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General course - DIRITTI UMANI E INCLUSIONE LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE INCLUSIVI Studentesse: Carraro Laura - 1147946 Fincato Alessia - 1147945 Giavoni Asia - 1148808 Tommasi Siddhi - 1150831 Anno accademico 2017/2018

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General course - DIRITTI UMANI E INCLUSIONE

LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE INCLUSIVI

Studentesse:

Carraro Laura - 1147946 Fincato Alessia - 1147945 Giavoni Asia - 1148808 Tommasi Siddhi - 1150831

Anno accademico 2017/2018

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INDICE:

EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO INCLUSIVO (Tommasi Siddhi)

INTRODUZIONE

1. LA DISABILITÀ NELLA STORIA

2. IL LINGUAGGIO UTILIZZATO NELLA STORIA

3. LE PAROLE E I LORO SIGNIFICATI

4. LINEE GUIDA PER UN LINGUAGGIO INCLUSIVO

Bibliografia e sitografia

TECNOLOGIE INCLUSIVE PER LA COMUNICAZIONE (Carraro Laura)

INTRODUZIONE

1. CHE COS’È IL LINGUAGGIO?

2. UN PROBLEMA E LA SUA SOLLUZIONE

3. LE TECNOLOGIE IN QUESTA SITUAZIONE POSSONO

AIUTARE? CHE RUOLO HANNO?

4. COSTI

Bibliografia e sitografia

ACCESSIBILITÀ E COMUNICAZIONE SOCIAL (Fincato Alessia)

INTRODUZIONE

1. STEP 1: PER UNA COMUNICAZIONE ACCESSIBILE SUL WEB

1.1 Cos’è un social network

1.2 Creazione di un sito accessibile

2. STEP 2: ENTRIAMO NEL DETTAGLIO

2.1 I social network più utilizzati dalle persone con disabilità: un

piccolo focus

2.2 Accessibilità sui social

2.3 Aspetti positivi e negativi di una comunicazione social

3. STEP 3: ESEMPIO DI COMUNICAZIONE RIUSCITA

Bibliografia e sitografia

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LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE INCLUSIVI NEL CONTESTO

ITALIANO (Giavoni Asia)

INTRODUZIONE

1. CATTOLICESIMO E INCLUSIONE

2. EDUCAZIONE E INCLUSIONE

3. SESSISMO NELLA LINGUA ITALIANA

4. CONCLUSIONE

Bibliografia e sitografia

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EVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO INCLUSIVO

INTRODUZIONE

Quasi tutti i professori alla conclusione dei loro interventi sottolineavano

l'importanza di prestare sempre più attenzione verso le parole che usiamo

quando ci rapportiamo con persone con disabilità e con tutti i diversi

strumenti utilizzati da loro. Da piccoli, quando iniziamo a imparare a

parlare, noi ripetiamo le parole che sentiamo pronunciare dalle persone

intorno a noi, senza curarci minimamente del loro significato. Ma

crescendo, in certe situazioni ci siamo trovati in imbarazzo, specialmente

quando dovevamo rivolgerci a persone con disabilità non sapendo

veramente i termini giusti da utilizzare. Per questo con il passare del

tempo e l'aumento della sensibilizzazione delle persone, sono nate

diverse Convenzioni e regole per aiutarci a rapportarci nel modo migliore e

più inclusivo verso persone con disabilità.

Una caratteristica forte della nostra epoca è la ricerca dell'inclusione in

tutti i settori, anche in quello della disabilità. Perché chi porta nel corpo

segni di disabilità possa superare la sensazione di sentirsi emarginato, ma

specialmente diverso, un punto delicato ed efficace su cui lavorare è

proprio quello del linguaggio, arrivando alla sostituzione di alcuni termini

che usiamo abitualmente per descrivere persone con disabilità o le loro

caratteristiche. Le parole possono ferire molto profondamente, per questo

il nostro compito è quello di trasmettere l'importanza alle persone della

differenza nei significati dei termini utilizzati. Però non è sempre facile,

perché spesso molti si scontrano su certe espressioni, dei termini in

particolare spesso oggetto di contestazione sono: 'Diversamente abile o

Diversabile' dove per tanti possono essere visti come termini adeguato da

utilizzare o un giusto compromesso mentre per altri non si dovrebbe

utilizzare, come incoraggia il magazine SuperAbile, perché sono delle

espressioni che vorrebbero sottolineare l'abilità invece della disabilità.

Riferendosi a termini come diversamente abile e diversabile dice

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Tommasi Siddhi
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Giampiero Griffo 'cancellano la condizione di discriminazione e mancanza

di pari opportunità'.

Con questo elaborato speriamo di far capire quanto è importante un

linguaggio e una comunicazione inclusiva. Affronteremo in modo molto

approfondito la questione del linguaggio a proposito della disabilità e le

sue implicazioni; ma non solo, infatti ci focalizzeremo anche sul linguaggio

inclusivo nel contesto italiano non solo per quanto riguarda la disabilità,

ma anche altri settori, come per esempio verso minoranze come stranieri,

comunità LGBTQI, linguaggio sessista, ecc.

LA DISABILITÀ NELLA STORIA:

Per iniziare vorrei fare un excursus storico perché, come sostiene

l'Antropologo Bronislaw Malinowski, “language and culture are indivisible,

our language is our culture and how we use it reflects on our culture.”

Quindi vorrei analizzare le epoche e le culture che hanno segnato

profondamente la nostra società ma specialmente gli atteggiamenti di

queste società verso le persone con disabilità.

Nell'Antica Grecia la società era fondata sui miti e la religione, che

consideravano la bellezza, così come l'integrità fisica e psichica, segni

della grazia divina. Erano ideali da raggiungere. Al contrario la bruttezza,

la deformità e le malattie erano considerate segno di una punizione

soprannaturale o di volontà divina e non venivano tollerati. Il filosofo greco

Aristotele sosteneva la necessità di una legge che impedisse ai bambini

deformi di sopravvivere in quanto inutili allo Stato. Il suo maestro Platone

può essere considerato il precursore del movimento eugenetico,

affermava che il compito della giustizia e della medicina era curare i

cittadini sani nel corpo e nello spirito. La città ideale di Platone, per

esempio, deve essere abitata da individui perfetti, che generano figli sani.

Egli sosteneva gli accoppiamenti fra questi eletti per un fine riproduttivo,

mentre auspica una moderatezza di costumi fra i mostri, per evitare che

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altre generazioni nascessero con deformità fisiche. Entrambi questi filosofi

erano dell'opinione che lo Stato dovesse impedire l’allevamento e la cura

dei neonati deformi, che rappresentano uno spreco di risorse ed energie.

Mentre le persone cieche o con disabilità intellettive non avevano la

stessa sorte delle persone che avevano evidenti deformità fisiche. Questo

perché secondo la mentalità del tempo le persone cieche non vedendo

quello che accadeva nel presente avevano il dono di guardare il tempo

futuro. I 'pazzi' invece sarebbero stati in grado di parlare con gli dei, per

questo motivo era consigliabile essere nelle loro grazie ed averli come

amici. Nonostante questo però la maggior parte delle volte queste persone

venivano nascoste ed emarginate.

L'epoca Romana è molto simile a quella Greca, anche qui vige il culto del

bello e del corpo perfetto, e risolve in maniera ancora più drastica la

situazione dei bambini nati con qualche deformità: non erano riconosciuti

dalla famiglia e venivano uccisi. Il rituale con cui un figlio veniva

riconosciuto prevedeva che il pater familias alla nascita dell'infante lo

sollevasse in alto, presentandolo così agli dei. In questo gesto veniva

riconosciuto dalla sua famiglia e diventava cittadino romano. Questo non

accadeva per gli infanti che avevano qualche difetto, perché non venivano

ritenuti degni di essere presentati a dio. Quindi spesso venivano lasciati

fuori casa a morire. La disabilità veniva considerata una vita inutile. In

questo sfondo storico affondano le radici l'abbandono, l'indifferenza e

l'emarginazione nei confronti degli individui non rispondenti ai canoni di

bellezza e perfezioni assunti dalla società.

Pur evolvendosi in meglio rispetto ai tempi delle civiltà antiche, la

situazione delle persone con disabilità rimane sempre segnata da una

pesante emarginazione. È con il Cristianesimo che si notano i primi

cambiamenti: qui l'insegnamento è orientato all'accoglienza di tutti senza

discriminazioni. Pur essendo una svolta concettuale importante, la

situazione concreta non subisce forti variazioni.

Nel Medioevo si guarda alla disabilità in due modi: nel caso di disturbi

psichici si interpretava come possessione demoniaca; veniva letta come

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castigo divino quando si trattava di disabilità motorie o sensoriali. Va detto

però che allo stesso tempo si fa spazio un maggiore supporto per le

persone con disabilità, attraverso istituti di carità e di pubblica assistenza.

Questa svolta è generata anche da una situazione nuova che si va

delineando: molte persone in questo periodo diventavano disabili a causa

di guerre, carestie, denutrizione e malattie.

Fino all'età moderna, nonostante i notevoli progressi raggiunti anche in

campo medico durante il Rinascimento, la disabilità continua ad essere

considerata un'imbarazzante realtà legate a misteriose volontà divine.

Tra il XVII e il XIX secolo per le famiglie con persone disabili le spese

diventano insostenibili, di conseguenza aumenta considerevolmente la

povertà e il vagabondaggio. Della disabilità e delle deformazioni si fa

esibizione come fossero attrazioni e un motivo di divertimento: l'attenzione

principale in questo senso era rivolta alle persone affette da nanismo.

Venivano accolti e ospitati al castello, dove assumevano il ruolo di buffoni

o giullari di corte. Con il passare del tempo diventano strumenti di

spettacolo, esibiti in mostre e circhi di tutto il mondo, diventando fonte di

guadagno. Risalgono a questo periodo i primi manicomi e le strutture per

la reclusione a fini terapeutici di soggetti psichiatrici e di persone afflitte da

malattie mentali. Tra il 1500 e il 1600 si fanno strada i primi tentativi per la

educazione di persone interessate da sordità (la prima forma di linguaggio

per sordo muti), nel 1700 si sperimentano i primi metodi educativi per le

persone cieche. A partire dal 1800 lo scenario della disabilità si modifica

profondamente: si separa la disabilità intellettiva dalla malattia psichica ed

i concetti di malattia, disagio psichico e disabilità iniziano a distinguersi

all'interno dei saperi scientifici, medici e politico-assistenziali.

Sembra che con il tempo la situazione migliori, ma subisce un grave

arresto con l'ascesa di Hitler al potere, che segna l'inizio di una vera e

propria tragedia umana durante la quale verranno sterminati migliaia di

persone ingiustamente.

Quelli del 900 sono gli anni in cui si sviluppano il darwinismo, il

mendelismo e l'eugenetica. Lo scopo dichiarato dell’eugenetica è quello di

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liberare l’umanità dalle malattie e dalle imperfezioni, incoraggiando la

riproduzione degli individui migliori e scoraggiando quella degli individui

con qualche forma di disabilità fisica e mentale. In Germania, i

nazionalsocialisti tedeschi, negli anni Trenta del XX secolo, adottano a

tale scopo i provvedimenti più radicali e violenti di sterilizzazione forzata.

La tragica storia dell’olocausto nazista si apre con l’eliminazione

sistematica degli esseri umani più deboli e indifesi. Già all’inizio del

cancellierato di Hitler, una legge elenca i candidati alla sterilizzazione:

persone con handicap fisici e mentali, soggetti affetti da malattie

congenite, nonché da cecità ereditaria e sordità e, più tardi, interi gruppi

etnici considerati biologicamente inferiori. A seguire questa legge vengono

le 'leggi di Norimberga', uno dei punti di queste leggi impedivano

matrimoni e accoppiamenti tra persone indesiderabili. Alla sterilizzazione

coatta fa seguito l’eutanasia dei cosiddetti esseri inferiori. Con il termine

eutanasia s’intende un vero e proprio assassinio di tutti quegli esseri

umani che vivono una vita considerata non degna di essere vissuta;

questo “tipo” di eutanasia è il primo capitolo del genocidio nazista. Per

giustificare il genocidio e per sensibilizzare la popolazione tedesca alla

necessità dell’eutanasia, la propaganda nazista comincia a denunciare gli

alti costi che le cure destinate ai disabili comportano per la collettività,

giustificando così l’eliminazione di tutte quelle vite umane prive di valore,

che rappresentano un peso per la società. In questi anni ha inizio

l'eliminazione legalizzata dei bambini e in seguito degli adulti affetti da

insufficienza mentale e deformità fisiche; neonati, bambini e adolescenti

colpevoli di essere nati con un handicap, affetti da malattie congenite, con

difficoltà di apprendimento o con problemi comportamentali, vengono

uccisi in nome della 'purezza razziale'. Tra il 1939 e il 1947, solo in

Germania, sono uccise circa 275˙000 persone disabili. Le prime richieste

di diritti, indipendenza e emancipazione da parte delle associazioni di

persone con disabilità vengono poste solo dopo la Seconda guerra

mondiale. Si muovono, sebbene fossero già sorte da qualche anno, per

prime le associazioni di persone con disabilità sensoriale (Unione Italiana

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ciechi- UIC ed Ente nazionale Sordi- ENS), poi quelle di persone con

disabilità fisica (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del

lavoro- ANMIL) e solo in seguito le associazioni di disabili psichici e

intellettivi (Associazione nazionale di famiglie di fanciulli subnormali-

ANFFAS e Associazione italiana assistenza spastici- AIAS). È questo

l'inizio della lunga battaglia che punta all'integrazione e alla partecipazione

sociale delle persone disabili.

IL LINGUAGGIO UTILIZZATO NELLA STORIA:

Il campo semantico che concerne la disabilità può essere visto come un

vero e proprio campo di battaglia, al cui interno si combattono i pregiudizi

e l'ignoranza nati nell'antichità per arrivare, attraverso i secoli, al tentativo

di un uso sempre più puntuale e meno discriminante dei termini. Nel

tempo non si è concettualizzata la disabilità in generale, ma le molte forme

in cui essa si declinava: cieco, sordo, storpio, cretino, demente, idiota,

pazzo... La maggior parte dei termini ad oggi usati con valore offensivo e

dispregiativo sono nati in ambito medico, psichiatrico e quindi ritenuti

scientifici (come idiota, deficiente, imbecille). Con il passare del tempo

tutte le parole si rivelano, in un modo o nell'altro, insufficienti, inadeguate,

sorpassate, perché esprimono significati, giudizi e sensazioni che

cambiano con il variare del contesto storico e socio-culturale. Dagli anni

Settanta si inizia a sentire sempre di più il bisogno dell'inclusione ed è da

questo momento che alcuni termini quali mongoloide, spastico, minorato

vengono percepiti come offensivi e non utilizzabili. Si inizia ad usare il

termine handicappato, successivamente disabile ad arrivare a persona

con disabilità.

Dall'antichità ai primi dell'Ottocento:

I valori fondanti dell'uomo dell'antichità erano quelli della prestanza fisica,

della bellezza, della forza e della perfezione, quindi sembra quasi logico

che gli invalidi, gli storpi, gli infermi venissero esclusi ed etichettati con

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termini negativi, a sottolineare la loro inadeguatezza nella società e il loro

status di esseri inferiori.

Nell'antica Roma i termini maggiormente utilizzati erano hebes, stupidus,

stultus, deminutus, imbecille.

Anche con il passare dei secoli le cose non vanno meglio, specialmente

per quanto riguarda la codifica della disabilità intellettivo-relazionale: si

resta su termini generici quali frenesia, demenza, idiozia, confondendoli

spesso con le malattie psichiatriche, dato che lo studio e le conosce

specifiche sulle disabilità intellettive non erano ancora approfonditi.

