Loggetta gennaio06 5 · 2016. 10. 25. · Agrodolce (Bar dello Sport; Sinfonia per un addio; Le...

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L L oggetta la la oggetta di Piansano e la Tuscia notiziario periodico dell’Associazione Culturale omonima senza fini di lucro, finanziato prevalentemente attraverso le quote associative Editore Associazione Culturale “la Loggetta” Fondatore e direttore responsabile Antonio Mattei Redazione Giancarlo Breccola, Piero Carosi, Rosa Contadini, Paolo De Rocchi, Adelio Marziantonio Stampa Tip. Ceccarelli - Acquapendente (VT) Aut. Tribunale di Viterbo n° 431 dell’8.5.1996 N° iscr. ROC 12722 - cod. fisc. 90041710568 ccp 10914018 - codice BIC BPPIITRR codice IBAN IT07 C076 0114 5000 0001 0914018 Direzione, redazione, amministrazione Via Nuova 15, 01010 Piansano (VT) [email protected] - www.laloggetta.it direttore 320 2939956 - www.antoniomattei.jimdo.com © TUTTI I DIRITTI RISERVATI La Loggetta n. 107 (Estate 2016) - Anno XXI n. 2 Exteri, et adventitij... copertina di Giancarlo Breccola 1 Indice Ambiente: Rumore di terremoti nel silenzio assordante delle Regioni Umbria e Lazio, mentre la popolazione dell’Alfina chiede rassicurazioni, di Piero Bruni II di copertina Miscellanea Exteri, et adventitij... Una colonizzazione nel Ducato di Castro nell’età moderna, di Antonio Mattei p. 3 Agrodolce (Bar dello Sport; Sinfonia per un addio; Le sagre de paese), di Nescio Nomen p. 11 Anche in Vaticano: “... Basta berne un bicchierino”, di Antonio Pelosi p. 12 TusciaLibri news: Documenti per far rivivere storie, personaggi e feste di antica tradizione (con box “Un piccolo capolavoro editoriale della Scipioni Editore”), di Romualdo Luzi p. 13 La parola al gastrosofo: La mentucciata (una zuppa estiva che rappresenta degnamente la saggezza e la semplicità della cucina della Tuscia), di Pier Luigi Leoni p. 16 E pigliamola un po’ a ridere!...: La Creazione e la Cacciata, di Luigi Mecorio p. 16 Storie di parole, storia di cultura: Indovinala grillo! ovverosia l’indovinello del cuore, di Luigi Cimarra p. 18 Le storie di nonna Pia: Le mele rose (II parte), di Ripa Pepparulli p. 20 E’ possibile contenere la deriva italiana?, di Paolo De Rocchi p. 22 Un’altra città possibile: vogliamo una città per tutte le età, di Luciano Osbat p. 27 Dalla scuola, di Francesca Lesen p. 29 Alloro per... (Sara Virtuoso) p. 29 E’ apparsa una nuova “Stella”!, di Antonio Mattei p. 30 L’ambulanza a Piansano e i vent’anni della Misericordia, di Martino Iellamo p. 31 Il trigramma di S. Bernardino, di Gioacchino Bordo p. 33 Li bandisti ce l’émmera anco noi (Anno 1900: nasce la banda musicale), di Antonio Mattei p. 35 Il “Sogno proibito” di Claudio p. 38 Flash (Pellegrinaggio a Castro 2016, di G. Moscatelli; A proposito di pluri-omonimie..., di M. Iellamo; Passeggiata spensierata - Restauri - Corpus Domini 2016 - Differenze... - Exbit - Corale del karaoke e dell’appetito, di G. Bordo) p. 40 La faticosa ma travolgente strada dell’amore, di Giuseppe Moscatelli p. 42 Gruppo Archeologico p. 42 L’aperi-club, di Antonio Mattei p. 43 Festa di S. Bernardino, fotocronaca di Gioacchino Bordo p. 44 Strapaese: San Bennardino... furistiero, di Gioacchino Bordo p. 46 Visioni: Vanno! - per i pastori della bandita del Poggio, poesia di Ennio De Santis p. 47 Sport: Calcio, (a cura) di Gianfranco Brizi p. 47 Anagrafe p. 48 Nuovi arrivi: Giorgia Bordo, Samuele Pacchiarotti, Nicolò Melaragni, Alessio Martinelli. Sposi: Fabio Buglione e Melania Livi. Ricorrenze: Prima Comunione 2016 (di Daniela Martinelli) Ci hanno lasciato: Rosa Sciarretta, Giuseppe Reda, Felice Del Papa, Oronzo D’Alessio, Vincenzo Lucci, Francesco Veneri, Domenico Adagio, Maddalena De Carli, Valerio Burlini, Francesco Papacchini. Gli incontri speciali di p. Vincenzo, di Daniela Martinelli p. 54 Piansano

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LLoggettalala

oggettadi Piansano e la Tuscianotiziario

periodico dell’Associazione Culturale omonima senza fini di lucro,finanziato prevalentemente attraverso le quote associative

Editore Associazione Culturale “la Loggetta”

Fondatore e direttore responsabile Antonio Mattei

Redazione Giancarlo Breccola, Piero Carosi,Rosa Contadini, Paolo De Rocchi, Adelio Marziantonio

Stampa Tip. Ceccarelli - Acquapendente (VT)

Aut. Tribunale di Viterbo n° 431 dell’8.5.1996N° iscr. ROC 12722 - cod. fisc. 90041710568ccp 10914018 - codice BIC BPPIITRRcodice IBAN IT07 C076 0114 5000 0001 0914018

Direzione, redazione, amministrazioneVia Nuova 15, 01010 Piansano (VT)

[email protected] - www.laloggetta.it

direttore 320 2939956 - www.antoniomattei.jimdo.com

© TUTTI I DIRITTI RISERVATI

La Loggetta n. 107 (Estate 2016) - Anno XXI n. 2Exteri, et adventitij...

copertina di Giancarlo Breccola

1

IndiceAmbiente: Rumore di terremoti nel silenzio assordantedelle Regioni Umbria e Lazio, mentre la popolazionedell’Alfina chiede rassicurazioni, di Piero Bruni II di copertina

MiscellaneaExteri, et adventitij... Una colonizzazione nel Ducato di Castronell’età moderna, di Antonio Mattei p. 3

Agrodolce (Bar dello Sport; Sinfonia per un addio; Le sagre de paese),di Nescio Nomen p. 11

Anche in Vaticano: “... Basta berne un bicchierino”, di Antonio Pelosi p. 12

TusciaLibri news: Documenti per far rivivere storie, personaggie feste di antica tradizione (con box “Un piccolo capolavoro editorialedella Scipioni Editore”), di Romualdo Luzi p. 13

La parola al gastrosofo: La mentucciata (una zuppa estivache rappresenta degnamente la saggezza e la semplicitàdella cucina della Tuscia), di Pier Luigi Leoni p. 16

E pigliamola un po’ a ridere!...: La Creazione e la Cacciata,di Luigi Mecorio p. 16

Storie di parole, storia di cultura: Indovinala grillo!ovverosia l’indovinello del cuore, di Luigi Cimarra p. 18

Le storie di nonna Pia: Le mele rose (II parte), di Ripa Pepparulli p. 20

E’ possibile contenere la deriva italiana?, di Paolo De Rocchi p. 22

Un’altra città possibile: vogliamo una città per tutte le età,di Luciano Osbat p. 27

Dalla scuola, di Francesca Lesen p. 29

Alloro per... (Sara Virtuoso) p. 29

E’ apparsa una nuova “Stella”!, di Antonio Mattei p. 30

L’ambulanza a Piansano e i vent’anni della Misericordia,di Martino Iellamo p. 31

Il trigramma di S. Bernardino, di Gioacchino Bordo p. 33

Li bandisti ce l’émmera anco noi(Anno 1900: nasce la banda musicale), di Antonio Mattei p. 35

Il “Sogno proibito” di Claudio p. 38

Flash (Pellegrinaggio a Castro 2016, di G. Moscatelli; A proposito dipluri-omonimie..., di M. Iellamo; Passeggiata spensierata - Restauri -Corpus Domini 2016 - Differenze... - Exbit - Corale del karaokee dell’appetito, di G. Bordo) p. 40

La faticosa ma travolgente strada dell’amore, di Giuseppe Moscatelli p. 42

Gruppo Archeologico p. 42

L’aperi-club, di Antonio Mattei p. 43

Festa di S. Bernardino, fotocronaca di Gioacchino Bordo p. 44

Strapaese: San Bennardino... furistiero, di Gioacchino Bordo p. 46

Visioni: Vanno! - per i pastori della bandita del Poggio,poesia di Ennio De Santis p. 47

Sport: Calcio, (a cura) di Gianfranco Brizi p. 47

Anagrafe p. 48Nuovi arrivi: Giorgia Bordo, Samuele Pacchiarotti,Nicolò Melaragni, Alessio Martinelli.Sposi: Fabio Buglione e Melania Livi.Ricorrenze: Prima Comunione 2016 (di Daniela Martinelli)Ci hanno lasciato: Rosa Sciarretta, Giuseppe Reda, Felice Del Papa,Oronzo D’Alessio, Vincenzo Lucci, Francesco Veneri, Domenico Adagio,Maddalena De Carli, Valerio Burlini, Francesco Papacchini.

Gli incontri speciali di p. Vincenzo, di Daniela Martinelli p. 54

Piansano

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Dalla TusciaScuole internazionali e turismo scolastico,di Mary Jane Cryan p. 57

La battaglia di Montorio (1486) combattutasul confine tosco-laziale, stranamentecelebrata in... Abruzzo, di Angelo Biondi p. 58

Monarchia o Repubblica? Ecco come si svolseroi fatti in provincia di Viterbo, di Marco Taschini p. 61

La luce rivelatrice che illumina le opere diGregorio Preti nei palazzi episcopali di Sutri e Nepi,di Francesca Pandimiglio p. 63

Storie di briganti: Cortesie da briganti,di Pietro Tamburini p. 65

TarquiniaNews: Lorella Maneschi - Luciano Marziano -Brian Mobbs - I misteri di Mithra, di Giovanna Mencarelli p. 67

TuscaniaAlfonso Donnini e il suo palazzo, di Luigi Tei p. 68

LateraÈ mio! Lo riconosoco dal marchio, di Dario Tramontana p. 70

CanepinaPer brutale malvagità (con Proposta di ricerca in tuttii Comuni della Tuscia), di Beniamino Mechelli p. 71

ValentanoFerdinando Ruffini: il Congresso di Reggio Emiliae il Tricolore (Dall’Alberone all’Albero della Libertà),di Bonafede Mancini p. 74

Mario Balestra: ricordare un “professore”!di Romualdo Luzi p. 76

MontefiasconeIl cardinale Jean Siffrein Maury o dell’Ambizione,(Della avventurosa vita di un vescovo di Montefiasconee Corneto), di Giancarlo Breccola p. 77

I moti contro-risorgimentali del 1831, di Normando Onofri p. 81

CellereGhinghiringòla, rubrica dialettale:

Parole ed espressioni varie, di Mario Olimpieri p. 83

Grotte Santo StefanoCronaca di una sommossa popolare (La resistenzadi contadini e pastori all’affrancazione delle terredei Doria-Pamphili), di Flavio Frezza p. 85

BleraUn piccolo museo non valorizzato, di Giuseppe Bellucci p. 87

FarneseLe nobili virtù dei poveri, di Savino Bessi p. 89

VignanelloVignanello agli inizi del ‘900attraverso le guide turistiche, di Murizio Grattarola p. 91

CaninoCome i caninesi vedono gli altri,di Bruno Del Papa (e Francesco Menghini) p. 93

VetrallaRinascimento e Risorgimento? di Fulvio Ferri p. 96

San Lorenzo NuovoIl travuzzolone di Carosino, di Silvio Verrucci p. 97

Il corpo di spedizione francese (C.E.F.)a San Lorenzo Nuovo nel giugno 1944, di Roberto Iacovoni p. 99

CapodimonteIl lago e la storia di Amalasunta in un autografo

di Vinci Verginelli, di Maria Irene Fedeli p. 100

Una storia che nasce da... l’ontano, di Piero Carosi p. 101

Il “principe del lago” don Giovanni Del Dragonon è più fra noi, di Piero Carosi p. 103

Grotte di CastroUna nuova pizzeria-panetteria che ricorda nell’insegnauno dei tanti soprannomi grottani, di Adelio Marziantonio p. 103

Risultati della valutazione degli oli prodotti inGrotte di Castro, Latera e Gradoli nel 2015 p. 105

OnanoCalendimaggio e Corpus Domini:Le “fiorate” di Onano, di Anna Lisa Puggi p. 106

BolsenaConsalvo Dottarelli. Un uomo, un prete,uno storico bolsenese, di Antonietta Puri p. 107

Ischia di CastroL’Africa coloniale attraverso l’obbiettivodi Guido Simoncini, di Maura Lotti p. 110

Quei centauri dei vitelloni, di Maura Lotti p. 112

Villa San Giovanni in TusciaIl Monte Frumentario della Villa di

S. Giovanni nel XVII e XVIII secolo,

di Angelo Capuzzi e Micaela Merlino p. 113

ViterboLe terme di Viterbo snobbano Michelangelo?,

di Vincenzo Ceniti p. 114

La Loggetta e i “Pomeriggi Touring”, di Vincenzo Ceniti p. 115

La Macchina di Santa Rosa, di Giuseppe Moscatelli p. 116

AcquapendentePugnaloni 2016: ritorno alla vittoria dellaCorte Vecchia/Selecao, di Giovanni Riccini p. 121

La statua della Madonna del Fiore, di Marcello Rossi p. 122

ArcheologiaIl fascino del mistero (Un convegnointernazionale tra Tarquinia e Vulci),di Francesca Ceci p. 124

Parole incise nella pietra 2: Ferento, la storiae gli imperatori, di Eleonora Storri p. 126

Frammenti d’arte della TusciaGli affreschi di Castro e altri centri del Ducato

nel palazzo Farnese di Roma, di Romualdo Luzi

(e box su Marta di Maria Irene Fedeli) p. 128

e III e IV di copertina

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zione della capitale nei primi anni divita del Ducato - vòlte alla riorganizza-zione e al pacifico incremento dellostaterello maremmano.

