L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal...

49
L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE di Roberto Massini 1.3.1 - Tecnica e tecnologia Tecnologia, dal greco, significa “studio della tecnica”. Secondo il Devoto Oli, la “tecnica” è il complesso di norme che regolano l’esecuzione pratica e strumentale di un’arte, di una scienza, di un’attività professionale; la “tecnologia” invece è lo studio sistematico delle scienze applicate relativamente alla trasformazione della materia prima in prodotti di impiego o di consumo. A partire dalla Rivoluzione scientifica si è affermata l’esigenza di fondare la conoscenza tecnica sul sapere scientifico che ha trovato compimento alla fine dell’Ottocento. Il passaggio dal sapere empirico al sapere teorico rivolto alle attività, alla pratica, è il passaggio dalla tecnica alla tecnologia. In ambito commerciale, il termine “tecnologia” è utilizzato per indicare, anziché la branca di conoscenze relative alle scienze applicate, le macchine e gli impianti che si basano su tali conoscenze nella loro applicazione alla produzione industriale. In una prospettiva di evoluzione storica, la tecnica, ovvero le procedure che permettono di ottenere un determinato risultato per lo più connesso ad abilità manuali, è generalmente basata su conoscenze empiriche tramandate da maestro ad apprendista, con un lento meccanismo di miglioramento evolutivo generato per tentativi ed errori (by trial and error) e valutazioni approssimative (rule of thumb). Una stratificazione conoscitiva, quindi, adatta per un contesto di riferimento sostanzialmente statico. Mentre la tecnologia, applicando alla tecnica le conoscenze scientifiche via via disponibili, permette di razionalizzarla, di evolverla ed anche di innovarla in maniera programmata e rapida, secondo parametri misurabili. Questo tipo di conoscenza è diventata indispensabile anche nel settore alimentare da quando i mutamenti legislativi e di mercato hanno assunto una dinamica crescente. La tecnica praticata dagli animali è basata sull’istinto ed è sostanzialmente generalizzata e ripetitiva in quanto finalizzata alla sopravvivenza della specie. Mentre la tecnica praticata dall’uomo, pur avendo alla radice l’adattamento all’ambiente per la sopravvivenza, è evolutiva in quanto si basa sul ragionamento, sulla intuizione e sulla creatività, potendo così raggiungere nel singolo individuo l’eccellenza artigianale e la sublimazione artistica. La tecnologia, d’altra parte, necessita dell’apporto di competenze e di professionalità plurime e complementari non solo nella applicazione alla produzione che distingue l’organizzazione industriale rispetto a quella artigianale, ma anche nella sua base scientifica. Anche la storia della tecnologia alimentare dimostra che le scoperte scientifiche individuali hanno avuto reale applicazione solo dopo l’intervento di altri ricercatori e, affinché tale meccanismo non sia casuale come nel passato, oggi l’approccio tecnologico è multidisciplinare per definizione. I prodotti alimentari sono il risultato di molteplici modificazioni, subite dalla materia prima durante la lavorazione e la conservazione, che possono essere quelle volute, oppure indesiderate e addirittura potenzialmente nocive. Per governare tali modificazioni in funzione degli obblighi di legge e delle esigenze del mercato, la “tecnologia alimentare” deve essere basata sulla “scienza alimentare”, per ottimizzare e innovare le tecniche operative e soluzioni impiantistiche. A sua volta, la scienza alimentare comprende le pertinenti conoscenze di base in ambito biologico, biochimico, microbiologico, chimico, fisico e chimico-fisico. L’applicazione tecnologica delle conoscenze scientifiche, oltre a tenere conto dei materiali, della componentistica meccanica e di automazione, sviluppati anche in settori molto diversi, utilizza strumenti computazionali, economici e statistici sia nella fase di progettazione, sia in quella produttiva, nell’ottica di un sistema di gestione del complesso formulazione-processo-prodotto finalizzato alla tenuta sotto controllo ed al miglioramento continuo delle prestazioni in termini di efficacia e di efficienza.

Transcript of L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal...

Page 1: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINEdi Roberto Massini

1.3.1 - Tecnica e tecnologia

Tecnologia, dal greco, significa “studio della tecnica”. Secondo il Devoto Oli, la “tecnica” è il complesso di norme che regolano l’esecuzione pratica e strumentale di un’arte, di una scienza, di un’attività professionale; la “tecnologia” invece è lo studio sistematico delle scienze applicate relativamente alla trasformazione della materia prima in prodottidi impiego o di consumo.A partire dalla Rivoluzione scientifica si è affermata l’esigenza di fondare la conoscenza tecnica sulsapere scientifico che ha trovato compimento alla fine dell’Ottocento. Il passaggio dal sapere empirico al sapere teorico rivolto alle attività, alla pratica, è il passaggio dalla tecnica alla tecnologia.

In ambito commerciale, il termine “tecnologia” è utilizzato per indicare, anziché la branca di conoscenze relative alle scienze applicate, le macchine e gli impianti che si basano su tali conoscenze nella loro applicazione alla produzione industriale.In una prospettiva di evoluzione storica, la tecnica, ovvero le procedure che permettono di ottenereun determinato risultato per lo più connesso ad abilità manuali, è generalmente basata su conoscenze empiriche tramandate da maestro ad apprendista, con un lento meccanismo di miglioramento evolutivo generato per tentativi ed errori (by trial and error) e valutazioni approssimative (rule of thumb). Una stratificazione conoscitiva, quindi, adatta per un contesto di riferimento sostanzialmente statico. Mentre la tecnologia, applicando alla tecnica le conoscenze scientifiche via via disponibili, permette di razionalizzarla, di evolverla ed anche di innovarla in maniera programmata e rapida, secondo parametri misurabili. Questo tipo di conoscenza è diventata indispensabile anche nel settore alimentare da quando i mutamenti legislativi e di mercato hanno assunto una dinamica crescente.

La tecnica praticata dagli animali è basata sull’istinto ed è sostanzialmente generalizzata e ripetitiva in quanto finalizzata alla sopravvivenza della specie. Mentre la tecnica praticata dall’uomo, pur avendo alla radice l’adattamento all’ambiente per la sopravvivenza, è evolutiva in quanto si basa sul ragionamento, sulla intuizione e sulla creatività, potendo così raggiungere nel singolo individuo l’eccellenza artigianale e la sublimazione artistica. La tecnologia, d’altra parte, necessita dell’apporto di competenze e di professionalità plurime e complementari non solo nella applicazione alla produzione che distingue l’organizzazione industriale rispetto a quella artigianale,ma anche nella sua base scientifica. Anche la storia della tecnologia alimentare dimostra che le scoperte scientifiche individuali hanno avuto reale applicazione solo dopo l’intervento di altri ricercatori e, affinché tale meccanismo non sia casuale come nel passato, oggi l’approccio tecnologico è multidisciplinare per definizione.

I prodotti alimentari sono il risultato di molteplici modificazioni, subite dalla materia prima durante lalavorazione e la conservazione, che possono essere quelle volute, oppure indesiderate e addirittura potenzialmente nocive. Per governare tali modificazioni in funzione degli obblighi di legge e delle esigenze del mercato, la “tecnologia alimentare” deve essere basata sulla “scienza alimentare”, per ottimizzare e innovare le tecniche operative e soluzioni impiantistiche. A sua volta, la scienza alimentare comprende le pertinenti conoscenze di base in ambito biologico, biochimico, microbiologico, chimico, fisico e chimico-fisico. L’applicazione tecnologica delle conoscenze scientifiche, oltre a tenere conto dei materiali, della componentistica meccanica e di automazione, sviluppati anche in settori molto diversi, utilizza strumenti computazionali, economici e statistici sia nella fase di progettazione, sia in quella produttiva, nell’ottica di un sistema di gestione del complesso formulazione-processo-prodotto finalizzato alla tenuta sotto controllo ed al miglioramento continuo delle prestazioni in termini di efficacia e di efficienza.

