L'Orrore Soprannaturale Nell Letteratura

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L'orrore soprannaturale nella letteratura di Howard Phillips Lovecraft 1. Introduzione Il sentimento più antico e radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell'Ignoto. Questi assunti vengono posti in discussione da ben pochi psicologi, e la loro conclamata verità stabilisce in qualsiasi tempo la genuinità e dignità del racconto Soprannaturale e Orrorifico come forma letteraria. Contro questo tipo di genere letterario si scagliano gli strali di una concezione materialistica, che si rifà a emozioni ed eventi esterni provati solo casualmente, oltre a quelli di un idealismo assolutamente infantile che disapprova il valore estetico, ed esige una letteratura didattica per "innalzare" il lettore a un sufficiente grado di vano ottimismo. Malgrado questa forte opposizione, però, il racconto dell'Orrore è sopravvissuto, si è sviluppato, e ha raggiunto vette di perfezione di tutto rispetto, fondato com'è su un principio elementare, il cui fascino, anche se non è universale, deve comunque essere acuto e far presa sulle menti sensibili. Il fascino del macabro è generalmente poco diffuso perché esige dal lettore un certo grado di fantasia e una notevole capacità di distacco dalla vita quotidiana. Sono pochi gli individui relativamente immuni dalla monotonia della vita di ogni giorno, almeno di quel tanto sufficiente a rispondere ai richiami provenienti dall'esterno, e i racconti di sensazioni e avvenimenti, o di comuni deformazioni sentimentali di tali sensazioni ed eventi, occuperanno sempre il primo posto nel gusto della maggioranza delle persone. E questo probabilmente è giusto, in quanto le faccende ordinarie co- stituiscono la maggior parte dell'esperienza umana. Ma le sensazioni sono sempre con noi e, talvolta, un bizzarro tocco di fantasia invade anche gli angoli più riposti della mente più pragmatica; perciò nessuna razionalizzazione, riforma, o analisi freudiana, può cancellare del tutto la paura dei sussurri vicino all'angolo del camino o nel bosco solitario. Qui entra in gioco un modello, e una tradizione psicologica, veri e profondamente radicati nell'esperienza dell'uomo quanto qualsiasi altra tradizione o modello umano; sono coevi alla fede e strettamente collegati ai suoi molti aspetti. Essi rappresentano una parte talmente importante del nostro patrimonio interiore, che non possono perdere il loro potere su una importantissima, per quanto numericamente non grande, minoranza della nostra razza. I primi istinti e le prime emozioni dell'uomo hanno determinato la sua reazione all'ambiente in cui si trovò a vivere. Sentimenti precisi basati sulla gioia e il dolore crebbero attorno a fenomeni di cui egli comprese cause ed effetti, mentre attorno a quelli che non comprese - e l'universo ne abbondava nei primi tempi - furono create delle personificazioni, delle interpretazioni, e delle sensazioni di timore e paura quali si addicevano a una razza fornita di poche idee elementari e di limitata esperienza. L'ignoto, che è anche l'imprevedibile, divenne per i nostri primitivi antenati una terribile fonte di doni e calamità elargiti all'uomo per motivi nascosti e imponderabili, e quindi appartenenti a sfere di esistenza di cui nulla sappiamo e che non ci riguardano. Il fenomeno del sognare, analogamente, servì a creare il senso del

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L'orrore soprannaturale nella letteraturadi Howard Phillips Lovecraft

1. Introduzione

Il sentimento più antico e radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell'Ignoto. Questi assunti vengono posti in discussione da ben pochi psicologi, e la loro conclamata verità stabili sce in qualsiasi tempo la genuinità e dignità del racconto Soprannaturale e Orrorifico come forma letteraria.

Contro questo tipo di genere letterario si scagliano gli strali di una concezione materialistica, che si rifà a emozioni ed eventi esterni provati solo casualmente, oltre a quelli di un idealismo assolutamente infantile che disapprova il valore estetico, ed esige una letteratura didattica per "innalzare" il lettore a un sufficiente grado di vano ottimismo.

Malgrado questa forte opposizione, però, il racconto dell'Orrore è sopravvissuto, si è sviluppato, e ha raggiunto vette di perfezione di tutto rispetto, fondato com'è su un principio elementare, il cui fascino, anche se non è universale, deve comunque essere acuto e far presa sulle menti sensibili.

Il fascino del macabro è generalmente poco diffuso perché esige dal lettore un certo grado di fantasia e una notevole capacità di distacco dalla vita quotidiana. Sono pochi gli individui relativamente immuni dalla monotonia della vita di ogni giorno, almeno di quel tanto sufficiente a rispondere ai richiami provenienti dall'esterno, e i racconti di sensazioni e avvenimenti, o di comuni deformazioni sentimentali di tali sensazioni ed eventi, occuperanno sempre il primo posto nel gusto della maggioranza delle persone.

E questo probabilmente è giusto, in quanto le faccende ordinarie costituiscono la maggior parte dell'esperienza umana. Ma le sensazioni sono sempre con noi e, talvolta, un bizzarro tocco di fantasia invade anche gli angoli più riposti della mente più pragmatica; perciò nessuna razionalizzazione, riforma, o analisi freudiana, può cancellare del tutto la paura dei sussurri vicino all'angolo del camino o nel bosco solitario.

Qui entra in gioco un modello, e una tradizione psicologica, veri e profondamente radicati nell'esperienza dell'uomo quanto qualsiasi altra tradizione o modello umano; sono coevi alla fede e strettamente collegati ai suoi molti aspetti. Essi rappresentano una parte talmente importante del nostro patrimonio interiore, che non possono perdere il loro potere su una importantissima, per quanto numericamente non grande, minoranza della nostra razza.

I primi istinti e le prime emozioni dell'uomo hanno determinato la sua reazione all'ambiente in cui si trovò a vivere. Sentimenti precisi basati sulla gioia e il dolore crebbero attorno a fenomeni di cui egli comprese cause ed effetti, mentre attorno a quelli che non comprese - e l'universo ne abbondava nei primi tempi - furono create delle perso nificazioni, delle interpretazioni, e delle sensazioni di timore e paura quali si addicevano a una razza fornita di poche idee elementari e di limitata esperienza.

L'ignoto, che è anche l'imprevedibile, divenne per i nostri primitivi antenati una terribile fonte di doni e calamità elargiti all'uomo per motivi nascosti e imponderabili, e quindi appartenenti a sfere di esistenza di cui nulla sappiamo e che non ci riguardano.

Il fenomeno del sognare, analogamente, servì a creare il senso del soprannaturale: per cui non c'è da stupirsi del fatto che la vita dell'uomo è impregnata di religione e di superstizione. Tale presenza dev'essere considerata permanente, come un fatto puramente scientifico, per quanto riguarda la mente subconscia e gli istinti interiori.

Se infatti l'area dell'ignoto subisce una contrazione da migliaia di anni, un mistero infinito abbraccia ancora la maggior parte del cosmo esterno, mentre una notevole quantità di superstizioni ereditarie permea tutti gli oggetti e quei processi che un tempo erano misteriosi, per quanto, adesso, possano essere tranquillamente spiegati. Oltre a ciò, vi è una presenza degli istinti atavici nel nostro tessuto nervoso che li rende misteriosamente attivi, e questo anche se la mente cosciente viene a essere liberata da tutte le fonti di stupore.

Infatti noi ricordiamo il dolore e la minaccia della morte più vividamente del piacere e, poiché i nostri sentimenti nei confronti degli aspetti benefici dell'ignoto sono stati fin dal principio incanalati in riti religiosi convenzionali, è toccato al lato più oscuro e malefico del mistero cosmico di figurare in primo piano nelle tradizioni popolari soprannaturali.

Questa tendenza è esaltata dal fatto che incertezza e pericolo sono da sempre stretti alleati, rendendo così quanto c'è di occulto e misterioso nel mondo quasi un sinonimo di malvagità e pericolo. Quando poi si aggiunge al senso di paura e di malvagità l'inevitabile fascino del prodigio e della curiosità, ecco nascere un insieme composito di acuta emozione e fantasia, la cui vitalità vivrà necessariamente tanto quanto la razza umana.

I bambini avranno sempre paura del buio, e gli uomini dotati di menti sensibili tremeranno sempre al pensiero di strani mondi animati di vita misteriosa che vibrano negli abissi al di là delle stelle, o incom bono sul nostro pianeta da dimensioni terribili che solo i morti e i folli possono vedere.

Date queste premesse, nessuno si stupirà dell'esistenza di una letteratura dell'Orrore Cosmico. È sempre esistita e sempre esisterà; e non c'è miglior prova della sua forza del citare l'impulso che di tanto in tanto trascina scrittori di tendenze diametralmente opposte a esercitare saltuariamente la penna in qualche racconto dell'Orrore, come a voler liberare la mente da certe forme di fantasmi che altrimenti li tormenterebbero.

Così fece Dickens, il quale scrisse parecchi racconti del mistero; Browning, con la terribile poesia Childe Roland; Henry James, con The Turn of the Screw; il dottor Holmes con il romanzo Elsie Venner; F. Marion Crawford con The Upper Berth e una quantità di altri racconti dello stesso genere. La signora Charlotte Perkins Gilman, assistente sociale, scrisse The Yellow Wall Paper, mentre l'umorista W.W. Jacobs scrisse quel bel racconto intitolato The Monkey's Paw.

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Questo genere di letteratura dell'Orrore non deve essere confuso con un altro apparentemente simile ma psicologicamente diverso: la letteratura di puro terrore fisico e del macabro. Tali scritti hanno certamente una loro collocazione, come la trovano i racconti di spiriti, sia quelli convenzionali, che fantastici, o persino umoristici, dove il formalismo o l'ammiccare astuto dell'autore toglie il vero senso dell'Orrore Soprannaturale.

Ma queste cose non costituiscono la letteratura del Cosmico nel suo senso più puro. Il vero racconto misterioso è qualcosa di più del delitto, delle ossa insanguinate, o della sagoma ricoperta da un lenzuolo che fa risuonare le catene secondo le regole. Dev'essere sempre presente una certa atmosfera di orrore inesplicabile e angoscioso dovuta a forze esterne e ignote; e deve esserci un tocco, espresso con la serietà e la solennità che si conviene all'argomento, di quel terribile concetto del cervello umano: una sospensione malefica e particolare, o una sconfitta, di quelle leggi inderogabili della Natura che costituiscono la nostra unica salvaguardia contro gli attacchi del Caos e dei demoni dello spazio sconosciuto.

Ovviamente non possiamo aspettarci che tutti i racconti dell'Orrore si uniformino a questo modello teorico. Le menti creative sono capricciose, e anche le migliori trame hanno i loro punti oscuri. Inoltre, parecchi tra i migliori scritti dell'Orrore figurano come pezzi di notevole livello sparsi tra materiale il cui effetto complessivo è di ben diverso tipo.

La cosa più importante è l'atmosfera, perché l'autenticità viene data non da una trama ma dalla creazione di una data sensazione. Possiamo dire, in generale, che un racconto in cui gli orrori sono alla fine resi comprensibili mediante dei mezzi naturali, non è un genuino racconto di Orrore Cosmico.

Rimane comunque il fatto che tale narrativa possiede spesso, in determinati punti, degli aspetti significativi che adempiono a ogni condizione di vera letteratura dell'Orrore Soprannaturale. Perciò dobbiamo giudicare un racconto dell'Orrore non in base all'intento dell'autore o alla semplice meccanica della trama, ma in base al livello emotivo che riesce a raggiungere. Se vengono stimolate le giuste sensazioni, questo momento di terrore deve essere riconosciuto per ciò che è, ovvero come letteratura dell'Orrore, a prescindere da un'eventuale prosecuzione banale dello scritto.

L'unico dato di fatto è questo: se venga stimolato o no nel lettore un senso di terrore e di contatto con sfere e potenze ignote, un atteggiamento indefinibile di timoroso ascolto, come captare il battere di nere ali o lo stridere di forme ed entità esterne ai confini dell'universo conosciuto. E, naturalmente, più il racconto riesce a trasmettere questa atmosfera in modo completo e uniforme, migliore è come opera d'arte in quel settore.

2. I prodromi del racconto dell'Orrore

Come ovviamente ci si può attendere da una forma letteraria così strettamente legata alle emozioni primarie, il racconto dell'Orrore è antico quanto il pensiero e la parola dell'uomo.

L'Orrore Cosmico compare come parte essenziale nel folklore delle razze più antiche, ed è presente nelle ballate, nelle cronache più antiche, e negli scritti sacri. Fu, infatti, una caratteristica importante delle magie rituali, e dei riti per evocare demoni e spettri, che fiorì già in epoca preistorica raggiungendo il più alto sviluppo in Egitto e nei paesi semitici.

Testi come il Libro di Enoch e le Claviculae Solomonis bene illustrano la potenza del mistero sugli antichi, e su tali cose si basarono sistemi e tradizioni orientali, la cui eco è discesa fino ai giorni nostri.

Tracce di questa paura subliminale si trovano nella letteratura classica, e la dimostrazione di un'enfasi ancora maggiore risiede nelle ballate che resistettero alla pari con il filone classico ma svanirono per mancanza del mezzo scritto. Il Medioevo, impregnato di fantasia e oscurantismo, gli diede un enorme impulso e, tanto l'Oriente quanto l'Occidente, si adoperarono per preservare e ampliare il patrimonio, sia di folklore che di magia e cabala formulate teoricamente, che era stato tramandato fino a loro.

Streghe, vampiri, lupi mannari e demoni rapaci, furono spesso sia sulle labbra delle vecchie comari che dei bardi, e fu sufficiente un piccolo incoraggiamento perché scavalcassero il confine che divide la favola, la ballata o la canzone, dalla composizione letteraria formale.

In Oriente, il racconto dell'Orrore ebbe la tendenza ad assumere colore e vivacità splendidi, che quasi lo tramutarono in pura fantasia. Invece in Occidente, dove i misteriosi Germani erano scesi dalle cupe foreste boreali e i Celti ricordavano strani sacrifici nei boschi druidici, questo genere assunse una terribile intensità e una tale atmosfera che accrebbe enormemente la forza dei suoi orrori, sia espliciti che appena accennati.

Molta forza della tradizione dell'Orrore in Occidente fu dovuta senza dubbio alla presenza nascosta, ma spesso sospettata, di un terribile culto di adoratori notturni le cui strane usanze - derivate dai tempi pre-ariani e pre-agricoli, quando una razza di uomini tarchiati provenienti dalla Mongolia si spostò in Europa con greggi e mandrie - af-fondavano le radici nei più disgustosi riti della fertilità risalenti a ere antichissime.

Questa religione segreta, tramandata di nascosto fra i contadini per migliaia di anni, nonostante il predominio delle fedi druidica, grecoromana e cristiana nelle regioni interessate, fu contrassegnata da scatenati Sabba tenuti in boschi solitari e in cima a lontane colline tenuti nella Notte di Valpurga e alla Vigilia di Ognissanti, le tradizionali stagioni di accoppiamento per capre, pecore e armenti; e divenne la fonte di un ingente patrimonio di leggende di Stregoneria, oltre a provocare vaste persecuzioni di streghe di cui l'episodio di Salem costituisce il principale esempio americano.

Parecchio simile nella sostanza, e forse a esso legato di fatto, fu quel terribile sistema occulto di teologia al contrario, o adorazione di Satana, che generò orrori come le famose Messe Nere.

Anche se miriamo allo stesso fine, possiamo tener conto delle attività di coloro i cui scopi furono in un certo senso

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più scientifici o filosofici: astrologi, cabalisti, o alchimisti del tipo di Alberto Magno o di Raimondo Lullo, di cui abbondano invariabilmente quei periodi barbari.

La penetrazione in profondità dell'Orrore medievale in Europa, accresciuta dalla cupa disperazione portata dalla pestilenza, si può ben valutare dalle grottesche sculture furtivamente introdotte in molte fra le più belle cattedrali dell'epoca gotica: i più famosi esempi sono i demoniaci doccioni di Notre-Dame o di Mont St. Michel.

Bisogna ricordare che, per tutto il periodo, fu viva la più incontestabile fede in ogni forma del soprannaturale, sia fra i dotti che fra gli ignoranti; dalle più moderate dottrine della cristianità ai più repellenti esempi di Stregoneria e di Magia Nera. Non fu certo da un vuoto passato che nacquero maghi e alchimisti del Rinascimento come Nostradamus, Tritemio, il dottor John Dee, Robert Fludd e altri.

In quel suolo fertile prosperano tipi e personaggi facenti parte di foschi miti e leggende che esistono tutt'oggi nella letteratura dell'Orrore, più o meno camuffati o alterati dalla tecnica moderna. Molti di essi provengono dalle antiche fonti orali e fanno parte del patrimonio dell'umanità.

Il fantasma che appare e chiede sepoltura per le proprie ossa, l'amante demonio che viene a portar via la sposa ancora vivente, il demonio della morte o psicopompo, che cavalca il vento della notte, l'uomo-lupo, la stanza sigillata, lo stregone immortale, tutti si ritrovano in quello strano complesso di tradizioni medievali che il reverendo Baring-Gould trattò così efficacemente nel suo saggio Curious Myths of the Middle Ages (1866).

In qualsiasi posto prevalse il misterioso sangue nordico, l'atmosfera dei racconti popolari fu più sentita, perché nelle razze latine vi è una parte di razionalità che nega anche alle più forti superstizioni molte di quelle sfumature affascinanti caratterisfiche dei racconti nati nelle foreste e cresciuti nel freddo artico.

E, come tutta la novellistica trovò dapprima un vasto inserimento nella poesia, così è nella poesia che noi incontriamo la presenza incombente del Soprannaturale.

La maggior parte degli esempi antichi, e questo è un fatto strano, è in prosa; come l'episodio del lupo mannaro in Petronio, i raccapriccianti brani di Apuleio, la breve ma celebre lettera di Plinio il Giovane a Sura, e Gli eventi meravigliosi, strana opera di Flegone, il liberto greco dell'imperatore Adriano.

È in Flegone che troviamo per la prima volta il terribile racconto della sposa-cadavere, Filinnio e Macate, più tardi riferito da Proclo e ripreso in tempi più moderni come ispirazione per Die Braut von Korinth di Goethe e per The German Student di Washington Irving.

A quel tempo, i vecchi miti nordici assumono forma letteraria e, in seguito, quando l'occulto compare come elemento costante nella letteratura mainstream, lo troviamo principalmente in forma metrica, come infatti lo è la maggior parte degli scritti strettamente immaginari del Medioevo e del Rinascimento.

L'Edda e le Saghe scandinave sono impregnate di Orrore Cosmico ed esprimono il genuino terrore di Ymir e della sua progenie senza forma; mentre l'anglosassone Beowulf e i successivi racconti dei Nibelunghi in Germania, sono pieni di occultismo soprannaturale. Dante è un pioniere dell'atmosfera macabra in ambiente classico, e le stanze di Spencer sono da considerare molto più che uno spunto di orrore fantastico nel paesaggio, negli eventi, nei personaggi.

La narrativa ci offre la Morte d'Arthur di Malory, in cui sono presenti molte situazioni terrorizzanti ricavate dalle ballate più antiche - il furto della spada e del manto di seta dal cadavere nella Cappella Perigliosa di Sir Galahad - mentre i più crudi esempi furono indubbiamente offerti dai "libercoli" a buon mercato e sensazionali, messi in circola-zione fra il popolino e divorati dagli ignoranti.

Nel dramma elisabettiano - con il Dr. Faustus, le streghe del Macbeth, lo spettro di Amleto e l'orrore di Webster - possiamo facilmente rilevare la forte presa dell'elemento demoniaco sulla mente della gente, una presa accentuata dalla paura della Stregoneria i cui echi, all'inizio i più feroci in Europa, cominciano a risuonare fortemente nelle orecchie degli Inglesi, mentre le crociate per la caccia alle streghe hanno inizio con Giacomo I.

Alla narrativa misteriosa rimasta negletta nei secoli, si aggiunge una lunga serie di trattati sulla Stregoneria e sulla demonologia che serve a eccitare l'immaginazione dei lettori.

Durante tutto il XVII secolo e parte del XVIII, osserviamo una crescente quantità di leggende effimere e di ballate di argomento fosco, comunque sempre mantenuta in secondo piano rispetto alla letteratura di tutti i giorni.

I libri sull'Orrore e sull'Occulto si moltiplicano, e cogliamo l'acuto interesse della gente attraverso brani come The Apparition of Mrs. Veal di Defoe, un modesto racconto sulla visita dello spettro di una donna morta a un amico lontano, scritto per dissertare nascostamente circa una disquisizione teologica sulla morte che al tempo non ebbe molto successo.

Le classi più elevate della società stavano allora perdendo la fede nel Soprannaturale, e stavano entrando in un periodo di razionalismo classico. Poi, a iniziare dalle traduzioni dei racconti orientali sotto il regno della regina Anna, rinasce il sentimento romantico che assume una forma definita verso la metà del secolo, ossia l'era del nuovo inte resse per la natura e lo splendore dei tempi passati, per le scene eccezionali, le azioni ardimentose e i prodigi incredibili. Dapprima lo avvertiamo nei poeti, il cui linguaggio assume nuove caratteristiche di meraviglia, originalità e passione.

Infine, dopo la timida apparizione di alcune scene soprannaturali nei romanzi dell'epoca - come nelle Adventures of Ferdinand, Count Fathom di Smollett - questo impulso spinse a dar vita a un nuovo tipo di scritti: la scuola "gotica" della narrativa orribile e fantastica, lunga o breve, le cui uscite successive erano destinate a diventare tanto nume rose e, in molti casi, fulgide di meriti artistici.

A ben pensarci, è veramente notevole che i racconti dell'Orrore, quale forma letteraria precisa e riconosciuta, siano stati così tardi a fiorire definitivamente. L'impulso e l'atmosfera sono vecchi come l'uomo, ma il tipico racconto dell'Orrore nella letteratura mainstream è un neonato del XVIII secolo.

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3. L'orìgine del romanzo gotico

I paesaggi frequentati dalle ombre di Ossian, le visioni caotiche di William Blake, le singolari danze delle streghe nel Tarn O'Shanter di Burns, la sinistra credenza nei demoni in Christabel e nell'Ancient Mariner di Coleridge, il fascino spettrale in Kilmeny di James Hogg e le minori valenze di Orrore Cosmico in Lamia e in molte altre poesie di Keats, sono i tipici esempi inglesi dell'affermarsi dell'Orrore nella letteratura mainstream.

I nostri cugini germanici sul continente europeo furono altrettanto ricettivi di fronte al costante aumento. Der Wilde Jäger di Bürger, e l'ancor più famosa ballata dello sposo-dèmone, Lenore - entrambi imitati in inglese da Scott, la cui propensione per il Soprannaturale fu sempre grande - sono soltanto un assaggio della dovizia dell'occulto che le composizioni poetiche tedesche avevano cominciato a offrire.

Thomas Moore derivò da tali fonti la leggenda della demoniaca statua-sposa (in seguito usata da Merimée in La Vénus d'Ille, e con tracce che risalgono a tempi antichissimi) che echeggia con effetti di brivido nella sua ballata The Ring; mentre l'intramontabile capolavoro di Goethe, Faust, passando dalla semplice ballata alla tragedia classica, può ritenersi come la suprema altezza raggiunta da questo impulso poetico tedesco.

