Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

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La notte è il momento in cui le fantasie prendono vita. Fate, mostri, spiriti... Al calare del sole, il bosco cambia faccia, divenendo il teatro di così tante storie. Ma è proprio in una di quelle notti che improvvisamente la realtà irrompe senza alcun preavviso, drammatica e impietosa, fatta di pericoli. Ed è difficile a quel punto capire cosa fa più paura a un bambino...

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Lukas den Svarte

~ Quattrofavole ~

Per ricordarsi di non avere paura del buio

II. Favola degli spiriti

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Lo sfavillio delle braci, il guizzare delle fiamme: ogni

bagliore si rifletteva a sprazzi lungo i gambi delle sedie, le

assi del pavimento e i peneri consunti del tappeto. Quasi

scottava le guancie, quelle fresche e rosse come fragole di

Linn ed Erik e quelle indurite del nonno, a tratti offuscate

dal fumo sbuffato dalla pipa. Con la coperta a quadri sulle

gambe, la stessa che avrebbe adoperato una volta a letto,

l’uomo passava e ripassava la mano tra la barba ispida,

arricciata sulle punte. Prendeva fiato, come ogni volta che

arrivava alla fine del racconto, e il respiro traballava, le

palpebre tremavano come se i suoi occhi fossero sul punto

di ribaltarsi da un momento all’altro. Erik lo guardava

sempre con un misto di curiosità e preoccupazione, a quel

punto; Linn non si muoveva, con le labbra rosse dischiuse e

l’espressione persa, un po’ impressionata.

«Tutto finisce quando arriva il sole. Sempre.» disse il nonno

riabbassando il viso, e di nuovo affiorò la sua aria bonaria

«Gli spiriti scompaiono, corrono a rintanarsi fino al

prossimo tramonto, quando saranno di nuovo liberi. Ma

prima di allora…» e fece segno di no col dito «Non sperate

nemmeno di incontrarli».

«Perché diventano di pietra, vero?» domandò Erik.

«Di pietra, sì.» rispose il nonno «I nani, le streghe, i troll…

Tutti quanti. Solo di notte li puoi vedere».

«Ma se è buio non li vedi» obiettò Linn.

«Oh, li vedi, li vedi. È solo questione di volerli vedere.

Quando c’è la luna piena, poi, e il bosco è illuminato a

giorno…».

«Sempre nel bosco?» fece Erik.

«Sempre nel bosco.» il nonno tirò un’ampia boccata di fumo

«È lì che vivono».

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«E tu li hai visti?».

Il bambino lo guardava con scetticismo, come al solito, con

gli occhi di chi vuol vedere, provare. Il nonno sorrise,

appoggiandosi allo schienale della sedia.

«Se non li avessi visti, non potrei raccontarvi queste storie.»

rispose quindi «Non pare anche a te?».

Erik assunse un’aria imbronciata; Linn ridacchiò nel vederlo

sistemato così facilmente.

«Se esistono, li voglio vedere anch’io, allora» stabilì il

bambino.

«Li vedrai, li vedrai.» gli garantì il nonno «Quando sarai

più grande».

«Io li voglio vedere subito» si impuntò Erik.

«E come vorresti fare?» gli chiese il nonno, divertito

«Dovresti andare nel bosco di notte. Un po’ come uscire

adesso.» e ammiccò verso la porta con la pipa «Davvero ti

sembrerebbe il caso?».

Il bambino guardò l’uscio come se rappresentasse una sfida.

«Non lo so. Forse no.» rispose, incerto «Però, se è l’unico

modo per vederli…».

«Gli spiriti sono pericolosi.» disse Linn, alzando il viso

«Non è vero, nonno?».

L’uomo annuì, con le labbra strette attorno al bocchino.

«Tutto è pericoloso, quando il sole è tramontato: è la Notte

nel bosco. Tutte le magie e le leggende di questo mondo

prendono vita, col buio, e con loro anche mille e mille

insidie. Solo i grandi uomini, gli eroi, riescono a scendere a

patti con lei… E a farsi rivelare i suoi segreti».

«A scendere a patti con la notte?» domandò Erik.

«Con la notte, sì» rispose il nonno.

«Ma come si fa? Non è mica una persona!».

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«Non è una persona, è uno spirito.» lo corresse Linn «E con

gli spiriti si può parlare, quello è sicuro».

«Un fantasma è uno spirito.» ribatté Erik «La notte è solo la

notte».

«Ed anche una brutta notte, in certi casi.» aggiunse il

nonno, guardando fuori dalla finestra, oltre la quale la

nebbia si mescolava con le tenebre «La primavera tarda ad

arrivare, quest’anno».

«Ragione in più per andarsene a dormire.» intervenne la

nonna, appoggiando le mani sulle spalle del marito da dietro

la sedia, come di consueto «Anziché stare svegli ad ascoltare

storie di fantasmi».

Il nonno alzò gli occhi con aria beffarda, staccandosi la pipa

dalla bocca.

«Non parlavamo di fantasmi.» disse Linn «Il nonno ci stava

raccontando della Notte nel bosco».

«Che non è un fantasma» puntualizzò Erik.

«La Notte nel bosco?» ripeté la nonna, e guardò il marito

senza capire.

«La Notte nel bosco, sì» rispose il nonno, come se fosse

ovvio.

«È là fuori, la notte nel bosco.» fece un’altra voce, quella del

babbo, che si alzava dallo scrittoio «In quanto tempo ci si

arriva, al bosco? In un quarto d’ora? Ma è meglio aspettare

che cambi il tempo, direi, o direttamente il giorno».

«Di giorno non si può.» protestò Erik «Come facciamo a

vedere la notte, di giorno?».

«È vero.» rincalzò Linn «Il nonno ha detto che è uno

spirito».

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«Uno spirito?» il babbo scambiò uno sguardo d’intesa con

suo padre «Beh, in quel caso io non sarei troppo curioso:

con gli spiriti non si può mica scherzare».

«Lo sappiamo!» replicò Erik «Ma il nonno ha detto che gli

uomini e gli eroi-».

«Infatti.» lo interruppe il babbo «Gli uomini e gli eroi. Non

vi pare di essere ancora un po’ troppo piccoli sia per gli uni

che per gli altri?».

«Il sangue ce l’hanno.» disse il nonno, ridendo «E anche la

buona volontà».

«Vorrà dire che ne faranno tesoro.» commentò la nonna

«Ma ora lascia che queste povere creature vadano a letto.

Non vedi il sonno che hanno?».

«Io non ho sonno» brontolò Erik con testardaggine.

«Però è ora di andare a dormire lo stesso.» stabilì il babbo,

tirandolo in piedi da sotto le ascelle «Forza, salutate i nonni

e poi filare. Magari domani sarà arrivata la primavera».

A turno, pur sbuffando, i due bambini cedettero e si

avvicinarono al nonno e alla nonna per il bacio della

buonanotte. Linn, l’angioletto biondo, che doveva sollevarsi

sulle punte per arrivare alle loro guance; Erik, con la zazzera

rossa che la nonna gli sistemava sempre, nonostante la sua

reticenza. Tutti e due con quegli identici occhi azzurri, lo

stesso modo di camminare, di stare seduti, di muovere la

testa e di tenersi per mano, come accade a molti gemelli.

Nella piazza non c’era traccia di scoppi, di esplosioni,

neanche l’odore acre del fumo nell’aria. Tutto dormiva

ancora, o si destava appena, come per una casualità. Sulle

strade che conducevano alle grandi arterie della città si

affacciavano solo ombre sparute, avvolte fin sopra alla testa

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nelle coperte, negli scialli di lana. Guardavano e restavano

fermi, infreddoliti, come poveri spettri senza un posto dove

andare, e tali parevano a Linn e ad Erik. Sottili ombre nere

di donne sulle porte che si osavano di muovere qualche

passetto stentato verso gli uomini che andavano avanti,

piano piano. Tutto ciò che avveniva, avveniva lontano, oltre

la nebbia e le ultime luci che gli occhi riuscivano a cogliere.

Mentre le mani del babbo stringevano con forza le loro e li

spingevano a correre, Linn ed Erik guardavano quel che

potevano, incrociavano sguardi spauriti, strappati al sonno e

piombati in mezzo al freddo, alla nebbia, alla notte.

Guardavano e vedevano la stessa incapacità di comprendere

in quegli altri visi, che sembravano chiedere perché loro,

perché solo loro, stavano correndo. Voltandosi, potevano

vedere quelle figure affrettarsi a tornare nelle case, oppure

girare il capo più e più volte, in cerca di una spiegazione.

Anche una volta rientrati a casa, i due bambini non

riuscirono in alcun modo a sentirsi al sicuro. Il solo fatto di

vedere anche i nonni svegli a quell’ora, coi visi segnati da

una preoccupazione improvvisa, sorta da chissà dove, li

agitava.

«Andate a vestirvi» disse sbrigativamente il padre.

Erik e Linn lo guardarono mentre li spingeva senza

guardarli, troppo impegnato a parlare coi nonni di qualcosa

che per loro sembrava impossibile capire.

«Che succede? Ma cosa succede, babbo? Cosa succede?»

avevano chiesto più volte, senza mai ricevere una risposta:

ora, di fronte al loro baule, non riuscivano a decidersi a

obbedire.

A turno accarezzavano con le dita il coperchio, facendo per

aprirlo, magari sollevandolo un poco e restando con le dita

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nella fessura, ma senza trovare la forza neanche di iniziare a

mettere da parte i vestiti. Almeno finché il babbo non si girò

di nuovo verso di loro: li guardò come se fosse stato sul

punto di ripetere quanto aveva già detto, ma alla fine tornò a

guardare la nonna.

«Aiutali, mamma.» le disse, indicandoli con un braccio «Tu

sai cosa devono portar via».

Erik e Linn videro la nonna avvicinarsi senza nessuna

reticenza, fermandosi con un sospiro davanti a loro.

«Su, bambini, avete sentito vostro padre. Toglietevi la

camicia da notte e mettetevi i vestiti, forza».

«Cosa succede, nonna?» domandò Linn, attaccandosi alle

sue ginocchia «Perché dobbiamo andare via?».

«E dov’è che dobbiamo andare?» fece Erik «Io non vado da

nessuna parte se non mi dite dove».

La nonna piegò le labbra sottili in un sorriso, posando sulle

loro spalle quelle mani che erano sempre calde, anche

durante il più freddo inverno.

«Nel bosco, piccoli miei.» disse, guardandoli a turno «Non

eravate ansiosi di andarci?».

«Nel bosco?» domandarono all’unisono, strabuzzando gli

occhi «Adesso?».

«Gli spiriti si possono incontrare solo di notte, lo sapete.»

rispose la nonna «E se ci andrete col babbo, non correrete

alcun pericolo. Potrete vivere finalmente le storie che vi

racconta il nonno».

«Vuoi dire che incontreremo i troll?» domandò Linn,

rabbrividendo.

«E la Notte nel bosco?» aggiunse Erik.

«Chi lo sa!» la nonna si girò, aprendo il baule «Adesso

sbrigatevi, su».

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Come furono pronti, con la sciarpa, il berretto in testa e gli

zainetti stracolmi sulle spalle, il babbo stava ancora

parlando col nonno. Nessuno dei due uomini distolse lo

sguardo per più di un secondo, né le loro espressioni

smisero di essere gravi come un cielo prima della tempesta.

Solo quando il babbo si diresse in tutta fretta verso le

proprie cose, il nonno spostò la sua attenzione sui due

bambini.

«La nonna ha detto che andremo a cercare i troll» disse

subito Erik.

«Già, proprio così.» ribatté l’uomo, sorridendo a sua volta

«Non sei contento?».

Erik scosse la testa con aria volutamente seria.

«Non esistono. Non è vero che stiamo andando a cercarli».

Linn, al suo fianco, rimase in silenzio.

«Se così non fosse, ti avremmo detto una bugia. Non vorrai

mica dire che io, il babbo e la nonna siamo bugiardi?» il suo

sorriso si allargò ancora di più, mentre si piegava sulle

ginocchia «E poi… Aspetta di essere nel bosco, prima di dire

che non esistono».

Erik restò formo dove si trovava, sforzandosi di mantenere

la stessa sicurezza. Il nonno strizzò l’occhio a Linn e le posò

una carezza sui capelli, quindi si rialzò. Il babbo ricomparve

in quel momento, coi passi svelti che risuonavano sul

pavimento di legno.

«Sei proprio sicuro?» gli domandò il nonno.

«Non c’è alternativa.» rispose asciutto il babbo «Salutate i

nonni, bambini, e copritevi bene».

A turno, Erik e Linn abbracciarono il nonno e la nonna e si

sporsero per baciare le loro guancie. Poi, più rapidamente di

quanto si sarebbero aspettati, erano fuori nella notte, le

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mani strette in quelle del babbo e lo sguardo rivolto verso i

nonni, ritti in piedi sulla soglia. E di nuovo passarono più

veloci che poterono in mezzo a quella processione di povere

anime che sparivano dentro la nebbia prima ancora di aver

capito cosa stesse accadendo in una notte dei primi d’aprile,

verso la metà del secolo.