Page 2: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.2 - Evoluzione delle tecniche tradizionali

Il problema più pressante nella maggior parte della millenaria storia dell’uomo è stato quello di assicurarsi alimenti per soddisfare la fame. Tutto ciò che era edibile veniva mangiato senza alcuna preoccupazione per i valori nutritivi e la differenziazione delle diete dipendeva unicamente dalle condizioni ambientali e stagionali. Come per gli animali, la scelta individuale di accettabilità igienicadegli alimenti era basata sulle valutazioni sensoriali istintive (aspetto e odore); la definizione di tipologie vietate (alimenti tabù) o soggette a specifiche prescrizioni (alimenti medicamentosi) era invece riservata alle autorità che organizzavano e gestivano la vita collettiva.

Le fermentazioni che prevengono la putrefazione, l’essiccamento, il riscaldamento, la salatura e l’uso del freddo sono stati sempre alla base della conservazione degli alimenti, per ovviare alla precarietà di rifornimento delle materia prime; tuttavia rimasero pratiche utili ma misteriose della vita quotidiana fino al XIX secolo.In particolare, la caseificazione e la salamoiatura delle carni con disidratazione controllata da involucri semipermeabili (vescica, budelli, cotenna), che sono tecniche emblematiche delle produzioni alimentari parmensi, hanno origini antichissime e sono tuttora validissime dal punto di vista nutrizionale perché sono state tramandate attraverso i millenni per una selezione naturale (darwiniana) rispetto alle tante altre casualmente applicate. A tramandarle, infatti, sono state le tribù e le successive organizzazioni sociali che hanno avuto la prevalenza sulle altre per maggiore forza e abilità, certamente anche in virtù delle proprie abitudini alimentari. In effetti, in tutte le civiltà evolute, diverse modalità di trattamento degli alimenti si sono progressivamente differenziate rispetto alle pratiche individuali o familiari quali attività specifiche (arti) di un’organizzazione sociale sempre più strutturata. L’empirismo tradizionale, basato sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le pratiche alimentari alla lenta evoluzione delle modalità produttive e di consumo.

Nel secolo dei lumi la forte accelerazione delle dinamiche socio-economiche ha coinvolto nel processo di industrializzazione anche le “arti” alimentari, che poterono usufruire sia delle innovazioni tecniche più generali, sia di una nuova attitudine sperimentale degli addetti al settore, aperti ai nuovi afflati del razionalismo pragmatico. Nel Settecento, infatti, anche gli uomini di scienza mostrarono un interesse indiretto ai fenomeni di trasformazione e di alterazione dei prodotti alimentari, per giustificare o combattere la teoria della “generazione spontanea” e le sue implicazioni, non solo naturalistiche, chimiche e mediche, ma anche filosofiche, morali e religiose. Tuttavia le sperimentazioni di laboratorio non ebbero un reale effetto di guida razionale nello sviluppo delle pratiche alimentari neanche quando nel XIX secolo Pasteur e i successivi batteriologi diedero giustificazione teorica a fenomeni di trasformazione rimasti oscuri all’approccio puramente chimico. Solo nella prima metà del XX secolo, negli Stati Uniti d’America, furono poste le basi per la moderna tecnologia alimentare, ovvero per una ricerca scientifica di base espressamente orientata allo specifico settore produttivo, e capace di supportare l’innovazione e l’ottimizzazione dei processi rispetto ad esigenze sempre più differenziate e spesso non conciliabiliattraverso il semplice miglioramento tecnico incrementale.

Per maggiore precisione, lo sviluppo tecnologico alimentare è stato relativamente rapido per prodotti ottenuti con procedimenti fisici e/o chimici, senza un ruolo rilevante degli aspetti microbiologici ed enzimatici. Come esempi si possono citare in ordine temporale le produzioni di zucchero, di estratti di carne e di concentrato di pomodoro con elevato residuo secco. Anche la produzione della pasta secca ha avuto un’industrializzazione relativamente rapida, ma il passaggiodal lento essiccamento in condizioni naturali (incartamento al sole, rinvenimento in cantina umida eessiccazione vera e propria in stanzoni con aperture orientate secondo i venti prevalenti) a quello accelerato con aria riscaldata artificialmente ha eliminato dal processo l’incipiente fermentazione che, in funzione della specifica carica microbica ambientale, dava alla pasta di ciascun singolo produttore una caratterizzazione aromatica distintiva. Tale semplificazione e standardizzazione del processo, peraltro, è risultata commercialmente accettabile in quanto la caratterizzazione aromatica della pasta è prevalentemente affidata al condimento e la sua qualità commerciale è riferita alla “tenuta in cottura”. Nel caso dei salumi crudi, invece, la sostituzione delle condizioni climatiche naturali con la regolazione automatica di temperatura, umidità e velocità dell’aria è stata

Page 3: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

molto più ritardata perché la perdita delle caratteristiche aromatiche derivanti dalle modificazioni biochimiche faceva perdere ai prodotti le peculiarità qualitative che li distingueva dalla normale carne secca e/o salata. Pertanto, è stato necessario acquisire preliminarmente le conoscenze scientifiche che, interpretando l’effetto delle modalità di lavorazione tradizionali sulle modificazioni microbiologiche e/o enzimatiche, hanno permesso di individuare le condizioni di meccanizzazione che permettessero di riprodurle. Altrettanto si può dire per il settore caseario, ma nel caso specificodel formaggio Parmigiano Reggiano l’industrializzazione è stata, ed è tuttora, molto più limitata rispetto al Grana Padano: gli obblighi di Disciplinare sono più vincolanti ma (in una situazione ideale) permettono di mantenere una superiorità qualitativa riconosciuta dal consumatore anche in termini di sovrapprezzo, così da remunerare il maggiore costo della materia prima e della lavorazione artigianale.

Questa diversa velocità di sviluppo tecnologico ha perpetuato fin quasi ai giorni nostri una netta separazione culturale ed organizzativa tra l’industria alimentare vera e propria, orientata al mercatoe insofferente di vincoli territoriali per l’acquisto delle materie prime, e le cosiddette “industrie agrarie”, subordinate agli interessi della produzione primaria e restie ad adeguarsi a nuove logiche di mercato.

I due settori produttivi tradizionali, quelli del formaggio e quello dei salumi, fino a pochi decenni fa sono rimasti strettamente collegati non solo per l’assetto policolturale dell’economia agricola, ma anche per l’utilizzo del siero dolce, risultante dalla coagulazione della massa caseosa nella alimentazione dei suini nella loro fase di ingrasso finale. Ciò era possibile perché era normale avere la porcilaia a fianco del casello per la produzione di formaggio. Oggi non è più così perché, mentre la caseificazione del parmigiano reggiano permane molto frammentata, gli allevamenti di suino pesante si sono molto concentrati per economie di scala. D’altra parte, mentre il Disciplinare del Formaggio Parmigiano Reggiano DOP fa coincidere la zona di produzione del latte con quella di caseificazione, i Disciplinari dei più celebri salumi DOP Prosciutto di Parma e Culatello di Zibello consentono l’allevamento della materia prima in una zona geografica molto ampia rispetto aquella della trasformazione.