Ma toccò a un inglese molto allegro e attaccato alle cose del mondo - Horace Walpole - dare al crescente impulso una forma definita, e diventare il vero fondatore del Racconto dell'Orrore come fatto permanente.

Dato che prediligeva i romanzi cavallereschi e i misteri medievali come lettura di evasione, e con un castello che imitava bizzarramente lo stile gotico come dimora a Strawberry Hill, Walpole pubblicò The Castle of Otranto nel 1764, un racconto del Soprannaturale che, pur complessivamente mediocre e poco convincente, era destinato a esercitare una influenza praticamente ineguagliata sulla letteratura dell'Orrore.

Accreditato dapprima come "traduzione" dall'italiano di un inventato "Onofrio Muralto" con il nome di "Willam Marshal, Gent.", l'autore finirà poi con l'ammettere il suo legame con il libro, compiacendosi per la vasta e immediata popolarità, una popolarità che si estese a molte edizioni, alle prime forme di dramma e alla imitazione in massa sia in Inghilterra che in Germania.

Il racconto - noioso, circonvoluto e melodrammatico - è ulteriormente deteriorato da uno stile approssimativo e grezzo, la cui vivacità non consente mai la creazione di una atmosfera veramente misteriosa. Narra di Manfredi, un principe privo di scrupoli che ha usurpato il trono, deciso a fondare una linea di successione il quale, dopo la misteriosa e improvvisa morte del suo unico figlio, Corrado, la mattina del suo sposalizio, tenta di uccidere la moglie Ippolita per sposare la donna destinata allo sfortunato giovane; il ragazzo, intanto, era stato schiacciato dalla caduta soprannaturale di un elmetto gigantesco nel cortile del castello.

Isabella, la sposa rimasta vedova, sfugge alle sue trame; nelle cripte sotterranee del castello incontra per caso un giovane protettore, il nobile Teodoro, che ha l'aspetto di un contadino ma stranamente ricorda nei tratti il vecchio sovrano Alfonso, il quale governò quelle terre prima di Manfredi.

Poco dopo, dei fenomeni soprannaturali appaiono nel castello in vari posti: si scoprono qua e là frammenti di armature gigantesche, un ritratto esce camminando dalla cornice, una folgore distrugge l'edificio, e un colossale spettro di Alfonso, vestito dell'armatura, sorge dalle rovine per salire, mentre le nuvole si diradano, al cospetto di San Nicola.

Teodoro, che aveva corteggiato Matilda, figlia di Manfredi, che la morte gli aveva rapito - la ragazza è trucidata dal padre per errore - viene riconosciuto come figlio di Alfonso ed erede legittimo delle terre. Il racconto si conclude con il matrimonio di Isabella e Teodoro che vivranno felici per sempre, mentre Manfredi - la cui usurpazione fu causa della morte soprannaturale del figlio e degli attacchi soprannaturali contro lui stesso - si ritira in un monastero per far penitenza. Sua moglie, addolorata, cerca asilo in un vicino convento.

Sin qui il racconto: piatto, barocco e del tutto privo di quel brivido cosmico che costituisce la letteratura dell'Orrore. Ciononostante, tale fu il desiderio dell'epoca per quei tocchi di stravaganza e antichità spettrale che riflette, da essere accolto favorevolmente dai lettori più giudiziosi e innalzato, malgrado la sua intrinseca insipienza, su un pie distallo assai importante nella storia della letteratura.

Ciò che esso fece soprattutto fu il creare un genere di romanzo con scene, personaggi, ed episodi; un genere che, sfruttato più opportunamente da scrittori idonei per natura alle creazioni misteriose, stimolò la crescita di una scuola gotica di imitazione la quale, a sua volta, ispirò i veri ideatori dell'Orrore cosmico, il filone degli artisti che ini ziano con Poe.

Gli elementi del romanzo drammatico consisteranno, prima di tutto, nel castello gotico con la sua vetustà che incute timore, grandi estensioni labirintiche, ali del castello abbandonate o rovinate, corridoi umidi, nascoste catacombe malsane, e un insieme di spettri e di leggende terrificanti come fonti di ansia e di spavento demoniaco.

Inoltre, include il nobile e malvagio tiranno quale vilain; l'eroina candida, a lungo perseguitata e generalmente insipida, la quale subisce i peggiori terrori e serve come punto di riferimento e fulcro per la compassione del lettore; il valoroso eroe senza macchia, sempre di alto lignaggio ma spesso sotto umili spoglie; la consuetudine di nomi stranieri altisonanti, specialmente italiani, per i personaggi; e poi un'infinita quantità di oggetti tipici, come strane luci, botole nascoste, lampade spente, manoscritti ammuffiti, porte cigolanti, arazzi che si agitano, e cose del genere.

Tutti questi elementi ricompaiono con divertente ripetitività, benché talvolta con effetto fantastico, lungo l'arco della storia della narrativa gotica. Ancora oggi non sono affatto esauriti, per quanto una tecnica più sottile li obblighi ad assumere una forma meno semplice e ovvia. Si era trovato un ambiente idoneo a una nuova scuola, ma il mondo della

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letteratura non fu svelto ad afferrare l'opportunità.Il romanzo fantastico tedesco reagì prontamente all'influenza di Walpole, e presto divenne sinonimo di Occulto e

Spettrale.In Inghilterra, uno dei primi a seguire questa nuova via fu la celebre signora Barbauld, all'epoca, signorina Aikin, la

quale pubblicò nel 1773 un brano incompiuto sotto il titolo Sir Bertrand.In una brughiera cupa e solitaria un nobile, attirato dai rintocchi di una campana e da una luce lontana, entra in un

misterioso castello antico e turrito, le cui porte si aprono e si chiudono, e i cui fuochi fatui azzurrognoli aprono la via a scale misteriose, a mani di cadaveri e a nere statue animate. Una bara con una signora morta, che Sir Ber trand bacia, costituisce la meta e, dopo il bacio, la scena si sposta in uno splendido appartamento dove la morta, riportata in vita, tiene un banchetto in onore del suo salvatore.

A Walpole quel racconto piacque, mentre tenne in minor conto una più importante filiazione del suo The Castle of Otranto, ovvero The Old English Baron di Clara Reeve, pubblicato nel 1777.

A voler essere obiettivi, quel racconto non fa vibrare la nota dell'occulto e del mistero cosmici che distingue il brano della Barbauld e, benché meno crudo del romanzo di Walpole e più artisticamente parco di orrori in quanto possiede soltanto una figura spettrale, è tuttavia troppo insipido per assurgere a livelli di grandezza.

Anche qui abbiamo l'erede virtuoso del castello camuffato sotto le spoglie di un contadino, che viene reintegrato nella sua eredità tramite lo spettro del padre; e anche qui abbiamo un caso di vasta popolarità che ha portato a molte edizioni, drammi e traduzioni in francese. La Reeve scrisse un altro romanzo dell'Orrore, che purtroppo non fu pubblicato ed è andato perduto.

Il romanzo gotico veniva così confermato come forma letteraria, e gli esempi si moltiplicano in modo stupefacente nell'ultimo periodo del XVIII secolo.

The Recess, scritto nel 1785 da Sophia Lee, presenta un elemento storico che ruota attorno alle figlie gemelle di Maria, regina di Scozia e, benché privo del dato soprannaturale, fa suo lo scenario e il mecca nismo di Walpole con grande destrezza.

Cinque anni dopo, tutti i lumi esistenti impallidiscono al sorgere di un nuovo astro, Ann Radcliffe (1764-1823) i cui famosi romanzi fecero dell'Orrore e della suspense una moda; questa scrittrice stabilì nuovi e più alti modelli nel regno del macabro e dell'atmosfera che incute terrore, malgrado il vezzo di distruggere i suoi stessi fantasmi con elaborate spiegazioni logiche.

Rispetto agli elementi gotici dei suoi predecessori, la Radcliffe aggiunse un genuino senso del Soprannaturale nelle scene e negli episodi, con un'abilità narrativa che rasenta il genio. Ogni tratto di scenario e di azione contribuisce all'impressione di enorme orrore che desidera suscitare. Pochi dettagli sinistri, come una lontana traccia, o un magico canto notturno nella foresta, possono, con il suo talento, evocare le più terrificanti immagini di orrore incombente, superando di gran lunga le stravaganti e laboriose descrizioni di altri scrittori. Né tali immagini sono in sé meno potenti per il fatto che vengono chiarite prima della fine del romanzo.

La fantasia della Radcliffe fu sempre assai vivida, e compare sia nelle descrizioni di deliziosi paesaggi - sempre situati in ampi spazi stupendamente pittoreschi, e mai raccontati nel dettaglio - sia nelle fantasie orrorifiche.

I suoi punti deboli, a parte l'abitudine al disinganno, sono una certa tendenza nello sbagliare per quanto concerne la geografia e la storia, e una notevole predilezione nell'infarcire i suoi romanzi con insipide poesiole, attribuite all'uno o all'altro dei personaggi.

Ann Radcliffe scrisse sei romanzi: The Castle of Athlin and Dunbayne (1789), A Sicilian Romance (1790), The Romance of the Forest (1792), The Mysteries of Udolpho (1794), The Italian (1797) e Gaston de Blondeville, composto nel 1802 ma pubblicato dopo la sua morte nel 1826.

Di essi, Udolpho è certamente il più famoso, e può essere ritenuto il migliore racconto gotico del primo periodo. È la storia di Emily, una giovane francese andata a vivere in un antico e lugubre castello sugli Appennini, a seguito della morte dei genitori e del matrimonio di sua zia con il signore del castello, l'equivoco nobiluomo Montoni.

Suoni misteriosi, porte aperte, leggende spaventose, e un orrore innominabile annidato in una nicchia dietro un velo nero, tutto congiura in rapida successione per snervare l'eroina e la sua fedele ancella, Annette. Ma, alla fine, dopo la morte della zia, la ragazza fugge con l'aiuto di un compagno di prigionia da lei scoperto.

Durante il viaggio di ritorno in patria, Emily si ferma in un altro castello pieno di orrori - nell'ala abbandonata dove abitava la defunta castellana c'è il letto di morte con il nero drappo funebre - ma alla fine trova la sicurezza e la felicità con il suo amante Valancourt, dopo la rivelazione di un segreto che per un certo tempo aveva avvolto la nascita della ragazza nel mistero.

È chiaro che si tratta di materiale corrente rielaborato; ma la rielaborazione è così buona, che Udolpho rimarrà sempre un classico. I personaggi della Radcliffe sono degli stereotipi, ma lo sono meno di quelli dei suoi predecessori. E, quanto alla creazione dell'atmosfera, la nostra autrice occupa un posto preminente fra i contemporanei.

Tra gli innumerevoli imitatori della Radcliffe, il romanziere americano Charles Brockden Brown è quello che più le si avvicina per spirito e metodo. Come lei, danneggiò le sue creazioni con spiegazioni naturali ma, come lei, ebbe il fantastico dono di riuscire a creare l'atmosfera adatta, il che conferisce ai suoi orrori una spaventosa vitalità finché rimangono senza spiegazione.

È diverso dalla Radcliffe per lo sprezzante rifiuto degli elementi gotici esteriori, mentre sceglie dei moderni scenari americani per i suoi misteri; ma tale disconoscimento non si estese allo spirito dei racconti gotici.

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I romanzi di Brown presentano alcune memorabili scene di orrore, che talvolta superano persino quelle della Radcliffe nel descrivere gli effetti sulle menti sconvolte.

Edgar Huntly inizia con un sonnambulo che scava una tomba, ma in seguito il racconto è rovinato da dei tratti di pedanteria tipicamente godwiniana. Ormond narra di un membro di una macabra setta segreta. Sia questo che Arthur Mervyn, descrivono l'epidemia di febbre gialla cui l'autore aveva assistito di persona a Filadelfia e a New York.

Ma il libro più famoso di Brown è Wieland, or the Transformation (1798), in cui un tedesco della Pennsylvania, pervaso da un'ondata di fanatismo religioso, ode delle "voci" e uccide la moglie e i figli per un sacrificio. Sua sorella Clara, che racconta la storia, si salva per miracolo.

La scena, ambientata nei boschi di proprietà di Mittingen sugli erti promotori di Schuylkill, è descritta con estrema vivezza; e i terrori di Clara, assalita da forme spettrali, paure varie, e dal suono di misteriosi passi che risuonano nella casa solitaria, sono resi con forza veramente artistica. Alla fine viene offerta la spiegazione non molto convincente di un ventriloquo, ma l'atmosfera è buona finché dura. Carwin, il malvagio ventriloquo, è la tipica anima nera sul modello di Manfredi o Montoni.

4. Il periodo migliore del romanzo fantastico gotico

L'Orrore nella letteratura raggiunse un nuovo tipo di orrore con gli scritti di Matthew Gregory Lewis (1773-1818), il cui romanzo The Monk (1796), ottenne una enorme popolarità e gli valse il soprannome di "Monk" Lewis.

Questo giovane autore, educato in Germania e pervaso di un insieme di tradizioni germaniche sconosciute alla Radcliffe - si dedicò all'Orrore in forme più violente di quelle che i suoi moderati predecessori non avevano mai osato neppure concepire.

Di conseguenza, diede vita a un efficace capolavoro orrorifico, la cui trama gotica è resa più interessante dall'aggiunta di abbondanti elementi macabri.

Il racconto narra di un frate spagnolo, Ambrosio, il quale, da uno stato di virtù, viene tentato al male più abietto da un dèmone sotto le spoglie della pudica Matilda: quando attende la morte a seguito del giudizio dell'Inquisizione, viene indotto a fuggire in cambio della vendita della propria anima al Diavolo, e accetta, pensando di aver già perso il corpo e l'anima.

Il dèmone, dopo averlo portato in luogo solitario, gli rivela che ha venduto la sua anima invano perché, nel momento dell'odioso baratto, si stava avvicinando per lui il perdono e la possibilità della salvezza, poi completa la beffa rimproverandolo per i suoi peccati. Getta quindi il corpo del frate in un precipizio, mentre l'anima prende la via della perdizione eterna.

Il romanzo contiene alcune descrizioni terrificanti come l'incantesimo nei sotterranei ubicati sotto al cimitero del convento, l'incendio dello stesso, e la fine dell'infelice frate. Nella trama secondaria, dove il marchese de Las Cisternas incontra lo spettro della sua antenata errante, la Monaca Insanguinata, vi sono molte pennellate di grande effetto: su tutto spicca la visita del cadavere animato al letto del marchese, e il rito cabalistico con cui l'Ebreo Errante lo aiuta a scovare e a bandire il suo torturatore morto.

Comunque è troppo lungo e prolisso, e molta della sua efficacia è guastata dalla leggerezza e dalla reazione inopportunamente eccessiva contro quei canoni della buona creanza che Lewis aveva in un primo tempo disprezzati.

Una cosa importante si può dire dell'autore: che non distrusse mai l'effetto delle sue visioni macabre con una spiegazione naturale. Riuscì a rompere la tradizione della Radcliffe e ad allargare il campo della Narrativa Gotica.

Lewis scrisse molte altre opere oltre a The Monk. Un suo dramma, The Castle Spectre, fu rappresentato nel 1798, e in seguito trovò il tempo per scrivere altre storie in forma di ballate: Tales of Terror (1799), e The Tales of Wonder (1801), una serie di traduzioni dal tedesco.

La narrativa gotica inglese e tedesca si diffuse allora a profusione anche se era mediocre. La maggior parte dei testi era semplicemente ridicola se esaminata alla luce di un gusto maturo, e la famosa satira della Austen, Northanger Abbey, fu indubbiamente un meritato rimprovero a una scuola che era caduta nel ridicolo.

Questa particolare scuola andava gradatamente esaurendosi ma, prima del crollo definitivo, nacque la sua ultima e più grande figura nella persona di Charles Robert Maturin (1782-1824), un oscuro ed eccentrico prete irlandese.

Da una miscellanea di scritti che includono una confusa imitazione dei racconti della Radcliffe, intitolata The Fatal Revenge, or the Family of Montorio (1807), Maturin diede vita a quello stupendo capolavoro dell'Orrore, Melmoth, the Wanderer (1820), in cui il Racconto Gotico assurge ad altezze di puro terrore spirituale che mai aveva conosciuto prima.

Melmoth è il racconto di un gentiluomo irlandese che, nel XVII secolo, ottiene dal Diavolo un prolungamento della vita a prezzo della sua anima. Se riuscirà a convincere un altro ad accollarsi questo patto, assumendo il suo stato attuale, allora potrà salvarsi. Ma non riesce mai nell'impresa, malgrado l'assiduità con cui va alla ricerca di coloro che la disperazione ha reso inquieti e frenetici.

La trama del racconto è pesante ed eccessivamente lunga e noiosa: vi sono episodi dispersivi, narrazioni su narrazioni, e troppi resoconti e coincidenze eccessivamente elaborati. Ma, in vari punti di questa lunga narrazione, si avverte un affiato di potenza che manca in precedenti lavori del genere, una affinità con la parte essenziale della natura umana, una comprensione delle più profonde fonti dell'orrore cosmico e un fortissimo coinvolgimento da parte dello scrittore, che fa del suo libro un vero documento di autoespressione estetica anziché un mero miscuglio di abili

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espedienti.Nessun lettore imparziale può mettere in dubbio il fatto che con Melmoth si sia fatto un grosso passo avanti

nell'evoluzione del Racconto dell'Orrore. La paura viene prelevata dal regno del convenzionale ed esaltata come una terribile macchia che incombe sul destino dell'umanità. I brividi di Maturin, espressione di uno scrittore capace lui stesso di rabbrividire, sono di un genere convincente.

La Radcliffe e Lewis si prestano alla parodia, ma riuscirebbe assai difficile scoprire una nota falsa nell'azione intensa e febbrile e nella forte tensione dell'ambiente creato dall'irlandese, le cui emozioni meno sofisticate e la cui tendenza al misticismo di origine celtica gli fornirono il miglior corredo naturale per il suo lavoro.

Non vi è alcun dubbio che Maturin sia un uomo di autentico genio, e tale fu riconosciuto da Balzac il quale non solo classificò Melmoth alla stregua del Don Juan di Molière, del Faust di Goethe e del Manfred di Byron, ritenute le più alte figure allegoriche della moderna letteratura europea, ma scrisse uno stravagante lavoro intitolato Melmoth Recon-cilié in cui Melmoth l'Errante riesce a trasferire il suo patto infernale a un parigino, reo di appropriazione indebita in una banca, il quale a sua volta passa il patto che, di mano in mano, viene trasferito a tutta una serie di altre vittime, finché un giocatore muore mentre ne è in possesso e così, con la sua dannazione, chiude la catena maledetta.

Scott, Rossetti, Thackeray e Baudelaire sono gli altri titani che tributarono a Maturin la loro assoluta ammirazione, ed enorme importanza riveste il fatto che Oscar Wilde, dopo il disonore e l'esilio, scelse per i suoi ultimi giorni a Parigi il falso nome di "Sebastian Melmoth".

Melmoth contiene alcune scene che ancor oggi non hanno perduto il loro potere di evocare il terrore.Comincia con un letto di morte: un vecchio avaro sta morendo di paura a causa di qualcosa che ha visto, oltre a un

manoscritto che ha letto e a un ritratto di famiglia appeso in un buio ripostiglio della sua antica casa in County Wicklow.

Manda quindi a chiamare il nipote John al Trinity College di Dublino ma, non appena arriva, questi nota molte cose misteriose. Gli occhi del ritratto nel ripostiglio brillano in modo orribile, e due volte appare per un istante sulla porta una figura stranamente rassomigliante al ritratto.

Il terrore incombe sulla casa dei Melmoth, di cui uno degli antenati, «J. Melmoth, 1646», è raffigurato nel ritratto. L'avaro morente afferma che quell'uomo - siamo in un'epoca di poco anteriore al 1800 - è ancora vivo. Quando l'avaro muore, al nipote viene richiesto per testamento di distruggere sia il ritratto, sia un manoscritto conservato in un certo cassetto.

Il giovane John, leggendo il manoscritto redatto verso la fine del XVII secolo da un inglese di nome Stanton, apprende un terribile episodio avvenuto in Spagna nel 1677, quando lo scrittore fece la conoscenza di un terrificante compaesano dal quale seppe che aveva fatto morire un sacerdote fissandolo negli occhi, perché costui aveva minacciato di denunciarlo come persona assolutamente malvagia.

In seguito, dopo aver rivisto l'uomo a Londra, Stanton, rinchiuso in manicomio, viene visitato da uno sconosciuto il cui avvicinarsi è annunziato da una musica spettrale e i cui occhi emanano un bagliore mortale.

Melmoth l'Errante - perché è lui il malvagio visitatore - offre la libertà al prigioniero se farà suo il patto con il Diavolo; ma, come tutti gli altri avvicinati da Melmoth, Stanton è inattaccabile dalle tentazioni.

La descrizione che Melmoth fa degli orrori della vita in manicomio è uno dei brani più efficaci del libro. Stanton, alla fine liberato, passa il resto della sua vita a cercare le origini di Melmoth, di cui scopre la famiglia e l'avita dimora. Lascia quindi agli eredi il manoscritto che al tempo del giovane John è in pessimo stato e frammentario. John distrugge sia il ritratto che il manoscritto, ma nel sonno viene visitato dal suo terribile antenato che gli lascia un segno nero su un polso.

Poco dopo, il giovane John riceve come ospite un naufrago spagnolo, Alonzo de Moncada, il quale ha abbandonato la vita monastica ed è fuggito dai pericoli dell'Inquisizione. Ha sofferto pene indicibili, e le descrizioni delle sue esperienze sotto la tortura e nei sotterranei dai quali tenta di fuggire sono assai efficaci. Comunque ha avuto la forza di opporsi a Melmoth l'Errante quando questi gli ha fatto la solita proposta nell'ora dolorosa della prigionia.

Nella casa di un ebreo che lo ha accolto dopo la fuga, egli scopre una grande quantità di manoscritti di una fanciulla indiana, Immalee, alla quale, col tempo, sono riconosciuti i suoi diritti di nascita in Spagna venendo poi chiamata Donna Isidora. Viene quindi a conoscenza del terribile matrimonio di Moncada con la fanciulla per mezzo del cadavere di un anacoreta morto, cerimonia che è avvenuta a mezzanotte nella cappella in rovina di un monastero aborrito ed evitato dalla gente.

Il racconto di Moncada al giovane John occupa la maggior parte dell'opera di Maturin, composta di quattro volumi. Tale sproporzione è considerata uno dei principali lati negativi dello scritto.

Alla fine, i colloqui tra John e Moncada sono interrotti dall'arrivo di Melmoth l'Errante, i cui occhi penetranti sono ora sbiaditi e il cui aspetto è ormai di una estrema senilità. La scadenza del patto si ap prossima, ed egli è tornato a casa dopo un secolo e mezzo per accettare il suo destino. Avvisati gli altri di non entrare nella stanza qualunque rumore odano nella notte, egli aspetta da solo la sua fine.

