Liberi dì 05

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Il quinto numero del giornalino del Presidio Universitario di Libera Bologna. In questo numero analizziamo a fondo il tema migrazione.

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Novembre 2013

2A cosa serve l'art. 1 0Liberi dì n. 05, novembre 2013In copertina: foto di Livio Bourbon

la copertina- Per un po' di chiarezza. Le norme che

regolano l'immigrazione in Italia,Jacopo Curi e Lorenzo Pedretti_ 4-5

- Quanto vale la vita di un migrante,Pietro Adami_ 5

- Guerra siriana: quali orizzonti perl'Italia?

Antonio Cormaci_ 6

- Quattro anni sono passati,Jalal Dahar e Giulia Zoratti_ 7

Sommario

- Nel Bel Paese dell'assurdo,Ilaria Bianco_ 3

- Raccontare per cambiare,Giulia Zoratto_ 8

- Albero di Cirene,Giulia Silvestri_ 9

-Mai più miserabili,Faustino Rizzo_ 14 - Ti va un kebab?

Ilaria Bianco e Pietro Adami_ 10-11

- La nostra (quasinuova) commissioneantimafia,Francesca Della Santa_ 12

- L'antimafia rinasce a Strasburgo,Peppe Rizzo_ 13

- Il Paese è cambiato,lettera di don Ciotti al pm Di Matteo_ 15

- Laurea ad honorem per "Lady" birmana,Flavia Amoroso_ 16

- La storia di Antonio Landieri,Giulia Silvestri_ 17

- Il luogo è nello sguardo,Margherita Kay Budillon_ 18

- «Le cose con lo stesso odore devonostare insieme»,Tania Bergamelli_ 19

editoriale

italia

inchiesta

antimafia

università

memoria

cultura

recensione

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Liberi dì

Nel Bel Paese

dell' assurdo

editoriale

Nel paese dell’assurdo la storia vieneriscritta, i valori sono capovolti, ciò che tiinsegnano fin dall’asilo a considerare co-me giusto, qui è invece sbagliato. Nelpaese dell’assurdo ci sono persone stranein posti strani, persone su cui non potre-sti fare affidamento mai, ma che poi, co-me per incanto, ritrovi lì, a sedere su altepoltrone e a prendere decisioni fonda-mentali sul come e sul perché, sul dafarsi e quando.Nel paese dell’assurdo aiutare è da sfi-

gati, infierire su chi vive di stenti è da fi-ghi, ti darebbero un premio in gettonid’oro se soltanto non fosse per laspending review.

Nel paese dell’assurdo c’è una cartabella, così bella che ai brutti dà fastidio;come se un pittore dipingesse la tela piùbella mai vista, suscitando le gelosie e leire degli altri, artisti da strapazzo, di-lettanti mediocri. Nel paese dell’assurdo,però, si narra che questi brutti nacquerociechi: chiunque, infatti, anche l’uomopeggiore, si arrenderebbe di fronte a co-tanta beltade!(E come possono dei ciechi prendere

decisioni tanto fondamentali per lacollettività? Siamo nel paese dell’assurdobrutti tonti, tornate all’inizio di questapagina e datevi un colpo in testa con lamano, sbadati che non siete altro!).Di conseguenza, nel paese dell’assurdo

questi brutti ciechi ceffi, andando un po’a caso di qua e di là, infettano ogni dove.Eppure il popolo li giustifica, chiudendoun occhio o entrambi: in fondo sono cie-chi, poverini, quindi tanto vale lasciarlifare.Nel paese dell’assurdo il popolo è fatto

di persone uguali. Le persone che vi abi-tano hanno due occhi e una bocca, duegambe e due braccia. “Ma, aspettate unsecondo, vedete liggiù? Quelli che sistanno avvicinando? Sono come noi, peròvenuti da lontano!” ; “Non sono comenoi”; “Ma sì, non vedi? Magari parlerannoun’altra lingua, ma sono come noi!”; “Noti sbagli, puzzano e son stranieri, nonprovare ad aiutarli”; “Va bene”.

Nel paese dell’assurdo si vedono di-versità dove non ce ne sarebbero, contra-ri in posti sbagliati, tutti però accettanosenza stupore. Nel paese dell’assurdo ma-gari qualcuno percepisce che qualcosanon va, che quell’assurdità non è poitanto normale, che bisogna capovolgerequalcosa, rovesciarlo come un maglionedouble face, di cui però un lato ormai èstato scolorito con troppa candeggina.Ma l’omertà regna incontrastata… chi sifa i fatti suoi vive cent’anni, recitava ildetto.Nel paese dell’assurdo manca lo stupo-

re, il coraggio di opporsi ad eventi ne-gativamente eccezionali ormai cadutinell’ovvietà e nella scontatezza. Nel paesedell’assurdo se i padroni sono ciechi, icittadini anche di più: chiudendo ognigiorno gli occhi (e non solo per beccarsila pensione di invalidità!), fingendo unacecità inesistente. E ancora, rendendosicomplici silenziosi del piano – quello stu-diato da quei signori sulle alte poltrone –di alienazione da qualcosa (dal territorio,dall’ambiente, dalla città, da Bologna,dall’università) che in realtà fa parte dinoi, è nostro… è NOI.Eppure nel paese dell’assurdo ci sono

anche giovani, ragazzi con gli occhiaperti sgranati, con la voglia di impararea RI-applicare il criterio vero d’interpre-tazione delle cose; con la volontà di RI-capovolgere il mondo perché quello incui sono nati non era lo status iniziale delmondo, ma solo, ahimè, quello mo-mentaneo, sebbene da troppo perma-nente. Nel paese dell’assurdo vedo anchedelle macchinette fotografiche, flash,passi e sorrisi per i vicoli di Bologna. Epoi per l’Italia, per scoprirsi e scoprire,scattare e poi mostrare: in fondo, bastacambiare prospettiva. In fondo, bastaaccorgersi del “mondo” in quanto tale, ri-gettando la negatività dell’assurdo.Oppure, imparare a camminare a testa ingiù: vedremmo il mondo a rovescio… esarebbe finalmente il verso giusto.

di Ilaria Bianco

Italo Calvino

Articolo 10: «L’ordinamento giuridico italiano

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Il 3 ottobre 2013, a circa mezzo migliodal porto dell’isola di Lampedusa,un’imbarcazione libica è affondata pro-vocando 366 morti accertate, a cui vannoaggiunti 20 presunti dispersi. I superstitisoccorsi sono stati 155.In seguito a questo grave e doloroso

fatto, le reazioni degli esponenti politicie istituzionali non si sono fatte attendere.Reazioni dettate più da superficiale emo-tività che da reale volontà di limitare, eprevenire, tragedie simili. Immediata-mente è stata riportata all’attenzionedell’opinione pubblica la cosiddettalegge Bossi-Fini, dividendo l’agone deldibattito fra strenui difensori di talenorma e chi invece ne vorrebbe l’aboli-zione immediata. Inoltre, è tornata forte

la discussione sul ruolo dell’Europa inquesto ambito, in modo particolare sullerisorse messe a disposizione.La confusione che si è venuta a creare

non ha consentito una valutazione chia-ra del problema, né, tanto meno, dellaresponsabilità, pratica o teorica, del tre-mendo fatto.Proviamo, per questo, a fare un po’ di

chiarezza sulle norme che regolanol’immigrazione in Italia.

La legge Bossi-Fini formalmente è unamodifica al “Testo unico delle disposizio-ni concernenti la disciplina dell’immi-grazione e norme sulle condizioni dellostraniero” (dl 286/1998), il quale, a suavolta riprende l’impianto della prece-dente legge Turco-Napolitano (40/1998).Fondamentalmente la Bossi-Fini va ainasprire una già poco equilibrata legge,carente sul fronte della regolamentazio-ne dell’accoglienza e dell’integrazione.Infatti, se la Turco-Napolitano era re-strittiva e poco razionale dal punto di vi-sta giuridico, la Bossi-Fini rende piùdifficoltoso l’ingresso e il soggiorno re-golare dello straniero, agevolandonel’allontanamento e restringendo la disci-plina dell’asilo. Come la normativa pre-

cedente, la Bossi-Fini utilizza il sistemadi ingresso a quote fissandoannualmente il numero di stranieri chepossono fare ingresso in Italia per motividi lavoro. Inoltre, rincara la dose preve-dendo restrizioni di ingresso per gliimmigrati provenienti da Paesi conside-rati poco collaborativi con il governo ita-liano sulla regolazione dei flussimigratori e attribuendo quote prefe-renziali per gli Stati che hanno stretto

accordi bilaterali in questo senso con ilnostro Paese. Per quanto riguardal’ingresso regolare, con il rilascio delpermesso di soggiorno, questo è subordi-nato all’ottenimento di un contratto disoggiorno nel quale un datore di lavorosi impegna a garantire alloggio e il pa-gamento delle spese di viaggio per ilrientro dello straniero nel paese di pro-venienza. Se si considera bene questopassaggio si potrà notare quanto la cosapossa essere paradossale, in quanto ildatore di lavoro e il potenziale migrante-lavoratore non potrebbero conoscersi. Acomplicare il tutto vi è il comunementedetto reato di clandestinità, che non pre-vede la detenzione bensì l’ammenda tra-mite il pagamento di una multa che può

oscillare tra i 5.000 e i 10.000 euro (intro-dotto con il pacchetto sicurezza dell’allo-ra Ministro degli Interni Maroni nel2009). Tale reato non consente altro allostraniero se non l’agire nell’illegalità perpoter ottenere un lavoro e di conse-guenza il permesso di soggiorno. Permettere ancora più carne al fuoco la pro-cedura di rimpatrio coatto viene posta inprimo piano rispetto all’intimazioneamministrativa da parte di un Prefetto.