Fra Ottocento e primi del Novecento:

Fino ai primi dell'Ottocento, tutto quello che riguardava la disabilità veniva

etichettato in modo generico (demenza, frenesia, idiozia) e tutti gli individui

affetti da queste malattie rientravano nella categoria dei 'pazzi'.

Metà Ottocento: per definire le persone con disabilità intellettiva si

utilizzava il termine idioti che aveva un valore assolutamente scientifico e

non offensivo. Con il tempo la parola che viene usata scientificamente è

cretino. Il termine idioti ricomparirà ancora una volta, nel titolo di un

articolo scritto dal medico inglese John Langdon Down 'Osservazioni su

una classificazione etnica degli idioti'.

Dal Novecento ad oggi:

Metà 900 e ancora le parole utilizzate per descrivere le persone con

disabilità non sono inclusive. Nella Costituzione Italiana all'art. 38, dove si

tratta delle possibilità (o meno) di lavorare, i termini utilizzati sono minorati

e inabili. Anche le associazioni non sono così politically correct come ci si

aspetterebbe. A livello legislativo, nella legge 118/1971 sull'invalidità civile,

le parole che emergono non sembrano fare alcun passo in avanti, i termini

utilizzati per la disabilità fisica sono mutilati, invalidi e per la disabilità

intellettiva sono minorati, irregolari, insufficienti mentali. È con gli anni 70

che i termini che si usano in campo burocratico e scolastico sono

handicappato, o le varianti persona handicappata, persona con handicap,

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dopo la loro apparizione in uno studio pubblicato dall'UNESCO, e nello

stesso anno, nella legislazione regionale del Lazio. Nel 1999 con la legge

68, che tratta le 'Norme per il diritto al lavoro dei disabili' abbiamo

un'evoluzione delle terminologia (1. La presente legge ha come finalità la

promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone

disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di

collocamento mirato. Essa si applica: a) alle persone in età lavorativa

affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di

handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità

lavorativa superiore al 45 per cento,......).

La terminologia legata all'handicap verrà definitivamente abbandonata

(per lo meno in ambito burocratico internazionale) solo agli inizi del nuovo

Millennio.

Nel 2001, nell'ICF (Classificazione internazionale del funzionamento,

disabilità e salute) viene introdotta l'espressione 'persona con disabilità',

concetto che diventerà poi anche giuridico e non solo medico; il 2003 sarà

proclamato 'Anno dei disabili' dal Consiglio d'Europa e, solo nel 2006,

verrà redatta la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, entrata

in vigore nel 2008. Negli ultimi anni hanno iniziato a fare la loro

apparizione anche neologismi, alquanto provocatori, quali diversamente

abile o diversabile.

LE PAROLE E I LORO SIGNIFICATI:

Da cretino a persona con disabilità: terminologia.

In questa sezione si vuole indagare sulla derivazione di alcune parole e

quindi capire a fondo il loro significato. Per questo lavoro abbiamo

utilizzato il Vocabolario Etimologico della lingua italiana di Ottorino

Pianigiani, nella sua versione online e del vocabolario Treccani online.

CRETINO

Deriva dal Franco-provenzale crétin e, nel dialetto della Gironda, crestin.

Era il nome che si dava a 'ognuna di quelle misere creature di piccola

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statura, mal conformate, con gran gozzo è affatto stupide le quali si

trovano specialmente nelle valli della Alpi Occidentali' (Pianigiani). Per

alcuni, deriverebbe dal latino CHRISTIANUS (fr. chrétien), perché questi

individui erano considerati come persone semplici ed innocenti (Gerin)

'ovvero perché, stupidi ed insensati quali sono, sembrano quasi assorti

nella contemplazione delle cose celesti'; e difatti nelle prealpi lombarde

dicesi addirittura CRISTIAN un cretino, un povero di spirito. Secondo altri

dal tedesco KREIDLING, aggettivo di KREIDE creta, a cagione del colore

biancastro della loro pelle (Littré). Nel dizionario Treccani si sottolinea

quindi come inizialmente il termine cretino si usasse come sinonimo di

povero cristiano, poveraccio e solo in seguito con valore spregiativo.

IDIOTA

Sia il Pianigiani che il Treccani derivano il termine dal latino IDIOTA e dal

greco IDIOTES, che significa privato, senza cariche pubbliche. IDIOS

significa: proprio, particolare. 'Veramente sarebbe colui che mena vita

privata fuori della buona società e lungi dai pubblici uffici, inesperto,

incompetente, ma nel parlar comune si usa per designare uomo di corto

intendimento, scimunito, ignorante' (Pianigiani).

MONGOLO/MONGOLOIDE

Il termine nasce in ambito medico nel 1866 quando il medico inglese John

Langdon Down, nel suo articolo 'Osservazioni su una classificazione

etnica degli idioti' definisce quella che lui chiama 'idiozia mongoloide',

ossia una degenerazione della razza bianca verso quella gialla. Il termine

viene scelto per sottolineare la somiglianza dei tratti facciali fra le persone

con sindrome di Down (o trisomia 21, come verrà codificata nel 1959) e gli

abitanti della Mongolia. Il termine è ora utilizzato in modo fortemente

dispregiativo.

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HANDICAPPATO

Il termine deriva dall'espressione inglese 'hand in cap', un gioco d'azzardo

inglese del 1600 che consisteva nell'estrarre delle monete introducendo

una mano in un berretto. Successivamente, nel 1800, si diffuse nel mondo

dell'ippica, ed indicava il peso extra imposto al cavallo più forte per

compensare gli svantaggi e dare a tutti pari opportunità di vincere.

Inizialmente a portare l'handicap era il cavallo più fortunato. Oggi il termine

ha rovesciato il suo significato, tanto che 'to handicap' (creare uno

svantaggio, ostacolare) indica lo svantaggio rappresentato da minorazioni

motorie, sensoriali, intellettive o affettive ai fini di un normale inserimento

nella vita sociale in tutte le sue manifestazioni (Treccani). In Italia si

diffonde nel linguaggio comune attorno agli anni Settanta, dal mondo della

scuola, dove veniva impiegato come termine burocratico. Dopo vari

tentativi di dare una definizione soddisfacente, si arriva, solo nel 1980, ad

una definizione completa del concetto, data dall'OMS nell'International

Classification of Impairments, Disabilities and Handicap: 'si intende per

handicap una condizione di svantaggio conseguente ad una

menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o

impedisce l'adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione

all'età, sesso e fattori socio-culturali'. L'handicap risulta essere perciò una

condizione di svantaggio nei confronti degli altri che mina la

socializzazione. Per lungo tempo la parola handicap e i suoi derivati sono

stati largamente utilizzati in ambito burocratico, in leggi o decreti

ministeriali e dai media, basti pensare alla legge quadro n.104/1992 la cui

intestazione è la seguente: 'Legge per l'assistenza, l'integrazione sociale e

i diritti delle persone handicappate'. Il termine handicap, con gli anni, è

stato poi stravolto nel suo significato, assumendo connotazione negativa e

offensiva. Per questo si inizia ad usare neologismi come Persona con

Handicap o Persona in Situazione di Handicap. Sarà solamente nel 2001

che l'ICF cancellerà definitivamente questa parola dalla classificazione,

parlando invece di funzioni, disabilità, fattori contestuali ambientali e di

partecipazione sociale: finalmente si mette al centro della discussione la

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salute di tutte le persone e il focus si sposta dall'ambito medico a quello

sociale. È la fine dell'uso del termine 'handicappato' e segna l'inizio

dell'espressione 'persona con disabilità'.

DISABILE/PERSONA CON DISABILITÀ

Per l'etimologia del termine disabile dobbiamo scomporre la parola. Il

termine infatti è composto dalla radice 'abile', preceduta dal prefisso 'dis'.

Ecco quindi che il termine si può così analizzare: ABILE, dal latino

HABILEM da HABERE avere. Propriamente significa che si può facilmente

avere, tenere, usare, ma poco a poco si estese a significare maneggevole,

trattabile, adatto, disposto, pieghevole, opportuno e infine, trasferendosi

dalla cosa alla persona: atto, idoneo, destro, capace. DIS: particella che si

usa come prefisso ed ha forza ora privativa, ora negativa, ora serve a

indicare azione contraria a quella espressa dalla parola semplice, ed ora

denota rimozione, allontanamento, distacco e simili.

Nata come aggettivo, la parola DISABILE è stata trasformata in

sostantivo. Sebbene si tratti di un'evoluzione del termine handicappato,

del quale prende il posto almeno nelle forme burocratiche e si percepisca

come meno stigmatizzante, rimane comunque un appellativo dalla

connotazione negativa dovuto principalmente al valore negativo, di

sottrazione, del prefisso DIS, di cui abbiamo poc'anzi detto.

LINEE GUIDA PER UN LINGUAGGIO INCLUSIVO:

Quasi tutte le parole sopra elencate, che hanno una valenza negativa e

dispregiativa non vengono usate più grazie alle diverse Leggi (nelle

Costituzioni, nella Convenzione delle Nazioni Unite...) che sono a tutela

delle persone con disabilità. Questo non significa che si sia già arrivati ad

utilizzare un linguaggio inclusivo, però il fatto che vengano eliminati alcuni

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termini dispregiativi ed escludenti dal nostro vocabolario è un passo in

avanti.

Per linguaggio inclusivo si pensa ad un modo di esprimersi che non

discrimini nessuno. Per arrivare a questo bisogna seguire certe regole

create e volute da persone che vivono quotidianamente la realtà della

disabilità.

Ad aiutarci a distinguere tra le diverse disabilità è L'Organizzazione

Mondiale della Sanità tramite la classificazione ICIDH (International

Classification of Impairments Disabilities and Handicaps), ci aiuta a

distinguere tra:

Menomazione (impairment): 'perdita o anormalità a carico di una struttura

o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica';

Disabilità (disability): 'qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a

menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o

nell’ampiezza considerati normali per un essere umano';

Handicap: 'condizione di svantaggio, conseguente a una menomazione o

a una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento

del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori

socioculturali'.

Le Linee Guida da utilizzare quando si parla di disabilità:

1.

La disabilità non è una malattia, sofferenza e costrizione, ma una

'condizione' momentanea. Per questo non bisogna utilizzare parole che

rimandano a concetti come sofferenza e dolore, incapacità, impedimento.

È sbagliato dire:

– Affetto da… Malato di… Soffre di…

È corretto dire:

– Con (disabilità, sindrome di…).

È sbagliato dire:

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– Menomato/Handicappato (termini vecchi, diventati oggi offensivi e

esclusi anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già nel 1999);

– Portatore di... ('portare' indica un vincolo e quindi svantaggio, ma io non

'porto' la mia disabilità – che tra l'altro, chi porta qualcosa ha la possibilità

di lasciarla quando vuole, cosa che in questo caso non è possibile).

È corretto dire:

– Condizione/condizione genetica (stato momentaneo che tutti viviamo in

qualche aspetto della vita quotidiana e pratica, ma che può essere risolto

ricorrendo a strumenti adatti – chi è miope può vedere bene con gli

occhiali e chi non sa nuotare può stare a galla con i braccioli, anche quelle

sono delle disabilità).

È sbagliato dire:

– Costretto/Imprigionato/Confinato sulla sedia a rotelle (la carrozzina è un

aiuto, uno strumento paragonabile ad un paio di scarpe in grado di

rendere liberi, e non certo un peso che costringe, opprime e crea

sofferenza);

È corretto dire:

– Su sedia a rotelle/che utilizza la carrozzina per spostarsi.

Sarebbe giusto chiamare le cose con il loro nome senza esprimersi con un

linguaggio emotivamente forte. Ed è auspicabile che l'empatia si manifesti

con i gesti e non solo con le parole.

È sbagliato dire:

– portatore di una disabilità;

È corretto dire:

– persona con una ridotta funzionalità degli arti inferiori;

2.

- È importante porre l'individuo prima della disabilità: molto spesso si fa

l'errore di dare più attenzioni alle cose che stanno intorno alla persona

(tipo la sedia a rotelle)

è sbagliato dire:

– Un disabile/Un handicappato/Un sordo/Un cieco,

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È corretto:

– Una persona con disabilità/Una persona cieca o sorda

È sbagliato dire:

– Ritardato/handicappato mentale oppure Down (non si identifica una

persona con la sua disabilità o la sua sindrome)

È corretto dire:

– Persona con disabilità intellettiva oppure persona con sindrome di Down

(la disabilità o la sindrome caratterizzano le persone, ma di certo non le

annullano sostituendosi ad esse).

3.

- Politicamente corretto e disabilità sensoriali

dire 'diversamente abile' o 'con diverse abilità' lascia intendere che

qualcuno sia comunque 'diverso' dagli altri e quindi, in un certo senso,

inferiore (oggi l'avverbio 'diversamente' indica, nell'immaginario comune,

l'opposto di qualcosa).

Anche la negazione 'non' davanti qualcosa è scorretto. La stessa comunità

dei sordi, ad esempio, si dichiara appunto 'sorda' anziché 'non-udente',

così come i ciechi si auto definiscono 'ciechi' anziché 'non-vedenti'.

È sbagliato dire:

– Diversamente abile/con diverse abilità;

– Non vedente/non udente/non deambulante;

È corretto dire:

– Persona con disabilità;

– Cieco/sordo/persona con disabilità visiva/persona con disabilità

uditiva/persona con cecità/persona con sordità.

4.

- I 'normodotati' e quelli 'speciali' non esistono

Così come ognuno di noi non sa fare qualcosa (chi non sa nuotare, chi

non sa suonare uno strumento e chi invece è negato a cucinare), tutti noi

siamo bravi in qualcos'altro di diverso. Ci sono quindi delle disabilità, ma

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anche delle abilità specifiche di ogni persona. Ecco perché dobbiamo

stare attenti nel definire chi non ha una disabilità evidente. Così come

dobbiamo smetterla di vedere le persone con disabilità come persone

'speciali' o 'eroi'

È sbagliato dire:

– Normali: perché implica che gli altri non siano normali

– Abili: perché implica che gli altri siano inabili.

È corretto dire:

– Temporaneamente “normodotati” (da TAB – Temporaly Abled Bodied):

rarissimo, soprattutto nell'uso comune, ma è bene ricordarlo perché

evidenzia il fatto che una disabilità non sia necessariamente ereditata, ma

anche conseguente ad una malattia o un infortunio

5.

- La disabilità come insulto

la disabilità non deve avere in nessun modo una connotazione negativa.

Questo andrebbe contro la lotta che si fa tutti i giorni per una società più

inclusiva. Fin tanto che le persone non cambieranno i propri atteggiamenti

e non decideranno di utilizzare la giusta terminologia ci sarà sempre

discriminazione che è l'opposto di una società inclusiva.

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Bibliografia e sitografia:

• MANCIN R., Le Parole sono importanti! , in 'webacessibile.org' ,

2008

• PATETE A., Le parole per dirlo, in 'SuperAbile Magazine', febbraio

2012

• SCHIANCHI M., Storia della disabilità. Dal castigo degli dei alla crisi

del welfare, Carrocci editore, Roma, 2013

• UGOLINI S., L’atteggiamento della cultura greco-romana nei

confronti della disabilità: agli antipodi della nostra ‘inclusione’? ,

Dossier di 'Scuola e Amministrazione' NIKE EDITRICE, febbraio

2014

• http://www.amssa.org/wp-content/uploads/2016/01/watson-hyatt-

what-is-in-a-word.pdf

• http://www.anffaslombardia.it/image/VarieTermini.pdf

• http://www.etimo.it

• https://www.fanpage.it/parlare-di-disabilita-quali-sono-le-parole-

corrette-da-usare/

• http://www.invisibili.corriere.it

• http://www.treccani.it

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TECNOLOGIE INCLUSIVE PER LA

COMUNICAZIONE

INTRODUZIONE

In questa parte dell’elaborato volevo analizzare la comunicazione (che

cos’è e da dove nasce)per parlare successivamente del linguaggio punto

focale della comunicazione, Successivamente volevo analizzare i vari tipi

di linguaggio che esistono, che ci circondano e che usiamo ogni giorno.

