora, di notevoli qualità e capacità; ma sono convinto – e mi si perdoni – che non faranno storia, anche se occasionali, e talora interessati, riflettori li pongano sul proscenio della cronaca (o li abbiano posti). Altro discorso, invece, secondo me, sarebbe da farsi circa la sag- gistica, sulla quale l’istituzione dell’Università, del Conservato- rio e dell’Accademia hanno pro- dotto eccellenti ricadute sugli studiosi “locali”, liberandoli, quasi sempre, dai lacci di un’eru- dizione troppo chiusa e fine a se stessa. Sotto l’incalzare della globa- lizzazione, negli studi letterari tiene ancora il nesso regione- nazione, di cui Lei è stato teori- co in “Dalla regione per la na- zione”? Oppure esso va rifor- mulato in altro modo? La globalizzazione non inci- derà sulla dialettica regione-na- zione, anzi ne allargherà i confi- ni. Essa non distrugge le “diffe- renze” regionali ma le ingloba in più ampia area coerentemente re- golata, secondo necessità civili e pacifiche. Si direbbe anzi, da cer- ti segnali, che essa sarà stimolo a definire meglio le varie identità antropologiche. Si vedrà. Se dovesse rievocare due epi- sodi che hanno condizionato la sua vita di studioso, quali rife- rirebbe? Non due, ma tre sono gli episo- di che hanno condizionato la mia vita di studioso. Il mio ingresso alla Normale di Pisa, vantaggio- sissimo per i confronti fra giovani studenti, e, per me, fonte di amici- zie durate per la vita (Branca, Binni, Bonora, Bigi, Folena…). Poi il mio trasferimento da Parma (prima nomina) a Roma, col con- seguente contatto con l’Universi- tà “La Sapienza” e l’inizio della mia carriera accademica; e insie- me, con la possibilità di frequen- tare biblioteche come la Vaticana, la Nazionale, l’Alessandrina e l’Angelica. E infine l’istituzione di Lettere a Lecce e la mia chia- mata sulla cattedra di Letteratura Italiana, cui sono rimasto fedele, nonostante ghiotti inviti d’altrove, fino alla pensione. Quali consigli darebbe ad un giovane che si appresta a dedi- carsi agli studi di letteratura Italiana? E a un docente della stessa disciplina? Per l’amor di Dio!; niente con- sigli a nessuno su un argomento così personale, scabroso e imba- razzante; poi, per uno già docente! Ad un giovane invece, che ancora si avvia alla carriera, gli direi sol- tanto di proseguire tenacemente e di non badare a qualche occasio- nale delusione, ma soltanto se sen- te quella delle Lettere come una vera, indefettibile “vocazione”. Altrimenti, cambi strada, se è an- cora in tempo. Ahimè, è da secoli che si dice, e si sa purtroppo, che “Litterae non dant panem!” Può dirmi quali sono i suoi progetti per il futuro? A che cosa sta lavorando? Alla mia età, a 95 anni suonati, “progetti per il futuro”? Ma vo- gliamo scherzare? Il mio ormai non è più un “lavoro”; è un piace- vole “divertimento”, nel quale si colloca, per esempio, la presente intervista. Il resto è ormai solo pla- cida e pacifica, per quanto si pos- sa, attesa, pur continuando ancora a vivere con vero piacere in ama- bile società. Ora, se me lo permette, due domande molto personali. La prima: nel film di Ingmar Ber- gman dal titolo “Il posto delle fragole”, l’anziano prof. Isaak Borg sogna il luogo della possi- bile felicità, il “posto delle frago- le” appunto, a cui ha rinunciato per seguire i suoi studi. Lei pen- sa di aver rinunciato a qualco- sa? E ancora, Le capita di so- gnare, come il prof. Borg, un “posto delle fragole”? Se sì, vuole raccontare il Suo sogno? Ahimè no; io purtroppo non ho alcun “posto delle fragole”. Quel posto credo di averlo realizzato, come meglio m’è stato possibile, nella realtà e nelle conclusioni del- la mia vita. No, francamente, nes- sun sogno di nostalgico rimpianto. La seconda: che cosa pensa del destino dell’uomo dopo la morte? Nulla, proprio nulla. Evito, per continuare a vivere senza alcuna angoscia fino a quando mi sarà concesso. Sono molto sereno, an- che perché non faccio e – credo anche – “non feci mai male ad ani- ma viva” (Puccini, “Tosca”, “Vissi d’arte”). Grazie, professore. Intervista prof. Mario Marti Gianluca Virgilio La del vocazione letterato Il giudizio sul contemporaneo, proprio in quanto tale, manca della prospettiva cronologica necessaria ad ogni giudizio comunque “storico”, e, di solito, obbedisce al gusto personale, alla ideologia di moda, ai legami di interesse e anche di amicizia, di affetto, di simpatia (o viceversa) Non esiste una letteratura “categorialmente” salentina, come non ne esiste una della Ciociaria o del Cilento, e così via. E’ l’antropologia che magari va differenziata; non la letteratura, visto che la buona letteratura regionale integra e arricchisce, dialetticamente, la nazionale I Gioacchino Toma (Galatina, 24 gennaio 1836 – apoli, 12 gennaio 1891), Donna che legge sdraiata, Olio su tela