John verso la mattina ode delle grida che rompono il silenzio. Aperta la stanza, la trovano vuota. Impronte argillose portano a un uscio posteriore che dà su una rupe sovrastante il mare, e presso il bordo del precipizio vi è una traccia come se un corpo pesante vi fosse stato trascinato a forza. La sciarpa dell'Errante viene ritrovata su una balza a qualche metro di distanza sotto il bordo, ma da quel momento non lo si vedrà più né si sentirà più parlare di lui.

Questa è la storia, e non si può fare a meno di notare la differenza tra questo orrore progressivo, stimolante e - per

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usare le parole del professor George Saintsbury - «l'abile ma sterile razionalismo della Radcliffle e la sua stravaganza troppo spesso puerile, nonché il cattivo gusto e lo stile talvolta trascurato di Lewis».

Lo stile di Maturin merita una menzione particolare, perché il suo impeto, la spontaneità e vitalità, lo innalzano al di sopra delle pompose artificiosità di cui si son resi colpevoli coloro che lo hanno preceduto.

La professoressa Edith Birkhead, nel suo saggio The Tale of Terror. A Study of the Gothic Romance (1921), osserva giustamente che «nonostante i suoi difetti, Maturin fu il più grande e l'ultimo degli autori gotici».

Melmoth ebbe un gran numero di lettori e fu anche ridotto in dramma, ma la sua tardiva apparizione sulla ribalta del racconto gotico, lo privò della enorme popolarità di cui godettero Udolpho e The Monk.

5. Gli epigoni della narrativa gotica

Intanto, altre penne non erano rimaste in ozio, cosicché, a parte la deprecabile massa di narrativa d'accatto come Horrid Mysteries del marchese von Grosse (1796), Children of the Abbey della Roche (1798), Zofloya, or the Moor della Dacre (1806) e le esercitazioni giovanili, anche se notevoli, di Shelley, Zastrozzi (1810) e St. Irvine (1811), en-trambe imitazioni di Zofloya, videro la luce molte notevoli opere dell'Orrore sia in Inghilterra che in Germania.

Classica a questo proposito, e del tutto diversa da lavori analoghi perché basata sul racconto orientale anziché sul romanzo gotico alla Walpole, è la celebre History of the Caliph Vathek del ricco scrittore dilettante William Beckford, in un primo momento scritta in francese, ma pubblicata in traduzione inglese prima dell'apparizione originale.

Le novelle orientali, entrate nella letteratura europea ai primi del XVIII secolo con la traduzione in francese per opera di Galland delle stupende Mille e una notte, erano diventate una moda dominante, e venivano usate sia a livello allegorico che per divertimento.

L'acuto umorismo, che solo una mente orientale sa come amalgamare con il soprannaturale, aveva sedotto una generazione sofisticata, tanto che i nomi di Baghdad e di Damasco venivano usati nella letteratura popolare tanto quanto lo sarebbero stati presto gli eleganti nomi italiani e spagnoli.

Beckford, profondo conoscitore della narrativa orientale, colse quell'atmosfera con insolita bravura, e il suo fantastico libro rifletté con grande efficacia l'arrogante sontuosità, la maliziosa disillusione, la sot tile crudeltà, la manierata perfidia e lo spettrale orrore cupo, caratteristici dello spirito saraceno. Il suo uso del ridicolo di rado guasta la forza orrorifica del tema, e il racconto scorre in una fantasmagoria in cui il riso è quello di scheletri che banchettano sotto cupole arabescate.

Vathek è la storia del nipote del califfo Haroun, il quale, tormentato dalla brama di possedere le forze, i piaceri e le nozioni ultraterrene che animano ogni vilain del racconto gotico o gli eroi byroniani (essenzialmente tipi affini), è convinto da un genio maligno a cercare il trono sotterraneo dei potenti e favolosi sultani pre-adamiti nella dimora che si erge tra le fiamme di Eblis, l'inferno maomettano.

Le descrizioni dei palazzi, delle digressioni di Vathek, della madre-strega Carathis e della sua torre incantata con le cinquanta negre con un occhio solo, del suo pellegrinaggio alle rovine di Istakhar (Persepoli) abitate da fantasmi, della maliziosa sposa Nouronihar che egli acquista con l'inganno, delle primitive torri e terrazze di Istakhar rilucenti sotto la vivida luna del deserto, e delle terribili sale ciclopiche di Eblis dove, allettata da splendenti promesse, ogni vittima è costretta a vagare per sempre tra i tormenti tenendo la mano destra sul proprio cuore acceso di viva fiamma ed eternamente bruciante, sono dei veri trionfi di magia e di colore, tanto da situare il libro ai vertici della letteratura inglese.

Degni di rilievo sono anche i tre Episodes of Vathek, concepiti per essere inseriti nel testo come racconti dei compagni di sventura di Vathek nelle sale infernali di Eblis, ma che rimasero inediti durante la vita dell'autore e furono scoperti solo nel 1909 dallo studioso Lewis Melville durante la raccolta di materiale per il suo Life and Letters of William Beckford.

Comunque Beckford difetta del misticismo essenziale che segna la forma più alta dell'Occulto; per questo i suoi racconti hanno una certa durezza e chiarezza tipicamente latine che sono un ostacolo al vero terrore.

Ma Beckford rimase un caso isolato nella sua predilezione per l'Oriente. Altri scrittori, più aderenti alla tradizione gotica e alla vita europea in generale, si contentarono di seguire fedelmente il filone di Walpole.

Fra gli innumerevoli scrittori di narrativa dell'Orrore di quel periodo, vale la pena di ricordare il teorico di economia utopistica William Godwin il quale, dopo il suo famoso ma non soprannaturale Caleb Williams (1794), scrisse St. Leon (1799), intenzionalmente misterioso. In esso, il tema dell'Elisir di Lunga Vita, prodotto dall'immaginario Ordine segreto dei Rosacroce, è trattato con ingegnosità, anche se manca un clima convincente.

L'elemento del "rosacrocianesimo", alimentato da un'ondata di interesse popolare per la magia - portato in auge dal ciarlatano Cagliostro e dalla pubblicazione di The Magus (1801) di Francis Barrett, un bizzarro trattato sui princìpi e le cerimonie dell'occultismo, di cui apparve una ristampa addirittura nel 1896 - figura in Bulwer-Lytton e in Faust and the Demon e Wagner the Wehr-Wolf di George W.M. Reynold, opere queste scritte nel XIX secolo.

Caleb Williams, anche se non è un racconto soprannaturale, presenta molti spunti di autentico orrore. È la narrazione di un servitore perseguitato da un padrone che egli ha scoperto colpevole di assassinio, e rivela una tale dose di inventiva e abilità, da renderlo vivo e attuale anche ai nostri giorni. Fu ridotto in dramma sotto il titolo The Iron Chest, e in teatro fu quasi altrettanto famoso. Godwin, tuttavia, era un insegnante troppo coscienzioso nonché un uomo di pensiero troppo prosaico per poter creare un genuino capolavoro dell'Orrore.

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Sua figlia, la moglie di Shelley, ebbe molto più successo, e il suo inimitabile Frankenstein, or the Modem Prometheus (1817) è uno dei classici dell'Orrore di tutti i tempi.

Scritto per una gara fatta con il marito, con Lord Byron e col dottor John William Polidori, allo scopo di dimostrare chi fosse il più bravo tra loro a scrivere racconti dell'Orrore, il Frankenstein della signora Shelley fu l'unico fra gli scritti in gara a essere dotato di una trama ben elaborata, ma la critica non è riuscita a dimostrare se le parti migliori siano dovute a Shelley o alla moglie.

Il romanzo, propugnante una certa didattica morale, pur se non ne è guastato, narra di un essere umano artificiale modellato da Victor Frankenstein, un giovane svizzero, studente in medicina.

Creato dal suo ideatore «per folle orgoglio scientifico», il mostro possiede una intelligenza normale, ma ha un fisico spaventoso. Respinto dall'umanità, si inasprisce, e infine dà inizio a una serie di delitti con i quali elimina tutti coloro che Frankenstein ama di più, amici e familiari.

Esige quindi che Frankenstein gli crei una moglie e, quando lo studente si rifiuta inorridito per tema che il mondo si popoli di tali mostri, l'essere si allontana con la tremenda minaccia che si farà vivo la notte delle nozze del Barone. Quella notte la novella sposa viene strangolata e, da quel momento in poi, Frankenstein dà la caccia al mostro, persino nei deserti dell'Artico. Alla fine, dopo aver cercato asilo sulla nave dell'uomo che narra la storia, Frankenstein viene ucciso dal mostruoso oggetto delle sue ricerche, creazione del suo orgoglio e della sua presunzione.

Certe scene di Frankenstein sono indimenticabili, come quando il mostro appena animato entra nella stanza del suo creatore, apre le cortine del letto, e lo guarda sotto il pallido chiarore lunare con gli occhi vitrei, «se quelli possono chiamarsi occhi».

La signora Shelley scrisse altri romanzi, ivi compreso The Last Man, discretamente apprezzabile; ma non riuscì mai a ripetere il successo della sua prima fatica. Questa infatti esprime proprio l'orrore cosmico, indipendentemente da una certa lentezza di azione presente a tratti.

Il dottor Polidori scrisse per la gara un lungo racconto, The Vampyre, in cui possiamo ammirare un'affabile figura di dannato di tipo gotico o byroniano, oltre a imbatterci in eccellenti brani di autentico orrore, come una terribile esperienza notturna in un solitario bosco della Grecia.

In quello stesso periodo, Sir Walter Scott si dedicò spesso all'Occulto, includendolo nelle trame di molti romanzi e poesie, e talvolta scrisse alcuni racconti come The Tapestried Chamber, Wandering Willie's Tale, o Redgauntlet, nel quale ultimo la forza spettrale e diabolica è esaltata da una strana semplicità di linguaggio e di atmosfera.

Nel 1830, Scott pubblicò le sue Letters on Demonology and Witchcraft che costituiscono ancora oggi uno dei migliori compendi in materia di leggende europee sulla Stregoneria.

Washington Irving è un'altra figura famosa non dissociata dall'Occulto; infatti, sebbene la maggior parte dei suoi fantasmi siano troppo eccentrici e umoristici per dar vita a una letteratura genuinamente macabra, si nota una netta tendenza in tale direzione in molte sue opere.

The German Student in Tales of a Traveler (1824) è una rappresentazione efficace e concisa della vecchia leggenda della sposa morta mentre, inserito nella trama di The Money Diggers, nello stesso volume, vi è più di un accenno di apparizioni spettrali nelle terre dove un tempo visse il capitano Kidd.

Thomas Moore si unì al gruppo degli artisti dell'Orrore con il poema Alciphron, che in seguito sviluppò nel romanzo in prosa, The Epicurean (1827). Benché il racconto si limiti a riferire le avventure di un giovane ateniese ingannato dalle arti di astuti sacerdoti egizi, Moore riesce a infondere un vero orrore genuino nella sua prospettazione di terrori e prodigi sotterranei, presenti sotto i primitivi templi di Menfi. De Quincey si diletta più di una volta di terrori stravaganti e orientaleggianti, sebbene con una mancanza di coesione e uno sfoggio di erudizione che gli negano il rango di specialista in questo specifico settore.

Quell'epoca vide anche il sorgere di William Harrison Ainsworth, i cui romanzi abbondano di elementi fantastici e raccapriccianti. Il Capitano Marryat, oltre ad avere scritto brevi racconti come The Werewolf, offrì un memorabile contributo con The Phantom Ship (1839), basato sul mito dell'Olandese volante, il cui vascello funesto e maledetto veleggia eternamente vicino al Capo di Buona Speranza. Dickens si distingue per alcuni brani orrorifici, come The Signalman, un racconto di avvertimenti spettrali affine a un modulo molto comune, e pervaso di una verosimiglianza che lo accomuna tanto alla futura scuola psicologica quanto alla morente scuola gotica.

A quel tempo fioriva un certo interesse per la ciarlataneria spiritistica, la scienza medianica, la teosofia indù, e cose del genere, molto più di oggi; cosicché, la quantità di racconti dell'Orrore a base "psichica" o pseudoscientifica, divenne enorme. Vi contribuì in buona misura il prolifico e popolare Edward Bulwer-Lytton e, malgrado le notevoli dosi di gonfia retorica e di vuoto romanticismo presenti nella sua produzione, non si può negare il suo successo nel creare una sorta di bizzarro incantesimo.

The House and the Brain, che si rifà al "rosacrocianesimo" e alla figura malvagia e immortale forse creata dal misterioso cortigiano di Luigi XV, il Conte di St. Germain, sopravvive ancora come uno dei migliori racconti brevi mai scritti sulle case infestate dai fantasmi. Il romanzo Zanoni (1842) contiene degli elementi simili, ma trattati in modo più elaborato, e introduce una vasta schiera di esseri occulti che incombono sul nostro mondo, scortati da un terribile Abitatore della Soglia che dà la caccia a chiunque tenti di entrare.

In questo romanzo abbiamo una setta benigna tenuta in vita da un secolo all'altro finché, da ultimo, si riduce a un solo membro, un antico stregone caldeo che vive sempre giovane per poi perire sotto la ghigliottina nella Rivoluzione francese.

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Nonostante trabocchi dello spirito convenzionale del romanzo fantastico, appesantito da una noiosa ragnatela di significati simbolici e didattici, e sia inverosimile per la mancanza di una perfetta realizzazione dell'ambiente e delle situazioni che ruotano intorno al mondo macabro, Zanoni è veramente un eccellente esempio di narrativa romantica, e può essere letto con autentico interesse dal lettore non troppo sofisticato. È divertente notare come, nel descrivere un tentativo di iniziazione nell'antica setta, l'autore non riesca a esimersi dal ricorrere al castello gotico di retaggio walpoliano.

In A Strange Story (1862), Bulwer-Lytton rivela uno spiccato miglioramento nella creazione di immagini e stati d'animo soprannaturali. Il romanzo, nonostante l'enorme lunghezza, una trama artificiale sostenuta da opportune coincidenze, e un clima di pseudoscienza inteso a compiacere il lettore vittoriano positivo e attento, è estremamente efficace come narrazione; risveglia un interesse immediato e costante, e fornisce molte scene e vertici di grande intensità, anche se parecchio melodrammatici.

Abbiamo ancora il misterioso beneficiario dell'Elisir di Lunga Vita nella persona del mago Margrave, le cui oscure gesta si stagliano drammaticamente sullo sfondo di una tranquilla cittadina inglese dei giorni nostri e nella foresta australiana; anche qui abbiamo i cupi presagi di un vasto mondo spettrale nella stessa aria che ci circonda, questa volta trattato con molta maggior forza e profondità che non in Zanoni.

Uno dei due grandi episodi di magia, nel quale l'eroe è costretto da un fulgido spirito maligno ad alzarsi di notte dal letto, a prendere una misteriosa bacchetta egiziana, e a evocare presenze innominabili nel misterioso padiglione di un famoso alchimista del Rinascimento, rappresenta veramente un ottimo esempio di scena orrorifica nell'ambito della narrativa.

Giusta dose di ispirazioni, giusta dose di spiegazioni. Alcune parole sconosciute vengono dettate due volte al sonnambulo e, quando lui le ripete, la terra trema, e tutti i cani della campagna ululano nel chiarore lunare. Quando viene suggerito un terzo gruppo di parole sconosciute, lo spirito del sonnambulo si ribella improvvisamente e non vuole pronunziarle, come se l'anima vi riconoscesse dei terrori abissali; infine, l'apparizione di una innamorata priva di corpo materiale quale angelo buono, rompe il malvagio incantesimo.

Questo brano illustra il progredire di Lord Lytton - al di là del suo usuale romanzo fantastico, pomposo e convenzionale - verso la cristallina essenza dell'orrore. Lytton si avvalse molto dei suoi studi di occultismo, nel corso dei quali venne a contatto con quel bizzarro studioso francese, Alphonse Louis Constant (Eliphas Levi), che so steneva di possedere i segreti dell'antica magia, e di aver evocato lo spettro del vecchio stregone greco Apollonio di Tiana, che era vissuto ai tempi di Nerone.

La tradizione romantica, semigotica e quasi-morale qui presentata fu proseguita per gran parte del XIX secolo da autori come Joseph Sheridan Le Fanu, Wilkie Collins, Sir H. Rider Haggard (di cui She è veramente ottimo), Sir A. Conan Doyle, H.G. Wells, e Robert Louis Stevenson. L'ultimo, malgrado una deprecabile tendenza al manieri smo, creò dei veri classici con Markheim, The Body Snatcher, e Dr. Jekyll and Mr. Hyde.

In realtà, si può dire che tale scuola esista ancora, perché a essa appartengono dei racconti contemporanei dell'Orrore, che puntano sugli avvenimenti più che sul dettagli di ambiente, si rivolgono all'intelletto più che a una tensione malvagia o a una verosimiglianza psicologica, e assumono un ruolo definito in accordo con l'umanità e il suo benessere.

Ha una forza innegabile a causa del suo "elemento umano" e attira un pubblico più vasto di quello che ottiene il puro incubo artistico. Anche se non altrettanto potente, la sua essenza concentrata raggiunge una intensità superiore al prodotto diluito.

Un discorso a parte come romanzo e come esempio di letteratura dell'Orrore merita il famoso Wuthering Heights (1847) di Emily Brontë, con le sue folli visioni delle brughiere dello Yorkshire, squallide e spazzate dai venti e dalle vite violente e distorte che nutrono.

Benché nato come racconto di vita e di passioni umane tormentate e in conflitto, il suo clima epicamente cosmico offre spazio per l'Orrore del genere più spiritistico.

Heathcliff, una copia modificata dell'eroe-dannato byroniano, è uno sconosciuto trovatello bruno, raccolto per strada da piccolo, che parla una strana lingua incomprensibile per la famiglia che finisce per essere rovinata da lui.

Più di una volta affiora l'idea che costui sia in realtà uno spirito diabolico anziché un essere umano, e il Soprannaturale è presente in seguito nell'esperienza di un visitatore il quale incontra lo spettro triste di un bambino fermo a una finestra contro la quale frusciano i rami di un albero.

Fra Heathcliff e Catherine Earnshaw esiste un legame più profondo e terribile dell'amore umano. Dopo la morte di lei, egli viola due volte la sua tomba ed è visitato a sua volta da una presenza impalpabile che non può essere altro che lo spirito di Catherine.

Lo spirito entra sempre più nella sua vita, per cui, alla fine, si convince che deve essere imminente una riunione mistica. Dice di sentire che si sta avvicinando un cambiamento straordinario e smette di nutrirsi. Di notte passeggia all'aperto o apre la finestra vicino al letto. Quando muore, i battenti della finestra continuano a oscillare sotto la pioggia scrosciante, e uno strano sorriso si diffonde sul suo volto irrigidito.

Viene quindi seppellito in una tomba accanto al tumulo che egli ha visitato per diciotto anni, e i giovani pastorelli raccontano che lui passeggia ancora con la sua Catherine nel cimitero e sulla brughiera quando piove. Anche le loro facce compaiono talvolta nelle notti piovose dietro quella finestra in alto a Wuthering Heights.

L'Orrore Soprannaturale della Brontë non è una semplice eco gotica, ma l'espressione della umana reazione di

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brivido di fronte all'ignoto. Sotto tale aspetto, Wuthering Heights diventa il simbolo di una transizione letteraria, e segna il fiorire di una nuova scuola più valida.

6. La letteratura dell'Orrore in Europa

In Europa, l'Orrore letterario procedeva a gonfie vele. I famosi racconti e romanzi brevi di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), sono sinonimo di felicità nell'ambientazione e maturità nella forma, sebbene tendano alla leggerezza e alla stravaganza, e difettino di quegli attimi elevati di assoluto orrore mozzafiato che uno scrittore meno sofisticato avrebbe potuto raggiungere. Generalmente, richiamano alla mente il grottesco più che l'orrore.

Fra tutti i racconti orrorifici europei, quello di maggior livello artistico è il classico tedesco Undine (1814), di Friedrich Heinrich Karl, Baron de la Motte Fouqué. In questa storia di uno spirito acquatico che ha sposato un mortale ottenendo un'anima umana, vi è una delicata bellezza di esecuzione che lo rende importante per qualsiasi tipo di narrativa, e una semplice naturalezza che lo accosta al genuino mito popolare. Infatti è derivato da un racconto narrato da Paracelso, medico e alchimista del Rinascimento, nel suo Trattato sugli spiriti fondamentali.

Undine, figlia di un potente principe acquatico, ancora piccola, viene scambiata dal padre con la figlia di un pescatore, in modo che acquisti un'anima sposando un essere umano. Incontrato il giovane nobile Huldbrand nella casa del padre adottivo situata vicino al mare, ai margini di un bosco frequentato dagli spiriti, Undine poco dopo lo sposa e lo segue nel castello di Ringstetten. Tuttavia Huldbrand si stanca dei legami soprannaturali della moglie, e in particolare delle apparizioni dello zio di lei, il maligno spirito delle Cascate Kuhleborn, una stanchezza questa accentuata dal crescente affetto che egli prova per Bertalda, la quale altri non è che la figlia del pescatore scambiata con Undine.

Alla fine, durante un viaggio lungo il Danubio, Huldbrand viene spinto da una azione innocente della devota moglie a pronunziare le rabbiose parole che fanno tornare la donna al suo elemento soprannaturale, dal quale Undine, secondo le leggi della sua specie, poteva tornare solo una volta, per uccidere l'uomo se mai si fosse dimostrato infedele alla sua memoria.

In seguito, quando Huldbrand sta per sposare Bertalda, Undine ritorna per eseguire il suo triste compito e lo uccide, piangendo. Quando Huldbrand viene sepolto fra i suoi avi nel cimitero del villaggio, una figura di donna velata, bianca come la neve, compare fra i partecipanti al funerale ma, dopo la preghiera, non la si vede più. Al suo posto appare una piccola sorgente argentea che zampilla attorno alla tomba e, gorgogliando, va a finire in un vicino lago. La gente del vil-laggio l'addita ancor oggi, e dice che Undine e il suo Huldbrand sono così uniti nella morte.

Molti brani e i punti di suspense del racconto rivelano come Fouqué sia un artista completo nel campo dell'Orrore; di particolare effetto è la descrizione del bosco invaso dai fantasmi, con il gigantesco uomo bianco e diversi orrori indicibili che compaiono all'inizio della narrazione.

Meno famoso di Undine, ma eccellente per il convincente realismo e l'assenza di elementi gotici, è Die Ambra Hexe di Wilhelm Meinhold, un altro prodotto del genio fantastico tedesco agli inizi del XIX secolo.

Il racconto, ambientato al tempo della Guerra dei Trenta Anni, vuole apparire come il manoscritto di un prete trovato in una vecchia chiesa a Coserow, ed è incentrato sulla figlia di colui che scrive, Maria Schwiedler, la quale viene ingiustamente accusata di Stregoneria.

Costei ha trovato un deposito di ambra che tiene nascosto per diversi motivi, e l'inspiegata ricchezza con esso ottenuta si presta al gioco dell'accusa, una accusa istigata dalla malignità del nobile Wittich Appelmann, il quale ha invano perseguitato la ragazza per dei suoi desideri inconfessabili. Le azioni di una vera strega, che dopo fa una orribile fine soprannaturale in prigione, sono imputate alla sfortunata Maria e, dopo un tipico processo per stregoneria con confessioni estorte con la tortura, sta per essere bruciata sul rogo. Ma viene salvata appena in tempo dal suo innamorato, un giovane nobile di una terra vicina.

