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L’ORGANIZZAZIONE FLESSIBILE. LE RAGIONI DELLINNOVAZIONE ORGANIZZATIVA Leonello Tronti (Istat) Master DLPS – 25 febbraio 2016

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L’ORGANIZZAZIONE FLESSIBILE. LE RAGIONI DELL’INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA

Leonello Tronti (Istat)

Master DLPS – 25 febbraio 2016

Argomenti

• La produttività: cos’è e perché cresce • L’organizzazione flessibile • Analisi economica e organizzazione flessibile • La produzione snella • L’organizzazione che apprende • Un benchmark italiano • Gestire la conoscenza e le competenze • Reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro e

pratiche di lavoro ad alta performance (AP) 25/02/2016 Leonello G. Tronti 2

• È il rapporto tra: • i risultati del processo produttivo (output), • e il lavoro (e/o gli altri fattori di produzione, ad es.

capitale, materie prime, energia ecc.) (input).

• È una variabile fondamentale dell’economia: • è solo grazie all’aumento della produttività (attraverso la

divisione e specializzazione del lavoro, il progresso tecnico, l’innovazione di prodotto, di processo e organizzativa ecc.) che l’uomo riesce a contrastare i limiti allo sviluppo imposti dalla scarsità di risorse.

Cos’è la produttività?

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• La produttività si misura rapportando una misura dell’output di un processo produttivo alla misura di uno o più input utilizzati.

• Ad esempio (e in prima approssimazione), la produttività si misura: • Rapportando il prodotto fisico o il valore aggiunto a prezzi

costanti di un processo produttivo (ad esempio l’attività annuale di un’impresa) alle unità di lavoro in esso impiegate.

• A sua volta, le unità di lavoro si possono misurare in ‘teste’ (numero di persone occupate) o, meglio, in occupati equivalenti a tempo pieno (ula) o in ore lavorate.

Come si misura la produttività?

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Produttività oraria (1995-2012)

25/02/2016 Leonello G. Tronti 5 Fonte: Eurostat

• Nell’insieme, tra il 1995 e il 2014 la produttività oraria (per ora lavorata): • è cresciuta del 27% in Germania, • del 24% nella media dell’Eurozona, • e soltanto del 5,5% in Italia, ovvero meno di un quarto di

quanto accadeva nei paesi euro.

• Ricordiamo che, nello stesso periodo, il Pil italiano è cresciuto del 9% in Italia e del 27% nell’Eurozona.

• Come si lega la crescita della produttività a quella del prodotto?

In Italia la produttività ristagna dal 1995 ed è ferma dal 2000

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Perché cresce la produttività?

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• Quando esperti, politici e partner sociali parlano di produttività, la intendono quasi sempre • come qualcosa che non riguarda le

organizzazioni (a parte le amministrazioni pubbliche),

• Qualcosa che nasce fuori dalle porte degli uffici e dai cancelli delle fabbriche, ed è causato da: • deficienza di infrastrutture, • carenza di qualità dell’istruzione, • inefficienza della P.A., • regole poco flessibili nel mercato del lavoro, ecc.

Fattori esterni e fattori interni all’organizzazione

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Livello e dinamica della produttività

• I fattori esterni sono indubbiamente importanti per determinare il livello della produttività di un’economia; ma non la sua dinamica. • La letteratura scientifica internazionale (e, in misura

crescente, anche nazionale) dimostra che la crescita della produttività: • si concentra nelle organizzazioni flessibili, • e scaturisce da una riorganizzazione dei luoghi di

lavoro (workplaces), • senza la quale l’influenza dei fattori esterni è

decisamente scarsa.

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Cosa spiega la dinamica della produttività?

• Ad esempio, tra gli ormai numerosi studi empirici sul tema, un importante lavoro apparso sulla prestigiosa rivista inglese Economic Journal (Black e Linch, 2004) documenta che: • la crescita annua dell’1.6% nella produttività totale dei

fattori è riconducibile nella misura pari all’1.4% (equivalente all’89%): • alla reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro, ovvero: • all’adozione delle nuove tecnologie, • e alle pratiche di lavoro «ad alta performance» (AP), • adottate assieme dalle «organizzazioni flessibili».

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Crescita delle produttività totale dei fattori nelle imprese americane

Reingegnerizzazione e nuove

pratiche; 1,4; 89%

Altri fattori; 0,2; 11%

Fonte: Black e Lynch, 2004.

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Cos’è un’organizzazione flessibile, innovativa, learning?