[continua a p. 5]

si conforma alle norme del diritto

Per un po' di chiarezzaLe norme che regolano l'immigrazione in Italia

di Jacopo Curie Lorenzo Pedretti

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Quanto vale la vita di un migrante

Le immagini scorrono lente ed inquie-tanti sui notiziari, sui giornali, sui socialnetwork. Decine, centinaia di corpi, stesigli uni di fianco agli altri, buste di plasti-ca senz’anima, carni senza nome, desti-nate a soddisfare il macello mediatico.Migranti, uomini, partiti col sogno dinuove terre, lontane dai conflitti, dallafame, dalla miseria, giunti fatalmentesul suolo italico, conosceranno sola-mente la terra sopra le loro anonime epremature bare. Bambini madri giovani,meritevoli di essere ricordati solo semorti, e meglio se morti tutti insieme, inun grande naufragio. Commozione indi-gnazione rabbia, le nostre ghiandole la-crimali secernono ostentatadisperazione, almeno per un giorno inte-ro. Poi però l’indifferenza prende il so-pravvento, bastano poche ore e si ritornaalla vita di tutti i giorni, dimenticando infretta e furia le salme, rimuovendo ivolti, esorcizzando le grida. Come dopola proiezione di un film commovente,torniamo alle nostre case con un sottileprurito nel petto, destinato a scemare inpochissimo tempo, per essere archiviatocome un passeggero fastidio. Spettatoripassivi siamo, e distinguiamo a malape-na Lampedusa dall’iceberg del film Tita-nic, realtà e finzione si mescolano, in un

calderone di emozioni senza gerarchia,fredde e lontane. Quanto vale la vita diun migrante, quanti ne servono per unfunerale di stato, quanti per piangere,quanti per un po’ di prurito? Ma noigrattiamo, e l’oblio a poco a poco ci ane-stetizza. Aderiamo a qualche manifesta-zione di solidarietà, firmiamo qualchepallida petizione, ci mostriamo impe-gnati, interessati, informati. Mentre ilfondale del Mare Nostrum è da anni ci-mitero impassibile di migliaia di mi-granti, la superficie dell’acqua nascondeil dolore e la sofferenza e ci permette dispecchiare le nostre coscienze e vederleancora pulite, immacolate. Solo ognitanto qualche onda anomala di relittiumani colpisce le nostre coste, e alloradistogliamo gli occhi dall’aumentodell’Iva, dalla rimozione dell’Imu, dallospread, e piangiamo, perché così ciimpone il momento. I politici portano iloro omaggi alle loro vittime, tempo dueore e si torna a Roma, per un’altragiornata di chiassi parlamentari. Quantovali, migrante, e per quanto varrai? Ti èconcesso il tempo di un cortometraggio,e poi grattiamo nuovamente via il pruri-to.Il film Titanic si è meritato 11 Oscar,

Lampedusa nemmeno il Nobel per la pa-ce. Assimilare, archiviare e cestinare,questo è il nostro mantra. Quanto vali,migrante? Applaudiamo con foga ilampedusani, li stimiamo per la loro so-

lidarietà, il loro impegno, la loro forza.Ma non metteremo mai piede inquell’isola, Dio ce ne scampi, ci sono altriche se ne occupano, il tepore delle nostrecase ci trattiene. E poi mostriamo il no-stro disprezzo per i Cie, i lager dei nostritempi, ma non sappiamo che in ogni no-stra amata città ce ne è uno e non dal 3ottobre, non dal naufragio, ma da anni, arinchiudere le nostre vergogne, le nostrepaure. Quanti sbarchi ancora civorranno, quante immagini ancora, co-me la madre morta, legata al defunto fi-glio dal cordone ombelicale? Quando ilprurito si trasformerà in mobilitazione eandremo di persona a sporcarci le mani,perché non vi sia più un solo migrante asprofondare? Quando capiremo che lebarriere, le frontiere sono soluzioni sba-gliate, ingiuste, barbare? Noi italiani, po-polo di migranti nella storia e migrantituttora, verso la ricchezza tedesca, gliStati Uniti, l’Inghilterra, non abbiamoalcun diritto di negare la libera circola-zione delle persone. E non abbiamo piùattenuanti, da troppo tempo testimoni diquesto impietoso massacro, ci siamomacchiati di troppe colpe. Ma, per ora,sentiamo solo un lieve prurito.Quanto vali migrante io non lo so e

non lo voglio quantificare, ma so percerto che noi in questo momento non va-liamo niente.

di Pietro Adami

Si trattava di un meccanismo dellaTurco-Napolitano che lasciava ilriaccompagnamento dello straniero allafrontiera da parte della forza pubblicacome ultima possibilità; solo in caso diimpossibilità di accertamento dell’identi-tà dell’immigrato irregolare, si stabilivail suo trattenimento presso un Centro dipermanenza temporanea e assistenza. Siè andato a creare, di conseguenza, unabuso dei Centri di Identificazione edEspulsione (ex CPT), che sono diventatidi fatto centri di detenzione nei quali glistranieri sono costretti a rimanere perlunghi periodi, anche oltre i termini pre-visti dalla legge (che imporrebbero unapermanenza per un massimo di 18 mesi),in evidenti condizioni di sovraffolla-mento e di carenza igienico-sanitaria.La nostra normativa si va a inserire nel

più ampio contesto Comunitario ed èutile capire che ruolo gioca l’Unione Eu-ropea al riguardo. Intanto, l’ordinamentoin quest’ambito dell’UE ha una compe-tenza concorrente con quella degli Statimembri e deriva dall’importazione dellaConvenzione di Dublino firmata nel1990, recepita poi come RegolamentoDublino II, che determina lo Statomembro dell’Unione competente ad esa-minare una domanda di asilo o di rico-noscimento dello status di rifugiato inbase alla Convenzione di Ginevra. Lostato membro competente all’esamedella richiesta d’asilo è, per legge, quelloin cui lo straniero ha messo piede la pri-ma volta. Questo impianto è volto a evi-tare che il richiedente asilo presentidomande in più stati membri e che passida uno stato all'altro in caso in cui venga

espulso. Il meccanismo mostra dei limitiperché le domande per la richiesta di asi-lo sono inevitabilmente concentrate neiPaesi periferici dell’Unione, i quali si tro-vano a gestire caotiche situazioni senzaun supporto adeguato né dall'UE né da-gli Stati membri. Inoltre, checché se nedica, la legislazione e la regolamentazio-ne dell'Unione Europea sull’immigrazio-ne è assai restrittiva. Per questa ragione,verrebbe da domandarsi se effettiva-mente il problema sia solo dell’Italiaoppure dell’intero sistema normativoComunitario. Sarebbe ora di rivedereprofondamente le direttive e le forme diapplicazione legale per la regolazionedel flussi a livello Europeo, oltre che na-zionale, se davvero si avesse la volontà dievitare altre tragedie annunciate comequella del 3 Ottobre.

internazionale generalmente riconosciute.

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Guerrasiriana: quali

orizzontiper

l'Italia?

Le ripercussioni in Italia di un conflitto mondialecontro la Siria, tra mercato mediterraneo e problemaimmigrazione

di Antonio Cormaci

La guerra civile siriana ha varcato perla prima volta, in questi ultimi mesi, ilconfine del conflitto civile per attestarsisu coordinate più “mondiali”, destandopaure nei cittadini europei, americani enon solo. Le minacce d’intervento ameri-cane, scaturite dopo la verifica dell’uso,da parte di Assad, di agenti chimicicontro la popolazione, sono state l’ele-mento che ha scatenato stampa ed opi-nione pubblica, gettando il pianetanuovamente nel vortice della paura diun conflitto mondiale. Curioso è pensarecome proprio gli Stati Uniti, autori dellepeggiori nefandezze con il fosforo biancoin Kosovo nel 1998 e primi protettori diIsraele, siano stati i primi ad ergersi, conerculeo vigore, a difensori di un’umanitàda loro stessi calpestata fin dai massacridei nativi americani. Insomma, trainterventi “politicizzati” a stelle e strisce,tra la l’intervento difensivo del colossorusso, che con lungimiranza politica te-me, in seguito ad un attacco alla Siria,una rivoluzione negativa dello scacchie-re mediorientale, il fetore di guerra èacre e a poca distanza, anche adesso.In Europa, nel mondo, in Italia. Tutti ci

chiediamo, nel burrascoso tempo che ilnostro Paese sta vivendo, quale ruolopotenzialmente avrebbe l’Italia in un

conflitto aperto contro la Siria. Partiamoda un’importante premessa: che l’Ameri-ca intervenga o meno, per l’Italia, alla lu-ce delle ultime tristi vicende, il conflittosiriano è già un totale disastro, da unpunto di vista economico e, soprattutto,sociale e umanitario.Da un punto di vista economico, pro-

blemi sorgono in riferimentoall’embargo dell’Unione europea:dall’inizio della guerra civile, infatti, iltransito quotidiano dei barili di petroliosiriano è più che dimezzato, mentre lecommesse delle società di idrocarburiitaliane segnano ribassi tali che per essesi rende necessario riformulare le strate-gie energetiche nel Mediterraneo. Inoltresi riscontra una sensibile diminuzionedegli scambi commerciali generali conl’Africa e il Medio Oriente, dovuta so-prattutto all’esplosione della guerra inLibia, alla crisi algerina, a quella egizia-na e, appunto, a quella siriana. Ciò si tra-duce in una perdita, per l'Italia, di unvolume di commerci e interscambi chesi aggira intorno ai 2 miliardi di euro, traimport ed export, con il rischio di perde-re lo status di partner economico privile-giato di molte potenze petrolifere. E ciòincide anche sull’interscambio di nume-rosi altri prodotti, tra cui quelli ali-mentari e della