La grande forza di Meinhold sta nel clima casuale e nella realistica verosimiglianza che accresce la suspense e il senso dell'occulto, convincendoci in parte che gli avvenimenti minacciosi devono essere più o meno la verità, o quasi. Infatti, tale realismo è così verosimile che una rivista popolare pubblicò una volta i brani salienti di Die Ambra Hexe come un fatto vero del XVII secolo!

Ai giorni nostri, la Narrativa dell'Orrore tedesca è rappresentata al più alto vertice da Hans Heinz Ewers, il quale carica i suoi oscuri concetti con degli elementi di moderna psicologia. Romanzi come Der Zauberlehrling, Alraune, e brevi racconti come Die Spinne, contengono delle valenze che li elevano a livello di veri classici.

Ma anche la Francia, non meno della Germania, è stata prolifica nel campo del Soprannaturale.Victor Hugo, in racconti come Hang d'Islande, e Balzac in La peau de chagrin, Seraphita, e Louis Lambert,

ricorrono alla fede nel Soprannaturale in misura più o meno grande, benché in generale solo come mezzo per un fine più umano, e senza quella istintiva intensità demoniaca che caratterizza l'artista nato per l'Orrore.

In Théophile Gautier ci sembra di scoprire per la prima volta un autentico senso francese del mondo irreale, e qui compare un mistero spettrale che, benché non impiegato costantemente, è subito riconoscibile come qualcosa di genuino e profondo.

Brevi racconti come Avatar, Le pied de Momie e Clarimonde, offrono sprazzi di visioni proibite che affascinano, lusingano e talvolta terrorizzano; mentre le immagini egiziane evocate in Une nuit de Cléopâtre sono di un'estrema efficacia e molto espressive.

Gautier riuscì a carpire il profondo spirito dell'Egitto, appesantito da eoni di tempo, con la sua vita misteriosa e la

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sua architettura ciclopica, ed espresse una volta per tutte l'eterno orrore del mondo sotterraneo delle catacombe dove, alla fine dei tempi, milioni di rigidi cadaveri imbalsamati leveranno lo sguardo vitreo nelle tenebre, in attesa di una chiamata terrificante.

Gustave Flaubert continuò abilmente la tradizione di Gautier con orge di fantasia poetica quali La Tentation de Saint-Antoine e, a parte una forte tendenza al realismo, avrebbe potuto essere un tessitore di racconti dell'Orrore.

Più tardi vediamo che la corrente si divide, producendo da un canto stravaganti poeti e scrittori estrosi di scuole simboliche e decadenti i cui oscuri interessi si accentrano più sulle anormalità del pensiero e dell'istinto umano che nel vero e proprio Soprannaturale e, dall'altra, sagaci scrittori i cui brividi derivano direttamente dalle fosche pareti della irrealtà cosmica.

Nella prima categoria di "artisti nel peccato" primeggia l'illustre poeta Baudelaire, largamente influenzato da Poe, mentre il romanziere e psicologo Joris Karl Huysmans, frutto dell'ultima decade del XIX secolo, è allo stesso tempo vertice e punto di arrivo.

La seconda categoria, puramente narrativa, è continuata da Prosper Merimée, la cui Vénus d'Ille offre con una prosa tersa e convincente lo stesso antico tema della sposa-statua che Thomas Moore inserì nella ballata The Ring.

Gli scritti orrorifici del cinico Guy de Maupassant, messi sulla carta quando la pazzia si stava ormai impossessando di lui, presentano delle peculiarità tutte proprie; sono i morbosi sfoghi di una mente realistica in condizioni patologiche, più che visioni prodotte da una sana immaginazione naturalmente disposta alla fantasia e sensibile alle normali illusioni dell'Occulto.

Ciononostante, sono di grandissimo interesse e acutezza; richiamano con forza meravigliosa l'immanenza di indicibili orrori e la implacabile persecuzione di un individuo sfortunato da parte di terribili e minacciosi rappresentanti delle tenebre esterne.

Tra questi racconti, Le Horla è in genere considerato un vero capolavoro. Tratta della venuta in Francia di un essere invisibile che vive di acqua e latte, si impossessa delle menti degli altri, e sembra essere il capo di un'orda di organismi extraterrestri giunti sulla Terra per soggiogare e distruggere il genere umano.

Questa narrazione è forse senza pari nel suo genere, nonostante debba molto a un racconto dell'americano di origine irlandese Fitz-James O'Brien nei dettagli relativi alla descrizione della reale presenza del mostro invisibile. Altre creazioni di efficacia orrorifica di Maupassant sono Qui sait?, Apparition, Lui?, Lettre d'un fou, Le Loup, Sur l'eau, e i versi macabri intitolati Horreur.

La coppia Erckmann-Chatrian arricchì la letteratura francese di molti racconti orrorifici come Hugues le loup, in cui una maledizione tramandata si snoda fino alla fine, nell'ambiente di un tradizionale castello gotico. La loro capacità di creare un clima di brivido arcano fu enorme, malgrado una certa tendenza a spiegazioni naturali e prodigi scientifici.

Pochi racconti brevi contengono una maggior quantità di orrore di L'oeil invisible, dove una malvagia, vecchia megera, opera dei notturni incantesimi ipnotici che inducono gli occupanti una data camera di una locanda a impiccarsi, uno dopo l'altro, a una trave. L'oeil de hibou e Les eaux de la mort sono pieni di tenebra e mistero; il secondo include il tema familiare del ragno enorme, così frequentemente usato dai narratori del Soprannaturale.

Anche Villiers de L'Isle Adam praticò la scuola dell'Orrore; il suo Torturé par l'espoir - il racconto di un prigioniero condannato al rogo cui viene concesso di scappare perché provi le torture della seconda cattura - è ritenuto da alcuni il più straziante racconto breve di tutta la letteratura.

Questo genere, tuttavia, fa meno parte della tradizione soprannaturale e costituisce una classe particolare, il cosiddetto conte cruel, in cui l'acme delle emozioni è raggiunto attraverso drammatici tormenti, frustrazioni, e raccapriccianti orrori fisici.

Quasi interamente dedicato a questo genere è lo scrittore Maurice Level, i cui brevissimi racconti si sono prestati facilmente ad adattamenti teatrali con gli impressionanti drammi del Grand Guignol. Sta di fatto che il genio francese è naturalmente più propenso a questo tenebroso realismo che all'illusione dell'Occulto, poiché quest'ultimo processo richiede l'innato misticismo della mente nordica per il suo migliore e più comprensibile sviluppo su vasta scala.

Un ramo della letteratura dell'Orrore molto fiorente benché del tutto sconosciuto fino in epoca recente, è quello degli ebrei, vivificato e nutrito nell'oscurità dal fosco retaggio dell'antica letteratura orientale magica e apocalittica, e dal cabalismo.

La mente semitica, come quelle celtica e germanica, sembra possedere spiccate tendenze mistiche, e la dovizia di una segreta tradizione di orrore, che sopravvive nei ghetti e nelle sinagoghe, deve essere molto più notevole di quanto in genere si immagini.

La stessa cabala, così in auge nel Medioevo, è un sistema di filosofia che spiega l'universo come una emanazione della divinità, e comporta l'esistenza di misteriosi regni ed esseri spirituali separati dal mondo visibile, dei quali si possono cogliere visioni tenebrose da certi segreti incantesimi.

I suoi riti sono legati alle interpretazioni mistiche del Vecchio Testamento, e attribuiscono una importanza esoterica a ogni lettera dell'alfabeto ebraico, circostanza questa che ha conferito alle lettere ebraiche una specie di potenza e fascino del tutto particolari nella letteratura popolare sulla magia. Il folklore ebraico ha conservato molto del terrore e del mistero del passato e, se studiato a fondo, si presta a esercitare una notevole influenza sulla narrativa dell'Orrore.

I migliori esempi del suo uso letterario sono, finora, il romanzo tedesco Der Golem di Gustave Meyrink, e il dramma Dybbuk dello scrittore ebreo che usa lo pseudonimo di "Ansky".

Il primo, con le sue immagini tenebrose di prodigi e orrori al di là della nostra immaginazione, si svolge a Praga, e

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descrive con singolare maestria l'antico ghetto di quella città con i suoi doccioni a punta e spettrali. Il nome deriva da un favoloso gigante artificiale, che si suppone fosse stato creato e animato da rabbini medievali, secondo una formula misteriosa.

Il Dybbuk, tradotto e rappresentato in America nel 1925 - e più recentemente allestito come opera - descrive con singolare potenza un corpo vivente posseduto dallo spirito malvagio di un morto.

I golem e i dybbuk sono personaggi ricorrenti e, servono spesso come ingredienti della successiva tradizione ebraica.

7. Edgar Allan Poe

Nel periodo fra il 1830 e il 1840, si verificò una genesi letteraria che influì direttamente non solo sulla storia del racconto soprannaturale, ma sulla narrativa breve in genere, e indirettamente plasmò l'andamento e le fortune di una grande scuola estetica europea. Noi americani abbiamo avuto la fortuna di proclamarcene iniziatori, nella persona del nostro più illustre e sfortunato compatriota, Edgar Allan Poe.

La fama di Poe ha subito strani alti e bassi, e adesso è di moda fra gli "intellettuali progressisti" minimizzare la sua importanza sia come artista sia come influenza sulla narrativa dopo di lui; ma sarebbe arduo per qualsiasi critico maturo e responsabile negare l'enorme valore del suo lavoro e la persuasiva efficacia della sua mente. È vero che il suo metodo di osservazione può essere stato anticipato, ma fu lui che per primo si accorse delle sue possibilità e gli conferì forma eccelsa ed espressione sistematica. È vero altresì che gli scrittori dopo di lui hanno prodotto singoli racconti più validi dei suoi, ma dobbiamo comprendere ancora una volta che fu lui il solo a insegnare loro con l'esempio un'arte che costoro portarono forse a livelli più alti, essendosi trovati la via aperta e avendo avuto una guida precisa.

Nonostante le limitazioni, Poe fece quello che nessun altro ha mai fatto, e a lui dobbiamo il moderno racconto dell'Orrore nella sua forma definitiva e perfetta.

Prima di lui, la maggioranza degli scrittori dell'Orrore aveva lavorato in gran parte all'oscuro, senza comprendere la base psicologica del fascino dell'orrore, ed erano stati ostacolati in maggiore o minor misura dal conformismo per certe vuote convenzioni letterarie, come il lieto fine, la virtù premiata e, in generale, un falso didatticismo morale.

Poe, d'altro canto, percepì la necessità del vero artista di essere impersonale, e comprese che la funzione della narrazione creativa serve solo a esprimere e a interpretare gli episodi e le sensazioni quali sono, indipendentemente dal loro tenore o da ciò che dimostrano: buoni o cattivi, attraenti o repulsivi, stimolanti o deprimenti, con l'autore che si comporta sempre da cronista vivace e distaccato, piuttosto che da maestro, simpatizzante, o venditore di opinioni.

Egli comprese che tutte le fasi della vita e del pensiero sono ugualmente utili come soggetti per l'artista, ed essendo incline per temperamento alla stravaganza e alla tristezza, decise di essere l'interprete di quei sentimenti e avvenimenti che accompagnano il dolore più che il piacere, lo sfacelo più che il progresso, il terrore più che la tranquilli tà, e che sono fondamentalmente contrari o indifferenti ai gusti e ai tradizionali sentimenti esteriori del genere umano, alla salute fisica e mentale, e al normale benessere generale delle specie.

I fantasmi di Poe assunsero così una malignità convincente, non riscontrabile negli scrittori antecedenti; egli stabilì un nuovo modulo di realismo negli annali dell'Orrore letterario. Per di più, l'intento impersonale e artistico fu favorito da un atteggiamento scientifico spesso non trovato fino a quel momento; perciò Poe studiò la mente umana anziché l'impiego della narrativa gotica, e lavorò con una nozione analitica delle vere fonti dell'Orrore, il che raddoppiò la forza dei suoi racconti e lo affrancò da tutte le assurdità connesse alla creazione del brivido puramente convenzionale.

Dato questo esempio, gli autori posteriori furono costretti ad adeguarvicisi per emularlo cosicché, in tal modo, ebbe inizio un preciso cambiamento che influì sul filone principale degli scritti orrorifici.

Anche Poe instaurò una moda e, sebbene alcuni dei suoi lavori oggi appaiano lievemente melodrammatici e semplici, possiamo trovare una traccia costante della sua influenza in elementi come il mantenimento di un unico stato d'animo, il conseguimento di un'unica impressione nel racconto, e il rigoroso livellamento di episodi con quelli che hanno un peso diretto sulla trama e figureranno al culmine dell'azione in modo rilevante.

Si può tranquillamente affermare che fu Poe a inventare il racconto breve nella sua forma attuale. L'esaltazione del male, della perversità e della corruzione, a livello di temi artisticamente espressi, fu parimenti di effetto risonante. Infatti, carpita avidamente dal suo eminente ammiratore francese Charles Pierre Baudelaire, che l'avallò e l'intensificò, essa divenne il fulcro dei principali movimenti estetici in Francia, facendo così di Poe, in un certo senso, il padre dei Decadenti e dei Simbolisti.

Poeta e critico per natura e per cultura, pensatore e filosofo per gusto e manierismo, Poe non fu affatto immune da difetti e affettazioni. La sua ostentazione verso dottrine profonde e oscure, i suoi confusionari tentativi di pseudoumorismo pomposo ed elaborato, e i suoi sarcastici sfoghi sono tutti difetti che vanno riconosciuti e perdonati.

Al di là e al di sopra di quelli, che si riducono a una quantità insignificante, vi è una magistrale immagine dell'Orrore che germoglia attorno e dentro di noi, e il verme che si contorce e sbava nel vicino abisso. Tale visione ha il potere di proiettarsi in cristallizzazioni e trasformazioni, penetrando in ogni orrore corrosivo di quella ironia tinta a vivaci colori che si chiama esistenza, e di quella solenne beffa chiamata pensiero umano.

Finché, nella sterile America degli anni Trenta e Quaranta, fiorì tale un giardino di grossi funghi velenosi, che neppure i profondi declivi di Saturno possono vantare. Versi e racconti sostengono il fardello dell'orrore cosmico. Il corvo il cui disgustoso becco perfora il cuore, i demoni rapaci che suonano campane di ferro nei campanili funesti, la volta di Ulalume nella fosca notte d'ottobre, le impressionanti guglie e cupole sotto il mare, il «magico, sfrenato clima

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che alligna sublime fuori dello Spazio e del Tempo», tutte queste e altre cose occhieggiano fra i tintinnii dell'agitato incubo della poesia.

E nella prosa si spalancano per noi le fauci della tomba, inconcepibili anormalità astutamente tratteggiate per fornire una orribile concezione parziale, con parole della cui innocenza quasi non dubitiamo finché la tensione incrinata della rauca voce del parlatore ci invita a temere le loro implicazioni senza nome; forme e presenze demoniache sonnecchiano infide fin quando si destano per uno spaventoso istante con una rivelazione che si scatena urlante sfociando in improvvisa pazzia o esplodendo in echi memorabili da cataclisma.

Davanti agli occhi scorre un orrendo Sabba di streghe che gettano al vento vesti decorose: una visione tanto più mostruosa per l'abilità scientifica con cui ogni particolare è disposto e avviato a un semplice rapporto apparente con l'orrore conosciuto della vita materiale.

Gli scritti di Poe rientrano in diverse categorie: alcuni contengono degli orrori spirituali più puri di altri. I racconti della logica e del raziocinio, precursori del moderno racconto poliziesco, non vanno inclusi nella letteratura dell'Occulto, mentre certi altri - probabilmente influenzati molto da Hoffmann - hanno una singolarità che li relega ai margini del grottesco.

Un terzo gruppo tratta della psicologia anormale e della monomania in modo tale da manifestare orrore ma non orrore soprannaturale. Una sostanziosa rimanenza, però, rappresenta la letteratura dell'Orrore Soprannaturale nella sua forma più viva, e procura all'autore un posto permanente e inattaccabile come punto di riferimento e sorgen te di tutta la moderna narrativa dell'Orrore.

Chi può scordare la terribile nave sospesa sul bordo dell'abisso marino in MS Found in a Botile, la sua sinistra ciurma di esseri soprannaturali dalla barba grigia, e la spaventosa corsa verso sud, a vele spiegate, attraverso i ghiacci della notte antartica, risucchiata nella sua avanzata dalle irresistibili correnti demoniache verso un vortice di luminosità soprannaturale propedeutico alla distruzione?

Vi è poi l'indescrivibile Mr. Valdemar, il cui corpo è tenuto insieme per mezzo dell'ipnotismo per sette mesi dopo la sua morte; articola dei suoni pazzeschi ma, un attimo prima che si rompa l'incantesimo, di lui rimane solo «una massa quasi liquida di putrescenza nauseante, orribile».

Nel romanzo The Narrative of A. Gordon Pym, i naviganti raggiungono dapprima una strana terra del Polo Sud abitata da selvaggi sanguinari, dove niente è bianco e dove ampie gole rocciose hanno la forma di titaniche lettere egiziane che svelano terribili misteri primevi della Terra; e, dopo, una regione ancora più misteriosa, dove tutto è bianco, e dove giganti nascosti e uccelli dalle piume di neve sorvegliano una segreta cascata di nebbia che si riversa da immense altezze celesti in un torrido mare lattiginoso.

Metzengerstein spaventa con i suoi malvagi accenni a una mostruosa metempsicosi: il nobile pazzo che brucia la stalla del suo nemico ereditario; il colossale cavallo sconosciuto che esce dall'edificio in fiamme dopo che il padrone vi è perito dentro; la sparizione del pezzo dell'antico arazzo dove è raffigurato il gigantesco cavallo dell'antenato della vittima nelle Crociate; lo sfrenato e continuo cavalcare del pazzo sul grosso cavallo, e la paura e l'odio per il destriero; le profezie senza senso che gravano oscure sulle Casate in lotta; e infine l'incendio del maniero del pazzo e la morte del proprietario portato inerme in mezzo alle fiamme e su per l'ampio scalone a cavalcioni della bestia che egli aveva cavalcato così stranamente.

The Man of the Crowd, che narra la storia di un uomo che vaga giorno e notte mescolandosi a fiumane di gente come se temesse di trovarsi solo, ha effetti più pacati ma presenta un'enorme paura cosmica. La mente di Poe non fu mai lontana dall'orrore e dalla rovina, e in ogni racconto, poema, o dialogo filosofico, ritroviamo una impazienza tesa a sondare le inesplorate mura della notte, penetrare il velo della morte, e dominare nel regno della fantasia come signora dei terrificanti misteri del tempo e dello spazio.

Alcuni racconti di Poe possiedono una forza artistica quasi assoluta, che li rende veri e propri fari nel campo dei racconti brevi. Poe dava alla sua prosa, quando voleva, un costrutto riccamente poetico, usando quello stile arcaico e orientaleggiante fatto di frasi arzigogolate, ripetizioni quasi bibliche, e temi ricorrenti usati con successo da scrit tori successivi come Oscar Wilde e Lord Dunsany.

Tutte le volte che lo ha fatto, noi abbiamo un effetto di fantasia lirica quasi ipnotica nella sua essenza: una oppiacea processione di sogni all'interno del sogno, con tutti i colori soprannaturali e le immagini grottesche simbolizzati in una sinfonia di suoni corrispondenti.

The Masque of the Red Death, Silence, a Fable, e Shadow, a Parable, sono sicuramente poesie nel vero senso della parola, a parte la metrica, e debbono la loro efficacia tanto alla cadenza orale quanto alla fantasia delle visioni.

Ma è in due dei suoi racconti meno marcatamente poetici, Ligeia e The Fall of the House of Usher - ma specialmente nel secondo - che si trovano quei veri apici di abilità artistica, per i quali Poe merita il primo posto fra i miniaturisti dell'inventiva. Entrambi i racconti, dalla trama semplice e lineare, debbono il loro massimo effetto all'astuto sfruttamento relativo alla scelta e alla collocazione di ogni minimo fatto.

Ligeia narra di una moglie di elevata e misteriosa estrazione la quale, dopo la morte, torna, mediante la forza di una volontà soprannaturale, a prendere possesso del corpo della seconda moglie, imponendo persino le sue sembianze fisiche al cadavere temporaneamente rianimato della sua vittima. Malgrado un pizzico di prolissità e di pesantezza, la narrazione raggiunge il suo apice terrificante con una forza implacabile.

The Fall of the House of Usher, la cui superiorità nei particolari e nelle proporzioni è molto marcata, allude in modo disgustoso alla oscura vita di cose inorganiche, e mostra un trio di esseri uniti in modo anomalo, alla fine di una lunga e

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singolare storia di famiglia: un fratello, la sua sorella gemella, e la loro casa antichissima, fanno tutti parte di un'unica anima, e muoiono tutti insieme nello stesso istante.

Queste bizzarre concezioni, goffe in mani inesperte, diventano nella magia di Poe orrori vivi e convincenti che ci tormentano di notte, e tutto perché l'autore comprese perfettamente il vero meccanismo e la vera fisiologia della paura e dell'orrore; dettagli essenziali da accentuare; precise incoerenze e immagini da scegliere come preliminari o concomitanti all'orrore; esatti fatti e allusioni da presentare innocentemente in anticipo come simboli o prefigurazioni di ogni passo importante verso la terribile soluzione finale; la giusta regolazione di forza e la infallibile precisione nel collegamento di parti che favoriscono l'effetto di perfetta unità dal principio alla fine, e la estrema efficacia nel momento culminante; le delicate sfumature di valore scenico da selezionare per stabilire e sostenere l'umore e vitalizzare l'illusione desiderati; insomma, princìpi di questo genere e dozzine di altri più segreti, troppo sfuggenti per essere descritti o addirittura compresi in pieno da un qualunque commentatore.

Vi può essere del melodramma e della semplicità - si racconta di un francese pignolo che non sopportava di leggere Poe se non nella traduzione di Baudelaire, levigata e modulata alla francese - ma qualunque traccia di tali cose è oscurata da un potente e innato senso dello spettrale, del morboso e dell'orribile, che scaturirono da ogni cellula della mentalità creativa dell'artista e impressero nella sua opera orrorifica il marchio incancellabile del sommo genio.

I racconti dell'Orrore di Poe sono vivi in un modo come pochi altri possono mai sperare di esserlo.A somiglianza di molti scrittori estrosi, Poe eccelle in episodi ed effetti narrativi più che nel tratteggiare i

personaggi. Il suo protagonista tipico è un gentiluomo bruno, di bell'aspetto, orgoglioso, malinconico, intellettuale, sensibilissimo, capriccioso, introspettivo, solitario, e talvolta un po' pazzoide; proviene da antica famiglia, gode di ottime tradizioni, ed è oscuramente desideroso di penetrare i segreti proibiti dell'universo.

A parte il nome altisonante, questo personaggio ovviamente attinge poco dal Romanzo Gotico dei primi tempi, perché non è né l'eroe inespressivo né la diabolica anima nera della narrativa della Radcliffe o alla Lodovici. Indirettamente, tuttavia, possiede una specie di rapporto genealogico con quei personaggi, perché le sue caratteristiche tenebrose, ambiziose e anti-sociali, hanno molto del tipico eroe byroniano, il quale a sua volta è un discendente dei gotici Manfredi, Montoni e Ambrosio.

