L'origine dell'uomo nella Rift Valley -...

4
La Rift Valley è un grande solco, creato circa otto milioni di anni fa da intensi sommovimenti tettonici, che taglia l'Africa orientale da nord a sud. Le modificazioni del paesaggio e la formazione di barriere montuose divisero in due una popola- zione di antenati della stirpe umana. La popolazione occiden- tale si adattò all'ambiente di foresta e diede origine al nostro più vicino parente, lo scimpanzé, mentre quella orientale si evolvette nella savana e finì col dare origine al genere Homo. L'origine dell'uomo nella Rift Valley La formazione della Rifi Valley in Africa fu probabilmente l'evento chiave che promosse la divergenza evolutiva degli ominidi dalle altre scimmie antropomorfe, ponendo i presupposti per la comparsa della specie umana di Yves Coppens La L a specie umana può essere imm- ginata come uno dei rami di un immenso albero della vita, un al- bero che si sviluppa incessantemente da quattro miliardi di anni, diversificandosi sempre più. Da un punto di vista evoluti- vo, è importante individuare cronologi- camente e spazialmente il punto che se- gna la separazione del ramo umano dal resto dell'albero. E precisamente a que- sto problema il presente articolo tenta di dare una risposta. Quando, dove e per- ché il ramo che ha condotto fino al- l'umanità moderna - il genere Homo - si è separato da quello che ha condotto fino allo scimpanzé (genere Pan), il nostro parente più prossimo? Dato che questa separazione sembra essere avvenuta pa- recchi milioni di anni prima della com- parsa di Homo propriamente detto, è an- che necessario affrontare il problema dell'esatta origine del nostro genere. Quando, dove e perché Homo fece la sua comparsa in seno a una famiglia, quella degli ominidi, che era ben inserita nel proprio ecosistema e pertanto ben adatta- ta al proprio ambiente? Mi resi conto per la prima volta che queste domande avrebbero potuto tro- vare risposta nel 1981, in occasione di una conferenza internazionale organiz- zata a Parigi dall'UNESCO per cele- brare il centenario della nascita di Pier- re Teilhard de Chardin. Tema del mio intervento erano i lavori prettamente scientifici dell'eminente paleontologo e filosofo francese. Si tratta di un a- spetto dell'opera di Padre Teilhard che viene sovente dimenticato dai biografi, i quali si interessano prevalentemente ai suoi testi filosofici; tuttavia, nel cor- so di 40 anni di attività, egli produsse oltre 250 memorie scientifiche. La sua opera comprende articoli sulla geologia strutturale di Jersey, della Somalia, del- l'Etiopia e della Cina; sui mammiferi europei del Paleocene e dell'Eocene; sui mammiferi del Terziario e del Qua- ternario dell'Estremo Oriente; sui fos- sili umani della Cina e di Giava; sugli australopiteci (una forma preumana, ap- partenente agli ominidi, ma distinta da Homo) dell'Africa meridionale; e an- che sugli utensili paleolitici e neolitici di tutte queste regioni. Un membro del pubblico, che allora non conoscevo, venne da me dopo che ebbi concluso il mio intervento e si con- gratulò molto amabilmente, ammetten- do di non essere al corrente di questo aspetto tecnico dell'opera di Padre Teilhard. Mi pose parecchie domande sulla scienza dell'evoluzione di cui mi occupavo e sul suo stato attuale, e con- cluse la nostra breve conversazione con una domanda precisa: esiste una que- stione importante che viene ancora di- battuta in questo campo? Risposi che, in effetti, sussisteva un problema di cronologia, come accade spesso per le scienze storiche. I biochi- mici, basandosi sulla grande somiglianza molecolare fra uomo e scimpanzé, pon- gono l'inizio della divergenza di questi due gruppi a circa tre milioni di anni fa; questa disciplina assegna anche all'uma- nità un'origine esclusivamente africana. Al contrario, la paleontologia fa risalire la divergenza addirittura a 15 milioni di anni fa; molti paleontologi postulano an- che un'evoluzione multiregionale, con punti di origine sia nell'Asia meridionale sia in Africa. Il mio interlocutore parve interessato, mi ringraziò e se ne andò. Qualche me- se più tardi ricevetti una lettera di invito a una conferenza che egli proponeva di tenere a Roma nel maggio 1982. L'uo- mo che avevo conosciuto a Parigi era niente meno che Carlos Chagas, il pre- sidente della Pontificia accademia delle scienze! In cerca di soggetti attuali di discussione scientifica che presentasse- ro nel contempo importanti implicazio- ni di carattere filosofico, egli aveva ri- flettuto sulle mie parole e aveva deciso di organizzare, sotto l'egida dell'acca- demia, un confronto fra paleontologi e biochimici. Il convegno romano si svolse senza troppa pompa, ma la sua influenza sul pensiero scientifico doveva rivelarsi considerevole. Ai partecipanti furono presentati due fatti di primaria impor- tanza: uno di interesse paleontologico e uno di competenza dei biochimici. Il primo fu l'annuncio, da parte di David Pilbeam, professore di paleontologia al- la Harvard University, della scoperta, compiuta dal suo gruppo di ricerca, del- le prime ossa facciali note di un ramapi- tecide nei livelli del Miocene superiore dell'altopiano di Potwar, in Pakistan. La struttura ossea del reperto assomi- glia molto di più a quella di un orangu- tan che non a quella di uno scimpanzé. I dati di Pilbeam si rivelarono particolar- mente importanti perché da molti anni i ramapitecidi venivano considerati da alcuni paleoantropologi come i primis- simi membri della stirpe umana. Il secondo fatto fu presentato da Je- rold M. Lowenstein dell'Università del- la California a San Francisco e riguar- dava la scoperta di proteine ancora atti- ve nel materiale dentale di un ramapite- cide. Egli aveva compiuto questa osser- vazione inoculando un estratto ottenuto dai denti di ramapitecide in un coniglio e individuando gli anticorpi che di con- seguenza si formavano. Lowenstein ri- ferì che questi anticorpi presentavano una reazione inequivocabile ad antigeni provenienti da orangutan, e ciò indicava con chiarezza che alcune delle proteine fossili erano ancora conservate e che il ramapitecide sembrava imparentato con l'attuale orangutan. Prima della scoperta di Pilbeam, gli scienziati avevano a disposizione solo alcuni denti e frammenti di mandibola di ramapitecide. Sebbene si trattasse di reperti senza dubbio interessanti, biso- gna tener presente che non tutte le ossa di uno scheletro hanno lo stesso valore informativo. Questi frammenti erano meno significativi che non la regione orbitaria e quella del naso e della ma- scella presenti nel nuovo reperto pachi- stano. I paleontologi utilizzano questi resti per stabilire confronti anatomici con fossili simili o coevi. Il semplice confronto fra la parte facciale di questo ramapitecide e quelle di un orangutan e di uno scimpanzé ha rivelato chiara- mente le somiglianze fra il ramapiteci- de e l'orangutan. Anziché confrontare i tratti anatomi- ci, i biochimici scendono nei dettagli, fino al livello molecolare, considerando il DNA, le proteine e le mappe cromo- somiche delle specie attuali, tutti ele- menti che di solito non si conservano integri nei fossili. Il loro lavoro aiuta i paleontologi a classificare le specie in ordine di complessità e a confrontarne le mappe genetiche. La progressione da semplice a complesso e la sequenza che ne deriva riproducono, in una certa mi- sura, l'evoluzione degli animali nella documentazione fossile. Nel caso del ramapitecide, comunque, la biochimica aveva consentito un balzo indietro nel tempo senza precedenti grazie all'esa- me di proteine fossili. Le circostanze si erano combinate in maniera tale da permetterci finalmente di collocare al posto appropriato il ra- mapitecide. Si sapeva già in precedenza che questo ominoide era eurasiatico, ma ora che era stata messa in luce la sua parentela con la grande scimmia antro- pomorfa dell'Asia, l'orangutan, il qua- dro geografico diventava chiaro. In ef- fetti, come spesso accade quando si tro- va la soluzione a un problema, tutto ap- pariva improvvisamente logico ed ele- mentare: come avevano sostenuto i bio- logi molecolari, la culla dell'umanità sembrava essere l'Africa, e solo l'Afri- ca. Il problema del luogo di nascita del- l'uomo sembrava pertanto avere trovato una soluzione definitiva. Ma la questione della collocazione cronologica di questa nascita doveva an- cora essere affrontata. Diversi paleonto- logi presenti al congresso continuavano a difendere a spada tratta la tesi della grande antichità degli ominidi, mentre i biologi molecolari sostenevano vicever- sa che la parte indipendente del ramo umano fosse straordinariamente breve. I più prodighi fra i paleontologi erano ar- rivati a Roma convinti che la storia del- la stirpe umana si estendesse per 15 mi- lioni di anni; i più radicali fra i biologi molecolari le attribuivano risolutamente una durata non superiore a tre milioni di anni. Dopo aver considerato con la mas- sima serietà l'intera questione, le due parti si dissero d'accordo che la cifra di sette milioni e mezzo di anni era una buona valutazione. Da parte mia, diedi a questa conclusione il nome di «compro- messo preistorico». I due risultati paleontologici e bio- 70 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 71