Page 4: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.3 - Le prime industrie alimentari

L’impiego del termine “tecnologia” per indicare le macchine e gli impianti che permettono di effettuare processi produttivi con ridotto apporto manuale può essere fatto risalire alla “rivoluzione industriale”, iniziata in Inghilterra tra il 1760 e il 1780. Il nuovo assetto produttivo fu reso possibile dalla concomitanza di molti fattori socio-economici: tra questi vi è la disponibilità di manodopera urbanizzata per una radicale trasformazione subita dall’agricoltura (da campo aperto a enclosures), e di un nuovo ceto borghese con spirito imprenditoriale, che traeva dalla maggiore produttività agricola interna e dalle colonie i capitali necessari per sfruttare, a livello di grandi complessi produttivi, le conoscenze scientifiche fino ad allora rimaste a livello di applicazione potenziale. In una prima fase, si studiarono nuove forme di energia; in una seconda, i mezzi per sostituire la manodopera; in una terza fase, si cercarono mezzi per ridurre il costo del lavoro. Nel settore siderurgico la sostituzione della legna con il coke e la raffinazione della ghisa hanno costituito una vera innovazione di processo e di prodotto. Nel settore tessile l’elemento determinante dell’industrializzazione è stata l’uso della “macchina a vapore” (inventata nel 1712 daThomas Newcome e sviluppata nel 1775 da James Watt) come macchina motrice per i grandi telaimeccanici e l’applicazione tecnologica delle conoscenze scientifiche ha riguardato prevalentemente la costruzione e l’evoluzione di tali macchine; i prodotti erano invece quelli tradizionali e le condizioni del processo erano ancora gestite per lo più con la tecnica empirica. Comunque, la prima industrializzazione ha riguardato la produzione di materie prime e semilavorati; i manufatti (con l’eccezione delle ceramiche) continuavano ed essere realizzati solo artigianalmente.

Dopo il Regno Unito, la rivoluzione industriale ha interessato nell’ordine la Francia, la Germania, gliStati Uniti, la Svezia e il Giappone. In Italia il processo di industrializzazione è stato molto più lento,e non solo per la mancanza di materie prime e di un mercato coloniale. Nel secolo scorso l’aggiornamento tecnologico del settore alimentare scontava un ritardo di 20-30 anni rispetto all’ambito chimico e farmaceutico, sia perché il mercato interno era protetto sia perché la ricerca scientifica in ambito alimentare era culturalmente orientata agli interessi agricoli.Anche la prima industrializzazione alimentare ha riguardato ingredienti e semilavorati: a partire dalla Germania, per la fabbricazione dello zucchero di barbabietola; e dalla Francia, per le conserve alimentari. Due settori che hanno interessato rapidamente proprio Parma.

Page 5: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.4 – Il formaggio parmigiano

Sono stati i monaci benedettini e cistercensi del XII secolo a mettere a punto la tecnica originaria diproduzione del formaggio Parmigiano Reggiano che permetteva di ottenere forme di grande dimensione con una struttura interna (grana) tale da mantenere una gradevole commestibilità, anche dopo una lunga conservazione. La produzione di formaggio tipo grana si è diffusa lungo la via Emilia, presso corsi o sorgenti d’acqua che consentivano di avere abbondante pascolo per l’allevamento bovino, in corrispondenza delle abbazie medioevali che potevano permettersi “vaccherie” sufficientemente grandi da fornire giornalmente il latte necessario per almeno una forma da 13-18 chilogrammi. La primogenitura parmense, probabilmente, è stata favorita dalla disponibilità del sale ottenuto dalle sorgenti di acque salmastre come quelle di Salsomaggiore. Fatto sta che anche il formaggio prodotto nel lodigiano veniva chiamato parmigiano. Nel ‘400 il monastero di San Giovanni aveva 4 caseifici: 2 a Parma e 2 a Reggio Emilia, gestiti da affittuari. Il Duca di Parma Ranuccio I Farnese, che aveva espropriato vaccherie ecclesiastiche e nobiliari, allasua morte nel 1622 lasciò 15 aziende che producevano formaggio nel parmense e 3 nel piacentino. Nel ‘700 furono i colti gesuiti a introdurre un approccio razionale alla gestione delle lorovaccherie e a introdurre sotto il salatoio di un caseificio un magazzino sotterraneo che, grazie all’effetto naturale di refrigerazione, permetteva di ridurre la tendenza al gonfiore delle forme “tareggiate” durante i mesi caldi. Ma nel 1768 i gesuiti furono cacciati dal Ducato di Parma e con loro si interruppe l’approccio razionale allo sviluppo della tecnica casearia.

Cusatelli e Razzetti richiamano una pubblicazione del 1766 del mercante e viaggiatore francese Jean-Claude Flachat, nella quale è descritta la lavorazione del formaggio come era praticata a Parma in quei tempi. Un secolo più tardi, nel 1855-1856, Edmond e Jules de Goncourt, appassionati di arte e di storia, prima ancora che scrittori di successo, nel loro viaggio in Italia, annotano dettagliatamente le modalità di produzione del formaggio “Parmesan” applicate in un caseificio presso Milano. I fratelli Goncourt avevano visitato anche Parma, ma di questa città non lodano il formaggio, bensì l’eccezionale bellezza del teatro Farnese; come se avessero condiviso l’osservazione fatta nel 1734 dall’erudito lionese Pierre de Ville in merito al fatto che i parmigiani non gradivano essere celebrati per l’eccellenza del loro formaggio.

Confrontando le due descrizioni letterarie, risulta che la tecnica di caseificazione era sostanzialmente la stessa, anche con riferimento all’aggiunta di zafferano. A proposito di questo ingrediente - comune ad altri formaggi di antica tradizione come il siciliano “Piacintinu Ennese” e il “Bagòss” di Bagolino nell’alto bresciano - si può ritenere che originariamente il suo impiego non fosse dovuto alla possibilità di conferire colore e aroma, bensì per il potere “astringente” attribuitogli dalla medicina tradizionale, e certamente ben noto agli speziali dei monasteri medioevali. D’altra parte, oggi sono note le proprietà antiossidanti e antibatteriche che accomunano lo zafferano a altre spezie impiegate nei salumi fin dall’antichità nonostante il loro altocosto e che, insieme al sale (ed eventualmente agli altri componenti delle acque salso-bromo-iodiche del parmense), permettono di controllare l’accrescimento della flora microbica selezionando quella non patogena.

Nel 1896 Carlo Rognoni, nel suo scritto “Per la storia del formaggio di grana”, richiama la delibera della Camera di Commercio di Milano dell’anno precedente che riservava la denominazione “parmigiano” al formaggio di Lodi e delle altre province lombarde e la denominazione “reggiano giallo” a quello prodotto a Parma e nelle province limitrofe, sostenendo che “l’epiteto di giallo” era stato aggiunto “per distinguerlo dal vero lodigiano, la cui pasta esposta all’aria suole impallidire e, talora, perfino diventar verdastra”. Nella nota “2”, relativa al termine “grana”, Rognoni precisa che la colorazione gialla è dovuta all’impiego di zafferano, ma che i Lodigiani preferivano usare l’anattoo estratto di oriana (dai semi di un arbusto tropicale) perché con lo zafferano i loro formaggi, esposti all’aria, diventavano verdognoli. Sulla base di questa pubblicazione di Carlo Rognoni, la Camera di Commercio di Parma rivendicò il diritto territoriale del “vero formaggio parmigiano a pasta gialla inalterabile”.