moda, ovvero il “core business” del madein Italy. Con l’avvicinarsi di un conflittodagli esiti incerti, dunque, le cosepeggioreranno a nostro danno: gliscambi con il Libano, ad esempio, di cuil’Italia è terzo partner ufficiale, se laguerra dovesse esplodere, con ogni pro-babilità subiranno lo stesso rallenta-mento che già abbiamo visto in Libia,Egitto e Siria. In caso di espansione delconflitto, sarebbero a rischio anche lecommesse con altri importanti partnerquali, ad esempio, Turchia e Israele. Insostanza, la perdita di un mercato regio-nale come il bacino del Mediterraneopotrebbe essere un colpo ferale per l’Ita-lia: per il nostro Paese infatti è vitale, enon solo in tempi di crisi, mantenereottimi rapporti politico-commerciali conle nazioni che affacciano sul mare no-strum.Da un punto di vista sociale, invece, il

problema intuibile è quello degli sbarchidi siriani disperati nel nostro Paese. Se-condo i dati forniti dal Viminale, i profu-ghi che dalla Siria hanno raggiunto ilnostro Paese in otto mesi del 2013 sonostati 2.872. I dati attuale non delineanouna vera e propria emergenza (i profu-ghi siriani nel mondo sono oltre un mi-lione), è però evidente, alla luce delturpe buco legislativo in tema d’immi-grazione e tutela de diritti umani, chequesta potrebbe diventare una situazioneingestibile e che, come abbiamo avutotristemente modo di osservare, cagionapiù sofferenza che altro. Per evitare ulte-riori bagni di sangue, per evitare quellache volente o nolente diventa sempre piùuna crisi sociale, è auspicabile una ri-forma legislativa e una sempre più inci-siva disciplina per tutelare la vitaumana. Ma, comunque vada, è già undisastro.

La condizione giuridica dello straniero

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Liberi dì

la copertinaQuattro anni sono passati da quando

sono arrivato qui in Italia,lontano dalla mia città,

la mia famiglia teme per la mia incolu-mità, mi dice “aspetta che si calmi la si-tuazione”. Sono passati già tre anni.Dopo un anno e quattro mesi in Italia,tornai in Siria per la prima ed ultimavolta, a visitare la mia famiglia; al ri-torno, appena partito l’aereo, ancora so-pra Damasco, guardavo la città e Kasiun,la montagna, guardavo e piangevotantissimo come se, salutandomi, la cittàmi dicesse “non mi vedrai più come miconosci, bella, luminosa, piena di amoreper la gente, le religioni, il paese che hasempre dato casa a tutti”.Ho 23 anni, sono venuto in Italia per

lavorare, ora studio e mi mantengo lavo-rando; ma vivo con l’ansia e la paura perla famiglia e i miei amici: alcuni sonoobbligati a fare i militari e rischiano dimorire ad ogni ora. Mi sento in colpa, iosono qui al sicuro, ma loro si svegliano,pranzano, cenano, dormono al ritmo discontri e bombe che cadono a meno diun chilometro da casa mia. Quando gliStati Uniti avevano dichiarato di volerbombardare le zone dove il governo tie-ne le armi chimiche come pretesto percontinuare la guerra, i miei sonoscappati verso il mare dove abita miononno. Non è stata la prima volta che so-no fuggiti: ogni volta che una bombaesplode troppo vicino a casa esplodeanche la loro paura, l’ansia con cui vivo-no sempre, e decidono di andarsene purcorrendo un grosso rischio: i ribelli spa-rano agli autobus incuranti del fatto chea bordo vi siano dei civili. Dai lororacconti ho scoperto che è impossibileche il regime abbia usato le armi chimi-che: non si sono accorti di nulla e teori-camente tutto ciò sarebbe avvenuto a 3chilometri da casa; del resto in quel mo-mento erano presenti a Damasco icontrollori dell’ONU e il regime non ècosì stupido da usare le armi chimicheproprio allora; era una storia inventatadagli Americani per attaccare.Ho provato ad aiutare la mia famiglia

a fuggire, soprattutto mio fratello di 19anni, ma l’ambasciata non ha dato il vi-sto, da quando è iniziata la guerra nonhanno dato nessun visto.

La guerra in Siria inizialmente era unarivoluzione vera contro il governo percercare la libertà; i mezzi di comunica-zione di massa esageravano il numero dimorti e le notizie riguardo alle manife-stazioni e agli scontri, senza mostrareche molti erano ancora a favore del go-verno in modo da far intervenire l’ONUe altre potenze straniere. Questi Statinon hanno a cuore la libertà del popolo,ma sono mossi dal loro interesse perso-nale: l’America finanzia i ribelli attra-verso l’Arabia Saudita, la Turchia, ilQuatar, gli Emirati Arabi, la Francia, laGermania, la Gran Bretagna per pro-teggere Israele, per impossessarsi dellerisorse petrolifere siriane, per prenderepossesso di una zona strategica perimpiantarci delle basi militari, perché haun accesso al mare ed è vicina alla Rus-sia, all’Iran e all’Iraq. Inoltre voglionofar cadere il governo e instaurarne uno aloro favorevole; da qui deriva l’appoggiodi Arabia Saudita e Quatar agli Stati Uni-ti, per trarre anche loro vantaggio daquesta situazione e mettere il potere inmano ad Al-Quaeda, da loro finanziata.La Russia, la Cina e l’Iran invece so-

stengono Assad per difendere la basemilitare russa e la sua influenza sulla Si-ria e per impedire agli USA di porresotto la loro sfera di influenza il MedioOriente. A causa dell’intervento di que-ste potenze straniere la situazione ècambiata e gli scontri avvengono tra trefazioni: Al-Quaeda, l’Esercito Libero si-riano e l’esercito siriano dello Stato. Unaparte dei ribelli è siriana, ma una parteancor maggiore è composta da j ihadistiprovenienti da tutto il mondo arabo; si èarrivati ad un punto tale che persino ledonne vanno in Siria per accompagnarequesti ribelli, una cosa mai vista prima.(La proposta che ha sventato la terza

guerra mondiale e salvato la reputazionedi Obama, che non poteva ritrattare lasua posizione di mettere le armi chimi-che sotto controllo e di distruggerle, èstata di un mio parente che fa partedell’opposizione. Ha mandato la sua idea

al governo siriano che l’ha fatta arrivarealla Russia che se ne è presa il merito.)

Molti qui in Italia mi chiedono: “Cosapensi della situazione, quello che vedia-mo in tv è vero? Assad non vuole andarevia, questa è la causa della guerra!”.Io rispondo che non è vero, che il veroproblema non è Assad, non è vero che seandasse via la situazione si risolverebbe.Se Assad abbandonasse la sua posizio-

ne e l’Esercito Libero non riuscisse aprendere il potere, che andrebbe quindiin mano ad Al-Quaeda, non ci sarebbepiù alcuna libertà e non ci sarebbero piùcristiani o altre minoranze religiose. Nonci sarebbe via di scampo per la mia fami-glia, cristiana.L’unica soluzione possibile al conflitto

è che gli Stati che sostengono i ribelli eAl-Quaeda smettano di intromettersinella questione e lascino che i Sirianidialoghino tra loro e facciano delle ele-zioni vere, senza giochi di potere dietro.Bashat al Jafari, ambasciatore sirianoall’ONU, durante un’assemblea ha messoin luce come questa guerra non siacombattuta per la libertà della Siria, maper interessi personali; si è rivolto così airappresentanti dell’Arabia Saudita e delQuatar: “Ma com’è possibile che nel vo-stro Paese le donne non possano andareallo stadio per vedere una partita dicalcio e voi venite qui a chiedere la li-bertà per il mio popolo?”.

Damasco;

Jalal DaharGiulia Zoratti

è regolata dalla legge

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italia“Io sono cresciuto in un Paese in cui lo

straniero non esisteva, perché quando ioavevo 10 anni non c’erano immigrati epoi piano piano è diventato un Paese diimmigrazione. E mentre io crescevocercavo di capire come fosse il mondo eincontravo queste storie; è nata in me lacuriosità di conoscerle, di viaggiare percercare i luoghi da cui provenivano e diraccontarle. Sono arrivato alla regiacercando di conoscere queste storie, nonviceversa”. Persone vere, vite vissute sonole fondamenta su cui Andrea Segre co-struisce il suo lavoro; fa quello che la te-levisione non fa: un viaggio diconoscenza, incontra le persone, le va acercare, le ascolta e solo allora nasce ilfilm. Un film che racconta questa realtàche l’Italia non sa o non vuole gestire: èforse una soluzione l’operazione MareNostrum? “Quantomeno si prende la re-sponsabilità di salvare quelle persone,ma di salvarle dopo che hanno già pa-gato il viaggio alle organizzazioni crimi-nali; finché si affronta il problemasoltanto a livello di polizia di frontiera esoltanto nella fascia in cui questo tema

viene messo in evi-denza non ne verre-mo mai fuori. Nonvedo in questo mo-mento un soggetto politico capace direimpostare il discorso in un’altra dire-zione”.Il funerale per le bare vuote è in realtà

la solenne celebrazione dell’impossibilitàdi affrontare concretamente il problema,è la riprova che tutto viene ridotto alprestigio mediatico, ad una merce eletto-rale molto utile; ci si interessa del gu-scio, della superficie e non delcontenuto: corpi, persone e vite chevengono gestite solo dalle forze di poli-zia. Forze di polizia che, è vero, adottanouna politica di accoglienza, non diespulsione, non di violenza, ma lo fannoall’ultimo momento, in modo assoluta-mente dispendioso e senza nessun tipo dicompetenza sociale; la loro speranza re-sta quella di tornare ad espellerli dalPaese e resterà tale fino a che non si ini-zieranno ad investire soldi e risorsenell’immigrazione regolare.