Transcript of L'origine dell'uomo nella Rift Valley -...

La Rift Valley è un grande solco, creato circa otto milioni dianni fa da intensi sommovimenti tettonici, che taglia l'Africaorientale da nord a sud. Le modificazioni del paesaggio e laformazione di barriere montuose divisero in due una popola-

zione di antenati della stirpe umana. La popolazione occiden-tale si adattò all'ambiente di foresta e diede origine al nostropiù vicino parente, lo scimpanzé, mentre quella orientale sievolvette nella savana e finì col dare origine al genere Homo.

L'origine dell'uomonella Rift Valley

La formazione della Rifi Valley in Africa fu probabilmente l'evento chiaveche promosse la divergenza evolutiva degli ominidi dalle altre scimmieantropomorfe, ponendo i presupposti per la comparsa della specie umana

di Yves Coppens

LaL aspecie umana può essere imm-

ginata come uno dei rami di unimmenso albero della vita, un al-

bero che si sviluppa incessantemente daquattro miliardi di anni, diversificandosisempre più. Da un punto di vista evoluti-vo, è importante individuare cronologi-camente e spazialmente il punto che se-gna la separazione del ramo umano dalresto dell'albero. E precisamente a que-sto problema il presente articolo tenta didare una risposta. Quando, dove e per-ché il ramo che ha condotto fino al-l'umanità moderna - il genere Homo - siè separato da quello che ha condotto finoallo scimpanzé (genere Pan), il nostroparente più prossimo? Dato che questaseparazione sembra essere avvenuta pa-recchi milioni di anni prima della com-parsa di Homo propriamente detto, è an-che necessario affrontare il problemadell'esatta origine del nostro genere.Quando, dove e perché Homo fece la suacomparsa in seno a una famiglia, quelladegli ominidi, che era ben inserita nelproprio ecosistema e pertanto ben adatta-ta al proprio ambiente?