Tra fine ’800 e inizio ‘900 si hanno importanti innovazioni nella tecnica di caseificazione che hanno permesso di ridurre gli scarti e di migliorare, quindi, l’economia produttiva. Anzitutto l’introduzione

Page 6: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

del sieroinnesto autoprodotto dagli stessi caseifici (analogamente al lievito madre tradizionalmente impiegato nella panificazione), reso possibile dagli studi di Pellegrino Spallanzani (P. Spallanzani. L’inoculazione nella fabbricazione del Grana, Le Stazioni Sperimentali Agrarie Italiane, 28 [1] 1895,43-525). In effetti Pellegrino Spallanzani aveva inizialmente sperimentato un lattoinnesto, ma nella pratica produttiva si era affermato l’uso del sieroinnesto, successivamente perfezionato da G. Fascetti, che era succeduto allo Spallanzani nella direzione della Scuola di zootecnia e di caseificio di Reggio Emilia.

Come nel caseificio presso Milano visitato dai fratelli Goncourt9, anche nei caselli del parmense e del reggiano si diffonde l’impiego del termometro di vetro a colonna di mercurio che, rispetto al gomito del casaro, permetteva di tenere realmente sotto controllo le fasi di processo in caldaia. Si trattava di termometri con scala octogesimale in gradi Réaumur (dal nome dello scienziato francese René Antoine Ferchault de Réaumur che lo aveva introdotto nel 1730), il cui impiego era stato abbandonato in Francia già nel 1790 a favore dei gradi Celsius ma è sopravissuto fino ai giorni nostri nella produzione di Parmigiano Reggiano, Grana Padano e di formaggi delle Alpi svizzere.

Nella provincia di Parma i caselli per il formaggio “di grana” erano 130 nel 1870, circa 170 dieci anni dopo e 220, con 266 caldaie, nel 189611. Alla fine dell’800, oltre ai 220 caseifici di Parma (cheesportava il 10% della produzione), ve ne erano 385 a Reggio e 166 a Modena. Nel 1906 i caseificierano complessivamente 1.200 (circa un quarto dei caseifici italiani), circa 2.600 nel 1930; mentre nel 1966 si erano ridotti a 1.850 (il 72% dei quali erano sociali)7. Oggi aderiscono al Consorzio di tutela della DOP 429 caseifici, che producono annualmente circa 3 milioni di forme, e 24 laboratori di grattugia.

Ai primi anni del ‘900 risalgono le prime latterie sociali, le cooperative e i magazzini di stagionatura,nonché le attrezzature produttive che sostanzialmente sono tuttora applicate: oltre al sieroinnesto, si diffondono lo spino metallico a gabbia Notari e le caldaie riscaldate a vapore. Tuttavia, nel 1955 il 20% delle caldaie erano ancora a riscaldamento diretto con bruciatore a gas (A. Folloni. Il “Grana” Parmigiano-Reggiano prodotto tipico superlativo della terra emiliana, Latte 1955 29, 55-58).

Ancora oggi il Disciplinare di produzione della DOP prescrive l’impiego di “caldaie di lavorazione inrame di forma troncoconica per la produzione di non più di due forme” (con pezzatura minima 24 chilogrammi e massima 40 chilogrammi), impedendo quindi l’introduzione delle grandi “polivalenti” impiegate nell’industria casearia. La lavorazione della panna separata dal latte della munta serale e la burrificazione non hanno limitazioni di Disciplinare, ed è stata libera l’introduzione delle centrifughe e delle zangole, anche se di piccola capacità per la dimensione artigianale della caseificazione. Solo negli anni ’90 si è diffuso l’impiego degli agitatori meccanici (limitatamente alla“rotella”), e in modo più ridotto, quello delle fermentiere termostatate e delle vasche di salatura profonde con gabbie motorizzate. La “spinatura” è fatta tuttora prevalentemente a mano ed è appena iniziata la meccanizzazione delle fasi di estrazione e di movimentazione della massa caseosa. Più rapida è stata la climatizzazione artificiale dei locali di stagionatura, grazie all’esperienza mutuata dal settore dei salumi crudi, e la meccanizzazione delle operazioni di movimentazione, spazzolatura e voltatura delle forme e pulitura delle tavole (oggi vi sono grandi magazzini di stagionatura completamente robotizzati). La crescita della grande distribuzione ha comportato l’esigenza di porzionare e confezionare il formaggio per la vendita al dettaglio e anche di offrirlo pre-grattugiato, scagliato o cubettato. Questa appendice alla lavorazione casearia, ovviamente, è stata fin dall’inizio caratterizzata da un elevato grado di meccanizzazione. Pertanto, mentre la caseificazione è rimasta obbligatoriamente artigianale sia come manualità, sia come dimensione, sono state industrializzate e concentrate negli ultimi decenni le fasi produttive a monte(alimentazione delle bovine, mungitura, raccolta e distribuzione del latte) e a valle (stagionatura, porzionatura e confezionamento), che hanno subito una maggiore centralizzazione in grandi strutture.

Rispetto alla caseificazione, la produzione primaria ha avuto negli ultimi decenni una dinamica molto maggiore, con la selezione di bovine e la mangimistica finalizzate al continuo incremento del

Page 7: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

volume di latte prodotto giornalmente, allo stesso modo di quanto avveniva per gli allevamenti da latte da consumo. Di conseguenza, è stato necessario ricorrere sistematicamente ai trattamenti farmacologici di profilassi e di cura delle mastiti (al punto di dovere chiedere una deroga specifica per il contenuto massimo di cellule somatiche), e la carriera delle bovine si è accorciata drasticamente, con corrispondenti costi di produzione aggiuntivi che vanificavano i vantaggi della maggiore produttività. Una conseguenza assurda è stata la necessità per i caseifici di sostituire le caldaie tradizionali con quelle attuali di maggiori dimensioni, per riuscire ad ottenere con latte a minore resa casearia forme con il peso minimo stabilito dal Disciplinare (originariamente 24 chilogrammi ed oggi 30 chilogrammi per esigenze di massima resa nel taglio a spicchi). Il tutto è difficilmente comprensibile per una filiera di produzione e trasformazione così strettamente integrata quale è quella del formaggio Parmigiano Reggiano. Questa politica della quantità è proseguita addirittura quando già erano entrate in vigore le “quote latte”.

Fin dal XV secolo il parmigiano migliore era il ”maggengo” (ottenuto dal latte munto in primavera-estate), e ancora all’inizio del secolo scorso la caseificazione avveniva in 120-180 giorni all’anno, in base alla disponibilità di foraggio. Anche successivamente, era considerato di qualità migliore il formaggio “maggengo” (prodotto fra aprile e novembre) caratterizzato dal colore giallo paglierino della pasta, non per l’uso di zafferano, ma dovuto al fatto che durante l’inverno le vacche erano alimentate con foraggio verde (in particolare erba medica), anch’esso ricco di carotenoidi; il “vernengo” aveva invece la pasta più pallida perché in quei mesi le vacche erano alimentate prevalentemente con fieno. Ovviamente, il colore era solo un segnale esteriore di una qualità aromatica, apportata soprattutto dalle essenze dei foraggi derivanti dai pascoli stabili collinari. Nel 1984 è stata abolita la distinzione tra le qualità commerciali “maggengo” e “vernengo”, con la motivazione che le tecniche di allevamento si erano evolute al punto da consentire una produzionedi formaggio qualitativamente equivalente in ogni mese dell’anno. In effetti, la mangimistica per produzione forzata era destagionalizzata e il colore del Parmigiano Reggino era diventato mediamente più simile a quello del Grana Padano, con buona pace per Carlo Rognoni che aveva difeso con passione la peculiarità cromatica del vero parmigiano. Lo standard di mercato era ormaiquello della pasta bianca imposto dai grossisti che avevano nel Grana Padano il maggiore interesse economico; e che hanno ormai convinto quasi tutti i caseifici a fare escludere l’uso di foraggio fresco anche negli allevamenti più tradizionali.