L’aria era ancora gelida, ma i polmoni, le guancie e

soprattutto la mano che porgevano al babbo sembravano

bollenti: né Erik né Linn accennavano a rallentare

l’andatura. Se il fiato mancava e le gambe si erano fatte

molli e pesanti da trascinare, bastava gettare uno sguardo al

viso del padre, continuamente corrugato e distante, per

ricordarsi che quella volta non potevano proprio chiedergli

di fermarsi. Solo quando furono giunti all’imboccatura del

sentiero si decisero tutti e tre ad arrestarsi, ansimanti,

sollevando gli occhi per percorrere i tronchi dei pini ancora

col loro carico di neve. La foresta si apriva dinnanzi a loro,

così cupa da impedire di distinguere qualcosa a più di

qualche metro di distanza: per quella notte, la luna sarebbe

rimasta nascosta dietro le nubi. I gemelli si sentirono rizzare

i capelli in testa all’idea di doversi addentrare in

quell’oscurità. Il babbo si tolse lo zaino per primo,

appoggiandolo a terra.

«Fatemi accendere la lampada, bambini» disse, intanto che

apriva lo zaino.

Erik e Linn si guardarono in silenzio, senza muoversi.

«Dobbiamo proprio farlo?» domandò Linn, dopo qualche

attimo.

«È un po’ buio, non ti sembra?» rispose il babbo, paziente.

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«Ma dobbiamo proprio andare nel bosco?» insistette la

bambina.

«E perché no? Avete sentito i nonni: andiamo a cercare i

folletti. Non siete contenti?».

Nello stesso momento si udì uno scoppio provenire dalla

baia. Non ci volle molto perché altri lo seguissero, sempre

più frequenti.

«Che cos’è stato?» domandò Erik, rabbrividendo «Cosa

sono questi rumori? Cosa c’entrano con noi?».

L’uomo distolse lo sguardo, aggrottando la fronte

impreparato. Linn si accorse di come nemmeno lui fosse in

grado di dare una risposta precisa. Strinse le labbra,

sforzandosi di inghiottire i singhiozzi.

«È arrivata la guerra, bambini.» mormorò il babbo «Su, ora

rimettiamoci in marcia».

«Non ce la faccio a camminare tanto» disse Linn, con la

voce rotta.

L’uomo sospirò, quindi si chinò per rimettersi lo zaino e

caricarsi in spalla la figlia.

«Porgimi la lampada, Erik» aggiunse brevemente,

stringendo piano quel corpicino a sé.

«Perché io devo camminare?» protestò il bambino,

lanciando un’occhiata invidiosa a Linn.

«Tua sorella è stanca.» rispose il babbo e se la caricò

delicatamente in spalla «Tu però devi diventare un uomo.

Sei più robusto di lei».

Erik non trovò niente da obiettare a quell’osservazione, così

seguì il padre lungo il sentiero, mentre Linn si reggeva alla

meglio al colletto del giaccone del babbo.

Dentro le mura di ogni casa le lancette dell’orologio

correvano alla solita, immutabile velocità di sempre:

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segnavano la marcia del destino sul tempo senza margine

d’errore. Ma lì, nel bosco, non c’erano più ore, minuti o

secondi: c’era solo la notte, e la nebbia. I dubbi, i sospetti, le

paure, erano la loro corte. Erik e Linn non facevano

domande, proprio perché sapevano che neppure il babbo

avrebbe saputo rispondere.

Il sentiero era stretto, nulla più che una strisciolina schiarita

nel buio. La luce della lampada oscillava in mezzo alla

foschia bianchiccia, tingendo qualche metro di un bagliore

ambrato. L’aria era fredda, le pietre umide e scivolose. La

patina di ghiaccio si annidava tra un sasso e l’altro, e anche

sulla loro superficie. Erik se ne accorgeva ad ogni passo che

muoveva: quello era il pericolo a cui doveva prestare

attenzione costante. Teneva gli occhi fissi sul sentiero e

alzava bene le ginocchia per evitare gli ostacoli, visibili e

non; le gambe gli dolevano per la fatica, ma suo padre non si

fermava. Erik soffriva a tener l’andatura, ma stringeva le

labbra per non lasciarsi scappare nemmeno un alito. Ogni

tanto alzava gli occhi, di nascosto, per vedere se il babbo se

ne fosse accorto, e si sentiva di poterli riabbassare

soddisfatto. Non si era reso conto di niente, per cui stava

mascherando bene lo sforzo.

In realtà, il babbo ava il suo daffare con Linn, la lanterna, il

sentiero e mille gravissime preoccupazioni. La bambina,

stretta al collo dell’uomo, aveva riconosciuto sin da subito la

sua agitazione; allarmata dal vederlo così nervoso, però, non

aveva osato chiedergli niente. Anche quando il freddo le

strappava un brivido, la piccola faceva finta di nulla, senza

cercare di attirare la sua attenzione. Il babbo, frattanto,

guardava dritto davanti a sé. Alle sue orecchie giungevano

rumori distanti; a volte immaginari, troppo spesso

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drammaticamente veri. Il loro suono, per quanto lontano,

gli sembrava superare persino i loro passi. A tratti lo portava

a trattenere il respiro e voltarsi, come se da un momento

all’altro i suoi peggiori timori potessero materializzarsi

proprio dietro di lui. La sua mente affogava nel vortice

dell’ansia. Era stanco. Distratto.

Scivolò. Linn si ritrovò improvvisamente a doversi

destreggiare con un brusco sbilanciamento. Vide la luce

della lanterna ondeggiare e sfrecciare via per illuminare

niente e nessuno e infrangersi inascoltata. D’istinto, senza

riflettere, slacciò le braccia dal collo del babbo. Senza che

nessuno le avesse spiegato il perché si scoprì a rotolare per

terra, fuori dal sentiero, sino a fermarsi. Tutta ammaccata.

Nel buio. Teneva le mani ancorate al terreno, come per

essere sicura che almeno quello non le mancasse. Tutto

quello che riusciva a vedere era il corpo riverso di suo padre

che cercava di risollevarsi. Erik accorse un attimo dopo.

«Babbo! Babbo!» gridava trafelato, e si chinò su di lui.

L’uomo esitò qualche istante, quindi alzò una mano per

tenere a bada il figlio. Erik si fermò e si azzittì: dentro di sé

non avvertiva più alcuna stanchezza. Senza una parola,

l’uomo si mosse, quindi si rovesciò con un gemito sulla

schiena. Quando ci fu riuscito, l’accenno di un urlo di dolore

gli salì irrimediabilmente sino alla bocca. Erik gli si fece

vicino senza pensarci due volte; Linn, che aveva una gran

voglia di piangere per via della caduta, restò ancora in

silenzio, trattenendo il fiato.

«Babbo!» chiamò di nuovo Erik.

L’uomo non rispose, rivolgendo solo uno sguardo al figlio.

Senza parlare, si tastò la gamba destra, accompagnando

ogni stretta con una smorfia del viso. Si fermò dopo qualche

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secondo, col respiro affannato. Scosse appena il capo, e

riprovò, ma dovette rinunciare.

«Babbo…» ripeté ancora Erik, con meno convinzione.

L’uomo rilassò come poté la gamba, guardando con

rassegnazione i due figli.

«Non vado più da nessuna parte, bambini» mormorò infine,

confermando i loro peggiori sospetti.

Ora più che mai a Linn venne voglia di piangere.

«Cosa ti sei fatto, babbo?» domandò con un filo di voce

Erik.

«Non lo so.» rispose il babbo, posando di nuovo gli occhi

sulla gamba lesa «Forse è rotta. Spero di no, ma non credo

di riuscire a camminare».

«Vuoi dire che dobbiamo restare qui?» gli chiese Linn,

preoccupatissima.

«Oh, no. Nemmeno per idea» il babbo scosse nuovamente il

capo.

«Ma siamo anche senza luce, adesso!» disse la bambina, sul

punto di crollare.

«Vuol dire che ci muoveremo di giorno.» decise il babbo

«Procederemo più lentamente, ma non possiamo né restare

qui né tornare indietro. Speriamo che non vengano a

cercarci, più che altro».

Linn ed Erik si scambiarono un’occhiata indecisa.

«E che cosa dobbiamo fare, adesso?» domandò il bambino.

Il babbo disse loro cosa gli serviva e i due bambini si

affrettarono: senza scostarsi dal sentiero, come l’uomo si era

raccomandato, scovarono un grosso ramo a forcella da usare

come stampella e con altri aiutarono il babbo a steccarsi la

gamba.

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Come ebbero finito, e visto che erano tutti troppo provati

per continuare, l’uomo li prese sotto le sue braccia per

tenerli al caldo. Lentamente, i bambini scivolarono in un

sonno inquieto e irregolare, in cui tutte le loro paure si

mescolarono, come richiamate da un’unica volontà. Dopo

una notte di brividi di freddo e di paura, Erik e Linn

accolsero i primi tiepidi raggi di sole come una benedizione.

Con molta fatica, aiutarono il padre ad alzarsi e gli stettero

vicino per ogni passo strascicato che faceva. Dovevano

fermarsi spesso e volentieri, e ogni volta, guardando

indietro, si accorgevano di quanta poca strada avessero

fatto; tuttavia, nessuno si azzardava a lamentarsi.

Nel pomeriggio, i movimenti del babbo si fecero sempre più

incerti. Sudava e stentava a tenere il proprio respiro sotto

controllo. Dovettero fermarsi prima del tramonto, che in

quella terra arrivava ancora molto presto, senza aver

concluso granché. I bambini prepararono un giaciglio di

foglie per il padre e ce lo accomodarono: era tale la sua

stanchezza che ebbe solo il tempo di ringraziarli e dividere

con loro una frugale cena che si addormentò. Erik e Linn si

ritrovarono da soli e ben svegli, con tutta la notte da dover

affrontare senza l’aiuto di nessuno.

Sedevano di fronte al genitore addormentato, con i visini

più gonfi di paura di quanto la loro età avrebbe dovuto

ammettere. Linn, che aveva posato le mani sulla fronte del

padre, le ritrasse piano.

«Ha la febbre» disse, guardando il fratello.

«Se ha la febbre dovrebbe mettersi a letto…» disse quello.

«Ma non c’è un letto, Erik!»

«Copriamolo anche con le nostre coperte» propose il

bambino.

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«E domani?» fece Linn.

Erik la guardò confuso.

«Ha la febbre tropo alta perché possa passargli in una

notte.» proseguì la piccola «Con la sua gamba, poi…

Dobbiamo trovare aiuto».

«Si fa presto a dirlo. Ma dove?».

«Beh…» disse Linn «Potremmo tornare in città».

«In città?» Erik storse la bocca, sdegnato «Il babbo non

vuole affatto tornare in città. Hai sentito cos’ha detto: è

arrivata la guerra».

«Ma è l’unica possibilità! Che altro possiamo fare?».

Il bambino si guardò intorno.

«Possiamo cercare qualcuno nel bosco» disse.

«Nel bosco!» Linn spalancò gli occhi «Erik, no! È

pericoloso! Ti sei scordato cos’ha detto il nonno?».

«Io so solo che abbiamo già passato una notte, qui dentro, e

di spiriti e folletti non ne ho visti.» replicò risoluto il

bambino «Poi fai come vuoi. Ma dobbiamo aiutarlo, che tu

lo voglia o no».

«Ma lo voglio anch’io!» esclamò la bambina, cercando di

farlo ragionare «Però-».

Erik non le lasciò dire altro. In un lampo di orgoglio si mise

in marcia lungo il sentiero, tutto impettito. Linn lo chiamò

più volte, ma lui non si voltò nemmeno; la bimba guardò

allora il padre, che dormiva ancora, e fu tentata di

svegliarlo, ma le parve che l’uomo avesse bisogno di riposo.

Così corse dietro al fratellino, da sola. Ma era stata a

pensarci troppo tempo: col buio che era ormai calato, di

Erik si erano già perse le tracce.

Il bambino, da parte sua, era ancora pieno di coraggio. Di

nebbia quel giorno non se n’era vista e si sentiva pronto ad

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affrontare l’intera notte. Dopo aver fatto solo pochi metri sul

sentiero, gli venne addirittura in mente che tagliando per il

bosco avrebbe risparmiato probabilmente un mucchio di

tempo e magari scoperto qualcosa che, restando sul

sentiero, non avrebbe visto mai. Così, senza riflettere, passò

tra un albero e l’altro. All’inizio si addentrò per pochi passi,

in modo da poter tenere sempre d’occhio la striscia del

sentiero, ma in breve tempo si disinteressò di ogni premura

e penetrò all’interno del bosco: così la sorellina non riuscì a

ritrovarlo.