Non nova, sed noviter

Il tema non è nuovo a questa rivista,che via via ne ha trattato in più di unaoccasione mettendone a fuoco ognivolta singoli aspetti. Mai però ne hapresentato una visione d’insieme co-me invece l’argomento merita, sia peril criterio storiografico più volte riven-dicato dal nostro giornale nello studiodel territorio, attento alle condizioni divita delle popolazioni piuttosto chealle vicende politico-militari o addirit-tura dinastiche dei grandi casati; siaper le straordinarie sollecitazioni delmomento storico attuale, che ci scuotenelle fondamenta con la catastrofeumanitaria di migranti cui stiamo assi-stendo, epocale per proporzioni edrammaticità.L’idea è nata da un ciclo di conferenzedal titolo Marginalia, che il nostro col-laboratore Vincenzo Ceniti, direttoreemerito dell’ente provinciale per il

turismo di Viterbo ed ora console delTouring Club, ha organizzato nei mesiscorsi al palazzo Brugiotti di Viterbocon il patrocinio della Fondazione Ca-rivit e la collaborazione della Fidapa.“Cinque incontri - riassume Ceniti -che hanno raccontato alcune storie dimigranti dei secoli passati nella Tu-scia viterbese (africani, saraceni, còr-si, ebrei, albanesi...) che con la loropresenza hanno portato lavoro, diffi-denze, incomprensioni, scontri socia-li. Gli stessi di cui oggi siamo testimo-ni. Un tema attuale che ci appassionapur fra tante perplessità e inquietudi-ni”. Ed è compito precipuo della cultu-ra quello di interrogare il passato nongià per trovarvi delle risposte al pre-sente - ché ogni situazione data, perquanto analoga, non è mai identica al-le precedenti e richiede soluzioni sueproprie - ma per superare l’emozio-nalità delle reazioni istintive, acquisireconsapevolezza del fenomeno e pos-sibilmente approntare gli strumenti,politici e culturali, per governarlo.Perché solo in una visione di più lungotermine è possibile scorgere le sintesi

LoggettaLlaestate 2016

AntonioMattei

Una colonizzazionenel Ducato di Castronell’età moderna

Exteri, et adventitij...

La definizione è del vescovo diMontefiascone e Corneto Lau-divio Zacchia, che nelle sue vi-site alle parrocchie castrensi

della diocesi negli anni 1612-15, a pro-posito dei tre paesi Piansano Arlena eTessennano scrisse che i loro abitantierano quasi tutti venuti da fuori delloStato: omnes fere exteri, et adventitij....Anzi, aggiunse che più che habitatoressarebbe stato meglio definirli incolae,ossia abitanti nel territorio e dunquecontadini, coloni, provenendo il termi-ne dal diritto romano nel quale desi-gnava chi aveva il domicilio in unacomunità diversa da quella originaria.Infatti non erano poi molti anni che visi erano stanziati (non multis ab hincannis ea incolere coeperunt), e ne par-lava, il vescovo, per metterne in evi-denza una particolarità e un’usanzacomuni, diversamente dalle altre par-rocchie della diocesi: di essersi co-struite le chiese a proprie spese e dimantenere il parroco con una certaquantità di grano e di vino raccolta trale singole famiglie. Lo stesso parroco,che viveva solo di quel sussidio, eraperò nominato dalle stesse popolazio-ni e a tempo determinato, ossia fino aquando avesse goduto del favore deiparrocchiani, che avrebbero potutorimuoverlo con il loro voto. Cosa rite-nuta in contrasto con le disposizionidel concilio tridentino e che perciòaveva dato origine a una dissensio conil precedente vescovo Girolamo Benti-voglio che ormai si trascinava da unaventina d’anni.

Non era l’unica “stranezza” di quelletre comunità, che a ondate successiveavevano portato nel territorio non solonuovi dialetti e abitudini ma anche“rogne” e fatiche per gli autoctoni deidintorni. S’era dovuto preparargli unminimo di terreno disboscando perl’impianto delle vigne; predisporre unpo’ di campagna per semine e pascoli;costruire fontanili per le bestie; ripuli-re i siti almeno nelle aree direttamenteda edificare: l’indispensabile per unprimo appoggio al momento dell’arri-vo, ma che aveva comportato corvéesalle popolazioni vicine e spese chedalle comunità finivano per gravare suisingoli. Era la colonizzazione di quel-l’area del Ducato di Castro al confinecon la libera città di Toscanella, cheintorno alla metà del ‘500 i Farneseavevano voluto ripopolare e “presidia-re” con una delle poche operazioni - senon l’unica, se si eccettua la ricostru-

Louis Le Nain, La famiglia della lattaia, 1640 circa, olio su tela, cm. 51 x 59 (San Pietroburgo, Ermitage):“...Quel padre dallo sguardo perso nel vuoto, i bambini adulti anzitempo, la pena compressa di quella madre.Così simile alle madri in fuga di oggi. Tra le quali c’è solo una differenza di forme e proporzioni. Perché ‘il dolo-re... ha una voce e non varia’.”

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in cui si risolvono le antitesi; prenderecoscienza del continuo divenire comecondizione esistenziale intrinseca allesocietà; elaborare categorie mentaliinclusive e razionali in una prospetti-va di crescita complessiva.E’ in tale contesto che ha trovato po-sto anche l’esame di un fenomeno dimigrazione interna che ha interessatomassicciamente una parte del nostroterritorio: tre centri ripopolati dagenti provenienti da altre regioni del-l’Italia di mezzo. Presenze nuove in sitidi antichissima antropizzazione matornati in condizioni di natura primi-genie; miserie e speranze di genti inviaggio nella scia di flussi migratoricontinui lungo le vie secolari dellatransumanza ma, nondimeno, comeprecisi eventi storici che hanno incisoin maniera determinante sui luoghi escolpito le popolazioni nei loro carat-teri distintivi.

I tre piccoli centri menzionati facevanodunque parte del Ducato di Castro,che com’è noto fu istituito nel 1537 dalpapa Paolo III Farnese per investirne ilfiglio Pier Luigi. Uno staterello destina-to a scomparire non appena sul sogliodi Pietro si fossero insediati altri espo-nenti dell’aristocrazia romana, chenaturalmente non avrebbero soppor-tato a lungo la presenza di uno Statonello Stato. Infatti appena un secolodopo, nel 1649, dopo precedenti tenta-tivi risoltisi per via diplomatica, Castrofu fatta distruggere da Innocenzo XPamphili e il Ducato sparì dalle cartegeografiche. Esso era stato per i Farne-se una tappa intermedia, come hoavuto modo di dire altre volte: avevaconsacrato una “arrampicata” inin-terrotta durata all’incirca un secolo emezzo, e aveva proiettato il casato trai ranghi della grande nobiltà europeacon la sua elevazione al Ducato diParma e Piacenza appena otto anni

dopo, nel 1545. Dopodiché il Castrensecontinuò a rappresentare per i Farneseuna sorta di povero gioiello di famiglia,se non altro per il fatto che i più gran-di di loro, a cominciare da Paolo III, vierano nati, ma la verità è che, una voltastabilitisi a Parma, essi non si ricorda-rono del loro possedimento marem-mano se non per calcolarne esatta-mente le entrate e crearvi sopra delleipoteche, a garanzia dei debiti paurosinei quali s’ingolfarono sempre di piùcon la loro sfarzosa vita di corte. Sola-mente alcuni di loro si compiacquerodi visitarne i centri più ameni. E di soli-to furono passaggi fugaci durante iviaggi da e per Roma. Dopodiché il feu-do fu affidato all’amministrazione diviceduchi e luogotenenti e di fatto vis-se una lunga e ininterrotta agonia.Quello che ne sappiamo lo dobbiamoquasi esclusivamente a due cronisti,inviati dai Farnese a distanza di tren-t’anni l’uno dall’altro proprio per rife-rirne esattamente entrate e uscite equindi calcolarne il valore complessi-vo, necessario per ottenere i prestitibancari. Due computisti, ossia contabi-li. Funzionari che eseguirono con scru-polo il loro mandato visitando ad unoad uno i singoli paesi e tratteggiando-ne un quadro esteso al carattere degliabitanti, ai loro usi e costumi come aiprecedenti storici delle comunità,senza trascurare gli aspetti urbanisticidegli abitati, le feste, la vita religiosa, leforme di culto. E perorandone lecause. Perché standoci a contatto neimpararono a conoscere i bisogni e sifecero portavoce delle loro richieste.Che poi erano semplici suggerimenti dibuonsenso e di sana amministrazionein uno Stato alla mercè di autorità cor-rotte e poteri fuori controllo. Invano.Verrebbe anzi da notare il coraggio diquesti “informatori” nel presentare al-le lontane “Altezze Serenissime” di-sfunzioni e arbìtri che si risolvevano

anche in danno per le casse ducali,forse sapendo del nessun interesse aporvi rimedio e però esponendosi amalumori e risentimenti. Erano il “gen-tilhuomo fiorentino” Francesco Girardi,che nell’“Anno del Santissimo Giubileo1600” compilò il dossier “Dell’Informa-tione & Discorsi dello Stato di Castro”, eil “cittadino di Castro” Benedetto Zuc-chi, “al presente potestà di Capodimon-te”, che nel 1630 compilò la sua “In-formazione e cronica della città di Ca-stro, e di tutto lo Stato suo, Terra perTerra, e Castello per Castello, delle qua-lità dei luoghi, costumi, persone, e ric-chezze”. La prima ad essere conosciu-ta dagli studiosi fu proprio la relazionedello Zucchi, scoperta e pubblicata nel1818 dal francescano p. Flaminio MariaAnnibali da Latera, il quale la riportòpari pari, chiosandola in maniera con-sistente, nelle sue “Notizie storiche del-la Casa Farnese, della fu Città di Castro,del suo Ducato e delle Terre e luoghiche lo componevano, coll’aggiunta didue paesi, Latera e Farnese”. L’Infor-matione di Girardi è uscita fuori in unsecondo tempo dalle “Carte Farnesia-ne” dell’Archivio di Stato di Napoli. Mada entrambi i testi, con particolari di-versi che si integrano a vicenda, ve-niamo a conoscenza di questa opera-zione di colonizzazione e ripopolamen-to che ci interessa da vicino.

Le prime scarne notizie sono nelloZucchi:

“Il Duca Ottavio mandò da Parma varieColonie nello Stato di Castro per farlocoltivare, e fabricare ancora alcuniPaesi...”.

E poco prima:

“...il Cardinale Alessandro, fratello diOttavio,... andò nel Ducato stesso, lo rior-dinò, e per comissione di Ottavio, chestava in Parma, mise alla cura del Duca-to medesimo Sforza Monaldeschi dellaCervara, con titolo di Vice-Duca;... ed ilCardinal Alessandro si portò a Roma, eprese intanto il comando il detto Sforzacoll’Uditor Generale, sotto la direziondella Duchessa Girolama Vedova di PierLuigi, e tuttociò accadde nel 1553”.

Senza impelagarci in fasti e nefandezzedel casato, ai nostri fini basterà solosapere che Pier Luigi Farnese, primoduca di Castro dal 1537 e divenutoanche duca di Parma e Piacenza nel1545, morì assassinato a Piacenzaappena due anni dopo, nel 1547. Glisuccessero i figli Ottavio come duca diParma e Orazio come duca di Castro.

Loggettala

estate 2016L

I due passaggi della relazione della visita pastorale del 1612-15 con le definizioni riportate nel testo:“...Istorum igitur locorum, qui non multos ab hinc annis ea incolere coeperunt...”, e, sotto:“Horum igitur trium locorum habitatores seu potius incolae (sunt n.[am] omnes fere exteri, et adventitij)...”.

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Ma neanche quest’ultimo visse alungo, essendo morto combattendo inFrancia nel 1553. E non avendo eredi, iltitolo di duca di Castro tornò al fratel-lo Ottavio, che da allora avrebbe man-tenuto entrambi i titoli trasmettendoliindivisi ai suoi successori. Ciò detto, leinformazioni dello Zucchi vanno lettenon nel senso che furono inviate colo-nie di lavoratori parmensi, ma cheOttavio, stando in Parma, consentì,bontà sua, all’opera di “riordino” con-cepita dal fratello Alessandro, il “grancardinale”, che peraltro si trasferì subi-to a Roma e ne delegò l’attuazione alle

autorità castrensi sotto la super-visione della duchessa madre Giro-lama Orsini, rimasta a lungo a Valenta-no. Ecco, fu essenzialmente per gliscrupoli di questi due personaggi,madre e figlio, che l’operazione andòin porto e che, più in generale, il Duca-to fu oggetto di qualche attenzione.Perché scomparsi loro - il cardinale nel1589 e la duchessa l’anno dopo - iniziòla deriva dello staterello e... “da queltempo in qua sono mancati gli uomini ele sostanze, di modoché sono restatipoveri assai”. Questo lo scrisse Zucchia proposito di Tessennano, ma pre-mettendovi anche: “come negli altriluoghi di Maremma”.

