M90S Matteotti 90 nelle scuole

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I giovani e la lezione civile, morale e politica di un martire per la democrazia

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FONDAZIONE FONDAZIONE DI STUDI STORICI GIACOMO MATTEOTTI FILIPPO TURATI

MATTEOTTI 90 NELLE SCUOLE

I giovani e la lezione civile, morale e politica di un martire per la democrazia

Giacomo Matteotti 1924-2014

Roma – Firenze

2015

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Il volume nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Giacomo Matteotti e la Fondazione di Studi Storici Filippo Turati che hanno varato un vasto programma di eventi per le celebrazioni del 90° anniversario della morte di Giacomo Matteotti (1924-2014). Al programma, realizzato sotto la guida di un qualificato comitato scientifico internazionale, sono stati riconosciuti l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel quadro delle celebrazioni rivestono particolare rilievo le iniziative rivolte ai giovani e alle scuole: il concorso nazionale “Matteotti 90” per le scuole superiori di secondo grado promosso con il MIUR, ed il progetto “Matteotti 90 nelle Scuole. I giovani e la lezione civile, morale e politica di un martire per la democrazia”, programma formativo per le scuole superiori di Roma e provincia per l’anno scolastico 2014-15, realizzato con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo. Il volume raccoglie brevi saggi, riproduzioni di rare fotografie dell’epoca e un "percorso" attraverso la vita e l'opera di Giacomo Matteotti appositamente pensato per gli studenti. Il testo è stato realizzato nell'intento di presentare ai giovani un'offerta didattica - oltre che culturalmente valida - anche accattivante e gradevolmente fruibile. Al testo è allegato un DVD illustrativo della figura e dell’opera di Giacomo Matteotti, arricchito di materiale audiovisivo appositamente destinato ai giovani.

Il progetto

Matteotti 90 per le scuole

del quale il presente lavoro è parte è stato elaborato e realizzato da

Fondazione Giacomo Matteotti Onlus Fondazione di Studi Storici www.fondazionematteottiroma.org Filippo Turati Onlus

www.pertini.it/turati.html

Si ringrazia la Fondazione Terzo Pilastro - Italia e Mediterraneo

http://www.fondazioneroma-erzosettore.it che ha cofinanziato il programma e contribuito alla realizzazione del

Progetto Matteotti 90 per le scuole

Realizzazione grafica ed editoriale Salvatore Nasti

Include il dvd Giacomo Matteotti 1924-2014

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INDICE

LAURA BOLDRINI Commemorazione di Giacomo Matteotti a 90 anni dalla morte p. 5 ANGELO G. SABATINI Perché ricordare Matteotti p. 9 MAURIZIO DEGL’INNOCENTI Matteotti, l’uomo e il politico p. 15 Giacomo Matteotti, immagini e documenti p. 33 Il discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924 p. 97 FILIPPO TURATI Commemorazione di Giacomo Matteotti del 27 giugno 1924 p. 113

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Laura BoldriniPresidente della Camera dei deputati

Commemorazione diGiacomo Matteotti a 90

anni dalla morte

Camera dei DeputatiPalazzo Montecitorio - Sala della Regina

Roma, 10 giugno 2014

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Buon giorno a tutte e a tutti e benvenuti alla Camera dei deputati. Ilmio saluto più cordiale agli organizzatori di questo incontro, ai relatoriche tra poco prenderanno la parola e a tutti i partecipanti.Oggi ricordiamo Giacomo Matteotti a novanta anni dal suo

assassinio.E lo ricordiamo nel luogo che più di ogni altro è legato alla sua figura.Giacomo Matteotti è una delle personalità di maggiore rilievo nella

storia contemporanea italiana e in particolare nella storia del Parlamentoitaliano.E' innanzi tutto qui alla Camera che portò avanti la sua coraggiosa

battaglia contro il fascismo, consapevole della necessità di difendere lostato di diritto proprio a partire dal luogo che più di ogni altro esprimela rappresentanza popolare. Ed alla Camera operarono anche i due figlidi Matteotti, Giancarlo e Gianmatteo, due esponenti politici che hannoonorato il nostro Parlamento e che ci tengo a ricordare anche allapresenza dei familiari.L'esperienza politica di Matteotti, vissuta nel segno di una rigorosa

tensione etica, e la sua coraggiosa battaglia contro il fascismo ne hannofatto un simbolo di libertà, di resistenza alla violenza, di sacrificio per ilbene comune. Un simbolo conosciuto e ammirato dentro e fuori iconfini del nostro Paese, al di là delle appartenenze politiche eideologiche. Quante città in Italia hanno strade e piazze in suo onore!Nella mia città, Jesi, dove sono cresciuta, corso Matteotti era il luogo piùimportante, dedicato alla sua grande figura.Colto e di estrazione borghese, Matteotti si avvicinò alla politica

confrontandosi con una realtà come quella del Polesine, caratterizzatada una popolazione rurale molto povera, che viveva in condizioniumane e sociali durissime. Di qui il suo impegno per la scolarizzazione,per la valorizzazione degli enti locali, per la diffusione di cooperative,leghe e sindacati.Giunto in Parlamento non

ancora trentacinquenne, con leelezioni del 1919, Matteottiproseguì il suo impegno riformistae assunse su di sé, con coraggio edeterminazione, il compito dicombattere un fascismo nonancora consolidatosi in regime, dicui vide precocemente i pericoli.Con gli scritti e con gli interventialla Camera denunciò l'intimi-dazione e l'illegalità che caratte-rizzavano il fascismo, come pure lecompromissioni di parti delle

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vecchie classi dirigenti con unaforza politica di cui Matteotti noncessò mai di denunciare lapericolosità.Culmine di questa coraggiosa

battaglia fu il discorso del 30maggio 1924, con il quale Matteotticontestò la correttezza dei risultatidelle elezioni svoltesi nell'aprileprecedente, incalzando puntiglio-samente e con tenacia lamaggioranza fascista, nonostantele violente interruzioni. Fu il suoultimo discorso alla Camera ed unadelle pagine più alte della storiaparlamentare italiana.Pochi giorni dopo Matteotti fu assassinato e il suo omicidio segnerà

uno spartiacque nella politica italiana e nella storia del nostro Paese.Tutte le forze democratiche furono costrette a misurarsi con la ferocerealtà del fascismo e Giacomo Matteotti divenne il simbolo di quelrifiuto etico e politico della dittatura che è alla base della nostraCostituzione. Un simbolo che anche a distanza di anni conserva intattotutto il suo grande, potente valore.Il 10 giugno del 1944, pochi giorni dopo la Liberazione di Roma - di

cui abbiamo celebrato la settimana scorsa il settantesimo anniversario -Matteotti fu ricordato nel luogo del suo rapimento, il LungotevereArnaldo da Brescia, da alcuni dei più importanti leader dell'Italiademocratica e antifascista, Giuseppe di Vittorio, Pietro Nenni, OresteLizzadri.E poche settimane dopo, l'Ufficio di Presidenza della Camera decise

di dedicare un busto ai tre deputati vittime del fascismo: Matteotti,Amendola e Gramsci. Un anno dopo, il 10 giugno del 1945, si svolse quia Montecitorio una solenne commemorazione, in un'Italia ormaidefinitivamente libera dall'oppressione nazifascista.I diversi interventi potranno sicuramente illustrare con competenza e

dettagli i vari aspetti della personalità di Matteotti e del suo ruolo nellastoria italiana ed europea. A me preme soprattutto sottolineare comequesto grande esponente politico, con il suo pensiero e la sua azione,abbia saputo esprimere valori non effimeri, che possono e devonocostituire ancora oggi, a tanti anni di distanza, una bussola per tutti noiche oggi siamo in questo Parlamento.Penso, ad esempio, al disinteresse personale, all'attenzione per le

donne e gli uomini più bisognosi, allo scrupoloso culto dello Stato didiritto, all'affermazione della centralità del Parlamento come luogo incui tutte le voci devono trovare espressione, nell'osservanza delle regole

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e nel rispetto reciproco. Matteotti fece del Parlamento il centro della suaazione politica, anche quando la sua posizione era di minoranza, perchériteneva che solo attraverso il Parlamento le classi più umili potesserodiventare popolo, consapevole dei propri diritti e capace di scegliere ilproprio destino.Ricordare Matteotti non è dunque solo ricordare un pezzo della

nostra storia, ma valorizzare un certo modo di fare politica che èparticolarmente urgente riscoprire oggi, in un tempo in cui occorronocoraggio e senso delle istituzioni per affrontare i gravi problemieconomici e sociali che ci stanno davanti.Si tratta di problemi ai quali si tende spesso a fornire risposte

sbrigative e non rispettose del pluralismo per ottenere facili consensi.Simili risposte costituiscono però delle scorciatoie che creano fratture erischiano di incrinare le basi stesse della democrazia italiana, sostituendoal dibattito forme di delegittimazione e di aggressione nei confronti dichi si fa portatore di un'idea diversa dalla propria.E ancora oggi la difesa contro ogni tentativo di delegittimazione

dell'Istituzione parlamentare, costituisce un elemento imprescindibileper custodire e alimentare quegli ideali ai quali Matteotti ha dedicatotutta la sua esperienza politica.Come spesso mi è capitato di recente di rilevare, esempi come quello

che ci offre la figura di Giacomo Matteotti devono, inoltre, farcomprendere soprattutto alle nuove generazioni come libertà edemocrazia non siano conquiste di un momento e date per sempre mache invece necessitano di essere difese ed alimentate giorno per giornoperché esposte di continuo a nuove e, a volte, più sotterranee minacce.Nel ringraziare la Fondazione Matteotti per l'attività che, come altri

analoghi enti ed associazioni, svolge in questa direzione, voglioassicurare che questi obiettivi costituiscono una priorità della Cameradei deputati e sicuramente della sua Presidenza.Grazie a tutti.

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Angelo G. SabatiniProfessore di Filosofia politica, presso Unitelma Roma “Sapienza”

Presidente della Fondazione Giacomo Matteotti

Perché ricordare Giacomo Matteotti

Commemorazione di Giacomo Matteotti a 90 anni dalla morte

Camera dei DeputatiPalazzo Montecitorio - Sala della Regina

Roma, 10 giugno 2014

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Ricordare Matteotti in occasione della ricorrenza del novantesimoanno dalla morte è un dovere per chi crede alla democrazia,specialmente quando essa è sottoposta ad attacchi critici fino a metterein dubbio che possa ancora valere come ancora di salvezza di fronte allamarea montante del relativismo politico. Così come vi credono gli amiciche qui in occasione dei 90 anni dalla morte offrono qualche riflessionesul significato del sacrificio che il Martire antifascista offrì allegenerazioni successive. E’ un dovere ricordare, specialmente alle nuovegenerazioni, che 90 anni fa Giacomo Matteotti veniva barbaramenteucciso dai nemici della democrazia e del socialismo. La logica della dittatura nascente, attraverso lo squadrismo, spingeva

i nuovi barbari a compiere sull'altare della forza e della violenza il ritosacrificale di un nemico considerato un ostacolo all’affermazione pienadi un regime che allo strumento della ragione ha preferito quello dellaviolenza. Per questa via, che è estranea allo spirito della civiltà modernama che è dura a morire nella prassi istitutiva delle dittature di ognitempo, si compiva il destino di uno degli uomini più puri erappresentativi della democrazia, in generale, e del socialismoriformista, in particolare.Il suo martirio, il cui significato per la storia politica italiana va oltre

ogni ambito più strettamente ideologico, è posto al crocevia dellediverse strade da cui è stato attraversato un Paese, come l'Italia,proiettato alla realizzazione, in chiave moderna, del compito civile epolitico che il Risorgimento aveva affidato alle nuove generazioni.Un crocevia difficile, dove i problemi e le anomalie di un Paese,

fortemente caratterizzato da spinte politiche contrastanti e daconsistenti spinte anarcoidi, venivano ingigantiti ed esasperati dal climadi inconciliabile e incomprensibile diversità di cui si nutriva anche ilsocialismo italiano che si trovava a rappresentare la speranza e lostrumento di una trasformazione che si sarebbe forse potuta guidare epromuovere costruttivamente, qualora sulla differenza avesse prevalsol’affermazione dell'unità e all'immagine di un socialismo tutto occupatoa trovare nel proprio seno le motivazioni di conflitto ideologico estrategico si fosse sostituita quella di una forza politica organicamentestrutturata e armonicamente proiettata verso la realizzazione di unoStato moderno.Entro la vita di questo socialismo tormentato, matrice e sostegno

dell’impegno del socialista Matteotti, si è consumata in Italia gran partedella vitalità pratica insita in una idea cosi carica di promesse, ma anchela più estrema scommessa tra due dei suoi figli diversi: Benito Mussolinie Giacomo Matteotti. Ironia della sorte: la storia della democraziaitaliana trovava nel 1924 schierati in campo e combattenti a loro modovigorosi, l'un contro l'altro armati, due figli del socialismo.A noi spetta il dovere di intendere appieno il significato politico della

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partecipazione di Matteotti alle vicende del movimento socialista e deisuoi contributi alla vita e ai problemi del nostro paese. Perciò noidobbiamo restituire alla sua figura di combattente per la democrazia ladimensione storica che gli compete, facendo convergere il nostrosentimento di venerazione verso una puntuale ricostruzione del suopensiero e delle sue azioni politiche. Ciò servirà a diffondere lo spiritoetico della politica e il peso che lui ha avuto, in sede politica,nell’identificare lucidamente la natura reale del fascismo. Le vicende legate a questa lotta sono ormai note. Gli storici ci hanno

fornito risultati soddisfacenti anche se ancora bisognosi di ulterioriapprofondimenti. Risultati che ci consentono di superare il gustopernicioso del revisionismo per accentrare l’attenzione sul valoresimbolico di una vita dedita alla politica per depurarla di tutte le scorieche un presente tumultuoso ne inficiava il pregio gettandola nella paludedi una confusa e tendenziosa corsa verso un nazionalismo sterile econflittuale. Quel lavoro storiografico ha anche dato frutti preziosinella comprensione della figura del più autorevole martire della violenzafascista. Cosicché l'immagine eroica di un Matteotti sacrificato e

nobilitato dal martirio è andataacquistando contorni ben definiti,estendendosi il terreno della suaricchezza morale, politica eintellettuale in un'ampiezza che vaoltre il ritratto agiografico che illavoro storico dominato dallapassione politica tende a favorire. Forzati dalla tragedia della sua

morte gli estimatori, politici ocittadini qualunque, hannotrasferito la orgogliosa personalitàin un'aura di mito che ne offusca icontorni precisi, facendo, talora,dimenticare che GiacomoMatteotti era un uomo vissuto da

uomo e morto da uomo.Oggi quel ritratto è più asciutto, purificato da quella elaborazione

simbolica, il cui autentico valore sta nel contributo fornito a noi posteriper cogliere lo stato d’animo di un’opinione pubblica travoltadall’evento della morte del deputato polesano e propensa a trasferite lavita di lui nella regione del mito. Oggi la ricerca storica ha restituito a Matteotti l’identità di un

“operaio” della politica, di un attivista intransigente destinatosi allacostruzione di una società equa e giusta, governata dal diritto contro letentazioni autoritarie che ormai dominavano nei progetti e nell’opera unPaese disorientato e prostrato dopo il conflitto mondiale. Un Matteotti

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più vero ed abbiamo l’immagine di un uomo che, sospinto dall’idealeriformista, quell’ideale ha cercato di incarnarlo negli scritti e nell’azione. Alla politica indirizzò il suo interesse e la sua attività giovanissimo.

attiratovi dalla viva sensibilità umana e dal fervido entusiasmo delleprospettive di rinnovamento dell'arretrata società contadina del suoPolesine, che agli inizi del secolo era afflitta da povertà estrema, condisoccupazione, analfabetismo e malattie carenziali a livelli oggiinimmaginabili.Organizzatore instancabile, ricco di fermenti e di idee, apostolo

sempre a fianco dei poveri e degli sfruttati, traduceva in esperienzaconcreta gli ideali che il suo socialismo gli offriva.Temperamento battagliero (i suoi compagni lo chiamavano

"Tempesta"), non si arrendeva mai non solo nel dibattito politico maanche di fronte alla violenza allora alimento consistente dell’idea dallemille teste del fascismo. Particolarmente coraggioso, intuì il gravepericolo dell'ascesa fascista e non esitò a combattere il partito diMussolini a viso aperto, inParlamento e nelle piazze,affrontando dimostrazioni ostili eviolenze, la dialettica deglisquadristi, con animo indomito esenza tentennamenti.La sua morte fu il punto d’arrivo

di un percorso costruito neltemperamento umano del politicointegerrimo che sembrava con lasua azione volersi costruire undestino inevitabile, conseguenza diun sentimento morale che nellafedeltà a principi presceltisublimava l’avversa sorta. La sua uccisione fu la

conseguenza di un comportamento ispirato alla costanza con cui gestivala sua missione e al martellamento degli interventi contro il fascismodilagante. La sua azione non aveva tregua. Egli rappresentava quellacategoria di politici che dedicavano la propria vita a individuare iproblemi del Paese e a indicarne le soluzioni.L’impressione che si ricava dalla lettura e dall’analisi dei discorsi

parlamentari di Matteotti è prima di tutto quella di un deputatofagocitato dalla conoscenza e da una mole imponente di attività. Appareperciò del tutto convincente l'immagine che di Matteotti ha tracciatoOddino Morgari su «Rinascita socialista» (Parigi 1-15 Maggio 1930):“Era un analizzatore ed un documentatore: specie rara in Italia...Passava ore ed ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri,relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per

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lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre «fondatosulle cose». Credeva che il fare così fosse un debito di probitàintellettuale verso se stesso ed anche verso le masse, le quali hannodiritto di pretendere che i loro condottieri non le illudano... Era unlavoratore instancabile onnipresente... Compulsava e sforbiciava libri,giornali, pubblicazioni ufficiali per ricavare il materiale da far servire allalotta; scriveva lettere ed articoli, correggeva bozze di stampa. Diramavacircolari; accorreva nascostamente nei luoghi dove più imperversava ilfascismo; alla Camera parlava in riunioni, in commissioni e nell'aula...”.In Parlamento si impose dunque subito: forse ancor più che ai

compagni, agli avversari nel Governo. I suoi discorsi erano sempreascoltati e suscitavano contrasti e polemiche. Nelle questioni di finanza,di economia, di politica interna il suo impegno sembrava operareall'interno dello stato «borghese» liberale, perché la gestione della cosapubblica fosse ispirata da criteri di rettitudine, di efficienza, di tuteladell'interesse della collettività contro gli assalti avidi dei gruppi privati. Ma, in mezzo alle argomentazioni rigorosamente logiche e

documentate fondate sullo studio e sulla padronanza della materiatrattata, viene sempre allo scoperto l'animo del socialista, il sensoprofondo della lotta di classe, la sollecitudine, l'amore per le masse, peri contadini nel suo Polesine, il grido di ribellione contro la sopraffazionee l'ingiustizia. Il ritratto di un Matteotti più pragmatico che ideologo,

grazie proprio agli approfondimentie alle analisi degli orientamenticritici degli ultimi anni, si èarricchito di spessore e diconsistenza. Nella storia della democrazia

italiana e del socialismo riformista,nel bene e nel male, Matteotti sicolloca come un precisoriferimento: per il socialismorappresenta l'assertore costante,anche se a volte con qualcheoscurità, della linea riformista; unacollocazione che non abbandoneràmai, anche quando alcune situazioni

particolari (per esempio l'esplodere della esasperazione delle massepopolari nell'immediato conflitto mondiale) lo avrebbero spinto in taledirezione.Per la democrazia italiana ha rappresentato di fatto, per una specie di

felice paradosso, il punto critico del valore delle istituzionidemocratiche. Queste sopportavano l'attacco maggiore in coincidenzacon la morte di Matteotti; ma questo atto decisivo era anche l'emergeredi un riferimento ideale insopprimibile. Entro il peso e la scorza di una

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realtà repressiva che mortificava le istituzioni democratiche quell'eventocircolò come una tacita maledizione nel cuore del fascismo e come unaimplicita forza morale in quanti, nell'esilio e in patria, attendevano l'oradella ripresa. La morte di Matteotti diede vigore interiore a molti che laprepotenza del fascismo andava fiaccando.Si comprende, allora, la verità contenuta nelle affermazioni più volte

riportate dagli studiosi di Matteotti, che furono di Roberto Bracco: “Ilsuo martirio ha salvato l'Italia“, e di Michele Saponaro: “La morte di unuomo che restituirà la vita spirituale ad una nazione”. Al di là dellospirito misticheggiante e forse retorico di tali affermazioni c'è la veritàdella fede in un valore supremo.Ricordare Matteotti oggi serve non solo per capire la statura politica

del personaggio, ma anche per fornire incitamento a coloro che ancoracredono al riformismo come ad una formula di corretta organizzazionee di soddisfazione dei bisogni e dei diritti umani. Cosa possiamo oggi fare perché la memoria di questo grande

antifascista non venga offuscata o offesa da atti poco nobili, comequello espresso da un sindaco fascista, di volergli togliere il nome da unapiazza?Se si pensa a quale triste condizione di crisi ideale la politica oggi

versa, guardare a Matteotti può significare la ripresa di un impegno forteverso la costruzione di una società autenticamente democratica.L’entusiasmo con cui oggi lo ricordiamo è il segnale di una disposizionepalese in molti di noi a ricercare esempi nobili di uomini che agendo inParlamento per la libertà e la democrazia hanno affrontato difficoltà epersecuzioni fino al martirio. E Matteotti è il capostipite di un gruppomolto ampio di coloro che offrendo la propria vita hanno contribuito afare dell’Italia un Paese moderno e civile. Ad essi va la riconoscenza ditutti coloro che alla indifferenza per la politica e alla barbarie delladittatura preferiscono il progresso della civiltà nella libertà.