A partire dalla fortunata esperienza delle “vacche rosse” nel reggiano, anche nel parmense alcune impres,e a ciclo integrato e con autonomia commerciale, hanno trovato economicamente conveniente tornare alle tecniche di allevamento tradizionali, utilizzando razze rustiche meno esposte alle malattie e con una alimentazione meno forzata, ottenendo un formaggio di qualità superiore a quella media e premiata dal mercato, in quanto riconosciuta come tale dal consumatore più esigente. Ma si tratta pur sempre di piccole nicchie di mercato. Per la stragrande maggioranza dei caseifici è diventato progressivamente più difficile sopravvivere con un prodotto sempre più simile al diretto concorrente anche come prezzo di mercato, ma con costi di produzione decisamente più elevati. Una contraddizione economico-commerciale che si somma a quella di una cultura pre-tecnologica che ha creduto di poter ottenere un prodotto finito di alta qualità, mantenendo tradizionale la trasformazione, ma non la produzione della materia prima latte.Oltre alle ben note proprietà nutrizionali, il Parmigiano si caratterizza rispetto a molti altri formaggi per un contenuto notevolmente inferiore di tiramina e istamina, ammine biogene responsabili di reazioni pseudoallergiche in soggetti sensibili. La ragione non è nota ed è, quindi, necessario rispettare per quanto possibile integralmente la tradizione produttiva.

Di seguito è sintetizzata la tecnologia del formaggio Parmigiano Reggiano, con l’evoluzione delle attrezzature impiegate. I dettagli operativi delle singole fasi possono variare sensibilmente tra le diverse province ed anche tra singoli casari di diverse “scuole”.

Il latte per la caseificazione, oggi ottenuto da vacche per lo più di razza “frisona”, deve provenire esclusivamente da allevamenti con collocazione geografica, modalità di allevamento e alimentazione conformi al Disciplinare della DOP. Poiché il Disciplinare di produzione non permettel’impiego di sostanze antimicrobiche, nel latte deve essere minimizzata la presenza di spore di clostridi butirrici: batteri anaerobi di origine tellurica responsabili di gonfiori tardivi del formaggio. A

Page 8: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

tale fine, le lattifere non possono essere alimentare con foraggio insilato; il foraggio e il fieno non devono inglobare terriccio; e nella mungitura deve essere evitata la contaminazione fecale che veicola nel latte le spore batteriche, indipendentemente dalla successiva filtrazione. Il latte proveniente da vacche affette da mastite o sottoposte a terapia antibiotica non ha attitudine casearia e provoca difetti nel prodotto: sono disponibili appositi test rapidi per escluderlo, anziché miscelato a quello normale. Nel periodo estivo, tra la mungitura e la consegna al caseificio, il latte deve essere solo raffrescato, non refrigerato, per mantenere la sua attitudine alla lavorazione specifica. Nella raccolta, nel trasporto e nello scarico non si devono utilizzare contenitori con grande spazio libero, che provochi sbattimento; e pompe centrifughe, che comportano un effetto diomogeneizzazione dei globuli di grasso. Il latte della sera, disteso in vasche larghe e basse, subisce una lenta scrematura per affioramento spontaneo (in campo gravitazionale, non centrifugo) dei globuli di grasso di dimensione superiore a quella colloidale, i quali trascinano per affinità superficiale parte della flora microbica, con particolare riferimento alle spore di clostridi butirrici, comunque presenti. Dagli anni ’60-‘70 le vasche sono di acciaio inossidabile e possono essere dotate di sistemi di spruzzaggio di acqua sul fondo per il raffrescamento nei mesi più caldi. Tenuto conto del fatto che le tossine stafilococciche non sono inattivate dal trattamento termico in caldaia, è necessario non superare la temperatura di 15-18°C per evitare che nella sosta di 8-9 orel’eventuale carica iniziale di Staphylococcus aureus raggiunga concentrazioni dell’ordine di 106 cellule/g, tali da comportare una presenza rilevante di tossina. Durante la notte, comunque, si ha un accrescimento della flora microbica di interesse caseario (maturazione del latte).

All’alba la panna è separata con un piatto fondo “spannarola” e il latte scremato è fatto scendere per gravità nelle sottostanti caldaie, nelle quali è già stato immesso il latte della munta mattutina, misurando il volume delle due aliquote con un’asta graduata, originariamente di legno e poi metallica. Questa modalità di parziale scrematura del latte comporta nel formaggio un contenuto digrasso pari al 40-45% sulla sostanza secca. Attualmente la movimentazione del latte può essere effettuata con sistemi automatici comprendenti pompe e flussimetri. Le caldaie di rame, a forma di campana rovesciata per favorire la sedimentazione sul fondo della massa caseosa, originariamente erano sospese su un braccio mobile, che permetteva di spostarle al di sopra o a fianco del fuoco a legna sottostante. Nella seconda metà dell’’800 è iniziata la sostituzione del fuoco a legna con bruciatori a gas e, successivamente, l’introduzione del riscaldamento indiretto a vapore. Attualmente le caldaie di rame con doppio fondo a vapore a flusso regolabile hanno capacità di circa 12 quintali di latte, che permette di ottenere 2 forme “gemelle”. A partire dall’inizio del ‘900, alla miscela di latte, si aggiunge un’aliquota di sieroinnesto acidificato: del siero risultante dalla lavorazione del giorno precedente e lasciato fermentare - inizialmente in damigiane, oggi in fermentiere termostatate - così da costituire un inoculo naturale di batteri lattici omofermentanti selezionati dalle condizioni di lavorazione specifiche. Questo inoculo - che ha permesso di ridurre la difettosità della produzione, evitando l’occasionale prevalenza di forme microbiche non casearie - è diventato indispensabile con le attuali condizioni igieniche dei caseifici e, soprattutto, con l’abbandono delle attrezzature di legno e con l’impiego di detergenti e sanificanti che impediscono la specifica colonizzazione ambientale sulla quale si basava la tecnica tradizionale.