Novi habitatori

Ripopolare il territorio significava recu-perarne superfici improduttive e incre-mentarne la produzione; aumentarne lapopolazione, e quindi il numero deisudditi soggetti a tassazione e al servi-zio nelle milizie ducali; accrescerne,semplicemente, il novero dei “Castelli”anche solo per una immagine di gran-dezza dello Stato in un tempo in cui, amaggior ragione, il numero era potenza.Infine, nel caso specifico, c’era da “pre-sidiare” una vasta plaga al confine conla libera città di Toscanella per consoli-darne il controllo; come nell’antica cen-turiazione romana nei territori appenaconquistati, con il frazionamento in po-deri da assegnare ai veterani che li di-fendevano ense et aratro, con il lavoro ebisognando con la spada. I tre luoghiindividuati avevano avuto nel medioe-vo il loro bravo ruolo di castelli contanto di battaglie, passaggi di mano,scorrerie e vassallaggi, ma da un pezzoerano ruderi o quasi e le terre circo-stanti erano state nuovamente in-ghiottite dalla macchia. L’abbandono a-veva comportato le solite liti confinarie,aggravatesi con il tempo al punto dascapparci il morto: un ignaro pastore diToscanella trovato a pascolare nellatenuta di Pian di Vico, da tempo conte-sa, ucciso a colpi di archibugio da unguardiano dei Farnese. Era il 1561, e civolle un processo trascinatosi per circasettant’anni (!) per concordare un nuo-vo limes ed apporvi dei cippi quali con-fini di Stato.

L’arrivo di nuove genti, come si diceva,seguiva le direttrici di transumanzesecolari tra la dorsale appenninica e lezone costiere, massime quelle tirreni-che. Erano le strade segnate da due

economie ugualmente povere nella in-cessante necessità di compensarsi. Car-bonai e taglialegna giungevano qui innovembre e ne ripartivano a primaverainoltrata. Vivevano perlopiù nei loro ri-pari all’interno dei boschi, ma contattidi vario genere con gli autoctoni eranoinevitabili. A Farnese c’è tutt’oggi unanutrita schiera di cognomi casentinesi,figli e nipoti di squadre di carbonai chevi calavano per lavoro fino all’ultimodopoguerra e poi accasativisi quando ilmercato non ne ha più avuto bisogno. Egli alleronesi di cui diremo tra poco co-me colonizzatori di Arlena, hanno vis-suto principalmente di questa attivitàanch’essi fino alla metà del secoloscorso. Analogamente, le “maremmate”dei mietitori con il falcetto e la coteattaccate alla cintola, di questi stessipaesi ma anche “forestieri”, sono tutto-ra nella memoria del territorio, che neaveva bisogno per i lavori estivi nei lati-fondi avvelenati dalla malaria. Nonparliamo dei pastori “montagnòli” -toscani, umbro-marchigiani, abruzzesi -che da settembre a maggio si acquar-tieravano nelle nostre campagne e ri-prendevano ogni anno quest’esodo bi-blico alla guida delle loro greggi. Speciei Comuni più vicini al mare e con mag-giore estensione territoriale contanooggi decine di loro discendenti. Ai qualiin tempi più recenti si sono aggiunte levere e proprie colonie di pastori sardidi Ischia, Cellere, Farnese, Canino, Mon-talto e in genere la Maremma tosco-laziale, dove la riforma fondiaria dei pri-mi anni ‘50 aveva già portato anche emi-liani e abruzzesi, quest’ultimi presenticon le guitterìe nella tenuta di Pescia findai tempi della Camera apostolica.Andirivieni storici di consistenza evarietà tali, abbiamo scritto altra volta,da indurci d’acchito ad almeno un paiodi considerazioni: la prima, su una inso-spettabile mobilità delle popolazionianche in epoche di asperità delle vie dicomunicazione e di primitività deimezzi di trasporto; la seconda, conse-guenza di quella, sulla inconsistenzadelle teorie sulla “purezza etnica” esimili, dimostrandosi, anche nel piccolodi queste migrazioni interne, l’inces-sante processo di mescolanze e integra-zioni che alimenta nelle popolazioni un“impasto” razziale in evoluzione peren-ne. “Siamo tutti meticci o mulatti!”, tito-lava provocatoriamente Savino Bessi ilsuo articolo pubblicato nel precedentenumero di questo giornale.

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Nella mappa (Pianta dello Stato di Castro, Archivio diStato di Roma, Camerale III, busta 613), fortementedeformata, il confino di Toscanella è rappresentato inmodo molto approssimato dal corso del torrente Arro-ne, ma è chiara in ogni caso la connotazione dei trecentri di Pianzano, Arleno e Tessenano come “avam-posti di frontiera” tra il Ducato e la libera città diToscanella.

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Le vie di questi scambi, etnici e cultu-rali, erano dunque segnate da secoli. Sitrattò di ripercorrerle. Ma stavolta coni Penati al seguito. E l’animo di chi sitaglia i ponti alle spalle. Furono treondate, che in successione riguardaro-no i nostri tre paesi a cominciare daTessennano. Ce ne parla lo Zucchi.

“Tessennano... Oltre a 100 anni sono erapoco luogo, rinchiuso con due ponti, edal tempo del Serenissimo Duca Ottavio edell’Emo S. Cardin. Alessandro vi concor-sero col placet loro molte famiglie diquelle di Perusa ad abitarvi, e lo hannoampliato di abitazioni sì dentro, comefuori di un Borgo per due volte di quelche è dentro. Fa poco più di 100 fuochi.Vi sono da 400 e più anime...[...] Tengo-no tuttavia la parlata perugina...”.

L’evento viene messo in relazione conla guerra che papa Paolo III mosse aPerugia nel 1540, quando la città sirifiutò di pagare l’imposta sul sale. Leeterne lotte di casati e fazioni dellastoria d’Italia, che in questo casocomportarono la scomunica della cit-tà, scorrerie di soldatesche pontificienel suo contado, e infine la sua sotto-missione con il ristabilimento dellafazione guelfa alla sua guida. Ripristi-no dunque dello status quo ante, macon le popolazioni delle campagneridotte alla fame e spogliate dallaguerra di ogni loro avere. Il loro esodonel Castrense deve essere avvenutoin ogni caso dopo il 1547, sotto il ducaOttavio che appunto in quell’anno erasucceduto al padre. Ma potrebbeanche essere posticipato di qualcheanno, perché subito dopo la morte diPier Luigi (seguìta da quella del padrePaolo III nel 1549) si riaccesero lemire imperiali di Carlo V su Parma ePiacenza e i venti di guerra ripreseroa soffiare ben più impetuosamente.Nel parapiglia di alleanze e scontriche ne seguì, lo Stato di Castro fuoccupato dalle truppe imperiali epontificie del nuovo papa Giulio III, e il“gran cardinale” Alessandro si rifugiòa Firenze, da cui riapparve per portar-si a Roma solo nel 1553. “Nell’invasio-ne del Ducato di Castro fatta dai solda-ti del Papa e di Carlo V molto patironoi Paesi del Ducato medesimo...”, notalaconicamente lo Zucchi, e dunque lecondizioni non erano propriamente lemigliori per uno spostamento di fami-glie. Spostamento che, o era già avve-nuto negli anni 1547-50, o va collocatonel 1553 e seguenti, quando appuntol’ennesima crisi era stata risolta per

via diplomatica e i Farnese erano statireimmessi nei loro possedimenti. Inverità si potrebbe avanzare ancheuna terza ipotesi che permetterebbedi anticipare l’esodo al biennio 1545-47. Perché per ottenere il ducato diParma i Farnese dovettero dare inpermuta alla Camera apostolica alcu-ni loro beni, e cioè il ducato di Came-rino e la città di Nepi, di cui era gover-natore il ventunenne Ottavio. Il qualenon avrebbe accettato di buon gradola rinuncia ad un feudo concreto peruna successione futura al ducato diParma. Di qui la decisione del padrePier Luigi e del nonno Paolo III diaccontentarlo con Castro, di cui nellostesso anno 1545 “divenne Duca inluogo del padre”, scrive lo Zucchi.Alchimie successorie, come si vede,che fanno accapigliare gli studiosicastrensi sulla serie ordinale deiduchi e delle quali faremmo volentie-ri a meno di occuparci, se non vi fos-simo costretti per cercare di far lucesulle dinamiche sociali sottese. Inogni modo “risale a questo periodo -notano gli studiosi di Tessennano -l’ampliamento del paese... e la diffu-sione della parlata perugina, che peranni ed anni darà luogo ad una conta-minatio tra il dialetto locale e quelloperugino”.Dell’arrivo di queste “molte famiglie”,stranamente, non fa alcuna menzioneil Girardi, che essendo cronologica-mente più vicino all’evento, a maggiorragione avrebbe dovuto esserne infor-mato. E con tutto che “li habitatori,...lavoratori de grani, sono gente bonaria,ma poveri”, il castello non perse mai lapodesteria, ossia l’autonomia istituzio-nale e amministrativa. Proprio a quelpodestà, anzi, furono sottoposti al loroarrivo i coloni di Arlena anche perl’amministrazione della giustizia, cosìcome quelli di Piansano alla podeste-ria di Valentano. E’ evidente che ilpaese, Tessennano, stava vivendo unimpoverimento pauroso, come dice loZucchi e come confermano i dati sullapopolazione, scesa da 600 abitanti e170 famiglie nel 1600 a “400 anime” e“poco più di 100 fuochi” nel 1630. Ten-denza in atto magari da tempo e taleda giustificare il tentativo di ripopola-mento con la conseguente espansioneurbanistica. Ma che potrebbero essereavvenuti per assimilazione, ossiasenza comportare una vera e propria“rifondazione”, una rivoluzione radica-le nelle componenti etniche e culturali.

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Articoli e copertinedi numeri della Loggetta apparsi sul tema

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Su Piansano abbiamo le relazioni dientrambi i cronisti. Eccole in succes-sione, cominciando da quella delloZucchi:

“Questo è un luogo, che al tempo delCardinal Alessandro non era altro cheuna Roccaccia, ovvero una muragliafatta a modo di Rocca, ma tutta cascata,luogo tutto macchioso; ma il territorio èbuono e bello, e perciò si mossero molteCasate di Arezzo di Toscana, e venneroa trattar col medesimo Emo S. Card.Alessandro, e gli diede facoltà di fabri-car case, e tanto si è fatto fino al dìd’oggi, che è divenuto buon Castello; eper esservi quella Roccaccia, si va chia-mando ancora il Castellaccio, ma oradai più viene chiamato Pianzano…”.

(Benedetto Zucchi)

“Castello rinovato dell’anno 1560, nelquale vennero ad habitare sino à 14famiglie di Casentinesi, e doppo alcunidel Comune di Orvieto per opera di Giral-do Giraldi, quali hoggi sono augmentatiet fanno fuochi 160, anime 800...”.

(Francesco Girardi)

Stavolta abbiamo dunque la data pre-cisa e una indicazione di provenienzapiù articolata, anche se non vienenominato alcun luogo in particolare diquel tratto della Valdarno che dai cen-tri maggiori di fondovalle, Poppi e Bib-biena, sale ai borghi sparsi su entram-bi i versanti montuosi. L’elementotoscano dovette essere in ogni casopreponderante rispetto sia a quelloorvietano sopraggiunto, sia alla popo-lazione autoctona, che per quanto informa ridotta dev’essere sopravvissu-ta alla distruzione del castello del 1396e rimasta a gravitare sul “territoriobuono e bello”, che la Chiesa continuòa dare in affitto come tenuta agricolaper tutto il ‘400 e oltre.A queste tre componenti etniche se neaggiunse una quarta (e una quinta, unasesta...), perché dallo spoglio sistema-tico degli atti di battesimo della par-rocchia di S. Giovanni Evangelista diValentano - dove nelle prime fasi dellacolonizzazione venivano portati a bat-tezzare i bambini di Piansano - e quel-la di San Bernardino da Siena in Pian-sano - che ne iniziò la registrazione nel1595 - è emersa una consistente pre-senza di genti di varia provenienza:massicciamente dall’Umbria (Cameri-no, Terni, Orvieto, Visso, Città diCastello, Fabro, Ficulle, Perugia...), e inminor misura dalla Toscana e dall’areamarchigiano-romagnola, oltre a qual-che rappresentanza abruzzese ed altre

sparse. Sorprendente è stato il contin-gente piuttosto nutrito di gente diFanano, un paesino di montagna inprovincia di Modena, sul versante emi-liano della catena appenninica ma alconfine con il Pistoiese, storicamentegravitante su Firenze e verosimilmentefornitore di maestranze nella fase diinsediamento e ricostruzione. Ecco, sepensiamo che al tempo di Girardi, ecioè a quarant’anni dall’arrivo deicoloni, il paese contava 800 animedistribuite in 160 famiglie (il più popo-loso dei tre), si può capire non solol’impressionante crescita demograficadei primi decenni, ma anchel’incidenza di tutte queste componentietniche nel magma razziale di quellafase “costituente”.

E siamo ad Arlena, per la quale abbia-mo ugualmente le cronache di entram-bi i funzionari ducali. Anche in questocaso conviene premettere la relazionedello Zucchi, perché quella del Girardi,antecedente e dunque più vicina cro-nologicamente ai fatti narrati, integral’altra con notizie che ne costituisconoaggiunte o precisazioni significative:

Lontano da Tessennano circa duemiglia; questo è luogo, che fa oltre acento fuochi, e trecento anime circa...[...] Si staccarono alcune famiglie diLerona di quella di Orvieto, e con il con-senso dell’Emo S. Card. Alessandro ven-nero a vedere il luogo, ed essendoglipiaciuto, se gli dettero terreni per pian-tar vigne, e per sementare a lor sufficen-za, e siti per fabbricar case con esentar-li per anni 10 di non pagar cosa alcuna,quali passati dovessero tanto dellevigne, che delle case fabbricate pagareil doppio a V.A. a riconoscimento, sicco-me pagano; e tuttavia si va fabricando,concorrendovi gente sempre di quelPaese ad abitarvi....