Mi resi conto per la prima volta chequeste domande avrebbero potuto tro-vare risposta nel 1981, in occasione diuna conferenza internazionale organiz-zata a Parigi dall'UNESCO per cele-brare il centenario della nascita di Pier-re Teilhard de Chardin. Tema del miointervento erano i lavori prettamentescientifici dell'eminente paleontologoe filosofo francese. Si tratta di un a-spetto dell'opera di Padre Teilhard cheviene sovente dimenticato dai biografi,i quali si interessano prevalentementeai suoi testi filosofici; tuttavia, nel cor-so di 40 anni di attività, egli produsseoltre 250 memorie scientifiche. La suaopera comprende articoli sulla geologiastrutturale di Jersey, della Somalia, del-l'Etiopia e della Cina; sui mammiferieuropei del Paleocene e dell'Eocene;

sui mammiferi del Terziario e del Qua-ternario dell'Estremo Oriente; sui fos-sili umani della Cina e di Giava; sugliaustralopiteci (una forma preumana, ap-partenente agli ominidi, ma distinta daHomo) dell'Africa meridionale; e an-che sugli utensili paleolitici e neoliticidi tutte queste regioni.

Un membro del pubblico, che alloranon conoscevo, venne da me dopo cheebbi concluso il mio intervento e si con-gratulò molto amabilmente, ammetten-do di non essere al corrente di questoaspetto tecnico dell'opera di PadreTeilhard. Mi pose parecchie domandesulla scienza dell'evoluzione di cui mioccupavo e sul suo stato attuale, e con-cluse la nostra breve conversazione conuna domanda precisa: esiste una que-stione importante che viene ancora di-battuta in questo campo?

Risposi che, in effetti, sussisteva unproblema di cronologia, come accadespesso per le scienze storiche. I biochi-mici, basandosi sulla grande somiglianzamolecolare fra uomo e scimpanzé, pon-gono l'inizio della divergenza di questidue gruppi a circa tre milioni di anni fa;questa disciplina assegna anche all'uma-nità un'origine esclusivamente africana.Al contrario, la paleontologia fa risalirela divergenza addirittura a 15 milioni dianni fa; molti paleontologi postulano an-che un'evoluzione multiregionale, conpunti di origine sia nell'Asia meridionalesia in Africa.

Il mio interlocutore parve interessato,mi ringraziò e se ne andò. Qualche me-se più tardi ricevetti una lettera di invitoa una conferenza che egli proponeva ditenere a Roma nel maggio 1982. L'uo-mo che avevo conosciuto a Parigi eraniente meno che Carlos Chagas, il pre-sidente della Pontificia accademia dellescienze! In cerca di soggetti attuali didiscussione scientifica che presentasse-ro nel contempo importanti implicazio-

ni di carattere filosofico, egli aveva ri-flettuto sulle mie parole e aveva decisodi organizzare, sotto l'egida dell'acca-demia, un confronto fra paleontologi ebiochimici.

Il convegno romano si svolse senzatroppa pompa, ma la sua influenza sulpensiero scientifico doveva rivelarsiconsiderevole. Ai partecipanti furonopresentati due fatti di primaria impor-tanza: uno di interesse paleontologico euno di competenza dei biochimici. Ilprimo fu l'annuncio, da parte di DavidPilbeam, professore di paleontologia al-la Harvard University, della scoperta,compiuta dal suo gruppo di ricerca, del-le prime ossa facciali note di un ramapi-tecide nei livelli del Miocene superioredell'altopiano di Potwar, in Pakistan.La struttura ossea del reperto assomi-glia molto di più a quella di un orangu-tan che non a quella di uno scimpanzé. Idati di Pilbeam si rivelarono particolar-mente importanti perché da molti anni iramapitecidi venivano considerati daalcuni paleoantropologi come i primis-simi membri della stirpe umana.

Il secondo fatto fu presentato da Je-rold M. Lowenstein dell'Università del-la California a San Francisco e riguar-dava la scoperta di proteine ancora atti-ve nel materiale dentale di un ramapite-cide. Egli aveva compiuto questa osser-vazione inoculando un estratto ottenutodai denti di ramapitecide in un coniglioe individuando gli anticorpi che di con-seguenza si formavano. Lowenstein ri-ferì che questi anticorpi presentavanouna reazione inequivocabile ad antigeniprovenienti da orangutan, e ciò indicavacon chiarezza che alcune delle proteinefossili erano ancora conservate e che ilramapitecide sembrava imparentato conl'attuale orangutan.

Prima della scoperta di Pilbeam, gliscienziati avevano a disposizione soloalcuni denti e frammenti di mandibola

di ramapitecide. Sebbene si trattasse direperti senza dubbio interessanti, biso-gna tener presente che non tutte le ossadi uno scheletro hanno lo stesso valoreinformativo. Questi frammenti eranomeno significativi che non la regioneorbitaria e quella del naso e della ma-scella presenti nel nuovo reperto pachi-stano. I paleontologi utilizzano questiresti per stabilire confronti anatomicicon fossili simili o coevi. Il sempliceconfronto fra la parte facciale di questoramapitecide e quelle di un orangutan edi uno scimpanzé ha rivelato chiara-mente le somiglianze fra il ramapiteci-de e l'orangutan.

Anziché confrontare i tratti anatomi-ci, i biochimici scendono nei dettagli,fino al livello molecolare, considerandoil DNA, le proteine e le mappe cromo-somiche delle specie attuali, tutti ele-menti che di solito non si conservanointegri nei fossili. Il loro lavoro aiuta ipaleontologi a classificare le specie inordine di complessità e a confrontarne

le mappe genetiche. La progressione dasemplice a complesso e la sequenza chene deriva riproducono, in una certa mi-sura, l'evoluzione degli animali nelladocumentazione fossile. Nel caso delramapitecide, comunque, la biochimicaaveva consentito un balzo indietro neltempo senza precedenti grazie all'esa-me di proteine fossili.

