Lez.3 La Sindrome Di Down 2

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LEZIONE: “LA SINDROME DI DOWN (SECONDA PARTE)PROF. RENZO VIANELLO

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La sindrome di Down (Seconda parte)

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1  INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 

2  LO SVILUPPO SOCIALE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 4 

3  RISCHIO PSICOPATOLOGICO ------------------------------------------------------------------------------------------ 6 

4  PREVENZIONE, EDUCAZIONE, ABILITAZIONE, INTEGRAZIONE ----------------------------------------- 7 

4.1  IN FAMIGLIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7 4.2  A SCUOLA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8 

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La sindrome di Down (Seconda parte)

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Introduzione Continuiamo la nostra analisi delle caratteristiche fondamentali della sindrome di Down.

Abbiamo visto insieme gli aspetti genetici, fisici, medici, motori e ci siamo soffermati, in modo

anche un po’ tecnico, sugli aspetti cognitivi1. Il compito di queste lezioni è dare l’inquadramento

generale che aiuta ad approfondire quanto presente nei testi di riferimento. Avevamo concluso la

lezione precedente con le problematiche relative allo sviluppo comunicativo e linguistico.

1 “Difficoltà di apprendimento, situazioni di handicap e integrazione”, “Disabilità intellettive”

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2 Lo sviluppo sociale La sindrome di Down comporta un ritardo generalizzato. Possiamo permetterci anche una

riflessione: è vero che adesso è molto più di moda dire “disabilità intellettive”, questo, però, non ci

deve far dimenticare che siamo di fronte ad un ritardo, cioè nel senso che ci vuole più tempo, a

volte molto più tempo, per raggiungere gli stessi livelli che vengono raggiunti dai bambini con

sviluppo tipico o normodotati (si usa dire con “sviluppo tipico”).

Questa premessa per ricordare che anche a livello di sviluppo sociale troviamo fin dai primi

3 anni di vita un ritardo nello sviluppo. Ad esempio, il famoso sorriso al volto umano, quello che i

bambini con sviluppo tipico fanno nel II mese di vita e che fa “impazzire” i genitori, (la mamma, il

papà pensano “mi ha sorriso”), arriva qualche mese dopo e non al II mese. Oppure, altra cosa molto

bella, fra genitori e bambini piccoli, il cosiddetto vis à vis, (per cui il bambino fa un suono, la

mamma ne fa un altro, una specie di turno, ci si guarda e ci si alterna): anche quello tende a venire

un po’ dopo. Altro aspetto cruciale, la distinzione tra le persone familiari e le persone nuove, che

nello sviluppo tipico avviene in modo chiaro tra i 5 e gli 8/10 mesi, nella sindrome di Down avviene

successivamente.

Per quanto riguarda la socievolezza (chiamiamola così), la sindrome di Down è una delle

sindromi più socievoli, anche se ci sono delle eccezioni. Quando diciamo che è socievole, vuol dire

che la grande maggioranza lo è, ma non tutti. Bisogna sempre conoscere il singolo bambino. I

bambini con la sindrome di Down, di norma, sono molto interessati agli aspetti sociali, al volto

umano, forse ancor più dei bambini normodotati o con sviluppo tipico, perché sono forse ancor più

interessati agli oggetti animati che non agli oggetti inanimati. Qualche studioso particolarmente

“pignolo” scrive: “sì, però se osservate bene, i sorrisi che fanno i bambini di questa età, quando

hanno la sindrome di Down, sono un po’ più tenui, un po’ più deboli, un po’ più smorzati rispetto

agli altri”. Potremmo obiettare che questo può anche essere vero, ma che rispetto ai bambini

normodotati stanno più facilmente con tutti e questo è un aspetto positivo.

Dai 3 ai 6 anni emerge molto chiaramente un altro aspetto caratteristico della sindrome di

Down: le loro capacità imitative.

Purtroppo non hanno tanta iniziativa nell’interazione sociale: tendono ad essere più passivi

dei bambini normodotati; però hanno buone capacità imitative.

Quando sono nella scuola primaria, il loro sviluppo sociale quale è?

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È opportuno un esempio: quando avranno 8 anni, il loro sviluppo sociale assomiglierà più a

quello dei bambini di 4-5 anni che non a quello dei bambini di 8. Questo è uno dei motivi per cui

alcuni genitori, alcuni insegnanti ritengono opportuno far frequentare la scuola dell’infanzia uno o

due anni in più. Io lascio questa scelta ai genitori; discuto con loro. Ci sono buoni motivi per fare

questa scelta. Accetto con rispetto se invece preferiscono che il bambino vada avanti.