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cCulture

sabato 25 luglio 2009

ilPaesenuovo

ncontro il prof. Mario Martinella sua casa di Lecce alle diciot-to e trenta del 18 giugno scorso,previo accordo telefonico. Mi ac-compagna un amico, desiderosodi conversare con lui. Il professo-re ci accoglie con la moglie Fran-ca e ci fa accomodare nel salotto;ci spiega che fino a qualche tem-po prima quel salotto era pienozeppo di libri, come del resto tuttala casa – ed io penso alla casa delCarducci, a Bologna –, e che oragli scaffali sono vuoti perché hadonato i libri, circa settemila ecinquecento, ma il trasferimento èancora in corso, al convento deiCistercensi di Martano (le letterericevute, in numero di quattromi-la, invece, sono custodite nellaBiblioteca comunale di Mesa-gne). Cominciamo a parlare, e siva avanti per più di un’ora, senzapause, senza silenzi, con la natu-ralezza dell’autentica e ormai di-susata conversazione. Rievochia-mo i fatti della giovinezza, gli stu-di, le amicizie, la carriera accade-mica, i suoi libri. A novantacinqueanni si hanno cose da raccontare,se si è vissuta una vita operosa.Alla fine, dico che avrei dovutoportare con me il registratore, per-ché nulla di quei discorsi andasseperduto. “Ma non sarebbe stata lastessa cosa”, dice la Signora Fran-ca, servendoci un ottimo tè fred-do, ed ha ragione. Allora, io tirofuori una busta con le domandeche avevo pensato a casa e la con-segno al professore. Il professorela apre, legge, sorride talvolta, edice: “Dammi tempo e avrai le ri-sposte. Ma poi, che ne fai?”.

Ricevo le risposte il 9 luglioscorso, scritte a macchina, concorrezioni autografe, e una letteradi accompagnamento datata 4 lu-glio 2009, in cui il professore miscrive: “…appena ricevi, fammiun fischio”. Gli telefono, dunque,per avvisarlo; e lui ancora: “Chene fai di queste risposte?”. “Lepubblico”, gli ho detto. E così èstato.

***

Prof. Mario Marti, Lei hacompiuto da poco (il 19 maggioscorso) 95 anni e, dunque, haavuto il privilegio di attraver-sare tutto il �ovecento lettera-rio italiano e oltre. Può dirmiquali autori (scrittori, poeti,critici) hanno lasciato un segnonella storia letteraria del �ove-cento, e dai quali, a suo avviso,non si può prescindere?