Le circostanze si erano combinate inmaniera tale da permetterci finalmentedi collocare al posto appropriato il ra-mapitecide. Si sapeva già in precedenzache questo ominoide era eurasiatico, maora che era stata messa in luce la suaparentela con la grande scimmia antro-pomorfa dell'Asia, l'orangutan, il qua-dro geografico diventava chiaro. In ef-fetti, come spesso accade quando si tro-va la soluzione a un problema, tutto ap-pariva improvvisamente logico ed ele-mentare: come avevano sostenuto i bio-logi molecolari, la culla dell'umanitàsembrava essere l'Africa, e solo l'Afri-ca. Il problema del luogo di nascita del-

l'uomo sembrava pertanto avere trovatouna soluzione definitiva.

Ma la questione della collocazionecronologica di questa nascita doveva an-cora essere affrontata. Diversi paleonto-logi presenti al congresso continuavanoa difendere a spada tratta la tesi dellagrande antichità degli ominidi, mentre ibiologi molecolari sostenevano vicever-sa che la parte indipendente del ramoumano fosse straordinariamente breve. Ipiù prodighi fra i paleontologi erano ar-rivati a Roma convinti che la storia del-la stirpe umana si estendesse per 15 mi-lioni di anni; i più radicali fra i biologimolecolari le attribuivano risolutamenteuna durata non superiore a tre milioni dianni. Dopo aver considerato con la mas-sima serietà l'intera questione, le dueparti si dissero d'accordo che la cifra disette milioni e mezzo di anni era unabuona valutazione. Da parte mia, diedi aquesta conclusione il nome di «compro-messo preistorico».

I due risultati paleontologici e bio-

70 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994

LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 71

La sequenza del fiume Orno

DeinotheriumAntenato comune di Pan e Homo

Hippopotamus Struzionidi Giraffidi

Crocodilus Gomphotherium Hipparion

TARDO MIOCENE CIRCA OTTO MILIONI DI ANNI FA

Gazella

Giraffa

Ippopotamidi Australopithecus

Deinotherium

Ceratotherium

lenidi Nyanzachoerus Hipparion

Macairodontini

CIRCA SEI MILIONI DI ANNI FA

LOTHAGAMIANO INFERIORE (PLIOCENE INFERIORE)

CINQUE MILIONI DI ANNI FA

La vegetazione e il clima ai due lati della Rift Valley sono radicalmente diversi: le fo-reste umide che predominano a occidente (in verde scuro) lasciano il passo a pianu-re erbose a oriente (in giallo). Come riflesso di queste differenze ecologiche, che si in-staurarono milioni di anni fa, la distribuzione dello scimpanzé (puntini) è limitata allato occidentale, mentre i fossili di ominidi si trovano solo a oriente (tratteggio).

Il confronto di tre crani di ominoidi mette in luce le affinità fradue di essi. Il fossile di ramapitecide ritrovato in Pakistan (alcentro) presenta una somiglianza molto più marcata con uncranio di orangutan, grande scimmia antropomorfa asiatica (a

sinistra), che non con quello di scimpanzé africano (a destra).In effetti, è stato proprio questo confronto a indurre i paleon-tologi a escludere i ramapitecidi eurasiatici dalla genealogiaumana e a concentrarsi su un'origine esclusivamente africana.

chimici del convegno di Roma non fu-rono le sole scoperte cruciali a esserecompiute all'inizio degli anni ottanta;un'altra serie di dati contribuì ad ap-profondire la nostra conoscenza delleorigini umane. Vent'anni di scavi inAfrica orientale (fra il 1960 e il 1980)avevano fruttato una massa di informa-zioni che potevano essere esaminate al-la ricerca di sequenze e andamenti evo-lutivi. L'enorme mole di reperti non eramai stata analizzata in questo modoperché occorre molto tempo per studia-re e identificare i fossili; tuttavia le sue

implicazioni erano vaste, soprattutto seconsiderate insieme con le informazionifornite dai resti di ramapitecide e con ilcompromesso cronologico ottenuto direcente.

In realtà i paleoantropologi lavorava-no in Africa orientale già da molti an-ni. Nel 1935 la spedizione di Louis Lea-key alla gola di Olduvai in Tanzaniascoprì resti attribuiti a Homo erectus.Nel 1939 il gruppo tedesco di LudwigKohl-Larsen trovò fossili del cosiddet-to Praeanthropus africanus - più tardiconsiderato un Australopithecus - pres-

so il Lago Garusi (un'area meglio cono-sciuta col nome di Laetoli) in Tanzania.Nel 1955 un'altra spedizione a Olduvaiguidata da Leakey rivelò un singolodente di australopiteco. Tuttavia questemodeste scoperte non suscitarono unparticolare interesse.

u solo negli anni sessanta che ilmondo scientifico cominciò a guar-

dare con estrema attenzione all'Africaorientale. Nel 1959 Mary Leakey avevatrovato a Olduvai un cranio di australo-piteco completo di tutti i denti superio-ri. Il reperto poteva essere datato conestrema sicurezza a circa due milioni dianni fa grazie al tufo vulcanico dal qua-le era stato ricoperto e sigillato. Il nuo-vo ominide fu chiamato Zinjanthropus:si trattava di una specie bipede dal cer-vello di piccole dimensioni, che giun-se all'estinzione circa un milione di an-ni fa. Dopo questo significativo ritrova-mento le spedizioni cominciarono a in-fittirsi: per i primi 12 anni, arrivò unnuovo gruppo ogni anno, e tutti effet-tuarono dalle 10 alle 20 stagioni di sca-vo. Gli sforzi profusi in questa regioneda paleontologi e paleoantropologi nonavevano precedenti.

I risultati furono pari alle aspettative.Vennero scoperte centinaia di migliaiadi fossili, circa 2000 dei quali relativi aominidi. Nonostante l'assiduo lavoro dipreparazione, analisi e identificazionecompiuto sui resti fin dal momento incui venivano dissotterrati, è comprensi-bile che il primo repertorio completo diqueste migliaia di rinvenimenti non po-tesse essere pubblicato fino agli anni ot-tanta. Furono proprio queste nuove in-formazioni, unite ai dati presentati aRoma, a rivelarsi essenziali per la solu-zione del mistero.

