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G G e e n n t t e e s s L L m m s s - - s s p p e e d d i i z z . . a a b b b b . . p p o o s s t t . . a a r r t t . . 2 2 c c o o m m m m a a 2 2 0 0 / / c c l l e e g g g g e e 6 6 6 6 2 2 / / 9 9 6 6 F F i i l l i i a a l l e e d d i i R R o o m m a a - - V V i i a a M M . . M M a a s s s s i i m m o o , , 7 7 - - 0 0 0 0 1 1 4 4 4 4 R R o o m m a a - - A A u u t t . . T T r r i i b b . . d d i i R R o o m m a a n n . . 9 9 7 7 9 9 - - D D i i r r . . R R e e s s p p . . M M a a s s s s i i m m o o N N e e v v o o l l a a s s j j Novembre 2007 Nº 11 LMS Un’estate in missione mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S.

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Novembre 2007Nº 11

LMSUn’estate in missione

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SOMMARIO257 EDITORIALE– Il coraggio di farsi parte della soluzione, non del problema

di Leonardo Becchetti

259 VITA LEGASPECIALE CAMPI ESTIVI 2007

◆ BOSNIA– Bosnia 2007, diario di viaggio

di Giusy Chiocchi

◆ CUBA– LMS: primo di campo di evangelizzazione a Cuba

di Massimo Nevola S.I.

– CUBA 2007:molto più di un campo di evangelizzazione…di Pierluigi Conzo

◆ PERÙ– Pensieri sparsi sul Perù, il Che, gli immigrati e una storia

di famigliadi Luca Capurro

◆ ROMANIA– I due volti di Sighet

di Bianca Maria Caiola

– Un’estate a Sighet, insegnando inglese e imparando la gra-tuità dell’amoredi Enrico Russo

– Sighet, la mia seconda patriadi Andrea Capurro

◆ ISRAELE/PALESTINA– Pellegrinaggio in Terra Santa e considerazioni connesse

di Luca Capurro

286 MISSIONE E SOCIETÀ– Palermo, com’è dura la lotta per la casa nella città dei

luoghi comunidi Giovanni Barbieri

III DI COPERTINA– La biblioteca di Gentes

mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S.

N. 11 Novembre 2007

Direzione e Redazione: 00144 Roma –Via M. Massimo, 7 – Tel. 06.591.08.03– 54.396.228 – Fax 06.591.08.03 –Spedizione in Abbonamento postaleart. 2 comma 20/c legge 662/96 – Filialedi Roma – Registrazione del Tribunaledi Roma n. 647/88 del 19 dicembre1988 – Conto Corrente Postale34150003 intestato: LMS Roma.e-mail: [email protected]

* * *

COMITATO DI REDAZIONE

Massimo Nevola S.I. (direttore),Michele Camaioni (redattore capo),Dario Amodeo, Laura Coltrinari,Francesca Romana Lenzi, GiulioCesare Massa S.I., Francesco Salonia,Francesco Salustri, Luigi Salvio,Pasquale Salvio.

Per abbonamenti versareun’offerta libera sulcc postale 34150003

intestato: LMS Romacausale: abbonamento Gentes

Associato alla Federazione StampaMissionaria Italiana

Fotocomposizione e Stampa:

Finito di stampare Novembre 2007

Associato all’USPI

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I l mio primo convegno della Lega Missionaria Studenti* è stato innanzitutto un’esperien-za ricca di doni. Per questo non posso che ringraziarvi tutti. Il mio tentativo di impegnoper affermare l’economia della responsabilità sociale e le sue realtà (microcredito, com-

mercio equo, Banca Etica, finanza etica) nel desiderio di andare alla radice e modificare imeccanismi d’ingiustizia spesso rischia di inaridirsi o di affievolirsi rimbalzando contro lamancanza di sensibilità, il cinismo, e l’indifferenza di molti interlocutori. È stato perciò vera-mente prezioso ed “energetico” trovare persone come voi, piene di entusiasmo e capaci dimettere in piedi realtà significative, vivendo nell’esperienza dei campi la prossimità con gli ul-timi, riflettendo ed approfondendo l’esperienza vissuta e progettando interventi per migliora-re le difficili situazioni sociali cui i progetti intendono dare una risposta. Nei vostri entusia-smi e passioni ho trovato confermate le mie. Nei tanti momenti vissuti assieme durante que-sto convegno mi viene da riflettere che, di fronte ai problemi di sostenibilità sociale ed am-bientale che viviamo in questa epoca contraddittoria, ci sono tre atteggiamenti fondamentali.Il primo è quello di chi fa lo struzzo e non vuole vedere i problemi. Molto spesso in questi ca-si, si scelgono percorsi diversi dall’unico vitale e in grado di realizzarci in pienezza (quello nelquale condividiamo, ci spendiamo e ne usciamo arricchiti e vivi). E si finisce così, per il nonvoler vedere il problema, per diventare parte dello stesso, avvilendosi in percorsi vitali privi disenso e in uno scacco esistenziale che può finire per aggiungere nuove problematiche socialia quelle già esistenti. Il secondo è l’atteggiamento di quelle persone che sono pienamente con-sapevoli di tanti drammi e ne partecipano con intensità. Anzi restano talmente sgomenti danon essere in grado di abbozzare una reazione, precipitando in un pessimismo esistenzialesenza sbocchi. Il terzo gruppo è costituito da coloro che, dopo il primo shock che ogni essereumano sensibile vive di fronte a problematiche drammatiche con cui si viene a contatto inesperienze come quelle dei campi, ha la serenità e l’intelligenza di fare una scelta di fondo de-cidendo di voler essere parte della soluzione e non del problema, scegliendo, come diceva conuna felice espressione il video di Etimos, di stare “dall’altra parte della vita” (in realtà l’unicadegna di essere vissuta). Questo tipo di persona sa anche superare lo smarrimento e il sensod’impotenza che nasce quando scopriamo che, con tutta la buona volontà, non possiamo far-cela da soli di fronte all’enormità di certi problemi. E capisce che bisogna mettersi in rete

* Il riferimento è al convegno nazionale della Lega Missionaria Studenti, tenutosi dal 31 ot-tobre al 4 novembre 2007 ad Assisi e avente come tema “L’opzione preferenziale per i poveri.LMS: 80 anni in missione, al servizio della Chiesa e del Mondo”. Ampio spazio ai resoconti sulconvegno sarà dedicato nei prossimi numeri di Gentes.

EDITORIALE

Il coraggio di farsi partedella soluzione, non del problema

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(nella Lms, con le altre realtà di spiritualità ignaziana come la CVX, con tutto il terzo settore)per lavorare insieme, perché, se da soli siamo radicalmente insufficienti, mettendo insieme leforze possiamo fare qualcosa di buono. È questa consapevolezza che da nuovo slancio allanostra missione, che consiste anche nel coinvolgere altri compagni di viaggio e nel mettersi inrelazione con altri non solo all’interno della nostra associazione, ma anche con tutti gli altriuomini di buona volontà impegnati ad “organizzare la speranza”.Sono convinto che facciamo e dobbiamo far parte tutti di questo terzo gruppo di persone. Eche possiamo guardare alla realtà con l’energia e la carica di chi qualche piccolo traguardo hacontribuito a farlo raggiungere. Voglio ricordare due soli elementi simbolici veramente signi-ficativi per me in questo convegno. Il primo è l’aver scoperto proprio in quei giorni che l’in-ventore del commercio equo e solidale, un olandese che ha organizzato la prima grande retecooperativa dei produttori di caffè del Messico, è un religioso francescano. E di averlo scoper-to il giorno dopo la nostra veglia nella cripta della basilica di fronte ai resti del saio di France-sco. Pensare che il tentativo odierno di costruire un mondo diverso ideando un meccanismodi riscatto per gli ultimi che fa leva sulla nostra responsabilità di consumatori (e che in uncerto senso risarcisce intere popolazioni di torti subiti nel passato) sia il frutto di quell’ereditàe testimonianza incredibile (che P. Massimo Nevola ci ha così bene fatto rivivere nelle cele-brazioni del convegno), è per me un fattore veramente significativo. Il secondo è il riferimen-to al “vento del cambiamento” di cui parlava il video fatto da un non credente sul microcredi-to, sottolineando come esso fosse stato la spinta fondamentale che ha messo in moto un nuo-vo modo di costruire le relazioni tra Nord e Sud, completamente diverso da quello coloniale,che ha cominciato a restituire e ridare opportunità alle genti di questi continenti dopo secolidi atteggiamento opposto. Il vento del cambiamento mi è tornato in mente quando la mattinadopo cantavamo la famosa canzone di Dylan. Per quanto ancora dovremo vedere le palle dicannone volare prima che le armi siano bandite… La risposta soffia nel vento: per la prima vol-ta il ritornello non mi è sembrato un abbandono al fatalismo e alla sfiducia come l’avevo sem-pre interpretato (come per dire che nessuno sa quando ciò potrà accadere). Al contrario, ilvento di Dylan mi è sembrato coincidere con il vento del cambiamento che soffia e che por-terà il nuovo. Il vento dello Spirito Santo che anche i non credenti intravedono, che soffia egeme e che può essere fonte di novità attraverso tutti coloro che lo riconoscono e sanno met-tere le loro vele nella direzione giusta. Dentro questa storia dell’umanità si sviluppa la nostra.E con essa la sfida di poter tramutare quest’esperienza vitale, nata nei campi in un progetto divita che non significhi l’accantonamento di tutti gli ideali, ma che ci consenta di continuare aperseguirli e a realizzarli. Se il nuovo non passa per noi busserà alla porta di altri, ma è sul sa-per mettere le vele al vento che si gioca l’opportunità chiave della nostra esistenza. È l’integra-zione tra la fede, la missione e la vita adulta, attraverso i passaggi delicati delle scelte profes-sionali ed affettive, la nostra vera sfida. Il cammino di comunità (Lega e CVX), la possibilitàdi alimentarsi alla fonte dello Spirito e il confronto con la ricchezza e la fantasia delle missio-ni particolari di ciascuno dei nostri compagni di viaggio, sono la migliore garanzia che questasfida possiamo vincerla, continuando a risuonare come oggi e realizzando l’obiettivo di unapienezza di vita. Un augurio a tutti dunque che attraverso il metodo di esperienza, studio edazione, con le energie e gli entusiasmi che solo la vita di fede può rendere stabili, con il sup-porto preziosissimo di Massimo, Francesco, Vitangelo, Bartolo, Pasquale Salvio e tutti gli al-tri, possiamo raggiungere (e raggiungeremo) il nostro obiettivo…

Leonardo Becchetti

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Novembre n. 11-2007

Novo Selo 14/08/07Bosnia che posto strano, la guerra è finitada più di dieci anni, ma ancora qui con-vivono ricostruzione e distruzione, ombredi morte e desiderio di rinascita, tradizio-ne estrema ed estrema modernità. Colpi-sce vedere case nuove ricostruite accantoai ruderi di edifici bombardati, o addirit-tura edifici ricostruiti solo per metà dovela gente comunque già vi abita. Ma quelloche più stupisce è la normalità, vieni quiaspettandoti di trovare chi sa che panora-ma di stranezze o condizioni e trovi unPaese che potrebbe tranquillamente esserela campagna italiana, non fosse per la lin-gua. Persino la messa ha le stesse litanie,gli stessi suoni, cambia solo la lingua.Personalmente come esperienza a tuttora

è un normalissimo campo comunitario.Io finora ho lavorato pressoché sempre incucina; che fatica mettere d’accordo tanteteste. Attualmente siamo in dodici più ilproprietario della casa che stiamo aiutan-do a ricostruire, il muratore e il sacerdoteche ci ospita. Oggi però ho lavorato unpochino in cantiere, è bello costruire unacasa, vedere l’edificio che lentamenteprende forma intorno a te.

Novo Selo 22/08/07Lo scorso fine settimana siamo stati aSarajevo, la capitale bosniaca. La città tiaccoglie dalla periferia con casermonistile case popolari italiane di infima spe-cie, dirigendosi verso il centro modernitàe cemento ti attorniano in una cornice

quasi inquietante. Inalcuni palazzi ancorapuoi scorgere i segnidei bombardamenti,alcuni buchi nei mu-ri sono stati sempli-cemente “rattoppati”come un pantaloneconsunto dall’uso. Ilcentro è caratteristi-co, composto da stra-dine in cui si affac-ciano botteghe com-pletamente costruite

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VITA LEGA

Speciale campi estivi 2007BOSNIA

Bosnia 2007, diario di viaggio

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in legno, risulta caldo e accogliente, innetto contrasto con il resto della città. Lacollina che circonda Sarajevo è ricopertadi case come edilizia selvaggia del napo-letano. Al contrario della struttura archi-tettonica, il tessuto sociale è molto piùaccogliente. Le persone sono molto aper-te e disponibili. La cosa che più mi hacolpito è stata l’accoglienza che ci hannodimostrato le persone che siamo andati atrovare, persone che sono state aiutate inpassato da gruppi della Lega MissionariaStudenti. Il sorriso delle persone, lumi-noso nel loro sguardo come se vedesseroun amico a lungo atteso. Questo è il se-gno più bello del fatto che forse la “no-stra” presenza qui non è vana.Il campo procede, qui a Novo Selo, tra al-ti e bassi, la vita comunitaria è faticosa,ciascuno vuol dire la sua, ti rendi contodi quanto sia necessario che ci sia qual-cuno a dettare delle regole, l’anarchia nonè cosa accettabile se si vuole vivere in ar-monia; è necessario qualcuno che, nelpieno rispetto di tutti, si assuma la re-

sponsabilità di fare da moderatore. È si-curamente questo un compito assai diffi-cile. Comprendi perché, da che è nato ilmondo gli uomini, nelle loro comunitàhanno sempre sentito la necessità di eleg-gere uno o più capi. Un’altra cosa che hoimparato è quanto sia difficile accettarel’altro senza giudicare, senza lasciarsi tra-sportare da commenti poco lusinghieri oin qualche modo “dequalificanti” e ti ren-di conto che stai facendo all’altro ciò chenon vorresti, nel modo più assoluto, ve-nisse fatto a te. Malgrado tutte le “fatiche”sono felice di essere qui, perché sto impa-rando molto degli altri e di me stessa.