Tutti noi infatti, anche se non ce ne accorgiamo, non usiamo solamente un

tipo di linguaggio per comunicare con le persone che incontriamo durante

la giornata perché sarebbe impossibile e difficile usare solamente un tipo

di linguaggio per farci capire. Inoltre in questa parte volevo analizzare

come le persone con disabilità usano il linguaggio per farsi capire e anche

quali tecnologie usano per riuscire a comunicare meglio con gli altri e per

fare le attività di tutti i giorni. Come ultima punto volevo soffermarmi e

analizzare i vari tipi di tecnologie che rendono possibile tutto ciò e a che

punto di sviluppo si trovano queste tecnologie, quanto costano e dove si

possono reperire.

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Carraro Laura
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Quando nasce la comunicazione?

Sin dai tempi più primitivi il modo di comunicare è stato gestuale e

verbale. Se è esistito un modo di comunicare solo gestuale, noi non lo

conosciamo, né siamo in grado di descrivere il passaggio dalla

comunicazione gestuale a quella orale. Per esempio il mento dell'uomo di

Neanderthal non era adatto ad articolare le parole come facciamo noi,

eppure nessuno potrebbe sostenere che non parlasse.

Il linguaggio dei gesti può apparire più primitivo di quello della parola

perché con esso non si possono esprimere concetti astratti molto

sofisticati, ma questo non significa che per secoli e secoli gli esseri umani

si siano espressi solo a gesti. Peraltro se l'uso della parola fosse stato

consequenziale a quello del gesto, noi oggi parleremmo soltanto. Invece

sappiamo bene che un gesto, a volte, è molto più eloquente ed efficace di

mille parole.

Inoltre è tutto da dimostrare che il grandissimo uso di concetti astratti che

oggi facciamo con le parole, sia di per sé indice di un progresso

dell'umanità. La parola ha tolto immediatezza al gesto, rendendo più fragili

(perché più contorti) i rapporti umani. Probabilmente la stessa

sopravvalutazione della parola, rispetto al gesto, è stata una conseguenza

della perdita di naturalezza nella vita umana.

Nell'antichità più remota i primi modi di comunicare che conosciamo sono

stati i seguenti: tracciare segni sul terreno, fare nodi particolari mediante

cortecce ridotte a spago (sistema di scrittura quipu), disegnare graffiti sulle

pareti delle caverne, usare il tam-tam o altri mezzi naturali (trombe di

conchiglia, corni di animali, segnali di fumo...) o artificiali (zufoli, tamburi,

gong...).

Il suono veniva udito e ritrasmesso da un punto all'altro della zona. Molti di

questi modi di comunicare esistono ancora oggi; altri sono stati trasformati

solo nelle forme ( per esempio i graffiti sui muri delle città).

Lo scopo era semplicemente quello di dare informazioni e notizie sui vari

avvenimenti della giornata, ma anche quello di poter lavorare insieme o di

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trasmettere le conoscenze apprese, o addirittura quello di impadronirsi più

facilmente dell'oggetto rappresentato. Col tempo, a questi scopi, si

aggiungerà quello di poter ingannare la tribù nemica o un individuo della

stessa tribù.

Ciò che ha sempre stupìto l'uomo bianco, quando veniva a contatto con le

tribù primitive che cercava di colonizzare, non era solo la velocità della

loro informazione, ma anche il fatto che si riuscivano a trasmettere

concetti abbastanza complessi in rapporto alla semplicità dei mezzi usati.

Nell'isola Luzon delle Filippine, per esempio., si scoprì che con una certa

variazione nei gridi umani, una tribù di negritos poteva trasmettere

messaggi di questo tipo: "Dove sei?", "Che succede?", "Di che cosa hai

bisogno?", "Vieni qua"; "Stati attento", "Sei stato bravo", ecc.

Là dove esistevano tribù ostili la comunicazione poteva essere affidata

solo ai viandanti o ai messaggeri (l'informazione parlata). Nelle Gallie, ai

tempi di Cesare, un decreto vietava al viandante di raccontare quanto

aveva visto e sentito nei Paesi da lui attraversati, se prima non veniva

interpellato dal magistrato.

Quando la notizia aveva il carattere di urgenza, il messaggero doveva

correre, e se il percorso era molto lungo doveva usare il cavallo. Il servizio

postale nasce appunto con l'uso del cavallo: il primo servizio regolare su

un percorso fisso fu quello del 1691, tra Londra e Dover. Le stazioni di

posta col cambio dei cavalli diventano un vero centro di smistamento delle

notizie. I primi quotidiani inglesi nascono grazie a queste stazioni.

Un altro modo di comunicare e trasmettere le notizie prima che sorgessero

i moderni mezzi tecnologici, è stato quello dei piccioni viaggiatori, di cui si

era scoperto il grande senso di orientamento. Brevi messaggi arrotolati in

un bussolotto venivano legati alla zampetta del piccione, che viaggiava a

una velocità di 80 km/h.

Ovviamente la comunicazione non è sempre fluida si basti pensare agli

strumenti “primitivi” illustrati sopra come il piccione. Se esso si imbatteva

in una tempesta o veniva colpito poteva cadere, infortunarsi o morire e la

comunicazione si interrompeva. Anche ai giorni nostri la comunicazione

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può essere difficile, basti pensare che se manca un interlocutore il

messaggio non può essere percepito e quindi la comunicazione viene

interrotta. Altro esempio di possibili problematiche di comunicazione

possono essere le lingue perché, se due persone parlano due lingue

diverse diventa difficile comunicare in modo chiaro e comprendersi. Altro

esempio di problematica di comunicazione può essere la completa o

parziale l’impossibilità di uno dei due interlocutori di usare la parola o un

canale non verbale per comunicare. Questo problema può essere

provvisorio come ad esempio perdita della voce, frattura di un braccio,

infezione oculare ecc. oppure l’impossibilità può essere causata da un

problema fisico della persona come ad esempio paralisi degli arti inferiori

e/o superiori, cecità parziale o completa,difficoltà nel parlare. Tutti questi

ostacoli però al giorno d’oggi si possono risolvere quasi completamente e

rendere possibile la comunicazione di queste persone con gli altri.

Analizziamo ora questa situazione partendo dalla cosa fondamentale il

linguaggio.

Che cos’è il linguaggio?:

Questa domanda all’apparenza irrilevante è invece molto importante

perché il linguaggio nelle sue svariate sfumature viene usato ogni giorno

da milioni di persone ma poche persone sanno dare una risposta

soddisfacente a questa domanda semplicemente per il fatto che non se la

sono mai posta.

Stando alla definizione del dizionario il linguaggio è: [lin-guàg-

gio] s.m. (pl. -gi)

• 1 Facoltà propria dell'uomo di esprimersi e comunicare tramite un sistema

di simboli, in particolare di segni vocali e grafici: linguaggio verbale, non

verbale; lo strumento stesso con cui si attua la comunicazione, inteso in

senso generale: origine del linguaggio || filosofia del linguaggio, disciplina

che ha per oggetto le teorie sulla natura, la struttura e le funzioni dei segni

linguistici

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• 2 Uso della lingua tipico di un ambiente sociale o professionale, di un

gruppo, di un individuo particolare; anche, gergo: linguaggio. familiare,

giuridico, politico; linguaggio petrarchesco; il tono generale

dell'espressione SIN stile: usare un linguaggio solenne.

• 3 estens. Sistema di comunicazione o di espressione non

verbale: linguaggio gestuale, visivo; linguaggio teatrale

• 4 Sistema di segnali fisici o chimici con cui gli individui di una specie

animale comunicano tra loro: linguaggio. delle api

• 5 Attribuzione di significati a elementi o aspetti della natura: i fiori, i

profumi hanno un loro linguaggio

• 6 Nelle discipline logico-matematiche, sistema di cifre, lettere, simboli, per

esprimere in modo formalizzato e non ambiguo teorie, concetti ecc.; in

informatica, sistema simbolico, dotato di un vocabolario e una sintassi, per

comunicare con un calcolatore o per renderlo

operativo SI codice || linguaggio di programmazione, idoneo a esprimere

le istruzioni dei programmi elettronici | linguaggio (di) macchina, formato

da elementi numerici e alfanumerici, è interpretabile direttamente dall'unità

centrale del calcolatore in termini di operazioni logiche

Leggendo la definizione del dizionario ci accorgiamo che non esiste

solamente il linguaggio verbale “fatto di parole” ma anche altri tipi di

linguaggio che inconsciamente usiamo quasi tutti i giorni. Quindi possiamo

parlare di due grandi classi nelle quali si divide il linguaggio: linguaggio

verbale e linguaggio non verbale.

Per quanto riguarda il linguaggio non verbale possiamo dire che è un

linguaggio comune sia agli uomini che agli animali ed esistono vari tipi di

linguaggi non verbali.

Questi tipi di linguaggi sono collegati ai cinque sensi e possono essere

distinti in:

• Linguaggio fonico-acustico

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• Linguaggio visivo

• Linguaggio tattile

• Linguaggio olfattivo

• Linguaggio gustativo

Linguaggio fonico-acustico: questo tipo di linguaggio si fonda sull’udito ed

è costituito da segni fonici, cioè da suoni e rumori. Questo tipo di

linguaggio è comune sia negli uomini che negli animali. Un esempio di

suono può essere un urlo, un cinguettio oppure possono essere suoni

prodotti da strumenti sonori come i campanelli o da delle campane di una

chiesa.

Linguaggio visivo: il linguaggio visivo come dice la parola stessa si

percepisce visivamente ed è costituito da gesti, atteggiamenti ed

espressioni del viso. Anche i gesti e i movimenti del corpo rientrano nel

linguaggio visivo, essi sono chiamati linguaggi gestuali. Il linguaggio

gestuale in alcuni casi sostituisce completamente il linguaggio acustico e

quello verbale a causa dell’incapacità di comprendere tale tipo di

linguaggio. In questo caso si parla di lingua dei segni che è una lingua che

veicola i propri significati attraverso un sistema codificato di segni delle

mani. E’una comunicazione che contiene aspetti verbali (i segni) e aspetti

non verbali (le espressioni sovra segmentali di intonazione per esempio)

come tutte le lingue parlate o dei segni.

Linguaggio tattile: esso è fondato sul senso del tatto. Con questo tipo di

linguaggio si trasmettono informazioni o messaggi utilizzando segni che

stabiliscono un contatto fisico diretto tra gli individui. Per molti aspetti

questo linguaggio è anche visivo e gestuale ma, si distingue da essi

perché implica che con il gesto in questione l’emittente tocchi una parte

del corpo dell’individuo cui è rivolto il messaggio.

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Linguaggio olfattivo: esso si fonda sull’olfatto. Qui il messaggio e le

informazioni sono trasmesse attraverso esalazioni, profumi ed odori. Negli

esseri umani la capacità di utilizzare il linguaggio olfattivo si è molto

ridotta, anche se reagiamo con disgusto di fronte ad odori sgradevoli e

con piacere di fronte ad odori gradevoli. Questo tipo di linguaggio invece è

molto usato dagli animali che in natura spesso emettono odori per

avvisare il branco di un pericolo imminente.

Linguaggio gustativo: Questo tipo di linguaggio è fondato sul senso del

gusto e comunica informazioni attraverso i sapori. L’utilizzo pratico di

questo linguaggio è quasi inesistente. Tuttavia è noto come alcuni cibi

sottolineano e caratterizzino particolari ricorrenze.

Di tutti questi tipi di linguaggio non verbale ci sono ovviamente esempi

pratici che troviamo semplicemente camminando per strada. Ad esempio

per quanto riguarda la vista i cartelli stradali, i cartelloni pubblicitari o le

istruzioni illustrate sono gli esempi nei quali ci imbattiamo più spesso

durante la giornata, infatti se guardiamo un cartello stradale sappiamo

esattamente cosa vuol dire senza il bisogno che sotto ci sia una

spiegazione scritta. Altri esempi concreti possono essere fatti sul

linguaggio uditivo, infatti se sentiamo una sirena dei pompieri o

dell’ambulanza sappiamo che dobbiamo accostare la macchina per

lasciare libero il passaggio ai soccorsi, se sentiamo il campanello di casa

sappiano che sono arrivati gli ospiti. Tutti questi tipi di linguaggi

circondano sempre la nostra vita e sarebbe impossibile vivere senza di

essi perché risulterebbe difficile per la gente capire cosa fare e come

comportarsi.

Accanto a tutti questi tipi di linguaggio non verbale troviamo poi il

linguaggio verbale:

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Il linguaggio verbale è il linguaggio più usato in assoluto dalle persone per

farsi capire dagli altri ed è anche il metodo di comunicazione più antico di

tutti. Il linguaggio verbale per eccellenza è la lingua. Essa è composta da

un certo numero di segni e suoni che sono le parole che, a loro volta sono

la somma di più suoni e lettere. Anche il linguaggio verbale ha delle

caratteristiche proprie. Esso infatti è ricco perché può esprimere un

contenuto in modo dettagliato, può descrivere cose astratte e non astratte

e la maggior parte delle persone capirebbe. Esso è flessibile ed

economico perché, anche con poche parole si possono esprimere svariati

concetti. Esso è inoltre aperto in quanto è in continuo sviluppo ed è

capace di rinnovarsi ed adattarsi alle esigenze. Unendo più tipi di

linguaggi si creano dei linguaggi misti molto efficaci. Inoltre il linguaggio

verbale può essere arricchito dai linguaggi non verbali per aumentare la

chiarezza e la comprensione del messaggio. Un esempio pratico potrebbe

essere un video dove c’è una voce narrante che spiega delle immagini.

Tutti questi tipi di linguaggi appena analizzati sono utili per comunicare e

per mandare e ricevere messaggi alle persone che ci stanno ascoltando

oppure per rendere più chiaro l’ambiente che ci circonda. Ma, dopo

l’analisi di questi tipi di linguaggi sorge spontanea una domanda. Come

fanno le persone con disabilità a comunicare e a capire questi linguaggi?

Un problema e la sua soluzione:

In situazioni di normalità la comunicazione avviene attraverso le parole, i

gesti e la scrittura; in molti casi di disabilità intellettiva, sensoriale o

motoria chi ne è affetto non può affidare la sua comunicazione al corpo,

all’espressione del viso, alla voce. Succede allora che queste persone si

trovino a vivere una delle condizioni più difficili che un individuo possa

sperimentare: il silenzio forzato. L’assenza di un linguaggio verbale, infatti,

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porta ad escludere automaticamente la comunicazione, annullando la

possibilità di quella persona di potersi esprimere liberamente.

Le tecnologie in questa situazione possono aiutare? Che ruolo hanno?

Facciamo un passo indietro. Il rapporto tra sviluppo tecnologico e disabilità

va avanti da parecchi anni anzi decenni, se non secoli. Nel passato molto

spesso non si prendeva in considerazione il problema di come queste

persone potessero comunicare con gli altri. Come soluzione infatti esse

venivano emarginate dalla società e assistevano come spettatori passivi

senza aver la possibilità di poter esprimere la propria opinione o poter

provare magari con l’aiuto di altri a poter comunicare e loro assistevano

come spettatori passivi senza aver la possibilità di poter esprimere la

propria opinione o poter provare magari con l’aiuto di altri a poter

comunicare. L’esistenza di necessità particolari per comunicare tra le

persone è una forte spinta per trovare nuove soluzioni tecnologiche.