Ciò che emerse con la massima chia-rezza fu che, all'epoca degli australopi-teci, in Africa orientale non vi era asso-lutamente alcuna traccia del generePan, o di uno dei suoi antenati diretti.La biologia molecolare, la biochimica ela citogenetica dimostravano l'estremasomiglianza molecolare dell'uomo e

dello scimpanzé, il che significava, intermini evolutivi, che essi avevano avu-to un antenato comune in epoca geolo-gicamente parlando non molto remota.Le ricerche sul campo avevano appenarivelato che gli ominidi erano presentiin Etiopia, Kenya e Tanzania già sette--otto milioni di anni fa. In questo stessoperiodo, però, nella regione non vi erala minima traccia di panidi: nessun pre-cursore né dello scimpanzé né del goril-la. Anche se non si può basare un'ipote-si sulla mancanza di prove, l'assenza dipanidi in una zona dove viceversa gliominidi erano abbondanti era abbastan-za sorprendente da spingere alla rifles-sione, tanto più che i 200 000-250 000fossili di vertebrati che erano stati rin-venuti rappresentavano una base stati-stica senza dubbio rispettabile.

Avevo già riflettuto su questo rompi-capo durante la conferenza di Roma.Una spiegazione molto semplice mi fuispirata dalla consultazione di un atlan-

te della distribuzione dei vertebrati. Daquesto appariva a un primo sguardo chegli scimpanzé e i gorilla occupano unterritorio assai vasto, che include tuttele foreste dell'Africa equatoriale, ma ladistribuzione di questi animali si arre-sta bruscamente in corrispondenza delgrande solco che decorre da nord a sudperpendicolarmente all'equatore: la RiftValley. Tutti i siti con ominidi datati apiù di tre milioni di anni fa sono statiscoperti, senza alcuna eccezione, sul la-to orientale di questo solco. Vi era solouna spiegazione del perché ominidi epanidi fossero simili dal punto di vistamolecolare, ma non comparissero maiinsieme nella documentazione fossile:questi due gruppi non abitarono mai ne-gli stessi territori.

Proposi dunque il modello seguente.Prima che i rami evolutivi degli omini-di e dei panidi si separassero, la RiftValley non costituiva una discontinuitàabbastanza marcata da dividere in due

parti nettamente distinte l'Africa equa-toriale. Dall'Oceano Atlantico all'In-diano, il continente africano era unaprovincia biogeografica omogenea incui vivevano gli antenati comuni deifuturi ominidi e panidi. Poi, circa ottomilioni di anni fa, ebbe inizio una crisitettonica che comportava due movi-menti distinti: l'abbassamento del fon-do della Rift Valley e l'innalzamentodella catena montuosa che forma ilmargine occidentale della valle.

Questi fenomeni tettonici dovetteroavere una profonda influenza anche sul-la circolazione atmosferica. A occiden-te le masse d'aria umida provenientidall'Atlantico davano origine a precipi-tazioni abbondanti per tutto l'anno; aoriente invece si andava organizzandoil sistema della circolazione monsonica,anche a causa del contemporaneo im-mane sollevamento dell'altopiano tibe-tano. Così la provincia biogeografica o-riginaria fu suddivisa in due parti carat-

72 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994

LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 73

Crocodilus Australopithecus Ceratotherium

Giraffa Hyaena

Ippotragini

Enhydriodon Macairodontini Lepus

Nyanzachoerus

Gomfoteriidi

CINQUE MILIONI DI ANNI FA

LOTHAGAMIANO SUPERIORE (PLIOCENE INFERIORE)

3,5 MILIONI DI ANNI FA

Mary e Louis Leakey intenti a esaminare il cranio e la mascella di Zinjanthropus aOlduvai, in Tanzania, nel 1959. La loro scoperta di un ominide fossile in questo sitoscatenò una vera «corsa alle ossa»: i paleontologi si precipitarono a frotte sul luogoe nei decenni successivi furono portate alla luce centinaia di migliaia di fossili.

Galago

Loxodonta A ustralopithecus Elephas

Giraffa Camelus

Suidi

Hyaena

Stegodon

Panthera

Kobus

Diceros

3,5 MILIONI DI ANNI FA

SHUNGURIANO INFERIORE (PLIOCENE SUPERIORE)

2,5 MILIONI DI ANNI FA

terizzate da clima e vegetazione profon-damente diversi: quella occidentale ri-mase umida e coperta di foreste, mentrequella orientale andò evolvendosi inuna savana aperta.

A causa di questi eventi anche la po-polazione dell'antenato comune degliominidi e dei panidi venne suddivisa inuna parte occidentale numerosa e unaorientale più ridotta. L'idea che questafosse, molto semplicemente, la causadella divergenza era davvero attraente. Idiscendenti occidentali di questi ante-nati comuni svilupparono adattamenti aun ambiente umido e arboreo, dandocosì origine ai panidi. I discendenti o-rientali di questi stessi antenati comuni,al contrario, adottarono un repertorio dicomportamenti totalmente nuovo per a-dattarsi alla vita in un ambiente aperto,formando in tal modo il gruppo degliominidi.

Questo semplice modello aveva ilvantaggio di spiegare perché ominidi epanidi siano così vicini in senso geneti-co, ma non in senso geografico; postu-lando modificazioni prima tettoniche epoi ecologiche, presentava una variantedella ben nota situazione evolutiva pre-sente sulle isole. Rispetto alle compli-cate teorie che ipotizzavano movimentidegli ominidi dalla foresta alla savana odei panidi in senso inverso, la teoriadella Rift Valley aveva il pregio di es-sere particolarmente lineare.