Erik cominciò a pentirsi della sua scelta quando ormai fu

troppo tardi. I suoi passi si fecero più indecisi, il suo

coraggio cominciò a venire meno. Cercò di ritornare sul

sentiero, ma più lo cercava e più gli sembrava di smarrirsi,

mano a mano che diventava sempre più buio. Chiamò suo

padre e la sorellina a gran voce, senza ottenere in risposta

nulla più che il sussurro del vento tra le fronde. Erik, per

quanto si sentisse afflitto, non si perse d’animo e non smise

di camminare. Si rendeva conto che rischiava di perdersi più

di prima o, peggio ancora, di farsi male come era successo al

babbo, ma non accettava di ritrovarsi impotente. Inciampò

un paio di volte su delle radici, ma si tirò in piedi ogni volta.

Attorno a lui c’era solo l’oscurità. Immediatamente, al

piccolo vennero in mente i racconti del nonno, quegli stessi

che aveva deriso poco prima, e si accorse che adesso non era

più così facile ignorarli. Era davvero da solo in un bosco di

notte, stavolta, senza orientamento né luci. Un brivido gli

corse lungo la schiena e si ritrovò a galoppare con la

fantasia. Adesso i rami secchi non erano più solo pezzi di

legno: erano artigli scheletrici, ognuno di essi. Ombre

gigantesche si affacciavano dietro i tronchi degli alberi, lui le

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notava con la coda dell’occhio e si voltava di scatto per

fronteggiarle. Piccole creature gli saltellavano tra i piedi non

appena guardava altrove e poteva sentire le carezze viscide

degli spiriti lungo il suo collo. Erik si ritrovò in balia delle

sue paure più in fretta di quello che si sarebbe aspettato.

L’unica certezza che gli era rimasta era la luna, alta e bianca

nel cielo. Ogni tanto alzava gli occhi verso di essa, col

respiro affannato e le gambe che gli tremavano. Ripensava

allora alle parole del nonno: solo gli eroi riescono a scendere

a patti con la Notte nel bosco. Lui si era chiesto come fare, si

era domandato se fosse uno spirito, una persona, qualcosa.

Ora vi si ritrovava immerso. Erik sbatté le palpebre. Le

riaprì, e la luna non c’era più.

Sgranò gli occhi, sbigottito. Non c’era. Solo un tetto nero e

infinito, punteggiato di stelle. Improvvisamente sentì un

rumore e incredibilmente se la ritrovò davanti: a qualche

metro da lui, la luna, discesa chissà come dal cielo, si

muoveva attraverso le piante. Erik sentì il proprio sangue

farsi gelido come il ghiaccio. La luna era un viso, una

maschera bianca costretta nella sua espressione di sempre.

Un manto di foglie le frusciava sempre attorno,

ondeggiando piano. Il bambino indietreggiò impaurito. Di

scatto le foglie si aprirono come una vela e la luna si diresse

verso di lui. Erik si mise a correre via senza neanche

pensarci. Correva veloce come il vento, e la luna gli stava

sempre dietro, con le foglie che sibilavano mosse dal vento. I

rami erano d’un tratto le sue mani davvero: centinaia,

migliaia, che pareva sbrecciassero la terra per protendersi

verso di lui. Lo spirito alle sue spalle ululava e la sua voce

scuoteva le piante. Erik urlò con quanto fiato avesse, e gli

parve che la sua voce si perdesse in quell’altra, tanto più

Page 20: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

20

forte della sua. La luna fluttuava senza impedimento, un

viso candido che sfrecciava tra i tronchi senza mai

rallentare, ora immensa e incombente, ora minuscola e

lontana. Erik non riconosceva più le distanze, dove fosse,

quanto lo separasse da quell’essere. Correva, correva,

correva a perdifiato, madido di sudore, gridando a più non

posso. Improvvisamente, senza che neanche se ne fosse

accorto, si ritrovò di nuovo sul sentiero. Si voltò indietro

senza fermarsi, ritrovandosi di colpo a impattare contro

qualcosa che gridava come lui.

Il bambino si ritrovò col sedere per terra, mezzo intontito.

Davanti a lui, più o meno nelle stesse condizioni, c’era sua

sorella.

«Linn!» esclamò, senza riuscire a capacitarsi.

«Erik!» fece quella, con altrettanto entusiasmo.

Non aveva ancora finito di dirlo, però, che il bambino era

saltato nuovamente in piedi. La tirò in piedi senza mezze

misure, tenendola stretta per mano.

«Corri, corri!» le intimò «Mi insegue!».

«Ti insegue? Chi?» domandò Linn, scombussolata.

Erik si voltò indietro verso il bosco, solo per trovarlo quieto

e immoto. Restò immobile, spaventato.

«Dov’è la luna?» gridò trafelato, guardando tra gli alberi.

Linn lo fissò senza capire, prima di alzare il viso.

«Dove vuoi che sia? Eccola lassù» disse la piccola, indicando

il cielo.

Erik alzò gli occhi e vide anche lui la luna, ferma al suo

solito posto, tra le stelle. Scosse il capo tra sé, strattonando

la bambina perché si rimettesse a camminare.

«Andiamocene lo stesso. Svelta» disse, prendendo la

direzione che l’avrebbe riportato da suo padre.

Page 21: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

21

«Ma cos’è questa fretta? Chi ti insegue? Che cosa ti è

successo?» gli chiese insistentemente Linn.

Erik non sapeva cosa risponderle. Allentò la presa sul suo

braccio, mentre realizzava.

«L’ho vista» rispose infine, con voce tremula.

«Visto cosa?» domandò Linn «Erik, mi fai paura…».

«La Notte! La Notte nel bosco!» esclamò il bambino «O

almeno credo… Era… Non lo so com’era. So solo che la luna

è scesa ed è diventata la sua faccia! Mi ha inseguito sino qui!

Aveva… Tantissime braccia, ed era veloce, e poteva arrivare

ovunque!».

«Erik, ma cosa dici? Non può essere! Il nonno-».

«Ti dico che è vero!» continuò il bambino, affrettando il

passo «Esiste! In cielo la luna non c’era più! Dobbiamo

scappare!».

«Ma scappare dove?» gridò la bambina.

Erik si ritrovò con il cuore in gola. Dovevano raggiungere il

babbo, lui avrebbe… E qui si accorse che il babbo, quella

volta, non avrebbe potuto aiutarli, tantomeno in quelle

condizioni. Si guardò alle spalle, cercando nuovamente di

scorgere la misteriosa figura tra le piante.

«Non c’è più…» disse infine, mordendosi un labbro «Ma che

cosa dobbiamo fare?».

Linn guardò il sentiero con aria triste. A Erik cominciò a

venire voglia di piangere, ma dovette trattenersi.

«Non so cosa potremmo fare.» ammise la bambina «Hai

trovato qualcosa, tu?».

«Qualcosa? Ho trovato quel… Quella…» Erik allargò le

braccia «Tu non l’hai vista, Linn! Non dovremmo nemmeno

restare qui!».

Page 22: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

22

«Ma dov’era?» gli domandò la sorellina, che ancora non

riusciva a crederci.

«Era… Non lo so, era ovunque! Era tutto il bosco! Io mi ero

perso, e lei… È comparsa».

«Ma perché continui a dire “lei”?».

«Perché era lei! La Notte nel bosco! Cos’altro poteva

essere?».

Linn rimase in silenzio, impaurita.

«Non lo so…» rispose infine «Se ci fosse il nonno, magari ce

lo saprebbe dire. Dobbiamo parlarne con il babbo».

«Il babbo non crede agli spiriti» fece Erik, per nulla

convinto.

«Ma dovrai pur raccontargli quel che hai visto… Se è vero

che l’hai visto».

«Vorresti dire che non mi credi?» esclamò il bambino,

indispettito.

Non aveva ancora finito di dirlo che un verso simile a un

ululato si fece udire nella foresta. Erik diventò bianco come

uno straccio.

«Lo senti?» disse, prendendo di nuovo la sorella per un

braccio.

Linn non rispose. Poteva dire che che era un lupo in

lontananza o un qualche uccello notturno, ma solo

l’espressione sul viso di Erik bastava a spaventarla. Un

attimo dopo la bambina socchiuse gli occhi: la luna era

ferma in mezzo al sentiero.

«Corri!» gridò il bambino, e Linn non se lo fece ripetere.

La luna, la Notte nel bosco o qualsiasi cosa fosse aprì le ali

del suo mantello e diede in un ululato più lungo e potente.

Mentre il vento sferzava le fronde e soffiava come se volesse

scagliarli via da lì, i due bambini correvano a perdifiato

Page 23: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

23

lungo il sentiero, con quell’essere che si faceva sempre più

vicino. Correvano e nemmeno urlavano, perché le parole

non riuscivano nemmeno ad arrivare alla bocca, e la strada

non era altro che un tunnel senza fine verso il buio. D’un

tratto, quando erano sicuri di averlo alle spalle, il volto della

luna comparve improvvisamente di fianco a loro, come un

proiettile sparato attraverso la boscaglia. Subito, senza

fermarsi un istante, Erik si buttò a rotta di collo fuori dal

sentiero, trascinando con sé la sorellina. Linn trovò

finalmente la forza di gridare.

«No! No! No! Non di qui!» ma la stretta di Erik era salda e

la bambina non se la sentiva affatto di cercare di liberarsi.

Corsero giù per un breve pendio, con la paura di rompersi

l’osso del collo o finire in mano a quell’essere che sentivano

urlare dietro di loro. Senza neanche sapere come, si

ritrovarono in una radura, in mezzo alla quale si ergeva una

robusta casa di legno. Erik e Linn si fermarono ad appena

un metro dalle sue mura. Improvvisamente, il bosco era

nuovamente quieto. Nessun urlo, nessun vento, nessuna

creatura che li inseguiva. Solo una radura tranquilla, su cui

batteva la luce della luna, alta nel cielo. I due bambini si

guardarono attorno, affannati, col cuore che batteva a mille

nel petto. Non riuscirono a scambiare una parola per un

minuto abbondante.

«È sparita?» disse infine Erik «È sparita di nuovo?».

Linn non riuscì a rispondergli. Senza bisogno di dirsi niente,

si abbracciarono e si tennero stretti, senza riuscire a

smettere di tremare e di guardare il bosco tutt’intorno a

loro. A poco a poco, poi, allentarono la stretta.

«Dobbiamo uscire da questo bosco.» disse la bambina «Io

ho paura, non voglio restare qui».

Page 24: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

24

Erik annuì, ed era profondamente d’accordo con la

sorellina, ma la sua attenzione era rivolta alla casa di legno

davanti a loro.

«Dici che ci vive qualcuno, qui?» domandò dopo qualche

secondo.

Linn alzò la testa per liberarla dall’abbraccio del fratellino e

guardare la casa.

«Non lo so, credo di no.» rispose «Sembra una baita… O

magari è un capanno di cacciatori».

«Se ci fosse qualcuno, potrebbero aiutare il babbo» disse

Erik, e già aveva preso la sua decisione.

Linn annuì, ancora con il cuore in gola.

«Dovremmo provare a bussare.» suggerì «Fallo tu».

«Eh? Perché devo farlo io?».

«Perché io ho paura, Erik!».

«Ho paura anch’io, cosa credi? Io quella cosa l’ho vista due

volte, oltretutto! Tu una sola!».

Rimasero così per qualche secondo, indecisi su chi dovesse

prendere l’iniziativa, prima che Erik, alla vista dello sguardo

spaventato della sorellina, si facesse coraggio.

«C’è… C’è qualcuno?» domandò, senza muoversi di lì.

Poi, siccome nessuno gli rispose, provò ad alzare la voce.

«C’è qualcuno?».

Solo il vento emise una sorta di gemito, e a quel punto

entrambi i bambini alzarono gli occhi al cielo per sincerarsi

che la luna fosse ancora al suo posto. Infine, Erik si decise

ad andare alla porta e a bussare; Linn gli stette comunque

attaccata sino all’ultimo. Anche stavolta, tuttavia, nessuno

gli rispose.

«Niente» concluse il bambino.

Page 25: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

25

«E’ proprio abbandonata.» aggiunse Linn «Potrebbe

ripararci dal freddo, almeno, se fosse aperta» e, nonostante

il buio e la paura, si mise a guardare se c’erano dei lucchetti.

Non ne videro e, con loro grande sorpresa, si accorsero che,

spingendo, la porta si spostava leggermente. Si diedero

allora uno sguardo d’intesa e, di comune accordo, si misero

a spingere la pesante porta di legno con tutte le loro forze.

Ed essa si aprì.

All’interno era troppo buio per vedere qualcosa, ma a parte

una gran puzza di chiuso, i due non sentirono altro.

«C’è nessuno?» chiese ancora Erik, con la sorellina

nuovamente incollata addosso.

Ma non vi fu risposta nemmeno stavolta. Dopo aver passato

più di un minuto all’interno, i bambini giunsero alla

conclusione che la baita era proprio disabitata e,

soprattutto, sicura.

«E’ chiaro che qui non viene nessuno da un po’.» disse Linn

«Forse addirittura da tutto l’inverno».

«Meno male. Avevo già paura che fossimo capitati nella casa

di una strega».

«Non farmici pensare.» ribatté la bambina, impaurita «Non

è abbastanza quel che abbiamo già passato?».