Bisogna ricordare però che la tecnologia per l’inclusione non deve essere

un “ghetto”.

Uno dei primi esempi ti tecnologie inclusive è la macchina da scrivere.

Essa si è sviluppata “parallelamente” in diverse aree del mondo. In Italia

agli inizi dell’800 Agostino Fantoni (1802) crea una macchina da scrivere

per aiutare la sorella diventata cieca. Successivamente Piero Conti (1823)

e Giuseppe Ravizza (1846) creano e sviluppano altri tipi di macchine da

scrivere ed esemplari di cambio scrivano per ciechi e per motivi umanitari

dando così la possibilità alle persone cieche di poter tornare a scrivere in

maniera autonoma senza aver bisogno di una persona alla quale dettare

le proprie lettere.

Un altro esempio di tecnologia inclusiva che è stata creata prima

dell’avvento di internet è la prima chat. Essa è conosciuta come TTY (Tele

TYpe).

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Il TTY è un sistema per comunicare a distanza. Da una parte una persona

scrive il suo messaggio su una tastiera e l’altra persona quando lo

riceverà lo stamperà per leggerlo e farà altrettanto per rispondere. Questo

tipo di “chat” trasforma in segnali elettrici che poi vengono trasmessi lungo

la linea telefonica e poi stampati. Questa invenzione è stata creata e

successivamente commercializzata da James Marsters e da Robert

Weitbrecht entrambi sordi.

Un efficace metodo che aiuta le persone che hanno difficoltà ad usare i

più comuni canali comunicativi, con particolare riguardo al linguaggio orale

e alla scrittura è il CAA.

Con la sigla CAA (comunicazione aumentata alternativa) si indica un

insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie atte a semplificare

ed incrementare la comunicazione nelle persone che hanno difficoltà ad

usare i tradizionali canali di comunicazione.

Viene definita Aumentativa in quanto non si limita a sostituire o a

proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del

soggetto, indica strategie per incrementare le stesse (ad esempio le

vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni).

Viene definita Alternativa in quanto si avvale di strategie e tecniche

diverse dal linguaggio parlato.

Tale "approccio" ha come obiettivo la creazione di opportunità di reale

comunicazione e di effettivo coinvolgimento della persona; pertanto deve

essere flessibile e su misura della persona stessa.

Passando a tempi più recenti la maggior parte delle forze per creare

tecnologie inclusive si sono riversate sull’utilizzo dei computer,

smartphone, tecnolgie touch,internet ecc. perché ormai sia i computer che

i telefoni fanno parte della quotidianità di tutti. Alcuni sforzi sono stati rivolti

alle tastiere dei computer e alle tastiere degli smartphone. Per il computer

possiamo trovare la tastiera Qwerty che è quella “classica”, la tastiera

Dvorak,Colemak e Workman. Per gli smartphone e/o tablet troviamo

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tastiere con layout speciali utili a tutti in contesti particolare. Ad esempio

possiamo trovare la one-finger keyboard: FITALY oppure la one-finger

keyboard: Chubon.

Un altro tipo di tecnologie create per semplificare la comunicazione (e non

solo) sono le tecnologie di eye-tracking. Questo tipo di tecnologie sono

una delle poche tecnologie che possono usare le persone con paralisi agli

arti superiori. Questo tipo di tecnologia nasce da una ricerca fatta nell’800

da Louis Emile Javal il quale si accorge che l’azione di leggere è formata

da tanti piccoli stop chiamati fissazioni. Da questa ricerca nel corso del

900si svilupperanno ricerche e studi più approfonditi da parte di Edmund

Huey che costruirà un primo prototipo di eye-tracking formato da delle lenti

a contatto con un buco nel punto della pupilla. Dopo poco negli anni 50 del

900 in America precisamente nella città di Chicago Guy Thomas Buswell

costruirà un eye-tracking non invasivo. Dopo questa tecnologia si è molto

sviluppata in vari campi come per esempio nel campo del marketing per

vedere cosa le persone guardano di più in una pubblicità o video. Altro

campo in cui viene molto usata questa tecnologia è quello dei videogiochi

dove si vede quali parti dello schermo l’occhio guarda di più. Infine questa

tecnologia è largamente usata nel campo medico per creare dispositivi e

apparecchi che consentano alle persone di poter comunicare. Spesso

quando si parla di eye-tracking lo si definisce come la voce degli occhi

perché questa tecnologia può essere usata sia da persone che non

riescono a muovere gli arti superiori sia da persone che non riescono a

comunicare in maniera adeguata. Con questa tecnologia queste persone

possono parlare in maniera autonoma, indicare oggetti,usare calcolatrici,

accendere la tv, accendere la luce in casa e aprire le porte. Queste

tecnologie danno la possibilità di essere più autonomi e anche di

accrescere la propria autostima, cosa molto importante.

Un altro tipo di tecnologia che è stata creata per rendere le tecnologie più

inclusive per tutti è lo screen reader.

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Uno screen reader o lettore di schermo è una forma di tecnologia

assistiva (AT) che viene essenzialmente usata per le persone

cieche,ipovedenti ed è utile anche per le persone con disabilità

dell’apprendimento. I lettori di schermo sono applicazioni software che

tentano di trasmettere ciò che le persone con vista normale vedono su un

display ai propri utenti tramite mezzi non visuali, come sintesi vocale,

icone del suono o tramite un dispositivo Braille. Ma come funzionano?

Questi dispositivi riescono a fare tutto ciò applicando un'ampia varietà di

tecniche che includono, ad esempio, l'interazione con le API (applicazioni)

di accessibilità dedicate, utilizzando varie funzionalità del sistema

operativo (come la comunicazione tra processi e l'interrogazione delle

proprietà dell'interfaccia utente ) e impiegando tecniche di hooking.

Ovviamente anche i sistemi operativi più usati si sono impegnati a mettere

a disposizione dei propri utenti applicazioni di screen reader:

I sistemi operativi Microsoft Windows hanno incluso lo screen reader

Microsoft Narrator da Windows 2000 . MacOS , iOS e tvOS di Apple

Inc. includono VoiceOver come screen reader integrato, mentre Android

di Google fornisce lo screen reader Talkback dal 2009. Analogamente, i

dispositivi basati su Android di Amazon forniscono lo screen reader

VoiceView.

Gli screen reader più diffusi sono spesso prodotti commerciali separati:

JAWS di Freedom Scientific, Window-Eyes di GW Micro.

Questi screen reader forniscono come imput finale la lettura ad alta voce,

e in maniera molto veloce di tutto quello che si trova sullo schermo.

Oltre allo screen reading in alcuni programmi e applicazioni è possibile

trovare la tecnologia di voicing integrata insieme alle loro funzionalità

principali. Questi programmi sono definiti self-voicing e possono essere

una forma di tecnologia assistiva se sono progettati per rimuovere la

necessità di utilizzare uno screen reader.

Anche sui telefoni si possono avere degli screen reader che in alcuni casi

sono già integrati nei propri dispositivi oppure alcuni servizi telefonici

consentono agli utenti di interagire con Internet da remoto. Ad esempio,

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TeleTender può leggere le pagine Web al telefono e non richiede

programmi o dispositivi speciali sul lato utente.

Alcuni tipi di screen reader inoltre hanno la possibilità di essere

personalizzati. Per esempio la punteggiatura può essere annunciata

oppure ignorata silenziosamente.

Altro elemento molto importante degli screen reader è la verbosità:La

verbosità è una funzionalità del software di lettura dello schermo che

supporta gli utenti di computer ipovedenti. I controlli di verbosità vocale

consentono agli utenti di scegliere la quantità di feedback vocale che

desiderano ascoltare. In particolare, le impostazioni di verbosità

consentono agli utenti di costruire un modello mentale di pagine Web

visualizzate sullo schermo del proprio computer. In base alle impostazioni

della verbosità, un programma di lettura dello schermo informa gli utenti di

alcune modifiche di formattazione, ad esempio quando un frame o una

tabella inizia e termina, dove sono stati inseriti elementi grafici nel testo o

quando viene visualizzato un elenco nel documento.

Altro tipo di tecnologia che si può usare grazie a un semplice smartphone

è facetime ovvero le chiamate dove grazie alla telecamera interna del

telefono due persone sordomute possono comunicare tra loro attraverso

la lingua dei segni. Oggi questa applicazione è usata comunemente da

tutti senza distinzione ma quando è nata essa aveva una funzione ben

precisa.

Oltre a queste tecnologie che aiutano una grande percentuale di persone

a comunicare con gli altri senza problemi troviamo anche un’altra ala di

ricerca delle tecnologie inclusive che è quella delle tecnologie ad-hoc

ovvero quelle tecnologie che sono costruite a misura di paziente che ha

delle esigenze particolari che le tecnologie riportate sopra non possono

soddisfare completamente. Questo ramo delle tecnologie è un mercato

ridotto perché la domanda è poca e i costi di produzione sono molto alti e

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c’è una difficoltà di rientro nell’investimento. Inoltre ci sarebbe bisogno i

coinvolgere i potenziali utenti sin dalle prime fasi della progettazione.

Anche se queste tecnologie ad-hoc sono molo rare ci sono alcuni esempi

di queste tecnologie. Per esempio Sady Paulson è una ragazza che si

occupa di montaggio e creazione di film per l’industria del cinema, lei

riesce a muovere solo la testa e sulla sua sedia a rotelle all’altezza del

poggia testa c’è un pulsante che lei schiaccia più volte e con diverse

frequenze per spostare il cursore del mouse e lavorare e poter così creare

i film senza aver bisogno di nessuno. Un altro esempio di tecnologie

ad.hoc è l’esempio di Adrian Hands che riesce ad usare il computer grazie

a un sintetizzatore posto sotto la sua scrivania che lui aziona con il

movimento del ginocchio perché è l’unica parte del suo corpo che la

malattia non ha colpito.

Ovviamente tutte queste tecnologie che vediamo ora sono il frutto di

tecnologie nate molti anni fa e che si sono evolute e continuano ad

evolversi per rendere la vita di queste persone sempre più facile. Ci sono

ovviamente altri esempi di piccole cose che possono aiutare le persone

con disabilità ad usare le tecnologie, per la precisione il computer. Come il

proteggi tastiera, un dispositivo in plastica che copre la tastiera e che

isola i tasti l’uno dall’altro, in modo che nello scrivere non ne venga

premuto più di uno contemporaneamente, o che comunque sia più

agevole individuare il tasto che si vuole usare. O come il supporto per i

polsi, utile a chi non ha problemi con le mani, ma ha difficoltà nel tenere

troppo tempo sospeso il braccio nello scrivere. Le aste per bocca, frontali

(applicate sulla fronte) o “mentoniane” (applicate cioè sul mento)

permettono invece di premere i tasti del computer guidando i movimenti

dell’asta stessa con la bocca o con il movimento della testa. Per i disabili

cognitivi invece esistono tastiere semplificate, schermi tattili e software

didattici che agevolano l’interazione con il PC.

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Dopo aver parlato di tutte queste tecnologie molti si potrebbero porre delle

domande del tipo: ma dove troviamo queste cose? Dove le si possono

comprare? E soprattutto quanto costano?

Costi:

Perché all’inizio sono alti e poi si abbassano?

Ovviamente tutte queste nuove tecnologie, attrezzature e software

all’inizio hanno sempre un costo elevato, infatti, come tutti i nuovi progetti

e idee per partire devono prima trovare qualcuno che finanzi

economicamente le ricerche per poter sviluppare quell’idea che è apparsa

nella mente di queste persone e ricercatori che, ogni giorno impegnano i

loro sforzi per trovare una o addirittura più soluzioni a questi problemi

quotidiani per poterli risolvere nel migliore dei modi possibili. Ovviamente i

costi iniziali sono sempre alti perché non basta mai un solo prototipo per

arrivare alla perfezione del prodotto finale che andrà successivamente in

produzione e sarà commercializzato. Infatti all’inizio i prezzi di vendita

sono sempre alti. Questi prezzi alti sono la conseguenza del fatto che i

soldi spesi devono rientrare del tutto più ovviamente un guadagno. Un

altro fattore dei prezzi alti può essere legato al fatto che ci sia solo un

produttore che monopolizza i prezzi del mercato oppure un brevetto al

quale chi vuole produrre la stessa cosa deve pagare una certa somma.

Quando il brevetto scade e non viene rinnovato altri produttori potranno

iniziare a produrre queste tecnologie e magari anche perfezionarle con le

loro conoscenze e allargare così il mercato dei produttori facendo

diminuire il prezzo fino ad arrivare a dei prezzi davvero molto più bassi

rispetto a quelli di partenza. Oppure, come capita nel campo delle

tecnologie informatiche si possono trovare,dopo poco tempo dal loro

lancio nel mercato, molteplici software e/o applicazioni che si adattano

perfettamente a qualsiasi tipi di computer, tablet e smartphone

completamente gratis,

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E quindi… che spese devono affrontare le famiglie o persone che

necessitano di queste tecnologie inclusive?

Spesso queste tecnologie risultano di difficile reperibilità perché

ovviamente non le si trovano nei negozi di elettronica piccoli. Per trovarle

infatti bisogna cercare in negozi specializzati oppure cercare su internet

siti appositi che vendono queste tecnologie e i relativi macchinari utili.

Ovviamente questi siti al loro interno sono suddivisi in categorie che

comprendono: sensori,switch,comunicatori,tastiere speciali ecc.

Cercando su vari siti si può notare che le fasce di prezzo oscillano da

prezzi bassi come ad esempio 53€ a prezzi più sostanziosi come 3850€.

Ecco alcuni esempi di prodotti con i relativi prezzi:

• Laringofono 95S (ha un corpo cilindrico dotato di due manopole per

la regolazione del tono e del volume e di un interruttore che ne

consente l’accensione e lo spegnimento) 280€

• Bookwarm (trasforma i libri cartacei in audio libri) 295€

• Clickmobile (cellulare accessibile a scansione attraverso una

interfaccia bluetooth controllata da mouse) 1450€

• Albacombo (la tastiera Visionkeys è una tastiera espansa e i tasti

sono il doppio del normale) 189€

• Monty 3D braccio per carrozzina (braccio di supporto per l’utilizzo di

dispositivi di comunicazione portatili sui telai di carrozzine manuali o

elettriche) 639€

• Allora2 comunicatore alfabetico (comunicatore con tastiera

accessibile anche tramite scansione con uno o più sensori, dotato

di sintesi vocale e previsione di parola) 3290€, Ovviamente il

prezzo di un comunicatore scende all’abbassarsi delle cose che

può fare, un comunicatore dove la persona può solo scrivere si

aggira intorno ai 300€.