Chi abbia una qualche fami-gliarità con i miei scritti, in parti-colare con quelli, diciamo, “teori-ci”, o abbia anche avuto modo diascoltarmi in pubbliche discus-sioni, sa bene che io sono forte-mente restio a formulare possibilicanoni del contemporaneo perevitare grossi rischi di dire dellegrosse sciocchezze. Ricordo lastroncatura che dei PromessiSposi pubblicò nientemeno ilTommaseo, quando apparve il ro-manzo; e il clamoroso giudizio diAttilio Momigliano sul romanzo“Ilia e Alberto” di Angelo Gatti(oggi dimenticato da tutti) come“esperienza eccezionale” e daconsiderarsi “fra le maggioricreazioni della nostra narrativa”.Il giudizio sul contemporaneo,proprio in quanto tale, manca del-la prospettiva cronologica neces-saria ad ogni giudizio comunque“storico”, e, di solito, obbedisceal gusto personale, alla ideologiadi moda, ai legami di interesse eanche di amicizia, di affetto, disimpatia (o viceversa). Comun-que, secondo me, il Novecento,in Italia, è stato un secolo di spe-rimentazioni e di saggistica, piùche di creatività individuale. Si

confronti, nello specifico, l’Italiacon le altre nazioni della cultura“occidentale”, e si rifletta sul fat-to che la presenza dell’Italia, inquella cultura, è dovuta alle figu-re di Giovanni Gentile e, soprat-tutto, di Benedetto Croce, che fu– lo si sa bene – anche un grandestorico.

E’ possibile tracciare una li-nea di sviluppo della letteratu-ra salentina del �ovecento? Eanche qui, da quali autori non èpossibile prescindere; e per-ché?

Intanto bisogna bene intender-si sull’esatto significato di “lette-ratura salentina”. Se lo si usa insenso “categoriale”, il discorso ègià chiuso, perché, a mio giudi-zio, non esiste una letteratura “ca-tegorialmente” salentina, comenon ne esiste una della Ciociariao del Cilento, e così via. E’ l’an-tropologia che magari va diffe-renziata; non la letteratura, vistoche la buona letteratura regionaleintegra e arricchisce, dialettica-mente, la nazionale; dico quellabuona, quando cioè riesce a pro-iettare il privato e il locale nelcollettivo e nell’universale (mo-delli supremi, per esempio, Vergae Di Giacomo). Quali autori?Diomio, per il Salento è ormaidavvero pacifico: Comi e Bodiniper la poesia in lingua; Gatti e DeDonno per quella in dialetto; eaggiungerei, per la tenacia e l’ori-ginalità della sua sperimentazio-ne Antonio Verri.

Questo non significa ignorareo disconoscere la generosa esi-stenza, nel Salento, di poeti e diprosatori (anche narratori) forte-mente innamorati della creativitàletteraria, e anche dotati, talora,di notevoli qualità e capacità; masono convinto – e mi si perdoni –che non faranno storia, anche seoccasionali, e talora interessati,riflettori li pongano sul prosceniodella cronaca (o li abbiano posti).Altro discorso, invece, secondome, sarebbe da farsi circa la sag-gistica, sulla quale l’istituzionedell’Università, del Conservato-rio e dell’Accademia hanno pro-dotto eccellenti ricadute suglistudiosi “locali”, liberandoli,quasi sempre, dai lacci di un’eru-dizione troppo chiusa e fine a sestessa.

Sotto l’incalzare della globa-lizzazione, negli studi letteraritiene ancora il nesso regione-nazione, di cui Lei è stato teori-co in “Dalla regione per la na-zione”? Oppure esso va rifor-mulato in altro modo?

La globalizzazione non inci-derà sulla dialettica regione-na-zione, anzi ne allargherà i confi-ni. Essa non distrugge le “diffe-renze” regionali ma le ingloba inpiù ampia area coerentemente re-golata, secondo necessità civili epacifiche. Si direbbe anzi, da cer-ti segnali, che essa sarà stimolo adefinire meglio le varie identitàantropologiche. Si vedrà.

Se dovesse rievocare due epi-sodi che hanno condizionato lasua vita di studioso, quali rife-rirebbe?