“Per combattere l’immigrazione irre-golare bisogna permettere di sceglierel’immigrazione regolare. Se tu vivi in unPaese che ti dice “tu non puoi andare nélì, né lì, né lì”, che ti impone pratiche as-surde, tu cerchi di muoverti in un altromodo; se ti dicono che si può migrare inun altro Paese in modo regolare, chi puòseguirà questa via; ovviamente ci sa-ranno ancora persone che tenteranno lavia irregolare, ma saranno in pochi. Mase nessuno può andare da nessuna partetutti tentano di andarci anche se nonpossono; è molto semplice”. Quant’è ve-ro che a troppi le cose semplici si dimo-strano difficili da capire.Persone e fatti reali non sono ripresi

solo nei documentari – ed è un peccatonon poter sentire la controparte, il puntodi vista delle forze dell’ordine, di tutti co-loro il cui ricordo a tanti affiora insiemea lacrime amare davanti alla telecamera–, ma stanno anche dietro ai protagonistidei film, paradigmi di situazioni sempresimili nel tempo e nello spazio: Shun Liè nata dall’incontro con una ragazza ci-nese in un’osteria veneta, un ambiente in

cui appariva assolutamente incongrua.Ma la storia raccontata non è solo la

sua, è un mosaico delle vicende di tantistranieri con cui il regista è venuto acontatto: il meccanismo del debitofunziona in tutti gli ingranaggi dellagrande macchina dell’emigrazione, inqualunque Stato. Chi vuol partire e nonha soldi li chiede in prestito e dovrà ripa-gare con il lavoro seguendo le leggidettate da chi presta il denaro; unmeccanismo inventato nel ’900 dai mi-granti italiani in America e valido ancoroggi.Diverso è il tema dell’ultimo film – “La

prima neve” – uscito nelle sale a fineottobre e nato anche questodall’intreccio di storie vere, perché nellavita è bello cambiare: “volevo raccontareun rapporto padre-figlio invece che foca-

lizzare sempre l’attenzione sul rapportocon gli altri, con lo straniero, anche sepoi questo rapporto si rivela determi-nante; in questo caso ho voluto faredell’immigrazione il contesto in cuiparlare della paternità”.Che racconti di vicende individuali o di

drammi che interessano milioni dipersone, non solo l’immigrazione maanche il consumismo, troppo spesso i te-mi affrontati da Segre sono percepiti co-me lontani, astratti; i più sono sorpresiquando vi sbattono contro, restano unmomento sbigottiti, dopodiché si disinte-ressano, lasciano stare perché è moltopiù semplice vivere così, senza impe-gnarsi, senza prestarci attenzione, da-vanti alla propria serie tv, con le patatinea portata di mano, lo smalto ad asciugaresulle unghie e l’amica che chiede “fraquanto ci troviamo per fare shopping?”.Questa è la percezione che ho sempreavuto io, quantomeno, disturbata so-prattutto dal disinteresse dei giovani, mami sono dovuta ricredere: la mia perce-zione pessimista si è schiantata controuna visione piena di speranza:

“Quando giravo i miei primi docu-mentari dicevo “Mah, chi li guarderà?”Oggi i miei film e i miei documentarivengono visti da decine di migliaia dipersone, quindi qualcosa abbiamo otte-nuto. È chiaro che ci sono delletendenze maggioritarie in una società

che è difficilecambiare, però c’èspazio per unampliamento delpunto di vista critico,cresce sempre di più.Ti assicuro che

quando io avevo vent’anni parlare di eco-nomia equa, energie sostenibili e rinno-vabili, rivoluzionare i consumi, dirittidegli stranieri, progetti di accoglienza…non esisteva. Ora questi argomenti ci so-no, continuano a scontrarsi con genteche preferisce rimanere nel meccanismosemplice della xenofobia o nel meccani-smo semplice del consumo, però questitemi sono diventati più sentiti, hannoprodotto dei risultati che nel loro insie-me sono importanti: negli ultimi 15 annil’Italia ha integrato 5 milioni di personee questo anche grazie a quelle mino-ranze attive che non hanno accettato chela maggioranza applicasse le sue regolea tutto. Quindi, per fortuna, 15 anni fa hoiniziato a lavorare in questo senso”.

Raccontarepercambiare

da un'intervista di Giulia Zoratti ad Andrea Segre

in conformità delle norme

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Liberi dì

italiaAlbero di Cirene

L'esperienza delprogetto

Non sei sola

L'Albero di Cirene è un’associazione

che nasce a Bologna nel 2002 con lo

scopo di promuovere e valorizzare la

dignità della persona umana. Porta

avanti sette diversi progetti che si occu-

pano delle persone emarginate dalla so-

cietà: i carcerati, gli stranieri, i poveri e

le persone in difficoltà economiche, le

prostitute.

Oggi ho incontrato una volontaria,

Annamaria Bortolotti, che fa parte di

uno di questi sette progetti: Non sei so-

la.

Di che cosa si occupa il progettoNon Sei Sola?Si occupa della conoscenza delle ra-

gazze che si prostituiscono che, come

diceva don Oreste Benzi, più che prosti-

tute sono prostituite. In particolare

facciamo delle uscite, durante i giorni

della settimana, in cui incontriamo le

ragazze: si chiacchiera con loro,

d’ inverno si offre una bevanda calda,

offriamo loro anche qualcosa da

mangiare. Se le ragazze vogliono, si

fanno anche dei momenti di preghiera

insieme. L’obiettivo di questi incontri è

conoscere un po’ la loro vita e far loro

vedere una presenza che sia diversa da

quelle che di solito vedono.

Dato che hai parlato di don OresteBenzi, che tramite l'associazione Gio-vanni XXIII si è sempre impegnato atirare fuori dalla strada le ragazze, tichiedo: questo progetto è collegato alui e alla sua associazione oppure ènato separatamente?Non è collegato direttamente, ma don

Mario Zacchini, che è il parroco di

Sant’Antonio di Savena, ha conosciuto

don Oreste, ha fatto un po’ di attività

con lui sempre con le ragazze che si

prostituiscono. Don Benzi è stato una

figura importante per don Mario, che

quando è ritornato dall'Africa ha

pensato di proporre una cosa del genere

in parrocchia.

Incontrate solo ragazze che sonostate costrette a prostituirsi o ancheragazze che si prostituiscono perscelta?La maggior parte delle ragazze sono

obbligate; molte di loro vengono dalla

Nigeria ma anche dall'Est Europa e

vengono perché è stata promessa loro la

possibilità di lavorare, le famiglie paga-

no il biglietto e il viaggio e quando sono

Italia la maggior parte di loro scopre

che andranno a fare un lavoro che non

pensavano di dover fare. In particolare,

le ragazze nigeriane devono pagare un

debito che è di svariate migliaia di euro,

e finché non lo pagano attraverso la

prostituzione non possono considerarsi

libere e quindi iniziare un altro tipo di

vita. Chi riesce a pagare il debito il più

delle volte si trova senza permesso di

soggiorno, quindi non riesce a trovare

un lavoro e, non volendo tornare in

patria o non avendo i soldi per farlo,

continua a prostituirsi comunque. Una

piccola parte delle ragazze che si

incontrano è in strada per scelta, se così

si può dire: abbiamo incontrato anche

ragazze italiane non costrette da qualcu-

no, ma che per problemi economici si

trovano a fare questo tipo di lavoro.

Ragazze che decidono di farlo perscelta, senza avere particolari proble-mi economici, ci sono?No, non ci sono. Se qualcuna decide

di fare questo lavoro liberamente, pro-

babilmente lo fa in appartamento.

Quello che fate voi come Albero diCirene serve a far uscire dal girodella prostituzione le ragazze? Ci so-no stati dei casi in cui questo è succes-so?Sì, ci sono stati dei casi. Alle ragazze,

dopo un po’ che si conoscono, viene

proposta la possibilità di cambiare vita.

Le ragazze che sono interessate ci la-

sciano il numero di cellulare e noi le

chiamiamo. C’è un sottogruppo del pro-

getto Non sei sola che organizza i collo-

qui con le ragazze: due o tre colloqui

conoscitivi per vedere quanto le ragazze

sono intenzionate a uscire dalla strada,

per spiegare loro bene quale sarebbe

l'iter e, se sono disposte a farlo, si inizia

il percorso. A quel punto si interrompe

la prostituzione e le ragazze vengono

accolte in una casa di prima acco-

glienza. La Papa Giovanni XXIII ha

delle case di prima accoglienza qui a

Bologna. Di solito se una ragazza ha

vissuto a Bologna viene mandata in

un’altra città, perché così è più facile

evitare che incontri persone che possano

farla ricadere nel giro. Dopodiché viene

chiesto alla questura di Bologna il

permesso di soggiorno per motivi uma-

nitari perché queste ragazze sono a ri-

schio della vita; dopo un periodo di

circa un anno, durante il quale sono

anche affiancate da psicologi, passano

alla casa di seconda accoglienza.

L'Albero di Cirene ne ha una qui a Bo-

logna, e lì possono stare due o tre anni.

Le ragazze devono cercare un lavoro

per poi essere autonome e alla fine di

questo percorso possono andare a vivere

la loro vita.

Loro sono controllate. Voi comeandate per strada, quando leincontrate?

Ci sono un paio di pullmini della

parrocchia che servono anche alle uscite

del Non sei sola, ci sono degli adesivi

su di essi con scritto Albero di Cirene

per la riconoscibilità da parte delle ra-

gazze.