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• Caschetto puntatore ZYGO AD-1 e AD.2 (esistono soltanto poco

più di due modelli di caschetti sul mercato mondiale che incontrano

il consenso degli utenti per la loro flessibilità e confort abilità) 310€

• Dipsy (questo è un sensore inclinabile che può essere collegato

alla testa,al braccio,alle dita o qualsiasi altro oggetto appropriato)

79€

• Braccio per helpiswitch (ideale per chi ha pochi movimenti delle dita

o della mano, permette un ergonomico posizionamento del sensore

che rimane sempre in posizione per l’eventuale attivazione da parte

dell’utilizzatore; consigliabile anche in alcune situazioni al posto dei

bracci di fissaggio) 190€

• Clearview + spectrum (esso è un video ingranditore modulare a

colori, ingrandisce testi e immagini fino a 70 volte la normale

dimensione e la riflette in un monitor ad alta definizione TFT) 1450€

Tutte queste tecnologie e ausili come si può vedere possono avere

dei prezzi parecchio alti e non è detto che tutti abbiano una

disponibilità economica così grande a disposizione per potersi

permettere di pagare tutte queste spese. Molto spesso queste

persone e le loro famiglie fanno dei sacrifici per affrontare queste

spese. Esistono però anche delle associazioni a cui ci si può

rivolgere per avere un sostegno per comprare queste tecnologie. In

Argentina ad esempio esiste una associazione che si chiama

Gecenym Foundation che aiuta le famiglie e i bambini ad usare un

tipo di eye.tracking. Questa associazione assistes queste famiglie

in ogni fase, le aiuta a ordinare i macchinari che purtroppo sono

prodotti solo in nord Europa, gli aiuta con le spese, insegna loro e

ai bambini come usare i macchinari nel modo migliore e inoltre

cercano fondi per aiutare anche le famiglie che non possono

affrontare tutte le spese. Fortunatamente questo tipo di

associazioni sta crescendo. Inoltre oltre a queste associazioni

esistono anche altre associazioni che aiutano i le famiglie ad

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educare nel migliore dei modi i propri figli per poterli inserire nella

società e inoltre educare la società creando persone, strutture e

rapporti tra università ed enti qualificati e non discriminatorie nei

confronti delle persone con disabilità affinchè si crei una società più

inclusiva sotto tutti gli aspetti.

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Bibliografia e sitografia:

• Slides della presentazione della professoressa Silvia Crafa

università di Padova general course diritti umani e inclusione

incontro n.4

• Slides presentazione professoressa Ombretta Gaggi università di

Padova fgeneral course diritti umani e inclusione incontro n.4

• Slides presentazione prfessor Nicola Orio dipartimento di beni

culturali-università di Padova general course diritti umani e

inclusione

• Slides Andrea Renieri “linguaggio e gesto” corso di elaborazione

del linguaggio naturale a.a.2005/2006

• Dizionario di italiano “il Sabatini Colletti”

• Studi e documenti degli annuali della pubblica istruzione, Rivista

trimestrale del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca

127/2009

• Agenzia per l’Italia digitale, presidenza del consiglio dei ministri,

Circolare n.2 del23 settembre 2005 www.agid.gov.it

• www.homolaicus,com com’è nata la comunicazione?

• Tecnologie per la disabilità: cosa ci riserva il futuro?

www.disabili.com

• Screen reader-wikipedia www.wikipedia.org

• Il sistema Tobii per aiutare i disabili Euronews it.euronews.com

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• Comunicazione inclusiva: autare senza discriminare

www.chiaracasablanca.it

• Tecnologia al servizio della disabilità www.unipd.it

• Abili a proteggere: Tecnologie assistive www.abiliaproteggere.net

• L’eye-tracking da voce ai bambini con disabilità www.ilgiornale.it

• www.legadelfilodoro.it

• www.mondoausili.it

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ACCESSIBILITÀ E COMUNICAZIONE SOCIAL

INTRODUZIONE

Largamente nel capitolo precedente si è parlato di come le persone con

disabilità abbiano la capacità e la possibilità di comunicare e soprattutto gli

strumenti adatti a facilitare la comunicazione con l’esterno; tuttavia avere

gli strumenti tecnici per farlo è solo il primo “step” verso una

comunicazione inclusiva, un elemento necessario che non può mancare in

un qualsiasi processo comunicativo è la forza di volontà e la voglia di

mettersi in gioco, è necessario inoltre avere un messaggio da comunicare

ma, soprattutto, è essenziale un luogo o, per meglio dire, un canale, la

piattaforma adatta sulla quale “intavolare” una discussione e sulla quale

sia possibile comunicare non solo con i propri amici e parenti ma col

mondo intero.

Quale canale può garantire tutto ciò?

Credo che la risposta a questa domanda sia piuttosto semplice, mi sto

naturalmente riferendo ai social network.

Le piattaforme social e più in generale il world wide web semplificano

progressivamente il modo di comunicare ed entrare in contatto con le

persone, offrendo la possibilità di condividere informazioni e soprattutto

esprimere le proprie opinioni e i propri pensieri con il solo uso di pochi

strumenti.

Sebbene questi strumenti e questi servizi siano stati concepiti per

semplificare la nostra vita è necessario sottolineare che un fetta della

popolazione ancora fatica ad utilizzare queste tecnologie; attualmente le

persone con disabilità sono spesso discriminate nelle primissime fasi della

progettazione, produzione e fruizione di questi strumenti tecnologici.

Anche nel caso in cui l'utente con disabilità disponga di un software che

facilita la navigazione nel web, se colui che ha progettato il sito non ha

seguito, nelle fasi iniziali, le linee standard internazionali riconosciute per

la progettazione di un sito inclusivo, le tecnologie assistive – tra cui lo

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Fincato Alessia
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screen reader e i programmi per sintesi vocale – potrebbero non

funzionare.

Sarà appunto di comunicazione e piattaforme web di cui mi occuperò in

questo elaborato, in particolare ho deciso di soffermarmi sulle linee guida

da seguire per la creazione di un sito web accessibile, collegandomi

successivamente ai social network più utilizzati dalle persone con

disabilità e nello specifico al grado di accessibilità di questi social network.

L’ultima parte sarà dedicata ai principali aspetti positivi e negativi derivanti

dall’uso dei social network, per finire con un esempio di comunicazione

“riuscita” ed efficace.

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STEP 1: PER UNA COMUNICAZIONE ACCESSIBILE SUL WEB

1.1 COS’È UN SOCIAL NETWORK

Un social network è un servizio offerto tramite l’uso di Internet,

normalmente fruibile in maniera gratuita tramite world wide web o grazie

ad apposite applicazioni per dispositivi mobili, è una grande rete sociale,

comparabile ad una grande ragnatela, che mette in comunicazione tra loro

un vastissimo numero di persone ogni giorno a qualsiasi ora.

Tramite l’uso dei social network si ha l’occasione di condividere in modo

facile e veloce le proprie esperienze, un pensiero, delle foto o dei video, in

modo da raccontarsi agli altri e far conoscere di sé aspetti che magari

sono difficili da esprimere di persona.

Questa grande opportunità di socializzazione è tuttavia spesso preclusa

alle persone con disabilità che non sono in grado di utilizzare al meglio ed

efficacemente i social a causa del modo in cui vengono progettati.

1.2 CREAZIONE DI UN SITO ACCESSIBILE

Come è già stato detto il World Wide Web non è accessibile allo stesso

modo a tutte le persone. In particolare, le persone con limitazioni

sensoriali necessitano di apposite forme di rappresentazione come ad

esempio la funzione di lettura, le descrizioni audio o dei sottotitoli. Per

risolvere questo problema sono state ideate delle linee guida in materia di

accessibilità dei contenuti web chiamate WCAG.

Le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines), parte del W3C (World

Wide Web Consortium) e della WAI (Web Accessibility Initiative)

definiscono delle linee guida da seguire per incrementare l’accessibilità di

siti e progetti online.

Queste linee guida mettono in risalto il modo in cui i siti web dovrebbero

essere strutturati in modo che siano accessibili a tutti gli utenti a

prescindere dalle loro capacità fisiche, mentali o tecniche.

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Con la creazione delle WCAG, lo scopo del W3C è quello di mettere a

disposizione degli sviluppatori di siti web uno standard internazionale per

l’accessibilità dei contenuti online che soddisfi non solo le esigenze del

singolo ma anche quelle delle organizzazioni e delle istituzioni

governative.

La struttura del WCAG 2.0 (versione più recente introdotta nel 2008)

propone un sistema in cui le linee guida per la progettazione online si

basano su 4 importanti principi: percepibile, utilizzabile, comprensibile e

robusto.

Se un sito web sarà in grado di adempiere alle direttive e alle indicazioni

del WCAG, allora questo potrà essere considerato “conforme”. Il W3C,

relativamente alla conformità, delinea 3 livelli di adeguatezza: A (livello di

accessibilità basso), AA (livello di accessibilità medio), AAA (livello di

accessibilità elevato). Le caratteristiche che devono avere i contenuti web

per essere considerati accessibili e conformi ai principi WCAG sono, come

già detto, percezione, utilizzabilità, comprensione e robustezza.

I principi sono applicabili come segue:

Percezione: “Le informazioni e i componenti dell’interfaccia utente devono

essere presentati agli utenti in modo che possano essere percepiti”

(W3C).

Per far si che le informazioni siano percepibili è necessario:

• Fornire alternative testuali per ogni tipo di contenuto non di testo in

modo che questo possa essere trasformato in altre forme, in base

alle necessità degli utenti come ad esempio: Braille, sintesi vocale

o simboli.

• Fornire alternative a file audio e video preregistrati con sottotitoli,

descrizioni audio e/o lingua dei segni.

• Creazione di contenuti rappresentabili con diverse modalità e

formati, senza omettere informazioni.

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• Semplificare la visione e l’ascolto dei contenuti, separando ciò che

sta in primo piano da ciò che sta sullo sfondo.

Utilizzabilità: “I componenti e la navigazione dell’interfaccia utente

devono essere utilizzabili.” (W3C)

Per rendere un sito utilizzabile è necessario:

• Rendere disponibili tutte le funzioni tramite l’uso della tastiera. La

tastiera è definita come interfaccia utente primaria. Altre possibilità

di utilizzo come il controllo via mouse o touchpad sono opzionali.

• Agli utenti deve essere concesso il tempo sufficiente per interagire

con i contenuti web, per leggerli e utilizzarli.

• Evitare l’introduzione di contenuti che possano causare attacchi

epilettici.

• Aiutare l’utente a navigare facilmente fornendo delle funzionalità di

supporto e permettendo alle persone con disabilità di identificare la

propria posizione all’interno del sito web, trovare dei contenuti o

superare dei blocchi.

Comprensibilità: “Le informazioni e le operazioni dell’interfaccia utente

devono essere comprensibili.” (W3C)

Per rendere un sito comprensibile è necessario:

• Far si che il testo sia leggibile e comprensibile.

• Creare pagine web che appaiano e siano prevedibili, in modo da

garantire una buona comprensibilità e in modo che risultino

intuitive.

• Aiutare gli utenti ad evitare gli errori correggendoli automaticamente

per mezzo di suggerimenti durante l’inserimento.

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Robustezza: “Il contenuto deve essere abbastanza robusto per essere

interpretato in maniera affidabile mediante una vasta gamma di programmi

utente, comprese le tecnologie assistive.” (W3C)

Per rendere il contenuto robusto è necessario:

• Garantire la compatibilità con le tecnologie attuali e future tramite

un’attenta applicazione di standard specifici per il web.

Si rispettano le WCAG in Italia?

In Italia le persone con disabilità vengono tutelate dalla legge 4/2004

(“Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti

informatici”) conosciuta anche come “Legge Stanca” dal nome dell’allora

ministro Lucio Stanca che la propose.

La legge garantisce la fruibilità di Internet da parte di tutti, comprese le

persone con disabilità, stabilendo quali siano i “requisiti tecnici e i diversi

livelli per l’accessibilità” facendo diretto riferimento alle linee guida WCAG.

La legge è stata sottoposta ad una tempestiva modifica quando, nel 2008,

i principi WCAG sono stati aggiornati, conformandosi alle linee guida 2.0.

In Italia i soggetti destinatari di tale legge sono:

• Le pubbliche amministrazioni;

• Gli enti pubblici economici;

• Le aziende private concessionarie di servizi pubblici;

• Gli enti di assistenza e di riabilitazione pubblici;

• Le aziende di trasporto e di telecomunicazione a prevalente

partecipazione di capitale pubblico;

• Le aziende municipalizzate regionali;

• Le aziende appaltatrici di servizi informatici.

La situazione in Europa:

Da gennaio 2010, tutti i portali EUROPA devono aderire alle linee guida

WCAG 2.0 con l’ottenimento di un livello di conformità minimo pari ad: AA.

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Oltre a questo, come l’Italia anche: Danimarca, Finlandia, Francia,

Germania, Islanda, Irlanda, Olanda e Svizzera hanno adottato leggi,

basate sulle linee guida WCAG 2.0 volte ad incrementare l’accessibilità.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti, in tema di accessibilità, si fa riferimento alla “Section

508” una legge federale, nata come emendamento al “Workforce

Rehabilitation Act” del 1973 (il cui obbiettivo era quello di eliminare le

barriere che ostacolavano una persona con disabilità nell’utilizzo di servizi

e informazioni fornite da agenzie federali) che impone che tutte le

tecnologie elettroniche ed informatiche sviluppate e utilizzate dal governo

federale debbano essere accessibili alle persone con disabilità.

Secondo questa legge, una tecnologia può essere definita accessibile se

essa può essere utilizzata da persone con disabilità con la stessa efficacia

con cui sono utilizzate da persone senza disabilità.

Per certificare che un servizio Web o un prodotto online è conforme alla

Sezione 508, lo sviluppatore/autore deve redigere il “Voluntary Product

Accessibility Template” (VPAT), un documento che descrive come il

prodotto o servizio sia o non sia conforme agli standard della legge 508. Il

VPAT compilato viene pubblicato sul sito web del creatore, in modo da

consentire ai funzionari di governo e ai consumatori l'accesso a tali

informazioni.

Al contrario di quanto avvenuto con la legislazione europea

sull’accessibilità, dove i vari paesi europei hanno adottato in maniera più o

meno completa le linee guida WCAG 2.0, attraverso la Section 508 gli

Stati Uniti hanno mantenuto una loro formale indipendenza dalle linee

guida definite dal W3C. Nonostante ciò la Section 508 e le WCAG

condividono molte cose in comune come i principi ispiratori e molte

raccomandazioni.

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STEP 2: ENTRIAMO NEL DETTAGLIO

2.1 I SOCIAL NETWORK PIÙ UTILIZZATI DALLE PERSONE CON

DISABILITÀ: UN PICCOLO FOCUS

Secondo una ricerca svolta nel 2016 dall’Istituto per le Tecnologie

Didattiche – CNR su “I social network come strumenti di inclusione sociale

per le persone con disabilità” si è potuto constatare che i social network

più utilizzati dalle persone con disabilità sono:

1. Facebook

2. YouTube

Facebook, nato nel 2004, è il social in assoluto più utilizzato su scala

mondiale. Le funzioni che caratterizzano questo social network sono

molteplici, ma si è reso famoso soprattutto per la possibilità per gli utenti

registrati di “postare” commenti, condividere fotografie, link e notizie di

ogni genere.

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YouTube, diversamente da Facebook, è un social definibile

monotematico, infatti gli utenti registrati hanno “solo” la possibilità di

caricare e condividere video con gli altri utenti. Un’altra fondamentale

differenza da Facebook è data dalla possibilità, nel caso di YouTube, di

poter visualizzare i video caricati sulla piattaforma anche senza essere per

forza iscritti al social, cosa che per Facebook non vale dato che per

usufruire dei contenuti offerti dal social è necessaria l’iscrizione (gratuita

sia su YT che su FB).

Facebook e Youtube non sono solo i social più utilizzati dalle persone con

disabilità ma sono largamente usati, come si può notare nel grafico

sottostante, dalla quasi totalità della popolazione socialmente e

tecnologicamente attiva in Italia.

Dai risultati che le varie ricerche sulla materia ci offrono potremmo

pensare che entrambe le piattaforme social permettano una

comunicazione fluida e semplice senza barriere e limitazioni di alcun

genere, accessibili a tutti e senza aspetti negativi.