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Maurizio Degl’InnocentiProfessore ordinario di Storia contemporanea, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università degli studi di SienaPresidente della Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati”

Matteotti, l’uomo e il politico

Commemorazione di Giacomo Matteotti a 90 anni dalla morte

Camera dei DeputatiPalazzo Montecitorio - Sala della Regina

Roma, 10 giugno 2014

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L’uomo

Giacomo nacque a Fratta nel 1885. I genitori erano Gerolamo (1839-1902) e Elisabetta Garzarolo (1851-1931), di condizione modesta. Ilpadre veniva da Pejo, da una famiglia di calderai. Ebbero in esercizio unnegozio di mercerie e di ferramenta: lavoratori tenaci e risparmiatoriraggiunsero una media agiatezza investendo in terreni e fabbricati. Deigenitori Giacomo ci ha lasciato un’immagine viva: “la irrequietudine chela tien sempre in movimento, sempre in attività, dalla mattina alla sera,quasi mai un momento seduta. Non ha avuto quasi nessuna istruzione;

ma conosce praticamente più di tanti uomini. E’ all’antica, ma nessunacosa moderna la offende, e anzi aborre la femminilità indolente osentimentale. In alcune cose le assomiglio; ma in altre assomiglio a miopadre: negli occhi, nel mento, e nella durezza del carattere, che lo avevalasciato solo contro i molti, odiato e calunniato spesso, così che le miefacili vittorie di oggi mi sembrano la dovuta rivendicazione: è anche undebito che io assolvo, è una speranza nutrita fin da bambino, quando mistruggevo per non capire e per non potere”. E’ soprattutto in questaveste, di madre premurosa nei confronti del figlio impegnato, che civiene restituita dalla documentazione a noi pervenuta. In quanto alpadre si sa che Giacomo gli avrebbe dedicato quel grosso lavoro sullaCassazione al quale da tempo stava attendendo, e che mai avrebbe vistola luce.Giacomo ebbe due fratelli: Matteo (1876-1909), il maggiore, e Silvio,

che si occupava delle aziende di famiglia. Entrambi morironoprematuramente per etisia. Perduto il padre a diciassette anni, Giacomo

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subì l’influenza decisiva di Matteo. Questi, compiuti gli studi universitaria Venezia e a Torino, aveva pubblicato il volume L’assicurazione contro ladisoccupazione, per i tipi Bocca nel 1901, mentre aveva lasciatoincompiuto un lavoro su Pauperismo e la disoccupazione, e una ricercadocumentaria sui primi carbonari di Fratta. Consigliere comunale eprovinciale, sindaco di Villamarzana, presidente della Sms di Fratta,Matteo contribuì non poco a istradare il fratello più giovane versol’idealità e la militanza socialista. Al saggio sulla Recidiva Giacomopremise la seguente dedica: “Alla memoria di Matteo, fratello mio eamico, che con occhio affettuoso protesse il crescere di queste pagine, enon poté vederne il compimento”; e così chiamò il secondo nato.Resta da dire di Velia Titta, conosciuta all’Abetone nel 1912, moglie

dal 1916. Dotata di notevole cultura, fu anche autrice di un romanzoL’idolatra, che pubblicò nel 1920 presso l’editore Treves sotto lo

pseudonimo di Andrea Rota. Fu la compagna divita, punto di riferimento costante sul pianopsicologico a cui comunicare speranze,preoccupazioni e ansie; insostituibile sostegno ecompletamento affettivo, allietato dalla nascitadi tre figli, tutti chiamati con curiosivezzeggiativi; attrice sensibile di un intimodialogo di natura strettamente culturale. Lacorrispondenza con Velia a noi pervenuta cirestituisce un Matteotti passionale, amante dellavita, dell’arte, del cinema della musica,viaggiatore sempre curioso, ma costituisce ancheuna straordinaria e vivida fonte documentariasugli eventi in corso. Tra tutti, oltre ai commentivivaci sull’evoluzione della crisi dello Statoliberale e sui suoi protagonisti, mi preme qui

sottolineare la testimonianza sul clima peggio che intimidatorio,persecutorio e costantemente minaccioso non solo nei confronti dellasua persona, ma addirittura della famiglia, specialmente dopo che nelmarzo 1921 fu “bandito” dalPolesine, e gli fu impedito disvolgervi regolarmente le funzioni diamministratore pubblico e dideputato. Grazie all’agiatezza famigliare

Giacomo era stato in grado dicompiere gli studi superiori. Fatto illiceo ginnasio al “Celio” di Rovigo, siiscrisse a Giurisprudenza a Bologna,dove si laureò il 7 novembre 1907discutendo la tesi Principi generali di

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Recidiva con Alessandro Stoppato, giurista eminente di orientamentoclerico-moderato, deputato e senatore dal 1920. Rivista, fu stampata peri tipi Bocca nel 1910 con il titolo La recidiva. Saggio di revisione critica condati statistici. Vi sosteneva l’urgenza della riforma del sistema penale e

penitenziale e nel capitolo conclusivo intitolato La liberazione dalcarcere caldeggiava come “ultimo grado di evoluzione il modernoprincipio della pena a tempo indeterminato”, cioè la determinazionegiudiziaria di un massimo alto “insieme a larghissime facoltà diliberazione anticipata”, sia pure in subordine a controlli e garanzie.E’ subito da notare che la formazione giuridica di Matteotti era già di

livello europeo, ed egli continuò a perfezionarla nel corso del 1910-11con viaggi all’estero, in Inghilterra, Belgio, Olanda. Francia, Austria eGermania, non mancando altresì di continuare a frequentare lo studiobolognese di Stoppato. Questi lo esortava alla libera docenza e allacarriera universitaria, e in effetti Matteotti prese a collaborare alle riviste“Il Progresso del diritto criminale” di Emanuele Carnevale, alla “Rivistadi diritto e procedura penale” di Eugenio Florian, socialista, e alla“Rivista penale” di Luigi Lucchini, conservatore. L’impegno politicodiventò ben presto assillante, specialmente dopo che nel 1910 fu elettonel consiglio provinciale per il mandamento di Occhiobello, nonchésindaco di Villamarzana e di Boara. Ma l’attrazione degli studi penalisticirimase ugualmente viva. Nella compresenza di tali e tanti impulsiavvertiva una propria momentanea “debolezza”, che gli sembrava diostacolo al buon fine dell’impegno, qualunque esso fosse. E’ un puntoimportante, questo, per comprendere il carattere di Matteotti: latensione verso un obiettivo compiuto, che poi tale non avrebbe mai

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potuto essere del tutto, e in ciò l’impulso ad agire con tenacia e in primapersona. Negli anni 1917-19 riprese di buona lena gli studi quando, sotto le

armi, a fronte delle incombenze materiali della vita di caserma, “propriolo studio (restava) una delle maggiori consolazioni”. Nella seduta delConsiglio provinciale del 5 giugno 1916 aveva fatto un duro discorsocontro la guerra, pur aderendo al programma assistenziale annunciato,per cui fu denunciato e processato per il reato di grida e manifestazionesediziosa e condannato dal pretore di Rovigo, condanna confermata inAppello nel 1917, finché la Cassazione non ne annullò il dispositivosenza rinvio con la motivazione dell’insindacabilità dei discorsi deiconsiglieri provinciali nell’esercizio delle funzioni. Chiamato alle armi fucomunque trasferito lontano dal fronte, a Messina, come “pervicaceviolento agitatore, capace di nuocere in ogni occasione agli interessinazionali e pericoloso”. Gli scritti di quegli anni furono orientatiprevalentemente su problematiche processuali, connessi all’impegnomaggiore per il trattato sulla Cassazione. Posto in licenza nel marzo1919 e in congedo illimitato il 16 agosto 1919, con attestato di “buonacondotta e di avere servito con fedeltà ed onore”, Matteotti tornòimmediatamente all’impegno politico e dovette pertanto interrompere,e questa volta definitivamente, gli studi penalistici, nonostante lesollecitazioni di Florian e Lucchini. Proprio quest’ultimo il 10 maggio1924, forse anche nel tentativo di sottrarlo al clima pesantementepersecutorio di cui era vittima da tempo, lo esortava a riprenderel’impegno scientifico per la libera docenza. Declinando l’invito del“maestro” e rimandando gli “studi prediletti” a tempi più lontani,Matteotti rispose: “Non solo la convinzione, ma il dovere oggi micomanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli chesono secondo me i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna”.In realtà Matteotti non abbandonò affatto l’attitudine allo studio, mapiuttosto la declinò a sostegno dell’attività politica e amministrativa.Le testimonianze, suffragate anche da immagini fotografiche, ci

consegnano un Matteotti magro, quasi smilzo, sia pure agile neimovimenti; ma in quella magrezza tutte tendevano a evidenziarne lagrande energia interiore. In tale rappresentazione molto contribuivanole sue capacità razionali, di sistemazione argomentativa, di critica e disintesi, che tanto, accompagnandosi alla vis polemica, irritavanoavversari e contraddittori. Florian le attribuiva senz’altro alla “mentalitàdi giurista”. Lo straordinario rigore di Matteotti, se era immediatamentepercepibile, al punto da mettere perfino a disagio, non era facilmentedecifrabile. Dante Gallani, che gli fu compagno di partito ma in unacorrente avversa, ne assimilò la personalità ad “una strana interessantefusione di due elementi che sembrano antitetici: metodo riformistico etemperamento intransigente”. Una difficoltà interpretativa neppuresuperata da alcuni commentatori recenti.

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Giova in proposito porre attenzione sull’insistenza di Matteotti sulmotivo della “fede, (che) è più forte di ogni cosa, e rinnovacontinuamente le speranze ottimiste, che danno sempre forza allavoro“, anche a fronte del “disagio” e del “tormento” derivanti dalledifficoltà contingenti, dal rischio dell’insuccesso nell’immediato,dall’apparente modestia delle cose trattate, perfino dalla solitudine. Era“il bisogno di avere sempre un desiderio, un’aspirazione”, perché la vitaera buona, e quello solo bastava per farla bella. L’”aspirazione” si andòconcretizzando nella politica, anche perché “le speranze della scienzaerano troppo lunghe a maturarle, e così, pur tra difficoltà e frustrazioniricorrenti, la intese e la visse con straordinaria intensità. In particolare ilsocialismo, soggetto deputato alla lotta emancipatrice, sembròconcretizzare in una sintesi felice l’idealità che proiettava in un futurolontano e l’agire quotidiano del movimento per traguardi concreti egraduali.

Il politico

In un ‘età, tra 800 e ‘900, nella quale le masse facevano il loro ingressonella storia, c’era la percezione di far parte di un moto generale, diconcorrere ad una fase storica nuova, di progresso sociale e economico,a beneficio dell’intera umanità ma per impulso dell’universo lavorativo,il quale, per potersi dispiegare pienamente, presupponeva l’opera diattori provenienti dalle file della borghesia colta. Come, per l’appunto,era Matteotti. Egli infatti era fiducioso che al proletariato, in quantofiglio della industrializzazione e della modernizzazione della società,spettasse il compito primario di indirizzare tale processo nel segno dellagiustizia sociale, della libertà individuale e collettiva, della solidarietàdiffusa. Per lui il socialismo era meta ideale, ma anche militanza, prassiconcreta perché esso non costituiva un bene assoluto in un sistemachiuso e predefinito, bensì un ideale che si concretizzava e si definiva nelfarsi. Matteotti fu un riformista perché pensava e operava per il gradualee progressivo allargamento della cittadinanza politica e sociale, senzadogmatismi ma con tenacia assoluta e rigore inflessibile. Coltivavaun’idea di socialismo che si faceva fattore etico, strumento pedagogico,che poneva a premessa del cambiamento, anzi ne considerava naturaintrinseca la spinta dal basso, la partecipazione consapevole, l’azionecostante che sola avrebbe reso durature le conquiste. In altre parole, loidentificava in una grande opera di civilizzazione, che collegava lamilitanza all’educazione e alla formazione del cittadino. Da qui derivavaanche l’impegno per le istituzioni scolastiche, specialmente elementari epopolari. Alla vigilia del Congresso di Bologna del 1919, Matteottiscriveva su “La Lotta”: “Il socialismo esige non soltanto la lotta e lavittoria sopra la classe avversaria, ma anche e soprattutto la lotta e la

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vittoria sopra noi stessi, sopra i lavoratori medesimi, per toglierne isentimenti egoistici e prepararli al socialismo”. Insomma, “il più” erariuscire a “costruire il socialismo dentro di noi”. Partendo dalla normativa esistente si adoperava per studiare i

passaggi consentiti, le forzature ammissibili, ma senza mai proporsenela rottura, e le spiegava ai compagni.A suo avviso, l’emancipazione nonsi alimentava della capacitàtaumaturgica del decreto dall’alto,ma di esperienze vissute, diimpegno quotidiano, dicompetenze acquisite: si facevapatrimonio collettivo diffuso. Sulpiano delle alleanze, era contrariotanto al collaborazionismosistematico con i partiti borghesi, diindirizzo democratico o liberal-progressista, a lungo prevalenti neicentri urbani del Polesine, quantoall’intransigentismo assoluto.

Ammetteva le alleanze solo se dettate da ragioni pratiche e contingenti,ma in ogni caso era contrario ad un indirizzo astrattamentepredeterminato. Nelle polemiche con l’intransigentismo-rivoluzionariodi Costantino Lazzari e di Arturo Vella, e poi di Mussolini, che avevaassunto la direzione del Partito socialista al congresso di Reggio Emiliadel 1912, Matteotti osservò che la realtà era fatta di paradossi e dicontraddizioni e pertanto chi si proponesse di trasformarla avrebbedovuto “applicarsi ad essa in tutte le sue sinuosità, risalirla per tutti i suoimeandri”. In alternativa al “puritanesimo infecondo nell’intransigenzanegativa, intorno al sogno dell’urto miracoloso che scrolla il mondoborghese”, poneva la ricostruzione evolutiva della società, pur nellaconsapevolezza che “questo metodo penetrativo fatto di fermezza e diinteresse fondamentale e di pieghevolezze e duttilità esteriori, fatto ditransigenze formali e di intransigenza sostanziale (avrebbe richiesto) neicapi, nei sotto-capi e nelle truppe una maturità, un’accortezza, unmacchiavellismo ed una onestà, una spregiudicatezza e una moralità,un’agilità e una coscienza, che sono rarissimi a trovarsi insieme”. A suodire, ciò richiedeva “un lavoro enorme, molteplice, vario: propaganda eorganizzazione, revisione teorica e azione pratica, studio edesperimento, preparazione tecnica per le riforme legislative,preparazione per l’opera amministrativa nei Comuni; facoltà dicomprendere l’ideale e il reale, l’immediato e il lontano: da discernere illecito e l’illecito; di conoscere l’anima popolare, di non titillarlademagogicamente, ma non di prenderla di fronte ed allontanarla da sécon atteggiamenti ad essa inaccessibili; di accostarla e piegarla, e

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educarla ad essere astuta ma insieme diritta, pratica e idealistica,socialista insomma: e non dovrebbe esserci bisogno di aggiungerealtro!” (Come intendiamo il riformismo, “La Lotta”, 26 agosto 1911).Matteotti si concentrava in particolare sui livelli intermedi e sui corpi

sociali come momenti essenziali del graduale processo riformatore, chesi faceva nel mentre i lavoratori imparavano a gestire la cosa pubblica egli istituti economici e sociali improntati alla solidarietà. I nuclei di basedella nuova società erano il Comune, la scuola, la cooperativa, la lega.Nel redigere il capitolo Ordinamento finanziario del Comune per ilmanuale dedicato agli amministratori locali ammoniva che “i lavoratoridevono impadronirsi di questa materia (quella amministrativa), cosìcome essi conoscono l’uso del martello, l’uso dell’aratro o l’uso di unamacchina nelle officine. Il Bilancio, i Conti, le Imposte sono appunto glistrumenti del mestiere dell’Amministratore pubblico, che il socialismovuole sottratto ai capitalisti per darlo ai lavoratori”, e ricordava altresìche gli “obblighi” non avevano solo un valore formale, bensì anchesostanziale, perché i socialisti dovevano dimostrare che la proprietàpubblica o collettiva “può essere amministrata almeno altrettanto benee utilmente quanto quella privata” (Alla conquista del Comune. Manuale pergli amministratori degli enti locali, Milano Società edtrice Avanti!, 1920.Qualche anno dopo, nel programma del Partito socialista unitariopubblicato nel 1923, avrebbe espresso la convinzione che nel Comune isocialisti potevano “anticipare quei modi di convenienza, quella prova difamiglia umana solidamente unita in mutui scambi di forza, di opere, diservizi, che rispondeva alla nostra ideale speranza”.Accanto ai bisogni materiali, sempre impellenti, delle campagne,

riteneva che piaga diffusa e endemica, ostacolo ad ogni possibileprogresso, fosse costituita dalla sopravvivenza dell’analfabetismo. AFratta si registrava allora un indice di analfabetismo del 43% sul totaledella popolazione superiore a 6 anni. L’impegno di Matteottiamministratore si orientò costantemente a estendere la scuola primaria,poi a curare le strutture educative di sostegno, anche con contributipersonali. Tra le prestazioni alla persona, attribuite all’ente territoriale,considerava questa tra le prioritarie: vera e propria pietra di paragoneper il comune socialista, anche nell’abito della rivendicata autonomia neiconfronti del centralismo statale. L’importanza attribuita da Matteotti alla lega gli derivava

dall’esperienza maturata in Polesine, nelle cui campagne erano avventizi,boari, obbligati, piccoli proprietari e fittavoli. Soprattutto per ibraccianti, afflitti dalla ricorrente disoccupazione e da miseri salari, a cuiné i pur ingenti flussi migratori né la pratica della quotizzazione delleterre potevano avere effetto risolutivo, la lega, unità sindacale dioccupati e di disoccupati, diventava uno strumento di tutela essenziale,e nello stesso tempo l’embrione della comunità solidale che nellamentalità del rurale finiva per rappresentare un microcosmo. Il successo