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Organizzazione rigida ma basata sulla flessibilità dei rapporti di lavoro

• Un primo tipo di flessibilità ricerca l’aumento della competitività di prezzo mediante il contenimento del salario e dei costi accessori (oneri sociali) derivanti dai sistemi di protezione sociale.

• Si tratta di una strategia a carattere difensivo con la quale l’impresa (rigida), rimane nei segmenti di produzione tradizionale e mira a rispondere in modo immediato (spesso senza un disegno di lungo periodo) alla concorrenza dei paesi emergenti. • Una tale strategia è consentita da politiche nazionali e di settore

focalizzate sul ‘social dumping’. • Prevale una flessibilità del fattore lavoro di tipo numerico ed esterna

all’impresa, caratterizzata essenzialmente sul piano della libertà di assunzione e licenziamento e del ricorso esteso a forme di impiego flessibili quali i contratti temporanei, le collaborazioni, il part-time.

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Organizzazione flessibile - 1

• Una ben diversa flessibilità è più conforme a strategie innovative che perseguono un disegno di ampio respiro e di più lunga durata, perché tendono ad accrescere: • non soltanto la competitività di prezzo (riduzione dei costi), • ma anche la competitività non di prezzo (qualità del prodotto e servizi

connessi).

• Queste strategie perseguono una maggiore solidità e sostenibilità dell’impresa attraverso la sua collocazione in segmenti della produzione di qualità più avanzata, caratterizzati da traiettorie industriali innovative, che richiedono l’impegno in innovazione, ricerca e sviluppo (gestione della conoscenza).

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Organizzazione flessibile - 2

• Simili strategie richiedono: • l’assistenza di sistemi di innovazione dotati di infrastrutture

scientifiche, di formazione e accrescimento del capitale umano e la diffusione di sistemi di coesione sociale atti a favorire l’apprendimento e la diffusione della partecipazione cognitiva.

• una flessibilità di tipo funzionale e interna all’impresa, caratterizzata dall’utilizzo di lavoro qualificato, rapporti di lavoro di lungo periodo, elevata mobilità interna tra compiti e funzioni differenziate e progressione di carriera indotta dalle competenze acquisite.

• Il processo decisionale deve seguire un approccio consensuale, in cui i rapporti fiduciari e la responsabilità individuale o di gruppo vengono realizzati mediante il coinvolgimento delle persone nell’organizzazione dell’impresa.

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I paradigmi dell’organizzazione flessibile

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• La teoria evolutiva dell’impresa (Marshall 1890, Penrose 1973, Nelson e Winter 1982): il benchmarking come strumento di apprendimento organizzativo.

• La teoria della crescita endogena (Romer 1990, Lucas 1988 ecc.): il capitale

umano come fattore produttivo.

Analisi economica e organizzazione flessibile

• Learning organisation (Senge 1990), learning economy (Lundvall 1992), Economia della conoscenza (Foray, 2006): il ruolo dell’apprendimento; dalle qualifiche alle competenze.

• Reti sociali, capitale sociale e beni relazionali (Putnam 1993, FGB 1997): il ruolo dei rapporti interpersonali;

• la conoscenza come bene comune (Hess e Ostrom 2009): comunità di conoscenza e partecipazione cognitiva.

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Paradigmi organizzativi

dell’organizzazione flessibile

• Il paradigma fondamentale per l’organizzazione di dimensioni medio-grandi:

• la produzione snella (lean production, Womack, Jones e Roos, 1991).

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La logica della produzione snella (Marsden, 1996): il lavoro HT-HP

Eliminazione delle scorte

Evidenziazione dei problemi

organizzativi e tecnici nascosti

Necessità di lavoro di squadra

cross-functional

Necessità di condivisione

sistematica dell'informazione

(Perdita di importanza dei modelli

organizzativi basati sulle professioni)

Necessità di una risposta diagnostica

da parte di lavoratori e management locale

Aumento dell'impegno del lavoratore e

sviluppo dei rapporti high trust

Sviluppo di metodi firm-specific

di utilizzazione degli skills

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Lo scambio tra il lavoratore e l’impresa «snella»

Lo scambio tra impresa e lavoratore che avviene nelle organizzazioni flessibili è essenzialmente quello tra:

identificazione del lavoratore con l’impresa, (commitment) alla base della partecipazione cognitiva, contro

garanzia del posto di lavoro (impiego a lungo termine) e partecipazione (gestionale, organizzativa e finanziaria).