Novo Selo 25/08/07Oggi si conclude la mia avventura in Bo-snia, tra alti e bassi, litigi e nuove amici-zie; un’avventura che ha arricchito lamia vita permettendomi di vedere ugua-glianze e differenze in un Paese che nonconoscevo, saperne qualcosina in più del-la sua storia, e anche di guardarmi anco-ra un po’ di più dentro in profondità. Un

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bilancio tutto sommato positivo, un’e-sperienza che si potrebbe anche rifare, chisa… Per ora ringrazio Dio per aver avutol’opportunità di fare questo viaggio.

Assisi, 26/08/07La riflessione di oggi è sulla vita di SanFrancesco, sulla sua conversione, quan-do decide di ricostruire la Chiesa di SanDamiano, “Va, ripara la mia casa”, e luilo prende proprio in parola cominciandoa ricostruire la chiesa di San Damianopietra su pietra, prima di comprendereche era un’altra Chiesa quella che Gesùvoleva che lui ricostruisse, la Chiesa del-le persone. Ecco cosa ho pensato, anchei ragazzi del campo in Bosnia hanno pre-so alla lettera il loro compito di costruireuna casa. Ma quello che ci chiede il Si-gnore è di essere noi “casa” per quellepersone, dove “casa” è il luogo accoglien-te che ti fa sentire protetto, sicuro, masoprattutto accolto per ciò che sei. Nondobbiamo erigere ponti di pietra, ma co-struire ponti d’amore.

Torino, 30/08/07Il campo in Bosnia è stata un’esperienzain un certo senso strabiliante. Sono par-tita senza particolari aspettative: sicura-mente credevo di trovare più desolazio-ne, in realtà ho trovato posti e personenormalissime. Con il gruppo di volonta-ri purtroppo non ho legato molto, un po’perché non ho potuto lavorare troppo incantiere, prima perché mi ero offerta difare da cuoca, e secondo perché mi è ve-nuta un’allergia a non so che cosa, chenon mi permetteva di rendere al pienodelle mie energie. Un’altra cosa che èmancata molto a cementare il grupposecondo me, è stata l’assenza di momen-ti di condivisione, in cui potersi con-frontare sulla propria esperienza all’in-terno del campo e magari conoscersi unpo’ meglio. Ringrazio Giulio per avermiraccontato tante cose sulla Bosnia chenon sapevo, perché in fondo la mia deci-sione di venire in questo posto era detta-ta principalmente da un desiderio di fareesperienza di volontariato senza preoc-

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cuparmi troppo del dove e con chi.Ringrazio Cristiano per avermi so-stenuta e sopportato i miei sfoghinei momenti di sconforto. Sono fe-lice di aver conosciuto Josip e Re-nata, due ragazzi bosniaci con iquali ho avuto modo di parlare alungo e ascoltare un pizzico delleloro storie, simili a tante storie diragazzi italiani. È stato emozionan-te comunque fare amicizia, stringe-re rapporti con queste persone con cuispero di rimanere in contatto almeno unpo’, infondo internet è un buon mezzoalmeno per questo. Mi piacerebbe ancheavere la possibilità di fare almeno un in-contro con il resto del gruppo per rive-dersi e scambiarsi impressioni dal vivo,anche se ho avuto poca occasione di co-noscervi sento che ognuno di voi è a suomodo speciale, lo dimostra il fatto cheavete rinunciato a un pezzo della vostraspensierata estate per dedicarvi ad aiuta-re un prossimo di cui non sapete nulla,tranne il suo bisogno di sostegno. Inol-tre volevo scusarmi se a volte sono sem-brata scontrosa, intransigente o schiva,è solo che come già detto sopra il fatto dinon essere stata troppo bene e di nonaver potuto condividere con gli altri l’at-tività principale mi ha fatta sentire unpo’ fuori dal gruppo, sentendomi ancorapiù fuori target. Per me è stata la primaesperienza di questo tipo di volontariatoe di campo, ho sempre solo frequentatocampi di riflessione perlopiù autogestiti,forse il fatto che fossero campi di rifles-sione faceva sì che ci si conoscesse dipiù avendo molte opportunità di con-fronto, ne derivava che il gruppo era piùarmonico e anche l’organizzazione logi-stica era più semplice. Non voglio espri-mere giudizi su nessuno perché il tempotrascorso insieme è stato veramente po-co, per cui è facile farsi un’idea superfi-

ciale delle persone, ma non si può capireuna persona partendo dal suo atteggia-mento se non si sa nulla del suo vissuto,delle sue esperienze e di cosa la porta aesprimersi con determinati toni. Sicura-mente ognuno di voi ha lasciato un pic-colo segno nel mio cuore: Tommaso coni suoi discorsi strani ma in fondo moltosensati, Alessandro con il suo bonarioborbottare continuamente, Jacopo conle sue battute pungenti ma tutto som-mato affettuose, Silvia con il suo sparirenel nulla per ricomparire con un sorriso,Alessia instancabile lavoratrice, Nicolòsilenzioso ma con tanta buona volontà,Mario simpatico casinista, Michela conun cuore sensibile pur nella sua proble-maticità, Giulio la nostra “guida turisti-ca”, Padre Fabrizio “ora et labora”, Pa-dre Mario enigmatico canzoniere, Ales-sio sindrome di Peter Pan, Mimmo pre-zioso cuoco, Cristiano paziente consi-gliere, e in ultimo ma non meno impor-tanti Josip il nostro interprete, e Renatala ragazza della porta accanto. Senza di-menticare coloro che ci hanno ospitato,anche se non riuscivo molto a comuni-care verbalmente con loro.Grazie a tutti per aver camminato conme in questa piccola avventura, un affet-tuoso abbraccio e un arrivederci, primao poi… In fondo il mondo è piccolo.

Giusy Chiocchi

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E rnest Hemingway diceva che do-ve un uomo si sente come a casasua, a parte il luogo dov’è nato,

questo è il posto al quale era destinato.E il destino ha voluto che 24 giovani del-la Lega Missionaria Studenti si sentisse-ro a casa propria lo scorso agosto a Cu-ba, nell’ambito di un nuovo gemellaggioche questa piccola, ma quanto mai viva-ce, associazione ha aperto da quest’annonella bellissima isola dei caraibi.Il destino o, meglio, la Provvidenza, si èservita della storia personale del sotto-scritto, che, dopo un paio di sopralluoghicompiuti in maniera informale con vo-lontari della LMS, ha organizzato il cam-po per rendere omaggio a una terra cui èe sarà estremamente riconoscente peraver dato alla luce un suo grande amicoe formatore, il P. Federico Arvesù.Gesuita di straordinario carisma, mortoall’Avana nel ’99 dove era tornato dopocirca 30 anni di insegnamento a Roma, èstato un autentico faro di educazione al-

la Libertà (evidenzio la “L” maiuscola)per intere generazioni di confratelli, dicandidati al Sacerdozio e di laici impe-gnati nel servizio alla Chiesa e al Mondo. Sotto quel patrocinio il campo della LegaMissionaria Studenti non poteva che ri-sultare estremamente bello ed importan-te, non solo per i partecipanti, tornatitutti entusiasti e con il forte desiderio diripetere l’esperienza, ma soprattutto perla chiesa locale e per le stesse autorità ci-vili. È stato il primo campo, infatti, chela Chiesa cattolica locale ha potuto orga-nizzare con volontari propri provenientida paesi occidentali (16 italiani e 8 spa-gnoli), offrendo accoglienza nelle fami-glie della parrocchia di Cardenas (vicinoalla più nota Varadero, ambita meta turi-stica internazionale) e programmandoattività esplicita di evangelizzazione me-diante catechesi nei villaggi, sostegno al-le suore di M. Teresa (vere apostole degliultimi) e il volontariato in strutture pub-bliche (ospedale, centro ricupero minoricon handicap e asilo anziani).Il campo ha aperto, secondo le parole delparroco di Cardenas e dello stesso vesco-vo diocesano, le porte a nuove possibilitàdi interventi pastorali, ha dato il suo pic-colo ma significativo contributo all’avvi-cinamento, al dialogo e alla collaborazio-ne tra Chiesa e Stato. Sono note le stori-che tensioni tra Stato e Chiesa a Cuba,solo in parte lenite dalla visita del papanel ’98. E il campo effettivamente hacontribuito a smontare steccati, diffiden-ze, pregiudizi. Fosse già solo per questo,

CUBA

LMS: primo di campo di evangelizzazione a Cuba

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andrebbe ripetuto più volte nell’arco del-l’anno!Sotto l’aspetto dell’evangelizzazione di-retta, sia nelle campagne (dove l’attivitàera coordinata da catechisti locali, giàcollaudati nel ministero) sia, e forse so-prattutto, nelle strutture pubbliche, sor-prendente sono stati la disponibilità e ilgradimento nell’ascolto mostrato gene-ralmente dalle persone avvicinate: dalmedico al professionista fino al contadi-no più semplice!La Chiesa cubana vive con non pocodramma la penuria di vocazioni (la dio-cesi, di circa 500mila abitanti, è servitada non più di 15/20 sacerdoti), così chemolti sono solo naturaliter cristiani,mentre la possibilità di una vera praticareligiosa è ridotta a pochi eletti. Di qui lanecessità dell’annuncio, l’urgenza dell’ar-rivo di missionari laici, oltre che di pretie religiosi, con l’obbiettivo di far cresceredi numero e di qualità le comunità locali.Per quanto riguarda l’impatto sui volon-tari, il valore dell’accoglienza ha registra-to con le famiglie cubane un indice distraordinario spessore: veramente ci sen-tivamo tutti a casa e più che a casa. Perla prima volta forse, nella storia dei cam-pi della Lega Missionaria Studenti, diffu-samente abbiamo percepito che il tuttoera offerto gratuitamente: da mesi erastata preparata la nostra accoglienza eda mesi siamo stati trattati quasi fossimogli angeli apparsi ad Abramo. Dico que-sto senza voler esagerare, perché ciò chepiù ci ha allargato il cuore è stata infattila semplice condivisione di tutto. Cuba èbellissima perché Dio l’ha resa certamen-te tale nell’esuberanza della sua natura edei suoi colori. Ma lo è ancor di più per-ché ha un popolo meraviglioso.In ordine al fare, soprattutto le attività divolontariato nelle strutture pubbliche cihanno interpellati ad agire per migliora-

re le condizioni di anziani e di infermi. Iltutto in piena collaborazione col perso-nale delle strutture pubbliche che, consi-derando l’esiguità dei mezzi a disposizio-ne, compie talvolta veri e propri miracoliin soccorso di chi soffre. Il valore etico,oltre che professionale, di medici e infer-mieri fa la differenza rispetto ad altricontesti di servizio che i volontari dellaLMS sperimentano nei loro campi, spe-cie dell’Est europeo. In questo senso, piùche offrire noi il nostro contributo, ab-biamo davvero imparato dagli operatorilocali cosa vuol dire dedizione, lavoro nelrispetto di ogni vita: prestazioni che van-no ben oltre il cartellino da timbrare allafine del turno.La cultura del volontariato, Cuba l’ha as-similata in modo profondo e radicale dadecenni. Vederla così radicata nel popo-lo, cristiano praticante e non, ci ha sor-preso e riempiti di gioia. Così che anchestavolta si ritorna a casa più ricchi, rico-noscendo che nonostante i ritmi impla-cabili della giornata (lavoro dalle 6.30 al-le 23.30), il Vangelo della gratuità ci èstato testimoniato da più parti. Davverola Grazia dell’Altissimo precede e accom-pagna chi vuole spendersi generosamen-te nel servizio del prossimo. La differen-za che offre il credente resta soprattuttoquella dell’esplicitazione di quel Nome

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che regge e fonda una speranza che vaoltre la morte, perché solo Gesù ha paro-le che già ora ci fanno entrare nell’eter-nità. È l’offerta di un’antropologia apertaalla Trascendenza e non solo sul senso el’obiettivo ultimo della vita, ma in quellavita di amore che osa abbracciare ancheil nemico, spezzando in questo modoogni spirale di violenza.

Grazie Cuba, perché per la prima volta,da quando la Lega Missionaria Studentiorganizza campi di solidarietà all’estero,ci hai resi capaci di fare dell’annuncioesplicito del Vangelo il primo obbiettivodel nostro partire. E cresca il coraggio diquest’annuncio, a dispetto di ogni scetti-cismo e timore.

Massimo Nevola S.I.