(Benedetto Zucchi)

Il Castello di Arlena fù fondato l’anno1575 da novi habitatori, che vennero daLerona terra di Orvieto, et funno condot-ti in quel luogo famiglie 40 per opera diGerardo Gerardi, et quivi non era necase, ne habitatori, et hora ne sono finoa 100 fabricate da loro. Sono circa 400anime, et pare cosa miracolosa come insì piccolo spazio di tempo costoro habbi-no potuto fare queste Case per esserepoveri huomini, et tutti contadini. Quan-do vennero ad habitare fecero alcunecapitolazioni per 10 anni, doppò li qualisi doveva fare nove capitolazioni, qualsi-n’hora mai sono stati fatti…

(Francesco Girardi)

Poveri huomini, et tutti contadini

Le osservazioni da fare sono moltepli-ci. Intanto che sono passati quindicianni dalla colonizzazione di Piansano eventi/venticinque, se non più, da quel-la di Tessennano, a conferma diun’operazione complessiva che, peressere durata un quarto di secolo, dicedell’importanza annessa al progettodai suoi due massimi ideatori, il cardi-nale Alessandro e sua madre laduchessa, unici e ultimi, nella latitanzadel casato, a preoccuparsi del poten-ziamento dello Stato. La logica, ovvia-mente, non poteva ancora essere quel-la della riforma agraria di quest’ultimodopoguerra, vòlta anche al migliora-mento delle condizioni di vita e quindiall’elevazione culturale e civile dellepopolazioni rurali; l’obiettivo era ilrecupero di terreni improduttivi per ilpotenziamento complessivo delloStato, come sostanzialmente si è man-tenuto fino a tutta la prima metà del‘900 nella legislazione in materia dibonifiche. Ma per l’epoca era indubbia-mente un progetto di grande saggezzae lungimiranza.In secondo luogo va osservato che, adifferenza degli altri due centri, nonc’era ad Arlena una popolazione dinativi. Nel medioevo c’era stato uncastello con le sue brave vicende guer-resche ma si trovava due o tre migliapiù a nord, sul colle di Civitella dovetuttora rimangono dei ruderi. E unavolta abbandonato il maniero in pessi-me condizioni, non aveva avuto fortu-na neppure un successivo tentativo diriconversione d’uso da parte di unacomunità monastica. Sicché i nuoviarrivati lo ignorarono del tutto e prefe-rirono edificare ex novo su uno spero-ne tufaceo più a sud, un baluardo natu-rale a forma pressoché circolare do-v’era “una Roccaccia antica diruta” esignificativamente indicato tuttoracome Castelvecchio.Poi va notata la provenienza dei colonida un unico e ben preciso centro, Alle-rona, oggi in provincia di Terni eall’epoca sotto la giurisdizione diOrvieto. Mentre Piansano pareva un“laboratorio razziale” e i perugini diTessennano (aggiuntisi in ogni caso ainativi) si possono immaginare origina-ri di più località di quel contado, ossiale più funestate da scorrerie e devasta-zioni, nel caso di Arlena c’è il contrattonotarile preciso tra i Farnese e i Monal-deschi di Orvieto e il riferimento ad

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I primi nuclei abitativi dei tre centri citati:1. ‘L dentro a Tessennano2. Castelvecchio ad Arlena3. La Rocca a Piansano (come dipinta nel 1592 daAntonio Ligustri nel soffitto della sala regia del comu-ne di Viterbo)

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come l’esperienza di Piansano potreb-be aver suggerito per Arlena scadenzepiù dilazionate nel tempo per dar piùrespiro alle popolazioni.

Per tutti e tre i paesi, in ogni modo, sipotrebbero mettere in evidenza aspet-ti comuni, oltre a quello citato all’iniziodi essersi costruiti le chiese a propriespese e di provvedere al mantenimen-to del parroco eleggendolo a tempodeterminato. A cominciare dalla ri-strettezza del territorio. Perfettamentecomprensibile, dato l’incastonamentodelle nuove comunità in una geografiaamministrativa consolidata. Gli spaziassegnati sembravano riserve indianein miniatura, di uno o due miglia in lun-ghezza e altrettanti in larghezza, e lerichieste di espansione per semine epascoli erano inevitabili. I tessennane-si si salvavano andando a lavorare aSan Giuliano, una tenuta nel territoriodi Toscanella di proprietà del vescovodi Viterbo, e nonostante ciò dovetterougualmente acquistare la macchia delTurlo, che i confinanti caninesi aveva-no donato alle loro “Altezze Serenissi-me” e queste avevano rivenduto ai tes-sennanesi. Anche gli arlenesi andava-no a seminare a San Giuliano, ma chie-

Allerona è univoco. Una esclusivitàche si conferma nella relazione delloZucchi, quando scrive che “tuttavia siva fabricando, concorrendovi gentesempre di quel Paese ad abitarvi”; ossiache nel 1630, a 55 anni dall’arrivo deiprimi coloni, continuava a venire genteda Allerona e a costruire case per sta-bilirvisi definitivamente. Segno di con-dizioni di partenza disperate e di pro-spettive non disprezzabili nella nuovapatria, oltre che di richiami parentali eamicali perduranti nel tempo. Una“monotemacità etnica” - pur senzaescludere altri minimi apporti - chenon può non aver influito sul caratterecollettivo della popolazione e sul suomodo di porsi nel vicinato. E in que-st’ottica parrebbe di dover inquadrareanche il gemellaggio di qualche annofa, quando, a seguito della ricostruzio-ne storica fattane dallo studioso allero-nese Claudio Urbani, delegazioni deidue paesi si sono scambiate le visite ead Arlena è stata intitolata una nuovapiazza ad Allerona, “luogo delle originiarlenesi”.Infine non passi inosservato un parti-colare di non poca importanza: il ter-mine di dieci anni per “non pagar cosaalcuna”, ossia l’esenzione da qualsiasitassa su case, vigne e terreni per lasemina. Trascorsi i quali, si sarebberodovuti stipulare nuovi accordi cheavrebbero potuto prevedere addirittu-ra di “pagare il doppio”. Ma solo altempo dello Zucchi (1630) se ne ha dinuovo notizia, perché ancora nel 1600Girardi scrive che le “nove capitolazio-ni sin’hora mai sono stati fatti”. Il chevuol dire che quei “poveri huomini, ettutti contadini”, dopo venticinque annidi permanenza non erano ancora nellecondizioni di poter pagare le tasse. Lacosa è ancor più significativa se simette in relazione con il “privileggio”piansanese del 28 gennaio 1561, ossiale condizioni che quindici anni prima il“gran cardinale” aveva posto ai coloniaretino-orvietani. In quel caso il termi-ne di esenzione dalle tasse era di cin-que anni per le case e di tre per pasco-li e terreni seminativi ottenuti daldisboscamento, mentre si sarebberodovute pagare subito l’erba per ibestiami e le eventuali contravvenzio-ni per danni. Vero è che Girardiriferisce per Piansano anche di rimo-stranze e strascichi di trattative perfranchitie, essentioni, fide e datio, ma,appunto, è la dimostrazione di quantofosse tribolato il “prendere il via” e di

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che ebbe modo di conoscere Piansa-no ai primi dell’800, ne scolpì un’im-magine impressionante: “... Castellottodi duri coltivatori che in dieci anni haraddoppiato la popolazione, datasi adistruggere selve con ferro e fuoco percavare grano dal suolo che le cenerifecondano”.Una nota di gentilezza, comune ai trecentri come a tutti gli altri, è invece lapresenza delle api, di cui i cronisti sifanno scrupolo di riferire. L’alleva-mento delle api per la produzione delmiele - come ha fatto notare anche ilnostro Romualdo Luzi -, che nel ‘500,prima della diffusione dello zucchero eancora a lungo nelle campagne, era ildolcificante di più largo consumo.Per finire, si sarà notata, nelle crona-che relative a Piansano ed Arlena, lamediazione di un personaggio cheinterviene a nome del duca Ottavio:Giraldo Giraldi, nobiluomo fiorentinoal servizio dei Farnese come “maestrodelle entrate” nel Ducato di Castro,zio del “computista” e cronista Fran-cesco che non manca di ricordarlo. E’lui che firma, promette, concede. Eporta a termine le operazioni. Tantoche, in compenso dei servigi resi, nel1575 fu premiato da Ottavio con casee terreni sparsi per il Ducato. Tra diessi, una considerevole estensione diterra anche a Piansano, evidentemen-te la stessa che oggi porta il suonome, Giraldo, con i resti dello storicocasale del Giraldo, appunto, in bellissi-ma posizione panoramica sul lago e ilvasto orizzonte a mezzogiorno indirezione della Maremma. E’ una con-ferma del lavoro di supplenza di que-sti fedeli servitori dello Stato, chesicuramente frequentarono e si dedi-carono a questa terra più dei loropadroni lontani.

Tasce, polennàre e magnasomàre

Una storia sofferta, come si è visto.Anche se è difficile averne una visionea tutto tondo, costretti come siamo acoglierla fra le righe di una documenta-zione scarna e per certi aspetti “for-viante”. Non fu una Terra Promessa dilatte e miele, per quei coloni, che vidovettero sopravvivere a prezzo difatiche e stenti. E vi forgiarono, almenoi piansanesi, il loro destino di contadi-ni in diaspora per tutta la loro storiasuccessiva. All’ansia delle famiglie inviaggio - come si coglie nel bellissimodipinto di copertina di Louis Le Nain -

di provenienza. Dalle cronache altome-dievali veniamo a sapere che a Piansa-no c’era una chiesa dedicata a Sant’Er-colano, ma di essa non è stata più tro-vata traccia neppure a livello docu-mentale, e dalla colonizzazione in quail protettore è stato non a caso unsanto toscano, Bernardino da Siena,cui è dedicata la chiesa parrocchiale.Stessa cosa per la parrocchiale diArlena, dedicata a San Giovanni Batti-sta (compatrono anche a Piansano), ela chiesina di San Rocco, i cui titolariprovenivano dal culto secolare inAllerona. Ed è comprensibile che,essendosi costruiti le chiese a lorospese, quei coloni abbiano volute dedi-carle ai “loro” santi.

Un dato generalmente comune all’inte-ro territorio del Ducato, ma del qualequi troviamo spiegazione, è quello del-l’importanza del vino nell’economiadella zona (così come in genere nellacultura contadina). L’espressione ri-corrente per tutte le Terre e Luoghi è:“vi si raccolgono buonissimi vini”, e neicapitolati è sempre espressamenteprevista la voce sulla piantagione delleviti. Nel solito “privileggio” piansanesedel 1561, addirittura, essa viene subitodopo quella sulle case da costruire,come una conditio per l’insediamento:“Se li concede Some 4 di terreni smac-chiati per vigne”. Attenzione: terrenigià smacchiati e pronti per la pianta-gione, non da disboscare come quelliper la semina. E in estensioni e quanti-tativi per il consumo interno, non per ilcommercio. Verrebbe quasi da pensa-re ad una funzione “sociale” del vino,ad un “oppio dei popoli” favorito dalleautorità proprio come sedativo delletensioni sociali e sfogo alle tribolatecondizioni di vita delle classi più mise-rabili. Non per nulla Piansano ha le col-line con le viti nel proprio stemma co-munale, anche se oggi non vi si trovapiù una vigna ch’è una.E poi c’è questa facoltà di smacchiare,disboscare per ricavarne terreni dasemina. Una pratica in cui si consu-marono quei senzaterra venuti conl’accetta e che è all’origine del rappor-to competitivo con l’ambiente entratonella loro cultura, la concezione diuna natura matrigna da cui difendersie con cui competere in lotta impariper strapparle il pane, la sopravviven-za. E la pratica del róggio, consistentenel bruciare sterpi e arbusti dopo iltaglio degli alberi. Francesco Orioli,

devano un centinaio di some di boscotra le località Valfrascana e Valviso peril pascolo dei loro bestiami, mentreper le stesse esigenze i piansanesi nechiedevano duecento, di some, “à con-fini di Toscanella dalla fonte di Paolo ingiù”. Pressioni incontenibili che nonsarebbe stato possibile non soddisfa-re, ma che intanto erano causa di attri-ti con le comunità confinanti dandoorigine, alla lunga, a molti “blasonipopolari”.

Altra caratteristica comune ai tre cen-tri è il tipo di sviluppo urbanistico,costituito da un nucleo originarioaccorpato e da una espansione longili-nea ai lati della strada di accesso danord: una “testa”, più o meno grande osformata, e un esile “corpo” più omeno rettilineo verso zone più alte epanoramiche: ‘l Dentro e ‘l Sòdo di Tes-sennano; la Rocca e ‘l Pòggio di Piansa-no; Castelvècchio e il rettifilo fino a leTufalétte di Arlena; che a volte si colo-rano anche di vaghe connotazioni clas-siste e addirittura politiche. Sono evi-dentii condizionamenti di natura oro-grafica comuni a tanti centri della“civiltà del tufo”, ma non deve esservistata estranea la “frettolosità” di uninsediamento a tamburo battente. Lostesso che a Girardi faceva apparire“cosa miracolosa come in sì piccolo spa-tio di tempo costoro habbino potuto farequeste Case...”. E’ che nell’atto notariledegli alleronesi/arlenesi (avete notatola singolare somiglianza onomastica?)si prescriveva che i coloni... “in capo adieci anni avranno fabbricato casemurate per loro abitazioni, alla pena di25 scudi da levarsi incontinente a quellafamiglia che avrà mancato di adempie-re...”. Sembra di riudire le clausole deipatti agrari per poderani e simili deglienti di riforma fondiaria: l’obbligo diresidenza sul fondo, che trova nellacasa in muratura la sua prima condi-zione. Non abbiamo prove di prescri-zioni analoghe anche per gli altri duecentri, ma l’eccezionale incrementodemografico di Piansano dei primidecenni, e quel “Borgo per due volte diquel che è dentro” di Tessennano sem-brerebbero proprio confermarlo.