E si sedettero a terra, finalmente all’asciutto e a riparo dal

vento. Non era passato molto tempo, però, che Linn

cominciò a dare segni di inquietudine.

«Il babbo è la fuori» mormorò alla fine, guardando la porta.

Erik fissò la sorellina con un certo timore.

«Non possiamo lasciarlo là fuori» continuò quella.

«Il babbo non riesce a camminare.» disse il bambino «E

fuori c’è ancora quella creatura…».

Page 26: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

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«E tu vuoi lasciare il babbo indifeso, con la… La Notte nel

bosco?» fece Linn, assestandogli una vera e propria stoccata

con lo sguardo.

Erik accusò il colpo. Guardò la porta e deglutì. Le gambe gli

tremolavano, e assieme alle sue quelle della sorellina.

«Se non l’ha già mangiato…» osservò il fratellino.

«Non dirlo nemmeno per scherzo!» esclamò la bambina.

«Dobbiamo tornare sul sentiero, allora.» disse Erik «Quello

non dovrebbe essere difficile. Ma dovremo sostenere il

babbo sin qui».

«Ed essere anche veloci» aggiunse Linn.

«E anche ricordarci la strada. Come faremo, con questo

buio?».

La piccola si portò un dito alle labbra rosse, pensosa, quindi

rialzò gli occhi con un sorriso.

«Come Pollicino.» rispose «Raccoglieremo dei sassolini e

segneremo la strada per tornare fin qui».

«Linn, Pollicino è una favola».

«E la Notte nel bosco che cos’è?».

Erik abbassò il capo: ormai aveva capito che non c’era più

scampo. Così, dopo essersi fatti coraggio a vicenda, uscirono

dalla baita. Si guardarono attorno a lungo prima di gettarsi

nella radura in cerca di pietre chiare e numerose, che

potessero risaltare sotto la luce lunare. Quando ne ebbero a

sufficienza, presero la via che conduceva al sentiero, non

distante da lì, e lasciarono cadere i sassolini dove avrebbero

potuto vederli al ritorno; infine, una volta giunti a

destinazione, lasciarono tutti quelli che rimanevano loro nel

punto in cui sarebbero dovuti scendere lungo il pendio che

conduceva alla baita. Giunti sul sentiero, si presero per

mano e si diressero più svelti che potevano verso il punto

Page 27: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

27

dove avevano lasciato il babbo. E il babbo era ancora lì,

avvolto nella sua coperta e in quelle dei figlioletti,

addormentato e provato. Erik e Linn, nel rivedere il loro

amato genitore, si sentirono improvvisamente rincuorati.

Stavano per svegliarlo, quando il bambino si fermò.

«Pensi che dovremmo dirgli della Notte nel bosco?»

domandò alla sorellina.

«Certo che dobbiamo!» rispose lei, con sicurezza.

«Ma pensi che dovremmo dirglielo “adesso”?».

Linn si fermò, colpita da quella domanda.

«Siamo già spaventati noi due, non possiamo spaventare

anche lui.» spiegò intanto Erik «E poi magari non ci

crederebbe».

«E non crederebbe nemmeno alla baita, a quel punto» disse

Linn.

Così decisero che per il momento, nonostante la paura, non

gli avrebbero detto nulla. Stabilito ciò, si avvicinarono al

padre e si misero a scrollarlo per svegliarlo, sino a che

l’uomo non riaprì gli occhi.

«Babbo, babbo!» fecero i bambini «Devi venire con noi:

abbiamo trovato una baita qui vicino!».

«Una baita?» fece l’uomo, svegliandosi di botto a quella

notizia «E c’è qualcuno?».

I bambini scossero il capo assieme.

«Però magari potrai riposarti meglio, lì» gli risposero.

Il padre non sapeva se rallegrarsi o rattristarsi di quella

notizia, ma, sinceramente commosso dal gesto dei suoi figli,

non poté rimproverar loro niente.

«E’ tanto lontano?» domandò «E non c’è pericolo?»

«No, babbo, è qui vicino» disse svelta Linn.

«Su, alzati, che ti aiutiamo noi» aggiunse quindi Erik.

Page 28: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

28

E, con molta fatica, l’uomo si alzò sulla gamba sana e si fece

condurre dai due bambini. Erik e Linn, da parte loro,

morivano di paura all’idea che la notte nel bosco tornasse

mentre erano lungo la strada e provavano a immaginarsi

cosa avrebbero dovuto fare se fosse accaduto. Ma questa

volta la luna restò alta nel cielo, e la famigliola raggiunse la

baita senza fare spiacevoli incontri. Giunti all’interno, il

padre si sedette contro una parete e disse loro di cercare se

c’era un posto per dormire. Procedendo a tastoni, riuscirono

a trovare un letto e tale fu la loro gioia a quella scoperta che,

una volta che furono tutti e tre sotto le coperte, si

addormentarono con il cuore sereno, tranquilli, come se

niente di male fosse mai accaduto.

L’indomani il sole li salutò con aria benigna. L’inverno era

finito, la vita si risvegliava: per chi aveva trascorso tanti

mesi avvolto nel freddo, nella neve e nel buio, sarebbe stato

come tirare un bel respiro dopo una lunga apnea. Ma

appena fuori dalla baita le sorti del mondo cambiavano, e

non in meglio. Poteva anche sorgere il sole più luminoso,

ma nulla avrebbe potuto rischiarare quell’ombra nera che

prendeva possesso della vita a suon di cannonate.

E mentre la guerra decideva le sorti della città, Erik e Linn

dovevano ancora occuparsi di tutto. Il sonno aveva portato

ristoro, ma le condizioni del babbo non erano migliorate:

serviva un dottore e non avevano idea di dove andare a

cercarlo. Dietro consiglio del genitore, ispezionarono la

baita in cerca di provviste. Fu così che, aprendo la porta di

uno stanzino, trovarono quello che non avrebbero mai

sperato.

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29

«E’ una slitta!» esclamarono, e non smettevano di

guardarla.

«E sembra molto solida.» aggiunse Erik, che era il più

entusiasta dei due «Dobbiamo dirlo al babbo».

E corse su, senza dare tempo a Linn di parlare. Quando però

il babbo ricevette la notizia, gli comparve solo un tiepido

sorriso sulle labbra.

«E chi trascinerà la slitta, Erik?» gli domandò, con aria

paziente.

Il bambino rimase interdetto e guardò la sorellina, che

aveva fatto lo stesso ragionamento del padre.

«Ci vorrebbe un cavallo.» disse la piccola «O un asino».

«Inoltre la neve si è sciolta, ormai.» disse il padre «La slitta

finirebbe per fracassarsi, probabilmente».

A Erik tutto questo sembrava incomprensibile. Avevano

trovato un mezzo e dovevano lasciarlo lì. L’avrebbe spinta

da solo, disse, ma il babbo fu il primo a dirgli che non ci

sarebbe mai riuscito. No, dovevano abbandonare l’idea della

slitta e caricare tutte le provviste negli zaini: e difatti fu

quello che a malincuore fecero. Così ripartirono, due

bambini che sorreggevano come potevano un adulto

malfermo e traballante che sembrava sul punto di doversi

fermare ad ogni passo. Né Erik né Linn si erano azzardati ad

accennargli qualcosa di quello che avevano visto, vedendolo

soffrire a quel modo.

Il sole si alzò nel cielo e fece il suo ciclo; poi tornò la notte, e

l’aria era fredda, la strada percorsa poca e quella da

percorrere ancora troppa. Dopo aver adagiato l’uomo su un

giaciglio il più comodo possibile ed averlo coperto con tutto

ciò che avevano, i due bambini si ritrovarono di nuovo soli. I

loro piccoli cuori si gonfiarono di paura, di fronte a quella

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solitudine e all’epilogo incerto di quell’impresa disperata. Si

tennero stretti, sussultando a ogni rumore; i minuti

trascorsero, e poi le ore, senza che niente di male accadesse.

A poco a poco, i due bambini cominciarono a

tranquillizzarsi e a riflettere.

«Non arriva nessuno» disse infine Linn, spezzando la

tensione.

«Già» le fece eco il fratellino.

Poi tacquero, almeno per qualche secondo.

«Secondo me avremmo fatto più strada, con la slitta»

riprese Erik.

«Hai sentito cos’ha detto il babbo.» gli ricordò Linn

«Però…».

«Però cosa?».

La bambina esitò, stringendosi nuovamente al fratello.

«Però mi sembrano strane alcune cose.» disse poi, con un

filo di voce «Non pensi… Non pensi che sia stata una

fortuna trovare quella baita?».

«Certo che sì. C’era anche la slitta» ripeté cocciutamente

Erik.

«E non pensi che sia stata un grande fortuna anche che ci

siamo ritrovati, quando tu ti eri perso nel bosco?».

Erik si imbronciò: stava per ribadire che non si era affatto

perso, quando un dubbio gli sorse spontaneo.

«Dove vuoi arrivare?» domandò alla sorellina.

«Beh…» fece quella «Voglio solo dire che mi sembra strano

che la Notte nel bosco volesse farci del male».

«Ma ci ha inseguiti! Due volte!».

«Sì, lo so.» ammise Linn, sorprendentemente calma «Però è

scomparsa non appena ho trovato te. E dopo, quando

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31

abbiamo trovato la baita. E’ come se avesse voluto condurci

fin lì, capisci?».

Erik non disse una parola, restando ad ascoltarla.

«Ricordi le storie del nonno?» continuò la bambina «Gli

spiriti, le fate e gli gnomi a volte aiutano gli uomini, se

questi li trattano con gentilezza. Magari anche la Notte nel

bosco ha voluto aiutarci».

«Poteva fermarsi a dircelo, senza correrci dietro a quel

modo» brontolò il fratellino.

«E se provassimo a parlarci noi per primi?».

Erik strabuzzò gli occhi.

«Finora ci ha aiutati.» disse Linn «Magari a modo suo…».

«Non sappiamo nemmeno se volesse aiutarci o no.»

protestò il bambino «Potrebbe farci chissà cosa!».

«Preferisci restare qui senza fare niente, mentre il babbo è

in quelle condizioni?» la bambina indicò il padre,

incosciente, con un dito «Hai forse paura, Erik?».

Il bambino si sentì punto nel vivo da quella provocazione.

Inspirò a fondo e la guardò negli occhi, tutto impettito,

prima di sollevare il mento.

«Io non ho paura di nulla» disse, con tutto il coraggio che

aveva.

«Allora vieni con me e andiamo a cercarla» fece Linn, e si

strinse attorno al suo braccio.

Erik deglutì e restò rigido come un palo, ma ormai si era

lasciato sfuggire quella frase, e non era da lui tirarsi

indietro. Procedettero lungo il sentiero, quindi, tenendosi

stretti per farsi coraggio l’un l’altro. Mentre rifacevano la

strada all’indietro riscoprivano pietre e alberi su cui avevano

già posato la loro attenzione ore prima e li trovavano uguali,

come se fossero semplicemente addormentati sotto la

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coperta morbida del buio. I loro sguardi saettavano da

un’ombra all’altra, aspettandosi di veder saltar fuori da un

momento all’altro un lupo, un troll o l’immagine spaventosa

dello spirito che stavano cercando. Ma nulla di questo

accadde: la notte era quieta, persino accogliente. Erik e Linn

si accorsero pian piano di non avere più paura. Anche

quando raggiunsero la baita, e si resero conto di aver fatto

più strada di quel che si aspettavano. Discesero il pendio di

comune accordo, dal momento che il bambino aveva

ricominciato a insistere con la storia della slitta. Fermi di

fronte alle pareti di legno della baita, non notarono però

nulla di strano, nessun segnale che indicasse loro la

presenza di alcuno spirito. Erik posò le mani sui fianchi,

guardandosi attorno. Tacquero per un minuto buono buono

e cominciarono inevitabilmente a dubitare della loro scelta.

«Forse ce la siamo soltanto immaginata…» arrivò a

mormorare Linn, rompendo il silenzio.

«Non dire sciocchezze.» ribatté Erik «Dev’essere

sicuramente da qualche parte. Magari è nei dintorni».

«Ma non possiamo cercarla per tutto il bosco».

«Allora la chiameremo» stabilì il bimbo, già portando le

mani a coppa davanti alla bocca.

«No!» fece la sorellina, prendendolo per un braccio «Erik,

non-».

«Vuoi lasciare il babbo in quelle condizioni?» le chiese lui,

rivolgendole la stessa domanda che poca prima gli aveva

fatto lei.

Linn si morse un labbro, senza riuscire a parlare, quindi

ritrasse la mano. Erik annuì con aria seria, inspirando a

fondo: già sentiva mancargli la forza di fare quel che si era

ripromesso, quando una luce flebile e chiara comparve in

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mezzo al bosco. Entrambi i bambini rabbrividirono

immediatamente e sentirono l’impulso di scappare a gambe

levate.

«Erik» riuscì appena a dire la sorellina.