C hi sente parlare di “campo dievangelizzazione” tende general-mente a immaginarsi un gruppo

di infervorati gesuiti desiderosi di con-vertire i pagani indios con croce di legnoe flauto, come Jeremy Irons nel celeber-rimo film “Mission”. Se poi il campo dievangelizzazione si fa a Cuba, si rischiadi non essere presi sul serio o di riceverele solite battutine e ammiccamenti asfondo sessuale-turistico.Il campo a Cuba, contrariamente ad ognistereotipo e aspettativa, si è rivelato inve-ce un’esperienza unica. Vissuto alla gior-nata, è stato un lasciarsi guidare ognimomento dalla comunità locale di Car-denas lungo i sentieri della gioia del sem-plice stare insieme e condividere quel“poco” che si è. Si può dire, appunto, chela parola chiave di tutto il campo sia sta-ta compartir, il condividere cioè la pro-pria vita in un’offerta semplice e genuinadella propria persona, inclusi i propri li-miti e la propria stanchezza. Un’espe-rienza, in effetti, molto stancante datoche la sveglia era alle 6.30 e ogni sera lanostra parrocchia di riferimento organiz-zava attività fino alle 23.00 per evitareche un gruppo di giovani occidentali la-sciati liberi per la città aggiungesse ulte-

riori problemi a quelli già esistenti e rela-tivi agli ancora tesi rapporti tra Chiesa ePartito. Proprio per questo, eravamo co-stantemente “controllati” sia dal governolocale, sia dalla stessa parrocchia. Inrealtà, l’obiettivo di tali controlli risiede-va anche nella volontà di non causaresmagliature che rendessero difficile o im-possibile la eventuale ripetizione di unasimile esperienza, unica - fino ad oggi -anche per loro. Ma la stanchezza del lavoro a Cardenas èstata saggiamente bilanciata dai sobrimomenti di meritato turismo e relax vis-suti nell’Habana, a Santa Clara, a Trini-dad e sulle meravigliose spiagge di Vara-dero. Momenti di svago, questi, fonda-mentali per la coesione del gruppo (com-posto da italiani e spagnoli) e per “ricari-care le batterie”. L’eccessivamente densocalendario delle attività quotidiane pre-parato dalla parrocchia non prevedeva,infatti, momenti dedicati al semplice sta-re insieme. Il poter visitare altri luoghi eguardarsi intorno è stato fondamentaleanche per farsi un’idea generale delle lu-ci e delle ombre di un Paese tanto critica-to, sia in bene che in male. Un aspettopositivo che è subito risaltato agli occhidi tutti noi è stata la incredibile capacità

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CUBA 2007: molto più di un campo di evangelizzazione…

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di entrega personal (dono di sè) tipico delcuore dei cubani, di quelli felici e orgo-gliosi del proprio governo ma anche dicoloro che invece si sentono frustrati daesso: una caratteristica, questa, sintomodi una grande umanità che porta questopopolo generoso, ricco di ritmo e vitalità,a donarsi completamente e con gioia aipropri ideali e all’accoglienza di chi bus-sa alla loro porta.Incredibile anche il sentirsi ringraziaticostantemente semplicemente per esserevenuti fin lì, rinunciando alle solite va-canze capitaliste. Abituati alla “tristezzapost-comunista dei paesi dell’Est”1, i pa-negirici ricevuti ogni minuto dai cubaniper “la nostra testimonianza di vita” cihanno, a volte, addirittura stancato! Ineffetti, non facevamo molto e – comesempre accade in questi contesti – abbia-mo ricevuto molto di più di quanto ab-biamo dato2. Molto utile, poi, la possibi-lità di condividere il campo di lavoro conuna decina di ragazzi/e spagnoli. Ci hainsegnato a smontare i facili pregiudizi ela tipica “puzza sotto al naso” che noiLMSini mostriamo sempre dinanzirealtà ed approcci più spontanei e menointelletualistici dei nostri.Girando, poi, per le strade dell’Habana,visitando gli ospedali, ascoltando gli im-piegati pubblici, si notano le contraddi-zioni di una dittatura comunista sui ge-neris: dall’offerta gratuita e universale disanità e istruzione di alta qualità, alle la-mentele dei professionisti mal stipendiatie degli intellettuali privati di qualsiasipossibilità di scegliere qualcosa di diver-so da ciò che voglia l’oramai anziano Fi-del Castro. Così, guardandosi attorno eparlando con la gente, capita spesso disentire sia la frustrazione di chi non puòcreare sviluppo autonomamente (anchese per il bene della collettività) sia la vita-lità e la ricchezza degli ideali sociali di

molti giovani cubani innamorati del Che.A differenza del “terzo mondo”, la po-vertà di Cuba non è una povertà che tisconvolge, che ti turba, insostenibile co-me le discariche di Nairobi o le aree de-gradate dei paesi post-comunisti. Sebbe-ne la povertà materiale sia visibile nel-l’abbandono strutturale di alcune infra-strutture cittadine3, la povertà di Cuba è– molto in generale – una povertà spiri-tuale, un’incapacità di vedere nella pro-pria vita quel “di più” sovrannaturale chenoi occidentali chiamiamo Dio.Di qui, forse, nasceva la volontà di creareun campo di evangelizzazione che risul-tasse in realtà un semplice appoggio esostegno morale e materiale alla parroc-chia locale di Cardenas. Un campo diver-so da quelli organizzati finora dallaLMS, volto a dare priorità alla condivi-sione e alla testimonianza piuttosto cheal puro lavoro materiale di volontariato(che, ad ogni modo, non è mancato). Icubani, infatti, non hanno bisogno di vo-lontariato: sono i primi ad insegnacelo,continuando a lavorare ad esempio comemedici professionisti negli ospedali, conturni massacranti persino al di fuori delproprio orario, per aiutare la propriagente e con uno stipendio umiliante.Molti di questi medici, infatti, così comealtri impiegati specializzati, non riescononeanche a guadagnare il denaro necessa-

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rio per cambiare la propria bicicletta,unico mezzo di trasporto che ci si puòpermettere.Quanto al nostro lavoro a Cardenas, leattività originariamente previste per i vo-lontari erano quattro: assistenza e sup-porto morale dei malati nell’ospedale;aiuto alle suore di Madre Teresa di Cal-cutta; assistenza e supporto morale aiminori disabili nel Centro de Neurodesa-rollo; catechismo ed evangelizzazionenelle missioni della parrocchia nei villag-gi vicini. Per le insistenze di alcuni “stori-ci” LMSini4 desiderosi di entrare in unpiù diretto contatto con il più povero trai poveri, spacciandoci come membri delpartito comunista italiano desiderosi diapportare aiuti monetari, abbiamo ri-chiesto ed ottenuto l’autorizzazione delPartito a lavorare all’asilo de losancianos5. Si tratta di una struttura deca-dente che raccoglie più di un centinaio dianziani (dai malati mentali a quelli ab-bandonati), fredda e pericolante (quandopiove si allaga), dove abbiamo assistito elavato “nonnetti” (abuelitos) per una set-timana. Così si è aperta anche questanuova attività ed è cominciato il viaggioverso la sovrannaturale bellezza del peg-gio: esperienza catartica, di contatto conil Dio dei poveri, degli abbandonati, degliultimi, dei dimenticati. Un’esperienzache finalmente ci ha regalato quella pe-sante stanchezza fisica che a fine giorna-

ta risulta misteriosamente sostenibileperchè controbilanciata da una irrazio-nale felicità e serenità d’animo. La po-vertà dell’asilo de los ancianos è una po-vertà che riflette in linea di massima lapovertà di Cuba. Essa è una povertà es-senzialmente strutturale: edificio perico-lante, mancanza di medicinali, vestiti,scarpe, etc. Ma ciò che gli operatori fan-no per gli anziani, anzi, il come lo fannoè incredibile (tanto all’asilo quanto intutte le altre strutture pubbliche di Cu-ba): l’affetto e l’amore che hanno per “ipropri nonnetti” è una delle tante lezionidi vita per noi amanti del volontariato daesportazione. Immagini, colori, ritmo, allegria, con-traddizioni, impegno e frustrazione, con-divisione e testimonianza di vita, sonosolo alcune delle luci e delle ombre checi portiamo dentro al ritorno da questosplendido Paese. Insomma, una primaesperienza sicuramente positiva e da ri-petere in futuro (anche a Natale) con al-cune piccole modifiche, soprattutto perquanto riguarda l’organizzazione dellagiornata e delle attività.

Pierluigi Conzo

Note

1 Definizione di P. Conzo, S. Caserta, G. Martinoin relazione all’evidente contrasto nei modi diaccoglienza e di esternazione di gioia tra il con-testo di Cardenas (Cuba) e quello di Sighet (Ro-mania). 2 Chiedo scusa per l’uso di una frase così infla-zionata.3 Edifici abbandonati, palazzi ancora semidi-strutti, strade dissestate, industre smantellate.L’abbandono delle opere pubbliche è stato ilprezzo da pagare per dedicare la maggior partedegli investimenti a sanità e istruzione.4 Per la precisione: Sasà Caserta, Piero Conzo,Giacomo Martino.5 Per 40 anni si è negato l’accesso a questo luogoa volontari cristiani o a qualsiasi persona legataalla sfera religiosa.

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L a tragedia del terremoto che hacolpito in estate il Perù, mi of-fre lo spunto per scrivere qual-

che riga sul paese sudamericano e suilegami che questo ha con l’Italia.Tanti connazionali refrattari ad accet-tare l’immigrazione di stranieri, che inmolti casi rischiano la vita per rag-giungere l’Italia paventando un futuromigliore, forse non ricordano che adinizio secolo tanti dei nostri nonniemigrarono nel mondo per lo stessomotivo.Dagli Stati Uniti all’America latina, nu-merose sono le comunità italiane cheancora oggi sono presenti a distanza ditanti anni dalle migrazioni dell’epocadettate, principalmente, dalla mancan-za di cibo e dalla povertà, dilagante al-lora nel nostro Paese, tanto da far venirmeno i presupposti necessari per viveree crescere dignitosamente i propri figli.Un esempio per tutti è offerto da BuenosAires, capitale argentina, in cui ancoraoggi il quartiere della Boca è detto Bar-rio xeneize poiché fondato dagli emi-granti genovesi1. Come in Argentina an-che in Perù tanti dei nostri avi sono emi-grati ad inizio secolo. In proposito mipermetto una breve digressione, una pa-rentesi, che ritengo curiosa e pertinente.Quando, il 29 dicembre 1951, il giovaneErnesto Guevara de la Serna, che anco-ra non era il Che2, partì in compagniadell’amico biologo Alberto Granado peril famoso giro in motocicletta del Suda-merica3, venne a contatto con numero-

se personalità che, oltre ad ospitarlo fu-rono decisive, insieme al contesto suda-mericano fondamentale per assimilaree capire le problematiche della gentecomune, per la sua formazione politicae di uomo. Dopo aver attraversato Cilee Bolivia, Ernesto e Alberto giunsero inPerù dove, stanchi e affamati furonoospitati dal medico di origine italianaUgo Pesce4, Hugo nelle cronache ripor-tate in spagnolo, eminente specialistadi Lima, luminare di malattie tropicali,per il quale avevano già una raccoman-dazione. Quest’ultimo si rivelò provvi-denziale nel corso della permanenzache ebbero in Perù. Militante comuni-sta e, per questo a lungo esiliato in pro-vincia, reintegrato infine nella cattedradi Medicina tropicale, il professore da-va alloggio ai due giovani presso il leb-brosario di Lima, presentava loro colle-ghi e offriva loro persino abiti “civili”ol-tre ad invitarli regolarmente alla sua ta-vola con tutta la sua famiglia.Pesce fondò in Italia, dove realizzo isuoi studi, il Partito Sociale Cristiano e,al suo ritorno in Perù con il filosofomarxista Jose Carlos Mariátegui, il Par-tito Comunista. Il suo carattere nottambulo consentì algiovane Ernesto di articolare la basedelle sue idee comuniste, che cresceva-no sistematicamente, al punto che lostesso Pesce lo definiva un “giovane diformazione sindacalista”. Il dottore,pur introducendolo alla dottrina marxi-sta, non cercava di proseliti: si trattava,