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Altri paradigmi di innovazione organizzativa

• La qualità totale (TQM), la certificazione di qualità (ISO ecc.).

• La learning organization • Il World Class Manufacturing (WCM). • La specializzazione flessibile. • L’impresa-rete:

• modelli centro-periferia e filiere, • distretti industriali, • consorzi di qualità.

• L’impresa responsabile (EFQM, bilanci sociali ecc.) 25/02/2016 Leonello G. Tronti 21

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Il modello EFQM (European

Foundation for Quality Management)

«Servire qualità». Il modello di Parasuraman

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Learning organization e miglioramento continuo

• L’apprendimento organizzativo (la capacità cognitiva dell’impresa) consente di diffondere la logica del miglioramento continuo, che sostiene: • l’identità/innovazione (in termini di

qualità/specificità) degli stessi processi organizzativi/produttivi e dei prodotti/servizi,

• e quindi la competitività/sostenibilità dell’impresa e dell’occupazione.

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La logica della Learning organization (Senge, 1990)

L’aspetto che definisce un’organizzazione che apprende è che essa “espande continuamente la capacità di creare il proprio futuro – un futuro che realizza i risultati che le persone desiderano”.

1. Competenza (Boyatzis)

Intent Action Result

2. Valutazione

Action Result

3. Apprendimento (Senge)

Competenza + Valutazione = Apprendimento

Organizzazione e innovazione:

Un benchmark italiano

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Cultura e comunità = innovazione

• I concetti chiave dell’Olivetti di Adriano Olivetti erano due: • Cultura, • Comunità.

• La visione della cultura che lo stesso Adriano propugnava e poneva alla base del successo mondiale della sua azienda si riassume in questa sua definizione: • la cultura è «ricerca disinteressata di verità e bellezza»

(Olivetti, 1946).

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Cultura al lavoro e cultura del lavoro

• Intellettuale lui stesso (ingegnere, urbanista, politico, editore), Adriano Olivetti assumeva nella sua azienda uomini di riconosciuta cultura, impiegandoli in settori differenti e a vari livelli, tra i quali: • Libero Bigiaretti, Luciano Codignola, Franco Fortini, Ottiero Ottieri,

Leonardo Sinisgalli, Giorgio Soavi, Paolo Volponi, Ludovico Zorzi e tanti altri ancora.

• Non ‘utilizzava’ gli intellettuali come “fiore all’occhiello” dell’impresa, per giovare alla sua immagine, né li assumeva per fare opera di mecenatismo: • li voleva con sé perché aveva capito che erano necessari all’impresa

per realizzare quell’eccellenza che assicura il successo di un’azienda (tanto internamente quanto all’esterno).

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Gestire la conoscenza

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Ma gestire la conoscenza è difficile

• L’Olivetti era un’azienda d’avanguardia, profondamente innovativa (A. Olivetti: «In me non c’è che futuro»).

• Ma l’innovazione si basa sullo sviluppo della conoscenza che, come abbiamo visto nella prima lezione, non è un bene come gli altri, in quanto è contrassegnata da caratteristiche del tutto particolari, quali: – l’incertezza dei risultati e la conseguente difficoltà di

valutazione ex-ante, – l’incertezza dei diritti di proprietà, – la produzione di entropia informativa, – i complessi effetti esterni alla transazione-apprendimento e

altri ancora.

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La piramide DIKW (Henry, 1974)

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Apprendimento, conoscenza e saggezza

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Scomodità dell’innovazione

• Tra l’altro, come ricorda Machiavelli, l’innovazione incontra sempre ostacoli perché pone a rischio privilegi consolidati e ancora non rende beneficio a chi potrà poi trarne vantaggio.

• Per questi motivi, l’introduzione di innovazioni, per quanto desiderabili, sono tipicamente gravate da frizioni elevate,

• a meno che, come già abbiamo visto, l’innovazione non sia considerata e gestita come il frutto di un patrimonio comune di conoscenza (Hess e Ostrom, 2009).

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Organizzazione, conoscenza, comunità

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Innovazione, conoscenza, comunità

In generale dunque, come già aveva perfettamente compreso Adriano Olivetti, l’innovazione (ovvero la creazione, l’acquisizione, la condivisione e l’utilizzazione della conoscenza) richiede:

che i lavoratori si identifichino il più possibile come appartenenti ad una comunità (più precisamente a una “knowledge community”),

E riconoscano la conoscenza come un patrimonio comune, da accrescere e gestire assieme,

E l’innovazione che ne deriva come il frutto di quel patrimonio comune.