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del modello leghista risiedeva nella natura di strumento di difesasalariale ma ancor più di distribuzione del lavoro attraverso l’ufficio dicollocamento e, nel dopoguerra, l’imponibile minimo di manodopera.Assai meno si prestava alle esigenze delle altre figure della campagna.Ad integrazione dell’azione sindacale, Matteotti assumeva lacooperativa, specialmente di lavoro, sulla base dell’esperienza positivamaturata in Emilia e Romagna. “La cooperazione –scriveva nel marzo1910- ha un campo sconfinato d’azione perché tende a“democratizzare” il capitale, e a liberare i lavoratori dagli intermediari.Ma il punto di fondo restava sempre lo stesso: la “sostituzione” degliistituti capitalistici sarebbe stata possibile e comunque avrebbe potutoavere successo solo in presenza “dei medesimi elementi di abilità e dicompetenza che possano sostenere nelle strenue battaglie”. Lostrumento cooperativo, così completava o, addirittura, sviluppaval’organizzazione del lavoro implicita nella lega, superando due difficoltà

destinate a ripresentarsi all’istituto della resistenza, così come allora sichiamava l’azione sindacale, e cioè il fatto che nella pratica dopo unavittoria l’organizzato si dimenticava dell’organizzazione, e il rischio cheil crescendo rivendicativo potesse ledere “il rapporto economico chedeve necessariamente esistere tra compensi al lavoro e al capitale perl’equilibrio occorrente alla produzione”. Anche se, aggiungeva subito,tale eventualità era da scartare perché i salari dei braccianti e deicontadini erano ancora troppo bassi per poter minacciare il capitalismoagricolo. Insomma, il riformismo di Matteotti si alimentava dell’esperienza del

Polesine rurale. Matteotti era il politico del territorio, esponenteautorevole e indiscusso di quella che oggi, forse con una certa enfasi, siproclama democrazia orizzontale. Egli interpretava al meglio anche lecaratteristiche del partito socialdemocratico: la natura pedagogica. Nonse ne nascondeva tuttavia i limiti di fondo: il permanere del localismo,

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la frammentazione, l’impreparazione, le intemperanze, che erano diostacolo ai processi di unificazione politica e organizzativa a livelloprovinciale, e alla traduzione delle esperienze acquisite nella formazionedi quadri responsabili e capaci, al cui conseguimento assegnaval’efficacia dei risultati parzialmente conseguiti. Era vero che ilsindacalismo rivoluzionario della Cdl del lavoro di Donada era statoriassorbito, ma altri frazionismi si ripresentavano ora nel nomedell’intransigentismo assoluto così come più tardi del massimalismo edel comunismo, ora nelle tendenze bloccarde e filomassonichespecialmente nei centri urbani, che egli intendeva di ostacoloall’emancipazione delle stesse organizzazioni economiche. I successi politici, graduali alla viglia della guerra mondiale, addirittura

travolgenti nel 1919-20 autorizzavano le più liete aspettative, e, sia pureper poco tempo, misero in ombra i limiti sopra indicati. Nelle elezionipolitiche del 1919 degli otto seggi disponibili per il collegio Rovigo-Ferrara, i socialisti ne conquistarono sei ottenendo il 73% dei voti validi,e nelle amministrative dell’anno successivo essi conquistarono tutti e 63comuni del Polesine, mentre portarono 38 consiglieri su 40 nellaProvincia. Il Polesine era diventato la provincia più rossa d’Italia!Eppure nel giro di un anno o due, a partire dal marzo 1921 e dallacostituzione del blocco nazionale per le politiche del 15 maggio diquell’anno, si verificò lo smaltellamento completo dell’edificio socialista,evidenziandone l’intrinseca fragilità nonostante le apparenze. Del resto,nel clima radicalizzato del biennio rosso (1919-1920), di cui fucomponente significativa il massimalismo prevalente all’interno delPartito sulla scia della rivoluzione russa e nel presupposto della crisiirreversibile dello Stato liberale, Matteotti si trovò condannato allaminoranza nel suo stesso Polesine, sollecitato a contenere le spinte piùestremistiche e velleitarie nella salvaguardia della integrità delleorganizzazioni economiche, ritenuta patrimonio irrinunciabile tanto invista del rinnovo del patto agrario, e, non meno, della ragione storica delriformismo socialista. Certo, al di là di tutto, nel 1921-2 il crollo delmovimento fu repentino e massiccio proprio in relazione alladistruzione sistematica e militare di tali istituti da parte dello squadrismofascista, pronto, beninteso, a fornire percorsi alternativi conl’inquadramento nelle corporazioni. Fu una decapitazione capillare eperfino feroce della dirigenza e dell’apparato socialista. La valenzaintimidatrice dell’esibizione minacciosa della forza, inquadrata e mobile,nei cui confronti le istituzioni dello Stato operanti sul territorio, dalleforze dell’ordine alla magistratura, si mostrarono remissive o addiritturaacquiescenti, fece il resto, non lasciando scampo. La tesi storiografica dichi, ancora oggi, voglia ipotizzare alternative efficaci agli appellisocialisti al rispetto della legalità, assunti sbrigativamente a presuntaacquiescenza e inattività, non ha fondamento. Ma ugualmente c’è dainterrogarsi sul senso di smarrimento, condiviso dallo stesso Matteotti,

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a fronte dell’improvviso venir meno dell’opera di civilizzazione operatain trenta anni sul territorio e del suo destino.A Montecitorio. Sulla spinta della crescita del movimento socialista

polesano Matteotti giunse a responsabilità di livello nazionale. Già alcongresso dei comuni socialisti del gennaio 1916, egli si era segnalatoautorevolmente in rappresentanza dei comuni piccoli e rurali; e da lì siera fatta fama di dirigente capace e autorevole. Le elezioni del 1919 loproiettarono in Parlamento e negli organi dirigenti del Partito, dovegradualmente si impose per competenza, capacità argomentativa,impegno. La vicinanza alle posizioni turatiane si rivelò decisiva, e nellasintonia con il “maestro di socialismo”, consolidata da rapportipersonali strettissimi, diventò nel 1923-4 un promettente leader delsocialismo europeo. Ciò nonostante Matteotti non cessò mai diguardare al suo Polesine, anche come cartina di tornasole per rifletteresugli equilibri nazionali. L’efficacia della sua denuncia della violenzafascista e dei suoi effetti duraturi e traumatici sulle istituzioni dello Statoliberale traeva forza da lì.

Alla Camera, dove entrò il 26 novembre 1919, fu protagonista diun’attività straordinaria. Di proverbiale diligenza, non mancava mai allesedute in aula o nelle commissioni. Si è calcolato che in poco meno dicinque anni tenne 106 discorsi e interventi. Fece parte della Giuntagenerale del bilancio e di quella per l’esame dei Trattati di commercio edelle tariffe doganali. Quando, nelle tornate del 24-26 luglio 1920 e 6agosto 1920, la Camera modificò il suo regolamento istituendo leCommissioni permanenti, Matteotti entrò a far parte della TerzaCommissione, quella Finanze e Tesoro, dove fu confermato anche nellaXXVI legislatura. Infine fu segretario della Commissione parlamentareper la riforma della burocrazia i cui lavori iniziarono il 28 settembre1921. Prese la parola per la prima volta il 21 dicembre 1919. Si discuteva

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della proroga dell’esercizio provvisorio 1919-20, e Matteotti illustrò unodg di condanna della politica economica del governo Nitti, colpevoledi non riparare la falla aperta nel bilancio italiano dalle spese di guerra,senza colpire gli indebiti arricchimenti. Soprattutto ne criticava lamancata imposizione di un’imposta sul capitale, cosicché riteneva che glioneri fossero fatti ricadere sulle masse lavoratrici. Analoga denuncia ditale “politica di classe della borghesia” pronunciò nel discorso del 28maggio 1920, sulle comunicazioni del secondo governo Nitti, così comesu quelle dei Governi successivi, di Giolitti e di Bonomi. Sostenendotale linea, Matteotti riteneva, come disse nella seduta del 21 luglio 1921,che i socialisti si rendevano “i veri rappresentanti della Nazione”. Uncommentatore autorevole come Achille Loria ebbe a definire larelazione di Matteotti del 10 agosto 1922 sullo stato di previsione delleentrate per l’esercizio finanziario 1922-3 documento di “sapienzalegislativa”. In materia fu quasi sempre designato a

oratore ufficiale dal Gruppo parlamentaresocialista, del cui direttivo entrò a far parte. Gliargomenti che furono oggetto dei suoiinterventi furono molteplici, e in alcunimomenti la sua presenza alla Camera assunseun ritmo addirittura incalzante. E così furonosempre puntuali e numerosi gli interventipolemici, le interruzioni date e ricevute, allequali non si sottraeva, perfezionandoquell’esperienza del contraddittorio con gliavversari nel quale eccelleva senza maiscomporsi e mantenendo piena lucidità.Preme qui sottolineare comunque almeno trecampi prioritari della sua attività, oltre al principale sul bilancio delloStato. Innanzitutto, quello di natura regolamentare a tutela delleprerogative parlamentari o addirittura delle norme statutarie. Inparticolare Matteotti non accettava che al parlamento fosse impedito ilcontrollo della circolazione monetaria e di una politica economica chetendeva a coprire con mezzi straordinari i disavanzi dei bilanci ordinari,occultando di fatto il debito pubblico il cui ammontare sui dati ufficialial 31 marzo 1920 era valutabile in circa 83 miliardi di lire, ma che egliricalcolava per 93 miliardi, a cui poi ne aggiungeva un’altra trentina conil calcolo della differenza dei cambi (seduta del 27 giugno 1920). Né sipuò tacere qui la ribellione di fronte alle tendenze autoritarie delGoverno Mussolini, specialmente dopo la legge Acerbo nella qualecoglieva la volontà di schiacciare le minoranze, fatte passare come”antinazionali”.Il secondo piano era quello del riordino della finanza locale, dove

presentò anche un ddl per un riordino organico dei tributi. In parallelo

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si adoperò per la riforma della legge elettorale amministrativa, chetuttavia rimase ferma al Senato. Il terzo era quello dell’ordine pubblico.Matteotti fu tra i primi a richiamare l’attenzione del Parlamento suldilagare delle violenze fasciste nel Polesine e in Emilia e Romagna,denunciando il filofascismo del ceto liberale e individuando la ragioned’essere del fascismo nell’aspirazione degli agrari a non permettere chei loro profitti fossero contenuti dall’azione sindacale delle leghecontadine; e di quello individuando la linea della strategia militaresquadrista nell’abbattimento dell’“organizzazione dei lavoratori”.Documentando il favore concesso in loco dalle autorità, arrivò aaccusare il Governo Giolitti di complicità, ammonendo che, cosìcontinuando, i lavoratori avrebbero perso ogni fiducia nello Statodemocratico: “Per conto nostro, proclamò, mai come in questomomento abbiamo sentito che difendiamo insieme la causa delsocialismo, la causa del nostro Paese e quella della civiltà”. Il 10 e il 17 marzo e il 27 luglio 1921 tornò a interrogare il Governo

sulle violenze nel Polesine. Il 2 dicembre 1921 pronunciò il secondogrande discorso contro il fascismo. Il Gruppo parlamentare socialistaaveva presentato una nuova mozione di censura sulla gestionedell’ordine pubblico. Nella circostanza le interruzioni furono tali che ilpresidente De Nicola fu costretto a sospendere la seduta. La parole diMatteotti suonarono gravi e solenni: continuava “la violenzainesorabilmente voluta e organizzata, (perché) continua(va) lacomplicità del Governo, e nessuno sorge(va) in questa Camera acomprendere l’immensa tragedia del popolo e dell’animo nostro, noisentiamo che questo è anche l’ultimo sforzo (…), ogni legame civilesarebbe irreparabilmente disciolto”. La successiva seduta del 12dicembre 1921 sulle mozioni socialiste a seguito del fallito tentativo del“patto di pacificazione” e sulle spedizioni punitive risultò tesissima. Lostesso avvenne il 20 maggio e il 13 giugno 1922. Ancora il 20 maggio1922, al Governo Facta, che si era formato il 15 marzo 1922, Matteottitornò a rivolgere un’interrogazione sull’occupazione militare di Rovigoda parte di 10000 fascisti, facendo presente che gli imputati diprecedenti omicidi politici erano stati assolti da giudici compiacenti oimpauriti sotto la minaccia delle squadre fasciste. Il tentativo dei socialisti riformisti di condizionare il Governo per una

più efficace politica interna che contenesse il dilagante fenomenosquadristico si andò chiaramente delineando dopo le elezioni del 15maggio 1921 che avevano portato alla Camera 35 deputati fascisti e 10nazionalisti, eletti nel listone del blocco nazionale. In occasione deldiscorso programmatico del Governo Bonomi del 18 luglio 1921,immediatamente successivo a gravi episodi di violenza verificatisi il 10 e12 luglio, Matteotti scrisse a Velia: “Noi cercheremo di non dar troppocontro il Ministero, per averlo almeno un po’ favorevole, o che almenodiventi meno ingiustamente complice dei fasci. Ormai anche gli altri

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pare che la capiscano. Treviso e Grosseto e Viterbo hanno fattotraboccare il vaso”. Infine, il 25 luglio 1921 “Il ministero ha una grandevotazione. Noi abbiamo votato contro; ma per le nostre aspettativeavremmo volentieri votato a favore o per lo meno astenuti”. AlCongresso nazionale socialista di Milano dell’ottobre 1921 faceva unintervento possibilista, volto a superare l””equivoco inerte” del Partitoper contrastare il fascismo con ogni mezzo, ma inutilmente perché ilcongresso rinnovò l’esclusione ogni collaborazione parlamentare. E taleposizione fu confermata anche successivamente.Dopo le dimissioni del 2 febbraio 1922 del governo Bonomi,

giudicato troppo tollerante verso “le banda armate” Matteotti vide inGiolitti l’ostacolo più rilevante per giungere all’attesa svoltaparlamentare. La speranza era riposta nel presidente della Camera DeNicola, che tuttavia rinunciò all’incarico il 7 febbraio 1922. Il 1 giugno

1922, di fronte ad una nuova ondata diviolenze fasciste, la maggioranza del Gruppoparlamentare si dichiarò finalmentedisponibile ad “appoggiare un governo cheassicurasse il ripristino delle libertà pubblichee della legge”; e a fronte del confermatointransigentismo del Consiglio nazionale delPartito esso rivendicò il 14 giugno pienalibertà d’azione, nominando il 16 giugno unnuovo direttorio, chiamando a farvi parteanche Turati, Treves e Matteotti, inprecedenza dimissionari. L’evidenza delladrammaticità della crisi emersa tutta nellaseduta parlamentare del 15 luglio 1922:

“Giornata grossa, tumulti- scrisse alla moglie- Finalmente pare cheanche gli altri si commuovano delle brutture d’ogni giorno. Fosse questofinalmente il segno della resurrezione. Tutta la nostra speranza è inquesti pochi giorni”. E ancora: “Temo che non riusciamo a provocarela crisi e allora tutto il lavoro di questo tempo rimarrà senza risultato.Pare che tutti abbiano piacere della sconfitta in pieno del socialismo;eppure non ne rimangono sconfitti i difetti, ma la civiltà medesima”.In effetti la crisi del Governo Facta precipitò il 19 luglio, ma non

contribuì a aprire le strade sperate: Restava solo vivissima la percezionedella gravità del passaggio: “La situazione è all’estremo della gravità edell’aspettativa. Qui è l’arco teso all’estremo. Grande è la speranza, matutto dipende dai più grandi e dai minimi fatti: Il pericolo è enorme, matutto può ancora essere salvato”. Il 22 luglio 1922 il direttorio delGruppo approvava un odg con l’auspicio di “un Governo non piùmancipio della Destra sedicente liberale e del fascismo agrario”,impegnandosi a “concorrere” al raggiungimento di tale obiettivo. LuigiSturzo ricordò: “Sopravvenne …il voto alla Camera contro il gabinetto

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Facta e fu aperta la crisi. Tornarono Turati e Matteotti da me””; “ipopolari …avevano trattato, a mezzo mio, la collaborazione con Turati,Matteotti e Treves, venuti a casa mia nel luglio di quell’anno”; “ebbi inquei giorni vari colloqui con Turati, Treves, Modigliani e Matteotti”; matali tentativi, pur promettenti, non approdarono a nulla, mentre, dicontro, dopo il fallimento dello sciopero generale legalitario dell’estateindetto dalla CGdL, la crisi interna al Partito precipitò fino alla scissione

consumata al Congresso di Roma ai primi dell’ottobre 1922. Il 4 ottobre1922, pochi giorni prima della marcia su Roma, nasceva il Partitosocialista unitario, di cui Matteotti fu eletto segretario.Come segretario del Partito socialista unitario, Matteotti diradò

l’impegno parlamentare occupandosi del Partito da una stanzina inPiazza di Spagna, dove era costretta la direzione del partito nonriuscendo a trovare domicilio altrove. Il locale era sprovvisto diriscaldamento, e Matteotti vi prese a lavorare con il soprabito sullespalle, con l’impegno di sempre. Fu del novembre 1923 l’opuscolo di100 pp. Un anno di dominazione fascista (che venne sequestrato).Matteotti si impegnò comunque a rilanciare le ragioni del socialismorivedendone la dottrina e saggiandola al confronto dell’esperienza nonsenza una severa autocritica nei confronti degli errori passati. NelleDirettive dell’aprile 1923 si rivolgeva ora non solo agli strati proletari opopolari, ma anche “ai più colti e moderni della borghesia”, sulla basedella irrinunciabilità del metodo democratico, imperniato sulle libertàpolitiche e sul sistema rappresentativo, perché migliore delle dittature edelle oligarchie, avendo il vantaggio della libera critica e quindi dellacapacità di riconoscere e correggere gli eventuali errori. Restava fedeleal principio della lotta di classe, ma nella chiara distinzione dalla guerradi classe, perché tale da svolgersi in un quadro di regole condivise e dasollecitare in ognuno l’aspirazione “ad elevarsi nella coordinata armonia

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di tutti per la comune ascensione”. Declinava la tradizionale logicaproduttivistica nel significato della lotta alla rendita e alla speculazione.Non escludendo la collaborazione, anche se saltuaria con i partitiborghesi, quando questi favorissero l’istruzione popolare, la libertà diorganizzazione e di voto, la pace internazionale, ribadiva che la“nazione, realtà geografica e vivente, entro cui tutti viviamo ecresciamo”, era la condizione prima del “domani socialista”, un“domani” concepito a beneficio di tutti, e non di una classe esclusiva. In vista delle politiche del maggio 1924, che sancirono la débacle dei

socialisti (il Psu portò alla Camera 24 deputati, il Psi 22), ebbe ben chiarele difficoltà incontrate nella campagna elettorale, e percepì che la lottapolitica era entrata in una fase nuova, per la quale larga parte dei vecchiquadri non sembrava più idonea. A suo dire i tempi richiedevano gentedi volontà, per “una resistenza senza limite” contro la dittatura fascista,essendo egli convinto che il fascismo dominante non avrebbe maideposto le armi né tanto meno restituito spontaneamente all’Italia unregime di legalità e di libertà. E allora Matteotti si rivolgeva ai “puri dicuore”, ricercando “gli atti di coraggio e di fermezza dei compagni,perché da allora in poi il Partito avrebbe dovuto attingere alle energiemorali intatte in mezzo al frantumarsi dell’inquadramento materiale. Ladimensione della lotta al fascismo si spostava sul piano dei simboli, deivalori, delle idee, del carattere. Il martirio di Matteotti ne avrebberappresentato l’apoteosi.Il 30 maggio 1924 il neo presidente della Camera Alfredo Rocco,

presente Mussolini al banco del Governo, ricevuta dalla Giunta delleelezioni la relazione di convalida in blocco di tutti gli eletti dellamaggioranza, ne mise ai voti l’accoglimento. Le opposizioni furonoprese alla sprovvista, e chiesero la sospensione, che fu rigettata. Nelladiscussione su eventuali contestazioni, Matteotti contestò in blocco lavalidità delle elezioni e, chiedendo ilrinvio di quelle inficiate dalleviolenze alla Giunta delle elezioni,per un’ora e mezzo parlò degliepisodi di violenza, fra urla einterruzioni. Denunciò l’invadenzadi “una milizia armata, composta dicittadini di un solo partito”, la qualeaveva il compito di sostenere “undeterminato Governo con la forza,anche se ad esso il consensomancasse”. La proposta di rinviodegli atti alla Giunta delle elezioni, a firma Arturo Labriola, Matteotti eEnrico Presutti, fu messa ai voti e ottenne solo 57 sì, 42 astenuti su 384presenti e votanti. Come bene scrisse Sandro Pertini nella premessa aiDiscorsi parlamentari pubblicati in tre volumi dalla Camera dei deputati

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nel 1970, a Matteotti ”appariva un’insipienza quella di far sì che fossedistrutto l’ultimo residuo di Parlamento nel momento in cui crescevanol’arbitrio e la prepotenza della piazza. Quasi presago della finedell’istituto rappresentativo, si sorprendeva che dovessero essereproprio i socialisti “le ultime, sciolte, guardie del sistema costituzionale”.