Sarà davvero così? Scopriamolo!

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2.2 ACCESSIBILITÀ SUI SOCIAL

Facebook

Nomi, home, richieste d’amicizia, messaggi, notifiche, gruppi, stati, posts,

notizie, link, compleanni, storie, giochi, live, chat, eventi, video, video,

moltissimi video e ancora foto, foto, foto foto. Questo è Facebook.

Come può, ad esempio, una persona con disabilità visive, far parte di

questa piattaforma?

Facebook è un ottimo modo per tenersi in contatto con amici e famiglia,

tuttavia per alcuni utenti possono sorgere alcuni problemi.

La piattaforma si evolve e si sviluppa in continuazione, introducendo

aggiornamenti che possono mettere in difficoltà strumenti come gli “screen

reader” (lettori di schermo). Facebook però ne è ben consapevole e per

cercare di arginare e risolvere questi problemi si è messo in gioco.

Grazie ai feedback dei propri utenti e al lavoro svolto con “American

Foundation for the Blind” (organizzazione non – profit per persone con

disabilità visive), Facebook è riuscito ad incrementare notevolmente il suo

livello di accessibilità. Tuttavia è stato costituendo, nel luglio del 2011, il

“Facebook Accessibility Team” che la piattaforma ha fatto grandi passi

avanti migliorando e incrementando l’accessibilità al social riuscendo a

combinare la sua offerta con le tecnologie assistive presenti sul mercato.

Pagina “Facebook Accessibility”

Grazie alla combinazione di tecnologie assistive come: Screen readers,

display braille, comandi vocali, comunicatori oculari e implementazioni

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volte ad incrementare l’accessibilità e la possibilità di comunicazione per

le persone con disabilità come l’introduzione di sottotitoli nei video, le

descrizioni a parole di immagini e contenuti grafici, l’utilizzo di un layout

non troppo elaborato e la possibilità di “dettare” al computer ciò che si

desidera scrivere, Facebook sta diventando un social sempre più alla

portata di tutti e sempre più inclusivo.

Naturalmente di limiti da superare ce ne sono ancora, ad esempio,

nonostante il layout delle pagine del social abbia un ordine di lettura logico

dall’alto verso il basso, utilizzando uno screen reader come strumento di

lettura l’utente avrà serie difficoltà nella comprensione della pagina poiché

l’output del lettore sarà, soprattutto nel caso di elementi grafici, un lungo

elenco di url e termini inutili e noiosi.

Inoltre, è molto importante ricordare che anche l’utente registrato,

seguendo piccoli accorgimenti, può fare del suo per incrementare

l’accessibilità, ad esempio aggiungendo una descrizione a parole alle

proprie foto e i sottotitoli ai video pubblicati, evitando di utilizzare acronimi

nei post e mettendo “like” alla pagina sull’ accessibilità per rimanere

informato su nuovi aggiornamenti in materia.

Per quanto riguarda l’assistenza agli utenti, molto importante è la

possibilità da parte degli utenti Facebook di mettersi in contatto con

“Accessibility Team” per mettere in luce eventuali bug o malfunzionamenti.

Gli utenti possono inoltre trovare nella sezione “centro di assistenza” della

piattaforma anche l’apposita pagina riguardante l’accessibilità, sulla quale

si possono trovare utili informazioni su come rendere più accessibile il

proprio account Facebook.

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YouTube

YouTube, parte di Google Inc. dall’ottobre 2006, viene resa una

piattaforma accessibile dall’ “Accessibility Engineering team” di Google

che ha il compito di monitorare lo stato di accessibilità dei prodotti Google,

tra cui YouTube.

Google promuove attivamente un “web” accessibile basandosi su

standard e linee guida nazionali e internazionali e partecipando a comitati

consultivi.

Google partecipa e segue attivamente:

FCC Video Programming Accessibility Advisory Committee (VPAAC)

Creata dalla FCC (The Federal Communications Commision) per

sviluppare e incrementare l’accessibilità, in varie forme, nei contenuti

video.

FCC Consumer Advisory Committee (CAC)

Lo scopo del “Comitato Consultivo dei Consumatori” (CAC) è quello di

fornire raccomandazioni alla FCC in merito a questioni relative ai

consumatori, incluse questioni relative all’accessibilità.

Web Content Accessibility Guidelines (WCAG)

Le linee guida WCAG per l’accessibilità online sono lo standard di

“comportamento” più seguito e accettato a livello internazionale.

Dal lancio del supporto per i sottotitoli nel 2006, YouTube ha continuato ad

espandere e migliorare il suo servizio introducendo funzionalità che

semplificano la ricerca e la creazione di video.

L’ utente che intende caricare un video sulla piattaforma ha la possibilità di

sottotitolarlo autonomamente oppure limitarsi ad offrire al “pubblico” dei

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sottotitoli auto generati dalla piattaforma; tuttavia non bisogna dimenticare

che la qualità dei sottotitoli generati dipende largamente dalla qualità

audio del video, dai rumori di sottofondo e dal numero di oratori, è perciò

possibile che e la trascrizione auto generata risulti inaccurata.

È possibile utilizzare YouTube

mediante screen reader, sul

quale la piattaforma da

apposite istruzioni in una

specifica sezione del sito, e

scorciatoie da tastiera,

ottimizzate dopo l’introduzione

di HTML5.

Incrementare l’accessibilità sulla piattaforma YouTube non spetta

solamente a team specializzati ma è compito degli stessi “creators” (utenti

che caricano i propri contenuti sul social) rendere i propri video accessibili

a tutti i tipi di pubblico aggiungendo sottotitoli in più lingue, descrizioni

audio o lingua dei segni.

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2.3 ASPETTI POSITIVI E NEGATIVI DI UNA COMUNICAZIONE SOCIAL

Un ultimo punto da prendere in considerazione, sempre facendo

riferimento ai social networks, sono gli aspetti positivi e negativi che

derivano dall’uso di queste piattaforme.

Al giorno d’oggi le persone, soprattutto i più giovani, utilizzano largamente

i social come mezzo di comunicazione, tuttavia se questi mezzi non

vengono utilizzati con attenzione possono essere nocivi.

I principali aspetti negativi che possono sorgere dall’ uso continuo di un

social network sono: isolamento e cyberbullismo, aspetti negativi che non

colpiscono solo la persona con disabilità ma qualsiasi persona, e con

maggiore incidenza adolescenti.

Per quanto riguarda l’isolamento, secondo una ricerca effettuata dall’

“School of Medicine della University of Pittsburgh”, più tempo le persone

trascorrono sui social media più probabilità si ha di isolarsi socialmente.

In questo caso, gli stessi media possono essere un mezzo d’intervento

poiché possono essere utilizzati per identificare gli individui socialmente

isolati e permettere loro di connettersi con “in-person networks”.

Comprendere la relazione tra uso dei social network e isolamento sociale

contribuirà a garantire che questi interventi siano adeguatamente

progettati e siano in grado di fornire il supporto necessario.

Il secondo aspetto negativo citato è il cyberbullismo.

Il cyberbullismo, tra le sue varie definizioni, viene descritto come quella

forma di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo, attuata mediante

uno strumento elettronico, perpetrata contro un singolo o un gruppo con

l'obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento,

che non riesce a difendersi (Smith et al., 2006).

Le persone, soprattutto i giovani, con disabilità fisiche, intellettuali, emotive

e sensoriali hanno più probabilità di essere vittime di bullismo rispetto ai

loro coetanei, poiché il cyberbullo mira a colpire i punti deboli e le fragilità,

ridicolizzandole e facendone oggetto di scherno.

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Il Governo italiano si è mosso contro questa “pratica” emanando la legge

71/2017 recante "Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il

contrasto del fenomeno del cyberbullismo" che, come recita il primo

comma della stessa:

“La presente legge si pone l'obiettivo di contrastare il fenomeno del

cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere

preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei

confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di

responsabili di illeciti, assicurando l'attuazione degli interventi senza

distinzione di età nell'ambito delle istituzioni scolastiche.”

Il testo introduce la possibilità per i ragazzi sopra i 14 anni (anche senza

che i genitori lo sappiano) di chiedere direttamente al gestore del sito

l'oscuramento o la rimozione dell'aggressione online. Nel caso in cui il

gestore ignori l’allarme, la vittima, stavolta con il genitore informato, potrà

rivolgersi al Garante per la Privacy che entro 48 ore dovrà intervenire.

(Dalla definizione di gestore sono esclusi gli access provider, i cache

provider e i motori di ricerca).

Per quanto riguarda gli aspetti positivi, i social network permettono alle

persone con disabilità di mantenere e costruire relazioni con altre persone

online, consentono di condividere esperienze e interessi comuni con

persone diverse dalla propria cerchia di amici e, cosa molto importante,

consentono di “accorciare le distanze” permettendo alle persone con

ridotta mobilità di comunicare più facilmente.

I social rappresentano inoltre uno spazio in cui esprimere la propria

identità e il proprio pensiero, un posto in cui chiunque può dire la propria,

naturalmente senza arrecare danno ad altri.

Questa grande potenza comunicativa si manifesta soprattutto su

YouTube, dov’è presente una grande comunità, in continua crescita, di

persone con disabilità che non solo raccontano la loro storia e le loro

esperienze ma si impegnano giorno per giorno a combattere contro lo

stigma sulla disabilità.

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STEP 3: ESEMPIO DI COMUNICAZIONE RIUSCITA

James Rath è un regista indipendente con disabilità visiva.

La sua passione per il “visual storytelling” nasce all’età di 8 anni quando

inizia ad utilizzare la videocamera e a creare i suoi primi video.

Nel 2006 James scopre YouTube, su questa piattaforma trova un modo

per far sentire la propria voce condividendo i suoi progetti attraverso la

pubblicazione di video da lui girati.

Da allora James ha sperimentato numerosi generi, progetti e

cortometraggi, incrementando le sue abilità e migliorando le sue

conoscenze.

Sul suo canale YouTube, che conta più di 26'000 iscritti, parla

apertamente della sua vita, delle sue esperienze e della sua disabilità e,

soprattutto, attraverso i suoi video James cerca di diffondere l’importanza

di creare dei contenuti accessibili a tutti.

Tutti i suoi video sono sottotitolati e contengono l’audiodescrizione.

https://www.youtube.com/watch?v=_mvGPn5AsL8&t=323

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Bibliografia e sitografia:

• Brian A. Primack, Social Media Use and Perceived Social Isolation

Among Young Adults in the U.S., in “American Journal of

Preventive Medicine”, volume 53, edizione 1, luglio 2017.

• Facebook , informazioni sull’accessibilità del sito:

https://www.facebook.com/help/accessibility

• Ferlino L., Manca S., I social network come strumenti di inclusione

sociale per le persone con disabilità, “TD Tecnologie Didattiche”,

2016.

• Google Accessibility page, “Initiatives and research”:

https://www.google.com/accessibility/initiatives-research.html

• Legge 4/2004, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti

disabili agli strumenti informatici, “Gazzetta Ufficiale”, n. 13 del 17

gennaio 2004.

• Pagina Facebook, “ Accessibility Team”:

https://www.facebook.com/accessibility/

• Pagina Youtube di James Rath:

https://www.youtube.com/channel/UC2SRfQNdF3puBVA1uIAsNxg

• Queen’s University, Accessibility Hub, Social Media Accessibility –

Facebook, Twitter and YouTube:

https://www.queensu.ca/accessibility/how-info/social-media-

accessibility

• Section 508, GSA Government – wide IT Accessibility Program:

https://www.section508.gov/

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• Slonje R., Smith P. K., Cyberbullying: Another main type of

bullying?, in “Scandinavian Journal of Psychology”, 49, 147–154,

2008.

• StopBullyng.gov, “Bullying and Children and Youth with Disabilities

and Special Health Needs” :

https://www.stopbullying.gov/sites/default/files/2017-

09/bullyingtipsheet.pdf

• W3C Web Accessibility, United States laws and policies:

https://www.w3.org/WAI/policies/united-states/#section-255-of-the-

telecommunications-act-of-1996

• Web Content Accessibility Guidelines (WCAG):

https://www.w3.org/Translations/WCAG20-it/

• YouTube Hepl, Use YouTube with a screen reader:

https://support.google.com/youtube/answer/189278?hl=en

• YouTube accessibility blog:

https://youtubeeng.googleblog.com/search/label/accessibility

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LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE INCLUSIVI NEL

CONTESTO ITALIANO

INTRODUZIONE

Dopo aver parlato approfonditamente di linguaggio inclusivo a proposito

delle persone con disabilità, amplierò il discorso di linguaggio inclusivo in

particolare nel contesto italiano, in generale includendo anche altri parti

della società molte volte non incluse sia direttamente che indirettamente.

Inizierò parlando del cattolicesimo e la sua influenza sul linguaggio

inclusivo, passando poi all’educazione inclusiva tramite il linguaggio e

infine soffermandomi sul forte sessismo e la battaglia contro di esso

all’interno della lingua italiana.

Infine, trarrò le conclusioni a proposito dell’intero elaborato.

Cattolicesimo ed inclusione

Sicuramente è necessario citare l’importanza del cattolicesimo a proposito

del linguaggio inclusivo nel contesto italiano. Il cattolicesimo, al di là che

una persona creda e segua questa religione o meno, è parte integrante

della cultura occidentale e in particolare di quella italiana dove la chiesa

ha sempre avuto un ruolo predominante.

La religione cattolica racchiude in sé la necessità dell’uso di un linguaggio

inclusivo, poiché è parte della missione cristiana diffondere e cercare di

trasmettere un messaggio di amore e salvezza dell’anima verso tutte le

persone. La religione, quindi, non deve usare un linguaggio inclusivo per

soddisfare un numero più ampio di persone e per cercare di trarre fedeli a

sé, ma deve utilizzarlo perché è ciò che la legge cattolica enuncia.

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I rapporti stato-chiesa in Italia sono regolati dai Patti Lateranensi, introdotti

nel 1929, e dalle successive modifiche dell’Accordo di Villa Madama

(1984) che ha portato al Nuovo Concordato, con il quale la chiesa rinuncia

di essere la religione di stato e accede a un nuovo tipo di finanziamento

statale. L’articolo 7 della Costituzione italiana, dice che "lo Stato e la

Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani",

ma siamo sicuri che nella realtà concreta e quotidiana sia così? Che lo

stato adotti una piena inclusione anche di tutte le altre religioni?

Giorgio Pino, professore di filosofia del diritto dell’Università di Palermo,

sostiene che nella prassi, la Costituzione convive con leggi e

regolamentazioni scritte con un linguaggio caro alle gerarchie

ecclesiastiche. Il professore sottolinea come ciò abbia ripercussioni

soprattutto su alcune questioni come per esempio la bioetica, il

matrimonio, i problemi di procreazione e fine vita. Inoltre, sostiene che il

linguaggio televisivo sia fortemente influenzato su alcune questioni da

parte della Chiesa, atteggiamento non inclusivo verso le altre religioni, le

quali non trovano lo stesso spazio. Secondo lui, in Italia si dovrebbe

tenere conto che il linguaggio religioso non è più solo quello cattolico, e se

la Costituzione sancisce il principio di uguaglianza, così nella legislazione

è importante che lo stato italiano ne tenga conto e sia maggiormente

inclusiva verso le altre religioni. Inoltre sostiene che lo stato italiano non

dovrebbe farsi influenzare dalla Chiesa, poiché esso è, secondo la

Costituzione, uno stato laico.