Prima di utilizzare il sieroinnesto, il casaro ne valuta l’acidità (alla valutazione sensoriale si è aggiunta la titolazione con soda a viraggio cromatico) per stabilirne il dosaggio o, in casi estremi, per sostituirlo con quello di un altro caseificio. Attualmente sono disponibili sistemi di dosaggio automatico del sieroinnesto. La miscela di latte, sotto lenta agitazione con la rotella (originariamente di legno, oggi di teflon e meccanizzata), è sottoposta alla prima fase di riscaldamento a 22-23°C e, dopo avere aggiunto il caglio o pressame (ottenuto dall’abomaso, quarto stomaco, di vitello da latte), la temperatura viene portata e mantenuta a 32-33°C, così da ottenere la coagulazione in 10-15 minuti. Anticamente, la temperatura era valutata sensorialmente;tra il XIX e il XX secolo si è diffuso il termometro di vetro a colonna di mercurio con galleggiante di sughero; e negli anni ’80-’90 è stato introdotto il termometro elettronico con ampio display per lettura a distanza. Gli enzimi proteolitici del caglio, in particolare la chimosina, e in misura minore quelli già presenti nel latte idrolizzano, selettivamente il C-terminale dalla k-caseina idrofila, che è disposta sulla superficie delle micelle caseiniche native e ne stabilizza la dimensione colloidale (tale da farle rimanere stabilmente in sospensione nella fase acquosa). Questo attacco proteolitico,insieme alla presenza di ioni calcio, comporta l’aggregazione delle altre caseine idrofobe con

Page 9: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

formazione di una struttura continua caratterizzata da legami tridimensionali tra gruppi fosforici e ioni calcio, elastici anche se a bassa resistenza meccanica; l’originario sistema disperso tipo “sol” (particelle solide di dimensioni colloidali sospese in una fase liquida) si è trasformato in un sistema disperso tipo “gel” (particelle colloidali di fase liquida disperse in una fase solida).

Accertata sensorialmente la raggiunta coagulazione (a tutt’oggi non sono disponibili sistemi di valutazione strumentali adeguati), il casaro rompe la cagliata fino a ridurla in granuli della dimensione di un chicco di frumento. Anticamente si utilizzavano rami secchi di biancospino (dal quale derivano i termini “spino” e “spinatura” tuttora in uso); poi un attrezzo metallico; ed oggi quello di acciaio inossidabile con lame disposte a gabbia sferoidale. Oggi si impiegano spini motorizzati, ma la prima fase di rottura della cagliata è effettuata ancora manualmente. Sotto agitazione, si effettua una prima cottura raggiungendo lentamente circa 45°C e una seconda cottura con riscaldamento rapido fino a circa 55-56°C. Tolto il “fuoco” e fermata l’agitazione, i granuli di cagliata sedimentano sul fondo della caldaia e la massa caseosa vi permane per 45-60 minuti, praticamente senza raffreddarsi. Questo trattamento termico comporta diveersi effetti: la modificazione strutturale (denaturazione) delle caseine del latte, con espulsione di parte dell’acquainglobata e aumento di densità dei granuli, un effetto pastorizzante tale da distruggere adeguatamente (con 5-6 riduzioni decimali) i batteri patogeni non sporigeni (quelli infettivi ed anche gli stafilococchi tossinogeni), la selezione con incipiente accrescimento dei batteri lattici termofili (più termoresistenti dei mesofili) e anche la selezione degli enzimi che eserciteranno la loro attività nel lungo periodo di stagionatura. Successivamente la massa caseosa viene delicatamente sollevata con la pala (tuttora si impiega quella di legno e l’operazione non è automatizzabile) e raccolta in una tela di canapa annodata su due bastoncini di legno per la movimentazione. L’accrescimento dei batteri lattici comporta una progressiva acidificazione, per la trasformazione metabolica del lattosio in acido lattico, con conseguente espulsione di acqua dai granuli caseinici (spurgo) e loro adesione.

La massa caseosa, divenuta sufficientemente coerente, viene tagliata in due parti uguali (oggi sono disponibili attrezzature dette “gemellatrici” per il taglio semiautomatico), le quali sono raccoltein due tele che - dopo essere state appositamente manipolate per ridurre e posizionare la “bocca” (corrispondente al taglio) in una zona che corrisponderà ad uno spigolo tra un “piatto” e lo “scalzo”,- sono annodate su un bastone trasversale per mantenere le due “gemelle” prima semi-immerse nel siero e poi in completa emersione per la sgrondatura. Il siero dolce è inviato alla centrifuga scrematrice per recuperare la frazione grassa residua destinata alla burrificazione; l’aliquota necessaria alla produzione del sieroinnesto per il giorno successivo è posta nella fermentiera. Il siero restante è destinato alla produzione di ricotta, oppure al ritiro per destinazione zootecnica (raccolto in serbatoi refrigerati se è destinato alla produzione di disidratato di buona qualità). I fagotti di massa caseosa sono portati sullo “spersole” (piano di legno leggermente inclinato per agevolare il drenaggio del siero) e compressi all’interno di stampi cilindrici costituiti da una “fascera” a diametro variabile sormontata da un disco di compressione detto “tondello” (originariamente di legno ed oggi di teflon), per proseguire la fermentazione lattica e lo spurgo del siero. Ogni 3-4 ore i fagotti sono estratto dagli stampi, rivoltati e di nuovo compressi, con cambio della tela. Il giorno successivo le forme liberate dalla tela sono inserite in fascere metalliche bombate (oggi di acciaio inossidabile con interposta una “matrice” di teflon che stampiglia sullo scalzo la puntinatura e la codificazione del caseificio e del lotto). Anche se la diversa velocità di raffreddamento degli strati esterni rispetto a quelli interni comporta una diversa velocità del metabolismi batterico, già dopo le prime 48 ore di questa fase, risulta praticamente completata la glicolisi del lattosio, del glucosio e del galattosio ad opera dei batteri lattici termofili, prevalentemente omolattici. Quando la temperatura scende al di sotto di circa 45°C, si ha anche un limitato accrescimento della flora lattica eterofermentante, responsabile della produzione di acido acetico e di anidride carbonica. Dopo tre giorni complessivi di formatura per compressione e spurgo, le forme hanno acquisito completa coesione e stabilità dimensionale e sono sottoposte a salagione in salamoia satura. Le vasche “orizzontali” tradizionali (prima in muratura e poi di vetroresina), con le forme galleggianti di costa o di piatto in monostrato e rigirate manualmente ogni due giorni, sono state in buona parte sostituite dalle vasche “verticali” a completa immersione,con le forme sistemate su telai a più ripiani movimentati con carroponte e con ricircolo della salamoia. Per scambio osmotico, si ha la penetrazione del sale nelle forme e fuoriuscita di acqua

Page 10: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

dalle stesse. La velocità di trasferimento di massa tra salamoia e superficie solida è limitata dalla polarizzazione di concentrazione dell’interfaccia che, a sua volta, dipende dal regime di moto relativo (convezione naturale nelle vasche orizzontali a galleggiamento e convezione meccanica inquelle verticali ad immersione).

Comunque, all’interno della fase solida (compatta e senza canalicoli capillari) il trasferimento in controcorrente di sale e di acqua avviene per lenta diffusione molecolare (meccanismo di Fich) in funzione del gradiente di concentrazione. Nel corso della salatura, che dura 20-30 giorni secondo iltipo di salatoio, si completa la fermentazione lattica e lo spurgo del siero (con un calopeso del 4-5%) e l’attività microbiologica è controllata dal pH, dall’attività dell’acqua (aw), dall’esaurimento del lattosio e dalla formazione di batteriocine (metaboliti dei batteri lattici che inibiscono altre forme microbiche). Dopo 24 ore di asciugatura forzata in “camera calda”, finalizzata alla formazione della crosta per limitare la successiva perdita di umidità, le forme sono toelettate (rifilatura, eventuale asportazione di difetti superficiali e stuccatura); e, quindi, trasferite nel locale di stagionatura fresco, asciutto e ventilabile, sulle scalee (scaffalature con piani di legno).