Il 10 giugno 1924 alle ore 16, 30Matteotti usciva dalla suaabitazione in Via Pisanelli 40, apochi passi dal LungotevereArnaldo da Brescia, fu aggredito eucciso a coltellate. I miseri restifurono trovati nella macchia dellaQuartarella presso RianoFlaminio. Filippo Turati locommemorò il 27 giugno 1924 a

Montecitorio, ma non nell’Aula dove i deputati dell’opposizioneavevano deciso di non tornare più.In una precedente rievocazione alla Camera Giuliano Vassalli

concludeva ricordando il “deputato esemplare per diligenza, percompetenza, per impegno, per combattività, per fede indomita nellalibertà e nella giustizia. Un deputato che ha onorato di fronte al mondol’istituzione parlamentare e l’Italia”. Per parte mia, vorrei richiamare duepunti ancora. Il primo è relativo al fatto che mentre ogni spazio diagibilità politica si andava restringendo nel paese, il socialista Matteotti,uomo delle istituzioni, concentrava ogni azione nella sede parlamentare,certamente la tribuna più autorevole, ma anche il cuore autentico dellademocrazia rappresentativa, il bene ultimo e più prezioso dellacollettività. E lì si consumerà il suosacrificio. Il secondo punto èrelativo all’ammonimento cheMatteotti non si stancava direiterare, e cioè l’assunto chel’inefficienza delle istituzioni nellatutela delle libertà comuni avrebbegenerato disaffezione elacerazione nel tessuto sociale,fino a minarne irrimediabilmentela stessa coesione. A ben vedere il10 giugno 1924 si determinò unsolco non più colmabile tra dueItalie, destinato a produrre effettinel lungo periodo. Subito dopo la morte, “La

Giustizia” scrisse che Matteotti erarimasto vittima del “suo civico

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eroismo”, della sua “virtù”, e così egli ascendeva “alla volontà operosadi redimerci per raccogliere la sua eredità, di costruire su quelle ossa ilmonumento ideale del riscatto d’Italia”. Certo, Matteotti diventòimmediatamente l’antiMussolini, simbolo dell’eroismo antifascista, concui iniziava una nuova storia d’Italia. Nell’esigenza di segnare ladiscontinuità con il regime fascista e con l’Italia monarchica, nellarimozione del passato (che pure era cosa diversa dalla critica del passato)Piero Calamandrei, massimo cantore della Resistenza, nel discorso allaCostituente il 4 marzo 1947, interrogandosi sul giudizio dei posteri inmerito all’opera dei Costituenti stessi, ammonì a tradurre il sogno dei“Caduti” “in leggi chiare, stabili e oneste”, “per una società più giusta epiù umana”, in modo da rendere la Costituzione “non “una cartamorta”, ma piuttosto “il testamento” di un popolo. Si designava così amito fondante del nuovo Stato democratico il culto dei Caduti per laLibertà, spesso oscuri ma per questo non meno significativi, dietro iquali si stagliavano i martiri dell’antifascismo: Matteotti apriva la scianella quale si annoveravano Amendola, Gobetti, Don Minzoni,Gramsci, Rosselli. In termini epici, la loro morte era rappresentata ariscatto/espiazione per tutti, per una nazione intera: mito fondativodell’Italia repubblicana. Un mito fondativo che conviene ricordaresempre, ma nella chiara distinzione quando si avverta la necessità diesaltare il valore più alto della politica e della coesione sociale nellalibertà.

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La famiglia e gli studi

Matteotti e il socialismo del suotempo

Contro la guerra e in Parlamento

La denuncia del fascismo

Alla segreteria del Partito socialista unitario

Il delitto Matteotti

La memoria

GIACOMO MATTEOTTIIMMAGINI E DOCUMENTI

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Giacomo Matteotti nacque a Fratta Polesine il 22 giugno 1885 daGerolamo (1839-1902) e Elisabetta Garzarolo (1851-1931). Lavoratoritenaci e risparmiatori raggiunsero una media agiatezza. Giacomo ebbedue fratelli: Matteo e Silvio, entrambi morti prematuramente per etisia.Giacomo compì gli studi superiori a Rovigo e frequentò poi la Facoltàdi Giurisprudenza a Bologna, dove si laureò il 7 novembre 1907discutendo la tesi in diritto e procedura penale con AlessandroStoppato, giurista eminente di orientamento clerico-moderato.

Dopo soggiorni all’estero che ne completarono la formazionegiuridica, nel 1910 Matteotti pubblicò la tesi revisionata con il titolo Larecidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici, dove poneval’urgenza della riforma del sistema penale e penitenziale, sostenendo ilprincipio della pena massima alta “insieme a larghe facoltà di liberazioneanticipata” in subordine a controlli e garanzie.

La militanza politica non gli consentì di dedicarsi agli studi di dirittopenale con la continuità che avrebbe voluto, cosicché lasciò incompiutoil lavoro sulla Cassazione a cui stava attendendo da anni. Ma non vennemai meno nell’attitudine al rigore metodico, declinandolo a sostegnodell’attività politica e amministrativa, insofferente verso la retorica e ilpregiudizio.

Nel 1912 incontrò Velia Titta, che sposò nel 1916. Velia fu lacompagna di vita, attrice sensibile di un intimo dialogo di natura

La casa della famiglia Matteotti è oggi una Casa-Museo aperta al pubblico. Vi è allestitauna esposizione permanente con la documentazione messa a disposizione dallaFondazione di studi storici Filippo Turati. La curatela scientifica è del prof. Stefano

Caretti e l'allestimento è dell'arch. Monica Mengoni.

La famiglia e gli studi

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culturale. Il matrimonio fu allietato dalla nascita di tre figli: Giancarlo,Matteo e Isabella. La corrispondenza con Velia ci restituisce unMatteotti passionale, amante della vita, dell’arte, del cinema, dellamusica, viaggiatore sempre curioso.

I fratelli Matteo (1876-1909) e Silvio (1887-1910)

I genitori Isabella Garzarolo (1851-1931) e Girolamo Matteotti (1839-1902)

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Giacomo nel periodo universitario

Alessandro Stoppato, docente alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università

degli studi di Bologna

Tesi di laurea

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Velia Titta, la moglie

I figli Isabella, Matteo e Giancarlo

Matteotti con il figlio Giancarlo

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In una lettera del 1904 Matteotti si dichiarava socialista militante “da unpò di tempo”, impegnato nella promozione di circoli, leghe e cooperativea favore del proletariato rurale del Polesine. Nel gennaio 1908 fu eletto nelconsiglio comunale di Fratta Polesine, e poi, in virtù della legge vigente,anche di Villamarzana e Boara, dove fu sindaco, e ancora Lendinara,Badia, Bellino. Dal 1910 fece parte del consiglio provinciale di Rovigo, dacui fu escluso per incompatibilità durante la guerra, ma vi tornò con leelezioni del 1920. Matteotti mantenne sempre un legame profondo con ilterritorio, traendo dalla esperienza di amministratore locale continuaispirazione.

Matteotti era convinto che al proletariato, in quanto prodotto delcapitalismo, spettasse il compito di indirizzare lo sviluppo nel segno dellalibertà individuale e collettiva e della giustizia sociale. Del socialismocoltivava un’idea etica e pedagogica, che presupponeva la spinta dal bassoe si alimentava di esperienze solidali e di competenze acquisite: si faceva,insomma, patrimonio collettivo diffuso, traducendosi in un’opera dicivilizzazione di portata storica. Fu un riformista perché pensava eoperava per il progressivo allargamento della cittadinanza politica esociale, senza dogmatismi ma con tenacia assoluta, convinto com’era cheil socialismo fosse meta ideale, ma anche prassi concreta in quantosistema di valori che si definivano nel farsi.

Matteotti affidava ai corpi sociali l’articolazione del graduale processoriformatore. Essi erano il comune, deputato all’esercizio delle libertà e alla“solidale convenienza”; la scuola, requisito per lo sviluppo produttivo e“strumento primo e validissimo dell’emancipazione dei lavoratori”; lalega, unità sindacale di difesa salariale, ma ancor più di distribuzione dellavoro, e financo embrione della comunità solidale; la cooperativa, comestrumento per “democratizzare” il capitale liberandolo dagli intermediarie conferire all’organizzazione del lavoro continuità e capacità produttiva.

Erano gli anni in cui il Partito socialista italiano, costituito al congressodi Genova nel 1892, si andava diffondendo attraverso circoli e sezioniterritoriali, si dotava di sedi stabili, dava vita ad una fitta rete di fogli localie ad un quotidiano (“Avanti!”, dal 1896), vedeva crescere i propri consensinelle elezioni politiche e amministrative. A latere si andava sviluppando unforte movimento cooperativo (la Federazione, poi Lega nazionale nascevanel 1889) e sindacale, fondato sulle camere del lavoro e sulle federazionidi mestiere, che nel 1906 dettero vita alla Confederazione generale dellavoro. Nell’immaginario collettivo del movimento socialista, in Italia e inEuropa, era l’attesa che il nuovo secolo gli appartenesse**.

* L’ascesa del mondo socialista, di Maurizio Degl’Innocenti, prof. Ordinario di Storiacontemporanea.

** Un universo associativo che si rappresenta e si propone.

Matteotti e il socialismo del suo tempo *

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L’ascesa del mondo socialista *

L’ascesa del socialismo nel corso del XIX fu un fenomeno europeo,destinato a irradiarsi al di fuori dei confini originari pur con modalitàdiverse, c talvolta anche configgenti con il nucleo identitario originario,lino a improntare la storia dell’intero secolo XX. La consistenza delfenomeno, inteso come patrimonio culturale e movimento organizzato,fu tale da sfidare la potenza degli Stati e perfino da porsi in concorrenzacon la millenaria Chiesa. Per comprenderne dimensioni e durata occorreconsiderare che esso fu figlio dell’industrializzazione e del progressotecnico, in un periodo nel quale quella si presentava come il futuro, lamodernità avanzante e per certi versi irresistibile, tale da travalicare già laculla europea, per espandersi oltre Oceano negli Stati Uniti o inGiappone. Insomma, il socialismo, prima ancora di esserne l'avversario,era il figlio del capitalismo, che reclamava libera circolazione di merci euomini, e che eleggeva a classe dirigente la borghesia, inizialmente incooptazione, come in Italia, con la proprietà terriera, se e quando questane facesse propri i valori e le procedure nella gestione del potere.Nell’espressione più matura ed evocativa il capitalismo si esprimeva nellafabbrica, o, per meglio dire, nel sistema di fabbrica e nella gestione dellegrandi infrastrutture, soprattutto ferroviarie, determinando laformazione di un nuovo ceto di lavoratori, operai sem¡qualificati masoprattutto comuni, che pur essendo minoranza svolgevano un ruolo diaggregazione fondamentale, con un’influenza crescente anche neiconfronti delle figure impegnate nelle tradizionali attività artigianali, neiservizi e perfino nelle professioni. L’affermazione di tale soggettoponeva bisogni e sfide nuovi, e con essi l’esigenza di adottare procedurepiù articolate nella gestione delle risorse. In una prima fase la classedirigente vi vide una minaccia e assunse atteggiamenti ora ostili, ora dimal sopportata tolleranza, ma ben presto comprese che la strutturazionedelle domande veicolate dal nuovo soggetto era necessaria, e quindi utileallo sviluppo ordinato della società. Subentrò quindi una seconda fasenella quale il confronto, lo scontro e il compromesso furono consideratie praticati non più come eccezioni, ma in via ordinaria, il che, a benvedere, sollevava problemi di compatibilità generale, con esili diversi.

A ben vedere, il partito e il sindacato - e specialmente quello generalee confederale - furono la risposta al nuovo tipo di conflittualità socialeemergente a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, la quale

* L’ascesa del mondo socialista, di Maurizio Degl’Innocenti, prof. Ordinario di Storiacontemporanea, in Prefettura di Bologna, “Le culture politiche in Italia dalRisorgimento alla costituzione repubblicana”, Convegno del 150° dell’Unità d’Italia,Bologna 9 giugno 2011, Bologna Bup 2011, pp. 59-71.

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reclamava modalità più complesse e aperte, più organizzate: dalla praticadello sciopero, alla disciplina dell’orario di lavoro con l’evocazione delle“tre ore” (di lavoro, di riposo e di tempo libero) implicita nellamobilitazione collettiva per la festa del 1° maggio, al controllodell’allocazione della manodopera con l’ufficio di collocamento, alla piùgenerale definizione del contenzioso fino alla pratica contrattualecollettiva e alla magistratura arbitrale. Era la stessa società di massa, cheavanzava in modo impetuoso, a farsi complessa, ad articolarsi inorganizzazioni di interessi, a reclamare lo sviluppo di istituti piùrappresentativi, a sollecitare il ruolo attivo degli enti territoriali, adaffiancare alle istituzioni pubbliche organi consultivi, a sviluppareapparati simbolici c rituali. Il Partito dei lavoratori e l’organizzazionecorporativa dei lavoratori, cioè il sindacato, ne furono tra le espressionipiù significative, e da allora nessuna società avanzata avrebbe potutofarne a meno. Parafrasando l’immagine del “decollo” per connotare lafase iniziale dell’industrializzazione, si potrebbe dire che il socialismoveicolò il decollo del moderno sistema politico fondato sui partiti dimassa, nazionali e territoriali. Il costituzionalismo, grande conquistalasciata in eredità dall’Ottocento si connotò in tal senso, e nuovi dirittivennero emergendo, a cominciare da quello del lavoro, introducendoproblematiche avvertite sempre più urgenti, dalle tutele, a cominciaredalle categorie più deboli come i fanciulli e le donne, alle assistenze eprevidenze. Punti più critici erano quelli delle assicurazioni contro gliinfortuni del lavoro e la concessione delle pensioni, ma la gamma degliinterventi era vasta c destinata a incrementarsi. Lo Welfare State faceva ilsuo ingresso.

Il lavoro appariva ora una fonte di riscatto morale ed economicofattore di una riforma intellettuale e civile della società intera. Il Partito,che da esso traeva ispirazione e che con esso cercava collegamentiorganici, si faceva portatore di identità collettive, e, al centro di ununiverso associativo che tendeva a porsi come microcosmo, esprimevaconforto e sicurezza. Nel far ciò si caricava di un bagaglio utopico,trovando per questa via canali efficaci lungo i quali trasmettere messaggipiù politicamente orientati o rivendicazioni di immediato impatto.L’evoluzione della società, dove la specializzazione si accompagnava adimpensabili sviluppi della scienza e della tecnica, richiedeva razionalitànelle scelte e nei comportamenti, individuali e collettivi, ma le dimensionidell’agire collettivo reclamavano suggestioni ed evocazioni. In tempi dirazionalità, anche l’irrazionale trovava la sua rivincita.

Il partito dei lavoratori, nella sua versione socialdemocratica, eraspeculare allo Stato nazionale territoriale, prodotto dellamodernizzazione della politica, che l’Ottocento lasciò in eredità al secolo

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successivo, clic rie decretò il trionfo su scala planetaria. Quel tipo dipartito, infatti, era nazionale e territoriale, e parlamentare etendenzialmente di massa. Era, di fatto, espressione dellanazionalizzazione delle masse, nonostante clic individuassenell’associazionismo internazionale, e di classe, un elemento identitariocosì forte da improntare a ciò in progres sione le diverse fasi della suastoria (1, II, III c perfino IV Internazionale). Non a caso, dalla plebe, daiceti di rango inferiori, dagli emarginati, dalla gente comune, esso andòrivolgendosi al ceto lavoratore e quindi alla classe operaia, portando intale processo il valore aggiunto della coscienza e dell’organizzazione,intesa quest’ultima come completamento della personalità del singolo. Epoi dietro la militanza era il supporto ddl’azione volontaria: il mettersiinsieme per emanciparsi, l’auto-aiuto, il riconoscersi come “compagni” diuna causa, che si faceva sempre più comune fino a diventare universale.Il simbolo più universalmente riconosciuto fu quello delle maniintrecciate, ancor più di quello recante la falce c il martello nella suppostaunione dei lavoratori dei campi e della fabbrica. Era non solo la promessadi un futuro migliore, ma anche una dimensione comunitaria percepitanel vivo, e quindi remunerativa. Lo scatto del premio di fedeltà, con cosìforti tratti fideistici, non sarebbe altrimenti comprensibile.