Ci sono state delle ritorsioni daparte dei papponi?Ci sono così tante ragazze che, anche

se un paio di loro decidono di smettere

di prostituirsi, alle persone che gestisco-

no la prostituzione non cambia nulla,

quindi non è mai capitato che qualcuno

abbia minacciato. Quando una ragazza

decide di lasciare, si va con una macchi-

na di notte e ci si finge clienti. Le ra-

gazze dell'Est Europa, quando sono qui

da poco tempo, sono controllate a vista.

Le ragazze nigeriane sono controllate

dalle donne responsabili degli apparta-

menti in cui vivono, che sono anche lo-

ro prostitute.

di Giulia Silvestri

e dei trattati internazionali.

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inchiesta

Lo straniero, al quale sia impedito

Tivaunkebab?

di Ilaria Biancoe Pietro Adami

“Ti va un kebab? Ha aperto da poco unnuovo kebabbaro vicino casa mia! Altri-menti andiamo a quello in Via Petroni!”.Quanti di voi non l’hanno chiesto al pro-prio compagno di corso, di ritorno dallafacoltà o dalla biblioteca? Oppure dopouna serata accompagnata da troppebirre, quando spunta la fame ma perandare a letto c’è ancora tempo. Sonoposti che si frequentano di continuo, apranzo come a cena, o per una semplicebirra. L’inventore-morto del doner kebab,Kadir Nurman, chissà se si sarebbeaspettato tanto successo, chissà cosapenserebbe, chissà… ci guarderebbe conammirazione o rammarico?A stento si arriva a fine mese, i ragazzi

neolaureati non trovano lavoro, eppurecerti locali a Bologna sorgono comefunghi. Ma questo strano equilibrio nonregge, non può tenersi come se nullafosse, senza che nemmeno proviamo a

chiederci il perché e il per come. Perchése cercassimo per una volta di contestua-lizzare e rapportare tutto all’oggi, taleequilibrio inizierebbe ad emanare unostrano odore di sospetto. Odore, certo, sitratta solo di questo: sappiamo benissimocome sfumi e si mescoli con altri diffe-renti in pochissimo tempo.Però a noi la scontatezza puzza, la

normalità assorda, la curiosità cispinge… o forse semplicemente nonsappiamo cosa fare e ci inventiamoqualcosa di alternativo allo studio!La crisi economica, prima ancora di

quella dei valori, è sotto gli occhi di tutti:viviamo in un mondo immanente, dovele persone contano per ciò che hanno enon per ciò che danno, in un mondoconsumistico dove fermarsi a rifletteresui luoghi in cui entriamo ogni giornosarebbe impossibile, abbiamo troppo po-co tempo, siamo figli della fretta ma, so-

prattutto, figli del “chissenefregadiciòchec’èdietro”. E allora ogni giornomangiamo in questi posti: in fondo, co-me direbbe qualcuno, siamo ciò chemangiamo e dunque, forse forse, abbia-mo un’origine ignota e dubbiosa anchenoi, non ci conosciamo neanche noi, nonimporta di conoscerci neanche a noi.Abbiamo forse paura di scoprire qualco-sa che stonerebbe? Che rovinerebbe ilnostro equilibrio? Che ci farebbe sentirecomplici di un qualcosa di illegale?<<Illegale?? Non ti sembra di esagerarecon le parole?>> Eh già, le parole sonoimportanti, non si esagera con le parole,vanno pesate bene.Qui a Bologna ogni giorno facciamo la

stessa strada ed ogni giorno troviamosupermercati di pakistani, kebabbarinuovi, diversi. Possibile, quando le cosevanno così male per tutti?

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Liberi dì

inchiesta

nel suo paese l'effettivo esercizio

Kebabbari e pakistani nascono come funghi.Ci siamo chiesti come ciò avvenga

Allora ne abbiamo parlato, abbiamointrodotto questa questione all’internodel nostro presidio e, una sera, siamoandati, goliardicamente e approfittandodella nostra smisurata socievolezza, ingiro per Bologna a cercare di cogliere etoccare con mano quella che, per ora, èsoltanto una nostra ipotesi da corrobora-re o, magari (e sarebbe più bello) confu-tare.Camminando come ogni sera, bevendotroppa birra e incontrando i solitisimpatici venditori ambulanti che cerca-no di propinarti accendini all’ultimo gri-do o stranissimi ed inquietantimassaggia-testa, ci siamo fermati ascherzare con un habituè della zona.S., bengalese sulla trentina, è da un paiod’anni in Italia. È venuto in Europa perseguire le orme del fratello, scappato co-me altri decina di migliaia da un Paesesenza futuro, in cui il lavoro è ancor piùun miraggio che da noi. Un Paese doveci sono tra i più bassi salari del mondo,tanto che è notizia del 14 novembre ladecisione di alzare lo stipendio minimoagli operai delle aziende tessili a 68dollari, dopo continui disordini e sciope-ri.In Italia si trova bene, sostiene, mentre

sistema i mille gadget che ogni sera

porta in giro per Bologna: scimmie colo-rate, portachiavi fluo, accendini di ognisorta destinati a soddisfare gli appetitidegli universitari bolognesi. Tuttigadget prodotti in serie che S. riceve daun enorme centro ingrossi a Roma.Certo, non è il mestiere che sognava finda piccolo, e la crisi si fa sentire ancheper i venditori ambulanti. Vive insiemea sei connazionali in un modestissimoappartamento in via Marsala. A brevegli scadrà il permesso di soggiorno, echissà dove dovrà andare.Ottenere un permesso di soggiorno in

Italia non è sicuramente impresa facile,complice una legge, la Bossi-Fini del2002, di chiara matrice xenofoba, che hareso praticamente inaccessibile per vielegali il nostro paese. Un immigrato perpoter soggiornare deve dimostrare diavere un contratto in regola ed ecco cheS., come molti altri, è stato costretto asborsare cifre esorbitanti. Afferma diaver pagato 7.000 euro ad un connazio-nale, già soggiornante in Italia, che hacosì dichiarato di averlo assunto. Unavera propria tangente, che rappresentaun sistema ben collaudato di continuisoprusi.“Come ci sono gli italiani stronzi, ci

sono i bengalesi stronzi” sostiene S., ras-

segnato. E gli stronzi sembrano esseremolti, se anche la proprietaria di unanota pizzeria del centro città confermaquesta tesi: “I pakistani che aprono su-permercati nascono come funghi, spes-so sfruttando gli incentivi del comune. Emolti poveri cristi sono costretti a paga-re fior fiori di quattrini per avere tutte lecarte in regola”.Girando un po’ tra qualche kebabbaro

e pakistano, l’impressione è che gli affa-ri vadano a gonfie vele. E appena si pro-va ad accennare ad un presunto pizzoche si pagherebbe in alcuni posti, i ge-stori dei locali sembrano cadere dallenuvole. Le reazioni vanno dal piùperplesso al più insospettito, senza peròche trapeli alcunché. Certo è che ilsentore che qualcosa non vada proprioliscio rimane comunque.S. ci confessa che probabilmente, se il

permesso di soggiorno non verrà rinno-vato, proverà ad andare in Francia,perché ha disperato bisogno di lavoro.Molti dei soldi che guadagna li gira inBangladesh per mantenere la sorellinapiccola ed il resto della famiglia, te-nendo per sé una piccola percentualedei ricavati. Dopo aver sborsato 7000 eu-ro per poter stare legalmente qui, in unpaese senza futuro.

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antimafia

delle libertà democratiche

“Si parla della mafia condita in tutte lesalse ma, onorevoli senatori, mi pare chesi esageri in questo” (Scelba, 25 giugno1949). La prima Commissione Antimafiasi formò solo nel ’62, dopo che dal 1940al 1960 Cosa Nostra risulta responsabiledi 42 omicidi, tra cui la strage di Portelladella Ginestra. In seguito, la commissio-ne rimase in carica per tredici anni, ilcui risultato sono stati 42 volumi di attid’inchiesta; tuttavia ancora nel ’72 LuigiCarrao (Dc), presidente della commis-sione dal 1972 al 1973, definì il fenome-no mafioso come “limitato e da nonsopravvalutare”: nel 1970 era morto per

mano di Cosa Nostra il giornalista MarioDe Mauro, senza contare la strage di Cia-culli del ’63 e la lunga lista di morti cheaccompagna la storia italiana.La Commissione Antimafia fu pensata

come supporto all’azione della polizia,come forza alternativa alla lotta controla criminalità organizzata, come os-servatorio del fenomeno che ne dovevaregistrare le evoluzioni e le trasforma-zioni. Perciò motivo le vengono dati po-teri diversi e unici rispetto a tutte le altrecommissioni parlamentari: poteri d’esa-me e d’inchiesta paragonabili a quellidell’autorità giudiziaria.Il mese scorso è stata nominata la nuo-

va Commissione Antimafia. Teniamoconto che dal ’72 a oggi i morti per ma-fia si sono moltiplicati (e si tratta semprepiù di persone comuni, innocenti,giornalisti, magistrati), e che Cosa No-stra, la Camorra, l’Ndrangheta e la SCUnon sono certo più definibili come feno-meni “limitati” ma, anzi, ormai occorreparlare anche di altre organizzazioni cri-

minali. Perché le mafie non siaccontentano di essere solo italiane:intessono rapporti anche con l’estero,transnazionali. Ecco, considerando tuttociò, fa una certa rabbia leggere granparte dei nomi che compongono questaCommissione.Dopo sette mesi di empasse vengono

fuori i membri della commissione,quindi ci vogliono ancora altre settima-ne di tira e molla prima che vengano de-finiti anche il suo presidente evicepresidenti; tanto per dimostrarci chequesta non è l’ennesima conquista dellapoltrona.