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PERÙ

Pensieri sparsi sul Perù, il Che, gli immigrati e una storia di famiglia

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d’accordo con il figlio secondogenito, ilfuturo architetto Tito Pesce, di attuareun confronto diretto, un interscambiodi esperienze fra giovani intellettuali,volto al confronto propositivo delle te-matiche e delle problematiche dell’epo-ca, in particolare della miseria del con-tinente sudamericano. El maestro, cosilo chiamava Guevara, si intratteneva aconversare fino a tarda notte col giova-ne, ed ebbe un ruolo decisivo nella for-mazione del futuro medico e rivoluzio-nario argentino. Lo stesso maestro con-dusse una vita che non gli negò nessuntipo di emozione: dal riconoscergligrandi meriti e onorificenze, per lo piùdopo la sua morte, fino ai lutti profondiche lo colpirono. Ugo, primo di quattrofigli, nacque a Tarma in Perù, il 17 giu-gno1900 ed era figlio del dottor LuigiPesce Maineri, medico, torinese di na-scita ma genovese di adozione che, in-caricato di aprire una clinica a Lima,decise di partire per il Perù. Dei suoiquattro figli, Aldo5, il secondogenito, eMigliuccia, l’ultima, fecero ritorno evissero a Genova.Ugo si sposò con Zdenka Schreir, ra-gazza ceca corsa in Perù per cercare ilfratello, a sua volta partito per il giro

del Sudamerica in bicicletta, delquale la famiglia non aveva piùnotizie a cavallo delle guerre. Lacoppia ebbe due figli: Lucio e Ti-to. Lucio, il primogenito, medicobi-laureato, andò incontro ad undestino atroce: morì affogatonell’Oceano Pacifico nei pressidi Lima dopo essersi lanciato inmare per salvare un giovane indifficoltà che, afferrandolo per ilcollo, provocò la morte di en-trambi. Ironia della sorte, a trar-re i due corpi senza vita a riva fulo stesso Ugo, gettatosi in mare

in aiuto al figlio. Tito, preside di archi-tettura all’Università di Lima e architet-to, ha due figli ed è venuto in Italia loscorso marzo ospite dell’Università diFirenze.Tornando al dottor Ugo Pesce, a testi-monianza dell’estremo rigore e zelo chemanteneva nell’esercizio della sua pro-fessione, per lo più dedicata alle malat-tie tropicali che colpivano gli indios,convinto dai principi dell’uguaglianza edella fratellanza, pur definendosi ateo,iscritto al partito comunista, decise dieliminare la seconda parte del suo co-gnome per cancellare le sue origini no-biliari italiane.Guevara viene colpito dal modo con cuiPesce esercita la sua professione: si ren-de conto che un medico può avereun’utilità sociale. Lo stesso dottor Pesceprocurò ai due giovani i contatti neces-sari per recarsi presso un lontano leb-brosario a San Paolo, sulle rive del Riodelle Amazzoni, a 1.500 km a nord-est,nei pressi del confine tra Brasile e Co-lombia6.Un episodio eloquente a proposito delrapporto che Ernesto intrattenne coldottor Pesce fu quello del commento adun suo libro. Granado e Guevara chie-

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sero al medico che li ospitava cosa po-tessero fare per ricambiare l’ospitalità.Il luminare chiese loro di leggere il li-bro che stava scrivendo a proposito del-le condizioni degli indios e del lorosfruttamento. Prima di congedarsi Ugochiese loro un commento: Alberto, pernon essere indiscreto si disse entusiastadell’opera, Ernesto taceva. Sollecitatodi nuovo, il ventitreenne rispose che ilsuo libro gli sembrava pessimo, chenon capiva come potesse un marxistacome lui descrivere solo l’aspetto nega-tivo della psicologia degli indios, ag-giungendo che non sembrava un libroscritto da un ricercatore e da un comu-nista. Inezie visto che l’amicizia tra idue durerà anche quando Ernesto di-venterà il Comandante Che Guevara eospiterà a L’Avana il figlio Lucio al Con-gresso latino-americano della gioventù,nell’agosto del 1960.Anni dopo, il dottor Pesce, riceveràuna copia del libro Guerra de guerrilla,scritto da Ernesto e dedicato a CamiloCienfuegos7, con una dedica del suo au-tore: “Al dottor Hugo Pesce, che mi pro-vocò, forse senza saperlo, unasvolta decisiva nelle mie attitudi-ni, dinanzi alla vita e alla so-cietà, con l’entusiasmo nel viag-giare però in direzione di finalitàarmoniose con le necessità del-l’America latina”.Probabilmente questa era unadelle caratteristiche del comuni-smo condiviso per entrambi.Uno segnato nell’escludere la fu-ria terrorista o il sedentarismogenocida, ma a vantaggio dellaproposta umanista, il romantici-smo come stile di vita e l’ideali-smo come linea di condotta.Non si trattava di uccidere il ne-mico, ma di cambiare il Paese. Il

dottor Pesce, fautore di questa tendenza,venne omaggiato, alla stregua di un eroenazionale solo dopo la sua morte nel1969, con il Premio Mondiale Juliot Curiea La Paz. Più tardi trionfava la rivoluzio-ne cubana, dinanzi alla sorpresa e allacondanna del Partito Socialista PopolareCubano (così chiamato a Cuba), nel mo-mento dell’assalto alla caserma Moncadae dopo, con la guerriglia nella SierraMaestra.L’espressione “le vie del Signore sono in-finite” mai ha avuto definizione piùconsona se si pensa al modo con cuisono venuto a contatto con la storia ci-tata. Da sempre ho sentito dire a mianonna materna che una parte della suafamiglia era rimasta in Perù e a miamadre, professoressa di inglese, chescelse di studiare spagnolo piuttostoche tedesco a causa di suo nonno, Al-do, vissuto e cresciuto in Perù prima ditornare a Genova. Di lì a capire tuttociò che stava nel mezzo ne passava, al-lora ecco correre in mio aiuto, comeuna sorta di deus ex machina, l’inter-vento del fato.

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Luca Capurro (a destra) in compagnia di Tito Pesce e disua nonna Iole

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Qualche estate fa, lavorando come ba-gnino qui in Liguria, trovai uno zainochiudendo la spiaggia. Lo tenni daparte aspettando che qualcuno lo ve-nisse a reclamare finché in settembre,finita la stagione senza che nessuno lorichiese, decisi di aprirlo trovando alsuo interno un mazzo di carte e un li-bro di Pierre Kalfon, edizioni Feltri-nelli, intitolato Il Che, una leggenda delsecolo. La curiosità mi portò ad avvi-cinarmi a quel libro fino a divorarlo,così come poi avvenne per il Diario delChe in Bolivia. Da quel momento lamia curiosità per capire, studiandolo,la storia di quel personaggio che nonconoscevo e in tante occasioni dellamia vita mi aveva fatto pensare aquella figura, tante volte strumentaliz-

zata, da una massa di personeche spesso neanche conosceva-no le gesta dell’uomo Ernestoprima che del guerrigliero. Tut-to questo fino a conoscere Titoin Italia, prima, in Perù poi, al-l’interno di un iter che mi ha vi-sto arrivare fino al Lago Titica-ca8 passando per il Deserto diArequipa fino a Cusco e MachuPicchu.Il lago Titicaca, che si affacciadavanti alla città di Puno, mi havisto sperimentare sulla mia pel-le la sofferenza per il soroche9,nonostante i ragguagli e le rac-comandazioni di Tito. MachuPicchu (significante “vecchia ci-ma”, soprannominata La cittàperduta degli Inca), è sito ar-cheologico, situato in una zonamontana a 2.700 metri di altitu-dine nella valle dell’Urubamba inPerù10, di recente e casuale sco-perta visto che l’esploratore sta-tunitense Bingham nel 1911 si

imbattè quasi per caso nei resti dellacittà interamente ricoperti da piante earbusti, presenti in grande quantità acausa delle forti piogge. Al di là delleteorie ufficiali degli esperti io sostengol’ipotesi, minoritaria, di quelli che ve-dono nella costruzione di Machu Pic-chu un ultimo baluardo, una roccafor-te capace di ospitare gli ultimi Inca so-pravvissuti alla dominazione spagnola,una sorta di Masada ove gli Inca, comegli zeloti israeliani, avrebbero potutodifendersi dai nemici. Lo splendoreche offre questo luogo non ha maismesso di incantare i suoi visitatori: ilsuo fascino non ha mancato di sedurreneanche il grande poeta cileno PabloNeruda che a Machu Picchu ha dedica-to la seguente poesia:

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Note

1 Il quartiere della Boca è anche il quartiere del-la squadra di calcio del Boca Juniors, una delleformazioni più forti del mondo, che nel dicem-bre prossimo affronterà, fra le altre, il Milan inGiappone nel mondiale di calcio per club. Sulretro della maglia del Boca, tradizionalmentecompare la scritta “xeneises” cioè la parola ono-matopeica che gli argentini hanno cercato discrivere per esprimere l’aggettivo genovese, ze-

neizi come gli immigranti si definivano.2 Infatti Ernesto venne soprannominato Cheda Nico Lopez e dagli altri esili cubani il 26dicembre 1953 in Messico: Guevara viveva diespedienti, per lo più facendo il fotografo dastrada; l’attuale lider maximo, Fidel Castro, in-vece, era in esilio in seguito alla dittatura diFulgencio Batista, caldeggiata e foraggiata da-gli Usa, preparando l’invasione del 25 novem-bre 1956 a bordo del Granma. L’appellativoderivava dal continuo uso che Ernesto faceva

ALTURAS DE MACHU PICCHU

Sube a nacer conmigo, hermano.Dame la mano desde la profunda zona de tu dolor diseminado.

No volverás del fondo de las rocas. No volverás del tiempo subterráneo.

No volverá tu voz endurecida. No volverán tus ojos taladrados.

Mírame desde el fondo de la tierra, labrador, tejedor, pastor callado: domador de guanacos tutelares, albañil del andamio desafiado,

aguador de las l grimas andinas, joyero de los dedos machacados,agricultor temblando en la semilla, alfarero en tu greda derramado,

traed a la copa de esta nueva vida vuestros viejos dolores enterrados. Mostradme vuestra sangre y vuestro surco, decidme: aquí fui castigado,

porque la joya no brilló o la tierra no entregó a tiempo la piedra o el grano: señaladme la piedra en que caísteis y la madera en que os crucificaron,

encendedme los viejos pedernales, las viejas lámparas, los látigos pegados a través de los siglos en las llagas y las hachas de brillo ensangrentado.

Yo vengo a hablar por vuestra boca muerta. A través de la tierra juntad todos los silenciosos labios derramados

y desde el fondo habladme toda esta larga noche como si yo estuviera con vosotros anclado, contadme todo, cadena a cadena,

eslabón a eslabón, y paso a paso, afilad los cuchillos que guardasteis, ponedlos en mi pecho y en mi mano, como un río de rayos amarillos, como un río de tigres enterrados, y dejadme llorar, horas, días, años,

edades ciegas, siglos estelares. Dadme el silencio, el agua, la esperanza. Dadme la lucha, el hierro, los volcanes. Apegadme los cuerpos como imanes.

Acudid a mis venas y a mi boca, Hablad por mis palabras y mi sangre.

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Luca Capurro

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della proposizione che usata in spagnolo perinterpellare, per attirare l’attenzione dell’inter-locutore, per chiedere come va.3 Nonostante la Poderosa,questo era il nomedella vecchia Norton inglese di 500 cc di cilin-drata di proprietà di Granado, non ce la fece acondurli in Cile.4 Il dottor Ugo Pesce, fratello maggiore di AldoPesce Maineri e padre di Lucio e Tito.5 Noto avvocato genovese, padre di Iole, mianonna materna, fu contemporaneo del grandeavvocato Mauro De Andrè, fratello più grandedi Fabrizio.6 Una delle scene più toccanti del viaggio diErnesto, presenti sia nel film Diario de moto-cicleta che nei numerosi libri sulla vita delChe è ambientata nel lebbrosario: l’ultimanotte in cui Ernesto, il Fuser, come lo chiamaGranado, si getta in acqua di notte per rag-giungere a nuoto e salutare i malati più gravisfidando i piranha prima di partire la mattinadopo a bordo della zattera Mambo Tango, il20 giugno 1952.7 Prematuramente scomparso il 28 ottobre1959 quando precipitò con l’elicottero su cuiviaggiava in circostanze misteriose. Secondovoci attendibili, il mancato ritrovamento del-l’elicottero contribuirebbe a suffragare la tesisecondo cui la volontà del Lider maximo fossequella di estromettere Camilo dalla scena poli-tica di allora, a maggior ragione in quantoeroe nazionale cubano,a causa delle sue diver-genze con Castro. Ancora oggi nel giorno dellasua morte i bambini gettano un fiore in marein suo onore. 8 Il lago navigabile più alto del mondo con isuoi 3.812 m di altitudine, rappresenta il confi-ne naturale che il Perù ha a sud con la Bolivia.9 L’altitudine, per noi che non siamo abituati,genera il soroche, il tipico mal di montagnache si presenta sopra i 2.500 metri di altezza:disturbi fisiologici che vanno dalla fatica direspirare, al mal di testa, alla nausea, all’usci-ta di sangue dal naso, ad un diffuso senso dimalessere e di spossatezza. La ragione sta pre-valentemente nel fatto che il sangue dalla te-sta confluisce verso lo stomaco anche man-giando poco o nulla. Tutto questo, però, hateoricamente, non per il sottoscritto, un rime-dio: il mate de coca, un infuso a base di fogliedella pianta di coca. 10 Si suppone che la città fosse stata costruitadall’imperatore inca Pachacútec intorno al-

l’anno 1440 e sia rimasta abitata fino allaconquista spagnola del 1532. La posizionedella città era un ben custodito segreto mili-tare, perché i profondi dirupi che la circonda-vano erano la sua migliore difesa naturale.Difatti, una volta abbandonata, la sua ubica-zione rimase sconosciuta per ben quattro se-coli, entrando nella leggenda. Scoperte ar-cheologiche, uniti a recenti studi su docu-menti coloniali, mostrano che non si trattavadi una normale città, quanto piuttosto di unaspecie di residenza estiva per l’imperatore e lanobiltà Inca. Si è calcolato che non più di 750persone alla volta potessero risiedere a Ma-chu Picchu, e probabilmente durante la sta-gione delle piogge o quando non c’erano no-bili, il numero era ancora minore. La città furiscoperta il 24 luglio 1911 da Hiram Bin-gham, uno storico di Yale, che stava esploran-do le vecchie strade inca della zona alla ricer-ca dell’ultima capitale Inca, Vilcabamba. Bin-gham compì parecchi altri viaggi ed eseguìscavi fino al 1915 e solo più tardi si rese con-to dell’importanza della sua scoperta e si con-vinse che Machu Picchu era Vilcabamba. Diritorno dalle sue ricerche scrisse parecchi ar-ticoli e libri su Machu Picchu: il più cono-sciuto fu La città perduta degli Inca. Parados-salmente Vilcabamba non era Machu Picchu:l’ultima capitale era a Espiritu Pampa: nasco-sta nella giungla, a poche centinaia di metrida dove era arrivato lui durante le sue ricer-che. Il sito archeologico fa parte del Patrimo-nio dell’umanità individuato dall’UNESCO.Nel 2003, più di 400mila persone hanno visi-tato le rovine e l’UNESCO ha espresso preoc-cupazione per i danni ambientali che un talevolume di turisti può arrecare al sito. Le au-torità peruviane, che ovviamente ricavano deinotevoli vantaggi economici dal turismo, so-stengono che non ci siano problemi e che l’e-stremo isolamento della valle dell’Urubambasia, da solo, sufficiente a limitare il flusso tu-ristico. Periodicamente viene proposta la co-struzione di una funivia per raggiungere lacittà dal fondovalle, ma finora la propostanon è passata. La località è oggi universal-mente conosciuta sia per le sue imponenti edoriginali rovine, sia per l’impressionante vistache si ha sulla sottostante valle dell’Urubam-ba, situata circa 400 metri più in basso. Nel2007 Machu Picchu è stata dichiarata unadelle Sette meraviglie del mondo moderno.