La nazionalizzazione delle masse e la maggiore complessità dellasocietà comportavano l’allargamento della cittadinanza politica, con losviluppo degli istituti rappresentativi, del ruolo attivo degli enti territorialie l’affermazione degli organi consultivi dello Stato. Lo sviluppodell’istruzione, diventata obbligatoria, era ora tra gli obiettivi centralidello Stato nazionale. La socialdemocrazia si definì intorno ad unatipologia di partito educatore, che perseguiva la propaganda di massa,anche ma non solo a fini elettorali, perché andava dotandosi di sediterritoriali deputate a svolgere un’attività costante. Tale partito, insomma,era uno dei principali fattori della mobilitazione politica diffusa,rivestendo una duplice, ma sinergica, funzione negli anni della 11Internazionale (1889): politica c democratica, sindacale e corporativa.

Costituito da apparati e sezioni territoriali, attrezzandosi per il cimentoelettorale ai cui esiti imparò presto a misurare successi e insuccessi, sirealizzò nella direzione dell’espansione della cittadinanza attiva, politica esociale, educando il singolo e il gruppo alla gestione della cosa pubblica,e soprattutto aggregando e mediando i nuovi interessi o bisogni sociali.Sotto questo aspetto la sua presenza può valutarsi positivamente nelsenso della stabilizzazione del sistema o. almeno, dello sviluppo dellasocietà, nonostante che formalmente si ponesse in alternativa al poteredominante e si facesse financo tramite di una visione “altra” della societàstessa, fondata sull’etica del lavoro, rispetto a quella vigente, che si volevadisordinata, squilibrata e iniqua. La sua stessa evoluzione rifletteva tale

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attitudine di fondo, delineando dovunque il passaggio da movimento aistituzione, da forma esterna e extraparlamentare a funzione centrale delsistema politico rappresentativo di massa, da organismo a fondamentoclassista a partito dello sviluppo sociale.

Se questa può considerarsi l’ascesa del socialismo ira Ottocento eNovecento, c’è da chiedersi ora quale impatto abbia avuto in Italia,nell’ambito dello sviluppo dello Stato unitario, di cui si intende quiricordarne la ricorrenza del 150° anniversario. La sua diffusione in Italianei decenni all’indomani dell’Unità ne attestava la connessione con ilrespiro profondo della storia, forse senza ricoprirvi un ruoloprotagonístico, ma certamente con un proprio profilo chesostanzialmente rifletteva le caratteristiche del paese sulla scenainternazionale. Correnti di pensiero, gruppi, uomini in sintonia con ilsocialismo d’Oltralpe, santsimoniano e proudhoniano, bakuniniano emarxista intrecciarono le proprie vicende con il processo risorgimentale,contribuendo a conferirgli un carattere democratico-popolare. La primagenerazione socialista o pseudosocialista si legò agli esiti del processorisorgimentale, in quanto intercettava le domande di coloro cheavrebbero voluto che la rivoluzione nazionale si traducesse in soluzionipolitico-istituzionali più radicali, dal suffragio universale alla formarepubblicana, fino, ma in frange molto minoritarie, alla nazione armata oall’ipotesi federalista; e che in ogni caso fosse occasione di profondimutamenti sociali a vantaggio di quei ceti popolari urbani e del mondodel lavoro che l’egemonia borghese, o aristocralico-borghesenell’ossequio al costituzionalismo sabaudo sembrava trascurare. Nonbisogna trascurare infatti che le “rivoluzioni nazionali” dell’Ottocento siaccompagnavano ad un’idea, che era anche una aspettativa, di libertà, laquale riguardava i popoli, ma anche gli individui; c che tale tensioneemancipatrice poteva tradursi facilmente in una sia pure genericaoccasione di riscatto sociale sulla spinta dell’azione del volontariatourbano e giovanile, quando dall’ambito strettamente istituzionale epolitico travalicava nell’ambito delle relazioni interpersonali e dellagestione delle risorse.

Accanto alle correnti mazziniane, che larga influenza esercitarononelle società operaie, prevalentemente di mutuo soccorso, checostituirono una prima ossatura del movimento, passando da 443sodalizi a 1447 nel 1873, a 4896 nei 1885, a 6722 nel 1896, si palesaronogruppi massonici e libero pensatori diretti da personalità come LuigiStefanoni e Luigi Castellazzo, cristiano-sociali, internazionalisti elibertari, democratico-sociali, operaisti. Lo stesso Garibaldi,pronunciatosi a favore della Comune nel 1871 a differenza di Mazzini,espresse la sua simpatia per la nuova causa dichiarando che “il socialismoè il sol dell'avvenire”. Fu a partire dagli anni Ottanta che si andarono

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costituendo le istituzioni fondamentali di quello che sarebbe diventatol’universo socialista: la sinistra, non quella liberale e costituzionale alGoverno dal 1876 con Deprelis, Crispi e poi Giolitti, ma piuttosto quellacresciuta nella società con modalità estranee al notabilato e alla proprietàautolegittimante, o addirittura alternative alla prima, si andòprogressivamente strutturando. Fu una vera e propria svolta, favoritadall’allargamento del mercato e dall’interazione internazionale di beni,uomini c esperienze, dal decollo industriale, dal bisogno di maggioritutele sociali e del lavoro, dall’allargamento del suffragio ancorché aquello universale maschile si pervenisse solo con la legge del 1912.Quella svolta e gli esiti successivi lasciarono di fatto un eredità destinataa durare almeno fino alla fine del XXI secolo, e forse oltre. Con tutti ilimiti ammissibili, l’Italia unita diventava più moderna ed europea, e sifaceva più nazione.

Della strutturazione della sinistra sopra citata basteranno qui pochidati. Nel 1902 vantava già l’adesione di 2823 cooperative, con mezzomilione di soci, che nel 1914 raggiunsero il traguardo del milione. Comenel caso delle società di mutuo soccorso, dove i socialisti rimaserosempre componente minoritaria almeno fino agli anni giolittiani, anchenel movimento cooperativo l’iniziativa fu inizialmente dei democratici,radicali e repubblicani, e dei liberali (si pensi a Luigi Luzzatti), ma poi,resisi autonomi precocemente i sodalizi del credito popolare ecooperativo e separatisi i cattolici, l’influenza socialista si rafforzòprogressivamente, a partire dal settore di consumo e di lavoro eproduzione. Fu em blematica la nomina a segretario nel 1912 delsocialista Antonio Vergnanini, segretario della Camera del lavoro diReggio Emilia, in successione al radicale Antonio Maffi. Nel 1902 lesocietà cooperative censite erano 2823, con mezzo milione di soci. Nel1914 raggiunsero il milione: un numero già molto ingente nell’Italialiberale, ma che nell’immediato dopoguerra quasi raddoppiò. Si disse chealla fine del 1920 il capitale azionario delle società aderenti alla Lega siaggirava intorno ai 600 milioni di lire, con un movimento di affari sulmiliardo e mezzo. Accanto al sodalizio di mutuo soccorso o cooperativocrebbe anche il circolo orientato all’impiego del tempo libero: la casa delpopolo di Massenzatico, la prima di una rete diffusa, apparve nel 1893.

Alla fine del secolo, ma soprattutto nel 1901-1902, la sindacalizzazionefece passi significativi non solo in direzione del lavoro dipendente in areaurbana, nelle arti e mestieri, ma anche nei servizi, dai maestri e insegnantiai postelegrafonici, per non parlare dei ferrovieri che dovunque eranoprecocemente interessati al fenomeno per via del forte senso diappartenenza corporativa. Perfino l’impiegato, si disse, “si facevapopolo”, dividendone la vita c le aspirazioni. Era questo un fenomenoeuropeo, come si c già dello, ma in Italia assunse un connotato

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particolare per la mobilitazione delle campagne, altrove sconosciuta perdimensioni e rilevanza politica. Agli inizi del secolo circa duecentomilalavoratori dei campi entrarono in sciopero per migliorare le condizionisalariali c per diminuire la giornata di lavoro: fu la “resistenza”, laresistenza al datore di lavoro. L’unità di base era rappresentata dalla lega,che confluiva in organismi di secondo grado e infine in una Federazionenazionale dei lavoratori della terra, nata a Bologna nel 1901 con una fortevocazione classista. L’iniziale area di diffusione era quella padana edemiliana, e la figura protagonista prevalente era quella del bracciante, chedal 1901 al 1911 rappresentò il 70 per cento degli organizzati e per 1 ’87per cento l'attore delle agitazioni agrarie. Più lenta c controversa fu lasindacalizzazione dei mezzadri, degli obbligati e dei piccoli proprietari,che in ogni caso rimasero prevalentemente nell’influenza repubblicana ocattolica. Un ulteriore fattore di straordinaria novità che non può passaresotto silenzio fu il fatto clic per poco meno di venti anni a dirigere laFederterra fu una donna, Argentina Altobelli, segno evidente che lavalenza emancipatrice riconducibile alla nuova idealità socialista fondatasul riscatto e sull’etica del lavoro si innestava su un processo, quellodell’emancipazione della donna, che, se avrebbe connotato la storia delNovecento, allora, agli inizi del secolo, in un universo sostanzialmentemaschilista, era appena agli albori. Ne era traccia evidente la stessatestata, La Difesa delle lavoratrici, del giornale fondato da AnnaKuliscioff.

L’insediamento sindacale portò alla creazione delle Camere del lavoro,organismi territoriali che riunivano gii organismi di base di tutte lecategorie; e delle Federazioni di mestiere, strutture verticalitendenzialmente su base nazionale, con fondamento professionale. Piùlento fu il passaggio dal sindacato di mestiere a quello d’industria. Nel1906 la maggioranza di tali organismi dettero vita alla Confederazionegenerale del lavoro (CGdL), con una chiara vocazione socialistariformista, favorevole alla legislazione sociale e alla tutela legale dellavoro, in una proiezione parlamentare che implicava una interazione conil partito socialista, e alla presenza del soggetto sindacale nelle istituzioni,con la partecipazione agli organi consultivi dello Stato, a cominciare dalConsiglio superiore del lavoro. La nascita della CGdL implicò lacostituzione della cosiddetta Triplice del lavoro, insieme alla Leganazionale delle cooperative e della Federazione nazionale delle società dimutuo soccorso, da allora sempre più legata alla precedente con cuicondivideva l’organo ufficiale, “La Cooperazione nazionale”. Ladenominazione stessa evocava, in contrapposizione, quell’alleanzastipulata nel gioco diplomatico-dinastico, ultima eredità dell’Ancienregime, tra gli Imperi dell’Europa centrale e l’Italia. La Triplice“proletaria”, invece, ribadiva la centralità del lavoro per una politica disviluppo del paese che ne utilizzasse le risorse non a fini di potenza e di

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espansionismo coloniale, bensì per l’ammodernamento infrastrutturale,le opere di bonifica e la messa in coltura delle terre incolte, ilpotenziamento della domanda interna basata sui consumi. In un mercatodel lavoro fortemente squilibrato, e interessato a significativi flussimigratori, con vaste aree di sottosviluppo e di precariato, soprattuttofemminile e giovanile, e gravato da basse retribuzioni, l’occupazione eraun obiettivo centrale. La “grande politica del lavoro” auspicata nel 1912-1914, in alternativa al colonialismo tripolino e alla corsa agli armamenti(al punto da condizionare il successivo orientamento neutralista deisocialisti italiani), non trovò grande ascolto in tempi nei quali il rullo deitamburi di guerra diventava sempre più assordante; 116 migliore esitoconobbe nell’immediato dopoguerra il Rifare l'Italia di Filippo Turati,che di quell’indirizzo fu l’elaborazione più matura, destinato comunquea restare tra le testimonianze più alte dell’intera vita politica eparlamentare dell’Italia unita.

Negli anni Ottanta si costituirono le prime organizzazioni partitiche.Nel 1881 fu la volta della costituzione del Partito socialista rivoluzionariodi Romagna, subito dopo la svolta legalitaria impressa da Andrea Costacon la lettera agli amici di Romagna con cui esplicitava il passaggio dalprimo internazionalismo libertario ad un socialismo che voleva“mescolarsi con il popolo” e per esso “conquistare i comuni”.Nonostante le proclamazioni rivoluzionarie, di fatto collocava taleprospettiva in un futuro remoto. Il motto era: legalitari oggi, rivoluzionaridomani. Ma sul piano politico l’oggi diventava preminente. Alleato con irepubblicani, nel 1882 il Partito riuscì a fare eleggere nel collegio diRavenna lo stesso Costa: il socialismo entrava così in Parlamento. Se ilriferimento sociale del Partito di Costa era popolare, più che proletario,a Milano prese vita il Partito operaio nel 1882, che perseguival’emancipazione del lavoro manuale in via autonoma, vale a direescludendo la presenza borghese, e dunque in polemica con il Consolatooperaio diretto da radicali. Entrambe erano formazioni poco più cheregionali, ma comunque destinate a porre le premesse per la costituzionedel Partito dei lavoratori italiani, poi Partito socialista italiano, a Genovanel 1892, dove fu soggetto attivo la Lega socialista milanese guidata daFilippo Turati, che guardava con attenzione all’esperienza dellasocialdemocrazia, uscita vittoriosa dal braccio di ferro con Bismarck, eche aveva rilanciato il proprio ruolo di guida nell’ambito della IIInternazionale, dopo il congresso di Erfurt del 1891. Non tanto o nonsolo la separazione dagli anarchici, resa necessaria dall’adozione della vialegale alla conquista del potere, cioè con il consenso della maggioranzaattraverso il voto, quanto la creazione di un partito nazionale e territorialeattraverso la rete delle sezioni e delle federazioni, a cui era preposta unadirezione e una segreteria generali, rappresentò davvero un salto diqualità che inizialmente fu percepito da pochi, ma che ben presto si

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rivelò uno straordinario fattore di mobilitazione politica. Lavolgarizzazione del marxismo negli anni Novanta, specialmenteattraverso La Critica sociale, stampata a Milano, capitale economica (e delproletariato la direzione di Turati, consentiva di conciliare l’attesa dellaconquista del potere attraverso il Partito e la lotta corporativa, o di classe,affidata al sindacato.

Se si guarda alle dimensioni del movimento sindacale e delle societàmutue o cooperative, si dovrebbe rilevare l’esiguità del corpo sociale delPartito, che prima della guerra mondiale non superò mai i cinquantamilaiscritti. Ma la funzione politica del Partito, che portò nel 1 895 i primideputati in Parlamento e andò progressivamente insediandosi nelleamministrazioni comunali, svolse un ruolo di orientamento,coordinamento e impulso decisivi. Come fu teorizzato al congresso diStuttgart dell’Internazionale socialista del 1907, anche in Italia sembròprendere piede già nella società borghese il classico edificio socialistafondato su tre pilastri: politico, sindacale e associativo o cooperativo; madi quei pilastri il decisivo era pur sempre ritenuto quello politico. Aquest’ultimo, infatti, erano riservate le funzioni essenziali dellaformazione del militante c del quadro, la presenza in Parlamento inrappresentanza delle esigenze comuni, la conquista degli enti territoriali,cioè la direzione di fondo. E se per valutare la solidità di un movimentopolitico si adottano, insieme alla consistenza degli iscritti, anche iparametri della continuità organizzativa, la diffusione sul territorio, lasinergia dei medesimi, la riconoscibilità, il consenso elettorale; allora, perquanto attiene al Partito socialista, si deve convenire che esso ebbe vitasecolare, si alimentò di una riconoscibilità trasmessa su scalagenerazionale, creò un patrimonio simbolico che s’innestò, con quello dialtre famiglie politiche, nel tessuto vivo dell’Italia repubblicana,diventandone fattore identitario comune. Per restare al periodo quiconsiderato, si valuti che in occasione delle elezioni del 1913 ottenne900.000 voti, pari al 17,7 per cento, con 52 seggi, ma se ai voti deisocialisti ufficiali si fossero aggiunti quelli degli indipendenti e deisocialisti riformisti i voti sarebbero stati 1.147.000, pari al 22,9 per cento.E infine da segnalare clic nelle città con oltre 100.000 abitanti il votosocialista si attestava già al 37,6 per cento. Nel 1914 il successo fuconfermato dalla conquista dell’amministrazione di grandi città, comeMilano e Bologna. Nelle prime elezioni del dopoguerra, nel 1919, con ilsistema proporzionale lo scrutinio di lista il voto socialista arrivò al 32,4per cento, con 156 seggi.

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Un universo associativo che si rappresenta e si propone *

Alla fine dell’Ottocento, il movimento operaio sviluppa e coltivaun’immagine di sé tale da acquisire attenzione e consensi, fino aannunciare la realizzazione di quella società futura mitizzata nel «sole delSocialismo». Sviluppando una rete di circoli e società, il movimentooperaio si propone come soggetto nuovo e moderno, in grado dimisurarsi con le altre istituzioni esistenti, nei cui confronti nonnasconde di aspirare ad una funzione dirigente coprendo l’interoterritorio nazionale.

L’impulso alla organizzazione degli interessi dei lavoratori,incoraggiato dalla crescente complessità della società, apre nuove stradeal sindacato, mentre l’industrializzazione diffusa sembra porre lepremesse della centralità della classe operaia, da affermare ecostantemente ribadire con un peculiare apparato simbolico e conconosciute procedure rituali. In questo contesto, la definitiva scelta dellavia legalitaria e parlamentare, e di promozione sindacale, ribadita nel1900 dal Congresso di Parigi dell’Internazionale - una scelta che erastata alla base della creazione nel 1892 del Partito socialista italiano -impone la ricerca del consenso e un’attività di promozione epubblicizzazione dell'immagine, utilizzando i più moderni mezzi dicomunicazione e di proselitismo, ben oltre il consueto e scarnomessaggio orale. Il successo della stampa e il ruolo crescentedell’opinione pubblica ne ribadiscono l’importanza.

Non meno rilevante è la produzione cartacea all’internodell’istituzione. Il documento è protocollato e dunque è destinato allaconservazione. Ciò da riconnettersi alla graduale burocratizzazione che,come coinvolge la società e l’attività economica, così a partire dai primianni del Novecento penetra nei partiti e nei sindacati in proporzione alloro radicamento, già messo in luce negli studi di Sidney e BeatriceWebb e di Michels. Ma ancor più ciò riflette la progressiva articolazionedei vari partiti nazionali fra strutture centrali, locali e periferiche, dovel’esigenza comunicativa si combina con la riaffermazione dell’identità enon meno della significazione gerarchica. Infine la carta intestata eprotocollata, destinata all’archivio, esprime la volontà di “costruire" unamemoria, nella sedimentazione degli atti: avere una propria “storia” ègaranzia anche per il futuro.

* da Scrivere con la Sinistra. Dalla carta intestata a Internet, a cura di S. Caretti, M.Degl’Innocenti, G. Silei, Lacaita, Manduria 2002, pp. 11-16.

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Pur con linee di tendenza comuni, derivanti dalla natura e dallavocazione internazionalista del movimento operaio e socialista, lespecificità nazionali emergono sin dall’Ottocento e permangono nelcorso del Novecento. Ciò impone una serie di riflessioni sullecaratteristiche dell’evoluzione del movimento stesso, cioè sul fatto cheessa sia avvenuta sulla base della irradiazione di idee e simboli prodottida uno o più motori o se, viceversa, sia stata la risultante di un processocreativo pluralistico più ampio e differenziato.