Lui non spiccicò parola. Teneva gli occhi puntati su quel

bagliore e non riusciva a muovere un muscolo. Da un

momento all’altro, pensò, avrebbero potuto ritrovarsi di

nuovo a scappare, anche se nulla provava che quella luce

fosse uno spirito. Ma che altro poteva essere, in mezzo al

bosco e a quell’ora di notte? I due bambini riuscirono pian

piano ad uscire dall’impasse. Si scambiarono uno sguardo

quindi, senza neanche sapere con quale coraggio, si

diressero un passo alla volta verso quel misterioso bagliore.

Era una radura, un piccolo spiazzo in mezzo al bosco fitto, di

cui ci si poteva accorgere solo quando ci si ritrovava dentro.

Erik e Linn vi entrarono con tutte le cautele, facendosi

ancora più piccoli di quello che erano. E la videro.

Sedeva su una grossa roccia e accarezzava la testa di una

lince, ritta sulle zampe posteriori per raggiungere la sua

mano. Perché ovunque, attorno a lei, si affollavano le

creature della foresta: c’erano linci e lupi, ma anche un

grande cervo dalle superbe corna, e poi gufi sui rami degli

alberi e ancora altri rapaci. Era come una donna: i due

bambini vedevano le sue lunghe gambe accavallate e le sue

braccia, ma attorno ad esse si attorcigliavano rovi spinosi, e

mani e piedi terminavano in artigli aguzzi come quelli di un

predatore. Ma poco si poteva vedere di lei: un lungo

mantello di foglie con tanto di cappuccio la ricopriva quasi

per intero e pareva muoversi e infoltirsi continuamente per

ogni alito di vento. Quando poi alzò il viso verso di loro, Erik

e Linn si sentirono raggelare. Perché non era un semplice

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volto quello che avevano davanti, ma la faccia stessa della

luna, una maschera pallida su cui si aprivano due spiragli

neri, bui come la notte.

Non disse nulla, né gli animali attorno a loro diedero segni

di paura o aggressività. I due bambini mossero ancora

qualche timido passo. Videro che dal suo viso nasceva quel

debole bagliore che permeava tutta la radura, ma il suo

corpo restava sempre in ombra sotto il mantello, come se

nemmeno esistesse. La lince girò la testa a guardarli, senza

un vero interesse. Erik e Linn si piantarono lì dov’erano,

senza riuscire ad aprire bocca. La bambina teneva le mani

strette attorno alla giacca del fratello.

«La signora Notte?» balbettò appena, e la sua voce le parve

molto più forte di quel che si aspettava.

Lo spirito chinò il capo e lo risollevò, come per annuire, e di

nuovo scese il silenzio. Linn guardò Erik senza un vero

sollievo.

«È davvero lei» gli disse, con i grandi occhi aperti.

«Però non parla.» bisbigliò il bambino «Forse non può

farlo. Chiedile se è muta».

«Io? Chiediglielo tu!».

«Posso parlare» rispose la Notte, e la sua voce bastò a farli

rabbrividire: sembrava l’eco del vento che soffia tra le

montagne, distante e potente, in qualche modo suadente.

Linn si lasciò scappare un debole gemito di paura.

«Scusateci, signora Notte.» si affrettò a dire «Noi volevamo

solo-».

«Non c’è bisogno di scuse.» riprese lo spirito, e nel suo tono

pareva esserci una sorta di stanchezza «Venite avanti, su.

Non volevate parlare con me?».

I due bambini si scambiarono uno sguardo ansioso.

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«Cavolo, l’abbiamo proprio educata, allora» si lasciò

scappare Erik.

Linn lo guardò con aria confusa.

«Vorrai dire “evocata”.» lo corresse la Notte, scuotendo poi

piano la testa «E comunque no, non mi avete evocata. Non

ce n’è bisogno: io arrivo da me, al calar del sole».

Linn gettò un’occhiataccia al fratellino, ma quello, come suo

solito, era ben lungi dal desistere.

«Se è vero quello che dici, perché nessuno ti ha mai visto?»

domandò senza girarci attorno.

«Chi ha detto che nessuno mi ha mai visto?» ribatté la Notte

«Molti mi hanno visto, invece, ma solo pochi hanno creduto

ai loro occhi. E nessuno può vedermi, se non ha la forza di

credere in me».

«Quindi noi vi vediamo perché ci crediamo?» fece Linn,

affascinata.

La Notte annuì nuovamente, e i due bambini si rivolsero ora

uno sguardo divertito e anche orgoglioso. Galvanizzati, si

decisero ad avvicinarsi a lei e poterono così osservarla,

anche se il solo cogliere con uno sguardo il movimento del

suo mantello sembrava bastare a far incrociare gli occhi.

Erik rialzò tuttavia la testa, colto da un dubbio.

«Ma perché ci avete inseguiti, ieri?» le domandò, sospettoso

«Non sembrate cattiva, a vedervi da vicino».

«Perché avevate paura voi per primi.» la Notte nel bosco

abbassò il viso, emettendo uno sorta di sospiro «Noi spiriti

siamo fatti così: viviamo grazie alle emozioni degli uomini e

ce ne nutriamo, sino ad assumerne la forma. Così come

fanno i sogni… E gli incubi».

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Quella risposta non sembrò loro per nulla rassicurante, e

anzi li mise a disagio, ma la Notte ricominciò subito a

parlare.

«Ci sono spiriti buoni e spiriti malvagi, in ogni caso, proprio

come avviene per gli uomini. Vostro padre ha urgente

bisogno di aiuto e così anche molte altre persone, nella città.

È arrivata la guerra, la peggiore follia degli uomini, e questo

è solo l’inizio. Poveri, poveri uomini… Si scavalcano l’un

l’altro senza una ragione, combattono contro i loro fratelli, i

loro padri e i loro figli. I vivi si ergono più in alto solo se

tengono i piedi sui morti. Poco rimane, eccetto dolore e

disperazione».

«E noi cosa possiamo fare?» domandò Linn.

«Voi?» la Notte, pur dietro la sua maschera inespressiva,

sembrò sorridere «Voi potete fare qualsiasi cosa, bambini.

Voi siete il presente e il futuro. Soprattutto, avete la

speranza, che è l’energia più forte di tutto l’universo. Ma

dovrete averne tanta, e anche tanto coraggio, se volete

cominciare con l’aiutare vostro padre».

«Certo che vogliamo!» esclamò Erik, indispettito «Siamo

venuti qui per questo! E per la slitta».

«Non essere troppo sicuro di te, e meno che mai di quello

che hai attorno.» lo mise in guardia la Notte «Perché il

bosco è pieno di pericoli e io lo so meglio di tutti, perché io

sono quei pericoli: le mie mani possono accarezzare questa

creatura, ma i miei rovi possono ferirla; la pietra può essere

utile per costruire una casa, ma può anche essere usata per

fare del male. Non essere avventato».

Erik si sentì punto sul vivo da quella affermazione, ma

rimase in silenzio; la mano della sorellina che lo accarezzava

bastò d’altronde a fargli dimenticare la rabbia.

Page 37: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

37

«Cosa dobbiamo fare, allora?» domandò proprio Linn.

La Notte nel bosco li guardò per qualche attimo, quindi

sollevò un braccio per indicare una direzione.

«Dovete andare verso la collina e cercare la casa scavata al

suo interno.» disse «Ma fate molta attenzione, se decidete di

andare: voi sapete bene quali creature abitano in posti come

quello».

«Ma questo aiuterà il babbo?» fece la bambina.

«Se sarete saggi, sì.» rispose la Notte «Siate molto

prudenti».

Un attimo dopo, la radura era di nuovo immersa nella

penombra. Alzando gli occhi al cielo, i due bambini

poterono intravedere solo la luna che veniva nascosta da

una nuvola.

Erik e Linn si erano messi in marcia quasi subito,

nonostante i molti dubbi. Ne avevano a malapena discusso

mentre camminavano: se volevano aiutare loro padre

dovevano fare qualcosa. La Notte aveva dato loro una

direzione e non potevano permettersi nemmeno il lusso di

dubitare della bontà delle sue intenzioni, perché non c’erano

alternative. Curioso come l’incontro con uno spirito - perché

di questo si trattava - non li aveva emozionati come

avrebbero creduto: c’erano problemi più grandi a cui

pensare, esattamente come dicevano sempre i grandi. Con la

differenza che i due bambini, nella loro innocenza, facevano

solo quel che ritenevano giusto fare, scegliendo di fidarsi,

magari anche ingenuamente. Di credere.

Così camminarono, tagliando anche fuori dal sentiero pur di

non perdere quella che sembrava loro la direzione giusta, tra

le piante dai tronchi umidi e freddi, sulla terra che

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38

scricchiolava, come mettendo in allerta tutti gli abitanti del

bosco. Un passo alla volta, tenendosi per mano più che

potevano e aiutandosi a vicenda a mettere i piedi nei punti

giusti, per non inciampare o scivolare sul ghiaccio che era

ancora in agguato. Fino a quando si accorsero che la

vegetazione si diradava un poco e che una collinetta, poco

più che un tumulo, si ergeva davanti a loro.

«Eccola!» esclamò subito Erik, facendosi avanti per primo.

Linn si affrettò a corrergli dietro per non perderlo, com’era

già successo la notte precedente. Insieme guardarono la

collinetta, cercando di scrutare attraverso l’oscurità per

trovare un’entrata. Un’aria insolitamente pesante era calata

tutt’attorno.

«Secondo te come si entra?» domandò il fratellino.

«Non lo so.» rispose Linn «Siamo sicuri che sia il posto

giusto?».

«Io sono sicuro» fece Erik, da parte sua.

«Non vuoi proprio dare ascolto agli avvertimenti della Notte

nel bosco.» lo rimbrottò la sorellina «Comunque, cerchiamo

almeno di ricordarci le favole del nonno e cosa facevano gli

eroi a questo punto. Mi sembra la cosa migliore da fare».

Erik annuì, non potendo darle contro. Si fermò quindi a

valutare la situazione, perché gli eroi erano sempre saggi e

molto furbi, e lui non voleva essere da meno. Ma non gli

venne in mente nulla.

«Forse ci serviva una formula magica.» disse dopo un po’

«Oppure una chiave speciale, magari d’oro. O un animale

parlante».

«Non abbiamo nessuna di queste cose» disse Linn,

sconsolata, ma rialzando il viso sobbalzò e prese il fratello

per un braccio «Erik, guarda! C’è una capretta, là!».

Page 39: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

39

Il fratellino si voltò: c’era davvero una capretta, e anche

graziosa. Bianca, con una lunga barbetta e un paio di

cornette. Li guardava, come incuriosita, masticando chissà

cosa.

«Le capre in genere dormono a quest’ora.» disse Linn

«Come mai questa è sveglia?».

«Forse perché è una capra parlante.» ad Erik parve l’unica

spiegazione possibile «Dovremmo provare a parlarci, come

con la Notte nel bosco».

La sorellina lo guardò con poca convinzione, ma gli rimase

accanto mentre lui si avvicinava all’animale. Erik si

raddrizzò, quindi, e con fare educato chinò il capo.

«Signora capra?» disse, guardandola negli occhi

«Cerchiamo la casa nella collina».

La capretta lo guardò senza una parola. Continuò a

masticare in silenzio, ritta sulle quattro zampe.

«Signora capra?» preoseguì il bambino «Per favore, è una

questione della massima importanza».

L’animale continuò a limitarsi a fissarlo.

«Erik, ho paura che sia una capra che non parla» disse Linn.

Il fratellino si voltò verso di lei, prima di dare un’altra

occhiata all’animale. Sospirò, poco propenso ad accettare

quella delusione.

«Ma almeno potrebbe fare qualcosa per aiutarci» borbottò,

quindi tese un braccio verso di lei, come per richiamarla.

A quella vista, la capretta si girò e saltò via, evidentemente

impaurita. Erik si raddrizzò come una molla.

«Seguiamola!» disse subito il bambino, e Linn stavolta non

si oppose: sperava che la capretta fosse corsa verso il suo

recinto, e quindi nei pressi di una casa.

Page 40: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

40

Così inseguirono l’animale senza perdere tempo, pieni di

speranza. Ma avevano fatto solo qualche metro che misero i

piedi su una botola scavata proprio ai piedi della collinetta e

tutti e due, con un breve urletto, vi caddero dentro.

Rotolarono goffamente, raggiungendo il fondo prima di

quanto avessero sperato. Entrambi si cercarono subito con

le mani, trovandosi l’uno accanto all’altra.

«Linn!» la chiamò il fratellino «Stai bene? Non ti sei rotta

una gamba anche tu?».

«Sto bene.» rispose subito la piccola, pur coi lucciconi agli

occhi per la caduta «Ma siamo caduti in una trappola».

Erik si tirò in piedi sbrigativamente, aiutando quindi la

sorellina a rialzarsi: era vero, erano sul fondo di una buca.

Ma guardandosi attorno si accorsero che non era una

semplice buca. Videro subito, infatti, una porticina di legno

davanti a loro.

«La casa nella collina!» esclamò Linn, stringendosi al

fratellino.