Ogni 30 giorni le forme sono sono rivoltate e spazzolate a secco. La spazzolatura serve per evitarel’accrescimento di feltri fungini (muffe). Dal 2002 non è permessa l’oliatura della crosta, per la quale anticamente si utilizzava il burro, e in epoca moderna olio di semi di lino. Anche le tavole di legno devono essere sistematicamente pulite per prevenirne l’infestazione da parte di parassiti. Le forme devono stagionare come minimo 12 mesi per poter ricevere, dopo espertizzazione sensoriale (visiva, acustica al martello e, eventualmente, tattile e olfattiva con ago), il marchio a fuoco della DOP.

La “maturazione” del formaggio consiste in una profonda trasformazione compositiva ad opera degli enzimi glicolitici, proteolitici e lipolitici, selezionati dalle condizioni di lavorazione tra quelli presenti naturalmente nel latte e quelli rilasciati dai batteri lattici che si sono accresciuti nelle fasi precedenti. L’attività proteolitica, con la progressiva ma parziale scissione delle caseine in peptoni, peptici, oligopeptidi e amminoacidi liberi, viene svolta prevalentemente nei primi 6 mesi di stagionatura, e cessa sostanzialmente dopo 24 mesi. Mentre la cinetica della lipolisi è quantitativamente più uniforme e prosegue dopo tre anni di invecchiamento del formaggio, anche se riguarda inizialmente gli acidi grassi a corta catena, poi quelli a media catena e infine quelli a lunga catena. L’evoluzione di queste trasformazioni biochimiche, che determinano le peculiari caratteristiche sensoriali e nutrizionali del prodotto, è condizionata soprattutto dalla progressiva riduzione della mobilità dell’acqua all’interno della matrice caseosa.

Il calo peso delle forme raggiunge il 10-12% dopo 12 mesi; nel successivo invecchiamento il calo peso è molto più limitato e, all’attività enzimatica ridotta si aggiungono modificazioni di natura prevalentemente fisica (aggregazioni e segregazioni strutturali che determinano le peculiari caratteristiche meccaniche al taglio ed alla masticazione). I moderni magazzini di stagionatura - con particolare riferimento a quelli più grandi degli istituti bancari che detengono il prodotto in pegno sui prestiti concessi ai caseifici - sono completamente meccanizzati e automatizzati sia per il condizionamento igro-termico (15-20°C e 80-85 UR%) sia per la movimentazione delle forme sulle scalere (scalonatrici) e per la pulitura.

Page 11: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.5 - I salumi

Con il termine “salumi” si comprende un’ampia gamma di prodotti a base di carne, per lo più suina,conservati mediante l’impiego combinato di sale, spezie, nitriti e/o nitrati, e di parziale disidratazione (con l’apporto del fumo quando l’asciugamento è effettuato presso un fuoco a legna). I salumi possono essere distinti sinteticamente in diverse categorie: quelli costituiti da tagli anatomici interi e quelli composti da pezzi o triti più o meno fini di tagli magri e grassi; quelli protettiall’esterno da cotenna (con sugna nelle parti scoperte) e quelli insaccati in budelli naturali più o meno grassi e di diverse dimensioni, oppure in budelli artificiali o sintetici; quelli stagionati e consumati crudi o previa lessatura, e quelli cotti all’atto stesso della preparazione; quelli fermentati,quelli che subiscono solo maturazione enzimatica e quelli sostanzialmente esenti da attività biochimica. Le combinazioni tra queste alternative, insieme ai diversi tagli di carne e alle diverse modalità operative, comportano una grande differenziazione di presentazione e percezione sensoriale tra i prodotti, anche a parità di tipologia base.

In Emilia e, in particolare, nel parmense la tradizione di preparare salumi è stata certamente favorita dalla disponibilità del sale proveniente dalle vicine acque ipertoniche di Salsomaggiore, e anche per l’effetto antibatterico dovuto all’elevato contenuto di ioduri e bromuri che, probabilmente,ha permesso di ottenere salumi con un contenuto relativamente basso di sale e di spezie; e questoli ha resi più apprezzati rispetto a quelli di altre regioni. Secondo l’Unione Parmense degli Industriali - che peraltro non cita la fonte - la duchessa Maria Luigia d’Austria stimolava i contadini a produrre prosciutti “sempre più dolci”14. Il clima collinare sub-appenninico ha caratterizzato le tecnica di lavorazione del prosciutto e del salame; quelle del “prosciutto senz’osso” (culatello e fiocco) e della “spalletta” (o spalla di San Secondo) sono invece state determinate dalla elevata umidità e dalla scarsa ventilazione della Bassa, incompatibile con la lavorazione di cosce e spalle in osso. Sono molte le fonti letterarie, tra le quali gli scritti sui viaggi in Italia di intellettuali francesi nella fine del XVIII secolo, che citano come specialità gastronomiche di Parma, oltre al formaggio, il prosciutto, la spalletta e la bondiola.

L’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli, nell’acquaforte del 1691, intitolata “Gioco della Cucagna che mai si perde e sempre si guadagna”, nella figura con didascalia “Investiture di Parma” rappresenta un insaccato che in genere è identificato come bondiola o coppa, mentre appare troppo piccolo per essere un culatello come alcuni rivendicano16. Per inciso, Piacenza è associata al formaggio, con una punta di grana; Reggio, alle spongate. In effetti il termine “bondiola”, più che al contenuto si riferisce al budello utilizzato: grande di bovino e tale da acquisireuna forma tondeggiante; cosicché il salume così denominato può essere sia una coppa stagionata cruda, sia una sorta di cotechino da mangiare previa lessatura. D’altra parte, oltre alla spalla di San Secondo, anche quello che oggi è denominato “salame di Felino”, anticamente poteva essere consumato cotto, in particolare se era molto disidratato per la lunga stagionatura nonostante l’impiego di budello grasso (“gentile” o “culare”).

I nostri salumi tradizionali sono il risultato di processi molto più complessi rispetto alla carne semplicemente salata o essiccata e la loro produzione, pur essendo una pratica domestica, era affidata ad artigiani detentori della competenza specifica. Nel periodo invernale il “mazén”, si recava presso le fattorie (i contadini allevavano più capi in soccida) e le case padronali per uccidere il maiale, sezionarlo in tagli da consumare freschi (sangue e frattaglie) e quelli salati a media e a lunga conservazione secondo le esigenze del proprietario. All’inizio dell’’800, iniziarono a diffondersi i primi laboratori di tipo commerciale che inviavano salami e prosciutti anche in Francia17. Tra questi si può citare quello di Donino Fereoli, che nel 1851era era attivo a Felino e dal quale trova origine l’attuale salumificio Fereoli Gino & Figlio. L’allevamento commerciale dei maiali era localizzato presso i caselli del parmigiano il quale fornivano il siero dolce che, insieme alla crusca, era la base alimentare dei maiali nella fase di ingrasso.

Alla fine del XIX secolo l’attività salumiera trova, quale elemento di sviluppo, la disponibilità di impianti frigoriferi che permettevano di destagionalizzare la produzione. A metà degli anni ’30

Page 12: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

erano attivi 25 prosciuttifici, le cui lavorazioni sono rimaste sostanzialmente di tipo artigianale fino al secondo dopoguerra. Oggi, su circa 250 salumifici del parmense, 171 sono prosciuttifici (la cui produzione per il 40% copre quella nazionale e per il 5% circa è relativa alla DOP Prosciutto di Parma)14. La lavorazione del “culatello”, invece, è rimasta artigianale e praticamente familiare fino a pochi anni orsono; così limitata da avere un mercato strettamente locale e da essere oggetto tutt’al più di un prezioso regalo per parmigiani fuori sede e per pochi forestieri in grado di apprezzarlo (anche per la laboriosità della sua preparazione al consumo).