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E ntrando a Sighet dalla “portaprincipale” si ha davanti uncentro che nel corso degli ulti-

mi anni ha visto un marcato rinnova-mento e un’evoluzione ancora in corso.Questo è il volto che vuole mostrare Si-ghet (e la Romania in generale): aiuolefiorite, strade asfaltate... Passeggiandosulla via principale si direbbe che quisiamo veramente in Europa: supermer-cati tirati su nell’arco di pochi mesi,nuovi saloni di bellezza, sportelli ban-comat ovunque, mostrano che i soldigirano. Poi ci sono le macchine, l’em-blema del benessere: le vecchie Daciascassate, unica presenza nelle strade fi-no a pochi anni fa (insieme ai carrettitrainati dai cavalli), sono ora sostituiteda macchine nuove e grosse, molte del-le quali portano una targa straniera o la“B” della capitale, Bucarest. Questo do-vrebbe bastare ad intuire che i soldi gi-rano, sì, ma forse non tutti nelgiusto verso. Girando l’angolo diuna strada Sighet si toglie quelvelo, quella maschera che ha in-dossato per mostrarsi bella agliocchi degli stranieri ricchi, comenoi. È qui che si vede quel voltoche svela segreti che devono ri-manere nascosti. Nessuno devesapere che il cuore della città ècolmo di sofferenza, e quantodegrado c’è in una palazzina ab-

bandonata e fatiscente, in cui vivonointere famiglie, fatiscenti anch’esse, chefanno di ogni scarto qualcosa di utile.Gente che annacqua i propri pensierinell’alcool, che ha perso la propria ca-sa, ma non la propria dignità, e chemostra la sua miseria senza vergogna,forse perchè la loro mente poco lucidariesce ancora ad intuire che non sonoloro a doversi vergognare.I palazzoni, chiamati blocchi, che allog-giano la gran parte delle famiglie sighe-teane, sono stati costruiti più ditrent’anni fa, sotto la dittatura comuni-sta di Ceaucescu, e da allora non sonomai stati ristrutturati.Quei ragazzini bassi e magri, che noncrescono mai, che nel migliore dei casilavorano duramente per strada, al mer-cato o in un campo, urlano, ma solo achi ha il coraggio di sentirli, che lorosono lontani anni luce dall’Europa, e

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ROMANIA

I due volti di Sighet*

* Fonte: www.popica.org

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forse non la vedranno mai.Tutto questo fa pensare a una città, auna nazione, che si comporta come unadonna sofferente, che sorride e dice“tutto a posto”, per non mostrare leproprie debolezze, e mostrarsi all’altez-za di chi è più forte. Sembra sia obbli-gatorio essere tutti ricchi, come se nonfosse lecito riprendersi lentamente do-po venti anni di dittatura opprimente.Una dittatura che i più diseredati in

fondo rimpiangono, perchè intutta la sua crudeltà non permet-teva lo scempio di un bambinolasciato per strada da chi lo hamesso al mondo e non può ve-derlo morire di fame e di stenti.Cenni di ripresa ci sono, ma ipassi in avanti, le novità, anzichésostituire le cose vecchie, vi si so-vrappongono, creando contrad-dizioni infinite. E allora si puòvedere una donna vestita in abiticaratteristici contadini guidareuna macchina nuova di zecca oragazzi che in casa non hanno

neanche il bagno sfoggiare cellulari eprogettare di comprare un’auto, magaricon un mutuo decennale. Sighet, la Ro-mania, mi fa pensare ad un uomo clau-dicante, che riceve spintoni perchècammini più velocemente, dal suo stes-so popolo, stanco di anelare ad unarealtà vista solo in televisione, che quinon arriva mai.

Bianca Maria Caiola

S ono seminarista di Avellino al se-condo anno al Pontificio Semina-rio Interregionale Campano, ret-

to dai padri gesuiti. Dal 7 luglio 2007 al5 agosto 2007 ho vissuto un’esperienzaarricchente e interessantissima in Ro-mania, nella città di Sighetu Marma-tiei, insieme ad altri volontari italiani.Capita talvolta a chi voglia fare espe-rienza di missione di avere tante aspet-tative o di preparare tanti buoni propo-

siti per essere di aiuto a quelle personea cui viene affidato. I rumeni, invece, ciinsegnano il contrario. Una sera, par-lando con una ragazza rumena, ella miha spiegato come gli italiani siano degliidoli lì, osservati, emulati, un sollievo,portatori di novità: io, invece, le ho det-to che noi non siamo affatto i loro“buon samaritani”, o redentori dalla lo-ro situazione di precarietà, ma che rice-viamo da loro molto di più di quanto

Un’estate a Sighet, insegnando inglese e imparandola gratuità dell’amore

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possiamo donare. La gente rumena ciarricchisce affettivamente, cultural-mente, e ci trasmette tanta energia evoglia di vivere e di lavorare: è essa checi spinge a donarci totalmente. Questo,a mio avviso, è possibile solo se riuscia-mo a spogliarci dell’abito borghese, os-servando, riflettendo, comprendendo eaccogliendo esigenze e situazioni di vi-ta spesso diametralmente opposte dallenostre, abituati a tanti comfort e como-dità. A Sighetu ho svolto il compito diinsegnante di inglese nella scuola n.2,diretta da P. Massimo Nevola S.I., a unaclasse di 20 bambini, che ho accompa-gnato per l’intero corso mensile, impa-rando a conoscerli, accoglierli, capirli.Mi sembrava un compito abbastanzafacile, ma non lo è stato. Come spiega-re, illustrare le regole grammaticali, gliesercizi, colloquiare e farmi capire daloro, che parlavano un lingua diversadalla mia? Apprendendo io stesso da lo-ro, ascoltandoli, facendomi aiutare an-che da uno di loro, che sapeva un po’ diinglese. Un’altra difficoltà incontrata èstata la paura, che i ragazzi avevano neiconfronti della figura dell’insegnante,

retaggio del sistemaeducativo scolasticomolto rigido del co-munismo. Un passodopo l’altro, di aper-tura e confronto, didiscussione, essi han-no abbassato le lorodifese, instaurandoun rapporto inse-gnante-alunno basatosull’amicizia e sullafiducia reciproca.Amavo osservare, fis-sare i loro volti, guar-dare i loro occhi dol-cissimi, che, benché

avessero già visto la sofferenza, sapeva-no trasmettere tanto entusiasmo, ener-gia, vitalità. Davvero i poveri sanno sa-nare in poco tempo le loro ferite, rive-lando il grande e stupendo mistero del-la vita, che sempre si rinnova, si rigene-ra, anche dove è tristezza, paura, doloree morte, come ci ha insegnato il testo“La notte” del rumeno Elie Wiesel, lettocon ardore da P. Massimo nella sinago-ga della città, in cui abbiamo pregato ericordato gli ebrei rumeni sterminatinella Shoah. Ho sperimentato personal-mente anche l’inutilità, l’impossibilitàdi essere concretamente d’aiuto per al-cuni ragazzi, chiamati dalla gente “bo-schettari”. Sono ragazzi senza famiglia,cresciuti nella strada, che si droganocon la “colla”, sostanza tossica e maleo-dorante, che distrugge completamente ineuroni. Si avvicinavano di sera a noivolontari, chiedendo denaro o altro: ungiorno abbiamo saputo che li avevanoarrestati per aver aggredito e scippatouna signora. Insieme a loro venivanoanche altri bambini, vagabondi o confamiglie, che vivono in estrema po-vertà. La cosa più impressionante era

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vedere come alcuni di essi, benchégrandi di età, sembrassero dall’aspettobambini di sei o sette anni. “Come aiu-tarli?” È la prima domanda che mi èsorta spontaneamente, e che poi ho tra-sformato in un’altra: “Cosa posso essereio per loro?”. Dare me stesso al 100%,impegnarmi totalmente e con coerenzanel compito affidatomi, è l’aiuto piùconcreto e necessario da offrire nelcampo missionario. È questo, dopotut-to, ciò che la gente del posto si aspettada noi, gente che fa di tutto per ospitar-ci, accoglierci fino a darci la propria ca-mera da letto. In Romania ho conosciu-to anche le difficoltà tra la Chiesa orto-dossa e la Chiesa cattolica di rito greco.Quest’ultima si sta rinvigorendo e rin-saldando, benché rappresenti una mi-noranza dei credenti. Tutto ciò potreb-be scoraggiare chi volesse andare lì, maperderebbe la possibilità, che offre laRomania, per arricchirsi affettivamentee culturalmente. Penso alla bellezza deipaesaggi e dei monasteri ortodossi, lacittà di Cluj e soprattutto un contattocon una realtà differente e variegata, unconfronto con per-sone che hannodavvero tanto dadonarci e raccon-tarci. Il momentopiù solenne delmio soggiorno èstato costituitodalla presenza delvescovo della miadiocesi, mons.Francesco Marino,per l’inaugurazio-ne della Casa Qua-drifoglio n. 3, doveora vi sono 7 bam-bini. In tutto, con-siderando le tre

case aperte dall’Associazione “Il Qua-drifoglio”, abbiamo 29 minori strappaticosì alla strada e alla malavita. Un se-gno di speranza e di vicinanza, che le-gava – cosa non prevista – la mia Chie-sa e il mio cammino a quella realtà. Liho sentiti più vicini. Penso così ai tantigiovani che cercano l’occasione perspendersi per qualcosa d’importante.Sighet potrebbe significare anche perloro quello che è stato per me. Un sensodi speranza mi attraversa. C’è davverobisogno di giovani, capaci veramente di“vedere”, “di leggere la realtà”, di uscireda se stessi per incontrarsi e lasciarsiattrarre dalla bellezza e dalla ricchezzache proviene dal diverso, come invece iragazzi rumeni già fanno con gli italia-ni. Consiglio davvero ai giovani comeme di fare questa esperienza, che aiu-terà a maturare e a crescere e condivi-dere qualcosa di se stessi con personeche ci aspettano. Coraggio, ciò che con-ta è amare, non come, quando e per-ché, ma… amare!!!

Enrico Russo

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A luglio ho deciso di partecipareal primo turno dei campi esti-vi a Sighet. Sono voluto torna-

re per la terza volta in quel luogo per-ché sentivo la mancanza della gente,delle loro abitudini così diverse dallanostra vita quotidiana che, pensandocibene, celano emozioni e sensazioni co-sì importanti da segnare dentro chi levive, almeno per me è stato cosi. Il pri-mo turno è stato molto bello, penso,perché è stato l’unico in cui sono statipresenti sia P. Massimo che P. Vitange-lo, oltre ad un gran numero di semina-risti provenienti dal sud Italia, tantoche noi ragazzi eravamo praticamentein minoranza. Ho deciso di prestareservizio, insieme alle altre 3-4 personeche erano già state sul posto, al Caminde Batrani, mentre la maggior partedei volontari è stata alla scuola per fa-re corsi di lingua inglese e italiana.Per me essere stato al Camin de Batra-ni è stata una soddisfazione proprioperché ci si trovava in un contesto do-ve ci si sente più utili nei confronti dipersone bisognose e la cosa che mi hareso più orgoglioso e felice è stata ve-dere queste persone “handicappate”tristi e sconsolate nel momento in cuii volontari partivano per tornare a ca-sa. Anche per me non è stato facilepartire: l’ultimo giorno in cui prestavoservizio, nel salutare e lasciare tuttequelle persone sofferenti, cui tutt’orami capita di pensare, mi consolava lasola speranza di rivederli presto, ma-gari già a Natale. Le altre esperienzepositive che ho vissuto in quei 15 gior-ni di Romania sono stati la gita di

quattro giorni in Moldova a visitare imonasteri e le varie visite fatte con P.Massimo, a cominciare dal Memoriale,fino alla Sinagoga, dove, dopo aver vi-sitato l’edificio, abbiamo percorso apiedi lo stesso tragitto che fecero gliebrei quando furono deportati neicampi di concentramento.Ricordo ancora con particolare piace-re il discorso fatto da P. Massimo sulprato davanti alla “nostra chiesa”,quando ci ha raccontato tutta la storiadelle tre case famiglia, di come sonoarrivate, della Provvidenza e di chi lemantiene. Questa storia può sembrareuna favola per come si è sviluppata eper come le cose si sono evolute in po-sitivo.La Romania, per me, anche se è soloun anno che ci vado, è come una se-conda patria, qui a Genova sento spes-so la mancanza delle persone che mihanno accolto in casa loro come sefossi un figlio o un fratello, tanto dasentirmi spesso al telefono con qual-che ragazzo del posto. Andare a Sighetper partecipare a un campo insiemead altri ragazzi penso sia un’esperien-za molto positiva per chiunque, per-ché riesce a far riflettere sulle condi-zioni di vita di estrema difficoltà checerte persone possono avere e puòspingerci ad aiutarle, seppur nelle incose elementari. Tutto questo ci rendepiù forti, anche se crea sofferenza,grazie alla condivisione.Mi auguro di poter tornare in mezzo aqueste persone al più presto.