Erik annuì, ancora a bocca aperta. Poi, senza esitare, girò la

maniglia e la porta si aprì. Linn avrebbe voluto

rimproverarlo perché non aveva bussato, ma quello che si

ritrovò davanti le tolse il fiato. C’era una stanzetta, oltre la

soglia, illuminata da quelle che sembravano molte candele.

Occorse loro solo un secondo per capire che la loro luce si

rifletteva su oro e gioielli, in grandissima quantità. Di fronte

a quella visione, i due bambini sporsero la testa in avanti e

trasalirono: c’era un vero tesoro, lì dentro. Lingotti,

montagne di monete negli angoli e gemme disperse ovunque

come se fossero sassolini: persino le suppellettili erano tutte

d’oro massiccio. E su una poltroncina, in special modo, Erik

e Linn videro una bellissima fanciulla seduta, intenta a

Page 41: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

41

ricamare. La sua pelle candida spiccava più di ogni altra

cosa nella penombra, i suoi capelli lunghissimi erano più

biondi del più fulgido oro; li guardò, e i suoi occhi grandi e

celesti erano pieni di dolcezza. Quello sguardo, per i due

fratellini, valeva ben più di tutte quelle ricchezze.

«Due bambini?» disse, stupita «Che cosa ci fate nel bosco a

quest’ora?».

Erik e Linn erano rimasti a bocca aperta.

«Vi chiediamo scusa, signora.» riuscì a rispondere la

bambina «Noi stavamo solo seguendo una capretta…».

«Intendete la mia capretta, sicuramente.» ribatté la

fanciulla «Ma sbrigatevi ad andarvene: quando ho sentito il

rumore credevo che fosse l’uomo della collina che tornava:

se vi trovasse qui non so cosa potrebbe succedere!».

«Ma la Notte nel bosco ci ha detto di venire qui.» protestò

Erik «Non ho paura di questo uomo della collina».

«Invece dovresti, bambino caro, perché è un mostro

terribile.» lo mise in guardia la fanciulla, angosciata «Ma

cosa vuol dire che la Notte vi ha detto di venire qui?».

«Non è facile da spiegare.» ammise Linn «Ma vi prego,

signora: nostro padre si è fatto male e non può camminare!

Ci è stato detto di cercare la casa nella collina, se vogliamo

fare qualcosa per lui!».

La giovane, ancora in ansia, parve ancora più allarmata a

quella notizia: si guardò intorno velocemente, quindi si alzò

in piedi e fece entrare i due bambini, richiudendo quindi la

porta. Si inginocchiò poi davanti a loro, prendendo i loro

visi nelle sue mani.

«Bambini miei, io non so chi siete né da dove venite, ma

correte un grave pericolo anche solo ad aggirarvi da soli nel

bosco. Questa casa, poi, è il luogo più pericoloso di tutti: se

Page 42: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

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siete venuti fin qui, non ho bisogno di chiedervi quanto sia

urgente il vostro bisogno di aiuto. Di qualunque cosa

abbiate bisogno, dunque, chiedete pure, perché l’avrete. Ma

fate in fretta, vi prego: non sopporterei l’idea che l’uomo

della collina vi prendesse! Ditemi, dunque, che cos’è

successo».

Erik e Linn, se avevano deciso di fidarsi della Notte del

bosco con un certo timore, non nutrivano alcun dubbio in

quella bellissima fanciulla dagli occhi amorevoli. Così le

raccontarono tutto quello che era successo, dell’incidente

che era capitato al babbo e di come nientemeno che uno

spirito avesse detto loro di cercare quella casa. Alla fine la

fanciulla annuì, si alzò e andò a prendere una vecchia fiasca

appesa al muro, che sembrava del tutto fuori contesto in

quella stanzetta così piena di ricchezze.

«Se volete curare vostro padre, dovrete usare questa, e

nient’altro.» disse «Se verserete la birra nella fiasca sulla

ferita, essa guarirà, perché è una potente medicina».

Erik e Linn guardarono la fiasca con scetticismo.

«Della birra?» domandò la bambina «Come può curarlo?».

«Giusto.» convenne il fratellino «Non sarebbe meglio che ci

deste un po’ di questo oro per pagare un bravo dottore?».

«L’oro può comprare molte cose, bambino mio, ma non può

restituire la salute, una volta che la si è persa.» gli rispose la

fanciulla «Potreste pagare un dottore, certo, ma non farebbe

in tempo per salvare vostro padre. Dovete avere fiducia,

invece, e speranza. Ricordate: la fiasca lo curerà, sì, ma solo

se vi comporterete secondo giustizia. Se farete un cattivo

uso di quella fiasca, quella birra sarà solo una birra e non

curerà niente e nessuno».

Page 43: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

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I due bambini apparivano confusi come non mai, in quel

momento. Le parole della fanciulla avevano senso ai loro

orecchi, ma al contempo sentivano dentro di loro che un

adulto le avrebbe trovate stupide, se non addirittura

pericolose. Non ebbero tempo però di chiedersi altro, perché

la fanciulla si inginocchiò di nuovo davanti a loro.

«Ma adesso andate, vi scongiuro.» disse, guardandoli con

gli occhi lucidi «Risalite in fretta attraverso la buca e correte

verso il sentiero, che l’uomo del bosco non percorre mai.

Correte e non fermatevi, perché ogni minuto potrebbe

essere fatale».

Li baciò entrambi sulle guancie e aprì la porta, gettando

un’occhiata ansiosa all’esterno, quindi li spinse

delicatamente fuori, restando sulla soglia. I due bambini la

guardarono con smarrimento, soprattutto Erik, ma ancora

una volta la sorellina si strinse a lui, e questo bastò a non

farlo indugiare. Salutarono in fretta e si arrampicarono

verso l’uscita, senza mancare di gettare occhiate alle loro

spalle. Quando raggiunsero la superficie, videro la fanciulla

sulla soglia salutarli con un sorriso morbido e richiudere la

porta.

I gemelli si ritrovarono davanti alla collina e sentirono di

nuovo la brezza fredda sul viso. Erik guardò la fiasca con

indecisione.

«Secondo te funzionerà davvero?» chiese alla sorellina.

Linn gli accarezzò la schiena con una mano, senza

rispondere: non avevano molta scelta, se non quella di

fidarsi, ancora una volta. E per la stessa ragione si diressero

in fretta verso il sentiero. Si erano appena addentrati tra i

boschi che udirono dei passi pesanti e dei versi, come dei

grugniti, provenire dalla collina. Si voltarono, in tempo per

Page 44: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

44

vedere una sagoma massiccia e scura ferma nei pressi della

botola: lo spaventoso uomo della collina era tornato. Erik e

Linn si affrettarono a scomparire tra gli alberi prima di

accertarsi se fosse davvero lui o meno.

Continuarono a correre a lungo, spaventati dall’idea che

l’uomo della collina si mettesse sulle loro tracce. Uomo o

orco che fosse, nessuno dei due aveva voglia di fare la sua

conoscenza da vicino. Si fermarono solo quando si sentirono

mancare il respiro per la stanchezza. Ansimanti, si

appoggiarono ai tronchi delle piante, ma rimasero

comunque a guardarsi alle spalle ancora per parecchio: non

avevano ancora spiccicato parola. Infine si rivolsero uno

sguardo ed Erik sollevò la fiasca che teneva sempre nella

mano, come a dire che ce l’avevano. Che servisse a qualcosa

oppure no, naturalmente.

«Speriamo di aver fatto bene» disse il bambino, ancora

affannato.

Linn annuì senza troppa convinzione: si guardava attorno

stravolta, e non solo per la corsa frenetica da cui erano

reduci.

«Erik.» mormorò infine, visibilmente preoccupata «Dove

siamo?».

Il fratellino si guardò attorno, realizzando anche lui che non

lo sapevano. Durante quella frettolosa fuga non avevano

potuto orientarsi in alcun modo: non avevano idea di dove

fosse il sentiero, né la baita, né il babbo.

«Potremmo tornare indietro…» disse il bambino.

«Sei sicuro di ricordare la strada?» gli domandò la sorellina,

e subito aggiunse «Io non me la ricordo».

Page 45: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

45

Erik avrebbe potuto fare lo spavaldo come suo solito, ma

stavolta ne andava della sicurezza di Linn e del padre:

abbassò il capo, scuotendolo piano.

«Nemmeno io.» rispose «Possiamo provare, però».

«Rischiamo solo di perderci ancora di più.» la piccola gli si

avvicinò e istintivamente cercò la sua mano «Che cosa

possiamo fare?».

Erik socchiuse gli occhi. Non lo sapeva. Tutte le loro

speranze dovevano infrangersi così, nella maniera più

stupida? Gli veniva da piangere all’idea, ma risollevò la testa

orgogliosamente, perché sapeva che non era il momento

adatto.

«Non lo so.» disse infine, con rabbia «La Notte nel bosco

aveva detto di fare così e ora… Ora dov’è?».

Linn lo guardò in viso, leggendo nelle sue parole la risposta.

Spostò gli occhi attorno, individuando subito un bagliore tra

gli alberi, poco lontano da lì.

«Guarda là!» esclamò quindi, senza riuscire a trattenere una

risata di puro sollievo.

Erik sgranò gli occhi a sua volta, notando solo allora quel

chiarore. La Notte nel bosco! Non poteva che trattarsi di lei!

Con un sorriso felice, strinse la mano della sorellina e

insieme si affrettarono a rimettersi in marcia. Era un po’

distante, stavolta: dovettero camminare un po’, e attraverso

passaggi scomodi, talvolta chinandosi per passare sotto dei

rami troppo bassi oppure fermandosi per aggirare macigni,

rovi e alberi caduti. L’entusiasmo li sorreggeva, per loro

fortuna: ma quello che si trovarono improvvisamente

davanti strappò loro un sussulto.

C’era un viavai di gente, moltissima gente. Uomini e donne,

pallidissimi, che correvano come se non ci fosse un domani,

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46

gettando fugaci occhiate dietro di loro mentre si gettavano

come forsennati attraverso il bosco. Di punto in bianco, Erik

e Linn poterono udire il rumore, il fracasso del terreno che

veniva calpestato e dei rami che venivano infranti, il

continuo susseguirsi dei respiri affrettati. E poi

improvvisamente grida e strepiti, il galoppo di cavalli

lontani e l’abbaiare dei cani. I due fratellini, raggelati,

rimasero immobili a guardare quel turbine incurante di

tutto che passava scompostamente davanti a loro, mentre il

galoppo degli inseguitori si faceva più vicino.

«Erik!» chiamò Linn, prendendo a tremare come una foglia

«I morti! Sono i morti! Li cacciano!».

Il fratellino nemmeno rispose, gli occhi dilatati per l’orrore.

Non riusciva a muoversi da dov’era, come se gli avessero

inchiodato le gambe a terra. Poi, improvvisamente, una di

quelle figure spettrali si voltò, li vide e rallentò la propria

corsa, sino a fermarsi. Era una donna, ancora giovane e

bella: gli altri la urtarono e la scansarono per poter passare,

ma lei non si mosse, fissando i due bambini. Erik e Linn

muovevano le labbra senza riuscire a parlare.

«Linn…» mormorò il fratellino, con un filo di voce «È la

mamma? È la mamma?».

La sorellina non rispose. Non le riusciva, non trovava

nemmeno il fiato per respirare. Videro la donna aprire le

braccia, come in un invito: sul suo volto c’era però

un’espressione travisata, come spiritata. Erik e Linn

esitarono. La donna non si mosse.

«Dobbiamo andare da lei?» domandò Linn, con le lacrime

agli occhi, più per la paura che per altro «Erik, dobbiamo

andare?».

Page 47: Lukas den Svarte - Favola degli spiriti

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Il bambino rimase in silenzio, spaventato quanto lei. Poi, in

un impeto, fece per sporgersi in avanti, e Linn fece lo stesso.

La stretta ferrea e gelida di due braccia avvolte dai rovi li

cinse però per il petto, trascinandoli indietro. Gridarono

d’istinto, e un attimo dopo una turba di cavalli neri e cani

dagli occhi accesi come braci sfrecciarono tumultuosamente

davanti a loro. I gemelli si voltarono a guardare la Notte nel

bosco che li teneva ancora stretti e, come se il vento li

sospingesse, si ritrovarono rapidamente lontani da quella

sinistra scena. Si lasciarono portar via senza parlare, almeno

per qualche secondo, prima che Erik cominciasse a

dimenarsi.

«Mollaci, mollaci!» gridò «Era la mia mamma, quella!».

La Notte non allentò la presa; Linn abbassò il capo,

cominciando a piangere. Erik continuò a divincolarsi, finché

non si fermarono tutti e tre: il bambino rimase con gli occhi

sgranati, a guardare impotente il bosco.

«Era la mamma!» gridò di nuovo, con le lacrime agli occhi

«Era la mamma…».

La Notte non disse nulla, raddrizzandosi. Voltandosi a

guardarla, ad Erik parve incredibilmente alta, più di tutti gli

altri grandi.

«Perché ci hai portati via?» domandò ancora il bambino

«Che cos’era quello?».

«Erano paure. Solo paure.» rispose infine la Notte nel bosco

«Non potevo lasciare che vi prendessero».