Caratteristiche più particolari sembrano essere derivate dalla psicologia dello stesso Poe, il quale certamente possedette molta della depressione, sensibilità, solitudine, e stravagante capricciosità, che attribuisce alle sue altere e solitarie vittime del fato.

8. La tradizione dell'Orrore in America

I lettori per cui Poe scrisse, benché criticassero la sua arte, non erano affatto digiuni degli orrori in essa trattati. L'America, oltre ad avere ereditato il normale folklore dell'Occulto europeo, ebbe un'altra riserva di legami misteriosi cui attingere, cosicché le leggende macabre erano già state individuate come fruttuosi soggetti per la letteratura. Charles Brockden Brown aveva raggiunto una fama notevole con i suoi romanzi alla Radcliffe, e Washington Irving era divenuto rapidamente un classico, pur trattando i temi del Fantastico con mano più leggera.

Questa ulteriore riserva derivò, come ha rilevato Paul Elmer Moore, dagli acuti interessi spirituali e teologici dei primi coloni, oltre che dall'ambiente estraneo e proibitivo in cui erano capitati. Le grandiose e cupe foreste vergini in cui un crepuscolo perpetuo riusciva a nascondere tutti gli orrori; le orde di indiani color rame le cui strane sembianze saturnine e le cui abitudini violente suggerivano valide tracce di origine infernale; e la libertà concessa sotto l'influenza della teocrazia puritana a ogni sorta di idee che rispettasse il rapporto dell'uomo con il Dio dei Calvinisti, austero e vendicativo, e con il sulfureo avversario di Dio, contro il quale molto si tuonò dai pulpiti ogni domenica.

E ancora la morbosa introspezione sviluppatasi da una vita appartata nei boschi, priva dei normali divertimenti e del desiderio di svagarsi, tormentata da obblighi teologici di esami di coscienza, sintonizzata verso repressioni innaturali delle emozioni, ma soprattutto avvezza a una vana lotta per la sopravvivenza. Tutte queste cose cospirano per generare un ambiente in cui le macabre storie di funeste antenate venivano raccolte molto più in là dell'angolo del focolare, e in cui i racconti di stregoneria e di incredibili mostruosità segrete aleggiarono a lungo dopo i terribili giorni dell'incubo di Salem.

Poe rappresenta qualcosa di più nuovo, più disincantato, e più tecnicamente perfetto fra le scuole dell'Orrore che sorsero da questo ambiente propizio.

Un'altra scuola - nella quale la tradizione dei valori morali, il garbato ritegno e la tenue, oziosa fantasia, si mescolarono più o meno con la stravaganza - fu rappresentata da un'altra figura di letterato ameri cano, famoso, incompreso e solitario: il timido e sensibile Nathaniel Hawthorne, discendente dell'antica Salem e bisnipote di uno dei più sanguinari fra i vecchi giudici dei processi per stregoneria.

In Hawthorne non vi è nulla della violenza, della temerarietà, dei toni accesi dell'intenso senso drammatico, né della cattiveria cosmica e dell'abilità artistica di Poe. In lui, invece, vi è un'anima dolce para lizzata dal puritanesimo del vecchio New England, divenuta cupa e riflessiva, afflitta da un universo immorale che trascende i moduli con venzionali ritenuti dai nostri progenitori i capisaldi di una legge divina e immutabile.

Il Male - una forza reale per Hawthorne - compare a ogni passo come un avversario in agguato e vincente; così il mondo visibile diviene nella sua fantasia un teatro di infinite tragedie e sventure, con influenze invisibili che vi volteggiano sopra e in mezzo, combattendo per la supremazia e forgiando i destini dei disgraziati mortali che ne for-

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mano la vana e illusa popolazione.L'eredità del Soprannaturale americano lui la portò a un alto livello, e vide una lugubre folla di spettri confusi dietro

i comuni fenomeni della vita; ma non fu sufficientemente disinteressato per riuscire a valutare le impressioni, le sensazioni e le bellezze.

Suo malgrado, fu costretto a inserire la sua fantasia in una trama malinconica di costrutti didattici o allegorici, in cui il suo mite e rassegnato cinismo manifesta con una ingenua valutazione morale la perfidia di una razza umana che egli non cessa di amare e deplorare malgrado ne comprenda a fondo l'ipocrisia.

L'Orrore Soprannaturale, dunque, non è mai la motivazione principale di Hawthorne, benché i suoi impulsi siano profondamente radicati nella sua personalità, tanto che non può esimersi dal tratteggiarlo con la forza del genio quando visita il mondo irreale per illustrare il triste sermone che desidera pronunciare.

Gli avvertimenti di Hawthorne circa un mondo misterioso, sempre cortesi, evasivi, repressi, sono ravvisabili in tutta la sua opera. Lo stato d'animo che li produsse trovò una deliziosa espressione nella ripetizione germanizzata dei classici miti per bambini contenuta in A Wonder Book e Tanglewood Tales mentre, in altre occasioni, si compiacque di immettere una sorta di magia inafferrabile - o di malvagità - in racconti non proprio soprannaturali, come nel macabro romanzo postumo Dr. Grimshawe's Secret, dove troviamo una particolare atmosfera repellente in una casa che esiste ancor oggi a Salem e che confina con l'antico cimitero di Charter Street.

In The Marble Faun, la cui trama si svolge in una villa italiana ritenuta infestata dagli spiriti, palpita un poderoso contesto di pura fantasia e orrore molto al di là della portata del lettore comune: infatti narra di un sangue leggendario immesso nelle vene di creature mortali, e tutto questo nelle pagine di un romanzo che non può fare a meno di suscitare interesse malgrado il costante incubo dell'allegoria morale, della propaganda antipapista, e della pudicizia puritana che hanno spinto lo scrittore D.H. Lawrence a trattare l'autore in modo ben poco elogiativo.

Septimius Felton, un romanzo postumo che in origine era stato deciso di elaborare e inserire nell'incompiuto Dolliver Romance, riporta alla ribalta l'Elisir di Lunga Vita in modo più o meno abile; mentre le note per un racconto mai scritto, da intitolarsi The Ancestral Footstep, mostrano ciò che Hawthorne avrebbe potuto fare con un uso adeguato della vecchia leggenda inglese - quella di una razza antica e maledetta i cui membri lasciavano orme di sangue nel camminare - che compare incidentalmente sia in Septimius Felton, sia in Dr. Grimshawe's Secret.

Molti dei racconti più brevi di Hawthorne mostrano delle tenebrosità di ambiente o di episodi, a livello eccezionale. Edward Randolph's Portrait dell'antologia Legends of the Province House, offre momenti francamente diabolici.

The Minister's Black Ved (basato su un fatto vero) e The Ambitious Guest, implicano molto più di quanto dichiarino, mentre Ethan Grand - un frammento di un lavoro assai più lungo mai terminato - si innalza sino a raggiungere delle vette sublimi di Orrore Cosmico, come il quadro della selvaggia campagna collinare e dei solitari forni di calce eruttanti fiamme, e il disegno dell'«imperdonabile peccatore» byroniano la cui vita tormentata termina con uno scroscio di risa spaventose nella notte, mentre cerca riposo fra le fiamme della fornace.

Alcune annotazioni di Hawthorne parlano di racconti dell'Orrore che egli avrebbe scritto se fosse vissuto più a lungo: una trama particolarmente interessante è quella che riguarda un singolare forestiero che compariva di tanto in tanto in pubbliche riunioni, e che infine era stato seguito fino a una antichissima tomba dalla quale usciva e rientrava.

Ma, preminente su tutto come perfezione artistica fra il copioso materiale di genere orrorifico di quest'autore, vi è il famoso romanzo The House of the Seven Gables, stupendamente svolto, in cui l'inesorabile avverarsi di una maledizione avita viene condotto con stupefacente efficacia sul cupo sfondo di una antichissima casa di Salem, una di quelle brutture gotiche a punta, che costituirono il primo nucleo di case delle cittadine costiere del New England ma che, dopo il XVII secolo, lasciarono il posto a quelle più familiari con il tetto a punta e a due sezioni inclinate per lato, di quel classico tipo settecentesco, oggi noto come "Coloniale".

Di quelle vecchie case gotiche con il frontone, in tutti gli Stati Uniti, ne restano oggi più o meno una dozzina nel loro stato originario, ma una che era ben nota a Hawthorne esiste ancora a Salem, in Turner Street, e viene rappresentata con accuratezza, così come la scena e l'ispirazione del romanzo.

Questa costruzione, con le sue guglie spettrali, i fitti comignoli, il primo piano sporgente, le grottesche lampade a braccio agli angoli, e le finestre con i vetri a piombo, è davvero un elemento ben calcolato per evocare cupe riflessioni, poiché simbolizza il fosco periodo puritano di orrore nascosto, e le leggende sulla stregoneria che precedettero la bellezza, razionalità e ampiezza di vedute del XVIII secolo.

Hawthorne vide molte di quelle case in gioventù, e ne apprese i tenebrosi racconti legati ad alcune. Raccolse anche molte dicerie circa una maledizione relativa alla sua stessa stirpe, conseguente alla severità del suo bisnonno nel trattare quale giudice i processi di stregoneria nel 1692.

Da questo clima scaturì un racconto immortale - il più grande contributo del New England alla letteratura dell'Orrore - nel quale percepiamo subito l'autenticità dell'atmosfera che ci viene presentata.

L'orrore e la morbosità nascosti in agguato entro le mura di quell'avita dimora annerita dal tempo, incrostata di muschio e ombreggiata da un olmo, sono rappresentati così vivamente che riusciamo a percepire l'infida malignità del luogo quando leggiamo che il suo costruttore - il vecchio Colonnello Pynchcon - aveva sottratto la terra con particolare crudeltà al suo originario padrone, tale Matthew Maule, che egli aveva condannato alla forca come stregone nell'anno del terrore.

Maule morì maledicendo il vecchio Pyncheon - «Dio gli darà sangue da bere» - e le acque del vecchio pozzo situato nella terra rubata diventeranno amare. Il figlio di Maule, un carpentiere, acconsentì a costruire la grande casa con il

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frontone per il nemico che aveva avuto la meglio su suo padre, ma poi il vecchio colonnello morì misteriosamente il giorno dell'inaugurazione. Si susseguirono quindi generazioni su generazioni colpite da strane vicissitudini, e circolarono misteriose voci relative a degli oscuri poteri dei Maule, dato che talvolta i Pyncheon erano stati oggetto di morti orribili.

La fosca malvagità di quell'antica casa - quasi viva quanto la casa degli Usher di Poe, sebbene in una forma più sottile - pervade il racconto come un motivo ricorrente pervade un'opera drammatica e, quando si giunge al punto focale del racconto, vediamo i Pyncheon moderni in un pietoso stato di decadimento. La povera, vecchia Hepzibah, la gentildonna eccentrica, vive in povertà; l'ingenuo e sfortunato Clifford è stato appena liberato da una immeritata prigionia; e infine l'astuto e perfido giudice Pyncheon, che è in tutto e per tutto simile al vecchio colonnello, sono tutte figure grandiose, e ben si accoppiano con la stentata vegetazione e gli anemici polli del giardino.

È quasi un peccato che si concluda con una fine praticamente felice, ossia l'unione della vivace Phoebe, cugina nonché ultima discendente dei Pyncheon, con il giovane simpatico che si rivela essere l'ultimo dei Maule. Quella unione, presumibilmente, pone fine alla maledizione.

Hawthorne evita la violenza sia nel narrato che nelle azioni, e mantiene i suoi elementi orrifici sullo sfondo, ma alcune visioni occasionali servono a sostenere bene il tono e a innalzare il lavoro dalla pura aridità allegorica. Episodi come l'incantesimo di Alice Pyncheon e la musica fantomatica del suo clavicembalo che precede una morte nella famiglia - quest'ultima una variante dell'antichissimo mito di Arianna - collegano l'azione direttamente con l'ultraterreno.

Quanto poi alla notturna veglia funebre del vecchio giudice Pyncheon nell'antico salone, con l'orologio che batte rintocchi terrificanti, essa è puro orrore del genere più classico e genuino. Il modo in cui la morte del giudice è dapprima preannunziata dai movimenti e dall'annusare di un misterioso gatto fuori dalla finestra, molto prima che il fatto sia sospettato dal lettore o dai personaggi, è un tocco di genio che lo stesso Poe non sarebbe riuscito a superare.

In seguito, il misterioso gatto guarda attentamente fuori dalla stessa finestra nella notte e all'indomani, in cerca di... qualcosa. È chiaramente lo psicopompo del mito primitivo, adattato e modificato con infinita abilità a un ambiente di epoca più recente.

Ma Hawthorne non lasciò una scuola letteraria ben definita. Il suo stile appartiene all'epoca che si chiude con lui, ed è lo stesso spirito di Poe, il quale comprese chiaramente e realisticamente l'origine naturale del fascino dell'Orrore.

Fra i primi discepoli di Poe si può annoverare il brillante irlandese Fitz James O'Brien (1828-1862) che fu naturalizzato americano e morì onorevolmente nella Guerra Civile. A lui si deve What Was It?, il primo breve racconto ben costruito che tratta di un essere tangibile ma invisibile, e che è il prototipo di Horla di Maupassant.

Fu lui il creatore dell'inimitabile Diamond Lens, in cui un giovane microscopista si innamora di una fanciulla di un mondo infinitesimale che egli ha scoperto in una goccia d'acqua. L'immatura morte di O'Brien ci ha privati di magistrali racconti vertenti sull'Orrore, benché il suo genio non fosse, a voler essere precisi, della stessa titanica qualità che caratterizzò Poe e Hawthorne.

Più vicino alla vera grandezza fu Ambrose Bierce, giornalista eccentrico e misterioso, nato nel 1842. Anch'egli partecipò alla Guerra Civile, ma sopravvisse per scrivere dei racconti veramente sublimi, e scomparve nel 1913 attorniato da un grande alone di mistero non dissimile da quello evocato nelle sue fantasie da incubo.

Bierce fu autore di satire e libelli di un certo rilievo, ma la maggior parte della sua fama artistica è dovuta a cupi e violenti racconti brevi, gran parte dei quali trattano della Guerra Civile, e formano la cronaca più viva e realistica che quel conflitto abbia mai annoverato in ambito narrativo.

Virtualmente, tutti i racconti di Bierce sono racconti dell'Orrore e, mentre molti trattano solo degli orrori fisici e psicologici della natura, una cospicua porzione tratta dell'Orrore Soprannaturale e costituisce il filo conduttore nel filone americano della letteratura dell'Orrore. Samuel Loveman, poeta e critico che conobbe personalmente Bierce, così riassume il genio del grande "creatore di ombre" nella prefazione a certe sue lettere:

In Bierce l'evocazione dell'Orrore diventa per la prima volta non tanto la perversione di Poe e Maupassant, ma una atmosfera ben precisa e misteriosamente definita. Parole così semplici da essere indotti ad ascriverle alle limitazioni di uno scribacchino, assumono un orrore profano, una nuova trasformazione inimmaginabile. In Poe si trova un tour de force, in Maupassant un impegno nervoso per un culmine d'azione mirato al raggiungimento di vertici ricchi di pathos e di azione. Per Bierce, in modo semplice e sincero, l'arte diabolica si serve della morte come di un mezzo legittimo e sicuro per raggiungere la fine. Eppure, in ogni istante, insiste in una tacita conferma della Natura.

In The Death of Halpin Frayser, fiori, verde, rami e foglie di alberi, sono usati magnificamente quale risalto in contrasto alla malignità ultraterrena. Non il solito mondo dorato, ma un mondo pervaso dal mistero della fosca e spaventosa ostinazione dei sogni, è il mondo di Bierce. Tuttavia, stranamente, vi si riscontra una certa presenza di disumanità.

La "disumanità" citata da Loveman trova sfogo in un raro impegno di commedia sardonica e di umorismo sepolcrale uniti a una specie di piacere che si estrinseca in immagini di crudeltà e di delusione angosciante.

La prima caratteristica è bene illustrata da certi sottotitoli nei racconti più oscuri, come «Non sempre uno mangia ciò che è sulla tavola», descrivendo un corpo esposto per l'inchiesta giudiziaria e «Un uomo nudo a brandelli», riferendosi a

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un cadavere orrendamente dilaniato.L'opera di Bierce è generalmente alquanto discontinua. Molti racconti sono ovviamente meccanici e deturpati da

uno stile artificiale disinvolto e banale scaturito dai modelli giornalistici; ma la fosca malvagità che serpeggia in tutti è inconfondibile, e parecchi emergono come notevoli esempi della letteratura americana dell'Orrore.

The Death of Halpin Frayser, definito da Frederic Taber Cooper come il racconto più diabolicamente spettrale nella letteratura anglosassone, narra di un corpo senza anima che si muove furtivamente di notte in un bosco misterioso e orribilmente insanguinato, e di un uomo assalito da aviti ricordi, il quale incontra la morte per mano della madre che aveva adorato.

The Damned Thing, spesso riprodotto in antologie di grande effetto, è la cronaca delle tremende devastazioni operate da una entità invisibile che vaga e si agita sulle colline e nel campi di grano, notte e giorno.

The Suitable Surroundings evoca con singolare sottigliezza, ma con apparente semplicità, un profondo senso dell'orrore che traspare dallo scritto. Nel racconto, Colston, l'autore misterioso, dice al suo amico Marsh: «Sei abbastanza coraggioso da leggere i miei racconti in tram, ma... in una casa abbandonata,... solo... nella foresta... e di notte! Beh! Ne ho in tasca uno che ti ucciderebbe!». Marsh legge il manoscritto nell'ambiente suggeritogli... e muore per davvero.

The Middle Toe of the Right Foot si snoda in modo goffo, ma ha un acme potente. Un uomo di nome Manton ha ucciso barbaramente la moglie e i due figli; alla moglie mancava il dito medio del piede destro. Dieci anni più tardi, ritorna molto cambiato e, dopo essere stato riconosciuto, viene provocato e indotto a ingaggiare un duello col coltello, di notte, usando come terreno dello scontro la casa ormai abbandonata dove aveva commesso il delitto.

Quando arriva il momento del duello, cade in un piano ordito contro di lui; così rimane senza antagonista, rinchiuso in una stanza buia al pianterreno di quella casa che è ritenuta frequentata dagli spiriti, ricoperta in ogni parte dalla polvere degli anni. Nessuno gli punta contro il coltello, perché l'intenzione era solo di mettergli una gran paura addosso ma, l'indomani, viene trovato rannicchiato in un angolo con il volto contorto, morto di paura per qualcosa che ha visto.

L'unico indizio visibile per gli scopritori è tale da comportare delle terribili implicazioni: «Nella polvere che si era accumulata fitta sul pavimento - con una traccia che andava dalla porta da cui erano entrati fino all'altro lato della stanza a un metro di distanza dal cadavere di Manton - vi erano tre linee parallele di orme, leggere ma precise impronte di piedi nudi, le più esterne di bambini, quelle interne di una donna. Dal punto dove terminavano non erano tornate indietro: avevano una sola direzione». E, naturalmente, le impronte della donna mostravano la mancanza del dito medio del piede destro.

The Spook House, narrato in uno stile rigidamente semplice di verosimiglianza giornalistica, evoca alcuni tratti di un orrore impressionante.

Nel 1858, una intera famiglia di sette persone scompare improvvisamente e, stranamente, i suoi beni vengono trovati intatti: mobilio, vestiario, scorte alimentari, cavalli, bestiame, e schiavi. Circa un anno dopo, due uomini di notevole condizione sociale sono costretti da un temporale a trovare rifugio nell'abitazione deserta, e così finiscono per caso in una misteriosa stanza sotterranea, illuminata da una strana luce verdastra e fornita di una porta di ferro che non si può aprire dall'interno.

Nella stanza giacciono i cadaveri decomposti di tutta la famiglia scomparsa e, quando uno degli scopritori si precipita avanti per abbracciare un corpo che gli sembra di riconoscere, l'altro è talmente sopraffatto da uno strano fetore, che chiude accidentalmente il compagno nel sotterraneo e perde i sensi. Quando il sopravvissuto torna in sé sei settimane dopo, non riesce più a trovare la stanza nascosta, e la casa viene bruciata durante la Guerra Civile. L'uomo rimasto imprigionato non viene mai più visto ne dà mai più notizie di sé.

Bierce si accorge di rado delle possibilità di suspense dei suoi racconti, come invece fa Poe con molto vigore e, gran parte delle sue opere, contiene un certo tocco di semplicità e di provincialismo tipico della vecchia America che in un certo senso contrasta con gli indirizzi dei più recenti maestri dell'Orrore.

Tuttavia, la genuinità e l'arte dei suoi scritti sono sempre evidenti, talché la sua grandezza non teme di essere eclissata. Riuniti in una raccolta completa delle sue opere, i racconti dell'Orrore di Bierce si ritrovano soprattutto in due volumi, Can Such Things Be? e In the Midst of Life. Il primo, in effetti, è quasi interamente dedicato al soprannaturale.

Gran parte del meglio della letteratura americana dell'Orrore è scaturito da penne non dedite a questo genere in modo particolare. La trama storica di Oliver Wendell Holmes, nel racconto Elsie Venner, suggerisce con mirabile misura un elemento innaturale relativo agli ofidi in una giovane donna influenzata psichicamente prima della na scita, e regge l'atmosfera con tocchi paesaggistici di fine perspicacia.

In The Turn of the Screw, Henry James riesce a fare a meno della sua normale pomposità e prolissità nel creare un'aria lugubre e minacciosa veramente efficace; narra della terribile influenza esercitata da due malvagi servitori morti, Peter Quint e una governante, la signorina Jessel, su un bambino e una bambina che erano stati affidati alle loro cure.

James è forse troppo prolisso, melenso, e avvezzo alle sottigliezze del dialogo per accorgersi pienamente di tutto il devastante orrore delle varie situazioni; ma, in compenso, crea una rara e vigorosa marea di puro orrore che culmina nella morte del bambino, cosa che conferisce a questo scritto un posto di rilievo nella sua particolare categoria.

F. Marion Crawford produsse parecchi racconti dell'Orrore di livello molto diverso, ora raccolti in un volume intitolato Wandering Ghosts.

For the Blood Is the Life tratta in modo diverso un caso di vampirismo provocato dalla luna, vicino a un'antica torre situata sulle rocce di una solitaria costa nel meridione d'Italia. The Dead Smile parla di orrori familiari in una vecchia

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casa e in un sotterraneo avito in Irlanda, e presenta uno spirito che preannuncia la morte con forza notevole.The Upper Berth, il capolavoro della Crawford, è una delle più tremende storie dell'Orrore di tutta la letteratura. In

questo racconto, ambientato in una cabina di lusso di una nave frequentata dallo spirito di un suicida, sono trattate con incomparabile abilità cose come l'umidità spettrale dell'acqua salata, l'oblò stranamente aperto, e la tremenda lotta con l'essere che non viene mai nominato.

Assai realistico, benché non privo della stravaganza leziosa tipica dell'ultima decade del XIX secolo, è l'orrore presente nei primi scritti di Robert W. Chambers, successivamente noto per opere di ben altro genere.

