L’Identità Sessuale

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L’identità sessuale: natura o cultura? Una volta la natura nostra non era qual è ora, molto differente. Allora c’erano tra gli uomini tre generi, non già due come ora, maschio e femmina. E' ce n'era anche un terzo, che aveva entrambe i caratteri degli altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso. Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina… Questi ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani e quattro gambe, e sopra il tondo collo due facce, ai due lati dell’unica testa... Or bene, saltò loro in capo di pigliarsela nientemeno che con gli dei e quello che Omero narra di Efialte e di Oto, riguarda anche gli uomini: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dei. Giove e gli altri dei si domandarono quello che si doveva fare… - Io credo- così disse Giove - che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio che il loro numero sarà più grande…- Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo… Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava di ricongiungersi all’altra…È così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura… Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne…ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non s’interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili. (da il Simposio di Platone) In questa citazione Aristofane, personaggio platonico del Simposio, racconta con un mito l’origine dell’eros come “desiderio innato d’amore gli uni per gli altri”. L’Eros è quella forza che lega insieme gli uomini, che spinge alla ricerca dell’unità e della completezza, dove omosessualità ed eterosessualità sono sullo stesso piano. Non esiste una normalità e una devianza. Anzi coloro che tra i maschi cercano l’amore di altri maschi sono i “migliori”. In un recente saggio di U. Galimberti I miti del nostro tempo (ed. Feltrinelli, 2009) leggiamo: Nell’antichità l’omosessualità non era un problema, perché l’attenzione non era rivolta all’atto sessuale, ma all’amore tra persone (charizesthai erastais) che poteva trascendere il sesso, perché capace di includere dimensioni culturali, spirituali ed estetiche. Questa era la ragione per cui

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In questo articolo si discute dell'identità sessuale a partire dalla domanda se questa identità è un fatto di natura o di cultura...

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L’identità sessuale: natura o cultura?

Una volta la natura nostra non era qual è ora, molto differente. Allora c’erano tra gli

uomini tre generi, non già due come ora, maschio e femmina. E' ce n'era anche un terzo, che aveva entrambe i caratteri degli altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso. Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina… Questi ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani e quattro gambe, e sopra il tondo collo due facce, ai due lati dell’unica testa...

Or bene, saltò loro in capo di pigliarsela nientemeno che con gli dei e quello che Omero narra di Efialte e di Oto, riguarda anche gli uomini: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dei.

Giove e gli altri dei si domandarono quello che si doveva fare… - Io credo- così disse Giove - che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio che il loro numero sarà più grande…-

Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo…

Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava di ricongiungersi all’altra…È così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura…

Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne…ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non s’interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili.

(da il Simposio di Platone) In questa citazione Aristofane, personaggio platonico del Simposio, racconta con un mito l’origine dell’eros come “desiderio innato d’amore gli uni per gli altri”. L’Eros è quella forza che lega insieme gli uomini, che spinge alla ricerca dell’unità e della completezza, dove omosessualità ed eterosessualità sono sullo stesso piano. Non esiste una normalità e una devianza. Anzi coloro che tra i maschi cercano l’amore di altri maschi sono i “migliori”. In un recente saggio di U. Galimberti I miti del nostro tempo (ed. Feltrinelli, 2009) leggiamo: Nell’antichità l’omosessualità non era un problema, perché l’attenzione non era rivolta all’atto sessuale, ma all’amore tra persone (charizesthai erastais) che poteva trascendere il sesso, perché capace di includere dimensioni culturali, spirituali ed estetiche. Questa era la ragione per cui

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il legislatore attico Solone considerava l’erotismo omosessuale troppo elevato per gli schiavi, ai quali, per questo andava proibito… Di estetica, cultura, spiritualità, coraggio e forza gronda l’erotismo di Achille con Patroclo, di Socrate con Alcibiade, e a Roma di Adriano con Antinoo, a cui dopo la morte dell’amato, l’imperatore dedica un oracolo a Mantinea, decreta giochi ad Atene, Eleusi e Argo che continuarono ad essere celebrati per più di duecento anni dopo la sua morte. Tutto ciò era possibile nel mondo antico perché ciò che si celebrava nell’erotismo omosessuale era l’amore che non escludeva il sesso, ma non si concentrava sul sesso e non elevava il sesso a sintomo. (U.Galimberti, p.34)