«Ma era…» balbettò di nuovo Erik «Era…».

«Chi può dirlo chi o cosa era.» disse lo spirito, posando una

mano sul suo viso, con tutta la delicatezza di cui sembrava

essere capace «I boschi sono pieni di spiriti, di credenze

dimenticate e speranze che ormai giacciono nella polvere.

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La paura, solo essa rimane: la stessa che vi spingeva a

fuggire da me».

Il bambino la guardò a fatica, senza riuscire ad arginare le

lacrime che gli rigavano le guancie rosse.

«Non ci pensate, piccoli miei. Dimenticate, se potete.» la

Notte si chinò davanti a loro, proprio come aveva fatto la

fanciulla che viveva nella collina «Avete ciò che cercavate.

Camminate con me e torniamo alla baita, prima che l’alba

sopraggiunga. Torniamo alla slitta».

Erik e Linn non si mossero per alcuni secondi, impegnati

soltanto nel ricacciare indietro le lacrime. Erano stanchi,

infreddoliti e spaventati: ma non era finita, c’era ancora

qualcosa da fare. Tirarono su col naso e si asciugarono il

viso alla meno peggio. Senza una parola, dopo un solo

sguardo d’intesa, porsero le loro mani alla Notte nel bosco,

provando di nuovo il ruvido contatto con le sue dita così

fredde e che sembravano sempre sul punto di graffiarli.

Insieme, silenziosamente, ripresero a camminare per la

grande foresta, rischiarata debolmente dal passaggio dello

spirito.

Ritrovarono il sentiero solo dopo alcuni minuti, proprio

quando i due bambini cominciavano a desistere. Entrambi

andavano avanti senza più energie, ancora sconcertati da

quello che avevano visto e provati dalla fatica: si affidavano

alla Notte nel bosco perché li guidasse, senza più

domandare. Vedendo il sentiero davanti a loro sorrisero

piano, ritrovando un po’ di coraggio.

«Adesso andiamo a prendere la slitta, vero?» chiese Erik,

rivolgendosi alla Notte nel bosco: da quando li aveva presi

per mano, non avevano ancora scambiato parola.

Lo spirito annuì sotto il cappuccio di foglie.

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«Ma come faremo a spingerla?» domandò però Linn «E poi

il babbo ha detto che si romperebbe».

«Con un po’ di magia, bambini cari» rispose la Notte nel

bosco.

Erik storse la bocca, poco convinto; rimase in silenzio

qualche secondo, prima di rialzare il viso verso lo spirito.

«Ma esiste la magia?» le chiese, senza esitare oltre.

«Erik!» fece la sorellina «Dopo tutto quello che hai visto

stanotte fai ancora domande del genere?».

«La magia esiste finché le persone scelgono di crederci.»

rispose la Notte nel bosco «Voi avete creduto, bambini.

Anche quando per un altro sarebbe stato incredibile. Ma è

tutto qui, piccoli miei: incredibile non significa

impossibile».

I gemelli abbassarono il viso, riflettendo su quelle parole.

Un attimo dopo sentirono il sostegno delle mani dello

spirito venir meno. Erik e Linn si voltarono

contemporaneamente, scoprendo che la Notte nel bosco era

scomparsa di nuovo. I due si guardarono in faccia, allarmati,

quindi Linn alzò gli occhi al cielo.

«Forse la luna è di nuovo dietro una nuvola.» disse,

socchiudendo gli occhi «Riesci a vederla?».

Entrambi scrutarono il cielo, senza trovare traccia né di

nuvole né della luna. Solo le stelle sembravano padrone

della volta notturna.

«Magari è dietro gli alberi e non la vediamo.» continuò

Linn, guardando il fratellino «Può essere, no? E poi

l’importante è essere sul sentiero».

Erik si morse un labbro e fece per annuire, ma

improvvisamente un rumore di frasche, proprio lì vicino, lo

indusse a voltarsi. Linn si azzittì, mentre anche lei

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50

riconosceva con chiarezza dei passi sul terreno, appena fuori

dal sentiero. La bambina trattenne il fiato, prima di

stringersi al fratellino.

«Erik...» mormorò appena, con voce tremante «E se fossero

i soldati?».

Il bambino non aveva ancora pensato a quell’eventualità. Il

babbo aveva detto che forse li avrebbero cercati. Senza dir

nulla, Erik stese un braccio per far da scudo alla sorellina,

restando immobile dove si trovava. Un attimo dopo una

mano scostò gli ultimi rami e la figura di un uomo comparve

di fronte a loro. Aveva un aspetto trascurato e inquietante:

anche al buio, i due fratellini riuscivano a scorgere la sua

magrezza, la prominenza degli zigomi sul suo viso scavato,

che eppure restava in parte coperto da un largo cappellaccio.

Ed era alto, tanto da apparire un gigante ai loro occhi.

Sebbene era evidente che non si trattasse di un soldato,

nessuno dei due riuscì a tirare un sospiro di sollievo nel

vederlo.

L’uomo li guardò per un po’, senza muoversi dalla sua

posizione; Erik e Linn sentivano il cuore battere in gola. Lo

sconosciuto sospirò, e il suo respiro pesante si condensò in

una nuvoletta.

«È pericoloso aggirarsi nei boschi da soli, la notte.» disse: la

sua voce era roca, stanca «Specialmente per dei bambini».

«Noi non abbiamo paura» rispose prontamente Erik,

tenendo ancora il braccio steso davanti alla sorellina.

L’uomo lo guardò per qualche secondo, quindi mosse

ancora qualche passo verso di loro.

«In tal caso spero che non vi manchi il giudizio.» disse

ancora «È giunta la guerra, su queste terre. Se state

pensando di andare in città, lasciate perdere. Dirigetevi a

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Est: è il luogo più sicuro. Ma affrettatevi, prima che i soldati

entrino nei boschi».

«Lo stavamo già facendo.» rispose Erik, inghiottendo la

propria paura «E voi invece cosa fate nel bosco? Dove state

andando?».

«Oh, un po’ qua e un po’ là. Vado dove devo e mi occupo di

tutti.» l’uomo guardò i due bambini per qualche secondo,

come valutandoli «Devo correre molto, e sempre di più

dovrò farlo nei giorni a venire… Ma non ho niente da

mangiare e, quel che è peggio, niente da bere. Non avreste

qualcosa da dividere con me, per spirito di carità?».

Erik indietreggiò di un passo, perché si era accorto che

l’uomo aveva notato la sua fiasca. Linn gli si strinse con più

forza addosso, impaurita. Il bambino si voltò quindi a

guardarla, incerto.

«Che facciamo?» le sussurrò, tenendo la mano sulla fiasca

«Se la beve lui…».

«No.» la sorellina scosse la testa, con decisione «Hai sentito

la Notte nel bosco e la fanciulla della casa nella collina:

questa serve al babbo».

«Ma ha sete...» fece Erik, ancora indeciso «La fanciulla ha

anche detto di comportarci secondo giustizia».

«Non è ingiusto tenerci la fiasca per noi, se serve a salvare la

vita del babbo!».

Il bambino abbassò gli occhi sulla fiasca. C’era qualcosa di

sbagliato in quello che la sorellina gli stava dicendo: la

paura le aveva offuscato la mente, per una volta: persino lui

se ne accorgeva. Ma c’era comunque del vero in quel che

diceva.

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52

«Abbiamo della birra con noi.» disse perciò, rivolgendosi

all’uomo, che attendeva in silenzio «Possiamo darvene un

po’, ma non dovete finirla».

Lo sconosciuto non si mosse.

«Sei gentile, bambino.» gli ribatté «Ma una volta che mi

avrai dato la fiasca, nulla mi potrebbe impedire di bermela

tutta: cosa ti spinge a fidarti di me?».

Erik cincischiò, ben consapevole di quel rischio. Linn,

accanto a lui, scosse di nuovo la testa

«Beh…» disse infine il bambino «Potreste prometterci che

ce ne lascerete almeno metà. Un impegno è un impegno».

L’uomo sorrise appena, abbassando il capo, e la sua

espressione aveva un che di amaro.

«È vero.» convenne, e si portò una mano al petto «Allora ti

prometto che, così come con giustizia non guardo in faccia

né al ricco né al povero e tratto tutti con uguaglianza, terrò

fede alla mia parola: avrai birra a sufficienza per te, la tua

sorellina e chiunque altro ne beva col tuo consenso».

Erik guardò l’uomo ancora per qualche attimo,

cincischiando, quindi si decise a porgergli la fiasca. Lo

sconosciuto la prese nella mano ossuta, la stappò e la portò

alle labbra: i due bambini videro che bevve una sorsata

molto abbondante, tanto da farli preoccupare. Quand’ebbe

finito, richiuse la fiasca e la porse nuovamente al bambino.

Erik si accorse con sua sorpresa che pesava esattamente

quanto prima, come se nessuno ne avesse mai bevuto prima.

Incredulo, tolse il tappo e vide che la fiasca era proprio

piena fino all’orlo. Eppure entrambi l’avevano visto bere!

«Come è possibile?» domandò Linn, prima ancora che il

fratellino, con gli occhi strabuzzati.

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53

«Ho detto che avrei tenuto fede alla mia parola.» rispose

semplicemente l’uomo «Vi ringrazio: era la birra più buona

che abbia mai sentito».

Fece loro un cenno col capo, quindi si calcò meglio il

cappello in testa e imboccò il sentiero, dirigendosi verso la

città. I due fratellini si guardarono in viso, e in quel

momento compresero pienamente cosa intendeva la

fanciulla della collina. Con un sorriso fiducioso, Erik si mise

la fiasca e tracolla e porse la mano alla sorellina. Assieme,

quindi, si rimisero in marcia lungo il sentiero.

Arrivarono in vista della baita senza fare altri incontri.

Discesero con attenzione il pendio che vi conduceva e per

ogni passo che muovevano si sentivano rinvigorire dalla

forza della speranza. Sentivano di essere nel giusto e che

quindi la loro avventura sarebbe giunta a buon termine.

Giunti di fronte alla porta della baita, la spinsero e la

aprirono, ritrovandosi nel buio totale dell’interno.

«E adesso?» domandò Linn, cercando invano di vedere

attraverso le tenebre «Non si vede niente. Ci vorrebbe una

luce».

«Ci penso io» fece una voce ormai nota, e mentre i due

bambini sobbalzavano per lo spavento un tiepido bagliore si

diffuse da dietro di loro: la Notte nel bosco era tornata

ancora una volta.

Erik e Linn, stretti l’uno all’altro per quell’apparizione

improvvisa, diedero in un sospiro di sollievo.

«Potreste anche farci meno paura» brontolò il bambino.

«O evitare di scomparire» aggiunse la sorellina.

«La notte non può esistere soltanto per voi, piccoli miei.»

rispose lo spirito «C’è un intero bosco e infinite fantasie che

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hanno bisogno di me. Ma su, prendete la slitta e portatela

fuori».

«E funzionerà?» domandò Erik, con un gran sorriso.

«Puoi star sicuro che lo farà» rispose la Notte nel bosco.

A quelle parole, i due bambini si diedero da fare per

recuperare la slitta. Faticarono un po’, perché era pesante e

scomoda da muoversi, ma in capo a un paio di minuti

riuscirono a portarla nella radura. Si asciugarono allora il

sudore dalla fronte, guardando lo spirito.

«E adesso, però?» chiese Linn «È stato difficile anche solo

portarla fuori: come potrà servirci a qualcosa?».

«Lasciate fare a me» disse la Notte nel bosco.

Aprì le braccia e il vento soffiò piano, gonfiando il suo

mantello. Era una suono leggero e basso, qualcosa che

andava mutando via via. Nel giro di pochi secondi, i due

bambini riconobbero non solo la voce del vento, ma anche il

canto degli uccelli notturni e, soprattutto, l’ululato dei lupi.

Erik e Linn rabbrividirono nell’udirlo, anche perché

sembrava loro troppo vicino.

«Non è pericoloso?» domandò Erik allo spirito.

La Notte nel bosco abbassò le braccia e lo guardò da dietro

quella maschera, da dietro il volto stesso della luna.

«No, perché avete creduto.» rispose, con tono malinconico

«Io sola so quanto questo significhi, bambini. Voi avete

creduto, e io vi ricompenserò per questo».

Linn trattenne il fiato, stringendosi al fratellino. In silenzio,

un giovane lupo dal manto chiaro era comparso tra gli alberi

e li fissava coi suoi occhi intensi, fermo come una statua.

Poi, senza dare segni di agitazione, si avvicinò a loro, e

improvvisamente altri lupi comparvero dal bosco. Erik si

piazzò davanti alla sorellina, allarmato.

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«Che cosa avete fatto?» fece, guardando la Notte nel bosco

«Ci mangeranno!».

«No, invece.» rispose con calma quella, e intanto con le sue

mani sfiorava la slitta «Vi aiuteranno».