The King in Yellow, una serie di brevi storie vagamente connesse che hanno come sfondo un misterioso libro censurato la cui lettura procura spavento, pazzia e orrore, raggiunge delle punte straordinarie di Orrore Cosmico malgrado un interesse discontinuo e una certa imitazione superficiale e affrettata del clima artistico francese reso popolare da Trilby di Du Maurier.

Il migliore di questi racconti è The Yellow Sign, in cui compare un guardiano di cimitero, silenzioso e terribile, con la faccia simile a quella di un grasso verme di tomba. Un ragazzo, nel descrivere una zuffa che ha avuto con quella creatura, rabbrividisce e prova un senso di nausea quando riferisce un certo particolare. «Ecco, signore, giuro davanti a Dio che quando l'ho abbrancato lui mi ha preso per i polsi, signore, e quando gli ho stretto quel pugno molle e muffito, un dito si è staccato e mi è rimasto in mano».

Un artista che, dopo averlo visto, ha fatto lo strano sogno di un carro funebre notturno, è colpito dal modo con cui il guardiano gli rivolge la parola. Questi infatti emette un suono mormorante che riempie la testa «come il denso fumo oleoso di una caldaia in cui fonde il grasso, o l'odore della putredine». Ciò che mormora è semplicemente questo: «Hai trovato il Segno Giallo?».

Poco dopo viene dato all'artista un talismano di onice con sopra dei misteriosi geroglifici, raccolto per strada da colui che aveva visto in sogno: e, dopo aver rinvenuto per caso l'infernale libro che tratta del l'orrore proibito, i due apprendono, fra altre cose terribili che nessun mortale sensato dovrebbe conoscere, che quel talismano è effettiva mente il Segno Giallo innominabile, tramandato dal maledetto culto di Hastur, nato nella primordiale Carcosa, di cui tratta il volume, e di cui certi ricordi spaventosi si insinuano di nascosto nei recessi delle menti umane.

Quindi odono il sordo cigolìo del carro funebre coperto da un drappo nero guidato dal guardiano dalle carni molli e dalla faccia cadaverica. Questi entra nella casa immersa nel buio della notte in cerca del Segno Giallo, e al suo tocco tutti i chiavistelli e le sbarre delle porte imputridiscono. Poi, quando la gente si precipita dentro, attratta da un urlo che nessuna gola umana riuscirebbe mai a emettere, si scoprono tre figure a terra: due morte e una morente. Una delle figure morte è già in avanzato stato di decomposizione: si tratta del guardiano del cimitero, e il medico esclama: «Quell'uomo deve essere morto da mesi!».

Vale la pena osservare che l'autore deriva dai racconti di Ambrose Bierce molti nomi e allusioni collegati con la terra misteriosa dei suoi primi ricordi.

Altri racconti giovanili di Chambers che presentano l'elemento orrorifico sono The Maker of Moons e In Search of the Unknown. Non possiamo esimerci dal rimpiangere il fatto che egli non abbia ulteriormente sviluppato un campo in cui avrebbe potuto diventare un maestro assai apprezzato.

Materiale orrorifico di alto livello si ritrova anche nei lavori della scrittrice del New England Mary Wilkins Freeman, il cui volume di racconti, The Wind in the Rosebush, contiene una quantità di storie degne di nota.

In The Shadows on the Wall ci viene mostrata con consumata abilità la reazione di una seria famiglia del New England di fronte a una misteriosa tragedia, e l'ombra del fratello avvelenato ci prepara al momento culminante, quando lo spettro dell'assassino sconosciuto, che si è suicidato in una città vicina, compare improvvisamente.

Charlotte Perkins Gilman, in The Yellow Wall Paper, si eleva a un livello di eccellenza nel delineare in maniera sottile la pazzia che lentamente si impossessa di una donna, la quale abita nella stanza tappezzata con un'orribile carta gialla dove un tempo visse reclusa una pazza.

In The Dead Valley, Ralph Adams Cram, illustre architetto e studioso del Medioevo, raggiunge un alto livello di cupo orrore folkloristico attraverso sottili descrizioni di atmosfera.

Sulla falsariga delle linee convenzionali in materia di Orrore è anche Irvin S. Cobb, fine e versatile umorista, la cui opera giovanile più recente contiene dei notevoli esempi di letteratura dell'Orrore.

Fishhead, uno scritto giovanile, è di un'efficacia assoluta nel descrivere le affinità naturali fra un idiota ibrido e il misterioso pesce di un lago solitario che alla fine vendica il delitto del loro parente bipede.

Le opere più recenti di Cobb introducono un elemento scientifico, come in quel racconto di ricordi ereditari nel quale un uomo moderno con sangue negroide nelle vene pronunzia parole in lingua africana quando viene investito da un treno in circostanze di immagini e di suoni che richiamano alla mente la mutilazione del suo antenato negro avvenuta a opera di un rinoceronte, un secolo prima.

Di statura artistica elevatissima è il romanzo The Dark Chamber (1927), di Leonard Cline. È il racconto di un uomo che - con le ambizioni caratteristiche dell'eroe-dannato di stampo gotico o byroniano - tenta di sfidare la natura e riconquistare ogni attimo della sua vita passata per mezzo di una anormale stimolazione dei ricordi.

A questo scopo fa uso di un'infinità di annotazioni, registrazioni e fotografie, e persino di odori, musica e spezie esotiche. Alla fine la sua ambizione va oltre la vita attuale e si protende verso i neri abissi dei ricordi ancestrali: indietro fino ai tempi pre-umani, tra le paludi fumanti dell'era del carbone, e tra inimmaginabili abissi di tempi e entità primordiali.

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Egli esige musica più pazza, prende droghe più strane, e alla fine il suo grosso cane ha paura di lui. Un malsano fetore animalesco lo circonda, e diventa un essere inferiore al genere umano. Alla fine si dirige verso i boschi, e di notte si mette a ululare sotto le finestre delle fattorie. Da ultimo, viene trovato morto dilaniato. Accanto a lui è il corpo mutilato del suo cane: si sono uccisi a vicenda. Il clima del romanzo è potente, e molta attenzione, viene rivolta alla funesta casa del protagonista e all'ambiente domestico.

Herbert S. Gorman con il suo romanzo The Place Called Dagon ci offre una creazione meno profonda ed equilibrata, ma tuttavia di notevole effetto. Il tema tratta della tenebrosa storia di un bacino di acque stagnanti nel Massachusetts occidentale dove i discendenti dei fuggiaschi dai processi di stregoneria di Salem mantengono ancora vivi gli orrori morbosi e degenerati del Sabba Nero.

Sinister House di Leland Hall, ha degli squarci di stupenda suspense, ma è guastato da un romanticismo alquanto mediocre.

Notevoli nel loro genere sono alcuni lavori di Edward Lucas White, romanziere e novellista, i cui racconti dell'Orrore sono in gran parte frutto di veri sogni. The Song of the Siren ha una ambientazione molto persuasiva, mentre lavori come Lukundoo e The Snout risvegliano apprensioni più cupe. White conferisce una caratteristica peculiare ai suoi racconti, una specie di fascino sommesso che ha un genere di persuasione suo proprio che lo distingue.

Tra i giovani americani, nessuno tratta l'Orrore Cosmico bene quanto Clark Ashton Smith, poeta, artista, e romanziere californiano, i cui scritti, disegni, quadri e racconti bizzarri, piacciono solo a pochi animi sensibili. Smith usa come sfondo un terribile universo remoto e paralizzante: giungle di fiori velenosi e iridescenti sulle lune di Saturno, maligni templi grotteschi in Atlantide, Lemuria e in più antiche terre dimenticate, e malsane paludi di funghi mortali maculati in paesi spettrali situati al di là dei confini della Terra.

Il suo poema più lungo e ambizioso, The Hashish Eater, è in pentametri sciolti, e offre incredibili visioni caotiche di incubi provenienti dagli spazi fra le stelle.

Per misteri orrorifici e capacità inventiva, Smith è forse ineguagliato da altri scrittori vivi o morti. Chi altri ha visto simili immagini sfarzose, esotiche, e febbrilmente distorte delle sfere infinite e delle dimensioni multiple, ed è poi vissuto per poterle narrare? Le sue brevi storie trattano in modo incisivo di altre galassie, di altri mondi e dimensioni, e di misteriose regioni sulla Terra. Egli narra della primitiva Iperborea e del suo nero dio amorfo Tsathoggua, del perduto continente di Zothique, e della favolosa terra di Averoigne, infestata di vampiri, situata nella Francia medievale.

9. La tradizione dell'Orrore in Inghilterra

La letteratura inglese più recente, oltre a comprendere i tre o quattro massimi scrittori fantastici dell'epoca attuale, è molto fertile nel campo dell'Occulto.

Rudyard Kipling ci si è accostato spesso e lo ha trattato, malgrado il suo caratteristico manierismo, con indubbia maestria, in racconti come The Phantom Rickshaw, The Finest Story in the World, The Recrudescence of Imray, e The Mark of the Beast.

Quest'ultimo è particolarmente efficace: le scene del sacerdote lebbroso, che miagola nudo come una lontra, delle macchie apparse sul torace dell'uomo che quel sacerdote aveva maledetto, della crescente voracità della vittima, della paura che i cavalli avevano cominciato a manifestargli, e della trasformazione finale - compiuta solo a metà - di quella vittima in un leopardo, sono tutte cose che il lettore difficilmente dimentica. La sconfitta finale della Stregoneria non va a scapito della forza del racconto o dell'effetto creato dal suo alone di mistero.

Lafcadio Hearn, bizzarro, girovago ed esotico, si discosta ancora più dal mondo del reale e, con la maestria tipica del poeta sensibile, intesse fantasie impossibili in un autore dotato di solido senso pratico. Il suo Fantastics, scritto in America, contiene alcune fra le più impressionanti situazioni macabre di tutta la letteratura, mentre il suo Kwaidan, scritto in Giappone, espone con abilità e delicatezza la tradizione soprannaturale e le leggende popolari di quella nazione ricca di colore.

Una magia ancora maggiore è presente nel linguaggio di Hearn per certe sue traduzioni dal francese, specialmente da Gautier e da Flaubert. La sua versione de La Tentation de Saint Antoine di Flaubert è un classico di fantasia ardente e sfrenata rivestita dalla magia di parole musicali.

Oscar Wilde si merita un posto fra gli scrittori dell'Orrore, sia per certi suoi racconti di notevole fantasia, sia per lo stupendo The Picture of Dorian Gray, in cui uno splendido ritratto si assume per anni il compito di invecchiare e imbruttire al posto dell'originale, il quale frattanto si tuffa in ogni vizio e dissolutezza senza perdere l'esteriore giovi-nezza, bellezza e freschezza.

Il culmine improvviso dell'azione si verifica quando Dorian Gray, divenuto un assassino, tenta di distruggere il ritratto i cui cambiamenti testimoniano la sua degenerazione morale. Quando lo sfregia con un coltello, si odono un grido e uno schianto terribili. Ma, quando entrano i domestici, lo trovano bello, integro e intatto. «Disteso a terra vi era un morto, in abito da sera e con un coltello conficcato nel cuore. Aveva l'aspetto avvizzito, rugoso e repellente. Fu solo dopo aver esaminato gli anelli che riconobbero di chi si trattava».

Matthew Phipps Shiel, autore di molti romanzi e racconti dell'Orrore grotteschi e avventurosi, a volte raggiunse un alto livello di terribile fascino.

Xelucha ne è un esempio spaventoso, ma lo supera l'indubbio capolavoro The House of Sounds, scritto da Shiel negli anni Novanta e rifatto con maggior misura artistica agli inizi del XX secolo.

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Questa storia, nella sua stesura definitiva, merita un posto fra le principali opere del genere. Narra di un orrore e di una minaccia spaventosi che si ripetono per secoli in un'isola sub-artica al largo della costa norvegese dove, tra raffiche di venti demoniaci e l'incessante tumulto di onde e cascate infernali, un morto vendicativo ha costruito una terrorizzante torre di bronzo.

È vagamente simile, e nello stesso tempo molto dissimile, da The Fall of the House of Usher di Poe.Nel romanzo The Purple Cloud, Shiel descrive con magistrale potenza una nebbia malefica uscita dall'Artico per

distruggere l'umanità, e che per un certo tempo sembra abbia lasciato un unico abitante sul nostro pianeta. Le sensazioni dell'unico sopravvissuto, quando si rende conto della situazione e vaga per le città del mondo disseminate di cadaveri e di ricchezze abbandonate come padrone assoluto, sono rese con un'abilità e un'arte che si situano appena al di sotto della vera grandezza. Purtroppo, la seconda metà del libro, con l'elemento romantico e convenzionale, segna un netto scadimento.

Più noto di Shiel è il geniale Bram Stoker, che creò molti episodi di autentico orrore in una serie di romanzi, in cui la tecnica scadente danneggia l'effetto complessivo.

The Lair of the White Worm, che narra di un gigantesco essere primordiale che si nasconde nel sotterraneo di un antico castello, rovina nettamente una idea stupenda con uno svolgimento quasi infantile. The Jewel of Seven Stars, che tratta il tema di una misteriosa resurrezione egiziana, è scritto meno rozzamente.

Ma il migliore fra tutti è il famoso Dracula, che è diventato quasi un modello per lo sfruttamento odierno del terrificante mito del vampiro. Il Conte Dracula, un vampiro, abita in un orribile castello nei Carpazi, ma decide di emigrare in Inghilterra con il proposito di popolare il paese di vampiri come lui. L'inglese che vaga nella roccaforte di Dracula, luogo di terrori, e il complotto ordito dal vampiro che invece viene poi sconfitto, sono elementi che si uniscono a formare un racconto cui è stato giustamente assegnato un posto di tutto rilievo nella letteratura inglese.

Dracula ricorda molti romanzi similari dell'Orrore Soprannaturale, fra cui i migliori sono forse The Beetle di Richard Marsh, Broad of the Witch-Queen di Sax Rohmer (Arthur Sarsfield Ward) e The Door of the Unreal di Gerald Bliss. Quest'ultimo tratta in maniera stupenda la leggenda del licantropo.

Più sottile e artistico, e condotto con singolare abilità attraverso linee parallele dei diversi personaggi, è il romanzo Cold Harbour di Francis Brett Young, in cui una antica casa che trasuda di oscure malvagità vi è delineata con tratti assai efficaci.

Humphrey Furnival, un personaggio beffardo e quasi onnipotente, echeggia il tipo Manfredi-Montoni, l'anima dannata del primo periodo gotico, ma si redime dalla banalità in forza di molte singolari caratteri stiche. Solo una leggera prolissità nelle spiegazioni alla fine, e l'uso troppo libero della divinazione come fattore risolutivo, impediscono al racconto di avvicinarsi alla perfezione assoluta.

Nel romanzo Witch Wood, John Buchan dipinge con grande vigore la sopravvivenza del Sabba in una zona sperduta della Scozia. La descrizione della cupa foresta con la Pietra del Male, e dei terribili presentimenti di origine cosmica quando l'orrore viene finalmente estirpato, ripagano il lettore per aver seguito pazientemente le varie fasi dell'azione e la noia del dialetto scozzese.

Alcuni brevi racconti di Buchan sono anche molto vivaci pur con i loro presagi spettrali; The Green Wildbeast, un racconto di stregoneria africana, The Wind in the Portico, con il risveglio degli scomparsi orrori britannico-romani, e Skule Sherry, con i suoi spunti di orrore sub-artico, sono particolarmente notevoli.

Clemence Housman, con il breve romanzo The Werewolf, raggiunge un alto grado di tensione raccapricciante e, fino a un certo punto, ottiene un autentico clima folcloristico. In The Elixir of Life, Arthur Ransome consegue degli effetti eccellenti malgrado una certa semplicità della trama, mentre H.B. Drake, con The Shadowy Thing, evoca misteriose visioni terrificanti. Lilith, di George Macdonald, ha una irresistibile singolarità sua propria: la prima versione, la più semplice, è forse la più efficace.

Il poeta Walter de la Mare merita una menzione particolare, dato che ci troviamo di fronte a un potente artista per il quale il misterioso mondo invisibile è sempre una realtà vicina e vitale. Tanto i suoi versi martellanti quanto la squisita prosa, racchiudono notevoli squarci di misteriose visioni che affondano nelle velate sfere della bellezza e nelle terribili e proibite dimensioni dell'essere.

Nel romanzo The Return, vediamo l'anima di un morto uscire dalla sua tomba vecchia di due secoli per attaccarsi alla carne dei vivi, sì che persino il volto della vittima diventa quello di colui che da lungo tempo era ormai tornato polvere. Dei racconti più brevi, di cui esistono diversi volumi, molti sono indimenticabili per la presenza delle più tenebrose ramificazioni della paura e della magia.

Degni di rilievo sono Seaton's Aunt, in cui vi è un cupo sfondo di malvagio vampirismo; The Tree, che narra dello spaventoso sviluppo della vegetazione nel cortile di un artista ridotto in miseria; Out of the Deep, in cui ci viene lasciato immaginare cosa rispose al richiamo di un fannullone morente in una cupa casa solitaria quanto tirò la temuta corda del campanello situato nella soffitta, richiamando i ricordi della sua fanciullezza tormentata dalle paure; A Recluse, che allude a ciò che spinse un ospite occasionale a fuggire da una casa in piena notte; Mr. Kempe, che ci mostra un eremita pazzo proteso alla ricerca dell'anima umana, il quale abita in una spaventosa regione ricca di scogliere a picco sul mare in un'antica cappella abbandonata; e infine All-Hallows, una visione di forze demoniache che assediano una solitaria chiesa medievale e restaurano miracolosamente la costruzione in rovina.

De la Mare non fa dell'orrore il solo elemento dei suoi racconti, o perlomeno, non ne fa l'elemento dominante, giacché è palesemente più interessato allo studio dei caratteri. Casualmente può scivolare nella fantasia tipica di Bierce.

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Comunque, è fra i pochissimi per i quali l'irrealtà è una presenza vivida e, come tale, riesce a immettere nei suoi occasionali studi sull'Orrore, una potenza e una profondità che solo pochi maestri sanno raggiungere. Il suo poema The Listeners, riporta il brivido gotico nella poesia moderna.

Il racconto breve dell'Orrore ha percorso di recente un felice cammino, cui ha contribuito in maniera importante il versatile E.F. Benson, il cui The Man Who Went Too Far ci narra di una casa al margine di un bosco tenebroso e dell'impronta di uno zoccolo di Pan sul petto di un uomo morto.

Il volume di Benson, Visible and Invisible, contiene diverse storie di singolare efficacia; da notare Negotium Perambulans, la cui soluzione svela un mostro anormale, staccatosi da un antico pannello religioso, che porta a termine una vendetta soprannaturale in uno sperduto villaggio sulla costa della Cornovaglia, e The Horror Horn, in cui si parla di un terribile esemplare semiumano che dimora su vette montane assolutamente deserte. The Face, presente in un'altra raccolta, ha una forza letale, con la sua atmosfera di inesorabile condanna.

H. Russell Wakefield, nelle sue raccolte, The Return at Evening e Others Who Return, a tratti riesce a raggiungere delle notevoli vette di Orrore malgrado una certa aria sofisticata. I suoi racconti migliori sono The Red Lodge, con il suo viscido Male acqueo; He Come and He Passes, Look Up There, Blind Man's Buff, e quello stupendo esempio di orrore senza età, che è The Seventeenth Hole at Duncaster.

Si è accennato ai racconti dell'Orrore di H.G. Wells e di A. Conan Doyle. Il primo, in The Ghost of Fear, raggiunge dei vertici di eccellenza, ma anche tutti gli episodi di Thirty Strange Stories presentano forti implicazioni fantastiche. Doyle esprime qua e là alcune forti note spettrali, come in The Captain of the Polestar, un racconto di orrore marino, o Lot. n. 249, in cui il tema della mummia rianimata viene usato con un'abilità superiore alla media.

Hugh Walpole, della stessa famiglia del padre della narrativa gotica, talvolta si è accostato al bizzarro con molto successo; il suo ottimo racconto di vampiri, Mrs. Lunt, procura dei brividi notevoli. John Metcalf, nella raccolta pubblicata con il titolo The Smoking Leg, esprime solo di tanto in tanto degli spunti efficaci, e il racconto intitolato The Bad Lands, contiene delle gradazioni di orrore che sanno fortemente di genio.

Più stravaganti e inclini alla fantasia gradevole e innocua di Sir J.M. Barrie, sono i racconti brevi di E.M. Forster, riuniti sotto il titolo The Celestial Omnibus. Di questi, soltanto uno, che tratta di una visione di Pan e della relativa atmosfera di terrore, può dirsi contenga il vero Orrore Cosmico. La signora H.D. Everett, pur aderendo ad antichissimi modelli convenzionali, raggiunge solo occasionalmente delle notevoli vette di orrore spirituale nella sua collezione di brevi storie, The Death Mask. L.P. Hartley spicca per il suo racconto incisivo e spaventoso A Visitor from Down Under. Le Uncanny Stories di Mary Sinclair, contengono più "occultismo" del tipo tradizionale che non quell'elemento orrorifico che denota la maestria in questo campo, e tendono a immettere più tensione nelle emozioni umane e nella introspezione psicologica, che non nei semplici fenomeni di un cosmo totalmente irreale.

A questo punto sarà bene notare che i sostenitori dell'Occulto sono probabilmente meno efficaci dei materialisti nel delineare il mondo orrifico e fantastico, poiché per costoro il mondo delle ombre è una realtà talmente ovvia, da essere indotti a parlarne con meno timore, distacco e solennità di quanto non facciano coloro che vedono in esso una trasgressione tanto assoluta quanto stupenda dell'ordine naturale.

Gli scritti di William Hope Hodgson rivelano delle caratteristiche stilistiche alquanto discontinue, ma mostrano di tanto in tanto una notevole forza negli accenni ai mondi e agli esseri nascosti dietro la facciata della vita di tutti i giorni.

Hodgson oggi non ha la notorietà che meriterebbe. Malgrado la tendenza verso concezioni dell'universo basate su un sentimentalismo convenzionale, e del rapporto dell'uomo con esso e con i suoi consimili, Hodgson è secondo forse solo ad Algernon Blackwood relativamente alla serietà con cui tratta l'Irreale. Pochi lo eguagliano nel lasciare intravvedere la vicinanza di forze innominabili e di mostruose entità ostili, attraverso casuali accenni e dettagli insignificanti, o nel richiamare sensazioni di orrore e di anormalità in rapporto a regioni o a edifici.

Nel romanzo The Boats of the «Glen Carrig» (1907), ci viene mostrata tutta una congerie di eventi maligni e di terre maledette e sconosciute in mezzo alle quali si trovano per caso i naufraghi di una nave affondata. La minaccia latente nelle parti iniziali del libro è impossibile da superare ma, verso la fine, si registra uno scadimento dell'opera fino a diventare un normale romanzo d'avventura... Un tentativo impreciso e pseudo-romantico di riprodurre la prosa del XVIII secolo sminuisce il valore globale del libro, ma le profonde cognizioni nautiche sfoggiate dall'inizio alla fine, sono un buon fattore compensativo.

The House on the Borderland (1908) - sicuramente il miglior lavoro di Hodgson - narra di una casa solitaria e terribile situata in Irlanda, che costituisce la base di terribili forze provenienti da altri mondi e sopporta l'assedio di esseri blasfemi, che si celano in abissi sotterranei.