Dalle due cronache secentesche citatenon abbiamo molte informazioni suicompatroni di Tessennano, i martiriSan Felice e San Liberato, ma per Pian-sano e Arlena è evidente un quarto ele-mento comune, e cioè quello di esser-si portati dietro i loro santi dai luoghi

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dovettero aggiungersi le crudezze del-l’impatto, gli scoramenti, le diffidenzenon proprio velate di vicini vecchi enuovi.Lo studioso Francesco Petroselli, che aseguito di una lunga e paziente ricercasul campo pubblicò nel 1978 i “Blasonipopolari della provincia di Viterbo”, ciha lasciato un quadro degli epiteti checorrevano tra le comunità. Etichettatu-re collettive sempre esistite tra gruppiumani e perlopiù esagerazioni carica-turali di abitudini e usanze vere o pre-sunte. Ma che nondimeno, nella lororozzezza, possono dare un’idea dellapercezione di queste nuove plebi rura-li nel territorio. Ad uscirne un po’ me-no peggio sono i tessennanesi, forseper le più ridotte dimensioni di quellacomunità e la non eccessiva “invaden-za”. Se ne rimarcava la litigiosità inte-stina (èreno sempre col codice ‘n sac-coccia, pe’ la strada de la pretura de Va-lentano) e alla fine l’epiteto più ingiu-rioso era quello di tasce: perch’èrenotutte ‘mbucate su ppe’ que le buche, co-me le tasce, i tassi, personificati come“ritirati” e un po’ “scruticce”, tra pigno-li e scontrosi. A dirlo erano i più diret-ti confinanti, soprattutto caninesi earlenesi. Questi ultimi ricambiati comepolennàre, perchè quanno stavono giùtutte ne’ le guitterie de Torlonia magnà-vono la polènna. Paese povero, Arlena,do’ se mòre da la pena. In compensobastava saperli prendere: Chi vva’ Arle-na, si ce pranza nun ce cena. Però si ‘nnè ‘n cojone, ce fa pranzo, cena e ccolaz-zione.

Ad essere bollati con più veemenza, eda un maggior numero di vicini, eranoi piansanesi, il cui blasone più benevo-lo era quello di magnasomare (da qual-che episodio o abitudine reale?). Parti-colare inconfondibile era l’accentotoscaneggiante (se conoscheno subbitoal parla’), con l’uso di alcuni terminiaretino-senesi (valga per tutti citto perbambino, neonato) e l’inflessione mu-sicale, quasi cantilenata, motivo didileggio. Dopodiché c’erano le acrimo-nie degli arlenesi (Mena ch’è dde Pian-sano! Ecca ‘n piansanese, ‘nnamojj’ammena’!), forse per un istinto di rivin-cita - in questa guerra tra poveri - versoil vicino più popoloso che, da partesua, lo ricambiava con ugual moneta(Mena ch’è dd’Arlena! Ce va pure derima!) e anche un po’ di sufficienza (Maannate ggiù dal vostro San Rocco piago-so!). I tuscanesi ne mettevano in evi-denza la sporcizia (Piansano zozzo, inuso anche a Tessennano; oppure Pian-sanese cipicciose, perché ll’acqua nunc’era, se lavàveno quanno venivano aMaremma) e l’ignoranza primitiva(Quello è ‘n piansanese! un omo de lecaverne!; oppure Pò esse’ ‘na personaperbene? E’ ‘gnorante, è ‘n piansanese ebbasta!). Mentre a Valentano - che conTuscania ha rappresentato per Piansa-no l’asse storico di riferimento, cono-scendone poi l’uguale destino contadi-no - se ne sottolineava sia la diasporabracciantile (Io ll’ho trovate per tutto,ll’ho ttrovate a Mmontefiascone, l’hottrovate a Ttarquinia, l’ho ttrovat’aGgrosseto le piansanese...), sia, soprat-tutto, la rudezza istintiva e risoluta,

quell’essere tagliati con l’accetta (Per-chè Ppiansano vjèngono da un sangueforte. ‘Ffittivamente forte. Che llòro sò’bbestiali. Lòro ammazzà’ un cristiano,cor curtello, co’ la ronca, ma manco jjepariva niente. Piansanese solo che, se teletecave, dicévono sùbbeto: ao’, e noescurtellamo!)...

Che vuol dire, alla fine, tutto questo?Che se ogni convivenza è difficile, figu-riamoci in presenza di differenti lin-guaggi, storie, usanze. Caratteristichedestinate in ogni caso a mescolarsi -piaccia o no - nel processo evolutivocontinuo di popoli e culture. Il risulta-to non può essere quello di un perden-te e un vincente, ma di un insieme“altro”, nato dall’incontro/scontro epoi, inevitabilmente, dalla osmosi.Ed ecco il richiamo, potente, all’attuali-tà. Di fronte all’esodo biblico di interepopolazioni non si tratta di essereintransigenti o buonisti, ma di prende-re coscienza dei meccanismi che rego-lano il cammino della storia e anzil’evoluzione della specie. Certamente èanche un problema etico, di fronte aun’ecatombe quotidiana di esseriumani sospinti dalla disperazione; difronte al cuore gonfio delle genti inviaggio cui rimanda l’immagine dicopertina: quel padre dallo sguardoperso nel vuoto, i bambini adulti anzi-tempo, la pena compressa di quellamadre. Così simile alle madri in fuga dioggi. Tra le quali c’è solo una differen-za di forme e proporzioni. Perché “ildolore... ha una voce e non varia”.Ma prima ancora il dramma odierno èuna sfida razionale, da esseri pensanti.Che richiede confronto con il fenome-no, risposte mature, complesse e dilungo termine. Che non devono esseredate perché “lo dice il papa”, ma per-ché negarle sarebbe una sconfitta del-l’uomo. Come di chi vorrebbe preser-vare una identità culturale impedendo-ne il confronto e/o la convivenza conaltre. Come se tali identità si potesserorecintare in uno spazio fisico e non fos-sero nella coscienza delle collettività,un portato della loro storia, soggette amodificarsi con il modificarsi stessodella storia. Non è determinismo nérassegnazione fatalistica. E’ la faticadella condizione umana. Che ci mettecontinuamente alla prova e richiedevisione e lucidità. Come nel lividore diun’alba. Fredda. E che insieme porta laluce del giorno nuovo.

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“... Poveri huomini, et tutti contadini...”. Nel verismo impressionante di questo dipinto di Teofilo Patini (Vangae latte, olio su tela del 1884, Roma, ministero dell’Agricoltura) c’è la condizione delle plebi rurali come si èmantenuta fino alla metà del ‘900, che certamente non poteva essere migliore quattro secoli ancora prima

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Dei 61 milioni di cittadini pre-senti in Italia alla fine del2015, circa 15 milioni aveva-no più di 60 anni. Con una

speranza di vita di circa 20 anni pergli uomini e di 25 per le donne.Questo vuol dire che per i prossimiventi-venticinque anni questi 15milioni di italiani (che nel frattempodiventeranno molti di più!) vivrannoin paesi e in città che non sono stateprogettate sulle loro esigenze. A dirla verità si tratta di paesi e di cittàche non sono state progettate pernessuno, perché gli architetti e gliingegneri che le hanno costruite ave-vano altro per la testa che pensarealla situazione della vita giornalieradelle famiglie giovani, dei single,delle coppie di anziani o degli anzia-ni rimasti soli. Le città, soprattutto lecittà, si sono sviluppate all’insegnadella speculazione edilizia, dellemazzette agli amministratori, ai poli-tici, ai funzionari che si sono lasciaticorrompere; dei proprietari dei ter-reni dove si poteva costruire e chehanno creduto di avere vinto al Toto-calcio; per compiacere la grandedistribuzione e i suoi centri commer-ciali; per fare spazio agli autoartico-lati e alle macchine sempre più gran-di e sempre più veloci (oltre chesempre inquinanti).Noi siamo diventati vecchi soppor-tando tutto questo, adattandoci atutto questo, spesso senza renderciconto delle trasformazioni che avve-nivano mentre noi stavamo invec-chiando. E ora ci troviamo a vivere incittà che sono oltremodo scomode esoprattutto che non hanno nessunriguardo né per i più giovani né pertutti i vecchi.Cosa voglio dire? Facciamo l’esem-pio di Viterbo.

Il Centro storico - dove i vecchi checi sono sono quelli che vi avevanocominciato a vivere quando eranogiovani - il Centro storico è a misuradei turisti (però senza quei serviziche i turisti reclamerebbero - e nonmi riferisco agli introvabili gabinettima ad esercizi commerciali dignito-si, a strade praticabili, a segnaleti-che efficaci, ad edifici più curati - )ed è a misura dei perditempo deifine settimana. Niente per i giovani,niente per i vecchi. Niente asili nido,niente scuole materne ed elementa-ri, niente strade dove si possa cam-

minare, niente luoghi per giocare eluoghi per stare; e per gli anzianiniente luoghi di incontro e di socia-lizzazione (per non parlare di cine-ma, teatri, sale da the e da lettura),niente attrezzature per curare i loropiccoli acciacchi, niente strutture disupporto per agevolare la loro vitaquotidiana.E i nuovi quartieri fuori Viterbo?Avete mai visto un quartiere che nonsia una teoria di caseggiati e di stra-de con le macchine parcheggiate? Ilquartiere che dovrebbe essere illuogo dove si vive 24 ore su 24 e do-ve si sta insieme quando il lavoro e lascuola sono finiti, dove ci si incontraquando siamo in ferie o in pensione?Com’è possibile incontrarsi a SantaBarbara o al Salamaro o a SantaMaria dell’Elce sulla Cassia Sud? Eavete mai trovato in questi quartierile attrezzature per il vivere dei bam-bini e quelle per il vivere degli anzia-ni? E avete notato se per caso gli edi-fici e gli appartamenti negli edificisono stati ideati e costruiti per i pic-coli che vi andranno ad abitare o pergli anziani che vivranno in queicasermoni per venti e più anni dopoche sono andati in pensione? Larisposta è no. Perché i nuovi quartie-ri delle nostre città sono il prodottodella speculazione e quando nonsono il frutto della speculazionesono soluzioni senza una filosofiadell’abitare, senza un ragionamentosu chi vi andrà ad abitare ma solo suchi comprerà quell’appartamento osu chi affitterà quell’altro apparta-mento.

Queste sono le nostre città, per lamaggior parte dei casi. Queste città

sono le prigioni dei bambini e sonogli ospizi dei vecchi.

Quali sono le necessità che caratte-rizzano la terza età? In fondo nonsono molte e sono abbastanza facilida affrontare. Abbiamo più spessobisogno del medico e degli ambulato-ri per piccole cose: tenere sotto con-trollo la pressione, la glicemia,l’artrite, fare iniezioni. Quindi abbia-mo bisogno di servizi di primo soc-corso che siano vicini. Abbiamo piùtempo per noi e per gli altri che spes-so non sappiamo dove passare.Quindi servono spazi comuni, giardi-ni, parchi, biblioteche, cinema, orti,strade dove passeggiare senza esse-re investiti dalle macchine. Abbiamobisogno di non sentirci soli e di nonisolarci: ci servono associazioni do-ve stare con gli altri e luoghi, so-prattutto noi nel Mezzogiorno d’Italia, all’aperto. Abbiamo il tempo perandare a visitare meglio la nostracittà e le altre città, in Italia e all’este-ro: non ci sono servizi turistici dedi-cati a questa fascia d’età che tenganoconto delle esigenze particolari chehanno gli uomini (e le donne) di unacerta età. Quando i pullman turisticiscaricano le comitive a Viterbo aPiazza del Sacrario, la prima informa-zione che dovrebbe essere data èquella che non esistono - o quasi -bagni pubblici a Viterbo. E questospesso costringe i turisti a ridurre iltempo della loro permanenza incittà! Abbiamo infine bisogno di unacasa che sia a misura nostra e dinostra moglie o compagna che sia: ifigli sono grandi e certamente nonstanno con noi e quindi la casa cheavevamo un tempo oggi rappresenta

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LucianoOsbat

Un’altracittàpossibile:vogliamouna cittàper tuttele età

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solo un costo non giustificato. Pa-ghiamo i servizi che ci vengono pre-stati in relazione alla grandezza dellacasa anche se quella casa per 364giorni l’anno è occupata solo da noidue. Perché questo spreco? Perchéci siamo affezionati? Perché nonvogliamo cambiare le nostre abitudi-ni? Perché quella casa è l’eredità deinostri genitori o abbiamo fatto tantafatica per costruirla? E allora tenia-moci tutto quello che abbiamo eattrezziamoci a finire la nostra vita inuna Residenza Sanitaria Assistenziale(RSA), se avremo abbastanza soldiper pagare la retta. Magari in un pae-se che non è il nostro, accanto a per-sone che non abbiamo mai visto.

Ma ci sono alternative serie a questofinale? Sì, si possono costruire cittàdiverse, quartieri diversi, case diver-se ad uso di chi le deve abitare e nonad uso di chi le vuole costruire o civuole speculare. Proviamo a vederecosa accade all’estero e anche in Ita-lia dove i problemi dei bisogni deigiovani e degli anziani sono tenuti inmaggiore considerazione. E in modomolto speciale quelli degli anziani.

E’ da una trentina d’anni che negliStati Uniti, in Svezia, Danimarca, O-landa, Francia, Spagna il problema hacominciato ad essere affrontato. Ehanno iniziato a costruire case per laterza età (su di un unico piano o supiù piani ma con servizi adeguati,grande quanto basta per la vita didue persone, con quegli accorgimen-ti che la rendono meno costosa,

etc.). Poi hanno cominciato a co-struire complessi per abitazioni cheandassero bene per gli anziani maanche per i più giovani. Infine sonopassati a progettare e a realizzarequartieri interi che hanno questecaratteristiche: spazi e attrezzatureper i più giovani (in particolare per ibambini); spazi e attrezzature per ipiù anziani (in particolare per quelliche hanno una mobilità ridotta), ser-vizi di sostegno alle giovani famiglie,servizi di sostegno alle personeanziane o che cominciano a nonessere più totalmente indipendenti.