Dunque, potrei iniziare ora l’ennesimaelencazione dei demeriti o delleincompetenze dei componenti, a partiredal presidente Rosy Bindi che, pocotempo fa, durante la campagna elettora-le in Calabria – dove dedicò un soloincontro al fenomeno dell’Ndrangheta –dichiarò candidamente: “non sonoun’esperta di antimafia, non mi sonomai occupata della materia”,aggiungendo che “i grandi esperti sonocoloro che hanno dato la vita e quelladei propri cari nei confronti di questodrammatico problema”. Cara Bindi, nonle chiediamo certo la vita, giusto un po’di competenza che, ce lo lasci precisare,si può avere senza morire per forza.Si potrebbe proseguire con un canoni-

co “dalla padella alla brace” quando,scorrendo i nomi dei membri, vediamospuntare Carlo Giovanardi, scagliatosicontro le misure di prevenzione adottatedalla Prefettura per tutelare il territorioe la ricostruzione dalle infiltrazioni ma-fiose nell’edilizia. Non basta, perché si

tratta della stessa persona che haattaccato una collega (Bertolini) per averdenunciato la presenza di camorristiiscritti nelle liste dell’ormai ex Pdl diModena, denunce che, peraltro, si sonorivelate veritiere.Purtroppo, Giovanardi è solo il primo

di una lunga lista: Carlo Sarro non solopuò vantare la conoscenza della fami-glia Cosentino, ma pure si batte per abo-lire moratorie di case abusive e per lariapertura del condono edilizio inCampania. Come dire: proprio il generedi battaglie che ci si aspetta intraprendaun volto dell’antimafia.

L’onorevole Fazzone, dal canto suo,lottò contro lo scioglimento per mafiadel Comune di Fondi, riuscendoci infinea furia di rinvii: un’interessante strategiadi lotta alla collisione mafia-politica.Ma fatti tutti questi nomi, dette le so-

lite parole infuocate contro quello equell’altro, che cosa rimane? Rimangonole immagini che sono corse davanti aimiei occhi in questo mese: i visi delleragazze che, lo scorso 20 ottobre, si sonocaricate sulle spalle la bara di Lea Garo-falo, la folla e le bandiere che si stringe-vano intorno, la voce della giornalistaEster Castano, così giovane ma già conla capacità di vedere e scovare il marciodove altri, più adulti e pagati, fannofinta di niente. Ancora: la richiesta dichiarimenti dell’UE sulla gestione fondia L’Aquila, di cui gli aquilani si lamenta-no ormai da molti anni, e la manifesta-zione a Napoli, dove la pioggia habagnato adulti, ragazzi, bambini, politicie cittadini sgomenti per la rivelazioneche la loro terra non era più sicura nésalubre: dovevano avere paura di quelfango che calpestavano, rischiavano lavita perché sedici anni fa una Commis-sione – certo, un’altra commissione, matant’è – aveva secretato le rivelazioni delcollaboratore di giustizia Schiavone, exboss dei Casalesi.In un paese dove le mafie si sono di-

mostrate sempre ben organizzate emolte volte più meritocratiche delloStato, mi piacerebbe che le istituzioniriuscissero a fronteggiarle con lo stessogrado di competenza, tracciando unconfine ben marcato tra uomini dellostato e uomini di mafia, a partire da unacommissione con qualche Fassone eSarro di meno, e qualche DavideMattiello o Claudio Fava in più.

La nostra(quasinuova)Commissione

Antimafia

di Francesca Della Santa

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Liberi dì

antimafiaL'antimafia rinasce

a StrasburgoDall’Europa un sì deciso contro criminalità organizzata e corruzione

526 voti a favore, 25 contrari e 87astensioni: sembrano numeri da largheintese ma in realtà si tratta della risoluzio-ne votata il 23 ottobre a Strasburgo dalParlamento Europeo proposta dallaCommissione CRIM (sul crimine orga-nizzato, la corruzione e il riciclaggio di de-naro), presieduta dall’europarlamentaresiciliana Sonia Alfano.

Dopo 18 mesi dalla sua istituzione, laCRIM ha infatti portato all’attenzione delParlamento Europeo un testo ambiziosonato con l’obbiettivo di chiedere chevengano introdotti in tutti gli Stati membriil reato di associazione mafiosa e quello divoto di scambio che contempli anchevantaggi immateriali; il regime carcerariodel 41bis; l’abolizione del segreto bancario;l’esclusione da gare d’appalto per aziendecondannate con sentenza passata in giudi-cato per reati di mafia, corruzione, rici-claggio; la confisca dei beni anche inassenza di condanna e il riutilizzo dei patri-moni confiscati a scopi pubblici e sociali.Nel testo sono state inoltre previste misurerelative a incandidabilità, ineleggibilità edecadenza da cariche pubbliche.Misure sicuramente non eccessive se si

pensa al dato stimato dalla stessa CRIM:nella sola UE, la corruzione provoca undanno annuale di circa 120 miliardi di eu-ro, pari all'1,1% del PIL dell'Unione.Inoltre, secondo Europol, l’ufficio di poliziaeuropea, sono 3.600 le organizzazioni cri-minali internazionali che operano nell'UEnel 2013 e il 70% dei loro componenti pro-viene da paesi diversi.Alla redazione del testo negli ultimi 18

mesi hanno lavorato, insieme agli euro-parlamentari, i più grandi esperti di lottaalla criminalità organizzata, i magistratidelle procure distrettuali antimafia italia-ne che costituiscono motivo di vanto eorgoglio in tutta Europa per l’efficace atti-vità di contrasto operata in questi anni,nonché figure uniche nel panorama euro-peo per via dell’evoluzione legislativaavvenuta nel nostro Paese negli ultimianni.

L’Italia vanta senz’altro una legislazioneantimafia già da tempo avviata, ma che disicuro ancora necessita di numerose inte-grazioni e fondamentali accorgimenti. Lelacune di tale legislazione, infatti, hannofinora permesso di incidere più che altrosull’aspetto militare della criminalità orga-nizzata, lasciando spesso indisturbati icolletti bianchi.È quindi vero che il testo europeo ha

guardato alle norme italiane sulla base diun dato d’esperienza già consolidato, ma èanche vero che ad oggi la novità che neviene fuori è quella di una risoluzione nonancora efficace in termini di legge, mafortemente innovativa almeno per quantoriguarda l’indiscutibilità di fattispecie direato presenti solo nell’universo ideale dichi combatte ogni giorno le mafie: il reatodi voto di scambio, la cui riforma èbloccata da luglio nelle aule parlamentariitaliane, oppure il reato di concorsoesterno in associazione mafiosa, mai co-raggiosamente affrontato dal nostro legi-slatore.

Il testo approvato è quindi un pianod'azione di cui dovrà farsi carico l’ormaiprossima legislatura europea insieme allacommissione europea al fine di rafforzarela lotta dell'Unione contro le attività dellacriminalità organizzata a livello nazionale,internazionale ed europeo. Oltre alleistanze portate avanti, la CRIM non ha esi-tato nel manifestare l’auspicio dell’istitu-zione di una procura antimafia europeache possa sottintendere a quell’attività divigilanza e coordinamento fra i vari organigiurisdizionali dei paesi membri: una novi-tà assoluta se si pensa a come raramentesia stato preso in considerazione il perse-guimento di una sempre maggiore omo-geneità del diritto penale in Europa.

di Peppe Rizzo

garantite dalla Costituzione italiana,

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italia

Mai piùmiserabili

Li incontriamo per strada, ci passiamodi fianco, a volte li guardiamo pure consospetto o con curiosità ma quasi maitroviamo il coraggio di scambiare conloro qualche parola. Forse perché cimettono paura, oppure perché potrebbe-ro rivelarci delle verità che noi non vo-gliamo conoscere. Di chi sto parlando?Parlo di Toni, Mustafà, François, Fabio,Jack, Alice e di un’interminabile elencodi nomi, di persone che vivono per stra-da, la cui unica colpa è essere nati in po-sti in cui per loro non c’era nulla. Sonoperlopiù afgani, pakistani e nigeriani matra loro ci sono anche uomini e donne,ragazzi e ragazze italiani ai quali la so-cietà non ha lasciato null’altro se non lastrada.Nella maggior parte dei casi chi pro-

viene dall’estero è arrivato in Italia conla speranza di trovare il lavoro che gliera stato promesso. Lo stesso lavoro peril quale ha lasciato a casa mogli, figli egenitori al fine di raggiungere un’indi-pendenza economica per poi tornare inpatria. In molti casi, invece, accade cheal loro arrivo non c’è nessun lavoro adaspettarli e, non riuscendo a tornare acasa, si trovano costretti a prendere persé ciò che gli altri hanno scartato: si tro-vano a perdere la propria dignità, senzapossibilità di scelta. È così che cominciaa diventare sempre più dura la lotta perla sopravvivenza, tanto da non poter piùscartare quello che la strada o il “capo”della strada im/pro- pone per sopravvive-re.“Fino a sei mesi fa – racconta Daniel –

vivevo in una casa famiglia dove eroospitato a spese dello Stato, ma dopo cheho raggiunto la maggiore età mi handetto che non potevo più stare lì”. Daquel momento in poi, Daniel ha iniziatoa distribuire in giro per la città il suocurriculum in cerca di un lavoro e diuna casa, ma le risposte non hannofatto altro che accumularsi in una serie

innumerevole di rifiuti. Così è finito coltrovar posto sotto uno dei tanti portici diBologna: pur senza perdere la speranzache qualcuno prima o poi lo contatti perun ingaggio, Daniel sopravvivevendendo birra nelle piazze.Daniel è uno dei tanti “abitanti” della

strada che, non potendo scegliere, hamesso da parte l’idea che l’aveva spintoin Italia, quella di un posto di lavoro fis-so e legale. Come lui, tanti sono coloroche hanno finito con l’obbedire allalegge della sopravvivenza, piuttosto chea quella dello Stato.