La simbologia e ritualità del movimento socialista si richiamainizialmente al mondo del lavoro dipendente, manuale e intellettuale.Tuttavia, nella carta intestata delle organizzazioni e delle strutture adesso afferenti appare in modo evidente un gusto letterario e umanisticoche denuncia la presenza tutt’altro che marginale di elementi di origini eformazione borghese o piccolo borghese. Il linguaggio allegorico che sirichiama alla tradizione classica, all’iconografica cristiana e poi a quellamassonica mettono in luce un’elaborazione nata in un ambiente colto,frutto di una lettura complessa. Insomma, si coglie un’eredità di piùlungo periodo e di ambito sociale assai più vasta di quella che potrebbepresumersi per partiti e istituzioni di tipo nuovo, espressione di unaclasse di recente formazione o che si sta formando. Simbologie eallegorie già note e in circolazione vengono semmai fatte proprie,rivedute e rivestite di nuovi messaggi ed è la grande e piccolaintellettualità di matrice borghese a svolgere in ciò un ruolofondamentale.

L’evoluzione della carta intestata nella sinistra politica, sindacale eassociativa europea tra Ottocento e Novecento presenta un universo disimboli, segni, scritture che mette in luce una realtà complessa, confinalità educative e formative, che mettono in costante rapporto passatoe futuro. Il messaggio che ne deriva tende alla stilizzazione, alla sintesi,alla astrattezza, alla standardizzazione ma mai alla banalità. Si richiamaad una realtà definita territorialmente, sul piano dei programmi e suquello dei referenti sociali, ma in un contesto sempre più ampio diquello rigorosamente classista. Emerge la volontà di distinguersi daglialtri, di ribadire un “io” e una appartenenza, anche territoriale, chetuttavia porta con sé costantemente l’ambizione di trasformare ilmondo in nome dell’umanità intera, realizzando, attraverso la solidarietàe l’emancipazione del lavoro, i principi dell’eguaglianza, libertà efratellanza affermatisi con la Rivoluzione francese del 1789.

Il mondo simbolico che si definisce tra la fine dell’Ottocento e l’iniziodel Novecento si trasmette fino a noi, con poche integrazioni, e semmaicon un’evoluzione grafica verso la stilizzazione. Si può dire che il

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momento creativo, che corrisponde all’affermazione dei soggettiistituzionali dei movimento operaio (partiti, sindacati, associazioni ecc.),è circo scrivibile ad una trentina d’anni. Successivamente subentra unalunga fase di conservazione e di rielaborazione che non presentaconsistenti novità se si esclude quella - importante - della diffusioneextraeuropea, e in particolare nel Terzo Mondo, dei movimento.

Quali conseguenze trarre? Finito il momento creativo e propulsivo,è subentrato un successivo lungo periodo di assestamento (fino allastagnazione), che preclude infine, a cavallo del XXI secolo, ad una crisidi identità? E’ un problema di comunicazione nella forbice tra l’inerziatradizionale dell’organizzazione partitica o sindacale, sempre riluttante amodificare simboli e riti, a fronte del dinamismo della societàcontemporanea? Insomma, sta finendo irrimediabilmente un’epoca, quidocumentata nel suo immaginario collettivo, o siamo in presenza di unatransizione sia pure sofferta e difficile? 0 è tutto questo insieme?

La pagina web, che compare nell’ultimo scorcio del Novecento, è percerti versi l’evoluzione e la trasposizione della carta intestata in e- pocamoderna, ma è innanzitutto il segno delle profonde trasformazioniintervenute nella società e nel sistema politico, anche per effetto di altrimezzi di comunicazione di massa come la televisione. La fine delsistema bipolare ne ha accentuato le implicazioni sulle formetradizionali di autorappresentazione dei partiti. Dell’influenzadell’informatica sul “discorso” politico e quindi sul sistema partitico èprevalente una interpretazione positiva perché proprio nello strumentoinformatico, in internet in particolare, si coglie l’espressione delpassaggio verso una società più aperta, libera, parteci pata e democratica.Anziché mero fruitore del messaggio politico, il cittadino diventerebbeesso stesso partecipe, “scegliendo”, attraverso il proprio personalcomputer, a quali informazioni accedere e quindi imponendo alsoggetto partito un nuovo modo di porsi e di presentarsi sul pianosimbolico e dei contenuti. La produzione del messaggio non sarebbepertanto più esclusivamente dall’alto al basso, o dal centro alla periferia,ma si determinerebbe nei due sensi. Il percorso è naturalmente in atto,essendo direttamente influenzato non solo dal confronto con ilcosiddetto “villaggio globale” ma anche dall’evoluzione tecnologica, chemette progressivamente a disposizione di chi intende farecomunicazione, in questo caso comunicazione politica, nuovi strumenti.

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Allegoria de “il trionfo del lavoro” che Walter Crane disegnò in occasione del Primo maggio 1891

Nella simbologia socialista, oltre all’affermazione definitiva del sole, emblema del socialismo stesso,giova ricordare la grande ricorrenza del libro (la Cultura e con essa il Progresso), della fiaccola e dellaluce (la Conoscenza, l’Emancipazione), delle palme e degli allori (la Vittoria), dei fasci vegetali (laForza e l’Unione), dei fiori e della frutta (l’abbondanza, per lo più accompagnata alla giustizia), deitre cerchi (simbolo trinitario massonico, ma ora utilizzato per rappresentare la triplice alleanza trasindacato, cooperazione e mutuo soccorso). Così come non mancano moduli rappresentativi cherichiedono una lettura più complessa, come la barca in un mare in tempesta a simboleggiare le provedifficili da superare in regime borghese, ma guidata dal timoniere (la classe operaia) con mano fermae vista attenta, e con l’ausilio del binocolo, verso il porto sicuro e tranquillo della società futura,illuminato dal sole del Socialismo.Piuttosto occorre sottolineare come, rispetto al periodo successivo e specialmente agli anni seguenti

la seconda guerra mondiale, la carta intestata del movimento operaio e socialista tra Ottocento eNovecento si caratterizzi non solo per l’elaborazione di immagini allegoriche e simboliche che poisarebbero state, con poche modifiche e lievi integrazioni, quelle tradizionali delle organizzazioni disinistra; ma anche per la assai più forte incisività figurativa. Questo può spiegarsi con il fatto cheproprio a cavallo del secolo la maggior parte delle istituzioni del movimento operaio si vannocostituendo e radicando nelle rispettive società, con l’esigenza, dunque, dell’autorappresentazione.

Cartolina socialista

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L’allegoria del socialismo è una figura femminilespesso con un berretto frigio in testa, mentre quandosi tratta di rappresentare la forza del movimento,allora Walter Crane disegna una figura maschile, aipiedi della quale pone arnesi da lavoro.

Cartolina del VII Congresso Socialista Italianotenutosi ad Imola nel settembre 1902. Allegoria sullagiustizia sociale.

Copertina dell’«Avanti della Domenica»

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Tessera del PSI del 1914

Simbolo della Camera del Lavoro di GenovaSampierdarena (particolare)

Tessera del PSI del 1907

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Nella tessera della CdL di Torino è rappresentato unoperaio-eroe circondato da fiori e frutti che impugnaun martello e guarda verso un'alba futura

Tessera del PSI del 1906

Nel manifesto pubblicitario per la campagnaabbonamenti all' "Avanti!" del 1901 una figuramaschile a torso nudo è usata come allegoria delmovimento operaio che spezza le catene dell'oppressione e dell'ingiustizia.

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Cartolina per l'VIII Congresso socialistarealizzata da Mataloni

Stemma in tela della National Union ofGasworkers and General Labourers che siispira al bozzetto realizzato da Walter Crane

Cartolina emessa a ricordo dell’inaugurazione dellacooperativa di consumo “Bovisa”. Nel suo genere è unclassico: l’operaio e il contadino si stringono la mano insegno di unità, sullo sfondo il sole illumina la città, lesue fabbriche e i frutti della terra visibili in primo piano

Cedola dell'obbligazione per il prestito disottoscrizione per l'Avanti! L'allegoria è ripresa daidisegni di Walter Crane

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Il movimento socialista italiano si era sempre opposto alcolonialismo, dai tempi della prima guerra africana, che culminò nelladisfatta di Adua (1896), fino alla occupazione della Libia (1911-12),contrapponendo alle ambizioni di una politica estera da Grande Potenzala prospettiva dello sviluppo economico e sociale all’interno (“la grandeItalia del lavoro”). Di fronte alla prima guerra mondiale, il Partitosocialista italiano fu nettamente favorevole alla neutralità dell’Italia, equando questa entrò nel conflitto nel maggio 1915 mantenne unaposizione di non adesione per rimarcare la divisione di responsabilitàdalle classi dirigenti interventiste, ritenute colpevoli di gettare il Paese inun’avventura catastrofica, pur nel rifiuto di assumere iniziative chepotessero compromettere le sorti dei soldati italiani sul fronte (“néaderire, né sabotare”). Matteotti si segnalò per l’atteggiamentoirriducibile contro la guerra, al punto da essere rinviato a giudizio per“disfattismo”, subendo una condanna dal Tribunale che fu poi annullatain Cassazione. Chiamato alle armi, venne allontanato dalla zona delfronte come elemento ”pericoloso”. Congedato nell’agosto 1919,riprese con grande impegno l’attività politica nel Polesine e nelFerrarese. Nelle elezioni dell’autunno 1919, le prime con sistemaproporzionale e scrutinio di lista, fu eletto deputato per il collegio diFerrara-Rovigo, poi confermato nel 1921 e 1924 per il collegio Padova-Rovigo. Fece parte del direttivo del Gruppo parlamentare per lacomponente minoritaria riformista, con un orientamentoconcorde/discorde con la Direzione massimalista del Partito socialista.

Alla Camera fu protagonista autorevole. Fu critico severo dellapolitica finanziaria dei Governi liberali del dopoguerra, che ritenevacolpevoli di non riparare la falla aperta dalle spese di guerra non volendocolpire gli indebiti arricchimenti con un’imposta sul capitale. Contro iprovvedimenti tampone sulla finanza locale presentò un disegno dilegge per un riordino organico, che, con garanzie più certe sulle entratesecondo criteri di progressività, conferisse una più compiuta autonomiaall’ente territoriale. In parallelo si adoperò per la riforma della leggeelettorale amministrativa, che tuttavia rimase ferma al Senato.

Contro la guerra e in Parlamento

Cartolina di propaganda molto diffusaai tempi della guerra in Libia: un sole chesorge dietro un corteo che richiama ilQuarto Stato di Pellizza da Volpedo,illumina una incudine sulla quale è

poggiata una spada, spezzata per sempreda una mazza saldamente impugnata da

una mano proletaria

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Propaganda contro la guerra coloniale in Libiasull'Avanti della Domenica

Prima pagina dell'Avanti! del 1° maggio 1915

Tessera del Partito Socialista del 1915

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Tessera del Partito Socialista del 1916

Almanacco Socialista del 1917 curato direttamentedal Partito tramite la Società Editrice Avanti

Tessera del Partito Socialista del 1917

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Tessera del Partito Socialista del 1918

Matteotti, militare a Campo Inglese(Messina)

Scalarini contro la guerra, immagine pubblicatasull'"Avanti!"

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Scalarini sull'"Avanti!" negli anni dellaPrima guerra mondiale: un contadino che tornacasa, autentico relitto umano, dalla sua donna

che lo aspetta affranta

Elezioni politiche del 16 novembre 1919

La simbologia socialista dopo la prima guerra mondiale

Come sempre, il sistema elettorale agisce in profondità sulle forme diautorappresentazione e sulla natura organizzativa delle forze politiche.Con le elezioni politiche del 1919, che per la prima volta si svolgono ascrutinio di lista e con la proporzionale (il suffragio universale maschileera stato introdotto nel 1912 e si era votato nel 1913), la simbologia dipartito si definisce, anche se la personalizzazione della lotta elettorale,connessa al precedente sistema del collegio uninominale, mantieneancora i suoi effetti.

Per le elezioni del 16 novembre 1919 il PSI adotta ufficialmentel’emblema dei Soviet (falce e martello circondati da una corona di spighedi grano e il sole), il quale è presentato dall’«Avanti!» con le seguentiparole: «La falce è il campo. La mazza, è l’officina. Incrociate in untrionfo di luce. Una corona di vittoria recinge la breve allegoria. Simboli,insieme di distruzione e di una ricostruzione; simboli perfettamenterivoluzionari». Com’è noto il simbolo ha immediata diffusione neimanifesti, sulla stampa, in medaglie e distintivi, e figura già alla fine del1919 in numerose bandiere di sezioni e federazioni di partito e anche diorganizzazioni sindacali, a testimonianza della grande diffusione delmito della Rivoluzione e delle speranze alimentate in Italia dagli eventirivoluzionari russi.

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Il simbolo del Soviet spicca pure nella tessera del partito nel 1921.Avendo i comunisti, con la scissione di Livorno nel gennaio di quellostesso anno, fatto proprio l’emblema del Soviet adottandolo comecontrassegno per le elezioni politiche del 15 maggio 1921, i socialistiaggiungono alla falce e al martello anche il libro, simbolo dell’istruzionee della cultura, il quale appare nel contrassegno socialista per quellestesse elezioni e per quelle del 1924, nonché sulla tessera del 1923. Falcee martello su libro aperto sono anche i simboli adottati dai socialisti almomento della ricostruzione del Partito nel 1943, e tali rimangono, conpoche modifiche grafiche, fino al «nuovo corso» craxiano.

Il PCdl rimane fedele al simbolo sovietico, e al pari di quanto siverifica nel PCUS, anche in futuro il logos del PCI non cambiasostanzialmente fino alla cessazione del partito nel 1989 a seguito delcrollo dell’Unione Sovietica. Il partito che da esso prende vita, il PartitoDemocratico della Sinistra, adotta il simbolo della quercia già presente,come del resto l’ulivo, nella iconografia socialista delle origini eutilizzato anche per la tessera del PSI nel 1912.

Nell’ottobre del 1922, con il distacco dal PSI dei socialisti unitari equindi con la costituzione del PSU, di cui diviene segretario, GiacomoMatteotti si pone la necessità di trovare un nuovo simbolo, per il nuovoPartito. In particolare, Matteotti avverte tale esigenza comeimprorogabile per distinguersi dalle altri correnti e partiti della sinistra,ma anche per far risaltare l’esigenza di rinnovamento, da rappresentarecon un segno significativo. Dopo avere vagheggiato nell’autunno del1923 l’idea di indire un concorso a premio sulla «Giustizia», organo delPSU, Matteotti si rivolge a Ortona, e poi a Lattes, scartando via via isimboli che gli vengono proposti perché da lui considerati troppogenerici. Finalmente, agli inizi del ’24, Matteotti dà le sue indicazioni: nelprogramma e nel simbolo si sarebbero comunicate le rivendicazionidella Libertà, e la costruzione economica e morale. Per le elezioni del1924, quindi, il PSU adotta il contrassegno illuminato dalla luce delsocialismo su cui è incisa la parola Libertà.

Sciolto nel novembre 1925 dal Governo Mussolini, dopo il fallitoattentato Zaniboni, il Partito Socialista Unitario è ricostituito sottol’insegna Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Nel novembre 1926tutti i partiti vengono soppressi, ad eccezione di quello fascista.L’attività politica antifascista si chiude allora nella clandestinità o sitrasferisce all’estero.

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Bandiera con alcuni dei simboli socialisti

Almanacco Socialista del 1919

Tessera del Partito Socialista del 1919

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Tessera del Partito Socialista del 1922

Riunione del gruppo parlamentare socialista(Trieste, 1920)

La lottaorgano dei Socialisti e delleOrganizzazioni economiche

del Polesine

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Filippo Turatileader del socialismo riformista italiano

Tessera personale dell'on. Matteotti

Matteotti tra i compagni socialisti di Fratta Polesine

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Matteotti con Della Seta, Dugoni e Serrati

Roma, Matteotti mentre esce dalla Casa del popolo,durante il XIX Congresso del Partito SocialistaItaliano nel 1922

Matteotti alla Camera

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Sottoposto più volte a minacce e aggressioni da parte di fascisti enazionalisti, fino al “bando” dal Polesine, Matteotti richiamòprecocemente l’attenzione del Parlamento sul dilagare della violenzasquadrista nel Polesine e in Emilia e Romagna evidenziandone lastrategia di tipo militare contro “l’organizzazione dei lavoratori” e abeneficio degli agrari. Tra i primi avvertì le tendenze autoritarie delGoverno Mussolini, costituitosi all’indomani della marcia su Roma,cogliendo nella legge elettorale Acerbo (1923) il tentativo di schiacciarele minoranze. Nella documentata denuncia delle complicità politiche edelle inerzie dell’apparato statale, Matteotti proclamò: “Per contonostro, mai come in questo momento abbiamo sentito che difendiamoinsieme la causa del socialismo, la causa del nostro Paese e quella dellaciviltà”.

La denuncia del fascismo

Vignetta di Scalarini apparsa sull'"Avanti!" il 24 dicembre 1920, nella quale lo scheletrodella guerra, avvolto nella bandiera tricolore, depone il neonato movimento fascista nella

mangiatoia del capitalismo, rifornita dall'avena della stampa

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Lo squadrismo fascistaReggio EmiliaTipografia del giornale “La Giustizia” (1921)

La sede dell’ “Avanti!” occupata e devastata aMilano

La sede dell’ “Avanti!” occupata e devastata aMilano

Occupazione della Camera del lavoro di Torino(1921)

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Torino – Birraria: il salone dei concerti

Fascisti fiorentini dopo una spedizione adIncisa

Occupazione della Camera confederale dellavoro di Messina (1921)

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Contro la violenza fascista

Copertina del volume relativoall'inchiesta socialista sul Fascismo

Un anno di dominazione fascista

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Roma, 17/18 dicembre 1922

Caro Turati. Scusa il mio ritardo per l'opuscolo. Ma ho finito appena ora dicercare la casa e ora dovrò impiantarla!

Frattanto così potrei utilizzare i Bilanci 1923-24 che il Rag. generale mi dicenon saranno pronti prima del 29-30 dicembre.

Tutta la materia potrà occupare certamente un doppio opuscolo, che vi sarà un pòpiù costoso per gli specchi di cifre. Non so se converrebbe utilizzare quelle della miaRelaz[ione] presso questa tipografia della Camera; ma forse non sarà troppo facilenè opportuno. Tu vedrai poi se convenga la pubblicazione per puntate della Critica.

A proposito della Critica, Treves ti comunicherà qualcosa, che non so se visembrerà fattibile e gradito. Ovvierebbe però a un poco gradito pericolo di altro genere.

Sulla terra i diversi Einaudi e compagni non fanno che copiare (senza citare) lemie cifre di pag. 38-42 delle Bozze e allegato L. Non avrei che da ripetere quantoivi è detto. Potrò tutt'al più fare qualche articoletto di volgarizzazione per laGiustizia.

Le cose interne sembrano accomodate; e le corporazioni che divengono “fasciste”,le milizie che divengono “del Presidente del Consiglio” avrebbero dovuto ormai apriregli occhi a tutti.

Auguri natalizi

tuo MATTEOTTI

Lettera di Giacomo Matteotti a Filippo Turati - Milano

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Roma, 2/3 novembre 1923

Caro Turati. Il lavoro raccolto finora per l’anno di dominazione fascista mi dàquesti risultati:

a) un quindicina di specchi con cifre (debiti - circolazione – disavanzi - cambi eco)e con un breve commentino per ciascuno.

b) parecchie pagine di elenchi di botte, con date, nomi ecc. raccolti dai giornali,perché dalla provincia - naturalmente! - non mi hanno mandato nulla. Quasi nullafinora ho invece sulle diverse materie (istruzione - militare - ferrovie – lavori pubbliciecc) per quanto io abbia sollecitato i… competenti.