Da qualche anno le prime sperimen-tazioni in questa direzione si sonofatte anche in Italia. Se ne parla diffu-samente in una pubblicazione chepotete scaricare da Internet che met-te a confronto le esperienze italiane(a diversi gradi di autonomia o dinecessità delle persone anziane) conalcune esperienze straniere: Abitareleggero. Verso una nuova generazionedi servizi per anziani, a cura di Fabri-zio Giunco (Collana “Quaderni del-l’osservatorio”, n. 17, 2014; scarica-bile da www.fondazionecariplo.it/os-servatorio).Nel capitolo finale della pubblicazio-ne si fa riferimento ad alcune espe-rienze realizzate in diversi paesi,esperienze che hanno in comune iltentativo di dare soluzione a sistema-zioni abitative per anziani ancoraautonomi ma che hanno la necessitàdi avere strutture e servizi adeguatialla loro età e alla loro condizione:

Seniorcitizenlabel (Olanda), Habitatréamenagé (Francia), VieDome (O-landa), Grannyannexe (Francia), En-semble 2 Générations (Francia), Loge-ment-Foyer (Francia), Continuing CareRetirements Communities (USA), Sa-myres Residences (Spagna), Vivien-das doctacionales (Spagna), Le Bal-loir (Belgio), Quartiere Solidale Pro-senectute (Svizzera), Nursing Dwel-lings (Danimarca), Extra-care housing(Gran Bretagna), Home-care (Svezia,Norvegia).Se avete la pazienza di cercare inInternet notizie su queste esperienzetroverete un mare di informazioni epotrete verificare da voi le assonanzee le differenze tra i diversi casi. E’ ilsegno che le città si stanno attrezzan-do per affrontare un problema chenon è mai esistito in precedenza: lapopolazione anziana che non è più inattività di lavoro diventa più numero-sa di quella che va a lavorare.In Italia, per muoverci in questa dire-zione, al di là delle difficoltà chesono legate al fatto che non credia-mo mai di essere noi quegli anzianiche hanno bisogno di pensare a solu-zioni di questo tipo, ci sono vincolinormativi sia di carattere urbanisti-co che nelle leggi sanitarie, chevanno modificati per adattarli ad unasituazione che è il contesto in cui simuove ormai un quarto e domani unterzo della popolazione del paese.La prima condizione per poter conti-nuare a pensare di poter aiutare inostri figli e i nostri nipoti è pensarea noi stessi e al nostro futuro, non infunzione di un estremo gesto di egoi-smo ma per risolvere, accanto ainostri problemi, quelli di una societàche sta invecchiando e che continuainvece a vivere come fosse sempregiovane.Forse è importante che nelle nostrecittà si tappino le buche delle stradeperché le macchine possano andaresenza rompere le gomme e le sospen-sioni, ma forse è più importante chenelle nostre città si cominci a proget-tare quei cambiamenti che rendonola città vivibile per noi e non per lemacchine. Questo è il momento percapire l’importanza del problema eper chiedere le soluzioni adeguate.Sempre che si voglia cambiare qual-cosa nel nostro futuro e nel futuro diquelli che vengono dietro di noi.

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Oltre al turismo tradizionale, ai pellegrini che per-corrono la via Francigena ed il turismo termale,la provincia di Viterbo è stata scoperta daun’altra fascia di stranieri: quelli che scelgono di

proseguire i loro studi qui. Esistono sul nostro territorioscuole di vari livelli, dalla scuola primaria ai corsi di spe-cializzazione in arte, conservazione di beni librari earcheologici, aggiungendo valore e portando risorse.

La prima scuola straniera ad impiantarsi a Viterbo nel2001 è la SYA (School Year Abroad, Anno scolasticoall’estero) che ha sede in un antico palazzo affrescato aVia Cavour, nel centro storico di Viterbo. Jeff Bradley ePatrick Scanlon, insieme a insegnanti residenti a Viterboe ad altri provenienti dalle scuole americane associate,hanno guidato la scuola e più di 800 studenti si sono inse-riti nella vita cittadina grazie alle famiglie locali che liospitano. Gli studenti di 16-18 anni provengono da tutti i50 Stati americani e vengono a Viterbo attratti dall’oppor-tunità di studiare in situ materie classiche: italiano, latino,storia dell’arte e storia antica (vedi www.sya.it).

A Tuscania dal 2005 opera l’Istituto Lorenzo de Medici consede centrale a Firenze. Qui circa 80 studenti americaniall’anno, anche durante i mesi estivi, seguono corsi di sto-ria, arte culinaria, lingua italiana e archeologia, scavandoinsieme a studenti italiani. Novità sono i corsi sull’agricol-tura organica per conoscere i prodotti della Tuscia, l’oliod’oliva e i vini (Wines of Italy, Wine Business, pairing wineand food) (vedi www.ldminstitute.com).

Dal 2006 l’USAC (acronimo di University Study AbroadConsortium) lavora insieme all’università della Tuscia peroffrire corsi a migliaia di studenti provenienti da circa 70università americane. I corsi si tengono durante tuttol’anno e spaziano dalla lingua italiana agli studi storici,alla scrittura creativa, al cinema e alla fotografia. USAC haaltre sedi in Italia: a Torino, Reggio Emilia e Verona (vediwww.usac.org e foto 1 e 2, nella prima delle quali è presen-te l’autrice del presente articolo, per alcuni anni inse-gnante USAC e collaboratrice della Scuola SYA, ndr).

Per i più piccoli, dal 2010 la St.Thomas’s InternationalSchool accoglie bambini (fino alla 5

aelementare) di fami-

glie che desiderano avere una formazione in inglese. Ven-gono da tutto il territorio della provincia di Viterbo,dell’Alto Lazio e anche di Orvieto. La scuola ha sede in unpalazzo accanto alla chiesa della S. Trinità, che era primaun seminario (vedi www.stthomass.com).

A luglio la città di Viterbo è popolata da molti anni dagruppi di giovani studenti/artisti della Montserrat Collegeof Art, scuola d’arte, insieme all’artista Fred Lynch. Viter-bo, e specialmente le vie e gli edifici medioevali, diventa-no per loro un’aula scolastica all’aperto (vediwww.drawingviterbo.blogspot.it e foto 3).

Northwest Institute for Architecture and Urban Studies inItaly, ovvero NIAUSI, conosciuto come Civita Institute,esiste per promuovere l’eccellenza del design attraversol’educazione e lo scambio culturale tra gli Stati Uniti el’Italia. La loro sede a Civita di Bagnoregio è una calamitaper insegnanti e artisti che amano l’Italia. Ogni anno

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Mary Jane Cryan

Scuole internazionalie turismo scolastico

Foto 1Viterbo, loggia papale. L’autrice del presente articolo (prima seduta a sinistra)e una classe di studenti USAC

Foto 2Studentesse dell’USACin visita al Colosseo

Foto 3Fred Lynch con i suoi studenti

a Viterbo, anno 2015

dallaTuscia

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l’artista Stefania Bower, di Seattle, porta piccoli gruppi diartisti a vivere “sotto il sole della Tuscia” (vedi www.civi-tainstitute.org e foto 4).

La stessa cosa succede a Civita Castellana, grazie a Mad-dine Insalaco e Joe Vinson da New York e l’artista israe-liano Israel Hershberg. I quali organizzano ogni primave-ra e estate workshop di pittura en plein air, seguendo leorme di Corot e altri artisti del Grand Tour che immorta-lavano i paesaggi del Monte Soratte, la valle del Tevere ela Via Flaminia (vedi www.landscapepainting.comwww.jssincivita.com).

La scuola di specializzazione Ecole Francaise de Romeeffettua a luglio degli scavi a Grotta Scalina, una localitàfra Viterbo e Tuscania, dove giovani archeologi francesifanno pratica di scavi e hanno riportato alla luce la storiaantica della nostra zona (vedi https://cefr.revues.org/255).

La biblioteca del seminario Barbarigo a Montefiascone ètornata a vivere grazie all'impegno della studiosa CherylPorter, che ogni estate porta studenti da tutto il mondoper insegnare loro come conservare e tutelare il patrimo-nio librario internazionale. Montefiascone ConservationProject organizza quattro settimane di seminari perbibliotecari, conservatori e persone interessati alla storiae conservazione di libri antichi (vedi www.montepro-ject.co.uk e foto 5).

Da quanto sopra esposto, si coglie solo in parte la poten-zialità esistente nella nostra provincia. Non tutti conosco-no queste realtà. Il compito che ci siamo assunti è quellodi propagandare e allargare le conoscenze, in modo dacontribuire allo sviluppo di qualità di questa branca dellavita sociale volto alle nuove generazioni.

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C’è una battaglia importante, che è rimasta finoradel tutto sconosciuta nei luoghi dove avvenne,sul confine tra la bassa Toscana e l’alto Lazio: la“battaglia di Montorio”, avvenuta il 7 maggio

1486 tra l’esercito del Duca di Calabria e quello pontificiodi Roberto Sanseverino; tuttavia stranamente questa bat-taglia viene da anni celebrata in Abruzzo a Montorio alVomano!Questo episodio militare va inquadrato nella “Guerradella Congiura dei Baroni”, insorta nel 1485 per icontrasti tra papa Innocenzo VIII e il re di Napoli, che nonvoleva riconoscere dal pontefice l’infeudazione del Regnomeridionale, rifiutandosi di pagare il censo dovuto secon-do un costume ormai secolare.Papa Innocenzo VIII allora appoggiò i Baroni del Regno,malcontenti e in rivolta contro re Ferdinando d’Aragonae contro l’arroganza del figlio Alfonso Duca di Calabria, eprese sotto la sua protezione anche la città de L’Aquila,che si era ribellata al re di Napoli. Ebbe così inizio unaguerra che vide coinvolti i maggiori Stati italiani, perchéLorenzo il Magnifico signore di Firenze e Ludovico ilMoro duca di Milano si unirono in lega con Napoli controil pontefice, aiutato invece dalla Repubblica di Genova;solo Venezia rimase neutrale, ma permise che il suo capi-tano Roberto Sanseverino, considerato il miglior condot-tiero d’Italia, potesse passare al servizio del papa. In que-sta guerra furono coinvolti anche gli Orsini, sia perchésfavoriti da Innocenzo VIII rispetto ai Colonna loro tradi-zionali nemici, sia perché imparentati con Lorenzo ilMagnifico, che aveva sposato Clarice Orsini; inoltre Nic-colò III Orsini conte di Pitigliano era al servizio di Firenzecome comandante generale delle truppe fiorentine.

Il duca di Calabria con un piccolo esercito napoletano eraentrato nello Stato della Chiesa, cercando di bloccareRoma con l’aiuto degli Orsini, ma dopo alterne vicende,Roberto Sanseverino aveva rotto l’accerchiamento del-l’Urbe e il duca di Calabria era fuggito, rifugiandosi a Piti-gliano nel gennaio 1486 per trasferirsi poi a Montepulcia-no.Profilandosi l’arrivo degli aiuti di Milano al comando delvalente condottiero Gian Giacomo Trivulzio, i collegatiavevano deciso di concentrare le loro forze proprio nellaContea di Pitigliano, strategicamente posta sul confinetosco-laziale e dunque base ideale per invadere lo StatoPontificio e marciare di nuovo su Roma. Nel mese dimarzo cominciarono ad affluire nella Contea i contingen-ti fiorentini, milanesi e napoletani con i loro capitani alsoldo della Lega: un numero rilevante di soldati, che inbreve arrivarono a 3000-3500 uomini, che si accamparonointorno a Pitigliano e a Sorano.Alla fine di marzo l’esercito della Lega doveva partire,raggiungendo Montalto e seguendo la via della costaverso Roma, ma giunse la notizia che Roberto Sanseveri-

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dallaTuscia

Foto 4Artisti americani del Civita Instituteal lavoro a Villa Lante (2016)

Foto 5 - Montefiascone Conservation Project

Angelo Biondi

La battagliadi Montorio (1486)combattuta sul confine tosco-laziale,stranamente celebrata in… Abruzzo

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legge 5489 del 24 giugno1888 legittimò la precedentenorma pontificia, rendendoanzi obbligatoria l’affran-cazione.Per comprendere meglio lasituazione, occorre men-zionare il fatto che le pro-prietà dei Doria-Pamphiliincludevano quasi tutto ilterritorio comunale e sicomponevano di terrenisia boschivi che seminati-vi. La contesa riguardava,in particolare, sia la quan-tità di terre boscose daaffrancare, sia il fatto che iproprietari intendevanotenere per sé quelle miglio-

ri, lasciando al popolo solo le parti di bosco più sassosee meno produttive.Gli abitanti di Grotte, Montecalvello e Vallebona diederoquindi luogo a una serie di manifestazioni e proteste,innescando una spietata campagna repressiva: in seguitoagli arresti, anche preventivi, alcune persone - purtropponon è dato sapere quante, né quali fossero i loro nomi -persero la vita in carcere. La drammatica situazione regi-strata a Grotte, lungi dal rappresentare un’anomalia,andrebbe analizzata in un quadro più ampio. Si prenda adesempio la situazione del contiguo centro di Sipicciano,dove, a partire dal 1879, si registrarono proteste analo-ghe in seguito alla decisione del conte Vannicelli-Casonidi esercitare il diritto d’affrancazione: la popolazionesubì prima la repressione dello stesso Vannicelli - cheorganizzò una serie di intimidazioni e veri e propri atten-tati ai danni degli abitanti - e poi quella dello Stato, conl’arresto di numerose donne e la loro detenzione pressole carceri di Bagnoregio.Tornando a Grotte, va detto che in tribunale si registraro-no ripetute vittorie giudiziarie dei Doria-Pamphili ai dannidella popolazione, rappresentata dal Comune di GrotteSanto Stefano. Il motivo principale di queste sconfitte vaforse individuato nel fatto che il Comune decise di impu-gnare il diritto di affrancazione da parte dei proprietari,invece di condurre la causa - come probabilmente sareb-be stato più opportuno - sulle modalità della divisione deiterreni. Ad ogni modo, le proteste si fecero via via piùorganizzate tanto che, al fine di coordinare meglio le agi-tazioni, si costituì la “Lega di resistenza dei contadini”, diispirazione marxista. L’organizzazione era guidata dalpresidente Giovan Maria Simonetti (Grotte Santo Stefano1845-1927), già garibaldino e poi brigante, che aveva dapochi anni finito di scontare una severa condanna ai lavo-ri forzati per le sue attività banditesche (vedi il mio arti-colo “Stava sèmpre a buca’, èra cume ‘na talpa”, in: la Log-getta - notiziario di Piansano e la Tuscia, XIV, 3, 2009).I fatti piu rilevanti di questa stagione di lotte avvenneronegli ultimi mesi del 1891, culminando il 2 dicembre inun’azione di resistenza della popolazione che impedì aiperiti giudiziali, accompagnati dalle autorità e dai rappre-sentanti delle forze dell’ordine, di apporre i termini dei ter-reni affrancati dai Doria-Pamphili. Ma andiamo per gradi.