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3 Rischio psicopatologico Il ritardo mentale ha un rischio psicopatologico superiore a quello della popolazione

normale. Dobbiamo tenerne conto. Esaminando altri sindromi vedremo che questo rischio è

abbastanza significativo. Nella sindrome di Down lo è un po’ meno che nel ritardo mentale in

generale. Secondo la letteratura il dato medio è 15% circa di rischio psico-patologico fino a 18 anni

e 25% negli adulti con sindrome di Down. Quando si parla di rischio psicopatologico ci si riferisce

a rischio di cose significative sul piano dello sviluppo della personalità.

In età minore i disturbi più frequenti sono deficit di attenzione con o senza iperattività e

comportamenti oppositori e provocatori. Certamente sono due disturbi che non vanno bene a scuola

perché la scuola ti chiede proprio di applicarti, di essere attento, di concentrarti, di avere certi tempi

adeguati e quindi il disturbo di attenzione comporta problemi abbastanza significativi. Altrettanto

vale per il comportamento oppositorio e provocatorio: “chiedo di fare una cosa e il bambino non mi

ascolta, non mi segue, fa il contrario, disturba ecc.”.

Con l’avanzare dell’età emergono i disturbi depressivi. Il rischio psicopatologico maggiore

della sindrome di Down è il disturbo depressivo. Immaginiamo un ragazzo di 18-20 anni in Italia,

che fin da quando era piccolo è stato in asilo nido, nella scuola dell’infanzia, sempre insieme agli

altri compagni, socievole, che nel pomeriggio andava a fare sport insieme agli altri, tutto sommato

abbastanza ben seguito… finisce la scuola secondaria, perde i compagni, ha problemi perché non

riesce a trovare un lavoro, se ne sta abbastanza a casa. Possono emergere tratti depressivi; è un

momento molto delicato tra i 18-20 anni, con l’abbandono della scuola. Purtroppo, in Italia siamo

molto più bravi nell’integrazione scolastica che nell’integrazione sociale e lavorativa.

Anche la malattia di Alzheimer, cioè la demenza, quando sono adulti, verso l’età anziana, è

più significativa in questa sindrome che nella popolazione normale.

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4 Prevenzione, educazione, abilitazione, integrazione

4.1 In famiglia Cerchiamo di avere empatia nei confronti dei genitori quando hanno un bambino piccolo,

perché gli impegni nei primi anni di vita sono veramente tanti e prima ancora di essere preoccupati

per gli aspetti cognitivi e linguistici, devono essere preoccupati per gli aspetti fisici. Ci vuole una

visita pediatrica approfondita; devono fare l’esame del cariotipo, per vedere se c’è una traslocazione

non bilanciata (di cui abbiamo parlato nella I lezione); devono fare lo screening neo natale generale,

per es. per i problemi della tiroide; devono vedere se ci sono troppi globuli rossi; le visite

cardiologiche; la visita oculistica; poi l’otorinolaringoiatra; poi il chirurgo pediatra e l’ortopedia

ecc. Offriamo tutta la nostra solidarietà a questi genitori che fin dai primi anni di vita hanno anche

molte incombenze. Qualche mamma fa la scelta di rinunciare al lavoro (giusto o sbagliato che sia)

perché non ce la fa a seguire tutto.

Nei primi anni di vita che fare? Purtroppo in Italia c’è poco counseling alla famiglia.

Dovrebbe essercene molto di più. I genitori dovrebbero essere aiutati a più livelli: per attenuare le

loro preoccupazioni e le loro ansie, ma anche affinché il loro figlio possa avere le adeguate

opportunità di vita sociale. L’intervento che devono fare è molto personalizzato, perché per seguire

un bambino con disabilità intellettive, abbiamo bisogno di una conoscenza approfondita dello

sviluppo normale; non si può seguire la disabilità intellettiva se non c’è questa base.

Abbiamo già visto l’importanza dell’intervento in famiglia. Uno stereotipo che “gira” molto

è quello di dire che quando c’è la presenza di una persona disabile in famiglia, anche la stessa

diventa un po’ handicappata (si usava questa espressione una volta). Questo non è sempre vero.

Ricerche che abbiamo condotto evidenziano che questo rischio esiste. Si tratta di vedere se è

maggiore che nella popolazione normale. Esempio: siamo a volte colpiti dal fatto che ci sono delle

separazioni, ma dobbiamo andare a vedere se sono in quantità maggiore o superiore al 40-50% delle

separazioni che ci sono nella popolazione normale. Alcune nostre ricerche, come dicevo, hanno

evidenziato che, accanto a questo rischio, c’è qualche volta un aumentare della coesione fra i

genitori, cioè essi trovano motivo di maggiore solidarietà. Non solo: un’altra cosa che abbiamo

trovato, è un maggior coinvolgimento del padre nell’educazione familiare.

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A proposito di diagnosi: è più un discorso da fare a psicologi e a neuropsichiatri, ma per la

nostra cultura generale è bene che ce lo ricordiamo. Il momento della diagnosi è sempre importante,

delicato, spesso traumatico e non basta dire una volta “vostro figlio ha la sindrome di Down”.