Andrea Capurro

Sighet, la mia seconda patria

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“C on i secoli in mano si fa lastoria” sosteneva WinstonChurchill, riflessione più

che valida nel momento in cui la situa-zione di chi medita gode di quella seriedi requisiti minimi che ogni popolo oinsieme di persone dovrebbe avere. L’e-sperienza di vivere un check point fraIsraele e Palestina1, nel caso di specieuscendo da Betlemme per tornare a Ge-rusalemme, consente quantomeno diintuire come fosse la Berlino divisa al-l’epoca della Guerra Fredda. Dopo un’o-ra e mezza di attesa, infatti, misti a pa-lestinesi e genti diverse, contraddistintidal volto rassegnato all’attesa, sperandonella buona luna del militare israelianodi turno, noi pellegrini italiani, incorag-giati da Francesco Cavallini S.I. e dalsottoscritto, abbiamo cominciato a can-tare il Va Pensiero del Nabucco. Il con-testo era quello di una baracca di la-

miera cui si accede dopo essere entratiin uno spiazzo chiuso da un muro dicinta alto circa 4/5 metri, con vedette efilo spinato. Il vano dove la gente atten-de di esibire i documenti è abbassatorispetto alla strada ed è sovrastato dauna passerella rialzata di 3 metri dovepassano i soldati armati. Fra lo stuporee la curiosità della gente abbiamo con-tinuato, fino a catturare il sorriso di unsoldato di leva prima, i rimproveri delsuperiore poi. Il territorio palestinese diestende a macchia di leopardo, senzavie di comunicazione dirette fra una zo-na e l’altra, frammentato qua e là dall’a-vanzata territoriale del territorio israe-liano. Due dei territori occupati, co-stantemente alla ribalta delle cronacheper gli attentati e le violenze che colpi-scono principalmente i civili, Gaza eRamallah2, sono zone dove storicamen-te gli insediamenti degli ebrei sono nul-

li per non dire assenti. Il ge-sto, comunque positivo diAriel Sharon3, di liberare laStriscia di Gaza, non devetrarre in inganno l’osserva-tore straniero: infatti a Ga-za, come altrove, il governoisraeliano caldeggia e incen-tiva il popolamento dellearee occupate, per legittima-re la presenza dell’esercitoisraeliano4 che, di fatto, ope-ra in casa d’altri. La contesadell’acqua5 rappresenta unmotivo basilare di contesa

ISRAELE/PALESTINA

Pellegrinaggio in Terra Santa e considerazioni connesse

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dei territori e delle conse-guenti tensioni fra israelianie palestinesi. Lo statista Da-vid Ben Gurion6, dal qualeprende il nome l’aeroportodi Tel Aviv, ritiratosi negli ul-timi anni della sua vita neldeserto dell’Avdat per com-piere ricerche e scrivere arti-coli, fu guida ed esempio il-luminato del nascente statod’Israele, sostenendo, fra lealtre teorie, quella in basealla quale il bisogno crescen-te di terre non dovesse spin-gere a nuove contese e guerre espansio-nistiche, come poi accaduto, ma doves-se, piuttosto, spingere alla bonifica delterritorio desertico.7 Tante sono le im-magini che mi scorrono nella mente de-gli ebrei e che mi fanno pensare che fi-nalmente sono tornati a Gerusalemme,dopo secoli di persecuzioni e diaspora8.La loro gioia del vivere la loro terra,quella promessa, è palpabile e ancorpiù acuta in determinate occasioni, peresempio in occasione della corsa al mu-ro del pianto9 come avviene ogni ve-nerdì per festeggiare lo shabbat10. Tutta-via la compassione umana nei confron-ti degli ebrei mista a quel sentimento dicondanna nei confronti degli aggressorinon deve far dimenticare una moltitu-dine di tragedie che hanno avuto comescenario questi luoghi sacri, non soloper gli ebrei ma anche per cristiani emusulmani. La visita casuale in unabottega di ceramica, che ho scopertopoi essere di un artigiano armeno, Vic,mi dà modo di ricordare come le vitti-me della pazzia, dell’ignoranza e dell’in-sussistenza dell’essere umano non sia-no stati solo gli ebrei.11

Il pellegrinaggio da me vissuto quest’e-state insieme ad altri ventinove ragazzi,

guidato dai gesuiti Francesco Cavallinie Iuri Sandrin, non ha mancato di emo-zionare e arricchire anche chi, all’inter-no del gruppo, non era animato da unafede forte. L’itinerario, che ha rispec-chiato il cammino della Bibbia dal Vec-chio Testamento alla crocifissione diCristo, ci ha visti arrivare al Mar Ros-so12 passando dal deserto del Neghev,ricco di wadi13, per poi arrivare al MarMorto facendo tappa presso l’oasi diKandafar Honokaim, gestita dai bedui-ni e capace di offrire ospitalità in gran-di tende che sorgono a contatto con ivari recinti di asini e cammelli. A ridos-so del Mar Morto giace il promontoriodi Masada14 che, a distanza di secoli,non manca di emozionare ancora per lastoria che evoca. Nel I secolo a.C. lafortezza era il palazzo di Erode il Gran-de, arroccato su tre diversi livelli versolo strapiombo sul lato nord della rupe,dotato di terme con caldaia centrale,magazzini sotterranei e ampie cisterneper la raccolta dell’acqua; nel 66 erastata conquistata da un migliaio di ze-loti, considerati la frangia più rigorosadegli ebrei dell’epoca, che vi si insedia-rono con donne e bambini. Quattro an-ni dopo, nell’anno 70, caduta Gerusa-

Gerusalemme, due pellegrini italiani in visita al cardinal Martini.

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lemme, vi trovarono rifugio gli ultimistrenui ribelli non ancora disposti adarsi per vinti. La fortezza fu assediatadalla Legio X Fretensis e da altri 7.000uomini, per lo più schiavi, ma risultòinaccessibile come un nido di aquilaper quasi tre anni. Venne allora costrui-to un vallo, ancor oggi visibile, ed unterrapieno di settanta metri che dalbasso saliva sino alle mura della fortez-za. Resosi conto della disfatta ormaiimminente, il capo zelota Eleazar BenYair, parlò alla sua gente inducendolaad un suicidio collettivo per spada(estratti a sorte per gruppi, gli uominidella comunità uccidevano le donne e ibambini togliendosi poi la vita a vicen-da); questa sembrava essere una sortepreferibile ad un sicuro stato di schia-vitù. Quando anche l’ultimo resistentecadde mentre la città era in preda allefiamme, a salvarsi furono solo pochibambini e due donne che si erano na-

scosti in un anfratto per scampare allamorte. Fatto curioso, grazie al quale co-nosciamo tutto ciò su Masada e su queiluoghi, fu il particolare della cattura, daparte dei romani, del nobile GiuseppeFlavio, che si arrese ai romani e fu tra-dotto a Roma come storico. I romanipoterono così entrare in Masada ormaipriva di difesa: sorpresi di quanto acca-duto, tributarono ai valorosi resistentiun silenzioso omaggio. Dopo la suapresa, Masada rimase in mano ai roma-ni fino all’epoca bizantina per essere ri-scoperta oltre un secolo e mezzo fa perdiventare simbolo della causa sionista.Tutt’oggi reclute dell’esercito israelianovengono condotte sul luogo per pro-nunciare il giuramento di fedeltà al gri-do di: “Mai più Masada cadrà”. Il pellegrinaggio è continuato poi nellavalle di En Ghedi, fra le cui montagnescappò Davide inseguito da Saul e dovelo stesso Davide risparmiò la vita al-l’antagonista, prima della temporaneapace fra i due. La zona comprende alsuo interno una serie di laghi in cuitrovare conforto e offre uno scenarionaturale indescrivibile, ricco di cascatee corsi d’acqua. Il successivo lago di Ti-beriade è luogo centrale della vita diGesù ed è punto strategico per la visitadi altri luoghi biblici come per esempioCafarnao, ove Gesù guarisce la suoceradi Pietro, Magdala, il luogo del Primatodi Pietro, Bethsaida, Nazareth e Qum-ran15 oltre al Monte delle beatitudini.Prima di allontanarci dal Lago di Tibe-riade, una tappa che mi ha notevol-mente colpito è stata quella fatta aKursi. Sulla strada che procede versonord, a circa 6 km dal lago, si trova illuogo dove sorgeva il villaggio ellenisti-co16, poi arabo, di Kursi, ora scompar-so se non per qualche rovina archeolo-gica, dove la tradizione cristiana ha

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ambientato il miracolo di Gesù cheguarisce l’indemoniato, posseduto daduecento demoni, cui nessuno osavaavvicinarsi, mandando i demoni in unbranco di porci che si precipitaronopoi nelle acqua del lago (Mc 5, 1-20).Dopo una serie di visite e passaggi chenon menziono per non privare del gu-sto della sorpresa i futuri pellegrini,siamo arrivati a Cesarea Marittima,porto sul Mar Mediterraneo ove risie-deva il procuratore romano al tempo diGesù: un reperto di marmo riportanteil nome inciso di Pilato consente diconfermare che fosse lui il procuratoreromano sotto il quale fu condannatoGesù, nonostante la sua affermazione:“Io non trovo in quest’uomo nessunacolpa…”17. Dalla splendida cornice diCesarea Marittima, che ancora mantie-ne una parte dell’acquedotto originarioe del teatro, siamo partiti alla volta diGerusalemme, dove abbiamo trascorsogli ultimi giorni. Gerusalemme rappre-senta un tuffo al cuore che non meritauna definizione soggettiva perchè ri-schierebbe di limitare la portata checertamente avrebbe in ognuno di noi.Tanti i luoghi da visitare, dall’Arcodell’ecce homo dove si dice Pilato espo-se Gesù chiedendo a chi il popolo vo-lesse concedere la grazia, al Litostrotodella Fortezza Antonia ove i soldatigiocarono a dadi col Signore, dal Giar-dino degli Olivi18 al Sacro Sepolcro, di-viso secondo criteri rigorosi di spazio edi tempo tra greci ortodossi, francesca-ni e armeni19. Il monumentale comples-so che raccoglie il Calvario (o Golgota,cioè “cranio”), monte su cui fu crocifis-so Gesù, ed il sepolcro di Cristo. Que-sto luogo di esecuzioni capitali per cro-cifissione, supplizio romano per schia-vi e ribelli, era posto fuori dalle muradi Gerusalemme. Nel 325 d.C. la regina

Elena, madre dell’imperatore Costanti-no, ritrovata la croce di Gesù - e tra-dottala a Roma nella basilica di SantaCroce – iniziò la costruzione di una ba-silica a pianta circolare sul Santo Se-polcro. In seguito alla conquista di Ge-rusalemme da parte dei Crociati, dal1099 al 1149 fu costruita un’unicachiesa che comprendeva i siti del Cal-vario, della sepoltura e della resurre-zione di Gesù Cristo. Nel vestibolo, unascalinata sale al Calvario, suddiviso trala cappella della Crocifissione, luogodove Gesù fu posto sulla croce, e lacappella del Calvario, sito della mortedi Cristo. Se si ridiscende nel vestibolo,si scorge al centro la Pietra dell’Unzio-ne, luogo della deposizione di Gesù,dove fu lasciato il corpo di Cristo perl’imbalsamazione. Nei secoli la lastravenne sostituita parecchie volte. Sullasinistra, la Pietra delle tre Marie ci ri-corda il luogo in cui le donne si ferma-rono a prestare assistenza a Gesù chestava morendo. Al centro della rotondasi trova l’Edicola del Santo Sepolcro.Questa costruzione del 1810 sorge alposto dell’Anàstasis di Costantino; hauna pianta rettangolare ed è divisa indue parti: la cappella dell’Angelo, unvestibolo che introduce mediante unaporta nella tomba rivestita da marmi.Alle spalle dell’Edicola del Sepolcro c’èla cappella dei Copti, risalente al 1573di qui un corridoio stretto porta allaTomba di Giuseppe d’Arimatea. Dallacappella della Divisione delle Vesti, siscende alla cappella di Sant’Elena, ca-ratterizzata da capitelli crociati ed ele-menti architettonici bizantini. Da que-sto luogo, scendendo un’altra scalinata,si giunge nella cappella del Ritrova-mento della Croce da parte della citataSant’Elena, che avrebbe ritrovato lacroce su cui morì il Signore. L’area sot-