Tra due o tre giorni potrei iniziare la stampa. Avevo pensato se chiederti invecedi stampare sulla Critica (così mi suggerirebbe Garibotti). Ma si occuperebbe tuttoun numero. Sotto questa forma allora si potrebbero sollecitare 4 o 5 articoli percompletare

1 da Gonzales sulla Giustizia

1 di Anando su esercito

1 di Zanai o Mondolfo su istruzione

1 di Ramella o Donati su ferrovie

ecc Lav[ori] Pubbl[ici]??

Se tu non credi, adotto la forma di Numero unico; ne farà 2000 copie e vedremoche all'Estero ne facciano qualche traduzione.

Dammi un consiglio.

Posso frattanto invece farti un articolo per la Critica che completa le smontaturefinanziarie con dati...sbalorditivi (parola rubata a Modigliani).

(Purtroppo Modigliani vuol venire a Milano). Ciao

MATTEOTTI

Lettera di Giacomo Matteotti a Filippo Turati - Milano

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Nella tessera del Partito Socialista Italiano del 1924 un nocchiero, che indossa un mantorosso e il berretto frigio, governa a stento una barca in un mare in tempesta. L'uomosimboleggia il Socialismo mentre il rischio del naufragio allude al clima di violenza

istaurato dal fascismo che minaccia la stessa libertà

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Il tentativo dei socialisti riformisti di condizionare i Governi liberaliper una più efficace politica di contenimento del fenomenosquadristico, in particolare dopo le elezioni del 15 maggio 1921, andòfallito, non ultimo per l’esclusione di ogni collaborazione parlamentareproclamata dalla direzione massimalista del Partito, che dovevafronteggiare l’estremismo del neo costituito Partito comunista, natodalla scissione al XVII Congresso del Partito Socialista Italiano (gennaio1921), negli echi della Rivoluzione bolscevica. Quando il 4 ottobre 1922si costituì il Partito socialista unitario, di indirizzo riformista, Matteottine assunse la segreteria. Segnalandosi come uno dei leader piùcompetenti del socialismo europeo, denunciò i limiti della pace diVersailles nell’imposizione delle pesanti riparazioni di guerra alla nuovaGermania democratica, con i rischi conseguenti del risorgentenazionalismo e, con esso, di un futuro e più rovinoso conflittomondiale.

Nelle Direttive dell’aprile 1923, manifesto programmatico per unsocialismo rinnovato, Matteotti si rivolgeva non più solo agli stratiproletari, ma anche “ai più colti e moderni della borghesia”, sulla basedella irrinunciabilità del metodo democratico, imperniato sulle libertàpolitiche e sul sistema rappresentativo, perché migliore delle dittature edelle oligarchie avendo il vantaggio della libera critica. Restava fedele alprincipio della lotta di classe, ma distinguendola dalla guerra di classe,perché implicava un quadro di regole condivise e tale da sollecitare inognuno l’aspirazione “ad elevarsi nella coordinata armonia di tutti per lacomune ascensione”. Declinava la tradizionale logica produttivisticanella lotta alla rendita. In una prospettiva già europeista ribadiva che la“nazione, realtà geografica e vivente, entro cui tutti viviamo ecresciamo” era la condizione prima del “domani socialista”, un“domani” concepito a beneficio di tutti, e non di una classe esclusiva.

Con le politiche del maggio 1924 percepì che la lotta politica eraentrata in una fase nuova, che richiedeva gente di volontà per “unaresistenza senza limite” contro la dittatura fascista, essendo convintoche il fascismo dominante non avrebbe mai deposto le armi né tantomeno restituito spontaneamente all’Italia un regime di legalità e dilibertà. E allora Matteotti si rivolse ai “puri di cuore”, ricercando “gli attidi coraggio e di fermezza dei compagni, perché da allora in poi il Partitoavrebbe dovuto attingere alle energie morali intatte in mezzo alfrantumarsi dell’inquadramento materiale”. La dimensione della lotta alfascismo si spostava sul piano dei simboli, dei valori, delle idee, delcarattere. Il martirio di Matteotti ne avrebbe rappresentato l’apoteosi.

Alla segreteria del Partito socialista unitario

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Tessere del PSU

Lo studio di Matteottinella sede della

Direzione del PartitoSocialista Unitarioin piazza di Spagna

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Matteotti con i leader del socialismo europeo a Berlino (marzo 1923)

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Il delitto MatteottiIl 30 maggio 1924 alla Camera Matteotti contestò in blocco la validità

delle elezioni denunciando l’invadenza di “una milizia armata, compostadi cittadini di un solo partito”, che sosteneva “un determinato Governocon la forza, anche se ad esso il consenso mancasse”. La propostasocialista di rinvio della convalida degli atti alla Giunta delle elezioni fumessa ai voti e ottenne solo 57 sì, 42 astenuti su 384 presenti e votanti.Come scrisse Sandro Pertini nella premessa ai Discorsi parlamentaripubblicati dalla Camera dei deputati nel 1970, quasi presago della finedell’istituto rappresentativo Matteotti si sorprendeva che dovesseroessere proprio i socialisti “le ultime, sciolte, guardie del sistemacostituzionale”.

Il 10 giugno 1924 alle ore 16, 30 Matteotti usciva dalla sua abitazionein Via Pisanelli 40, a pochi passi dal Lungotevere Arnaldo da Brescia, fuaggredito e ucciso a coltellate. I miseri resti furono trovati nella macchiadella Quartarella presso Riano Flaminio. Filippo Turati lo commemoròil 27 giugno 1924 a Montecitorio, ma non nell’Aula dove i deputatidell’opposizione avevano deciso di non tornare più. A ben vedere il 10giugno 1924 si determinò un solco non più colmabile tra due Italiedestinato a produrre effetti nel lungo periodo.

L’angolo tra il Lungotevere e via Scialoia dove l’auto dei sicariattendeva il passaggio di Matteotti

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L’automobile Lancia deisicari

Lo spazzino Giovanni Pucci e i ragazziAmilcare Mascagna e Renato Barzottitestimoni dell’agguato sul Lungotevere

L’annuncio del rapimento sulquotidiano “La Giustizia”

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Le ricerche del corpo di Matteotti nella campagna romana

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Il luogo del rinvenimento del corpo di Matteotti nel bosco della Quartarella vicino Roma

La giacca e i pantalonidi Matteotti trovati inuna valigia di AmerigoDumini, uno dei sicari,tagliati in venti pezzi

Filippo Turati (1) e Claudio Treves (2) a Riano per il riconoscimento ufficiale

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Trasferimento della salma di Matteottialla stazione di Monterotondo, in unvagone merci, per Fratta Polesine

Fratta Polesine 20 agosto, ore 5.10: l’arrivo del convoglio alla stazione

L’omaggio popolare al passaggio del feretro

Isabella Matteotti con Titta Ruffo davanti alla camera ardente allestita nell’abitazione di Giacomo

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Foto di Anna Kuliscioff dedicata a Velia Matteotti

Vignetta di Scalarini

Vignetta della “Quale” di Parigi

Lettera di Mussolini sul processo di Chieti

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Lettera a Mussolini di Amerigo Dumini, uno dei sicari, dopo il processo

Lettera di Turati a Velia Matteotti in merito al processo

Jordaan sul “Notenkraker” di Amsterdam

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Nel discorso alla Costituente il 4 marzo 1947, Piero Calamandreidesignava a mito fondante del nuovo Stato democratico il culto deiCaduti per la Libertà, spesso oscuri ma per questo non menosignificativi, dietro i quali si stagliavano i martiri dell’antifascismo:Matteotti apriva la scia nella quale si annoveravano Amendola, Gobetti,Don Minzoni, Gramsci, Rosselli. La loro morte era rappresentata ariscatto/espiazione per tutti, per una nazione intera: mito fondativodell’Italia repubblicana. Nel mondo intero, il nome di GiacomoMatteotti avrebbe evocato dovunque sentimenti di libertà, democrazia egiustizia sociale.

La memoria

La pietra che separa Mussolini dal popolo italiano (Scalarini sull’ “Avanti!”)

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L'ombra di Matteotti grida: lavoratori,questa lima spezzerà le vostre catene!

Scalarini sull’ “Avanti!”

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Mostra della stampa italianaantifascista a Colonia

il 10 giugno 1928

Modigliani e Nenni con il comitatoMatteotti della FederazioneSocialista di Nancy

Bandiera dei socialisti italianifuoriusciti in Francia

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Almanacco Socialista degli italo-americani del 1925

Modigliani con gli antifascisti a New York

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Riunione a Parigi dei socialisti italiani per il Fondo Matteotti

Bruno Buozzi all’inaugurazione della “Rue Matteotti”a Holles nella periferia di Parigi

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Pubblicazioni commemorative degli antifascisti italiani esuli in Argentina

Altorilievo di Matteotti Casa del Popolo di Buenos Aires

Diego Rivera, MussoliniNew Workers School New York (1933)

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Manifestazioneantifascista a NewYork

Inaugurazione delmonumento di Matteottialla Casa del Popolo di

Bruxelles(11 settembre 1927)

Busto di Matteotti conservato nella Casa del Popolo di Gand (Belgio)

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Il Matteottihof di Vienna

Vignetta del giornale francese“L’Humanité”

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Page 92: M90S Matteotti 90 nelle scuole

Hahn sul “Notenkraker” di Amsterdam

Holtz sul “Lachen Links”

Ottens sul “Lachen Links” di Berlino

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Heine sul “Simplicissimus” diMonaco

Anger sul “Lachen Links”

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Roma, 10 giugno 1944: commemorazione di Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia

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Milano, 29 aprile 1945: raduno delleFormazioni “Matteotti” (sul podio Sandro Pertini)

Rovigo, 10 giugno 1945:commemorazione di Matteotti

Sandro Pertini a Rovigo per lacommemorazione di Matteotti(10 giugno 1945)

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Nel 1924, dopo il rapimento e il barbaro assassinio di GiacomoMatteotti da parte dei fascisti, Pertini decide di iscriversi al PartitoSocialista Unitario.

Inizia così un'intensa attività di lotta contro il fascismo. Il suo studiodi avvocato a Savona viene più volte distrutto, e lui stesso vienebastonato in più occasioni dagli squadristi.

Il 22 maggio 1925, viene arrestato a Stella per aver distribuito il foglioclandestino "Sotto il barbaro dominio fascista" e condannato a ottomesi. Liberato dopo la vittoria in appello, Pertini prosegue la sua lotta.

SANDRO PERTINI

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L'iscrizione al Partito Socialista Unitario(lettera di Pertini alla segreteria PSU di Savona):

[Firenze, giugno 1924]

All'avv. Diana Crispisegretario della sezione Unitariadi Savona

Mio ottimo amico.

Ho la mano che mi trema, non so se per il grande dolore o per latroppa ira che oggi l'animo mio racchiude. Non posso più rimanerefuori del vostro partito, sarebbe vigliaccheria. Pertanto, pronto ad ognisacrificio, anche a quello della mia stessa vita, con ferma fede, alimentataoggi dal sangue del grande Martire dell'idea socialista, umilmente tichiedo di farmi accogliere nelle vostre file. Questo ti chiedo dalla terrache diede al delitto il sicario Dumini per la seconda volta indegna patriadi Dante che se tra di noi tornasse, nuovamente se n'andrebbefuggiasco, ma volontario, non più per le contrade d'Italia, trasformateoggi in "bolgie caine", bensì oltre i confini, dopo avere ancora una voltaripetuto agli uomini con più disgusto e più amarezza, l'accoratainvettiva:

ahi! serva Italia di dolore ostellonave senza nocchiero in gran tempestanon donna di provincia ma bordello

Ti chiedo ancora di volermi rilasciare la Tessera con la sacra data dellascomparsa del povero Matteotti: questo potrai facilmente concedermitu, che sai come da lungo tempo il mio animo nel suo segretogelosamente custodisca, come purissima religione, la idea socialista. Lasacra data suonerà sempre per me ammonimento e comando. E valga ilpresente dolore a purificare i nostri animi rendendoli maggiormentedegni del domani, e la giusta ira a rafforzare la nostra fede, rendendocimaggiormente pronti per la lotta non lontana. Raccogliamoci nellamemoria del grande Martire attendendo la nostra ora. Solo così vanonon sarà tanto sacrificio. Ti stringo caramente la mano.

tuo Sandro Pertini

«Idea Nuova», 28 giugno 1924

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Il discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati

del 30 maggio 1924(resoconto stenografico)

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Presidente "Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteotti. Ne ha facoltà".

Matteotti "Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni laproposta di convalida di numerosi colleghi. Nessuno certamente, degliappartenenti a questa Assemblea, all'infuori credo dei componenti laGiunta delle elezioni, saprebbe ridire l'elenco dei nomi letti per laconvalida, nessuno, né della Camera né delle tribune della stampa (Viveinterruzioni alla destra e al centro)".

Lupi "È passato il tempo in cui si parlava per le tribune!".

Matteotti "Certo la pubblicità è per voi un'istituzione dellostupidissimo secolo XIX. (Vivi rumori. Interruzioni alla destra e alcentro) Comunque, dicevo, in questo momento non esiste da partedell'Assemblea una conoscenza esatta dell'oggetto sul quale si delibera.Soltanto per quei pochissimi nomi che abbiamo potuto afferrare allalettura, possiamo immaginare che essi rappresentino una parte dellamaggioranza. Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa purae semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, laquale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tantivoti... (Interruzioni)".

Voci al centro "Ed anche più!".

Matteotti "... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, edè dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale cheè necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo lavostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbedarsi che i nomi letti dal Presidente sieno di quei capilista cheresterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, siapplicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poichénessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazionegenerica di tale specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindicontestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione dellamaggioranza (Rumori vivissimi). Vorrei pregare almeno i colleghi, sullaelezione dei quali oggi si giudica, di astenersi per lo meno dai rumori, senon dal voto. (Vivi commenti - Proteste - Interruzioni alla destra e al centro)".

Maraviglia "In contestazione non c'è nessuno, diversamente si asterrebbe!".

Matteotti "Noi contestiamo...".

Maraviglia "Allora contestate voi!".

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Matteotti "Certo sarebbe maraviglia se contestasse lei! L'elezione,secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non èvalida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazionefatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampaufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioninon avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo nonsi sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come hadichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza,anche se... (Vivaci interruzioni a destra e al centro Movimenti dell'onorevolepresidente del Consiglio)".

Voci a destra "Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra! (Applausi alla destra e alcentro)".

Matteotti "Codesti vostri applausi sono la conferma precisa dellafondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunquenessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la suavolontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra) Nessun elettore si ètrovato libero di fronte a questo quesito...".

Maraviglia "Hanno votato otto milioni di italiani!".

Matteotti "... se cioè egli approvava o non approvava la politica o, permeglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero,perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osatoaffermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione delGoverno che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. (Rumori einterruzioni a destra)". Una voce a destra "E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?".

Farinacci "Potevate fare la rivoluzione!".

Maraviglia "Sarebbero stati due milioni di eroi!".

Matteotti "A rinforzare tale proposito del Governo, esiste una miliziaarmata... (Applausi vivissimi e prolungati a destra e grida di "Viva la milizia")".

Voci a destra "Vi scotta la milizia!".

Matteotti "... esiste. una milizia armata... (Interruzioni a destra, rumoriprolungati)".

Voci "Basta! Basta!".

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Presidente "Onorevole Matteotti, si attenga all'argomento".

Matteotti "Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma ioparlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) laquale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere undeterminato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo delfascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato.(Interruzioni e rumori a destra)".

Voci a destra "E le guardie rosse?".

Matteotti "Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un soloPartito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinatoGoverno con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse.(Commenti) In aggiunta e in particolare... (Interruzioni), mentre per lalegge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzioneo quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia specialmenterurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionaliin gran numero... (Interruzioni, rumori)".

Farinacci "Erano i balilla!".

Matteotti "È vero, on. Farinacci, in molti luoghi hanno votato anchei balilla! (Approvazioni all'estrema sinistra, rumori a destra e al centro)".

Voce al centro "Hanno votato i disertori per voi!".

Gonzales "Spirito denaturato e rettificato!".

Matteotti "Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi diquesti militi in ogni città e più ancora nelle campagne (Interruzioni), glielenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, eranoridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per darel'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lostesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava almiliti fascisti la custodia delle cabine (Rumori). A parte questoargomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forzacontro il consenso. e del fatto di una milizia a disposizione di un partitoche impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione dellasovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezionein Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate eannullate tutte le singole manifestazioni elettorali. (Interruzioni,commenti)".

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Voci a destra "Perché avete paura! Perché scappate!".

Matteotti "Forse al Messico si usano fare le elezioni non con leschede, ma col coraggio di fronte alle rivoltelle (Vivi rumori.Interruzioni, approvazioni all'estrema sinistra). E chiedo scusa alMessico, se non è vero! (Rumori prolungati) I fatti cui accenno si possonoriassumere secondo i diversi momenti delle elezioni. La legge elettoralechiede... (Interruzioni, rumori)".

Greco "È ora di finirla! Voi svalorizzate il Parlamento!".

Matteotti "E allora sciogliete il Parlamento".

Greco "Voi non rispettate la maggioranza e non avete diritto di essererispettati".

Matteotti "Ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale,presentare la propria lista di candidati... (Vivi rumori)".

Maraviglia "Ma parli sulla proposta dell'onorevole Presutti".

Matteotti "Richiami dunque lei all'ordine il Presidente! Lapresentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizionemediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento allecinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei circoscrizioni suquindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nellostudio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voichiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza. (Rumorivivissimi)".

Bastianini "Questo lo dice lei!".

Voci dalla destra "Non è vero, non è vero".

Matteotti "Volete i singoli fatti? Eccoli: ad Iglesias il collega Corsistava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata...(Rumori)".

Maraviglia "Non è vero. Lo inventa lei in questo momento".

Farinacci "Va a finire che faremo sul serio quello .che non abbiamo fatto!".

Matteotti "Fareste il vostro mestiere!".

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Lussu "È la verità, è la verità!...".

Matteotti "A Melfi... (Rumori vivissimi - Interruzioni) a Melfi è stataimpedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori). In Puglia fubastonato perfino un notaio (Rumori vivissimi)".

Aldi-Mai "Ma questo nei ricorsi non c'è! In nessuno dei ricorsi! Ho visto gli attidelle Puglie e in nessun ricorso è accennato il fatto di cui parla l'on. Matteotti".

Farinacci "Vi faremo cambiare sistema! E dire che sono quelli che vogliono lanormalizzazione!". Matteotti "A Genova (Rumori vivissimi) i fogli con le firme giàraccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati".

Voci "Perché erano falsi".

Matteotti "Se erano falsi, dovevate denunciarli ai magistrati!".

Farinacci "Perché non ha fatto i reclami alla Giunta delle elezioni?".

Matteotti "Ci sono".

Una voce dal banco delle commissioni "No, non ci sono, li inventa lei". Presidente "La Giunta delle elezioni dovrebbe dare esempio di compostezza! I

componenti della Giunta delle elezioni parleranno dopo. Onorevole Matteotti,continui".

Matteotti "Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. Ifatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria pernessuno in ciò che dico: c'è una descrizione di fatti".

Teruzzi "Che non esistono!".