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Nel XVII secolo nel territorio di Montecalvello -che includeva Grotte Santo Stefano e i terreni incui sarebbe poi sorta la frazione di Vallebona -, laproprietà privata era scarsamente diffusa tra la

popolazione, che doveva accontentarsi di lavorare leterre dei signori del feudo secondo contratti che consen-tivano la mera sopravvivenza. È in tale contesto che, nel1647, si inserì la concessione di papa Innocenzo X deldiritto di “seminare, legnare, ghiandare e pascolare suifondi di tutto il feudo”. Tale facoltà, da inquadrare inun’ottica di rilancio dell’economia dello Stato Pontificio,sancì la nascita dei diritti d’uso civico nella zona dinostro interesse.Nello stesso periodo Donna Olimpia Maidalchini Pamphi-li, favorita dai buoni rapporti con il papa, suo cognato,acquisì la proprietà del castello montecalvellese, fondatodai Monaldeschi del ramo del Cane. I Pamphili, in seguitoimparentatisi con i Doria, rimasero signori del feudo finoal suo scioglimento, avvenuto intorno al 1900. Di frontealla crescita demografica di Grotte, Montecalvello persegradualmente importanza, tanto che nel 1809 il Comunedi Grotte Santo Stefano fu riconosciuto ufficialmentedagli occupanti francesi, e Montecalvello e Vallebonadivennero le sue frazioni.Ho fatto cenno dell’importanza degli usi civici per gli abi-tanti del feudo, in massima parte poco abbienti e quasitutti occupati nei settori della pastorizia e dell’agricoltu-ra. Tali diritti vennero lesi da papa Pio IX, il quale, conuna notifica del 29 dicembre 1849 e diversi provvedimen-ti successivi, concesse ai proprietari il diritto di affranca-re i terreni gravati da usi civici in cambio di un indenniz-zo a favore della popolazione. Alla norma pontificia si eraappellato, circa tre lustri più tardi, il principe FilippoAndrea Doria-Pamphili, annunciando al Comune di Grot-te Santo Stefano di voler esercitare il dirittod’affrancazione su una porzione consistente del territo-rio, dando così il via a una stagione di tensioni durataoltre cinquant’anni, costellata di vicende giudiziarie,tumulti e occupazioni di terreni. Il neonato Regno d’Italia,proteso a superare l’esistenza degli usi civici, tramite la

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dallaTuscia

FlavioFrezza

Grotte Santo Stefano

La resistenza di contadini e pastoriall’affrancazione delle terre dei Doria-Pamphili

Piazza del Comune (oggi piazza dell’Unità)in una cartolina degli anni ‘20

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estatre 2016

Secondo le cronache locali - e, in particolare, secondol’edizione viterbese del settimanale Il Rinnovamento (6dicembre 1891) - la popolazione, al fine di tenersi aggior-nata sulle “mosse degli agenti della casa Doria e della poli-zia”, stabilì dei turni di informatori incaricati di osserva-re i movimenti degli estranei, sorvegliando in particolarela stazione ferroviaria e “pedinando i forestieri che capita-vano alla Locanda. Quando qualcosa d’importante fossestato alle viste, si doveva far battere un tamburo, e il popo-lo si sarebbe radunato per udire e deliberare”. Come è faci-le immaginare, “il tamburo fu battuto per quei poggi e perquelle valli parecchie volte”. La situazione si fece cosìcalda che il 25 novembre il sottoprefetto cav. Maisis sirecò personalmente a Grotte, tentando invano di calmaregli animi: “Niun dubbio o[r]mai che la forza brutale sisarebbe opposta al diritto proveniente dalla re-giudicata equindi necessità di agire con la prevenzione per evitare leluttuose conseguenze della repressione”. Nella notte delladomenica successiva, quindi, un delegato con alcuneguardie di pubblica sicurezza si recò nel paese per ese-guire gli arresti dei supposti “caporioni” delle proteste;ma se “cinque degli indicati, poterono senza troppe difficol-tà venir tradotti in arresto nella caserma dei Carabinierireali”, tale “operazione non poté esser terminata, perché ilpopolo svegliato dalle grida degli arrestati, sopraffece gliagenti di P.S. e malmenandoli e disarmandone qualcuno, lidisperse. Vi furono anche parecchi colpi d’arma da fuoco,chi dice sparati dalle Guardie, chi dalla popolazione, masenza conseguenze”.“In seguito a questi fatti”, prosegue l’anonimo cronista, lamattina seguente giunsero a Grotte “il Sotto-prefetto, ilprocuratore del Re, il Giudice istruttore, il Capitano deiCarabinieri con una quindicina di militi, un altro Delegatodi P.S. e due compagnie di truppa del 54º Reggimento.L’attitudine della popolazione era calma, ma sprezzante diqualunque conseguenza. […] Venne arrestato il tamburinoe altri quattro o cinque popolani che in presenza alle auto-rità parlavano forte. Nella serata le autorità fecero ritornoa Viterbo, lasciando sul luogo i carabinieri e la truppa”.La mattina di mercoledì 2 dicembre, giunsero in paese iperiti giudiziali che avrebbero dovuto apporre i termininella proprietà affrancata. Questi furono accompagnatidal sottoprefetto, dal delegato di Pubblica Sicurezza e dalCapitano dei Carabinieri, con carabinieri e truppa al loroseguito. Ma “colà una sorpresa li attendeva”: mentre gliuomini, invisibili ai loro occhi, osservavano le operazionidai boschi contigui, pronti ad intervenire qualora la situa-zione degenerasse, “le donne del Comune e sue frazioni, innumero di oltre trecento, tutte ad una gravidanza inoltratacon i bambini in collo, aspettavano. Veramente per il modocome si svolse, fu più una scena da operetta, ma per glieffetti ne ebbe maggiori e più pratici di quelli che avrebberopotuto derivare da un combattimento vittorioso. Chi aveariunito colà tutte quelle donne senza che nulla fosse potutotrapelare? Chi avea avuto l’idea di servirsi dell’azione edella resistenza passiva di donne gravide e di bambini con-tro la truppa armata? E tutte quelle donne erano veramentegravide?”. Domanda legittima, quella del giornalista, vistoche, secondo la tradizione orale, le gravidanze furono inrealtà simulate nascondendo dei cuscini sotto le vesti!“Comunque, appena i periti incominciarono a piantar lebiffe e a misurare, quell’esercito di donne panciute e dibambini, superiori per numero alla truppa, si distese e ai

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dallaTuscia

soldati che provavano a trattenerle, ingiungevano rispettoal loro stato, e facendosi scudo dei bambini, invasero ilpunto ov’erano incominciate le operazioni gridando etogliendo biffe e picchetti, mentre i bambini impadronitisidella catena metrica si rincorrevano disputandosene il pos-sesso. I periti, dubitando a ragione che forza sarebbe rima-sta alla legge, timorosi delle conseguenze, tanto più che gliuomini appiattati nei boschi, al minimo maltrattamentoalle loro donne avrebbero di certo ingaggiata battaglia conla truppa, decisero di smettere le loro operazioni e di ras-segnare i[l] mandato”.Il giorno seguente “tutte le forze furono ritirate da Grotte erientrarono a Viterbo. Il comune è tranquillo, ma questaprima vittoria ha cementato l’unione e tutti sono decisi adopporsi più che mai risolutamente a qualsiasi tentativo diterminazione”.Ripresero, quindi, le trattative tra i Doria-Pamphili da unlato e il Comune di Grotte Santo Stefano con la propriapopolazione dall’altro. Il 22 e 26 settembre dell’anno suc-cessivo una decisione della Giunta d’Arbitri di Viterbosancì il passaggio dei terreni da destinare a usi civici alComune di Grotte Santo Stefano, in rappresentanza dellapopolazione. Un’altra porzione di terreno venne assegna-ta in enfiteusi perpetua ai cittadini, in cambio di un cano-ne da pagare ai Doria-Pamphili. La gestione comunale didette terre continuò fino al 1898, anno di costituzione del-l’Universita Agraria di Grotte Santo Stefano, i cui inter-venti mirano con successo al miglioramento del territorioe del suo sfruttamento agricolo, sino ad allora condizio-nato dall’antiquata logica del latifondismo. Tra i numero-si interventi dell’Universita Agraria e degli enti che, a par-tire dal 1926 - anno del suo scioglimento - le successero,si citano le assegnazioni di quote dei terreni alla popola-zione, che avvennero in più riprese (1915-16, 1921-22,1939). Questi provvedimenti crearono, finalmente, le con-dizioni oggettive che permisero ai cittadini dell’ormaidisciolto feudo di uscire da secoli di estrema poverta.

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Particolare del servizio dedicato dal settimanale Il Rinnovamentoalla “sommossa popolare” grottana

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Premessa

Alla guida della abolita diocesidi Montefiascone - che com-prendeva le località di Arlenadi Castro, Capodimonte, Cel-

leno, Fastello, Gradoli, Grotte diCastro, Latera, Marta, Piansano, SanLorenzo Nuovo, Tessennano, Valenta-no, Villa Fontane e, per oltre quattro-cento anni, Corneto-Tarquinia - sisono avvicendate, nel corso dei seco-li, alcune figure di cardinali-vescovi digrande merito e personalità.Alla grandeur del cardinale Aldrovan-di, diplomatico pontificio, giurista e in-traprendente amministratore che persoli due voti non venne eletto papa,troviamo, a far da contraltare, la gran-de erudizione di Giuseppe Garampi,storico, esperto numismatico e amicodel Muratori, che schedò i fondi do-cumentarî dell’Archivio Vaticano; oLaudivio Zacchia, membro della com-missione cardinalizia nel secondo pro-cesso contro Galileo Galilei; e certa-mente Marco Antonio Barbarigo, fon-datore di uno dei più prestigiosi semi-nari dell’Italia centrale.Ma indubbiamente sorprendente, edifficile da collocare, si rivela la spre-giudicata e ambiziosa personalità del

cardinale francese Jean Siffrein Mau-ry, “tormentato” vescovo di Montefia-scone e Corneto, dal 1794 al 1814, eper un breve periodo, anche se illegit-timamente, di Viterbo.

Le originiJean-Siffrein Maury era nato, da poveraed oscura famiglia, il 26 giugno 1746 aValréas, in territorio ecclesiastico delDauphiné, appartenente alla Comtat-Venaissin; quella regione della Proven-za che Filippo il Bello aveva concessoal papa Clemente V affinché la cortepapale si trasferisse ad Avignone.Zelo per lo studio, ottima memoria, spi-rito vivace e grande desiderio di farsistrada gli permisero di distinguersi findalla giovinezza. A tredici anni entrònel seminario di Saint-Charles ad Avi-gnone, terminando gli studi di teologiain quello della Sainte-Garde a Saint-Didier. A diciannove, contro il voleredel padre, “fuggì” a Parigi dove, con di-spensa speciale per l’età, nel 1769 fuordinato sacerdote.In seguito, grazie alle doti intellettualie alle straordinarie qualità di oratore,riuscì ad ottenere, in pochi anni, unaserie di incarichi di crescente presti-gio. Lettore nella Camera di Parigi;

vicario generale del vescovo Léon-

François-Ferdinand de Salignac; cano-

nico del capitolo di Lombez; priore di

Lyon; panegirista all’accademia di

Saint Louis du Louvre; abate titolare

dell’abbazia di Frénade.

Fino, al di là di ogni aspettativa, ai più

ambiziosi traguardi: predicatore di

corte della famiglia reale a Versailles

(1775), e membro dell’Académie Fran-

çaise (1785), una delle più esclusive

istituzioni francesi rigorosamente

composta da quaranta membri.

Nel 1787 passò alla vita politica attiva

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dallaTusciaGiancarlo

Breccola

Montefiascone

Il cardinaleJean Siffrein Mauryo dell’AmbizioneDella avventurosa vita di un vescovo di Montefiascone e Corneto

I più importanti difensori del Terzo stato “I PADRI

DELLA LIBERTÀ: Petion, Mirabeau e Robespierre”I più importanti personaggi della Rivoluzione francese“Bailly, Lafayette, Marat, Maury, Mirabeau, Necker,Orléans, Pétion, Robespierre” (stampa del 1794 circa)

I più importanti difensori dei Nobili e del Clero“LORO SONO NOSTRI AMICI: Cazales, Maury e Malouet”

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come consigliere del guardasigilliLamoignon, all’epoca impegnato in unprogetto di riforma giudiziaria. Rifor-ma imposta dai grandi disagi socialiche la Francia stava vivendo, e chetrovarono il loro naturale esito in queldrammatico sconvolgimento, destina-to a segnare la civiltà occidentale, chefu la Rivoluzione Francese.