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tostante la cappella del Calvario è de-nominata la cappella di Adamo.20 Duepilastri e l’abside risalgono al secoloXI. Gli altri due pilastri sono medieva-li; alla loro base si trovavano le tombedei comandanti crociati Baldovino I eGoffredo di Buglione, tolte nel 1809dai Greci. La zona di interesse storicoper i pellegrini non è molto estesa epuò essere agevolmente visitata ad ec-cezione dell’interno delle moschee si-tuate sulla Spianata del tempio21, chiu-se ai non musulmani dopo che il 28settembre 2000 Sharon ha guidato pro-vocatoriamente sul piazzale una dele-gazione del suo partito.La particolarità di questo pellegrinag-gio è stata quella di visitare ogni sitoaccompagnandoci alla lettura del corri-spondente brano del vangelo, dell’Anti-co Testamento, salmo o altro, riservan-do poi un momento di meditazione per-sonale che ognuno poteva spendere asua discrezione: rileggendo gli appunti,pregando o dormendo come è successoa molti nella Chiesa dell’Annunciazionedi Nazareth. L’incontro col cardinalMartini a Gerusalemme è stato poi ilvalore aggiunto di un’esperienza che hasaputo parlare al cuore di tutti per im-patto ambientale, risvolti storici, misti-ci e religiosi. Lo stile rigoroso, sobrio espartano mantenuto durante il viaggio,che ci ha visto dormire in campeggi co-perti da cieli stellati che sovrastavanomari e deserti, ha avuto la sola eccezio-ne del noleggio di un bus che ci ha per-messo di muoverci agevolmente fino aGerusalemme. Difficile capacitarsi dicome sia stato possibile trovare un ri-storo profondo e totale anche nei bagnidel deserto, provvisti di acqua potabilee tali da non arrecare disturbo alcunoin nessuno di noi; da notare inoltre co-me tutti gli apparecchi tecnologici co-

me condizionatori d’aria e quant’altrofossero di ultima generazione all’inter-no dei confini israeliani e di come man-cassero i beni di prima necessità pochecentinaia di metri fuori dal confine coni territori occupati in Palestina. Inrealtà la domanda è fin troppo facile, lozio Sam qui non fa mancare il suo aiu-to,contrariamente al Darfur o ad altrezone del mondo… Credo che sia azzec-cata la frase: “Beato chi trova in te lasua forza e decide nel suo cuore il santoviaggio” (Sal. 84,6). Ritengo un donoquello di aver potuto visitare i luoghidel Signore ed aver avuto il privilegio diuna guida competente ed esigente, ana-loga a quella che per tutti noi dellaLMS abbiamo sempre avuto in Massi-mo e Vitangelo. Allo stesso modo restoconvinto che il fatto di dedicare la no-stra vita agli altri, ognuno secondo leproprie possibilità, non debba dipende-re unicamente dall’aver visto…

Luca Capurro

Note

1 I chek point sono tanti e, ahimè, per lo piùrappresentano il risultato del poter antidiscre-zionale che il popolo israeliano, autodetermi-nandosi a scapito dei palestinesi, compie quo-tidianamente dietro il pretesto dell’esigenza didifendersi. Uno dei problemi connessi a tali“strumenti di controllo” deriva dal fatto chemolte di queste postazioni sorgono a metàstrada tra le case e gli esercizi commerciali, ipoderi che tanti arabi possiedono.2 Ove è sepolto Yasser Arafat. Uomo politico,riferimento dei palestinesi assieme con l’at-tuale primo ministro Abu Mazen, e terrorista,in gioventù si è distino per aver fatto bombar-dare il King’s David Hotel, colpito anche daiterroristi ebrei dell’Irgun, all’epoca sede del-l’ambasciata inglese, oggi albergo e luogo sto-rico, sito in Botta Street, proprio davanti all’I-stituto Biblico, di proprietà dei gesuiti. Unacuriosità dell’egemonia inglese riguarda il co-lore bianco panna delle case di Gerusalemme,

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obbligatorio secondo una legge del piano re-golatore del 1917.3 L’ex generale di ferro che capovolse le sortidella guerra dello Yom Kippur nel ‘73 attraver-sando praticamente da solo il canale di Suez eche dieci anni più tardi trascinò Israele nel-l’infamia con l’invasione del Libano e le straginei campi profughi di Sabra e Shatila. Oggimorto celebralmente ma tenuto in vita dallemacchine, fedele alla tradizione dei generaliisraeliani che sono poi diventati primi mini-stri ad eccezione di Simon Peres, che è statonominato il 13/07/2007 presidente dello statod’Israele.4 L’esercito israeliano rappresenta oggi unadelle forze militari meglio attrezzate e orga-nizzate del mondo. Il servizio militare, obbli-gatorio per tutti, dura due anni per le ragazzee tre per i ragazzi; tuttavia il servizio militare,dovere che si deve allo stato, non è richiestoper i cittadini israeliani non ebrei.5 Al di là dei moderni impianti di desalinazionedell’acqua salata, per lo più prelevata dal MarMorto, che di fatto stanno riducendo notevol-mente la capacità d’acqua dello stesso.6 David Ben-Gurion (P?o?sk,16 ottobre 1886 –Sde Boker, 1 dicembre 1973) è stato uno sta-tista israeliano. Nato David Grün nella Poloniaall’epoca parte dell’Impero zarista, emigrò gio-vanissimo in Palestina. È rimasto per tutta lavita legato al pionierismo delle origini tantoche, nel pieno della sua attività politica, tra ilsuo terzo e quarto governo, si ritirò per dueanni in un kibbutz del Neghev (Sde Boker).Quando gli inglesi, con il Libro Bianco del1939, posero gravi restrizioni all’immigrazioneebraica, fu il più deciso organizzatore dell’im-migrazione illegale, ma anche di un esercitoregolare ebraico, l’Haganah, che combattesse afianco degli inglesi contro il nazismo. Sociali-sta militante dal 1910, dirigente sindacale dal1921 al 1933, fu poi fino al 1948 presidentedell’Agenzia Ebraica, una sorta di governo om-bra degli ebrei residenti in Palestina sotto ilmandato britannico. Toccò a lui proclamare, il14 maggio 1948, la Costituzione ufficiale delloStato d’Israele e di assumerne immediatamen-te la guida nella guerra, scoppiata subito dopo,con gli Stati arabi confinanti. Sua fu anche laproposta, rivolta al clero ebraico (il quale perònon la accettò) di revocare la scomunica a Spi-noza. Fu al governo come ministro della Dife-sa e primo ministro per 13 anni, dal 1949 al

1953 e dal 1955 al 1963, guidando il suo Paesea una seconda vittoria nella Crisi di Suez nel1956. Per 21 anni fu leader del Mapai.Nel 1965tentò, con scarso successo, il rientro in politicafondando un nuovo partito. Gli ultimi annidella sua vita li ha trascorsi come un patriarca,studiando, meditando e coltivando la terra. Èsepolto a Sde Boker accanto alla moglie Paula,presso la città Nabatea di Avdat.7 Infatti in territorio israeliano comprende unagrande massa desertica: il deserto più vasto èquello del Neghev, che a sua volta comprendequello di Zyn; degni di menzione anche quelloche da Gerusalemme conduce a Gerico e ilTimna Park, noto anche come Red Canyon acausa del colore rosso della sua sabbia. Il ter-ritorio prevalentemente verdeggiante nell’anti-chità deve l’avanzata del deserto nei secoli, an-che ai fortissimi disboscamenti operati sotto ildominio turco.8 Fra le principali persecuzioni perpetrare adanno del popolo ebraico: a) i 400 anni di pri-gionia da parte del Faraone egizio nel 1200a.C. prima della liberazione di Mosè; b) la per-secuzione babilonese del 585 a.C.; c) la stragedi ebrei compiuta da parte dell’imperatoreAdriano nel 135 d.c.; d) le persecuzioni nazi-ste, vergogna del nostro secolo, macchia im-mortale dell’essere umano, volute da Hitler ecominciato con la promulgazione delle “leggirazziali” del 1920.9 Il muro del pianto, in realtà chiamato “We-stern wall”, muro che sta ad ovest, riferito aduna parte dell’antico perimetro del tempio diSalomone sopra cui giace la “Spianata deltempio” della moschea di Omar, rimasto sottoil controllo musulmano dopo la definitivasconfitta dei crociati, deve tale appellativo adue motivi: a) perchè gli stranieri che osserva-vano gli ebrei pregare, vedendoli recitare i ver-si della Torah muovendosi con tutto il corpo,come impongono le scritture, credevano erro-neamente che piangessero; b) in più momentidi persecuzione, gli ebrei, quando riuscivano oavevano la possibilità (una volta all’anno sottol’egemonia babilonese) di pregare al muro delpianto, mischiavano lacrime di commozione edi richiesta di aiuto nelle preghiere al Signore.10 La parola ebraica Shabbat proviene dal ver-bo ebraico shabat, che significa, letteralmente,smettere, inteso come smettere di compiere al-cune azioni.11 Si pensi per esempio all’olocausto armeno

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compiuto tra il 1914/1918 da parte dei tur-chi. Un genocidio dimenticato che, tra la finedel XIX e l’inizio del XX secolo, provocò lamorte di più di due milioni di persone, colpe-voli soltanto di appartenere ad un’etnia e aduna cultura diverse e di professare un cultodi minoranza.12 Ad Eilatt, vicino a Taba in Egitto e divisa dapoche centinaia di metri di mare dalla Giorda-nia, rievocando la liberazione del popolo diIsraele da parte di Mosè.13 Nel corso dei 10 giorni all’anno di pioggiache investono tutta la zona della Terra Santa,l’attuale Palestina e Israele, l’acqua torrenzialeche cade nei deserti, crea dei fiumi naturaliche trasportano detriti e determinano nuoviletti dei fiumi stessi, di volta in volta. Tali lettidei fiumi sono detti wadi.14 Masada era un’antica fortezza israelianache sorgeva su un altopiano di circa sei km?situato su una rocca a 400 m di altitudine ri-spetto al Mar Morto, nella Giudea sud-orien-tale, l’attuale Palestina. Mura alte cinque me-tri (lungo un perimetro di un chilometro emezzo, con una quarantina di torri alte più diventi metri) la racchiudevano, rendendolapressoché inespugnabile. La fortezza divennenota per l’assedio dell’esercito romano duran-te la prima guerra giudaica e per la sua tragi-ca conclusione. (Si legga il Salmo 79/78, 1-7)La fortezza dell’antica città di Masada di fattonon fu mai espugnata dai soldati romani chepure vi entrarono nell’anno 74. Davanti ai lo-ro occhi trovarono solo una orrenda ecatom-be: il suicidio collettivo della comunità ebrai-ca zelota resistente al potere di Roma che laoccupava.15 Qumran è famosa in seguito alla scoperta,risalente alla prima metà del XX secolo, deiRotoli o Papiri del mar Morto e per i resti diun monastero dove si ritiene vivesse una co-munità di Esseni. Dopo la scoperta del Rotolodel Mar Morto di Isaia, avvenuta nel 1947,questo sito archeologico fu rivalutato.16 Non è casuale il fatto che si parli di porci,animali che non erano allevati dagli ebrei, egiacevano fuori dalle mura allevati in territo-rio ellenistico da non ebrei.17 Il motivo per cui Pilato fosse a Gerusalem-me e prese conseguentemente parte a tutta ladisputa che ci fu circa la condanna, o meno,di Cristo fu quello dell’imminenza della Pa-squa, ragione per cui il Sinedrio tutto, temen-

do possibili insurrezioni della gente, cercò diaccelerare la condanna di Gesù.18 La valle degli Ulivi comprende anche il Get-semani (frantoio). Un particolare interessanteriguarda gli evangelisti: il solo Marco narracon precisione gli attimi della cattura di Gesùin seguito al tradimento di Giuda. Una simileosservazione potrebbe derivare, secondo unanota teoria, dal fatto che l’intera collina di uli-vi, appartenenti a famiglie diverse, dispone diun solo frantoio per tritare le olive. Il frantoiogiaceva all’interno di una grotta dove si narrail padrone concedesse a Gesù e ai suoi aposto-li di trascorrervi le notti quando si recavano aGerusalemme. Secondo tale considerazioneMarco sarebbe appunto il figlio del proprieta-rio del frantoio che, ragazzino, assistette allacattura di Gesù.19 Una curiosità è data dalla presenza, ormaida anni, di una scaletta di legno appoggiatasulla facciata della chiesa. Infatti le confessio-ni religiose che si dividono il monopolio dellachiesa, per non perdere tale privilegio, lascia-vano anticamente un loro addetto affinché ve-gliasse la notte la rispettiva zona di competen-za. Si dice che la scala servisse per eludere lasorveglianza e andare a dormire, tutti, ognunonelle rispettive famiglie.20 Secondo una tradizione piuttosto romanti-ca, la parte di Golgota rimasta all’interno dellaparte superiore del Sacro Sepolcro, contenen-te la croce su cui giaceva Gesù, nel momentoin cui questo mori, apri una spaccaturaprofonda nel terreno (visibile nella parte infe-riore della chiesa in corrispondenza della stes-sa parte di monte) capace di arrivare fino adAdamo, che per alcuni è sepolto sotto la croce,e redimere quindi il peccato originale dell’uo-mo, salvando l’umanità tutta.21 È su quella altura che Abramo, patriarcadel “popolo eletto”, offrì a Dio il sacrificio disuo figlio Isacco; è lì che prima re Davide epoi re Salomone costruirono il grande Tem-pio dell’Ebraismo, lo stesso tempio da cui ungiorno un profeta di nome Gesù scacciò indi-gnato i mercanti che lo affollavano coi lorotraffici; ed è ancora lì che, dopo la distruzio-ne del tempio ad opera delle legioni dell’Im-pero Romano nel 70 dopo Cristo, Maomettoprese il volo verso il cielo in groppa ad uncavallo alato. Tremila anni di storia e tregrandi religioni si incrociano dunque su que-sto luogo.