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Innovazione e partecipazione cognitiva

Il ruolo centrale svolto dalla gestione della conoscenza (KM o knowledge management) nella generazione dell’innovazione comporta, a sua volta (come già abbiamo notato nella prima lezione), che i lavoratori assumano una nuova attitudine cruciale, • una competenza che definisco con il termine di

partecipazione cognitiva:

ovvero «la volontà e la capacità di acquisire, condividere e utilizzare la conoscenza (propria e dell’organizzazione) per migliorare i prodotti e i processi produttivi e organizzativi» (Tronti 2013).

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Interazioni tra organizzazione e risultati

• L’organizzazione di una comunità di conoscenza richiede all’impresa e alle relazioni industriali: • la capacità di instaurare e mantenere rapporti di lavoro ad alta

fiducia e alta performance (HT-HP). • I due termini vanno di pari passo, perché l’alta performance si

presenta solo dove i rapporti di fiducia sono elevati.

• La comunità di conoscenza, abbattendo i costi e le frizioni dell’apprendimento, consente di: • dare vita ad una una learning organization,

• ovvero un’organizzazione che apprende, non teme la valutazione, condivide e utilizza la conoscenza per migliorare continuamente i prodotti e i processi.

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Gestione della conoscenza come bene comune: interazioni tra organizzazione, rapporti di lavoro e risultati

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COMUNITÀDI

CONOSCENZA(nuova organizzazione,

nuovi rapporti di lavoro, nuove tecnologie)

Modello organizzativoFlessibilità interna

Organizzazione learning

Competitività/sostenibilità dell’organizzazione

Innovazione/qualità prodotti/processi

Rapporti di lavoroAlta fiducia-alta performance,

Pratiche di lavoro ad alta performance (AP)

INNOVAZIONE IDENTIFICAZIONEIMPEGNO

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Dalla conoscenza alla competenza

Competenza = «capacità di svolgere compiti lavorativi in modo desiderabile, a regola d’arte». Oggi: in accordo con il principio del miglioramento continuo.

Elementi costitutivi della competenza: a) conoscenza, b) abilità produttive (skills), c) esperienza, d) abilità relazionali (networking abilities), e) + X. Ma cos’è X?

La competenza emerge soltanto in presenza della volontà di usarla: Boyatzis 2008 parla di «insiemi di comportamenti correlati ma diversi,

organizzati attorno a un sottostante costrutto intenzionale».

Per essere davvero flessibile (innovativa, learning, moderna) l’organizzazione deve riuscire a creare ambienti di lavoro (spazi, regole, condizioni e relazioni di lavoro, sistemi premiali ecc.) tali da incoraggiare e sostenere la volontà dei lavoratori di usare le proprie conoscenze, abilità, esperienze e relazioni per il miglioramento continuo di processi e prodotti.

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Lo sviluppo delle competenze

1. Per sviluppare le competenze di un’organizzazione è necessario che essa crei: un ambiente di lavoro favorevole all’apprendimento e al

miglioramento continuo, perché solo su questa base le competenze possono

accumularsi, diffondersi e svilupparsi.

2. Il processo di sviluppo delle competenze avviene infatti soprattutto durante il lavoro quotidiano (everyday learning), e non nei corsi di formazione (Statistics Sweden 2007).

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L’iceberg dell’apprendimento

Fonte: Statistics Sweden, 2007

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Costruire un’organizzazione che apprende

Per costruire un’organizzazione learning è necessario: 1. Organizzare i processi di lavoro avendo a mente

l’apprendimento tanto quanto la performance produttiva; 2. Individuare e rafforzare le conoscenze desiderate e quelle

necessarie per il continuo sviluppo delle competenze; 3. Migliorare la capacità di tutti i dipendenti di assolvere ai

propri compiti e di risolvere i problemi di lavoro (do the right thing in the right way);

4. Rendere ciascun dipendente cosciente dello sviluppo delle sue competenze nella sua situazione di lavoro quotidiano;

5. Creare significative opportunità di trasferire conoscenze nel corso del lavoro quotidiano.

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Conoscenza, competenze personali e competenze dell’organizzazione

Ogni organizzazione ha bisogno di accedere alla conoscenza non meno che alle risorse finanziarie o alle altre risorse produttive.

Conoscenza concreta (saper fare) = a + b a) competenze personali = abilità sia individuali che collettive (capacità

di risolvere i problemi collaborando con i colleghi, i clienti o i fornitori),

b) competenze dell’organizzazione = conoscenze incorporate in procedure, cultura, valori, ma anche tecnologie (sistemi, attrezzature, software, network, applicativi ecc.) a disposizione dell’organizzazione.