L’idea di normalità e devianza in relazione alle varie forme di erotismo è quindi relativamente recente, non è un dato astorico e universale che riguarda la natura dell’uomo, ma un il prodotto di una cultura in una certa fase della sua storia. Nel saggio già citato Galimberti rintraccia un radicale cambiamento nell’atteggiamento verso l’erotismo omosessuale nel clima d’intolleranza dell’Inquisizione. (…)E in questo clima d’intolleranza verso le deviazioni dalla norma della maggioranza cristiana, che si faceva sempre più rigida, furono coinvolti anche gli omosessuali e perseguitati come gli eretici e gli ebrei. Ma il colpo di grazia, nella forma della condanna definitiva dell’omosessualità, giunse nell’Ottocento con il nascere della medicina scientifica che, con il suo sguardo puntato esclusivamente sull’anatomia, la fisiologia e la patologia dei corpi, ha stabilito che, siccome gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione che è possibile solo tra maschio e femmina, ogni espressione sessuale al di fuori di questo registro è patologica. Fu così che l’omosessualità da “peccato” divenne “malattia” e alla psicoanalisi nata dalla cultura medica, dopo aver indicato nell’Edipo il “giusto” verso dello sviluppo psichico, non rimase che rubricare l’omosessualità tra le “per-versioni”. Riconobbe che l’ambivalenza sessuale, l’attività e la passività sono prerogative di ogni soggetto, ma dopo il riconoscimento non esitò, dopo aver coniato il nome, a collocare l’omosessualità nel mancato sviluppo psichico. Non più un “vizio” come per la religione, ma una “devianza”. (ibidem, pp.35-36)

Una prospettiva “scientifica” orientata ai corpi, quindi, riduce i legami affettivi alla sola dimensione sessuale, una sessualità che essendo finalizzata alla riproduzione della specie non può che essere eterosessuale. Tutto ciò che non rientra all’interno di questa categoria è devianza o peggio ancora patologia.

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Il superamento dell’equazione omosessualità=patologia è relativamente recente. Vediamone brevemente la storia facendo riferimento alle diverse edizioni del manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association . DSM I (1952) L'omosessualità è classificata tra "I disturbi sociopatici di personalità" presupponendo con questo una volontà da parte degli omosessuali di opporsi alla società e alle tradizioni morali. DSM II (1968) L'omosessualità è considerata una deviazione sessuale, come pedofilia, necrofilia, feticismo, voyeurismo, travestitismo e transessualismo. Qui è inserita come deviazione sessuale nella categoria "altri disturbi mentali non psicotici" assieme alla pedofilia ecc. DSM III (1974) Venne introdotta la distinzione tra omosessualità egodistonica ed egosintonica che fu inserita ufficialmente nella terza edizione del DSM pubblicata nel 1974. L'omosessualità veniva considerata una malattia nella sola versione "egodistonica" e includeva due criteri diagnostici: - l'individuo lamenta che il suo eccitamento eterosessuale è persistentemente assente e ciò interferisce con il suo desiderio di iniziare o mantenere relazioni eterosessuali - esiste una consistente configurazione di eccitamento omosessuale che l'individuo esplicitamente definisce come indesiderata e come persistente fonte di stress. DSM III-R (1987) Viene derubricata anche l'omosessualità egodistonica. L'egodistonia è data dall'interiorizzazione dell'ostilità sociale. Quindi tredici anni dopo l'APA ha eliminato anche l'omosessualità egodistonica dall'edizione riveduta del DSM III-R in quanto tale categoria diagnostica poteva far pensare all'omosessualità come a qualcosa di "patologico in sé", interpretando il disagio egodistonico come un processo evolutivo e non come sindrome a se stante. Nel DSM-IV pubblicato nel 1994 la posizione è rimasta inalterata. Nelle varie edizioni del DSM si può, quindi, osservare una progressiva depatologizzazione dell’omosessualità, comprese le forme egodistoniche.

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Il discorso ora può essere ricondotto nella prospettiva che indica Platone sempre nel Simposio: Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale(letteralmente “soddisfare gli amanti, charizesthai erastais”). E ciò è dovuto a difetto dei legislatori, al dispotismo dei governanti, a viltà da parte dei governati.

Non è più in causa la natura dell’uomo, ma lo spirito delle leggi che l’uomo che si dà. La norma è infatti innanzitutto stabilita dalla legge e lo spirito delle leggi può essere improntato all’accettazione della differenza o all’intolleranza. La legge, in quanto accordo tra uomini, non è altro che convenzione, patto sociale. Invocare la natura, una presunta physis, come base su cui fondare le norme etiche e giuridiche spesso rappresenta solo un tentativo di legittimare i rapporti di forza esistenti. Aristotele, ad esempio, pensava allo stato come prolungamento dell’istituzione naturale della famiglia, nucleo composto da padre, madre, figli, schiavi, considerati strumenti animati di lavoro, di cui riconosce la necessità economica e la legittimità morale, sulla base del principio che c’è una differenza naturale tra chi deve comandare e chi deve ubbidire, come avviene anche nel rapporto uomo-donna, dove la donna è naturalmente subordinata all’uomo nel suo ruolo di capofamiglia. In conclusione, si potrebbe dire con Platone che l’accettazione dell’omosessualità è un fatto che riguarda più la democrazia che non il sesso.