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C he Palermo fosse la Città daimille volti e delle mille contrad-dizioni ormai è cosa nota.

È la città che ha fatto nascere il principiodell’integrazione etnica nel medioevo,che ha dato i natali e più tardi ucciso al-cuni tra i più illustri personaggi per co-scienza civica e senso dello stato nei tem-pi moderni. È la città che, con le sue sto-rie di ordinario parossismo, forniscespunti d’oro agli incursori della politica eai paladini della coscienza civica da sa-lotto televisivo per esibirsi in preziosepratiche nostrane di ars oratoria trasver-sale e strisciante.Palermo uguale mafia, omertà, gioiellimonumentali, cittadinanza morta, marestupendo, fenici, primo parlamento natoin Europa, magistrati di prim’ordine,morti ammazzati di prima scelta, e tantotanto altro, che una stagione della Scalain confronto è roba da cabaret d’a-vanguardia. Ma negli ultimi anniPalermo ha visto crescere nelle sueviscere un moto di sdegno che partedal basso. Non dal basso dei salotticaldi e illuminati di quelli che fannoil V-Day, ma dal basso della più infi-ma condizione che un essere uma-no possa sperimentare sulla propriapelle, in un paese che ama definirsioccidentale e civilizzato. Il Comitato di lotta per la casa 12luglio nasce nel 2002 e raccoglie l’e-

redità di un movimento per la casa cheaffonda le sue radici nel lontano ’68, an-no del terremoto in cui migliaia di per-sone abbandonarono le case gravemen-te danneggiate del centro storico per an-dare a occupare gli stabili dello Zen, al-tro simbolo (purtroppo più mediaticoche altro) di questa città. Il Comitatodeve il suo nome alla data del 12 luglio2002, giorno in cui decine di personevennero sgomberate forzosamente dallapolizia durante l’occupazione della cat-tedrale di Palermo. Data in cui nacque ilgerme di una coscienza civica dei dirittiche oggi è maturo e sta dando fastidioai potenti. È composto da gente comu-ne, gente che non ha niente da perdereperché ha già perso tutto. Soprattuttogente che, pur potendo rivolgersi al si-gnorotto di zona (per non dire padrinoo boss) per avere una soluzione abitati-

MISSIONE E SOCIETÀ

Palermo, com’è dura la lotta perla casa nella città dei luoghi comuni

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va, ha preferito alzare la testa reclaman-do direttamente un diritto inalienabileche, per un motivo o per l’altro, gli èstato negato. E forse questo è il dato piùconfortante nella vicenda della lotta perla casa a Palermo: il palermitano-tipo di“fascia bassa”, che nella parodia comu-ne cede sempre alla tentazione di risol-vere il suo problema per via clientelare,rifiuta questa via mettendo spalle almuro le istituzioni. Uno smacco grandecome una casa per tutte le organizzazio-ni anti-mafiose (sulla carta) operanti aPalermo e che negli ultimi anni hannoavuto un risalto mediatico enorme (unasu tutte, il fantastico comitato di im-prenditori mancati AddioPizzo), che suquesta vicenda non hanno ritenuto op-portuno pronunciarsi. L’emergenza abi-tativa a Palermo, in numeri, è riassumi-bile come segue:

– fino al 2011 la richiesta stimata è di18.000 alloggi complessivi, per un to-tale di circa 10.000 richiedenti aventidiritto e una risposta annua di 30 as-segnazioni;

– gli abusivi sono 3.500;– Nel centro storico, sono stimati circa

10.000 alloggi che riportano ancora idanni provocati dalle bombe statuni-tensi della II guerra mondiale;

– L’intenzione dichiarata della giuntacomunale è di rendere disponibili

680 alloggi entro il 2008 con inter-venti di edilizia sovvenzionata;

– La giunta comunale (sindaco DiegoCammarata, Forza Italia), in caricadal 2001 e uscita vincente all’ultimatornata elettorale negli ultimi tre anniha realizzato 69 alloggi ERP (EdiliziaResidenziale Pubblica).

I numeri parlano da soli. E siccome par-lano anche troppo, nel 2006, a ridossodelle festività natalizie, il Comitato di lot-ta decide di occupare la Cattedrale, ripe-tendo l’esperienza di 4 anni prima (perio-do in cui la maggior parte delle 100 fami-glie che lo compongono ha vissuto perstrada). La risposta della città è formida-bile: il parroco della cattedrale, Mons. LoGalbo, sospende le funzioni e le visite, eaddirittura rimuove l’ostensorio dall’alta-re. La presenza di persone che occupanola cattedrale, per lo più credenti e devotesecondo il costume popolare palermita-no, costituisce un’offesa alla sacralità delluogo. A questo si aggiunge il silenzio as-sordante della Curia e dell’allora vescovoDe Giorgi, che invece lasciano il campolibero agli attacchi simil DC delle forze dimaggioranza del consiglio comunale, tut-te UDC, AN, Forza Italia, MPA. Tutti tra-lasciano il particolare che quel gesto follee sconsiderato è l’effetto di una causa pri-maria: anni e anni di chiacchiere conpromesse di assegnazioni (tutte concen-trate durante le tornate elettorali, comeda costume nostrano) e pochi fatti. Sel’alternativa è vivere per strada, il Comi-tato preferisce bivaccare nella casa diDio, la casa degli uomini. Si arriva ad unaccordo, che coinvolge prefetto e forze dimaggioranza: si aprirà un tavolo di trat-tativa. Gli occupanti, dopo 20 giorni dioccupazione, lasciano la cattedrale. Inu-tile dire che quel tavolo di trattativa salta.Gli immobili confiscati alla mafia non

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vengono utilizzati come alloggi provviso-ri in attesa di una assegnazione definiti-va. Alcune famiglie vengono ammassatein una vecchia villa nobiliare, in stanzonicomuni, con bagno comune, cucina co-mune, vita forzatamente comune. Altrenelle locande comunali, in cui possonopermanere unicamente durante gli orarinotturni. Altre ancora, come sempre, perstrada. Tutto questo con il continuo tira emolla dell’assessore di turno, che primapromette e poi nega di averlo fatto. Finché una notte di ottobre 2007, il 18per la precisione, il Comune, già al tracol-lo finanziario pur avendo approvato il bi-lancio da due settimane, decide, senzapreavviso, di non pagare più il soggiornoin albergo a 18 famiglie di senza casa. Lamattina del 19 ottobre le 18 famiglie ven-gono fatte accomodare per strada. Lamattina del 22 ottobre, quelle 18 famiglie,con bambini al seguito, dopo essere statesotto la pioggia battente per quattro gior-ni, 24 ore su 24, decidono di entrare,oc-cupandola, nella Sala delle Lapidi, sededel Consiglio Comunale, finchè l’ammini-strazione comunale non troverà una solu-zione definitiva, e che non siano roulotteo container, risalenti al terremoto del’68,e che già in tanti, in troppi, hanno speri-mentato per mesi in condizioni da favelasbrasiliane. Sino alla data in cui scrivo, 28ottobre, il Comune è ancora occupato.Sempre più famiglie si uniscono alla lottadisperata di quelle 18 che, supportate dalComitato 12 Luglio e da quattro esponen-ti del gruppo consiliare Altra Palermo,non intendono vedere calpestati per l’en-nesima volta i loro diritti. Il sindaco, do-po avere tentato la carta della “pubblicamanifestazione di sdegno” per l’azione il-legale, lancia appelli di aiuto al governonazionale, ma è lo stesso sindaco, l’unicoin Italia, che nel quinquennio precedentenon ha richiesto i fondi che gli sarebbero

spettati di diritto per l’edilizia popolare. Èlo stesso sindaco la cui giunta ha scioltol’Ufficio del commissario per i beni confi-scati, addossandone così la gestione all’a-genzia del Demanio, già oberata di prati-che da espletare. È lo stesso sindaco lacui giunta ha smantellato il tessuto socia-le del centro storico più grande d’Europa,espropriando gli antichi palazzi nobiliari,trasferendone residenti in periferia (nellestrade della periferia, per l’esattezza),mettendo all’asta pubblica i palazzi inquestione per gli amici degli amici e rea-lizzando plusvalenze da capogiro attra-verso una speculazione edilizia senza pre-cedenti, attuata in prevalenza attraversoprivati e società immobiliari. È lo stessoSindaco che, ancora prima che si aprissela campagna elettorale, spese 1.200.000euro in manifesti pubblicitari per sponso-rizzare l’operato della sua giunta, attin-gendo dal fondo di emergenza. (Palermo,la città più cool d’Italia, recitava uno deitanti slogan). La Chiesa cattolica colma ivuoti che rimangono con il suo silenzioassordante. Parte della “sinistra”, o diquel che ne rimane dentro il PD, condan-na l’illegalità dell’azione, richiamandosial senso di opportunità. Sindacalisti di al-tri tempi, militanti dei centri sociali(compreso chi scrive) e partiti con falce emartello da 2% (Comunisti Italiani), sup-portano e solidarizzano attivamente congli occupanti, organizzando le assembleequotidiane e provvedendo alla fornituradei generi di prima necessità e dei pasti.Le 18 famiglie intanto, continuano la lorolotta, e la continueranno finché non ot-terranno per loro e per gli altri 10.000 ciòche spetta loro per diritto: la casa. E ma-gari anche il lavoro, ma quello è un altrocapitolo dello stesso romanzo.

http://abitarepalermo.blogspot.comGiovanni Barbieri

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IMMIGRAZIONEDossier Statistico 2007

La biblioteca di Gentes

Pubblicato il Dossier Statistico Immigrazione2007 di Caritas e Fondazione Migrantes

Il 2007 è l’anno del dialogo interculturale. Que-sto, a detta di Franco Pittau, coordinatore dos-sier Caritas/Migrantes, è il messaggio da co-gliere nelle 512 pagine di analisi e tabelle stati-stiche del XVII Rapporto Statistico sull’immi-grazione presentato il 30 ottobre 2007 a Roma.Il Dossier Statistico Immigrazione è un progettodi ricerca e sensibilizzazione, che fa capo alla

Caritas Italiana, alla Fondazione Migrantes e alla Caritas diocesiana di Roma. Si avvaledella collaborazione di organizzazioni internazionali, strutture pubbliche nazionali, uni-versità, enti locali e organizzazioni sociali che si occupano di immigrazione. Quest’anno illavoro è composto di cinque parti così articolate: il contesto internazionale ed europeo; glistranieri soggiornanti in Italia; l’inserimento socio-culturale; il mondo del lavoro; i conte-sti regionali. La struttura usuale è stata arricchita con nuovi approfondimenti e grande at-tenzione è stata dedicata all’area dell’Europa allargata e ai contesti regionali, con uno spe-ciale riferimento alle politiche locali e alla realtà capitolina. Gli oltre 100 redattori chehanno partecipato al progetto sottolineano che nell’UE a 27, su mezzo miliardo di perso-ne, gli immigrati con cittadinanza straniera sono circa 28 milioni, secondo le stime di ini-zio 2006, ma si arriva a circa 50 milioni se si includono quanti nel frattempo hanno acqui-sito la cittadinanza. L’incidenza degli immigrati è del 5,6% sulla popolazione complessivadell’Unione. Secondo la stima del Dossier la presenza straniera è costituita per la metà daeuropei: in particolare, quelli dell’Est Europa, dal 2000 al 2006, sono aumentati di 14 pun-ti percentuali, mentre l’Africa ne ha persi 5 e l’Asia e l’America 2 ciascuna. L’Italia si collo-ca, con la Spagna, subito dopo la Germania tra i più grandi paesi di immigrazione dell’U-nione Europea e, per quanto riguarda l’incremento annuale, i due Paesi mediterranei nonhanno uguali in Europa, superando in proporzione gli stessi Stati Uniti. secondo la ricercadella Makno&Consulting per il Ministero dell’Interno, l’85% degli italiani si fa un’idea degliimmigrati sulla base dei telegiornali e per lo più ritiene che gli irregolari superino i regola-ri, ritenendoli perciò un peso per l’economia italiana, oltre che per la società. Al contrario,secondo l’apposita indagine Istat, essi “incidono per il 6,1% sul Prodotto interno lordo”:pagano quasi 1,87 miliardi di euro di tasse attraverso 2 milioni e 300mila dichiarazionidei redditi. Inoltre, nel 2006 la forza lavoro straniera ammontava a 1.475.000 persone(1.348.000 occupati e 127.000 disoccupati, con un tasso di disoccupazione dell’8,6%). Ciòsottolinea l’esigenza di una conoscenza meno superficiale e le iniziative previste per l’annodel dialogo multiculturale costituiscono, per la Caritas e Migrantes, “l’occasione perchéquesto obiettivo si realizzi”.

Francesca Romana Lenzi

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