Gli Stati generali e l’AssembleacostituenteL’8 agosto 1788, nel tentativo di rag-giungere un accordo tra le classi so-ciali, Luigi XVI aveva convocato gliStati generali. A questi, inaugurati il 5maggio 1789, l’abate Maury era pre-sente in veste di deputato del cleroper la circoscrizione di Péronne.I lavori dell’assemblea, tuttavia, si“incepparono” subito sulla fondamen-tale questione del sistema di votazio-ne. In base alla consuetudine - che pre-vedeva un voto per ognuno dei treordini - Clero e Nobiltà avrebberosempre avuto la maggioranza nei con-fronti del Terzo stato. I delegati di que-st’ultimo, che rappresentavano lamaggioranza della popolazione, si

opposero con determinazione perottenere il voto “a testa”.Il 20 giugno 1789, dopo sei settimanedi stasi, i rappresentanti del Terzostato, esasperati, si proclamaronoAssemblea nazionale, attribuendosi ilpotere esclusivo di legiferare in mate-ria fiscale (giuramento della pallacor-da) e, il 9 luglio 1789, si proclamaronoAssemblea nazionale costituente.Con questo clamoroso atto proclama-vano automaticamente decaduti gliStati generali che venivano sostituitida una Assemblea sulla quale il re nonaveva alcun potere. Il gesto rivoluzio-nario spaventò Luigi XVI il quale, purmostrandosi rispettoso della nuovasituazione - ordinando ai nobili e alclero di riconoscere l’Assemblea co-stituente e di partecipare alle sue riu-nioni - richiamò a Versailles 2000 sol-dati, facendo così intendere di esserepronto a intervenire con la forza. Que-sto fatto fomentò la collera del popoloche esplose, il 14 luglio dello stessoanno, con la presa della Bastiglia, sim-bolo dell’Ancien Régime.E così, il sangue scorrendo per la cittàdi Parigi, l’abate Maury; che - avea mag-giore loquacità che intrepidezza, [cosìin una cronaca dell’epoca] si affrettòad abbandonare il suo posto. Col nastrosulla testa e l’uniforme sul dorso, protet-to dai colori della rivoluzione che com-batteva, stava per uscir dal regno, allor-ché riconosciuto a Peronne sotto il suotravestimento, venne arrestato. La qua-lità d’aristocrate lo comprometteva, iltitolo di deputato lo protesse. Reclama-to dall’assemblea di cui era membro,ritornò sano e salvo a Parigi a riprende-re le sue funzioni di rappresentante.Rientrato nell’assemblea, il Maury ri-prese il proprio incarico svolgendoloin maniera appassionata, tanto darisultare il più coraggioso e abile ora-

tore della destra. Divenne quindil’antagonista per eccellenza del leg-gendario Mirabeau, rappresentantedel Terzo stato, con il quale si cimen-tò in furiosi duelli oratorî.Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeauera un uomo imponente, brillante ora-tore, celebre per le sue battute. Erabruttissimo e diceva: “Questa è la miaforza, quando scuoto il mio terribile gru-gno non c’è nessuno che osi interrom-permi”.Uno dei pochi che osava farlo, e congrande energia, era proprio il “nostro”Maury, il quale, da buon reazionario,si oppose all’abolizione della nobiltà,alla vendita dei beni nazionali, difesel’autorità del papa su Avignone e at-taccò la costituzione civile del clero.In sostanza gli “eroi” dei due schiera-menti - quello conservatore monarchi-co-clericale e quello rivoluzionario po-polare - furono proprio Maury e Mira-beau i quali, grazie al loro ruolo deter-minante, acquisirono grande notorie-tà e considerazione. Quest’ultimaspartita, naturalmente, a seconda deigruppi d’appartenenza. È comprensi-bile come sul Maury, che incarnavaperfettamente i due grandi nemici del-la Rivoluzione - chiesa e aristocrazia -e che costituiva lo strenuo difensoredell’Ancien Régime, convergessero ilrancore e la rabbia delle grandi massedella borghesia e del proletariato; eche lo stesso divenisse il bersaglioprincipale della satira rivoluzionaria edel sarcasmo popolare.

La satiraNel sito internet della Bibliothèquenationale de France, consultabile al-l’indirizzo http://www.bnf.fr, esiste u-

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L’abate Maury rappresentato come “La Rabbia ol’Avvocato degli Aristocratici”

“Il ritorno dell’Abbate Maury da suo Padre”

“Danza aristocratica. Lui non sa su quale piedeballare” Caricatura anonima del 1790 che mostral’abate Maury su una corda tesa sorretta da undiavolo mascherato da buffone, a sinistra incorag-giato da due aristocratici e a destra ostacolato dadue membri del terzo stato.

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na grande quantità di documentazionerelativa al Maury, tale che il suo tratta-mento richiederebbe gli ampi spazi diuna pubblicazione monografica.In questo contesto mi limiterò a ripor-tare - fondate o fantasiose che fossero- qualcuna delle accuse che la satirarivoluzionaria gli rivolgeva, e certeespressive didascalie delle illustrazio-ni satiriche, da alcune delle quali, peresempio, affiora il suo impetuoso ecollerico temperamento.

LA RABBIA

“La rabbia soffia dalla sua bocca el’Inferno è nel suo cuore...”“L’Arrabbiato o l’Avvocato degli Ari-stocratici: Di Dio che lo fa vivere /Maury difende i diritti / Facendo delsuo meglio / Esalta le sue leggi / Maperde il suo latino e mi sorprende /Perché in mezzo al frastuono / Nellastanza non si sente / Dio stesso quan-do parla”.

IL TRADIMENTO

Maury veniva accusato, tra l’altro, ditradimento nei confronti delle sue ori-gini. Così in alcune vignette è rappre-sentato mentre viene frustato dalpadre calzolaio: “Decreto control’Abate Maury - Punizione di J. F.Maury e ira di suo padre: Infame ari-

stocratico… tu hai rinnegato il Terzostato!”In un’altra, mentre il padre punisce ilfiglio e dice: “È un peccato figlio, iocredevo di fare qualcosa di te, ma misono reso conto che sarai sempre unaristocratico”, la madre alla finestraapprova l’azione del marito esclaman-do “Bravo, bravo…”.

MAURY “DIAVOLO” TRA I DIAVOLI

“Il 13 aprile 1790 due diavoli volantihanno fatto una sfida per defecare sul-l’umanità la cosa più puzzolente. Uno‘caca’ l’abate Maury, l’altro diventapallido e lascia d’Eprémesnil e tutta lasua cabala”.E ancora: “Il diavolo per fare un regaloagli uomini ha pensato a tre personemolto esperte; una in cavilli, un’altrain menzogne e l’ultima nel tradimen-to”. Nel disegno l’esperto in menzogneè, naturalmente, il Maury”.“Soffro le conseguenze del mio tradi-mento. Due diavoli contro di me e lamia cospirazione…”

LA DISCESA ALL’INFERNO

In altre immagini troviamo l’Abatedirettamente all’inferno: Condannadefinitiva della nobiltà all’inferno ove sievidenziano i principali mostri [tra cuiil Maury].E poi, in una stampa successiva, sivede che nemmeno il diavolo lo sop-porta e quindi lo caccia dall’inferno:Empio errante, tormento degli uomini,fuorilegge di Dio e cacciato dall’Inferno,carburante eretico, non venire più amettere discordia tra i tuoi confratelli…Del resto la discesa agli inferi, temaricorrente nei testi teatrali leggeri ebrillanti, varie volte coinvolse ilMaury. Come nel burlesco L’infernalroi des Enfer, ou les Amour, de l’abbéMaury avec Proserpine, dove il prota-gonista, per l’appunto il Maury, dive-nuto l’amante di Proserpina, avvelenaBelzebù e quindi ne prende il postocome re dell’Inferno. O come in unanonimo vaudeville nel quale il nostroAbate, in veste di postiglione, traspor-ta il papa nel regno infernale.

LA SESSUALITÀ

Ma oltre all’amore infernale, il Mauryfu coinvolto, con vignette satiriche,sarcastiche pièces letterarie e ferocipamphlet, in altre storie di genere lus-surioso. Come, ad esempio, nelle Vieprivée des ecclesiastiques dove silegge: “L’abate Maury, divenuto gran

signore, grosso beneficiario, perprima cosa cerca di godere; non pregapiù, non scrive più, striscia meno; tuttii suoi sfrenati gusti per la dissolutez-za, e il suo temperamento focosamen-te lussurioso trovano una nuova ener-gia da questa crescita di fortuna e dibenessere”.E ne Les confédérés vérolés: “Dal pulpi-to al gioco d’azzardo, dalla bisca all’al-tare, Maury non ha fatto che un saltodalla chiesa al bordello”.In una stampa del 1790: “L’eloquenteMaury abbandonando l’altare, da verolibertino, si fa frustare in un bordello”E ancora ne “L’abate Maury sorpresoda padre Duchêne nello spogliatoiodella Badessa”; ne “Il matrimonio del-l’abate Maury con la Badessa di Mon-tmartre”; ne “L’abate Maury ripudiatodalla Negra all’indomani del loromatrimonio”; ne “Scappatelle lussurio-se di J. F. Maury, sacerdote indegnodella Chiesa Cattolica”.

LE MINACCE

Oltre a costituire il bersaglio primariodella satira, Maury era anche vittimadi inevitabili minacce materiali. Comequando, nonostante l’immunità parla-mentare, per salvarsi fu costretto atravestirsi da granatiere: “Il giorno del

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“Il 13 aprile 1790 due diavoli volanti hanno fattouna sfida per defecare sull’umanità la cosa più puz-zolente. Uno ‘caca’ l’abate Maury, l’altro diventapallido e lascia d’Eprémesnil e tutta la sua cabala”

“L’Abbate Maury cacciato dall’Inferno”

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13 aprile 1790, l’abate Maury esce dalnumero 22 di via Sant’Anna, in abito diGranatiere, ove si era rifugiato per evi-tare il furore popolare”.O quando, dopo una discussione sugliassegnati (gli assegnati erano buonifruttiferi garantiti dalle terre confisca-te emessi per far fronte alle necessitàdel Tesoro) “Alcuni miserabili, avendogridato al suo sortire dall’assemblea:Alla lanterna l’abate Maury! Questisenza punto scomporsi si avvicinò adessi e disse: Ebbene, eccovi l’abateMaury: e quando voi l’avrete messoalla lanterna ci vedrete per questo piùchiaro?”“Alla lanterna” era il grido con cui alprincipio della rivoluzione francese sieccitava il popolo ad impiccare ai lam-pioni i cittadini sospetti di essere degliaristocratici.La minaccia della lanterna, nonostanteil sangue freddo del Maury, divenneulteriore argomento di dileggio: “Pic-colo scherzo fatto all’Abate Maury e aMirabeau. Questi perfidi si si sono riu-niti in un hotel, ma alcuni patriotihanno decorato il battente della portacon un buon strato di materiale fecale.È ben disgustoso per l’abate, ma èsempre meglio di essere alla lanterna”.La satira colpiva spesso con le stesseaccuse Maury e Mirabeau in quantoquest’ultimo, che morirà il 2 aprile1791, era sospettato di doppio gioco a

favore della famiglia reale. Poi si sco-prirà, giustamente.

L’inizio del terroreCon l’incalzare degli eventi, la situa-zione stava comunque divenendo piùpesante. “All’uscire da una seduta, icongiurati l’attendevano sulla soglia.Maury li vide e, senza punto turbarsi,mosse alla loro volta. Grida ostili tur-binavano intorno a lui che procedevaverso l’uscita senza la minima colleracontro quel popolaccio sovrano. Pro-fittando di tanto schiamazzo e di tantaconfusione, gl’incaricati a ciò tentaro-no di eseguire il mandato ricevuto.Uno di essi lo spinse con forza mentreun altro lo urtava in senso contrario. Ilrobusto abbate rimase dritto e fermotra quelli urtoni. Il colpo di farlo anda-re per terra era fallito; quando il capodei congiurati, furioso di vedersi sfug-gire la preda, tratto di sotto al farsettoun coltellaccio affilato, si lanciò su dilui, gridando: “Dov’è l’abbate Maury?voglio mandarlo a dir messa all’infer-no”. Maury, ricordatosi delle armi cheun amico gli aveva collocato nellatasca, pronto come un lampo leestrasse e, puntando le due pistole infaccia al manigoldo che gli si avventa-va sopra: “Prendi se hai cuore - disse -ecco le ampolle per servirla”. L’altrospaventato diè indietro, perdendosiprudentemente tra la folla, mentre che

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“Il giorno del 13 aprile 1790, l’abate Maury esce dal numero 22 di via Sant’Anna, in abito di Granatie-re, ove si era rifugiato per evitare il furore popolare”

“L’originale è vivo. Il suo ritratto desta invidia”

questa, stupita da quell’eroismo tran-quillo e cambiata in un batterd’occhio, batteva le mani a colui cheprima voleva morto”.Ma a parte gli aneddoti, più o meno diparte, i tempi stavano cambiando, e lastessa figura del Maury, come elemen-to capace di agitare l’opinione popola-re, stava perdendo d’interesse. Servi-va, per trascinare le masse, un simbo-lo più forte e minaccioso e quindi,dalla primavera 1791, la stampa satiri-ca e popolare iniziò a preferire le figu-re del re e della regina. Da quel mo-mento la coppia reale iniziò ad essereridicolizzata con lo stesso tipo di sati-ra precedentemente utilizzata control’Abate.L’evolversi sempre più cruento deifatti rivoluzionari e il successivo scio-glimento dell’Assemblea Costituente,avvenuto il 30 settembre, complicòulteriormente le cose in quanto tutti iparlamentari persero l’immunità econtemporaneamente, sotto le galle-rie del palazzo Reale, iniziarono a cir-colare liste di proscrizione. Maury neebbe una copia che conteneva il suonome e che prometteva una forte ri-compensa a chi ne avrebbe consegna-to la testa. Nei primi giorni di ottobre,prudentemente, decise di abbandona-re Parigi.

(fine della prima parte)

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