I vagabondaggi dello spirito del narratore attraverso illimitati anni-luce di spazio cosmico e kalpas di eternità, e la sua cronaca della distruzione definitiva del sistema solare, costituiscono qualcosa di quasi unico nella letteratura contemporanea. Dovunque, la forza dell'autore si manifesta nell'evocare oscuri orrori in agguato su uno scenario na -turale. Se non fosse per alcuni spunti di banale sentimentalismo, questo libro sarebbe un classico insuperabile.

The Ghost Pirates (1909), un romanzo concepito da Hodgson come il completamento di una trilogia con i due lavori sopra citati, è la storia avvincente di una nave su cui incombe la rovina mentre compie il suo ultimo viaggio, e di terribili diavoli marini (di aspetto quasi umano, e forse gli spiriti di antichi bucanieri) che l'assalgono e alla fine la tra -scinano nel fondo del mare verso un destino sconosciuto. Con la sua padronanza delle nozioni marinare, e la sua abile scelta di allusioni a episodi gravidi di latenti orrori, il libro raggiunge a volte invidiabili vertici di indubbia efficacia.

The Night Land (1912), è un romanzo molto lungo (538 pagine) su un futuro infinitamente lontano della Terra,

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bilioni e bilioni di anni dopo la morte del sole. È scritto in maniera alquanto goffa, come il sogno di un uomo del XVII secolo, la cui mente si fonde con la sua futura incarnazione, ed è sciupato da una eccessiva verbosità, da continue ripeti-zioni, da un sentimentalismo artificioso e melenso, e da un tentativo di linguaggio arcaico ancora più grottesco e assurdo che non in The Boats of Glen Carrig.

Nonostante tutti questi difetti, è tuttavia uno degli esempi più vigorosi di fantasia orrorifica che siano mai stati scritti. Il quadro di un pianeta morto, immerso nelle tenebre, con i resti della razza umana concentrati in una enorme piramide e assediati da forze tenebrose, mostruose, del tutto sconosciute, è una cosa che il lettore non dimenticherà mai.

Entità di un genere alieno e inconcepibile - i predoni del mondo nero, privo di uomini e inesplorato, che si trova al di fuori della piramide - sono ideate e in parte descritte con insuperabile efficacia; mentre il paesaggio di una terra notturna con gli abissi, i declivi e la morente attività vulcanica assume un orrore quasi vivo per merito dell'autore.

A metà del libro, il protagonista si avventura fuori dalla piramide per una ricerca, attraverso regni frequentati dalla morte e privi di uomini da milioni di anni e, nel suo lento cammino, minuziosamente descritto giorno per giorno lungo inimmaginabili leghe di tenebre infinite, vi è un senso di estraneità cosmica, di mistero paralizzante e di orribile attesa, che non trova eguali in tutta la storia della narrativa. L'ultima parte del libro si trascina stancamente, ma non arriva a sciupare la terribile potenza dell'insieme.

L'ultimo volume di Hodgson, Carnacki, the Ghost-Finder, consiste di parecchi racconti di diversa lunghezza, pubblicati molti anni fa su varie riviste. Come qualità, è molto inferiore agli altri libri.

Qui troviamo una figura del repertorio più o meno convenzionale costituito dall'"investigatore infallibile" - la progenie di Monsieur Dupin e di Sherlock Holmes, nonché il parente prossimo di John Silence di Algernon Blackwood - e questo personaggio si muove lungo scenari e avvenimenti malamente guastati da un clima di "occultismo" profes-sionale. Alcuni episodi, comunque, sono di una potenza innegabile, e consentono qualche fugace visione del caratteristico genio di questo autore.

Naturalmente, è impossibile tracciare in un breve schema tutti i moderni elementi classici dell'Orrore. L'ingrediente deve necessariamente entrare in tutti i lavori, in prosa e in versi, che trattano diffusamente della vita; e quindi non bisogna sorprendersi se ne troviamo in parte in scrittori come il poeta Browning, il cui Child Roland to the Dark Tower Carne porta avanti una terribile minaccia, o il romanziere Joseph Conrad, il quale scrisse spesso di tenebrosi segreti nascosti nel profondo degli abissi marini e della demoniaca potenza del destino che influenzò la vita di uomini solitari e ostinatamente decisi. Nel dilatarsi presenta infinite ramificazioni, ma noi dobbiamo limitarci alle esteriorità allo stato puro o quasi, laddove determina il lavoro d'arte che lo contiene.

Alquanto separata dalla principale corrente inglese è la vena soprannaturale nella letteratura irlandese, che venne alla ribalta durante il rinascimento celtico collocabile nel tardo XIX secolo e agli inizi del XX.

La tradizione degli spettri e del Soprannaturale è sempre stata cospicua in Irlanda e, per oltre cento anni, è stata tramandata da tutta una schiera di scrittori e traduttori, quali William Carleton, T. Crofton Croker, Lady Wilde - madre di Oscar Wilde - Douglas Hyde, e W.B. Yeats.

Ai giorni nostri, questo complesso di miti è stato attentamente studiato, e i suoi tratti più importanti sono stati riprodotti in opere degli autori più recenti come Yeats, J.M. Synge, «A.E.», Lady Gregory, Padraic Colum, James Stephens e diversi altri.

Questo indirizzo, benché più bizzarramente fantastico che terribile nel suo insieme, contiene, unitamente alle sue imitazioni coscienziosamente artistiche, molti elementi che rientrano nel campo dell'Orrore Cosmico. Racconti di sepolture in chiese sotterranee o nel fondo di laghi frequentati da fantasmi, narrazioni di spiriti annuncianti la morte e bimbi rapiti, ballate di spettri e delle «diaboliche creature dei Rath», tutto ciò genera dei profondi brividi e crea un forte elemento, particolare della letteratura dell'Orrore.

Malgrado la stravaganza e la totale ingenuità, vi è un autentico incubo orrorifico nel genere di narrativa rappresentato dal racconto nel quale Teig O'Kane - che quale pena per la sua vita sfrenata fu perse guitato tutte le notti da un cadavere orrendo - chiedeva sepoltura dato che, condotto di cimitero in cimitero, ovunque vedeva i morti che sorgevano dalle tombe e si rifiutavano di dargli un posto.

Yeats, indubbiamente la più grande figura della narrativa irlandese, se non il più grande di tutti i poeti viventi, ha conseguito risultati eccellenti sia come sue opere originali, sia come resa in prosa di antiche leggende.

10. I maestri moderni

I migliori racconti dell'Orrore dei nostri giorni, facendo tesoro della lunga evoluzione del genere, possiedono una naturalezza, convinzione, rifinitura artistica e intensità, da andare ben oltre qualsiasi confronto con i testi gotici di un secolo fa o anche prima. Tecnica, padronanza del mestiere, esperienza, e nozioni psicologiche, hanno fatto passi da gigante nel corso degli anni, sì che la maggior parte dei lavori più datati appare ingenua e artificiale, riscattata - quando lo è - solo da un genio che riesce a superare dei grossi limiti.

Il tono superficiale e circonvoluto che investe ogni fatto, è adesso circoscritto a fasi più leggere e stravaganti della narrativa del Soprannaturale. Degli ottimi racconti dell'Orrore sono resi con intenso realismo mediante una aderente coerenza e una perfetta fedeltà alla natura, eccetto che per l'elemento soprannaturale che l'autore si concede, oppure si immergono completamente nel regno della fantasia con una atmosfera consona alla immagine mentale di un mondo delicatamente esotico situato in una irrealtà al di là dello spazio e del tempo, in cui può accadere quasi tutto, purché

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accada in pieno accordo con certi tipi di immaginazione e di illusioni, normali per un cervello umano sensibile.Questa, perlomeno, è la tendenza dominante; anche se, naturalmente, molti grandi scrittori contemporanei talvolta

cadono in certe pose ostentate di romanticismo immaturo o nel linguaggio ugualmente vuoto e assurdo dell'"occultismo" pseudo-scientifico, oggi in uno dei suoi periodici momenti di maggior vigore.

Tra gli scrittori viventi che trattano l'Orrore Cosmico assurti ai vertici dell'arte, pochi - o forse nessuno - possono sperare di eguagliare il poliedrico Arthur Machen, autore di alcune dozzine di racconti, lunghi e brevi, in cui gli elementi dell'orrore nascosto e della paura latente raggiungono una corposità e una dimensione realistica quasi inarrivabili.

Machen, uomo di lettere e maestro di uno stile narrativo squisitamente lirico ed espressivo, ha forse applicato con maggior convinzione i suoi sforzi nel picaresco Chronicles of Clemendy, nei saggi riposanti, nei vivaci volumi autobiografici, nelle fresche e briose traduzioni, ma soprattutto nella memorabile epica frutto della sua sensibile mente estetica.

In The Hill of Dreams, il giovane eroe reagisce alla magia dell'antico ambiente gallese - che è lo stesso dell'autore - e vive una vita di sogno nella città romana di Isca Silurum, ora ridotta al villaggio di Caerleon-on-Usk, disseminato di antiche rovine. Resta comunque il fatto che la sua copiosa produzione orrorifica dell'ultima decade del XIX secolo e dei primordi del XX, è unica nel suo genere, e segna una svolta precisa nella storia di questa forma letteraria.

Machen, imbevuto di tradizioni celtiche, e collegato a vivi ricordi giovanili delle selvagge colline a cupola, delle arcaiche foreste, e delle misteriose rovine romane della campagna di Gwent, ha sviluppato un estro fantastico di rara bellezza e intensità, tenendo presente lo sfondo storico. Ha assorbito il mistero medievale di boschi tenebrosi e di antiche usanze, ed è uno strenuo difensore del Medioevo in tutto, compresa la fede cattolica.

Allo stesso modo è stato preso dal fascino di quella vita britannico-romana che un tempo si svolse nella sua terra natia, e trova una misteriosa magia nei campi fortificati, nelle pavimentazioni a mosaico, nei frammenti di statue e cose simili, che parlano di un'epoca in cui imperava il classicismo, quando il latino era la lingua del paese.

Un giovane poeta americano, Frank Belknap Long, ha ben riassunto tutto questo nei versi che seguono di On Reading Arthur Machen:

Vi è splendore nel bosco d'autunno,Dove gli antichi sentieri si snodano ergendosiOltre magiche querce, ginestre spinose e arruffati platani,Là dove sorgeva la fortezza di un potente impero.Vi è una magia nel cielo d'autunno;Le rosse nuvole si contorcono nel fulgoreDi una grande fiamma, e vi sono scintillii in bassoDi un giallo bronzeo, dove le ceneri muoiono.Io attendo ch'egli mi mostri, chiare e gelide,Altissime nel loro splendore, stagliate contro il Nord,Le aquile romane, e tra caligini d'oroLe marcianti legioni che avanzano;Lo aspetto, perché vorrei con lui dividereL'antica saggezza, e l'antica pena.

Dei racconti dell'Orrore di Machen, il più famoso è forse The Great God Pan (1894), che narra di un singolare esperimento assai terrificante e delle sue conseguenze.

Una giovane donna, a seguito di un intervento chirurgico sulle sue cellule cerebrali, riesce a vedere la grandiosa e mostruosa divinità della Natura e, dopo questo evento, diventa ebete e muore nel giro di un anno. Diverso tempo dopo, una bambina misteriosa, inquietante, e dall'aspetto straniero, di nome Helen Vaughan, che è stata affidata a una famiglia abitante nelle campagne del Galles, comincia a frequentare i boschi in modo inesplicabile.

Un ragazzino perde il senno alla vista di qualcuno o qualcosa che intravede con lei, e una ragazza fa una fine orribile in maniera analoga. Tutto questo mistero si intreccia stranamente con le divinità bucoliche romane del luogo, che sono raffigurate nei frammenti di antiche sculture.

Dopo un altro intervallo di anni, una donna dalla bellezza stranamente esotica fa la sua apparizione: spinge il marito verso vari orrori e, quando questi muore, induce un artista a dipingere dei singolari quadri che illustrano il Sabba, crea una epidemia di suicidi fra gli uomini di sua conoscenza, e infine si scopre che frequenta diversi covi del vizio a Londra, dove persino i degenerati più incalliti restano colpiti dalle sue dissolutezze.

A seguito di un confronto tra coloro che hanno sentito parlare di lei nelle varie fasi della sua vita, si scopre che quella donna è Helen Vaughan, figlia - non di padre mortale - della giovane donna che si era sottoposta all'esperimento sul cervello. Helen è figlia del terribile dio Pan, e alla fine viene messa a morte, mentre il suo corpo si trasforma in modo orribile, incluso il cambiamento di sesso e una degenerazione sino alle più primitive manifestazioni del principio vitale.

Ma il vero fascino del racconto sta nella narrazione. Nessuno inizierebbe la descrizione della suspense e dell'orrore finale di cui abbonda ciascun paragrafo senza seguire l'esatto ordine con cui Machen spiega le sue allusioni e rivelazioni

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graduali. Indubbiamente vi è del melodramma, e le coincidenze sono forzate al punto da apparire assurde a un'attenta analisi, ma nella maligna stregoneria del racconto considerata nel suo insieme, certe inezie si dimenticano, e il lettore sensibile arriva alla fine con solo un certo brivido e una propensione a ripetere le parole di uno dei protagonisti: «È troppo incredibile, troppo mostruoso; cose del genere non sono di questo mondo tranquillo... Perbacco, uomo, se un caso del genere fosse possibile, la Terra sarebbe un incubo».

Meno famoso, e meno complicato nella trama rispetto a The Great God Pan, ma decisamente migliore per atmosfera e valore complessivo, è The White People, una singolare cronaca, oscuramente inquietante, la cui parte centrale vuole essere il diario di una bambina la cui governante ha introdotto nei segreti di una certa magia proibita e nel le tradizioni del corrotto culto della stregoneria che danna l'anima, un culto i cui miti furono tramandati oralmente per lunghe generazioni dalla gente di campagna in tutta l'Europa Occidentale, e i cui membri talvolta sgattaiolavano furtivi nella notte, uno a uno, per riunirsi nel cupi boschi e nei luoghi solitari dove si lasciavano andare alle disgustose orge dei Sabba.

La narrativa di Machen, un trionfo di abilità, stile e misura, raggiunge un'enorme efficacia mediante un flusso di innocenti cinguettii fanciulleschi, quando allude a strane "ninfe", "Dol", "Voolas", "cerimonie bianche, verdi, e scarlatte", "Lettere Aklo", "lingua di Chios", "giochi Mao", e simili. I riti, che la governante a suo tempo aveva appreso dalla sua nonna strega, vengono insegnati alla bambina quando questa ha tre anni, e le sue ingenue rivelazioni circa i pericolosi segreti contengono un orrore strisciante che ben si amalgama con l'atmosfera del narrato.

Malvagi incantesimi ben noti agli antropologi, sono descritti con un'ingenuità tipicamente giovanile, e infine, in un pomeriggio d'inverno, ha luogo il viaggio sulle vecchie colline del Galles, compiuto sotto una malìa che aggiunge al selvaggio scenario misteriosità, stranezza e una sensazione di stravagante sensibilità. I dettagli del viaggio sono resi con meraviglioso realismo e, per il critico, costituiscono un capolavoro della Letteratura Fantastica, esprimendo una forza quasi illimitata nei presagi di potenti aberrazioni cosmiche.

Alla fine la bambina, che ormai ha tredici anni, trova qualcosa di orrendamente bello in un oscuro bosco inaccessibile. Finalmente l'orrore la raggiunge in modo abilmente simbolizzato da un anedotto nel prologo, ma la ragazzina riesce ad avvelenarsi in tempo. Come la madre di Helen Vaughan in The Great God Pan, anche lei ha visto la terrificante divinità.

Viene trovata morta nel bosco tenebroso accanto alla cosa misteriosa da lei rinvenuta - una statua di fattura romana, emanante una pallida luminosità, intorno alla quale giravano orrende dicerie medievali - e quella cosa viene ridotta in polvere a furia di martellate da parte degli uomini che avevano effettuato le ricerche.

Nel narrato di The Three Impostors, un lavoro il cui merito complessivo è sminuito da una imitazione dello stile disinvolto di Stevenson, si ritrovano dei racconti che forse rappresentano il massimo dell'abilità di Machen come scrittore dell'Orrore.

Qui riscontriamo nella sua forma più artistica una concezione orrorifica privilegiata dall'autore: la teoria che sotto le alture e le rocce delle selvagge colline gallesi, dimori quella piccola razza primitiva le cui vestigia diedero origine alle leggende popolari di fate, folletti e del Piccolo Popolo a cui ancor oggi vengono fatte risalire certe sparizioni inspiegabili, e le sostituzioni di misteriosi e oscuri "bambini rubati" al posto di neonati normali.

Questo tema è trattato stupendamente nell'episodio intitolato The Novel of the Black Seal, dove un professore, avendo scoperto una singolare similitudine fra certi caratteri tracciati su alcune pietre calcaree nel Galles e quelli esistenti su un sigillo nero di epoca preistorica, proveniente da Babilonia, fa tutta una serie di scoperte che lo portano a conoscere cose ignote e terribili.

Un singolare brano dell'antico geografo Solinus, una serie di sparizioni magiche nei solitari promontori del Galles, un misterioso figlio idiota nato a una donna di campagna dopo uno spavento che le aveva sconvolto le facoltà mentali fin nel profondo, tutte queste cose suggeriscono al professore una spaventosa correlazione, e una condizione che ripugna a qualsiasi persona amante della razza umana.

Assume quindi il ragazzo idiota, che a volte farfuglia con voce stridula, ed è soggetto a strane crisi epilettiche. Una volta, di notte, dopo uno di questi attacchi nello studio del professore, si sentono degli odori inquietanti e si scoprono le testimonianze di presenze ultraterrene: poco dopo, il professore lascia un voluminoso documento e s'inoltra nelle misteriose colline spinto da una febbrile speranza ma con uno strano terrore nel cuore. Non farà mai più ritorno ma, accanto a una bizzarra pietra di quel selvaggio paese, vengono rinvenuti l'orologio, il denaro e l'anello di sua proprietà, impacchettati in una pergamena recanti gli stessi terribili caratteri incisi sul nero sigillo babilonese e sulle pietre delle montagne gallesi.

Il voluminoso documento spiega quel tanto che serve a risvegliare le più spaventose visioni. Il professor Gregg, in base alle testimonianze raccolte circa le scomparse del Galles, l'iscrizione sulla roccia, i racconti di antichi geografi e il sigillo nero, ha concluso che una terribile razza di oscuri esseri primitivi di antichità inestimabile e un tempo largamente diffusi, abiti ancora sottoterra, sotto le colline del desolato Galles.

Ulteriori ricerche hanno risolto il messaggio del sigillo nero e dimostrano che il ragazzo idiota, figlio di un padre più antico del genere umano, è l'erede di ricordi ed eventi mostruosi. La notte, nel suo studio, il professore invoca «il terribile orrore delle colline» avvalendosi del sigillo nero, e scatena nell'ibrido idiota gli orrori della sua impressionante paternità. Egli «vide il suo corpo gonfiarsi e tendersi come una vescica, mentre la faccia perdeva i suoi contorni...».

Poi compaiono gli orribili effetti di quella invocazione, e il professor Gregg conosce la genuina frenesia dell'Orrore Cosmico nella sua forma più abbietta. Conosce anche le abissali profondità dell'anomalia che ha evocato, e si addentra

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nelle selvagge colline preparato e rassegnato. Avrebbe incontrato il famoso Piccolo Popolo... e il documento termina con questa osservazione: «Se disgraziatamente non tornassi dal mio viaggio, non occorre rievocare qui la scena orribile del mio destino».

In The Three Impostors vi è anche il racconto The Novel of the White Powder che è molto vicino al culmine assoluto dell'orrore più abbietto.

Francis Leicester, un giovane studente in Legge con i nervi a pezzi per la solitudine e l'eccesso di lavoro, si fa preparare una ricetta da un vecchio farmacista, non molto attento nello studio dei suoi medicinali. Si scopre più tardi che la sostanza è un sale raro che il tempo e il variare della temperatura hanno per caso mutato in qualcosa di misterioso e terribile. In breve, nient'altro che il medievale vinum Sabbati, il cui consumo durante le orribili orge del Sabba delle Streghe diede origine a impressionanti trasformazioni e - se usato con parsimonia - a delle conseguenze indicibili.

Ignaro, il giovane beve regolarmente la polvere sciolta in un bicchiere di acqua dopo i pasti, e dapprima sembra ne tragga un evidente beneficio. Piano piano, però, il riacquistato vigore scade nella dissolutezza; trascorre infatti molto tempo lontano da casa e mostra di aver subito un repellente cambiamento psicologico. Un giorno gli compare sulla mano destra una strana macchia bluastra, e in seguito si isola, rimanendo chiuso nella sua stanza senza permettere a nessuno dei familiari di entrarvi. Il dottore chiede di essere ricevuto e, quando se ne va, è in preda a un tremito di orrore e dice che in quella casa non ha più nulla da fare.

Due settimane più tardi, la sorella dell'ammalato, mentre passeggia all'esterno della casa, vede una cosa mostruosa alla finestra della stanza del fratello, e i domestici riferiscono che il giovane non tocca più il cibo lasciato davanti alla porta chiusa. Interpellato attraverso la porta sbarrata, risponde chiedendo di essere lasciato in pace con voce grossa e gorgogliante. Infine, una domestica tremante riferisce un fatto spaventoso. Il soffitto della stanza sotto a quella di Leicester è macchiato di un terribile fluido nero, e una pozza di viscida materia disgustosa è colata sul letto sottostante.

Il dottor Haberden, tornato nella casa, abbatte la porta del giovane e colpisce ripetutamente con una sbarra di ferro la cosa blasfema che vi trova. È una «massa scura e putrida che emana corruzione e marciume, né liquida né solida, ma fusa e mutevole». Punti fiammeggianti come occhi spuntano luminosi dall'ammasso e, prima che muoia, l'essere immondo tenta di sollevare quello che potrebbe essere un braccio. Poco dopo il medico, incapace di sopportare il ricordo di quanto ha visto, muore in mare durante un viaggio verso l'America, dove pensava di rifarsi una vita.

Machen torna con il Piccolo Popolo in The Red Hand, in The Shining Pyramid, e in The Terror, una storia del tempo di guerra, che tratta con vigore e suspense l'effetto dell'attuale disconoscimento umano circa la spiritualità nelle bestie, le quali sono così indotte a mettere in dubbio la supremazia dell'uomo e a unirsi per sterminarlo.

Di notevole delicatezza, visto che passa dal puro orrore al misticismo, è The Great Return, una storia del Graal, anche questa un prodotto del periodo di guerra. Troppo noto per richiedere una descrizione è il racconto The Bowmen che, tratto da una autentica tradizione orale, diede vita alla diffusa leggenda degli Angeli di Mons, fantasmi dei vecchi arcieri inglesi di Crécy e Agincourt che combatterono nel 1914 accanto agli oppressi soldati del glorioso corpo inglese degli Old Contempibles.

Meno intenso di Machen nel tratteggiare gli estremi dell'Orrore puro, è l'ispirato e prolifico Algernon Blackwood, il quale è tuttavia più strettamente aderente all'idea di un mondo irreale che incombe di continuo sul nostro.