Matteotti "Da parte degli onorevoli componenti della Giunta delleelezioni si protesta che alcuni di questi fatti non sono dedotti odocumentati presso la Giunta delle elezioni. Ma voi sapete benissimocome una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fattistessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voisapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopraun giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono stateimmediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità diconfermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottennida questa Camera l'annullamento per violenze di una prima elezionefascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delleelezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le

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copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamentecomunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perchéavevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processofascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi (Rumori,interruzioni)".

Voci a destra "Lo provi".

Matteotti "La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove delfatto. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costrettia portare in questa Camera l'eco di quelle proteste che altrimenti nelPaese non possono avere alcun'altra voce ed espressione. (Applausiall'estrema sinistra) In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalitànotarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo sidovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altreprovincie. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvederecon nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano stateimpedite".

Una voce dal banco della giunta "Dove furono impedite?". Matteotti "A Melfi, a Iglesias, in Puglia... devo ripetere? (Interruzioni,

rumori) Presupposto essenziale di ogni elezione è che i candidati, cioècoloro che domandano al suffragio elettorale il voto, possano esporre,in contraddittorio con il programma del Governo, in pubblici comizi oanche in privati locali, le loro opinioni. In Italia, nella massima parte deiluoghi, anzi quasi da per tutto, questo non fu possibile".

Una voce "Non è vero! Parli l'onorevole Mazzoni! (Rumori)".

Matteotti "Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delleminoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi,soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioniparticolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? LaCamera ricorderà l'incidente occorso al collega Gonzales".

Teruzzi "Noi ci ricordiamo del 1919, quando buttavate gli ufficiali nelNaviglio. lo, per un anno, sono andato a casa con la pena di morte sulla testa!".

Matteotti "Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altreelezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede albanco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un soloavversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel1919".

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Voci "Non è vero! non è vero!".

Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno "Michele Bianchi! Proprio leiha impedito di parlare a Michele Bianchi!".

Matteotti "Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto èsemplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri tenevaun comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero.sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essirifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)".

Finzi "Non è così!".

Matteotti "Porterò i giornali vostri che lo attestano".

Finzi "Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevoleMerlin cristianamente deporrà". Matteotti "L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e

nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Nondovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voiessere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelleelezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche quinell'assemblea? (Rumori a destra)".

Teruzzi "È ora di finirla con queste falsità".

Matteotti "L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvennedunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da partedell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse laconferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedironoall'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)".

Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".

Matteotti "Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori,interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco,si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare...(Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estremasinistra)".

Presidente "Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto enon turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda".

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Matteotti "L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare perimprovvisazione, e che mi limito...".

Voci "Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti!".

Gonzales "I fatti non sono improvvisati! (Rumori)".

Matteotti "Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti.Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimentodell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi esenza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che aicandidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loropensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavoal fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevoleBentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capodell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fuimpedita... (Oh, oh! - Rumori)".

Voci da destra "Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordotutti!".

Matteotti "Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha moltaelasticità!".

Greco "Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti".

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Matteotti "L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la suaconferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandantidi corpi armati, i quali intervennero in città ...".

Presutti "Dica bande armate, non corpi armati!".

Matteotti "Bande armate, le quali impedirono la pubblica e liberaconferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni:su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamentenella loro circoscrizione!".

Voci di destra "Per paura! Per paura! (Rumori - Commenti)".

Farinacci "Vi abbiamo invitati telegraficamente!".

Matteotti "Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersiproprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisichedell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate!(Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per uncontraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fosseropresenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come èvostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "inseguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcerel'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)".

Voci da destra "L'avete studiato bene!".

Pedrazzi "Come siete pratici di queste cose, voi!".

Presidente "Onorevole Pedrazzi!".

Matteotti "Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità dicircolare nelle loro circoscrizioni!".

Voci a destra "Avevano paura!".

Turati Filippo "Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti,avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)".

Una voce "Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato".

Turati Filippo "Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi asinistra, rumori a destra)".

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Presidente "Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti!".

Matteotti "Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscanodi parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo!(Approvazioni a sinistra - Rumori prolungati)".

Presidente "Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...".

Matteotti "Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto diparlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho dirittodi essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)".

Casertano presidente della Giunta delle elezioni "Chiedo di parlare".

Presidente "Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delleelezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta".

Matteotti "Onorevole Presidente!...".

Presidente "Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare,ma prudentemente".

Matteotti "Io chiedo di parlare non prudentemente, néimprudentemente, ma parlamentarmente!".

Presidente "Parli, parli".

Matteotti "I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori.Interruzioni)".

Presidente "Facciano silenzio! Lascino parlare!".

Matteotti "Non solo non potevano circolare, ma molti di essi nonpotevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stessecittà. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo leconseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevanoche accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomanio dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)".

Una voce "Erano disoccupati!".

Matteotti "No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi liboicottate".

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Voci da destra "E quando li boicottate voi?".

Farinacci "Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco!".

Matteotti "Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando anome del mio gruppo un saluto... (Rumori)".

Voci "E Berta? Berta!".

Matteotti "... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna delproprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata lacandidatura nonostante prevedesse quale sarebbe - stato per essere ildestino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati - voi avete ragione diurlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte dellabattaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggiimperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perchéanche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svoltele elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie piùimportanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella dellapresenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascunseggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizionedi legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tuttigli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partitodominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partitodominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistenteper le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista alseggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credoin qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio erafascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziarele operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche raraprovincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesseosato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la manieracome erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, nonoccorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioniesamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasidappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcunrappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unicagaranzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelledovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, inalcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delleelezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata dellalibertà nello spazio e nel tempo - e l'onorevole Farinacci, che è moltoaperto, me lo potrebbe ammettere - fu data ad uno scopo evidente:dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in queiluoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza

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con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certalibertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fuconcessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolserouna tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza - conquesta conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta primadelle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che èavvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altriluoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla listafascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonaturealle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni... (Vivissimirumori al centro e a destra)".

Una voce a destra "Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti!".

Matteotti "Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe esserelecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ainazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo,danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, cheha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la suaadeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? Lavotazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversicostumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furonocitate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto difedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini eranostati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, glielettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola deltre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto,dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettinocontenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni),variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti glielettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati ericonosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, acominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultòeccellente".

Finzi "Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato!".

Matteotti "Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ellavenga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato".

Finzi "Lo provi".

Matteotti "In queste regioni tutti gli elettori...".

Ciarlantini "Lei ha un trattato, perché non lo pubblica?".

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Matteotti "Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografiedel Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra);perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscolifurono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate dipubblicare le nostre cose. (Rumori)".

Voci "No! No!". Matteotti "Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle

sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza edovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, pertranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigentelocale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)".

Suardo "L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popoloitaliano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori - Commenti) La mia cittàin ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provarele sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula.(Applausi, commenti)".

Teruzzi "L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti.(Rumori all'estrema sinistra)".

Presidente "Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda!".

Matteotti "lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invecefurono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era statousato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, mache dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissimezone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosideterminata una larga astensione degli elettori che non si ritenevanoliberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidatia gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votarecon diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti voltee che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nomedi qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovaronosolo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendorilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo".

Torre Edoardo "Basta, la finisca! (Rumori, commenti) . Che cosa stiamo afare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendononell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti -Rumori)".

Voci "Vada in Russia!".

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Presidente "Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!".

Matteotti "Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere lecabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmentedella campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare iloro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare icumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti votidi preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, cosìcome altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario.Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati perimpedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solouna piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente ilsuo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che nonpotevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impeditidalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noipersone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste,si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro dirittoliberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione dellanuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo ilnostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altreparti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di frontealle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi benconoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno(Rumori) ... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in bloccodella elezione di maggioranza".

Voci alla destra "Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)".

Matteotti "[...] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autoritàdello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voisì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione moraledella Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa inpadroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenzae la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessimomentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato disaperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noideploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nelmondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Mail nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'operanostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranitàdel popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo dirivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dallaviolenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra - Vivirumori)".

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Filippo TuratiLa commemorazione di

Giacomo Matteottidel 27 giugno 1924

Il 27 giugno del 1924 Filippo Turati pronunciò un commosso discorsodurante la riunione delle opposizioni parlamentari, in ricordo dell'amicoassassinato. Queste le parole dell'anziano leader socialista.

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"Vorrei che a questa riunione non si desse il nome logoro, consunto- specialmente qui dentro - di "commemorazione". Noi non"commemoriamo". Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un ritoreligioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli che io non hobisogno di nominare, perché il Suo nome è evocato in questo stessomomento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell'Alpe e deimari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato.Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è ungiudicatore; Egli è un vindice. Non il nostro vindice, o colleghi. Sarebbetroppo misera e futile cosa. Egli è qui il vindice della terra nativa; ilvindice della Nazione che fu depressa e soppressa; il vindice di tutte lecose grandi, che Egli amò, che noi amammo, per le quali vivemmo, perle quali oggi più che mai abbiamo, anche se stanchi e sopraffatti daldisgusto, il dovere di vivere. E il dovere di vivere è anche, e soprattutto,il dovere di morire quando l'ora lo comanda. Di morire per rivivere; dimorire perché tutto un popolo morto riviva; di morire perché il nostrosangue purifichi le zolle, le sacre zolle della Patria, che alla Patria - se lefecondi sudore di servi - procacciano messi avvelenate. E questo vivo,che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura digiovane arciere, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio- perché non è un'allucinazione, perché li vedete, perché non vi inganno- questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile,fatto tale dai nemici nostri e d'Italia; questo vivo, nell'odierno rito, ètrasfigurato. È Lui ed è tutti. È uno ed è l'universale. È un individuo edè una gente. Invano gli avranno tagliato le membra, invano (come sinarra) lo avranno assoggettato allo scempio più atroce, invano il suoviso, dolce e severo, sarà stato sfigurato. Le membra si sono ricomposte.Il miracolo di Galilea si è rinnovato. A che le vane ricerche, o fariseid'ogni stirpe? A che gli idrovolanti sul lago, a che il perlustrare lamacchia, il frugare nei forni? L'avello ci ha reso la salma. Il morto si leva.E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono dauno dei sicari tramandate alle genti, che son Sue quand'anche non leavesse pronunciate, che son vere se anche non fossero realtà, perchésono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa chemureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a monitodei futuri: "Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai...La mia idea non muore... I miei bambini si glorieranno del loro padre...I lavoratori benediranno il mio cadavere... Viva il Socialismo!". È quitrasfigurato, o colleghi. E di ciò il mio egoismo si duole, il mio piccoloegoismo di individuo, di fratello maggiore, di anziano, di padre; ché Eglinon è più soltanto il mio figliolo prediletto. L'uomo di parte, l'assertorenobile ed alto di un'idea nobilissima, quegli che fu, per noi socialisti,tutto in una volta, il filosofo, il finanziere, l'oratore, l'organizzatore, ilcommesso viaggiatore, l'animatore sovra tutto, il pensiero insomma e

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l'azione congiunti - anche l'azione più umile che altri sdegnava - l'unico,l'insostituibile; colui che, come già Leonida Bissolati pel Cremonese,travolto dalla sublime follia dell'amore dei suoi contadini, del suoproletariato polesano, per esso aveva rinunziato indifferente agli agi ealla tranquillità della vita, alla seduzione degli studi cari in cui piùeccelleva, e di sé e della sua giovinezza poteva dire, col poeta dellaVersilia "e tutto ciò che facile allor promettono gli anni,/ io 'l diedi perun impeto lacrimoso di affanni,/ per un amplesso aereo in facciaall'avvenir" e per questa sua passione divorante, gelosa, era l'esule inpatria, il bandito dalla sua terra, il maledetto dai parassiti della sua terra,il profugo eterno, sempre presente soltanto dove l'ora del perigliobattesse la diana; quest'uomo, questa figura così staccata e viva su losfondo verde e bigio di questo singolare paesaggio politico, nonsparisce, no, non scolora, ma si riaffaccia oggi in troppo più ampiacornice. Quello che era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra,l'uomo di tutti, l'uomo della storia. E, ingrandito così, quasi è tolto a noi,come alla famiglia dolorante, perché è divenuto un simbolo. Il simbolodi un oltraggio che riassume ed eterna cento e cento mila altri oltraggi,tutti gli oltraggi fatti ad un popolo; la figura che compendia tutti gli altritrucidati e percossi per lo stesso fine, da Di Vagno a Piccinini, agliinfiniti altri oscuri; il simbolo di una stirpe che si riscuote; il simbolo diun passato che si redime, di un presente che si ridesta, di un avvenireche si annunzia; della immortale democrazia, della indefettibile giustiziasociale, che si rimettono in cammino; dell'Italia che, dopo una parentesidi spaventoso Medio Evo, risale nella luce dell'età moderna, rientra trale genti civili. Il simbolo e la Nemesi: la Nemesi augusta, o signori, cheè della storia. Cerchi il Magistrato le colpe e le ferocie secondarie eminori; incalzi gli esecutori codardi e i mandanti immediati; compitoanche questo, altamente rispettabile e necessario. Frughi e tenti disventare la congiura degli intrighi, di snodare il groviglio dei silenzicomprati o ricattati, le mendicate omertà, e il tagliaborse che si annidanell'assassino. Tutta questa è la cronaca. La Nemesi vola più alto. Essaaddita il grande mandato; il mandato che erompe da più anni di violenzevolute, di violenze inanellate alla frode, di consenso cercato ed irriso; dalsarcasmo di una pacificazione, proclamata a parole e impedita eviolentata nei fatti; dall'incitamento perenne alla soppressione delpensiero libero e di chiunque lo incarni, la quale è soppressione dellavita, della Patria, della civiltà. Addita il mandato che scesedall'istrionismo bifronte, che adesca insieme e minaccia, che offre ilramo d'olivo ed affila nell'ombra i pugnali. Addita il mandato che salìdalle viltà incommensurabili, dalle fughe abbiette, dagli obliquifiancheggiamenti, dai silenzi complici, dalla corruzione demagogicaesercitata su anime semplici, talvolta generose ed eroiche, persino dicombattenti insigni od oscuri, i quali in buona fede hanno creduto cheun regime di minaccia e di prepotenza potesse essere ricostruttore, che

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la più immonda curée potesse germogliare la rigenerazione del Paese,che gli errori e le colpe fugaci di una massa illusa (e non cerchiamo illusada chi; e non domandiamoci se veramente esistano le colpe di unpopolo) dovessero espiarsi, non col richiamo severo alla ragione, macon la catena dei delitti, con la tregenda delle sopraffazioni esercitate suquel popolo; col dileggio di ogni umana dignità; con la tragedia delterrore, accoppiata alla coreografia di vetusti trionfi mal redivivi. Locredettero in buona fede; alcuni - sempre più radi - lo credono ancora.Ma per poco, ormai. L'oscena leggenda è sfatata. Giacomo Matteottil'ha dispersa; l'ha dispersa per sempre. L'edificio dell'iniquità edell'ipocrisia crolla da ogni parte. Ah! sì. I masnadieri avevano benescelto, avevano mirato giusto, sopprimendo il nostro migliore. Mirandoal suo cuore, sapevano di mirare al nostro cuore. Ma ignoravano lasanzione inesorabile che fu sempre nelle vicende del mondo.Ignoravano - fu confessato - che il delitto era soprattutto un errore. Chela vittima sarebbe stata il giustiziere. Che la coscienza di un popolo, cheha millenni di storia e di gloria, si assopisce, si comprime, ma non sispegne. Che i morti non pesano soltanto, ma sopravvivono. GiacomoMatteotti vince morendo e ci accompagna e ci guida. Secommemorazione è questa, se questo è un lugubre rito, non è l'epicediodel suo tumulo ignorato, non è la riconsacrazione di una salma che nonpuò riapparire e che più è presente quanto più è assente e celata. Altroè oggi il funerale. Altri sono i morti. L'edificio dell'iniquità edell'ipocrisia crolla da ogni parte. Neppure la speculazione ultima e piùscaltra ed audace - quella sulla nostra speculazione - ha alito e ali perreggersi. Lo sguardo vitreo della vittima illumina un panorama d'infamiache i più non sospettavano ancora. Ove la sua ombra si leva, ivi si stendeattorno la solennità del deserto. Noi parliamo da quest'aulaparlamentare, mentre non vi è più un Parlamento. I soli eletti stannosull'Aventino delle loro coscienze, donde nessun adescamento li rimovesinché il sole della libertà non albeggi, l'imperio della legge non siarestituito e cessi la rappresentanza del popolo di essere la beffa atroce acui l'hanno ridotta. Le futili contese tacciono fra essi, e una grande unitàsi costituisce fra essi tutti e fra essi e l'anima della Nazione. Quella chefu la maggioranza, è ridotta a un reparto di milizia, cui è intimato diobbedire in silenzio, perché ogni sua parola la disgregherebbe. I duetronconi non si saldano. E i politici già si domandano se vi sia più unGoverno, se vi possa essere più un Governo. Se vi è per l'Italia; se vi èper il resto del mondo. Ma un paese moderno non vive senza queste duecose che vennero meno: un Parlamento rispettato e libero; un Governolegale e non sospettato. Signori, dall'eccidio di Giacomo Matteotti lanuova storia d'Italia incomincia. A noi un solo compito: esserne degni.Eppure, neppure questo ci consola. Perché, se un eccidio, e il più brutaledegli eccidii, era necessario, una cosa non era necessaria: che colpisseLui. E, se parve, come ho detto, ch'egli fosse il più designato perché era

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il più forte e il più degno, dice l'effetto che non sempre è profetessa lamalizia dei masnadieri. Lui giovane, Lui forte, Lui armato di tutte learmi civili, Lui temerario nel coraggio, Lui che si fece volontario dellamorte - questo fanciullo dagli occhi pieni di bontà, che tutti cirimbrottava ed a tutti indulgeva, perché tutti sapeva comprendere esapeva la inanità delle prediche contro la umana fralezza -; Lui, figlio diuna madre antica, che geme; Lui, sposo di una sposa giovane, chepaventa di smarrire il senno; Lui, padre di tre teneri bimbi, virgultiinconsci che un giorno metteranno le spine, verso i quali Egli avevatenerezze di madre, come, nell'intimità della casa felice, pareva un figlioalla sposa. No! inferocire su questo idillio non era necessario! Altrovepoteva la sorte cieca e maligna eleggere il suo strumento di pace e digiustizia. E questa vecchia carcassa di chi oggi vi parla, che la vita hatutta ormai spesa e che il proprio inverno avrebbe barattato con gioiaper salvarvi la primavera superba del nostro eroe, è oggi dilaniata dalrammarico, direi dal rimorso, di non averlo vigilato abbastanza, di nonessersi imposto, col peso della anzianità a cui forse Egli avrebbeobbedito, alle sue gagliarde imprudenze... Lasciate, o colleghi, ch'io cessiqueste parole, così ìmpari, e che il singhiozzo minaccia di rompere; ch'iodimentichi dove siamo e donde parliamo; ch'io mi inginocchiidealmente accanto alla salma del figliuolo prediletto, e gli carezzi lafronte e gli chieda perdono della mia, della nostra indegnità e gli dicatutta la gratitudine nostra, la gratitudine di tutto un popolo. E gli giuri,a nome di voi tutti, che la Sua ombra, presto, sarà placata".

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Gli allievi della Scuola G.G. Bellidi Roma in occasine di una

commemorazione diGiacomo Matteotti

presso la stele eretta sul luogo del rapimento al Lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma

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