Quello che importa è cosa comporta questa diagnosi.

4.2 A scuola A scuola, non c’è dubbio che prioritari siano gli obiettivi comunicativi, sociali e di

educazione all’autonomia. Sono la base sulla quale si può andare a lavorare anche sul piano

comunicativo-linguistico, cognitivo e degli apprendimenti scolastici. Il problema fondamentale che

si incontra, quando si ha un bambino con sindrome di Down nella scuola dell’infanzia e soprattutto

nella scuola primaria è la discrepanza con gli altri bambini. Questa è la vera sfida dell’integrazione.

Non si risolve il problema dicendo “lo mettiamo insieme ai bambini che hanno la stessa età

mentale”. Resterebbe per tredici anni nella scuola dell’infanzia o nei primi anni della scuola

primaria.. L’abilità fondamentale di un insegnante di sostegno (insieme agli insegnanti curricolari),

è proporre un insegnamento differenziato (che non vuol dire individualizzato, non vuol dire che

ciascuno fa delle cose diverse). Differenziato vuol dire che facciamo tutti la stessa cosa, ma

ciascuno la fa al proprio livello. C’è un modo semplicissimo per evidenziarlo: immaginate una

pluriclasse, dove ci sono bambini piccoli e bambini grandi (una classe di montagna, in un’isola

sperduta ecc.) Le proposte (l’estate, l’inverno, i mezzi di comunicazione ecc.) devono andare bene

a tutti. Ci sarà quello che, molto avanti, scriverà la poesia, quello che ci farà il temino, quello che ci

farà il pensierino, quello che ci farà solo il disegno o con qualcuno ripeteremo delle parole

particolarmente difficili ecc.

Continuiamo con prevenzione, educazione, abilitazione, integrazione a scuola e parliamo

della lettura e della scrittura.

Quanti bambini con la sindrome di Down imparano a leggere e scrivere? Di norma

l’apprendimento della lettura e della scrittura avviene con un ritardo di alcuni anni (3, 4, 5). Siamo

spesso nella situazione (difficile da gestire), che imparano veramente a leggere e scrivere più

quando sono in IV e V elementare che non quando sono in II e III. È un processo estremamente

lento, estremamente impegnativo e che richiede vari anni. Solo una minoranza, attualmente, dei

bambini con sindrome di Down sanno leggere e scrivere prima degli 8-9 anni.

Sono opportune alcune percentuali.

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Un 30-40% circa purtroppo non impara mai a leggere e scrivere. Questo non è dovuto solo a

limiti biologici. Forse un 10% (al massimo) ha dei limiti biologici tali per cui non riesce a imparare

a leggere e scrivere, perché il ritardo mentale è grave, perché possono avere dei tratti autistici. Gli

altri (per arrivare al 30-40% che non hanno imparato a leggere e scrivere) è un insuccesso scolastico

e sociale: avevano la possibilità; non siamo stati capaci noi (come società), a dare loro questa

opportunità. Mi auguro che in futuro questa percentuale di 30-40% si riduca progressivamente.

Dico questo perché è opportuno ricordare che per imparare a leggere e scrivere bastano le basi

cognitive dei bambini di 4 anni, 4 anni e mezzo. Ecco perché quasi tutte le persone con sindrome di

Down hanno la possibilità di imparare a leggere e scrivere.

La maggioranza, 60-70%, raggiunge un apprendimento della lettura e della scrittura almeno

di fine I elementare. Se motivati, sostenuti, sono in grado di scrivere letterine, cartoline, brevi

messaggi, anche senza bisogno che si dettino loro le parole una alla volta; soprattutto, sono in grado

di usare bene il personal computer (4 anni, 4 anni e mezzo, 5 di intelligenza sono sufficienti).

Quanti sono quelli che vanno oltre le prestazioni di I, II elementare o di più? 25-30%.

E quelli che arrivano a saper scrivere come i bambini di IV o V? Sono il 10 %.

Queste non sono, ripeto, le percentuali su base biologica. Questa è l’attualità, cioè quello che

succede realmente adesso, ma i margini di progresso ci sono e, come dicevo prima, mi auguro che

presto si arrivi a livelli decisamente superiori.

Quando però diciamo che hanno un certo livello (ad esempio di II o IV elementare), devo

dirvi che è un confronto, come dire, abbastanza relativo, nel senso che ci sono delle differenze

qualitative. Più facilmente il bambino con sindrome di Down compie errori di ortografia e ha una

certa difficoltà a mantenere gli apprendimenti, per cui fa degli errori. Per un po’ di tempo non li fa

più e poi va a finire che li fa ancora. Quindi, il confronto, in termini di quella che possiamo

chiamare età di lettura o di scrittura, è orientativo e non deve essere preso al 100%.

Le prestazioni in matematica sono di norma inferiori a quelle della lettura e scrittura. Questo

è dovuto anche al fatto che sono richieste basi cognitive più evolute.