E’ evidente infatti agli occhi di tutti che stiamo assistendo in questo

periodo della storia a una crisi della Chiesa cattolica in Italia: la gente non

frequenta più le chiese, vi sono poche vocazioni, vi è poca fiducia

nell’istituzione Chiesa, …. Perché? E’ un fenomeno complesso, studiato

da sociologi e statisti. Ciò che possiamo osservare però è il fatto che il

linguaggio usato dagli uomini di chiesa ha un ruolo fondamentale in

questo contesto. Infatti, la Chiesa è rimasta indietro con i tempi. Mentre la

popolazione italiana e occidentale più in generale ha cambiato il modo di

pensare, di agire, seguendo il corso della secolarizzazione, la Chiesa non

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è stata in grado di stare ai passi con i tempi. E’ rimasta sui suoi dogmi e

messaggi di moralismo, a volte punitivo, che ha funzionato fino agli anni

Cinquanta, Sessanta, dove però in una società dinamica e complessa

come quella di oggi non può più funzionare. La Chiesa ha bisogno di

sviluppare un linguaggio che vada verso la popolazione che ha di fronte,

un linguaggio inclusivo e non accusatorio. Deve trovare un linguaggio che

possa accompagnare i fedeli nella vita di tutti i giorni, una vita dinamica,

diversa da quella di cinquant’anni fa, frenetica, influenzata da mille stimoli

ed altri fattori.

Anche Papa Francesco ci ricorda che “Dio nel suo disegno d’amore, non

vuole escludere nessuno, ma vuole includere tutti”. “Ad esempio,

mediante il Battesimo, ci fa suoi figli in Cristo, membra del suo corpo che è

la Chiesa. E noi cristiani siamo invitati a usare lo stesso criterio: la

misericordia è quel modo di agire, quello stile, con cui cerchiamo di

includere nella nostra vita gli altri, evitando di chiuderci in noi stessi e nelle

nostre sicurezze egoistiche”.

E’ una chiesa che ha bisogno di rinnovarsi e attivarsi di più in situazioni

concrete, dimostrando non solo tramite il linguaggio, ma anche con i fatti

la sua presenza. E’ necessario invece che la Chiesa si faccia sentire il suo

messaggio nella vita quotidiana, frenetica di tutte le persone che

intendono perseguire una vita cristiana attraverso un linguaggio inclusivo.

La Chiesa, soprattutto, non è più capace di appagare la domanda di

identità richiesta dai fedeli, i quali non riescono più a ritrovarsi nel

linguaggio esclusivo ed elitario dell’istituzione. La religione cattolica non

dovrebbe essere una religione dei “pochi ma buoni”, è invece, per sua

natura, una religione espansiva, aperta e inclusiva verso tutti.

Per analizzare il linguaggio usato dalla Chiesa, è importante fare un’analisi

del linguaggio biblico.

La Bibbia usa un linguaggio figurato, tramite esso concetti difficili vengono

paragonati a situazioni, fatti cose, che siano facilmente comprensibili da

tutti. E’ stato utilizzato inoltre per mettere in evidenza concetti importanti.

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E’ molto utile per far in modo che il messaggio arrivi al maggior numero di

persone possibili. La difficoltà sta nel saper interpretare il linguaggio

figurato che risale al X secolo a.C., sorretto per esempio da similitudini o

metafore, per comprendere immagini o situazioni a noi non chiare, non

familiari, difficili da comprendere.

Altro elemento da tenere conto è la scelta delle parole. Ogni parola ha un

proprio peso nel linguaggio, sono state scelte con cura. Infatti, la Bibbia fa

continuamente riferimento alla parola di Dio, parola che deve essere

compresa ed interpretata correttamente, senza strumentalizzazioni. Per

questo motivo è necessario uno previo studio da parte di chi vuole leggere

e analizzare la Bibbia. Perciò per i preti e coloro che devono diffondere il

messaggio di Dio, è necessario uno studio del linguaggio biblico. Il

messaggio biblico, inoltre,ha la capacità di evolversi, di stare al passo con

i tempi. Ciò, però, manca invece a volte in coloro a cui tocca interpretare il

messaggio.

La religione per essere inclusiva, deve partire inanzitutto da

un’educazione religiosa inclusiva verso per esempio persone con

disabilità, straniere. Essa deve seguire lo stesso corso dell’educazione

inclusiva scolastica.

Che strada è meglio perseguire?

Sicuramente quella della semplicità e concretezza. E’ necessario quindi

“smontare” un concetto articolato, di difficile comprensione e ricostruirlo

con un linguaggio semplificato, accessibile a tutti. Al di là delle disabilità o

della difficile comprensione da parte di un soggetto avente un’altra lingua

madre, questo è ciò che fanno tutti gli insegnanti, è l’obiettivo della

didattica trasmettere concetti comprensibili a tutti.

Esempio, per spiegare chi è Dio, si potrebbe dire che è il Padre di tutti noi

e sta in tutti noi. Poi questo concetto può essere amplificato, modificato,

ma ciò rappresenta il punto di partenza, il concetto di partenza da cui

iniziare a costruire un concetto più articolato.

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Oltre la semplicità, abbiamo la concretezza, che prevede cioè di

interpretare ciò che si vuole trasmettere tramite situazioni reali, fatti

quotidiani, concreti. Facendo ciò i concetti rimarranno nel soggetto più

indelebili.

In questo modo l’insegnamento di un concetto sarà eguale per tutti e per

tutti comprensibile. Infatti, è importante per quanto riguarda il linguaggio

inclusivo, non fare distinzioni, ma applicare un modello che vada bene a

tutti.

Ciò implica quindi l’utilizzo di materiale uguale per tutti, i quali possono

essere libri, ma anche ad esempio il disegno, tramite il quale un

insegnante può esprimere un concetto non semplice da spiegare a parole.

Esso deve avere le caratteristiche di semplicità e immediatezza di

esecuzione, prevede quindi figure, linee stilizzate e stereotipate.

Come ultimo punto è necessario un coinvolgimento diretto degli alunni,

quindi richiedere una loro opinione sull’argomento o verificare se il

concetto è stato appreso correttamente, per esempio chiedendo di fare un

esempio o una riflessione su un’esperienza personale.

Ovviamente un insegnamento che sia inclusivo può essere attuato in

diversi modi e ognuno ha la possibilità di trovare metodi diversi. Per fare

ciò bisogna avere capacità di immaginare, credere e provare, perché

viviamo in una società ricca, varia, dove ognuno recepisce in modi e

attraverso mezzi diversi.

E’ necessario che ci sia una certa flessibilità, una dinamicità nei mezzi.

Infatti, l’educazione deve mirare anche a creare una certa indipendenza

nella persona, la quale può riconoscersi e trovare un’identità nella

religione poiché essa non la esclude, ma al contrario la include per natura

di ciò che esprime e su ciò su cui è fondata.

Educazione ed inclusione

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Come accennato a proposito dell’educazione religiosa, lo stesso vale per

la l’educazione scolastica. Infatti, un’educazione inclusiva mira a rendere

inclusivi i contesti scolastici intervenendo sugli approcci pedagogici

utilizzati dai docenti, sull’organizzazione, sul materiale utilizzato, sulla

valutazione, cercando di assicurare l’apprendimento a tutti i componenti

della classe, degli studenti. Per face ciò necessario un previo studio e

riflessione sulle logiche, progetti educativi che possano portare attraverso

un linguaggio inclusivo, un’educazione inclusiva, uguale per tutti.

Per quanto riguarda la disabilità, l’Italia ha adottato degli strumenti per

cercare di essere più attenta all’inclusione. Tra questi strumenti di studio vi

è il manuale di classificazione internazionale della disabilità, denominato

ICF (International Classification of Functioning Disability and Health)

realizzato dall´ Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 (WHO,

2001). Più recentemente poi, il ministero ha emanato delle nuove misure

legislative creando la macro-categoria degli alunni con bisogni educativi

speciali (Direttiva ministeriale 2012 e circolari 2013), proprio nel tentativo

di favorire lo sviluppo di una scuola e classi inclusive.

Per essere inclusiva la didattica deve seguire un linguaggio che permetta

la piena acquisizione delle competenze da parte dell’alunno. Il linguaggio

non deve per forza essere verbale, poiché ognuno di noi è diverso e può

apprendere meglio secondo diversi linguaggi. Ognuno ha una propria

identità e la scuola deve operare nella direzione in cui ognuno possa

sviluppare e creare la propria dignità.

Secondo l’indagine PISA (Programme for International Student

Assessment) dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo

economico (OCSE), al quesito "Come si comportano alcune coorti di

studenti dell'indagine Pisa nell'indagine successiva sulle competenze degli

adulti Piaac?", cioè come varia il gap tra studenti svantaggiati e compagni

più fortunati nel corso della vita dopo il diploma, in termini di abilità in

Lettura e Matematica?

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In generale, dopo il diploma le differenze tra studenti avvantaggiati e

studenti svantaggiati aumentano in tutti e 20 i paesi oggetto dello studio

tranne che in Canada, Stati Uniti e Korea.

In Italia però il divario non è così grande, riesce a tenere a poca distanza i

risultati di studenti con possibilità diverse. L’indice è per l’Italia 0,45, meno

di atri paesi europei come Germania (0,49), Danimarca (0,64). Quindi la

scuola italiana è infine più inclusiva di quanto si pensi, e supporta meglio i

soggetti meno fortunati. Questo è stato possibile soprattutto grazie

all’osservanza e al rispetto dei docenti dell’Articolo 3 della Carta

Costituzionale: “ […]E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di

ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e

l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona

umana”[…]

La scuola e l’insegnamento del linguaggio è fondamentale infatti per

quanto riguarda l’inserimento sociale.

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In questo periodo storico stiamo assistendo a migrazioni di massa

provenienti da Africa e regioni calde del Medio Oriente. Un modo per

includere queste persone provenienti da condizioni di sofferenze, disagio

economico, ecc.., è adottare dei servizi e scuole che possano permettere

una conoscenza del linguaggio del paese in cui si vengono a trovare.

Il Ministero dell’istruzione italiano prevede per gli adulti dei corsi di lingua

italiana presso i centri CPIA, i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti,

con conseguente test per attestare il raggiungimento di conoscenza della

lingua italiana non inferiore al livello A2 del Quadro Comune di riferimento

europeo per la conoscenza delle lingue, approvato dal Consiglio d’Europa.

Se il test viene superato, viene rilasciato un permesso di soggiorno UE per

i soggiornanti di lungo periodo. Tuttavia, vi sono altri modi per attestare la

conoscenza della lingua a livello A2, per esempio uno di questi è il

conseguimento di un titolo di studio in Italia.

I minorenni invece hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla loro

regolarità, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.

E’ importante che uno stato provveda all’istruzione di chi ne fa parte

poiché è tramite il linguaggio che le persone si relazionano, si evolvono,

pongono fine ai conflitti.

Vi è però una lacuna per quanto riguarda l’educazione al linguaggio per i

profughi: la loro educazione alla lingua italiana non è prevista dallo stato

italiano, ma è invece prevista da associazioni, cooperative private.

Tuttavia, per una scuola ancora più inclusiva e porre fine a questi difetti a

proposito dell’educazione inclusiva, è stata varata una proposta di legge di

iniziativa popolare, da un gruppo di cittadini, insegnanti, genitori, i quali

hanno realizzato questa proposta di legge per una buona scuola per la

Repubblica.

Un articolo di questa proposta su cui è utile soffermarsi è l’Articolo 14:

acquisizione linguistica ed inclusione degli alunni e delle alunne di lingua

madre non italiana.

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Questo Articolo prevede il diritto all’istruzione per tutti coloro presenti sul

territorio nazionale, indipendentemente da status giuridico o di

immigrazione. Si focalizza soprattutto sull’assicurare la piena acquisizione

della lingua italiana per la comunicazione e l’apprendimento agli alunni di

lingua madre non italiana, aggiungendo docenti opportunamente formati.

Inoltre, si vuole garantire l’insegnamento della lingua italiana anche agli

adulti per includerli totalmente nella vita sociale del territorio in collettività

con le persone che vi vivono e favorirne la partecipazione sociale.

Inoltre, è necessario tramite la scuola, l’università, gli ambiti lavorativi, che

il linguaggio inclusivo inizi a far parte della quotidianità; bisognerebbe

essere abituati ed educati ad esso. Ognuno deve essere consapevole del

fatto che viviamo in una società di diritti e doveri e della relazione presente

tra democrazia, cittadinanza e inclusione. E proprio in relazione a questo

ultimo punto, sarebbe necessaria un’educazione maggiore fin dai primi

anni di vita.

L’educazione al linguaggio inclusivo è qualcosa che deve entrare

nell’ottica delle politiche nazionali e internazionali in modo da favorire una

maggiore omogeneità e equilibrio tra i componenti delle nostre società.

Sessismo nella lingua italiana

Un linguaggio inclusivo deve riuscire anche ad abbattere un linguaggio

sessista, in modo da eliminare stereotipi e inconsce discriminazioni che

possono provenire da uno sbagliato uso della lingua.

“Il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome”,

così diceva Rosa Luxemborg.

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La prima volta in cui in Italia si parla di sessismo linguistico è negli anni

Ottanta con il lavoro Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini,

periodo in cui avvennero importanti cambi sociali e culturali. Fino ad allora

era stata utilizzata un’omologazione verso il genere maschile: il plurale

maschile era la forma per designare gruppi formati da uomini e donne, ma

così anche al singolare, soprattutto per quanto riguardava cariche

professionali e istituzionali.

Poi fu introdotto il concetto di maschile neutro, una sorta di maschile

inclusivo, poiché il genere neutro nella lingua italiana non esiste, quindi

un’estensione del genere maschile a quello femminile. Mentre le donne

stavano entrando a far parte in istituzioni, facoltà, professioni solitamente

riservate alla solo componente maschile, il linguaggio invece continuava a

definirle al maschile.

Dagli anni 2000, comincia un’evoluzione grazie all’introduzione del

concetto di gender “genere” in Italia: insieme delle caratteristiche

socioculturali che si accompagnano all’appartenenza di uno o l’altro

sesso. Ci si concentra quindi sull’identità di genere. Si va subito a

correggere il linguaggio, discriminatorio nei confronti delle donne: le donne

devono essere riconosciute attraverso l’uso del genere femminile. Il

linguaggio acquisisce quindi un valore politico per la realizzazione della

«parità di fatto, cioè a dire l’uguaglianza delle possibilità di ciascun

individuo di entrambi i sessi di realizzarsi appieno in ogni campo”.

In questo periodo, proposito del lavoro di Alma Sabatini, l’attenzione si

focalizzò soprattutto sul terzo capitolo Raccomandazioni per un uso non

sessista della lingua italiana. Ho riportato di seguito alcune regole:

Dissimmetrie grammaticali

- maschile non marcato (uso di uomo con valore generico), es. rapporto

uomo-macchina - maschile inclusivo, es. gli studenti entrino uno alla volta

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- concordanza al maschile, es. le ragazze e i ragazzi studiosi sono sempre

premiati - uso del maschile per i titoli professionali e ruoli istituzionali

prestigiosi, es. il ministro Fornero si è recato in aula

- uso del suffisso -essa, es. la presidentessa dell’associazione Iride

Dissimmetrie semantiche

- stereotipi: aggettivi, es. svenevole, ingenua, altruista, fragile, mite,

isterica e diminutivi, es. mammina, mogliettina, stellina

- polarizzazione semantica, es. uomo libero vs donna libera, governante

uomo vs governante donna

- identificazione della donna attraverso l’uomo o la professione, es. il prof.

Baldini e signora, la moglie di, la donna di

Sono queste le dissimmetrie che rendono il linguaggio “sessista”.