La condizione di povertà comportatalvolta la commissione di azioni illega-li. Ragazzi, uomini e donne in condizionisimili o uguali a quella di Daniel prova-no a fuggire dalla povertà aggrappando-si a tentativi futili di profitto conconseguenze che poi distruggono ancoradi più la loro vita, rendendola ancora piùdebole e ancora più fragile.Quando non è l’indifferenza a prevale-

re, nell’incrociare i loro volti ai bordi deimarciapiedi, capita che scatti il senso dicompassione e allora si lascia qualchespicciolo a quei poveracci. Ciò non basta,anzi: è inutile. L’elemosina, se così si puòchiamare, non li aiuta bensì espande lagravità di una condizione estremamenteprecaria.

Come ci ricorda don Luigi, è opportu-no che tutti, da cittadini, cominciamo aprenderci la nostra parte di impegno peril cambiamento. Quel “commuoverci dimeno e muoverci di più” necessario peradempiere al dovere di restituire ai me-no fortunati la speranza e la dignità diuomini: una lotta senza quartiere allamiseria e a tutto ciò che da questa deri-va.

Per maggiori informazioni visita la pa-gina http://www.libera.it/miserialadra

di Faustino Rizzo

ha diritto d'asilo

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Liberi dì

antimafia«Caro Nino Di Matteo, devi sapere che

non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in

ogni angolo d’Italia, non sarete mai più

soli. Dalla stagione delle stragi è cresciu-

ta nel nostro paese la consapevolezza

che la questione delle mafie non è solo di

natura criminale. È un problema più

profondo, anche culturale e sociale. Una

questione che non sarebbe ancora cosi

grave se a contrastare le mafie ci fossero

stati, oltre alla magistratura e alle forze

di polizia, la coscienza pulita e l’impe-

gno della maggior parte degli italiani.

Questa coscienza e questo impegno,

lentamente e faticosamente si sono negli

anni moltiplicati. Devi dunque sapere

caro Nino, anche se qualcuno —mafiosi

o complici dei mafiosi — continua a mi-

nacciare e lanciare messaggi inquietanti,

che oggi tu e tutti gli altri magistrati sie-

te meno soli. Che minacciare voi vuoi

dire minacciare tanti di noi, tanti italia-

ni, che nei più vari ambiti si sono messi

in gioco. Cittadini che non si limitano a

scendere in piazza, a indignarsi o

commuoversi, ma che hanno scelto di

muoversi, di trasformare il loro “no”

alle mafie in un impegno quotidiano per

la democrazia, per la libertà e la dignità

di tutti. Le luci non nascondono però le

molte ombre. In tanti ambiti prevale

ancora l` indifferenza o una semplice e

facile risposta emotiva. Anche la politica

non sempre ha saputo affrontare la que-

stione con la pulizia morale e il respiro

necessario: pensiamo solo ai troppi

compromessi che hanno impedito

un’adeguata riforma della legge sulla

corruzione e ai patti sottobanco. Lo

Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se

stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi

tempi, come molti segnali lasciano

intendere, le mafie — indisturbate nei

suoi livelli più alti: economia, finanza,

appalti, affari—hanno approfittato per

organizzarsi in silenzio. Quelle minacce

dall’interno di un carcere dicono perciò

una verità imbarazzante: se nell’ambito

repressivo e giu-

diziario

importanti ri-

sultati sono stati

ottenuti, sul

versante del

contrasto politi-

co e sociale c’è

ancora molta

strada da fare.

Perché di una

cosa dobbiamo

essere certi:

sconfiggeremo le

mafie solo

quando sapremo colmare le disugua-

glianze sociali che permettono il loro

proliferare. Le mafie non vanno solo

inseguite: vanno prevenute. Prevenzione

vuoi dire anche realizzare la condizione

di dignità e di libertà responsabile pre-

vista dalla Costituzione, il primo e più

formidabile dei testi antimafia. Altri-

menti, nello scarto fra le parole e i fatti,

continuerà a insinuarsi la più pericolosa

e subdola delle mafie: quella della

corruzione, del privilegio e dell’abuso di

potere. A te un forte abbraccio da parte

mia e dalle oltre 1600 realtà associate a

Libera».

PPuubbbbll iicchhiiaammoo iill mmeessssaaggggiioo cchhee ddoonn LLuuiiggiiCCiioottttii hhaa vvoolluuttoo rriivvoollggeerree aa uunnoo ddeeii ppmmppiiùù eessppoossttii ddeell pprroocceessssoo ssuull llaa ttrraattttaattiivvaassttaattoo--mmaaffiiaa iinn ccoorrssoo aa PPaalleerrmmoo iinn qquueessttiimmeessii ,, aa sseegguuiittoo ddeell llee mmiinnaaccccee ddii mmoorrtteepprroovveenniieennttii ddiirreettttaammeennttee ddaa ccoolluuii cchhee

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nneell llaa ssuuaa iinnffaauussttaa eessiisstteennzzaa..

«Il Paese ècambiato.

Caro Nino Di Matteo,

non sei solo»

don Luigi Ciotti

nel territorio della Repubblica

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università

Laurea ad honoremper "Lady" birmanaUn fiore tra i capelli, la

toque nera un po’ troppolarga, una camminataelegante e un sorrisodolce. Aung San Suu Kyifa così il suo ingressonella splendida Aula Ma-gna di Santa Lucia il 30 diOttobre. Viene precedutadal Rettore Ivano Dionigie dai rappresentanti deivari organi universitari,che sfilano davanti a noisfoggiando, sulle loro to-ghe, i colori delle variefacoltà, in un cerimonialeantico e affascinante.La leader birmana ha

dovuto aspettare 13 anniper poter venire a Bolo-gna e ritirare la laurea adhonorem che le era stataassegnata nel 2000. Glieloimpedivano gli arrestidomiciliari imposti dalla giunta militaredel suo paese, pena meno gravosa dei la-vori forzati a cui era stata in originecondannata. Aung San Suu Kyi, fi-nalmente, è stata liberata nel 2010. Loscorso anno ha ottenuto un seggio alparlamento birmano e a giugno è riusci-ta a ritirare il Premio Nobel per la Paceche le era stato assegnato nel 1991. Que-sta però è soltanto la parte più recentedella lunga e travagliata storia di unadonna che si è sempre battuta con co-raggio per la libertà del proprio Paese,ispirandosi agli insegnamenti del Ma-hatma Gandhi e ai principi della fedebuddhista, diventando anche lei simbolodella lotta non violenta nel mondo.

Laurea ad Honerem in Filosofia“perché la filosofia è sapere esistenziale,meditante, rivoluzionario. Arte che sioccupa della realtà, della durezza e delladifficile bellezza della vita”. Queste leparole del rettore che motivano la sceltadi attribuire una tale onorificenza aduna donna che ha fatto della libertà il fi-ne ultimo della propria vita. La parola

Libertà è stata messa al centro della ceri-monia di consegna, che inauguravaanche il 926° anno accademico dell'AlmaMater. Viene nominata la libertà di di-fendere e promuovere i diritti fonda-mentali, di esprimere e realizzare leproprie idee morali, politiche e religiose,di essere cittadini del mondo e di sce-gliere il proprio destino. Il luogo dele-gato ad esercitare queste libertà sembrasicuramente l’università. Ma i recenti ta-gli all’istruzione e una politica che nontiene in considerazione i diritti deglistudenti sono come un pugno allo sto-maco che riporta alla realtà.La Politica di cui parla Aung San SuuKyi durante il suo discorso dottorale èun'altra cosa: una politica che sia unpercorso etico e morale, che metta glialtri davanti a noi, che li rispetti, e checolga dagli altri tutto ciò che c’è di buo-no. Una Politica in cui i fini non giustifi-chino i mezzi, guidata da un senso eticoe altruistico.Parla la figlia di un generale ucciso dai

suoi avversari politici: lei non è interes-sata alla “condanna” degli assassini di

suo padre e dei dittatori che l’hanno co-stretta ad una vita in esilio, poi in carce-re, anzi, ci invita alla riconciliazione.Parla del suo paese, di come fosse primadella dittatura e di come è adesso, spie-gandoci come l’odio non abbia provocatoaltro che distruzione e violenza.San Suu Kyi chiede a noi giovani di crea-re un mondo nuovo, in cui non prevalgal’ottica egoistica che fa da padrona oggi.

Il cerimoniale medievale fa dacontorno a questo momento: la conse-gna dell’anello e del libro, prima apertoe poi chiuso, e alla fine la consegna dellapergamena. Dopo il suo discorso dotto-rale e i saluti Aung San Suu Kyi si dirigefuori dall’aula, fermandosi a stringere lamano ai presenti, tra cui moltistudenti. Ha un volto sereno, unosguardo rassicurante, sorride consemplicità, dandoci con questi piccoli ge-sti un’ennesima lezione di umanità.

di Flavia Amoroso

secondo le condizioni

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Liberi dì

memoria

La fine del 2004 e il principiodel 2005, a Napoli, furono pe-riodi di sangue e di morte. Il 28ottobre 2004 gli scissionistiuccisero Claudio Salierno e FulvioMontanino, il più stretto collaboratoredi Cosimo Di Lauro.È questo l’evento indicato come l'iniziodella faida di Scampia: gli scissionisti,chiamati in modo dispregiativo gli spa-gnoli (Raffaele Amato, uno dei capi, siera rifugiato in Spagna per non essereucciso), avevano dichiarato uffi-cialmente guerra al clan dei Di Lauro.Questa guerra provocò dolore e deva-

stazione, e colpì, come spesso accade,molte persone estranee ai clan in lotta.Tra queste persone, c’è anche AntonioLandieri. È stato ucciso il 6 novembredel 2004.Antonio è un ragazzo disabile di venti-

cinque anni. È stato additato come unappartenente alla malavita, dai poliziottiprima e dai media poi. Giornalisti su-perficiali e non degni di questo nome,

che hanno accolto, senza andare a fondo,la prima versione della polizia: è Anto-nio il bersaglio dei killer, infatti è statocolpito al petto; era uno spacciatore inaffari con i colombiani.