Solo in seguito, leggendo lavori digeofisica, appresi che la crisi tettonicadi otto milioni di anni fa nella Rift Val-ley era un fatto ben noto. Gli studi pa-leoclimatologici confermavano anche ilprogressivo inaridimento dell'Africa o-rientale proprio a partire da circa ottomilioni di anni fa. Un'ulteriore confer-ma veniva dalla paleontologia, che da-tava a 8-10 milioni di anni fa la com-parsa della fauna denominata «etiopi-ca», a cui appartengono gli australopite-ci. Ogni disciplina aveva familiarità conl'evento o con le sue conseguenze e a-veva stabilito una cronologia, ma nonera stato fatto fino a quel momento al-cun tentativo di sintesi interdisciplinare.

Alcuni anni prima Adrian Kortlandt, fa-moso etologo dell'Università di Am-sterdam, aveva pensato a uno scenarioanalogo, ma non disponeva del soste-gno di dati paleontologici.

Tutto ciò che mancava al modello eraun nome. Tre anni dopo fui invitato atenere una conferenza presso l'Ameri-can Museum of Natural History di NewYork e nello stesso tempo divenni visi-ting professor alla Mount Sinai Schoolof Medicine della City University ofNew York. Mi venne allora l'idea di da-re al modello un nome che fosse facileda ricordare e rendesse al tempo stessoomaggio ai miei ospiti. Decisi così dichiamarlo «East Side Story».

Dunque l'ipotesi che ho descritto puòforse rispondere alla prima serie di do-mande: quando, dove e perché il ramofiletico umano si separò da quello deipanidi. L'evento ebbe luogo otto milio-ni di anni fa in Africa orientale, in se-guito a una separazione geografica. Lanecessità di adattamento al nuovo am-biente della savana, più asciutto e piùspoglio del precedente, favorì una ulte-riore divergenza genetica.

La seconda serie di domande è più

complessa: quando, dove e perchéil genere Homo comparve in seno agliominidi? Gli ultimi otto milioni di anni,durante i quali si è sviluppato il ramoumano dell'albero evolutivo, si sono ri-velati più complicati di quanto si fosseimmaginato in precedenza. La storiacomincia con la diversificazione degliaustralopiteci, i quali andarono diffon-dendosi in un'area relativamente mode-sta, dall'Africa orientale all'Africa me-ridionale; continua poi, da circa tre mi-lioni di anni fa a oggi, con la comparsadel genere Homo, che dall'Africa orien-tale andò a occupare l'intero pianeta eche per circa due milioni di anni coesi-stette con gli ultimi australopiteci.

Questa storia evolutiva può essereosservata in una notevole serie di stratigeologici e di fossili scoperta lungo lerive del fiume Orno, in Etiopia, che te-stimonia come tre milioni di anni fa il

clima sia stato un formidabile agente dicambiamento.

La storia dell'Orno comincia all'ini-zio di questo secolo, quando una spedi-zione geografica francese guidata dalVisconte du Bourg de Bozas si proposedi attraversare l'Africa in diagonale, dalMar Rosso all'Atlantico. Partita da Gi-buti nel 1901, la spedizione venne fu-nestata dalla morte per malaria di duBourg de Bozas sulle rive del fiumeCongo. Il gruppo seguì tuttavia intera-mente l'itinerario previsto e riportò dalviaggio una ricca collezione di fossili.Fra questi si distingueva una serie di re-sti di vertebrati raccolti in quella che al-lora veniva chiamata Abissinia, e preci-samente sul fianco orientale della bassavalle dell'Orno, fiume che scorre a estdella Rift Valley.

Incuriosito da questo ricco ritrova-mento, che fu descritto in due o tre ar-ticoli e nel trattato di geologia di Emi-le Haug, pubblicato nel 1911, CamilleArambourg decise, all'inizio degli annitrenta, di condurre una nuova spedizio-ne. Nel 1932 Arambourg, che in seguitosarebbe diventato professore di paleon-tologia al Musée National d'HistoireNaturelle di Parigi, raggiunse l'Orno evi rimase per otto mesi. Quando tornò aParigi, recava con sé quattro tonnellatedi fossili di vertebrati.

La successiva grande operazione -denominata Orno Research Expedition- fu intrapresa fra il 1967 e il 1977 e fuin parte stimolata dalla «corsa alle os-sa» degli anni sessanta e settanta, citatain precedenza, che aveva fatto seguitoalla scoperta del 1959 compiuta a Oldu-vai da Mary Leakey. Questa spedizionedecennale fu condotta in più fasi da tut-ta una serie di ricercatori. Nel 1967Arambourg e io lavorammo sul sito in-sieme con Louis e Richard Leakey eFrancis Clark Howell. Fra il 1968 e il1969 Richard Leakey lasciò la spedi-zione e Arambourg, Howell e io conti-nuammo il lavoro. Infine, dal 1970 al1976, Howell e io proseguimmo da solile nostre ricerche (Arambourg era mor-to nel 1969).

Fin dalla primissima stagione di sca-vo la stratigrafia del sito apparve constraordinaria evidenza: una magnificacolonna di sedimenti di oltre 1000 metridi spessore. La fauna contenuta in que-sti strati sembrava variare in manieracosì netta passando dalla base alla som-mità da far capire già a prima vista cheil sito poteva gettare luce su una lungastoria evolutiva. Quando infine si reserodisponibili i metodi di datazione palco-magnetici e il metodo di datazione po-tassio-argo, fu possibile definire crono-logicamente la sequenza, e la storia e-volutiva in corrispondenza di questo si-to divenne ben chiara.