Dopo l’intervento di Alma Sabatini, seguendo il suo corso, fu pubblicato il

Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni

pubbliche dal Dipartimento per la Funzione Pubblica della Presidenza del

Consiglio dei Ministri (1993) e successivamente nel Manuale di Stile.

Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche.

Proposta e materiali di studio, a cura di Alfredo Fioritto (1997). Questi

tendono appunto a una semplificazione del linguaggio in ambito

amministrativo, dando il via a una “filosofia” di scrittura.

Anche l’Unione Europea si pronuncia a proposito dell’uso di un linguaggio

non discriminatorio con la Direttiva 23 maggio 2007 Misure per attuare

parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni

pubbliche: “ [le amministrazioni pubbliche devono] utilizzare in tutti i

documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) un

linguaggio non discriminatorio come, ad esempio, usare il più possibile

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sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi (es.

persone anziché uomini, lavoratori e lavoratrici anziché lavoratori)”.

Sono seguite poi Raccomandazioni da parte del Senato italiano, ma ciò

non ha portato ad ufficiali prese di posizione da parte dello Stato, né a

linee guida. Questa mancanza di indicazioni precise ha reso difficile

l’applicazione di un linguaggio non discriminatorio raccomandato dalla

Direttiva 23.

Vi sono state delle pubblicazioni, attraverso discussioni, progetti con a

base le proposte e i suggerimenti di Alba Sabatini. Esempio sono Guida al

pari trattamento linguistico di donna e uomo nei testi ufficiali della

Confederazione, pubblicata dalla Divisione italiana della Cancelleria

Federale Svizzera, e dalla Guida alla redazione degli atti amministrativi

redatta da un Gruppo di lavoro promosso dall’Istituto di teoria e tecniche

dell’informazione giuridica (Ittig) del CNR e dall’Accademia della Crusca.

Ma tutto ciò rimane solamente accennato, senza grandi applicazioni

pratiche.

I progetti di revisione a proposito del sessismo della lingua italiana, si

fondavano su due punti principali: (a) la sostituzione dei nomi di

professioni e di ruoli ricoperti da donne declinati al maschile con i

corrispondenti femminili; (b) l’abolizione del maschile inclusivo e la sua

sostituzione con le due forme, maschile e femminile, anche variamente

abbreviate. Se la prima ha portato l’introduzione di nuove forme femminili

(es: sindaca), il secondo punto è stato più arduo da affrontare.

Principalmente perché l’introduzione della forma sia maschile che

femminile appesantisce i testi e rende difficile la concordanza con verbi,

aggettivi, …. Ma ciò si è rivelato perché i suggerimenti di Alma Sabatini

sono stati presi alla lettera, come delle regole, ma questo non era la sua

intenzione. L’intenzione era invece quella di trovare delle soluzioni caso

per caso, dipendenti quindi dal contesto. Ogni intervento deve essere

valutato secondo ciò che questo può comportare, deve infatti

salvaguardare l’efficacia comunicativa. Non deve quindi essere

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un’applicazione standardizzata, al contrario, il testo deve essere valutato

attentamente per capire come intervenire, attraverso quali metodi. Il

linguaggio riflette l'ordine sociale, è utilizzato per rappresentare una realtà

soggettiva, una realtà vista con occhi diversi: “plasma il nostro pensiero

diventando la lente attraverso la quale osserviamo il mondo e attribuiamo

significato a ciò che ci circonda. Il linguaggio, infatti, non è mai neutro.” E'

nella fase della socializzazione primaria in cui si vanno a formare le

competenze di sociali di base, viene appreso quindi il livello minimo di

competenza comunicativa, la capacità di entrare in contatto con gli altri. Il

bambino apprende le parole e ne interiorizza i significati. Spesso però

come dicono Ruspini e Perra il linguaggio rischia di essere considerato

come qualcosa di dato ed immutabile. Ciò diventa un problema quando,

attraverso il linguaggio, si costruiscono confini e differenze tra soggetti,

rafforzando però le disuguaglianze. Scenario che si concretizza quando si

parla di genere, orientamento sessuale e identità di genere. Nella lingua

italiana abbiamo due generi: quello maschile e quello femminile. Inoltre,

attraverso i segni linguistici si trasmette anche quell’ordine eteronormativo

ed eterosessista che continua a caratterizzare molti degli assetti sociali

contemporanei. Essi esprimono la convinzione che gli esseri umani si

dividano esattamente in due categorie ben distinte e complementari e che

l’unica sessualità possibile sia quella eterosessuale. “Non solo il sessismo,

ma anche l’eterosessismo […] sono inconsapevolmente incorporati nelle

routine convenzionali, e il presupposto di eterosessualità impregna la

conversazione quotidiana al punto che i partecipanti a un’interazione in un

contesto ordinario si presumono eterosessuali fino a prova contraria

(Sedgwick, 1993; Kitzinger, 2005).”

Il problema sta proprio nell’identità di genere, infatti coloro che non si

identificano nè nel genere femminile, nè nel genere maschile sono

comunque costretti ad essere categorizzati e autocatgorizzarsi in uno dei

due generi. Si pone quindi la questione del genere neutro mancante nella

lingua italiana. Le comunità LGBTQI hanno creato e riconosciuto degli

spazi neutri della lingua per lottare contro le disuguaglianze per genere e

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orientamento sessuale. Ad esempio nello stato di Washington hanno

introdotto il pronome ze e il pronome possessivo hir. Inoltre, sono stati

riformulati nomi di professioni che finivano con -man, anche per donne,

(es: fisherman → fisher). Anche in Svezia è stato introdotto il pronome

neutro hen, in alternativa al maschile han e al femminile hon. Via via si è

sempre più diffuso, entrando anche nella quotidianità del linguaggio

politico. E’ stato usato anche in una scuola svedese dove le maestre per

rivolgersi ai bambini utilizzano il genere neutro. Anche la Francia si sta

avvicinando a questa possibilità, ipotizzando l’introduzione del pronome

yel e iel.

L’Italia, invece, pare ancora molto lontana da questa possibilità. Esclusa la

comunità LGBTQI, nessun altro discute a proposito di questo argomento.

La comunità LGBTQI propone sul web l’introduzione di una “soluzione

grafica”: utilizzare l’asterisco in sostituzione dei suffissi che generalmente

indicano il genere.

“La dimensione morfologica (l’immagine è speculare) e iconica (raffigura

una stella da cui promanano raggi) del segno suggeriscono un’idea più

profonda: che tutte le diversità, in ultimo, giochino su un piano paritario e

facciano capo a un unico “centro,” quello della comune umanità. Pertanto

nessuna di esse è realmente “diversa” al punto da non poter dialogare e

incontrare le altre”

L’asterisco rappresenta quindi uno spazio aperto che ognuno può

rappresentare a proprio piacimento. In ogni caso, la scelta dell’asterisco

rappresenta più un messaggio che si vuole dare, una provocazione che si

spera possa portare a una soluzione che preveda l’introduzione di un

pronome neutro come nelle lingue che abbiamo citato sopra. Infatti,

l’utilizzo dell’asterisco ha in sè un problema: non è traslabile nel parlato,

dove il soggetto dovrebbe comunque scegliere tra il genere maschile e

femminile.

Per costruire quindi un linguaggio inclusivo da questo punto di vista è

importante basarsi su concetto di tolleranza e chiarezza. Per quanto

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riguarda la tolleranza, la costruzione può essere positiva solo se i

componenti della discussione si pongono in modo propositivo, senza

preconcetti e mettendo da parte le proprie ideologie; è fondamentale

mettere quindi in discussione le proprie convinzioni ed ascoltare le

opinioni altrui.

Altro elemento è la chiarezza, fondamentale per comprendere e far

comprendere la propria idea, opinione, punto di vista. Molte volte però la

scelta di alcune parole non è corretta, si ricorre per esempio a inglesismi,

che possono avere sfumature diverse e creare ambiguità, confusione. Il

linguaggio invece per essere inclusivo dev’essere chiaro, concreto,

accessibile a tutti. Solo attraverso questi due elementi si potrà pensare a

una discussione e trovare delle soluzioni a un linguaggio di tipo inclusivo.

In conclusione a questo paragrafo, possiamo quindi affermare che

soprattutto nella sfera del linguaggio amministrativo e politico è di

fondamentale importanza adottare un linguaggio inclusivo secondo quanto

scritto in atti ufficiali. Infatti, partendo da un linguaggio amministrativo e

politico inclusivo, inserendosi in modo naturale, incluso appunto nella

conoscenza del linguaggio di ogni persona.

Conclusione

Tramite le indicazioni e informazioni offerte dal corso “Diritti umani e

inclusione”, abbiamo avuto la possibilità di allargare le nostre conoscenze

a proposito del tema dell’inclusione. Ci ha molto colpito l’attenzione che si

dà al linguaggio e alla comunicazione, per questo abbiamo deciso di

approfondire questo argomento.

Il nostro lavoro di ricerca ci ha permesso di confrontarci su temi importanti,

attuali, a molti dei quali non avevamo mai pensato prima, che ora

possiamo constatare nella nostra vita quotidiana e condividere con amici,

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familiari, in modo da estendere e diffondere la nostra “conoscenza

inclusiva”.

Inoltre, è stato un lavoro utile anche per quanto riguarda il nostro corso di

laurea “Scienze politiche, relazioni internazionali, diritti umani”. Infatti, i

diritti umani si fondono su un principio di eguaglianza sociale, inclusiva,

regolano un convivere sociale che auspica ad essere il più corretto e

rispettoso possibile.

Nella nostra ricerca, siamo partite dal contesto storico, il quale ci mostra i

passi avanti (e anche quelli indietro) che la nostra società ha fatto nel

tempo. Partendo da una visione eugenetica, fondata sulla bellezza, la

perfezione, temi che sono stati riproposti in temi più recenti dai dittatori del

‘900, in cui ciò che non è considerato utile, puro dev’essere eliminato; si

passa poi per un periodo in cui le disabilità sono viste come oggetto di

attrazione, divertimento, spettacolo. Solo dal 1800 si comincia a

suddividere e ad osservare con maggiore attenzione i diversi tipi di

disabilità, distinguendoli dalla malattia psichica. Alla fine del ‘900, vediamo

invece che aumenta l’attenzione verso questi temi, diventano oggetto di

studio e si comincia a parlare di inclusione vera e propria.

Inoltre, abbiamo parlato della terminologia e come questa è cambiata nel

tempo, anche se non possiamo dire di essere arrivati ad un punto d’arrivo

poiché le persone usano ancora molto spesso un lessico irrispettoso,

discriminatorio, pesante, a volte senza rendersene conto. Per questo

motivo abbiamo riportato alcuni esempi di linguaggio inclusivo appropriato

e anche di quello preferibilmente da non utilizzare.

In una società come la nostra, ovviamente un ruolo importante lo hanno

tecnologie come i social network e abbiamo dimostrato come questi hanno

adottato delle tecniche inclusive ma anche quanto queste possano

migliorare, soprattutto se le persone fossero maggiormente informate e se

ognuno contribuisse con il proprio sapere e idee allo sviluppo tecnologico

inclusivo.

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Oltre le tecnologie dei social network abbiamo presentato altri tipi di

tecnologie partendo da una delle più antiche e ormai in disuso come la

macchina da scrivere, fino agli smartphone, ormai utilizzati da tutti per

abbattere le barriere linguistiche e comunicative. Abbiamo anche

tecnologie più specializzate come per esempio l’eye-tracking o lo screen

reader, tecnologie assistive.

Ci rendiamo quindi conto che il linguaggio non è solo quello verbale, anzi.

Lo dimostra anche l’esperimento di Albert Mehrabian Non-verbal

Communication, che il 55% del linguaggio è composto da movimenti del

corpo, il 38% dall’aspetto vocale (volume, tono, ritmo) e solo il 7%

dall’aspetto verbale (parole). Come abbiamo detto infatti, esistono diversi

tipi di linguaggio legati alle diverse sensorialità. Ciò sta a dimostrare che

per esempio quanto concerne l’educazione, la scelta del linguaggio, della

comunicazione da usare può non essere strettamente verbale, ma può

essere ricondotta ad altri metodi, ricercati ovviamente con riguardo alla

situazione in cui mi trovo. Il linguaggio inclusivo è quindi possibile, sta a

noi nella vita quotidiana utilizzarlo e riconoscerci in esso.

Per far in modo che la comunicazione e il linguaggio sia a portata di tutti i

governi e le organizzazioni internazionali dovrebbero rendere tramite delle

leggi o politiche questi strumenti più facilmente accessibili a tutti, partendo

dai costi e dalle difficoltà che strumenti di questo tipo possono recare ad

una famiglia.

Infatti, la politica in questo contesto abbiamo visto che ha un ruolo

importante: essa può far in modo che un linguaggio inclusivo entri nel

pensiero di visione comune. Non solo nel contesto della disabilità, ma

anche in quello di favorire un uso del linguaggio a persone con lingua

madre diversa, o a favorire per esempio nella realtà italiana, un linguaggio

inclusivo della lingua verso per esempio le donne o persone che non si

identificano né con il genere femminile, né con quello maschile.

Infine, possiamo quindi dire che per realizzare una realtà pienamente

inclusiva è importante proprio partire dal linguaggio, il quale

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inconsciamente, può far cambiare gli atteggiamenti, il modo di porsi di una

persona, può indurre a pensare a una manovra inclusiva, e soprattutto

porta a riflettere sull’importanza dell’inclusione. L’inclusione porta quindi

innovazione e sviluppo dell’identità.

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Bibliografia e sitografia:

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https://www.avvenire.it/papa/pagine/inclusione-e-nello-spalancare-

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• Matteo Matzuzzi, Chiese vuote e pochi preti. E’ la crisi del modello

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https://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/03/28/news/chiese-vuote-e-pochi-

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• Roberta Caldin, Educazione religiosa e disabilità, La risorsa

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http://fttr.discite.it/fttr/allegati/1733/Relazione_Caldin_-

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• Flavia Guidi, Cosa dovrebbe fare l'Italia per essere uno stato

davvero laico?, VICE Italia, 22 Gennaio 2016

https://www.vice.com/it/article/mvmywq/intervista-pino-italia-stato-

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• Simona D´Alessio, Educazione inclusiva un approccio educativo

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http://www.spazioasperger.it/index.php?q=ricerca-

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http://www.oecd.org/pisa/

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• Salvo Intravaia, La scuola italiana è la più inclusiva d'Europa: riduce

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<http://www.repubblica.it/scuola/2017/03/29/news/la_scuola_italian

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• Marina Santi, Didattica inclusiva e ICF, Università degli studi di

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http://lipscuola.it/blog/per-la-scuola-della-costituzione-legge-di-

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• Simona Regina, Lingua italiana e sessismo, se le parole rafforzano

ancora gli stereotipi, Il Fatto Quotidiano, 22 Dicembre 2012

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• Alma Sabatini, Il Sessismo nella lingua italiana, Commissione

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https://www.uniss.it/sites/default/files/documentazione/c._robustelli_

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• Emanuela Abbatecola, “Sessismo a parole,” in Genere e

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• Arnaldo Bagnasco, Marzio Barbagli, Alessandro Cavalli, Corso di

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• LGBTQI: Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer,

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https://it.wikipedia.org/wiki/LGBT

• Fabio Vento, “Palermo Pride: quell’asterisco che unisce nella

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• Ilaria Marotta e Salvatore Monaco, Un linguaggio più inclusivo?

Rischi e asterischi nella lingua italiana, gender/sexuality/italy,

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http://www.gendersexualityitaly.com/wp-

content/uploads/2016/12/4.-Marotta-and-Monaco.pdf

• Comunicazione non verbale

https://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione_non_verbale