I due bambini guardarono i lupi che si avvicinavano e

parvero loro docili come agnellini o cani domestici. A uno a

uno si diressero verso la slitta, e per lo stupore dei due

gemelli, essa prese a brillare come l’argento sotto i raggi

della luna. La Notte nel bosco si chinò e imbrigliò i lupi

davanti ad essa, cosicché la trainassero. Con un cenno della

mano, invitò i due bambini a salirvi sopra, mentre gli

animali attendevano con pazienza. Erik e Linn, di fronte a

quel prodigio, ubbidirono senza fiatare.

«Partiamo, dunque.» annunciò lo spirito «Ma in fretta,

perché l’alba è sempre più vicina».

I lupi partirono come una muta di cani ben addestrati, con

tanta veemenza che i due bambini dovettero stringersi con

forza alla slitta.

E come volava, quella slitta! Scivolava sul sentiero come

sulla neve, senza sobbalzi né scossoni: i gemelli avevano la

sensazione di levitare a qualche centimetro da terra. I lupi

correvano come fulmini, abbaiando e ansimando; Erik e

Linn non avevano bisogno di spronarli né di dirigerli: era la

Notte nel bosco a farlo; la Notte che li seguiva senza sforzo,

proprio come fa il vento. In capo a pochi minuti furono in

vista del punto dove avevano lasciato il padre. Lo trovarono

esattamente dove prima ma, con loro sorpresa, videro che

non era solo. L’uomo magro ed alto a cui avevano offerto da

bere sedeva ai suoi piedi, anche se i due fratellini l’avevano

visto andare nella direzione opposta solo pochi minuti

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prima. Non si scompose nel vedere i lupi e la Notte nel

bosco, né lo fecero loro. Gli animali si fermarono davanti al

corpo dell’uomo a terra. Erik e Linn, sconcertati, non

mossero un muscolo.

«Su, bambini.» disse loro la Notte nel bosco «Vostro padre

ha bisogno di voi».

«Sì.» mormorò Linn «Ma quel signore…».

«Era andato dall’altra parte, prima!» esclamò Erik, con più

irruenza «Non può essere arrivato prima di noi».

«Non preoccupatevi di lui e pensate a vostro padre.»

insistette lo spirito, con la sua solita tranquillità «Dategli da

bere un po’ di birra e versatene un po’ sulla sua gamba».

«Ma ne avremo abbastanza?» si chiese il bambino,

soppesando la fiasca.

«Ne avrete sempre abbastanza.» rispose per lui lo

sconosciuto, alzando il viso «Ve l’ho promesso, no?».

Erik squadrò l’uomo, quindi prese la sorellina per mano e

discese dalla slitta. Insieme si diressero verso il padre e gli

sollevarono il capo per farlo bere. L’uomo a stento rinvenne,

aprendo a malapena gli occhi per guardarli: era chiaro che

stava soffrendo e che per lui era uno sforzo anche solo

mantenere la lucidità. Con mille cure, i due bambini

spogliarono la sua gamba e, visto che come predetto la birra

non si esauriva, ve ne versarono sopra in quantità

abbondante. Con loro stupore, si accorsero che diventava

simile a un unguento, simile in tutto e per tutto alle

medicine che avevano a casa. Mentre erano intenti ad

approntare i soccorsi al padre, videro che la Notte nel bosco

e lo sconosciuto stavano fermi ai suoi piedi, osservandolo

con pazienza. Linn inspirò a fondo, facendosi coraggio, e

trovò la forza di parlare.

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«Scusate, signore.» disse, con voce bassa «Ma perché non ci

aiutate, anche voi?».

L’uomo la guardò e sorrise appena, come aveva fatto come

prima.

«Vi sto aiutando restando dove sono.» rispose, con aria

enigmatica «Altro non posso fare, purtroppo».

«Ma voi siete qui per aiutarci, vero?» domandò ancora la

bambina «Anche prima, quando vi abbiamo incontrato… Se

non ci foste stato voi, forse non avremmo avuto nemmeno

abbastanza birra nella fiasca. Potete almeno dirci se il babbo

ce la farà?».

«Questo ve lo posso garantire con certezza, bambini.»

l’uomo si alzò in piedi, sistemando ancora il cappello in

testa «Rimontate pure sulla slitta assieme a vostro padre:

arriverete sani e salvi a destinazione, tutti e tre».

«Come fate a saperlo?» continuò Linn «Chi siete voi?».

L’uomo socchiuse gli occhi, piegandosi un poco in avanti.

«Mi chiamano Morte, bambina.» rispose, con la sua voce

roca «Ma nessuno di voi ha ancora niente da temere da

me».

Erik e Linn inorridirono. Un brivido gelido corse lungo le

loro schiene.

«Sbrigatevi.» li incitò però Morte «Mettete vostro padre

sulla slitta e andate: i sogni svaniscono col morire del giorno

e così anche noi siamo costretti al solito destino. Andate,

prima che diventi tardi per tutto».

I due bambini rimasero a guardare Morte che si

allontanava, curvo e magro, finché il buio non lo inghiottì.

I lupi avevano ripreso a correre, ancora più veloci. I gemelli

erano riusciti ad adagiare il padre ancora esanime sulla

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slitta, sia pure con fatica, e l’avevano coperto con tutto

quello che avevano, compresi i loro giacconi. La slitta filava

lungo il sentiero, brillante e rapida come una stella cadente.

La Notte nel bosco era assieme a loro, vegliando sui bambini

e spronando i lupi a non risparmiarsi. Erik e Linn stavano

pensando che avrebbero potuto correre sino a fare il giro del

mondo, quando il cielo cominciò a dar segno di voler

schiarire. I lupi rallentarono l’andatura, la slitta cominciò a

perdere la sua luminosità. D’un tratto, rimbalzò appena su

una pietra. La Notte nel bosco stese un braccio e i lupi, al

suo comando, si fermarono.

I due bambini rimasero in silenzio, consapevoli che era

giunto per lei il momento di andarsene. Si voltarono a

guardarla, con quegli occhi azzurri velati dalla stanchezza e

le guance rosse segnate dal freddo. Erik strinse le labbra e

così anche le mani attorno alla slitta.

«Dovete andar via, vero?» domandò, guardando la Notte nel

bosco.

Lo spirito si chinò a guardarli: il suo volto si era fatto opaco,

il mantello sembrava dissiparsi nel nulla. Annuì, posando le

sue mani, insolitamente leggere e lisce, sulle loro teste.

«Come accade a ogni alba, bambini miei» rispose, e anche la

sua voce appariva più debole.

I due fratellini accettarono quella carezza senza parlare.

Linn si girò su sé stessa, così da poter guardare meglio lo

spirito.

«Io non voglio che voi ve ne andiate» disse piano.

«Neanch’io lo voglio» si affrettò ad aggiungere Erik.

La Notte nel bosco si chinò un poco su di loro.

«Il fatto che io vada via non vuol dire che non torni.» disse,

e il suo tono dolce li afferrò come un nodo alla gola «Siete

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voi, purtroppo, che potreste non tornare più. Tutti lo fanno:

io torno a ogni tramonto, ma nessuno è lì ad accogliermi, né

qualcuno passa mai a trovarmi. Ma stanotte, piccoli miei,

voi avete visto tante cose, belle e brutte, innocue e

pericolose come lo è la notte in un luogo che non si conosce:

come lo sono io. Mantenete il ricordo di questa notte e

saprete dove trovarmi, domani come tra molti anni: è

questa, bambini, la prova più difficile».

I gemelli la ascoltarono in silenzio, guardando il suo volto

pallido, le fessure dei suoi occhi che andavano sbiadendo.

«Una cosa l’abbiamo capita, però.» disse Linn «Più una

prova è difficile e più è importante superarla».

«E la prova più difficile» aggiunse Erik «è la paura di quello

che non si conosce».

Linn annuì; entrambi, quindi, aprirono le braccia e le

strinsero al corpo sempre più impalpabile della Notte nel

bosco. Mentre il mantello di foglie si chiudeva su di loro, la

bambina tirò un lungo sospiro.

«Vale proprio la pena di conoscere meglio ciò di cui

abbiamo paura» disse, chiudendo gli occhi.

Solo un attimo dopo, udirono un rumore secco. Erik e Linn

si girarono, in tempo per vedere i lupi che si liberavano e si

disperdevano in ogni direzione, svanendo negli anfratti della

foresta. Si sporsero in avanti d’istinto, quindi si voltarono.

La Notte del bosco non c’era più. Il cielo si tingeva di un

rosa pallido, gli alberi e la terra riprendevano i loro colori.

Ma per i due bambini, nulla aveva più il suo vero colore.

Perché la slitta adesso era solo una slitta e la luce da sola

non bastava a proteggerli dal mondo.

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Pochi minuti dopo, si udirono chiaramente delle voci. I

bambini restarono dietro la slitta, anche perché erano

troppo stanchi per poter fare qualcosa. Seguirono altre voci,

e poi altre ancora, quindi un giovanotto biondo in tenuta da

caccia comparve sul sentiero, con un fucile in mano. Subito

si avvide della slitta e sgranò gli occhi. Chiamò i compagni e

senza attenderli si diresse verso la slitta. Erik e Linn

balzarono in piedi, piazzandosi accanto al padre. Il giovane

apparve ancora più sbalordito e tentennò visibilmente.

«Che ci fate qui, bambini?» domandò, con gentilezza «E chi

è quell’uomo ferito?».

«Nostro padre.» rispose Erik «Si è fatto male cadendo».

«E l’avete portato qui da soli?» fece il giovanotto, sbalordito,

e indicò la slitta «Con quella?».

I due bambini annuirono. Nel frattempo, accorsero sul

sentiero altri tre uomini, tutti armati e vestiti come

cacciatori. Vedendo quella scena, restarono indietro, ma il

giovanotto fece loro cenno di avvicinarsi. Quindi, messosi il

fucile a tracolla, si avvicinò alla slitta e si piegò davanti ad

essa.

«Scappavate dalla città, bambini?» disse, guardandoli in

viso.

«Sì, signore.» rispose Linn «Così aveva detto il babbo. C’è la

guerra, ha detto».

«Lo so, purtroppo. Ma noi siamo amici, piccoli. Siamo qui

per aiutare la gente come voi» e sorrise sotto i baffi biondi,

guardando quindi l’uomo sulla slitta.

Il padre, infatti, aveva appena riaperto gli occhi e si

guardava davanti a sé con espressione intontita.

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«State calmo.» fece subito il giovane, scostando piano le

coperte e i giacconi per potergli dare un’occhiata «Siete in

buone mani».

Il padre strizzò gli occhi e mosse la bocca a fatica.

«Ma dove sono?» sussurrò a fatica «Che è successo?».

«Credo che i vostri bambini siano gli unici a potervi

rispondere.» disse il giovane «Vi accompagneremo oltre il

bosco. Mi hanno detto che avete avuto un incidente».

«Devo essermi rotto una gamba.» il padre se la accarezzò

piano, aprendo quindi gli occhi con aria un poco sorpresa

«Ma mi pare che vada meglio di ieri».

«Mi sa che sia merito dei vostri bambini.» il giovane si voltò

a guardarli, allargando il proprio sorriso «Mi sbaglio,

forse?».

Erik e Linn rimasero in silenzio, troppo stanchi anche solo

per sentirsi gratificati da quel complimento. Il babbo li

guardò senza capire, ancora confuso. Nel frattempo, gli altri

compagni del giovane si erano avvicinati e guardavano la

scena restando indietro di un paio di metri.

«Ma che succede, insomma?» domandò uno di quelli,

facendosi avanti «Chi sono?».

Il giovane si voltò verso il suo compagno, prima di tornare

sui due bambini.

«Chi sono?» ripeté, guardandoli negli occhi «Due eroi.

Abbiamo qua due piccoli eroi».

Poi, con un sorriso, si alzò in piedi e si diresse verso gli altri.

Gli uomini parlottarono per qualche momento, quindi

tornarono verso di loro.

«Forza, gente!» esclamò uno «Vediamo di dare una mano a

questi nostri amici!».

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Erik e Linn non stettero più a chiedersi come avrebbero

fatto. Era mattino, ormai, e i grandi avrebbero finalmente

potuto fare qualcosa per aiutarli. Vide che alcuni di loro

armeggiavano con la slitta e valutavano come fare per

trasportare il babbo. Il giovane dai baffi biondi e un suo

compagno si diressero invece verso di loro. Raccolsero i loro

giacconi e glieli porsero

«Tranquilli, eroi.» disse il giovane «Adesso vi portiamo al

sicuro».

Quindi, con tutta la gentilezza possibile, i due uomini li

presero in braccio. Stretti tra braccia amiche, Erik e Linn si

scambiarono uno sguardo e un sorriso stremato. Circondati

dalla prima luce del giorno, i gemelli tirarono quindi un

sospiro, piegando il capo allo stesso modo e chiudendo

finalmente quegli stessi, identici, occhi azzurri.

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«La Notte! La Notte nel bosco!» esclamò il

bambino «O almeno credo… Era… Non lo so

com’era. So solo che la luna è scesa ed è

diventata la sua faccia! Mi ha inseguito sino

qui! Aveva… Tantissime braccia, ed era

veloce, e poteva arrivare ovunque!».