Fra quattro milioni di anni fa (l'etàdel più antico livello dell'Orno, la for-mazione di Mursi) e un milione di annifa (l'età del livello più recente, la som-mità della formazione di Shungura), ilclima si modificò divenendo nettamen-te meno umido. Come conseguenza, lavegetazione si evolvette, e si passò dapiante adattate a condizioni umide apiante capaci di prosperare in un climapiù secco. Anche la fauna si modificò,da una adatta a condizioni di macchiafolta a una caratteristica di savane er-bose. Negli ominidi, soggetti come tuttigli altri vertebrati a queste fluttuazioniclimatiche, si assistette alla transizionedai cosiddetti australopiteci gracili agliaustralopiteci robusti e, infine, a rap-presentanti del genere Homo propria-mente detto.

Nel 1975 presentai alla comunità pa-leontologica internazionale, con una no-ta nei «Comptes Rendus» dell'Accade-mia delle scienze francese e una comu-nicazione a un congresso della RoyalGeological Society a Londra, la chiaracorrelazione tra modificazione del climaed evoluzione degli ominidi. L'acco-glienza fu alquanto scettica.

Di tutti i grandi siti paleontologicidell'Africa orientale, gli strati dell'Ornoerano gli unici a permettere simili os-servazioni. Solo questo sito presentavainfatti una colonna sedimentaria privadi interruzioni che andava da quattromilioni a un milione di anni fa. Esatta-

mente fra tre e due milioni di anni fa, oper essere precisi fra 3,3 e 2,4 milioni dianni fa, si ebbe un raffreddamento a li-vello globale, documentato da indaginicondotte in siti di tutto il mondo e coin-cidente con il volgere dell'Africa orien-tale a condizioni di clima secco. (Sfor-tunatamente i siti di Laetoli e Hadar so-no troppo antichi, Olduvai è troppo re-cente ed East Turkana presenta una la-cuna stratigrafica proprio in corrispon-denza di questi eventi, sicché da tuttiquesti siti risulta impossibile ottenereuna conferma.)

Questa crisi climatica è ben evidentenella fauna e nella flora fossili della se-quenza stratigrafica dell'Omo. Classifi-cando sia qualitativamente sia quantita-

tivamente i resti degli animali e dellepiante raccolti nei vari livelli, possiamointerpretare le differenze in relazione acambiamenti ambientali.

Sappiamo, per esempio, che negli er-bivori i premolari e i molari hanno latendenza a svilupparsi e a divenire piùcomplessi via via che la dieta si modi-fica, includendo una quantità maggioredi erbe e una minore di foglie. Questocambiamento si verifica in risposta alfatto che i fusti delle graminacee usura-no maggiormente i denti che non le fo-glie. Sappiamo anche che la locomozio-ne degli erbivori tende a essere più digi-tigrada negli ambienti aperti, dove que-sti animali sono vulnerabili: si tratta in-fatti di un adattamento in grado di favo-

74 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994

LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 75

tx(",-Deinotherium

Homotherium

•••Ik tv

.5tflDamaliscus Diceros Giraffa

Lepus Phacochoerus

Dinofelis

Hipparion Equus

4

Australopithecus

Hyaena

Panthera

Loxodonta

2,5 MILIONI DI ANNI FA

SHUNGURIANO SUPERIORE (PLIOCENE SUPERIORE)

1,8 MILIONI DI ANNI FA

Giraffa

Damaliscus Phacochoerus

Camelus Equus Deinotherium

Panthera leo

4 oElephas

Kobus Lepus

Panthera pardus Galago

Homo Ceratothenum

1,8 MILIONI DI ANNI FA

PLEISTOCENE

UN MILIONE DI ANNI FA

La genealogia umana ha inizio circa otto milioni di anni fa, con la divergenza da unantenato comune del ramo degli australopiteci e di quello degli scimpanzé. Gli au-stralopiteci costituiscono un gruppo complesso e la classificazione dei membri di ta-le gruppo è tuttora oggetto di dibattito fra i paleoantropologi. Per quanto riguardale forme che compaiono in questo albero genealogico, il termine non ortodosso«pre-Australopithecus» descrive gli ominidi più arcaici; viene poi Australopithecus,le cui forme caratterizzate da struttura più robusta sono chiamate Paranthropus.

Australo-pithecusrobustus

TARDO MIOCENE

7

PLEISTOCENE

16 2 o5 4 3MILIONI DI ANNI FA

PLIOCENE

ANTENATOCOMUNE

Homohabilis

8

Pre-Australopithecus

afarensis

rire la corsa. Anche certi caratteri ana-tomici che corrispondono a precise fun-zioni possono essere buoni indicatori:un esempio è la struttura delle zampe dialcuni roditori arboricoli o di quelliadattati a scavare nel terreno. In questistudi si utilizza, con la dovuta circospe-zione, il metodo cosiddetto attualista,secondo il quale si possono applicare ad

animali e piante del passato le osserva-zioni che vengono fatte sui loro discen-denti attuali.

Molti esempi indicano questa transi-zione a un ambiente più secco, e la loroconcordanza è davvero straordinaria. Amano a mano che si passa dagli stratipiù antichi a quelli più recenti, si assistealla comparsa di una dentatura ipsodon-

te - ossia all'aumento dell'altezza dellacorona dei denti rispetto alla larghezza -negli elefantidi (rappresentati da elefantisimili a quelli asiatici attuali), nei rino-cerontidi (specificamente il rinocerontebianco), negli Hipparion (antenati delcavallo), negli ippopotamidi (precursoridell'ippopotamo) e in alcuni suini e an-tilopi. In altri termini, questi gruppi ma-

nifestano quella crescente complessitàdella dentatura che associamo comune-mente a un cambiamento da una dietaricca di foglie a una ricca di graminacee.Negli antenati dei suini si osserva ancheun graduale aumento del numero di cu-spidi dei molari.