Questa versione fu smentita in totodall’autopsia, nonché dai genitori e daiparenti di Antonio, e infine dai testimo-ni oculari, gli amici con cui si trovava almomento della sparatoria.Antonio ha problemi di deambulazionee per fare un unico piccolo passo cimette moltissimo tempo.L’autopsia evidenziò la vera dinamica

dei fatti: i colpi furono sparati senza unobiettivo ben preciso, servivano daavvertimento a quei ragazzi, scambiatiper spacciatori del rione “Sette Palazzi”(è proprio la lotta per il monopolio dellospaccio di stupefacenti, il cuore delloscontro tra i camorristi); Antonio e isuoi amici furono tutti colpiti di

rimbalzo dai proiettili, eccoperché nessuno morì, tranneAntonio, che non potevascappare.

Dopo l’autopsia i medianon rettificarono le diffa-manti affermazioni su quelragazzo innocente ed estra-neo alla criminalità, il que-store non permise i funeralipubblici e Antonio fuseppellito come un boss, co-me un criminale la cui colpa

era quella di essere nato a Scampia e diessere soprannominato O Ti.Rosario Esposito La Rossa racconta del

soprannome del cugino: O Ti in napole-tano significa E.T. È questo il nome chefa saltare a conclusioni affrettate la poli-zia: un loro informatore ha dichiarato diconoscere un uomo di nome E.T., unospacciatore. Automaticamente O Ti di-ventò E.T.Allora non resta che continuare a spu-

tare in faccia al dolore e alla rabbiadella famiglia. Antonio viene riesumatodopo più di tre anni perché per lui nonc’è nessuna tomba, non c’è un risarci-mento danni, non c’è il riconoscimentodella sua innocenza. Ufficialmente luinon è una vittima innocente di camorra.I primi anni dopo la sua morte, non funemmeno inserito tra i nomi delle vitti-me di tutte le mafie ricordate il 21

marzo di ogni anno.Oggi Antonio viene fi-

nalmente ricordato perquello che era: grazieall'impegno della sua fa-miglia le persone sannoche Antonio è stato unavittima della camorra; iragazzi di Libera danno aiPresidi il suo nome,perché la sua storia,quella vera, sia conosciu-ta. In attesa che dalloStato, sia riconosciuta.

Faida di Scampia:la storia di

AntonioLandieri

di Giulia Silvestri

stabilite dalla legge.

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cultura

Il luogo ènello

sguardo

Avete mai percorso un’autostrada apiedi?Il paesaggio, osservato senza il filtro pro-tettivo del vetro del finestrino, imponeagli occhi una sequenza angosciante dimarciapiedi, rotatorie, villette, palazzi,centri commerciali, capannoni industria-li, case coloniche in rovina, stazioni diservizio, binari ferroviari, segnali strada-li, cantieri. E poi strade, cavalcavia,parcheggi, ancora centri commerciali,villette, cantieri, cartelloni pubblicitari.Tutto alla rinfusa, come rampicanti dicemento cresciuti in un giardinoabbandonato, lasciato a morire dai pro-prietari andati in vacanza.Hanno l’aria infatti di luoghi abbando-

nati, dove non si vive più. Per chilometrinon si incrocia nessuna costruzione chericordi la presenza umana: nessunmarciapiede, finestre che si affacciano

sul nulla, corsie percorse da automobiliche sembrano guidarsi da sole. Quasi co-me in quei paesaggi apocalittici eultratecnologici di alcuni film degnianni Ottanta. Luoghi che sono la perife-ria di nessun centro, spazi dell’anoni-mato. Ecco cosa è diventata la strada, unostrano luogo non luogo fatto solo per es-sere attraversato, senza essere vissuto.

Diceva Ortega y Gasset che l’uomo,animale disgraziato, mancando propria-mente di un habitat, non è riuscito adadattarsi al mondo e quindi ha chiesto aisignori architetti di edificarne uno nuovoche si adattasse a loro.Ma le nostre città, sempre più simili a

scenari postmoderni, in cui il cementosta innalzando un’enorme gabbia che siestende da tutte le parti, levandoci spazioe aria, sono davvero questo? Un adatta-mento dell’ambiente al soggetto? Aguardale cosi, queste che sono costruzio-ni dell’uomo, non sembrano affatto co-struite per l’uomo. È il paradosso dellatecnica: da mezzo divenuto fine, ha fattoperdere all'uomo la capacità di impiega-re i mezzi per se stesso, finendo quasi perrenderlo asservito ad essi.Certo, è l’uomo che ha prodotto tutto

questo.

Eppure, si tratta dello stesso uomo chericreando un rapporto con quegli spaziriesce a renderli meno estranei, menotecnici, un po’ più umani.

Percorrendo le autostrade, se si faattenzione, si riescono a notare segni divita dentro gli appartamenti di quellevillette anonime: una trapunta coloratache si agita al vento, un triciclo nel corti-le, una palla. E dietro al vetro un uomoche beve un caffè, una vecchia signorache annaffia i gerani alla finestra, deibambini da qualche parte, si sentono legrida.Quei luoghi non luoghi, da semplici

spazi di transito e collegamento, possonoritornare a raccontare una storia, a tra-mandare la memoria e la vita dellepersone che li abitano.È vero che dopo un po’ ci si abitua a

tutto, anche al brutto, ma non facciamoloin modo da essere complici. Invece diabbandonare luoghi abbandoniamoci noial potere dell’immaginare qualcosa didiverso. È possibile redimere anche il ce-mento per trasformarlo in arte, poesia,bellezza, facendolo nostro. Una volta no-stro, non è più brutto, l’aggettivo lo qua-lifica, gli dà una qualità: diventa, ecco,bello.

di Margherita Kay Budillon

Non è ammessa l'estradizione dello straniero

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recensioneLa prima neve

Regia: Andrea Segre

Sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre

Con: Jean Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston,Peter Mitterrutzner, Paolo Pierobon

www.laprimaneve.comVenezia 2013, 70A Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica

Durante il film si attende la prima ne-ve, quella che farà soffice di bianco laVal dei Mocheni, altrimenti così verde.Nello spazio dell’attesa si muove la vi-cenda, silenziosa come il bosco che laospita, rispettosa del tempo che serve aciascuno per trovare il proprio odore inun altro, del tempo che serve a ricono-scerlo.Chi la neve non l’ha mai vista in vita

sua è Dani (Jean Christophe Folly), appe-na giunto in Italia dopo un viaggio suuno di quei tremendi barconi, attraversoun mare che “faceva paura” e che non harisparmiato sua moglie: è approdato masolo, con la figlia Fatou che non riescenemmeno a guardare senza che si riaprala ferita orrenda della morte di Lyla. APergine, il paese dove si trova la sua casaaccoglienza in Trentino, lavora per Pietro(Peter Mitterrutzner), anziano falegnamee apicoltore. Grazie a lui conosce Miche-le (Matteo Marchel), il nipote, un ra-gazzino di dieci anni che ha da pocoperso il padre in un incidente e che fadella madre (Anita Caprioli) il caproespiatorio dell’accaduto. I rapporti tramadre e figlio sono difficili, segnati dalrancore e dall’ostilità: anche in questa fa-miglia, come in quella di Dani, la mortesi è convertita in un vuoto che chi è ri-masto sa di dover affrontare, ma non sacome.“Il confine tra cinema di realtà e cine-

ma di finzione è uno dei confini piùfertili” secondo il regista Andrea Segre(«Io sono Li»), ed è quanto si sperimentaanche in questo film, dove attori profes-sionisti recitano accanto ai ragazzi chesono davvero cresciuti su quelle monta-gne, come Matteo Marchel, credibilissi-

mo sullo schermo.Il bosco è dove Dani e Michele tra-

scorrono il tempo prima della neve araccogliere la legna: nell’intenzione delregista, la natura era il luogo intimoideale dove poter mettere in luce le duesolitudini, un intento colto e reso magni-ficamente nella fotografia di Luca Bi-gazzi. In quel bosco si scoprono odori diresina e di radici, si percepisce l’ariafredda tra gli alberi, quella che ti seccagli occhi quando li alzi per guardare ilcielo oltre le fronde: in quel bosco Danie Michele scoprono di essere comple-mentari. Dove la solitudine si svela, ildolore non si nasconde.È vero che il film tratta l’argomento

immigrazione, ma esso viene assunto einserito all’interno del tema più ampio,più universale, dei rapporti famigliariinterrotti: a un marito manca una mo-glie, a un figlio manca un padre.

Entrambi colpevolizzano se stessi oqualcun altro per quella morte (Daniincolpa se stesso, Michele la madre),entrambi scoprono un insegnamento co-nosciutissimo, che però non si apprendedavvero se non quando ti tocca viverlo: ildolore non passa, si sopporta.A un certo punto del film Pietro mette

nella mano di Dani del miele – “As-saggia” – poi un pezzo di legno – “adesso,annusa questo: hanno lo stesso odore”.Ecco: “le cose che hanno lo stesso odoredevono stare insieme”. Verrebbe dapensare che il discorso valga anche perle persone che hanno lo stesso dolore. Adogni modo, facciamoci bastare il naso: lapelle di Michele, bianca come il miele,ha lo stesso odore di quella di Dani, neracome il legno. Insieme, nel tempo primadella neve essi imparano a sopravvivere,a riconoscersi; insieme sulla neve frescasapranno, infine, salvarsi.

«Le cose con lo stesso odore devono stare insieme»di Tania Bergamelli

per reati politici».

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