Tra i suoi scritti, di livello discontinuo ma abbastanza numerosi, si possono trovare elementi della migliore narrativa dell'Orrore di ogni epoca. Sulla qualità del genio di Blackwood non vi sono dubbi, poiché nessuno ha mai eguagliato la bravura, la serietà e l'accurata fedeltà con cui egli narra le sfumature di suspense in cose ed esperienze ordinarie, o l'intuito soprannaturale con cui estrinseca, a furia di particolari, le sensazioni e le percezioni che portano dalla realtà alla vita o all'immagine ultraterrena.

Pur senza molta padronanza della magia poetica delle parole, egli è un maestro assoluto e indiscutibile dell'atmosfera, e sa estrapolare quasi una intera storia da un semplice brano di descrizione psicologica. Più di qualsiasi altro, egli comprende come certe menti sensibili indugino sempre ai margini del sogno, e quanto sia relativamente su-perficiale la distinzione fra le immagini formatesi da veri oggetti e quelle sollecitate dalla fantasia.

Le opere minori di Blackwood sono sciupate da alcuni difetti: un eccessivo didatticismo, di quando in quando una eccentricità insipida, una certa monotonia e un uso troppo libero del gergo corrente. Un suo errore caratteristico sono la prolissità e l'eccessiva lunghezza, che derivano da un elaborato tentativo di tratteggiare precise sensazioni e sfumature di immagini misteriose, con l'aggravio di uno stile scarno e di tipo giornalistico, privo di magia, colore e vitalità. Comunque, malgrado tutto ciò, molti scritti di Blackwood raggiungono un livello di autentica eccellenza ed evocano, come nessun altro, la precisa sensazione della imminenza di magiche sfere o entità spirituali.

La sterminata produzione di Blackwood comprende romanzi e racconti brevi, questi ultimi autonomi o facenti parte di serie.

Un posto di rilievo spetta a The Willows, dove delle presenze rimaste ignote, su una desolata isola del Danubio, vengono percepite e riconosciute con orrore da una coppia di viaggiatori. Qui l'arte e la misura nella narrazione raggiungono il loro più alto sviluppo, e ne scaturisce una impressione di grande efficacia senza un solo passaggio forzato o una sola nota falsa.

Un altro racconto di stupefacente potenza anche se di minor ricercatezza stilistica è The Wendigo, nel quale ci vengono presentate le terribili tracce di un gigantesco demone della foresta del quale mormorano a sera i boscaioli di North Woods. Il modo con cui certe orme rivelano cose incredibili è veramente un notevole trionfo di abilità e di arte.

In An Episode in a Lodging House, vediamo terrificanti presenze richiamate dal nero spazio per opera di un mago, e

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The Listener narra dello spaventoso residuo psichico che si muove strisciando in una vecchia casa dove una volta morì un lebbroso.

Nel volume intitolato Incredible Adventures vi sono alcuni fra i più bei racconti mai scritti da questo autore, che trasportano con la fantasia a riti barbari tenuti su colline avvolte nella notte, ad aspetti segreti e terribili che si nascondono dietro delle scene apparentemente innocue, e a sotterranei nascosti e misteriosi sprofondati sotto le sabbie e le piramidi d'Egitto; il tutto con una sottigliezza e delicatezza che convincono assolutamente laddove una penna più rozza o più leggera si limiterebbe a far divertire.

Certi racconti non sono neppure delle storie, ma piuttosto degli studi su impressioni inafferrabili e brani di sogni ricordati a metà. La trama è dovunque trascurabile, e il clima di suspense domina incontrastato.

John Silence: Physician Extraordinaty, è un libro di cinque racconti collegati fra loro, in cui un unico personaggio vi svolge il suo ruolo trionfale. Deturpate solo da tenui tracce del clima freddo e convenzionale del racconto poliziesco - il dottor Silence è uno di quei sapientoni benevoli che mettono i loro ragguardevoli poteri al servizio di uomini meritevoli in difficoltà - queste narrazioni contengono alcuni fra i migliori lavori dell'autore, e procurano una illusione durevole.

Il primo racconto, A Psychical Invasion, riporta quanto accadde a un autore assai sensibile in una casa che era stata un tempo teatro di oscuri avvenimenti, e a come fu esorcizzata una legione di nemici diabolici.

Ancient Sorceries, forse il più bel racconto del libro, offre un quadro vivido e quasi ipnotico di una vecchia cittadina francese dove tutte le persone tramandano il sacrilego Sabba tramutandosi in gatti.

In The Nemesis of Fire, un elemento terribile viene evocato dal sangue appena sgorgato, mentre The Secret Worship narra di una scuola tedesca dove una volta imperava il satanismo e dove, molto tempo dopo, era rimasta una atmosfera maligna.

The Camp of the Dog è il racconto di un licantropo, ma è indebolito dalla moralizzazione e dall'occultismo svolti in misura troppo professionale.

Troppo delicate, forse, per essere comprese fra i racconti dell'Orrore, ma forse più artistiche in senso assoluto, sono le fantasie come Jumbo e The Centaur. Blackwood in questi scritti pone in essere un accostamento aderente e palpitante alla più profonda sostanza del sogno e distrugge le barriere convenzionali situate tra realtà e fantasia.

Edward John Moreton Drax Plunkett, XVIII barone Dunsany, è insuperato per la magia della sua prosa cristallina e melodiosa, e veramente sommo nella creazione di un mondo splendido e languido di visioni iridescenti ed esotiche. I suoi racconti e lavori teatrali formano un elemento quasi unico nella nostra letteratura.

Inventore di una nuova mitologia e ideatore di un folklore sorprendente, Lord Dunsany è proteso verso un mondo fantastico di sola bellezza ed è impegnato in una eterna guerra contro la volgarità e le brutture della realtà quotidiana. Il suo punto di vista è veramente il più commise tra quelli riscontrati nella letteratura di tutti i tempi.

Sensibile, al pari di Poe, ai valori drammatici e al significato di parole e dettagli isolati, e con un migliore bagaglio prosastico che si manifesta in uno stile lirico e semplice basato sulla prosa della Bibbia del re Giacomo, questo autore attinge con tremenda efficacia a quasi tutte le raccolte di miti e leggende orientali. Forma ellenica, tenebrosità teutonica, e malinconia celtica, si fondono superbamente tra loro sì da sostenersi e integrarsi a vicenda senza sacrificio e con perfetta omogeneità.

In moltissimi casi le terre di Dunsany sono favolose: «oltre l'Oriente», o «ai limiti del mondo». Il suo sistema di nomi originali, di persone e di luoghi, le cui radici derivano dai classici, dall'Oriente, e da altre fonti, è un miracolo di inventiva versatile e di discriminazione poetica. Lo si può vedere in esempi come "Argimenes", "Bethmoora", "Portarnes", "Camorak", "Huriel", o "Sardathrion".

La bellezza, più che l'Orrore, è la nota fondamentale degli scritti di Dunsany. Egli ama il verde brillante della giada e il rame delle cupole, nonché la delicata fiamma del tramonto sui minareti d'avorio di impossibili città di sogno. Spesso sono presenti anche umorismo e ironia a conferire un lieve cinismo e a modificare quanto altrimenti sarebbe di una ingenuità macroscopica.

Cionondimeno, come è inevitabile in un maestro nel quale trionfa l'irrealtà, evidenzia sporadici tocchi di Orrore Cosmico che ben rientrano nella tradizione autentica. Dunsany ama suggerire con malizia e sagacia cose mostruose e vendette incredibili, come si addice ai racconti misteriosi.

In The Book of Wonder, leggiamo di Hlo-Hlo, il gigantesco idolo-ragno che non sempre rimaneva al suo posto; di ciò che la Sfinge temeva nella foresta; di Slith, il ladro che scavalca il bordo del mondo dopo aver visto una certa luce accesa ed aver appreso chi l'aveva accesa; degli antropofagi Gibbelin, che dimorano in una torre maledetta a guardia di un tesoro; degli Gnoles, che vivono nella foresta e dai quali è bene allontanarsi di soppiatto; della Città di Never e degli occhi che guardano negli Under Pits, e di altre simili cose tenebrose.

Dreamer's Tales narra dell'evento che fece uscire nel deserto tutti gli uomini da Bethmoora, dell'immensa porta di Perdondaris che fu scolpita in un unico pezzo di avorio, e del viaggio del povero vecchio Bill - il cui capitano maledisse la ciurma - che aveva visitato pericolose isole appena sorte dal mare, le cui basse casette con il tetto di paglia aveva no delle finestre sinistre e misteriose.

Molti racconti brevi di Dunsany traboccano di paura e di orrore. In The Gods of the Mountain, sette mendicanti impersonano i sette idoli verdi situati su una lontana collina, e godono di attenzioni e di onori in una città che li adora finché non si viene a sapere che i veri idoli sono scomparsi dai loro posti consueti.

Viene loro riferita una visione incerta nel crepuscolo - «la montagna non dovrebbe camminare di sera» - e, quando alla fine si fermano ad aspettare l'arrivo di un gruppo di danzatori, notano che i passi che si avvicinano sono più pesanti

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del previsto. Poi si verificano varie cose e, da ultimo, i presuntuosi blasfemi sono trasformati in statue di giada verde dalle stesse statue la cui santità avevano oltraggiata.

Ma l'intreccio in sé è il minore dei meriti di questo lavoro dall'effetto stupendo. Gli episodi e gli sviluppi sono degni di un sommo maestro, sì che l'insieme forma uno dei contributi più importanti dell'èra attuale al Fantastico, non solo nell'ambito del dramma ma della narrativa in generale.

A Night at an Inn narra di quattro ladri che hanno rubato l'occhio di smeraldo di Klesh, un mostruoso dio indù. Essi attirano nella loro camera i tre sacerdoti che sono sulle loro tracce, e riescono a trucidarli ma, nella notte, Klesh viene a cercare di nascosto il suo occhio e, dopo averlo ottenuto ed essersi allontanato, fa uscire ognuno dei saccheggiatori nella oscurità della notte perché riceva una punizione indicibile.

In The Laughter of the Gods vi è una città maledetta ai margini della giungla, e uno spettrale liutista che soltanto i moribondi riescono a udire (vedi il clavicembalo misterioso di Alice in House of the Seven Gables di Hawthorne); mentre The Queen's Enemies riprende quell'aneddoto di Erodoto nel quale una Principessa vendicativa invita i suoi mortali nemici a un festino sottoterra e fa sì che il Nilo li affoghi.

Ma nessuna descrizione, per quanto ampia, può offrire più di un frammento del fascino penetrante della narrativa di Lord Dunsany. Le sue città prismatiche, e i riti sconosciuti, sono trattati con una sicurezza che solo il genio può concepire, e noi fremiamo per un senso di vera partecipazione ai suoi segreti misteri. Egli è un talismano per l'autentico amante del Fantastico, ed è la chiave che apre ricche riserve di sogni e di ricordi frammentari, sì che possiamo considerarlo non solo un poeta, ma anche uno strumento che fa di ogni lettore un poeta.

Al polo opposto del talento rispetto a Lord Dunsany, sta il dottor Montague Rhodes James, Rettore del College di Eaton, archeologo di rilievo, e apprezzato esperto di manoscritti medievali e di storia delle religioni.

Il dottor James era dotato di un potere quasi diabolico nel creare l'orrore partendo dalla vita di ogni giorno. Da tempo gli piaceva raccontare storie orrorifiche durante le veglie di Natale e poi, poco a poco, salì a livello di narratore di rango nella narrativa dell'Orrore, mettendo in mostra uno stile e un metodo caratteristici, atti a servire da modello per una lunga teoria di discepoli.

L'arte del dottor James non è affatto casuale e, nella prefazione ad una delle sue raccolte, egli ha formulato tre regole molto valide per la narrativa orrorifica.

Una storia di spettri - lui ne è convinto - dovrebbe avere una ambientazione familiare, in modo da riuscire a essere in sintonia con la sfera di esperienze del lettore. I fenomeni orrorifici della storia, inoltre, dovrebbero essere più malevoli che benevoli, dato che è la paura l'emozione principale che deve essere stimolata. Infine, il gergo tecnico dell'occultismo o quello pseudoscientifico, dovrebbe essere evitato con cura, per tema che l'incantesimo della verosimiglianza sia soffocato da una pedanteria non convincente.

Il dottor James, mettendo in pratica i princìpi predicati, si accosta al tema trattato in maniera leggera e spesso discorsiva. Creando l'illusione di fatti della vita assolutamente normali, egli introduce i fenomeni anormali con cautela e gradualmente, mitigandoli in ogni momento con dei dettagli semplici e prosaici, e rendendoli talvolta con qualche gustoso brano di erudizione archeologica.

Conscio della stretta relazione che intercorre fra il Soprannaturale e la tradizione, egli generalmente fornisce antichi antecedenti storici per i suoi episodi, riuscendo in tal modo a utilizzare assai abilmente le sue conoscenze del passato, nonché la sua padronanza della dizione e del colore. Lo scenario favorito dei racconti di James è qualche cattedrale secolare, che l'autore descrive con la minuziosità tipica dello specialista in quel campo.

Nei racconti di James è spesso dato di trovare dei maliziosi quadretti umoristici nonché delle caratterizzazioni assai realistiche che, nelle sue mani, finiscono per aumentare anziché diminuire l'effetto generale, così come sicuramente accadrebbe con uno scrittore meno dotato di lui.

Nell'inventare un nuovo tipo di spettro si è allontanato moltissimo dalla tradizione gotica convenzionale giacché, laddove i precedenti spettri erano pallidi e austeri, e percepiti principalmente col senso della vista, lo spettro di James è magro, basso e peloso - un abominevole essere notturno, pigro e infernale, a mezza via fra la bestia e l'uomo - e che di solito viene toccato prima di essere visto.

Talvolta lo spettro è ancora più eccentrico; un rotolo di flanella con occhi da ragno, o una entità visibile che si modella nelle coperte del letto e mostra una faccia di lino raggrinzito.

James ha - è chiaro - delle approfondite cognizioni scientifiche dei nervi e dei sentimenti umani, e sa esattamente come dosare eventi, fantasie, e sottili associazioni di idee, per garantirsi il massimo successo presso i lettori. È un artista dell'episodio e del caso più che dell'atmosfera, e riesce a destare le emozioni più a livello mentale che direttamente.

Questo metodo, naturalmente, data la mancanza di momenti culminanti dell'azione, presenta vantaggi e svantaggi, e molti racconti mancano del clima di totale tensione che scrittori come Machen si curano di costruire con parole e scene. Ma solo pochi racconti presentano una certa insipidità. Generalmente, la laconica soluzione di eventi anormali è sufficiente a produrre il desiderato effetto di orrore.

I racconti brevi del dottor James sono contenuti in quattro collezioni intitolate rispettivamente Ghost Stories of an Antiquary, More Ghost Storìes of an Antiquary, A Thin Ghost and Others, e A Warning to the Curious. Esiste anche una deliziosa fantasia giovanile, The Five Jars, che denota già dei prodromi spettrali. Fra tutta questa dovizia di materiale, è arduo selezionare un racconto preferito o tipico, per quanto ciascun lettore avrà delle preferenze dettate dal suo temperamento.

Count Magnus è certamente uno dei racconti migliori e mostra una vera miniera di suspense e di idee.

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Il signor Wraxall è un turista inglese della metà del XIX secolo che soggiorna in Svezia per procurarsi materiale per un libro. Interessatosi alla antica famiglia dei De La Gardie, vicino al villaggio di Raback, egli ne studia gli annali, e subisce un fascino particolare da parte della figura del costruttore del maniero, un certo Conte Magnus, di cui si mormorano cose strane e terribili.

Il Conte, che ebbe notevole fama ai primi del XVII secolo, era un padrone austero, noto per la sua severità verso bracconieri e affittuari morosi. Le sue crudeli punizioni erano proverbiali, ed erano corse voci di tenebrose influenze sopravvissute anche alla sua sepoltura nel grande mausoleo che aveva costruito presso la chiesa, come quella dei due contadini che una notte, dopo un secolo dalla sua morte, erano andati a caccia nelle sue riserve.

Si erano levate grida terrificanti nei boschi e, presso la tomba del Conte Magnus, erano state udite delle risate innaturali e il rumore metallico di una grande porta. L'indomani, il prete aveva trovato i due uomini, uno impazzito e l'altro morto, con la carne del volto rosicchiata fino alle ossa.

Il signor Wraxall ascolta tutti questi racconti e coglie per caso certe caute allusioni a un Pellegrinaggio Nero che il Conte aveva fatto un tempo a Chorazin in Palestina, una delle città condannate da Nostro Signore nelle Scritture, e in cui gli antichi sacerdoti dicono che fosse nato l'Anticristo. Nessuno osa accennare alla natura di quel Pellegrinaggio Nero, né a quale strano essere o cosa il Conte avesse riportato come compagno.

Intanto, il signor Wraxall è sempre più impaziente di esplorare il mausoleo del Conte Magnus, e infine ottiene il permesso di recarvisi in compagnia di un diacono. Vi scopre diversi monumenti e tre sarcofagi di rame, uno dei quali contiene le spoglie del Conte.

Attorno alle pareti di quest'ultimo sarcofago sono scolpite parecchie scene, tra cui le immagini di un inseguimento strano e terribile di un pazzo in una foresta da parte di una figura tarchiata e fornita di un tentacolo da pescediavolo, diretta da un uomo alto e avvolto in un mantello, fermo su una vicina collinetta.

Il sarcofago ha tre robusti lucchetti di acciaio, di cui uno giace aperto in terra, il che fa ricordare al viaggiatore il rumore metallico udito il giorno prima quando era passato davanti al mausoleo con la remota speranza di vedere il Conte Magnus.

La curiosità del signor Wraxall cresce e, ottenuta la chiave, torna a visitare una seconda volta - da solo - il mausoleo, dove trova un altro lucchetto aperto. Il giorno dopo, l'ultimo che trascorre a Raback, va ancora da solo ad accomiatarsi dal Conte morto da tanto tempo.

Ancora una volta stranamente è spinto a desiderare di incontrare il nobiluomo sepolto, e si accorge con un senso di inquietudine che sul grande sarcofago resta solo un lucchetto. Mentre è intento a guardare, l'ultimo lucchetto cade rumorosamente a terra e si ode un rumore di cardini cigolanti. Poi il pesante coperchio comincia a sollevarsi lentamente, e il signor Wraxall fugge in preda al panico senza richiudere la porta del mausoleo.

Durante il ritorno in Inghilterra, il turista avverte uno strano senso di disagio sul battello che attraversa la Manica, cosa che egli attribuisce a quanto è accaduto in precedenza. Le figure avvolte in lunghi mantelli lo rendono nervoso, e ha la sensazione di essere osservato e seguito. Delle ventotto persone che conta, solo ventisei compaiono ai pasti, e le due mancanti sono sempre un uomo alto con un mantello e una figura più piccola e imbacuccata.

Terminata la traversata per mare a Harwich, il signor Wraxall non vede l'ora di rifugiarsi dentro una carrozza chiusa ma, arrivato ad un crocevia, vede due figure avvolte in pesanti mantelli. Infine prende alloggio nella casetta di un villaggio e passa un po' di tempo a vergare annotazioni frenetiche. La mattina dopo viene trovato morto e, durante l'inchiesta, sette giurati svengono alla vista del corpo. La casa dove aveva dimorato non viene mai più occupata e, quando viene demolita cinquant'anni dopo, si scopre il manoscritto in una dispensa dimenticata.

In The Treasure of Abbot Thomas un antiquario inglese svela un messaggio cifrato su certe finestre istoriate del Rinascimento, e in questo modo scopre un gruzzolo d'oro, vecchio di secoli, nascosto in una nicchia situata a metà di un pozzo nel cortile di una antica abbazia tedesca.

Ma l'astuto depositante aveva posto un guardiano a sorvegliare quel tesoro, e qualcosa da dentro il nero pozzo attorciglia le sue braccia attorno al collo del cercatore in modo tale che la ricerca viene abbandonata e si va a chiamare un sacerdote.

Ogni notte, dopo quel fatto, lo scopritore avverte una presenza nascosta e sente un terribile odore di muffa fuori della porta della sua camera d'albergo finché, in ultimo, il sacerdote ricolloca la pietra sulla bocca del nascondiglio del tesoro nel pozzo... da cui era uscito qualcosa per vendicarsi di chi aveva osato violare l'oro del vecchio abate Thomas.

Mentre completa il suo lavoro, l'ecclesiastico nota una strana incisione a forma di rospo sulla parte superiore del pozzo con il motto latino «Depositum custodi», cioè: «Custodisci ciò che ti viene affidato».

Altri discreti racconti di James sono The Stalls of The Barchester Cathedral, in cui una scultura prende stranamente vita per vendicare il misterioso assassinio di un vecchio diacono fatta da uno che ambisce a succedergli; Whistle, and I'll Come to You, che narra dell'orrore suscitato da un misterioso fischietto di metallo, rinvenuto nelle rovine di una chiesa medievale; e An Episode of a Cathedral History, dove la demolizione di un pulpito porta alla luce una antica tomba dalla quale un demone che vi è nascosto diffonde panico e pestilenza. James, con il suo tocco leggero, sa evocare spavento e orrore nella forma più impressionante, per cui resterà certamente uno dei pochi veri maestri nel campo dell'Orrore.

Per quanti amano indagare nel futuro, il racconto dell'Orrore Soprannaturale offre uno sviluppo interessante. Avversato da una grossa ondata di incalzante realismo, cinica disinvoltura e sofisticata disillusione, è tuttavia incoraggiato da una uguale e contraria ondata di crescente misticismo, sviluppatosi sia tramite la sofferta reazione degli

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"occultisti" e dei rigidi osservanti della religione protestante contro le scoperte materialistiche, sia per mezzo di prodigi e fantasie derivate da visioni più ampie e dai confini superati che ci ha fornito la scienza moderna con la sua chimica atomica, l'astrofisica in costante progresso, la dottrina della relatività, e le ricerche nella biologia e nel pensiero.

Allo stato attuale, i pareri favorevoli sembrano avere un certo sopravvento, e infatti vi è indubbiamente maggior consenso verso gli scritti dell'Orrore che non quando, trent'anni fa, il meglio di Arthur Machen dovette lottare contro il muro di pietra costituito dagli Anni Novanta, fatto di severità e presunzione. Ambrose Bierce, quasi sconosciuto al suoi tempi, ha ottenuto oggi un riconoscimento pressoché unanime.

Comunque, non è dato di riscontrare mutamenti importanti né in una direzione né nell'altra e, se da un lato possiamo giustamente prevedere un ulteriore perfezionamento della tecnica, non abbiamo certo motivo di pensare che verrà mutata la collocazione dell'Orrore nell'ambito della letteratura. È una branca limitata, anche se essenziale, dell'e -spressione umana e, ora come sempre, incontrerà il favore di un pubblico ristretto, dotato di una sensibilità tanto speciale quanto acuta.

Qualunque futuro, eventuale, grande capolavoro, basato sui fantasmi e sull'Orrore, se piacerà ai lettori lo dovrà più all'abilità non certo di poco conto di chi lo scriverà, piuttosto che al tema di per sé. Eppure, chi può affermare che l'elemento orrorifico sia un fatto negativo? La Coppa dei Tolomei, di splendente bellezza, venne scolpita nell'onice.