Non due, ma tre sono gli episo-di che hanno condizionato la miavita di studioso. Il mio ingressoalla Normale di Pisa, vantaggio-sissimo per i confronti fra giovanistudenti, e, per me, fonte di amici-zie durate per la vita (Branca,Binni, Bonora, Bigi, Folena…).Poi il mio trasferimento da Parma(prima nomina) a Roma, col con-seguente contatto con l’Universi-tà “La Sapienza” e l’inizio dellamia carriera accademica; e insie-me, con la possibilità di frequen-tare biblioteche come la Vaticana,

la Nazionale, l’Alessandrina el’Angelica. E infine l’istituzionedi Lettere a Lecce e la mia chia-mata sulla cattedra di LetteraturaItaliana, cui sono rimasto fedele,nonostante ghiotti inviti d’altrove,fino alla pensione.

Quali consigli darebbe ad ungiovane che si appresta a dedi-carsi agli studi di letteraturaItaliana? E a un docente dellastessa disciplina?

Per l’amor di Dio!; niente con-sigli a nessuno su un argomentocosì personale, scabroso e imba-

razzante; poi, per uno già docente!Ad un giovane invece, che ancorasi avvia alla carriera, gli direi sol-tanto di proseguire tenacemente edi non badare a qualche occasio-nale delusione, ma soltanto se sen-te quella delle Lettere come unavera, indefettibile “vocazione”.Altrimenti, cambi strada, se è an-cora in tempo. Ahimè, è da secoliche si dice, e si sa purtroppo, che“Litterae non dant panem!”

Può dirmi quali sono i suoiprogetti per il futuro? A che cosasta lavorando?

Alla mia età, a 95 anni suonati,“progetti per il futuro”? Ma vo-gliamo scherzare? Il mio ormainon è più un “lavoro”; è un piace-vole “divertimento”, nel quale sicolloca, per esempio, la presenteintervista. Il resto è ormai solo pla-cida e pacifica, per quanto si pos-sa, attesa, pur continuando ancoraa vivere con vero piacere in ama-bile società.

Ora, se me lo permette, duedomande molto personali. Laprima: nel film di Ingmar Ber-gman dal titolo “Il posto delle

fragole”, l’anziano prof. IsaakBorg sogna il luogo della possi-bile felicità, il “posto delle frago-le” appunto, a cui ha rinunciatoper seguire i suoi studi. Lei pen-sa di aver rinunciato a qualco-sa? E ancora, Le capita di so-gnare, come il prof. Borg, un“posto delle fragole”? Se sì,vuole raccontare il Suo sogno?

Ahimè no; io purtroppo non hoalcun “posto delle fragole”. Quelposto credo di averlo realizzato,come meglio m’è stato possibile,nella realtà e nelle conclusioni del-

la mia vita. No, francamente, nes-sun sogno di nostalgico rimpianto.

La seconda: che cosa pensadel destino dell’uomo dopo lamorte?

Nulla, proprio nulla. Evito, percontinuare a vivere senza alcunaangoscia fino a quando mi saràconcesso. Sono molto sereno, an-che perché non faccio e – credoanche – “non feci mai male ad ani-ma viva” (Puccini, “Tosca”, “Vissid’arte”).

Grazie, professore.

Intervistaprof. Mario Marti

• Gianluca Virgilio

La

delvocazione

letterato

Il giudizio sul contemporaneo,proprio in quanto tale,

manca della prospettivacronologica necessaria

ad ogni giudizio comunque“storico”, e, di solito,

obbedisce al gusto personale,alla ideologia di moda,

ai legami di interessee anche di amicizia, di affetto,

di simpatia (o viceversa)

Non esiste una letteratura “categorialmente” salentina, come non ne esisteuna della Ciociaria o del Cilento, e così via. E’ l’antropologia che magariva differenziata; non la letteratura, visto che la buona letteratura regionaleintegra e arricchisce, dialetticamente, la nazionale

I

Gioacchino Toma (Galatina, 24 gennaio 1836 – �apoli, 12 gennaio 1891), Donna che legge sdraiata, Olio su tela