La conoscenza concreta deriva dalla complementarità tra competenze personali e competenze dell’organizzazione (tecnologie incluse).

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Tecnologia, organizzazione flessibile, innovazione a grappolo

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Complementarità tra tecnologia, organizzazione e rapporti di lavoro

La letteratura internazionale documenta che il driver della performance è costituito non tanto dalla tecnologia in sé (dal momento che essa è alla portata di ogni impresa in ogni paese), quanto dalla complementarità tra: le moderne tecnologie, le nuove configurazioni dei luoghi di lavoro, le pratiche lavorative innovative.

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Nuove tecnologie e capitale organizzativo

La complementarità, definita da Milgrom e Roberts (1995) come quella condizione secondo cui l’aumento dell’impiego di un elemento aumenta il rendimento marginale di altri elementi, indica che: la presenza di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove

pratiche di lavoro rende «moltiplicativa» la produttività degli investimenti in Ict.

Per converso, i mancati investimenti in capitale organizzativo costituiscono una barriera al rendimento di ulteriori investimenti in Ict.

Le tecnologie rendono possibile l’innovazione, ma solo l’organizzazione e l’apprendimento consentono di

metterne a frutto le potenzialità.

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Nuove tecnologie e controllo

Una delle caratteristiche fondamentali della produzione snella è la riduzione dei livelli gerarchici, con un conseguente decentramento delle responsabilità e aumento della discrezionalità ai livelli medio-bassi della struttura occupazionale. Tale caratteristica ben si integra con i moderni sistemi informatici

di gestione integrata dell’impresa, che sono in grado di offrire ai manager l’esercizio delle funzioni di controllo e di coordinamento a costi più contenuti rispetto alla situazione caratterizzata da un’accentuata gerarchizzazione.

La complementarità tra Ict, disegni organizzativi decentralizzanti e pratiche innovative di gestione delle risorse umane è in grado di mantenere salda la governance dell’impresa.

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L’innovazione organizzativa richiede tempi lunghi

Il processo di innovazione organizzativa si compone di quattro fasi successive:

1. Dare le nuove capacità a un gruppo di persone che sperimentano l’innovazione,

2. Modificare l’organizzazione per consentire alle persone con la nuova capacità di metterla in pratica nel lavoro quotidiano,

3. Sperimentare e affinare l’organizzazione sino a quando la nuova capacità diventa «competenza dell’organizzazione», indipendente dalle persone,

4. Ottenere i risultati di miglioramento desiderati.

Le 4 fasi possono richiedere in tutto da 2 a 4 anni e più.

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Retroazione delle innovazioni

In termini operativi, la complementarità prende propriamente corpo nel medio periodo, quando i nessi di causalità si cumulano (positivamente) agli effetti di retroazione tra le variabili in gioco: le innovazioni organizzative (a), combinate con le nuove

pratiche di lavoro (b) e con le tecnologie telematiche e dell’informazione (c), stimolano la produttività e la performance, le quali a loro volta esercitano un effetto di retroazione

positivo sull’adozione e sulla diffusione dell’innovazione (effetto di apprendimento),

dal momento che i costi dell’innovazione tendono ad essere finanziati con fondi interni (rendimento dell’apprendimento).

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Capacità cognitiva, performance, sostenibilità

L’innovazione tende a sua volta a generare una maggiore capacità cognitiva dell’impresa: i nuovi tratti organizzativi, tecnologici e nei rapporti di

lavoro stimolano lo sviluppo delle competenze dei singoli lavoratori (personali) e del collettivo (organizzative), consentendo all’impresa una maggior propensione all’innovazione di prodotti, processi e organizzazione,

da cui deriva una migliore performance nel medio periodo

E, conseguentemente, una maggiore sostenibilità dell’impresa nel tempo.

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Complementarità e innovazioni “a grappolo”

Le verifiche empiriche della complementarità hanno messo in evidenza alcune importanti qualificazioni.

La spinta alla produttività risulta condizionata al fatto che tanto i nuovi disegni organizzativi (organizzazione orizzontale, processi e ruoli) quanto le «nuove pratiche di lavoro ad alta performance» (vedi più sotto), siano adottati «a grappolo»: più estesi sono i «grappoli» adottati (in termini di numero di

pratiche innovative adottate), e più intensi essi sono al loro interno (in termini di lavoratori coinvolti), maggiore è la performance aziendale.