Negli strati inferiori si trovano molteantilopi, fra cui i tragelafini e i redunci-ni, che vivono abitualmente al riparo frai cespugli; la presenza di questi animalicorrisponde a un ambiente di savanaboscosa in prossimità di corsi d'acqua.Nei livelli superiori della sequenza fa lasua comparsa il cavallo (Equus), insie-me con facoceri caratterizzati dalla den-tatura ipsodonte, Phacochoerus e Stylo-choerus. Si può osservare anche la dif-fusione di antilopi particolarmente ve-loci nella corsa, Megalotragus, Beatra-gus e Parmularius, tutti animali che perla loro struttura sono ben adattati a vi-vere nelle praterie aperte.

Sempre negli strati inferiori trovia-mo, fra gli animali la cui presenza indi-ca condizioni di foresta e savana densa,tre specie di piccole scimmie del gene-re Galago e due chirotteri, Eidolon eTaphozous. La stessa conclusione èconfermata dal gran numero di fossilidi muridi, come Mastomys, e dai rodi-tori Grammomys, Paraxerus, Thryo-nomys e Golunda. Tutte queste formesono sostituite negli strati superiori daanimali tipici della savana asciutta,quali i roditori Aethomys, Thallomys,Coleura e Gerbillurus in congiunzionecon Jaculus e Heterocephalus, i chirot-teri e la lepre (Lepus).

I campioni di polline degli strati infe-riori indicano 24 taxa di alberi, mentregli strati superiori sono caratterizzati da11 taxa. In basso, il rapporto fra pollinedi specie arboree e polline di gramina-cee è pari a 0,4 ma alla sommità è infe-riore a 0,01. Negli strati più antichi so-no abbondanti i pollini di specie checrescono in condizioni umide, fra cuiCeltis, Acalypha, Olea e Typha. Neglistrati più recenti, tuttavia, questi polli-ni diminuiscono notevolmente, o scom-paiono addirittura del tutto dalla docu-

mentazione fossile, mentre fanno la lo-ro comparsa i pollini del genere Myrica,tipico di climi asciutti. La percentualedi polline alloctono, trasportato dal ven-to, si riduce dal 21 per cento degli stratiinferiori, quando il margine della fore-sta era vicino al corso dell'Omo, al 2per cento degli strati superiori, quandoil fiume era basso e il margine della fo-resta molto lontano da esso.

Il quadro relativo agli ominidi è si-mile. Negli strati inferiori della sequen-za gli ominidi sono chiaramente rap-presentati da Australopithecus afaren-sis, ma quelli superiori rivelano la pre-senza di A. aethiopicus, A. boisei e Ho-mo habilis. Gli australopiteci più anti-chi, quelli cosiddetti gracili, sono me-glio adattati ad ambienti boscosi diquanto non siano le specie più recenti,cosiddette robuste. Quanto a Homo,non c'è dubbio che sia un prodotto dicondizioni relativamente aride.

Mi piace definire questa crisi climati-ca «evento (H)Omo», dal momento cheessa pose le condizioni per l'emergeredel genere umano, e in quanto fu la se-quenza stratigrafica dell'Orno a consen-tire l'individuazione della crisi stessa.Alcuni anni più tardi osservazioni di ca-rattere analogo vennero effettuate anchein Sudafrica.

Appare dunque chiarissimo che la

storia della stirpe umana comin-ciò da un singolo evento, di origine tet-tonica, e proseguì sotto la pressione diun secondo evento, questa volta di tipoclimatico.

Queste fasi evolutive non possonoche essere appena accennate nel pre-sente articolo. Essenzialmente l'adat-tamento più antico comportò una mo-dificazione della struttura del cervello,ma non un suo aumento di volume, co-me indica l'interpretazione dei calchiinterni di crani fossili proposta daRalph L. Holloway della Columbia Uni-versity. Nello stesso tempo si affermòla posizione eretta, come più vantag-giosa, e la dieta si fece più varia e di-versificata, pur mantenendosi fonda-

mentalmente vegetariana. L'adattamen-to più recente operò in due direzionicompletamente diverse: una struttura fi-sica robusta e una dieta vegetariana ri-stretta e specializzata per i grandi au-stralopiteci; un cervello grande e unadieta diversificata e opportunistica perquanto riguarda l'uomo.

Alcune centinaia di migliaia di annidopo, fu quest'ultima innovazione a di-mostrarsi la più fruttuosa e infine a pre-valere. Il possesso di un cervello di di-mensioni maggiori implicava una piùaccentuata capacità di riflessione, unanuova curiosità. Alla necessità di pro-curarsi carne si accompagnò una mag-giore mobilità. Per la prima volta nellastoria degli ominidi, si assistette a unadiffusione al di fuori del luogo di origi-ne; e questa mobilità è la caratteristicagrazie alla quale, in meno di tre milionidi anni, l'umanità ha conquistato la Ter-ra e ha addirittura, con lo sbarco sullaLuna, iniziato l'esplorazione di altrimondi del sistema solare.

BIBLIOGRAFIA

COPPENS YVES, Evolution des Homi-nidés et de Leur Environnement auCours du Plio-Pléistocène dans la Bas-se Vallée de L'Orno en Ethiopie in«Comptes Rendus Hebdomadaires desSéances de l'Académie des Sciences»,281, serie D, 3 dicembre 1975.

COPPENS YVES, HOWELL F. CLARK,ISAAC GLYNN LL. e LEAKEY RICHARD E.F. (a cura), Earliest Man and Environ-ments in the Lake Rudolf Basin: Stra-tigraphy, Paleoecology and Evolution,University of Chicago Press, 1976.

CHAGAS CARLOS (a cura), RecentAdvances in the Evolution of Prima-tes, Pontificia Academia Scientiarum,1983.

L 'Environnement des Hominidés auPlio-Pléistocène, a cura della FondationSinger-Polignac, Masson, Parigi, 1985.

76 LE SCIENZE n. 312, agosto 1994

LE SCIENZE n. 312, agosto 1994 77