Le singole adozioni (o i parziali ammodernamenti) non pagano, così come gli investimenti in nuove tecnologie inseriti in una vecchia organizzazione d’impresa possono dimostrarsi addirittura controproducenti.

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Capitale organizzativo e pratiche di lavoro AP

Inoltre, solo incrementi significativi di produttività sono in grado di far incamminare l’impresa lungo la strada del contenimento dei costi, dell’aumento della competitività e contemporaneamente di una crescita dei salari reali (di qui le pratiche di lavoro ad ‘alta performance’, AP, sinonimo di «via alta»

allo sviluppo),

in quanto si tratta di incrementi che si dimostrano tendenzialmente duraturi (sostenibili) perché derivano da un patrimonio (il capitale organizzativo) difficilmente imitabile dai concorrenti, quantomeno nel breve-medio periodo.

Il grave problema di produttività che affligge il nostro apparato produttivo è il risultato non solo di infrastrutture esterne ai luoghi di lavoro inefficienti, ma anche, e soprattutto, di una «trappola culturale», che vede nella tecnologia il principale o l’unico marchingegno della performance: Ma le macchine, per quanto sofisticate, non possono sostituire le

competenze di chi le utilizza.

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Il ciclo competenze personali nuove tecnologie competenze organizzative competenze personali nuove tecnologie ...

Competenze personali (individuali e collettive) + competenze organizzative = capitale intellettuale dell’organizzazione.

Lo sviluppo delle competenze personali può essere sostenuto dalle competenze organizzative - e viceversa. Il lavoro intellettuale e le nuove tecnologie consentono

l’accumulazione di competenze organizzative che, a loro volta, facilitano il trasferimento di competenze ai dipendenti e l’innovazione di processo e di prodotto.

Con la diffusione di procedure e sistemi Ict user-friendly, che incorporano competenze organizzative, si agevolano l’apprendimento, lo sviluppo delle competenze personali e il miglioramento continuo.

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Reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro, empowerment

del lavoro, partecipazione cognitiva:

Misure fondamentali (European Commission, 1997)

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Pratiche di lavoro AP - 1

1. Organizzazione per processi e non più per funzioni (orientamento al cliente, BPR);

2. Riduzione dei livelli gerarchici (impresa piatta, produzione snella);

3. Sviluppo delle carriere in diagonale (non più in verticale);

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Pratiche di lavoro AP - 2

4. Costruire ruoli professionali di polivalenza e policompetenza, Soprattutto attraverso la rotazione delle mansioni (v. anche 6);

5. Lavorare in gruppo (con poteri effettivi al team); Creare gruppi di lavoro interfunzionali, capaci di assicurare il

controllo e la responsabilizzazione su uno o più processi (anche con autoselezione del team leader);

6. Assicurare la condivisione di informazioni, apprendimenti e conoscenze attraverso specifici strumenti organizzativi knowledge-friendly: Ad es., oltre al lavoro di gruppo, rotazione delle mansioni,

affiancamento, tutoring, mentoring, circoli di qualità, focus group ecc.;

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Pratiche di lavoro AP - 3

7. Raccogliere sistematicamente suggerimenti dal basso sul miglioramento di processi, prodotti e organizzazione;

8. Valutare frequentemente la performance dei dipendenti, con attribuzione di premi (o no);

9. Coinvolgere e consultare ricorrentemente i lavoratori, sulla qualità della propria collocazione, del proprio lavoro e del workplace, della dirigenza (indagini “di clima”);

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Pratiche di lavoro AP - 4

10. Creare un sistema di incentivi economici di breve periodo, mirati a premiare l’apprendimento, il miglioramento continuo e lo sviluppo delle competenze;

11. Buone relazioni industriali (non necessariamente non conflittuali), orientate:

1. ad evidenziare i vantaggi per tutti del miglioramento continuo (partnership),

2. allo sviluppo delle pratiche AP e della soddisfazione dei lavoratori per il proprio lavoro.

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I risultati

Come già abbiamo visto, la letteratura empirica internazionale dimostra che organizzazioni innovative, flessibili, learning sono quelle:

con la dinamica della produttività più sostenuta,

e quindi:

che pagano meglio i propri dipendenti,

i cui dipendenti sono più soddisfatti del lavoro che svolgono.

Il premio “Great Place to Work”. Il sito del GPtW Institute Italia:

http://www.greatplacetowork.it/gptw/index.php

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