Anticamente la lavorazione dei salumi era direttamente collegata all’allevamento e alla macellazione dei suini. Oggi le fasi sono del tutto separate, anche quando avvengono nello stesso territorio e, a maggior ragione, quando si trasformano tagli acquistati sul mercato internazionale. I moderni impianti di macellazione e di sezionamento sono altamente meccanizzati: effettuano la rifilatura delle cosce di suino pesante specifica per le diverse DOP e raccolgono separatamente i diversi tagli destinati ai prodotti macinati. Avendo perso il collegamento diretto della trasformazioneall’allevamento, data la notevole influenza delle caratteristiche della materia prima sulla qualità e sulla resa dei prodotti finiti, sarebbero necessarie specifiche di fornitura basate, di volta in volta, suiparametri oggettivi e limiti di accettabilità facilmente e rapidamente riscontrabili. Ma in questo ambito, mentre la conoscenza scientifica è abbastanza sviluppata e si basa su tecniche analitiche anche molto complesse, l’approccio tecnologico di interesse industriale è ancora decisamente scarso. Eppure l’esperienza di stage aziendale di alcuni dottorandi in “Scienze e Tecnologie Alimentari” ha dimostrato che una efficace tenuta sotto controllo della materia prima permette di ridurre notevolmente i “fuori standard” di salami stagionati, e di aumentare di qualche punto percentuale la resa di prosciutti cotti; ripagando immediatamente i costi di sperimentazione e di messa a punto della metodologia.

Fino alla prima metà del secolo scorso le lavorazioni salumiere erano effettuate in maniera artigianale, utilizzando attrezzature molto semplici e quasi esclusivamente ad azionamento manuale. Oggi, invece, la meccanizzazione è molto diffusa sia per le fasi operative sia per la movimentazione. Questa evoluzione è evidente anche dal punto di vista del layout degli stabilimenti per salumi stagionati. La tradizionale disposizione su tre piani, per sfruttare diversamente le condizioni climatiche esterne, era stata mantenuta anche quando era stata già introdotta la climatizzazione artificiale. Oggi si costruiscono su un solo piano per agevolare la movimentazione automatica del prodotto attraverso le diverse fasi di processo. In realtà, però, anche se il settore del prosciutto cotto ha una storia recente, è stato però caratterizzato da un rapido sviluppo industriale (grazie alla tecnica e ai macchinari inizialmente importati dal Nord-Europa); il segmento dei salumi crudi stagionati ha avuto invece un’evoluzione industriale molto più lenta e tuttora non completata. Questa differenza è dovuta al fatto che la tecnica di produzione dei salumi crudi stagionati, tipici della tradizione italiana, non ha potuto usufruire del know how scientifico sviluppato a livello internazionale per i salumi cotti. D’altra parte, rispetto a quelli cotti, i salumi crudi sono caratterizzati, a fronte di variabili di formulazione e di azioni meccaniche più semplici, dalle complesse modificazioni microbiologiche e/o enzimatiche che ne determinano le peculiarità e che sono strettamente dipendenti dalla qualità iniziale dei tagli di carne e dalle modalità di asciugamento e di stagionatura. Per questa ragione, la tecnica dei crudi ha avuto un effettivo progresso solo negli anni ‘70, quando al controllo della temperatura si è aggiunto quello dell’umidità relativa dell’aria e del regime di ventilazione; anche se tuttora le condizioni di trattamento all’interno delle celle sono spesso disuniformi e, comunque, la loro regolazione richiede attente verifiche sensoriali da parte degli addetti.

Pertanto, questa tecnica di lavorazione potrà diventare una vera e propria tecnologia solo quando le fasi di concomitante e interdipendente trasferimento di calore e di massa potranno essere progettate e tenute sotto controllo sulla base di appositi modelli matematici igro-termo-fluido-dinamici. Tali modelli, peraltro, essendo molto più complessi rispetto a quelli dei trattamenti di cottura e di pastorizzazione dei salumi cotti, sono oggetto di ricerca accademica ma ancora non applicabili direttamente in ambiente produttivo. D’altra parte, la mancanza di know how internazionale per i salumi crudi stagionati ha comportato nel tempo il vantaggio di fare sviluppare in loco costruttori di macchine e impianti specifici, che attualmente sono esportati insieme alle tecniche di lavorazione in Paesi come Argentina e Brasile, dove i discendenti dei nostri emigranti

Page 13: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

conservano l’abitudine a questo tipo di alimenti.

Ovviamente l’ingrediente comune a tutti i salumi è il sale, miscelato direttamente nei prodotti macinati e applicato nei tagli interi a secco sulla superficie, oppure come salamoia per immersione o iniezione. Il cloruro di sodio nei salami, oltre a selezionare per abbassamento dell’attività dell’acqua, la flora microbica moderatamente alofila favorisce l’estrazione delle proteine miofibrillarinelle fasi di impasto e la precipitazione delle proteine sarcoplasmatiche durante i processi fermentativi, impartendo la necessaria coesività tra i particolati. Nei tagli interi crudi stagionati il sale applicato all’esterno ha il compito di estrarre acqua e inibire l’accrescimento della flora microbica superficiale, mentre quello penetrato all’interno denatura le proteine e regola le attività enzimatiche (una concentrazione insufficiente rispetto al valore di attività della catepsina B nella materia prima comporta eccessiva proteolisi, con conseguente inflaccidimento e gusto amaro-pungente). Nei cotti disossati il sale ha come ruolo fondamentale l’estrazione in zangolatura delle proteine miofibrillari che, gelificando dopo cottura e raffreddamento, permettono l’incollaggio dei muscoli inizialmente tagliati per il disosso.

Gli additivi comunemente utilizzati nei salumi, fatta eccezione per il prosciutto crudo DOP, sono i nitrati e/o nitriti (anticamente il salnitro) che, oltre a conferire al prodotto la colorazione rossastra, inibiscono l’accrescimento di microrganismi anaerobi e, in particolare, di Clostridium botulinum e diClostridium perfringes. In realtà sia l’effetto sul colore sia l’azione antimicrobica è svolta dai nitriti e,più precisamente, dall’ossido di azoto che si forma dal nitrito a pH acido; i nitrati devono essere invece preliminarmente ridotti a nitriti dall’enzima nitrato-reduttasi di origine microbica (Micrococcaceae ed altri componenti della flora normalmente presente). Anche se non si ha la denaturazione dovuta a cottura, la mioglobina (il pigmento rosso che è parte della proteina sarcoplasmatica del muscolo) in assenza di ossigeno si trasforma in metmioglobina di colore bruno-grigiastro; mentre in presenza di ossido nitroso si trasforma in nitroso-mioglobina mantenendo il colore rosso. Anche l’azione antimicrobica è dovuta agli ossidi di azoto che attaccano i gruppi amminici dei sistemi deidrogenasi microbici, provocando così l’inibizione. L’ascorbato, oltre a proteggere dall’inscurimento e l’irrancidimento del prodotto reagendo preferenzialmente con l’ossigeno inizialmente inglobato nell’impasto, inibisce la formazione di anidride nitrosa da parte dei nitriti e, quindi, la formazione di nitrosammine (potenzialmente cancerogene). Poichè l’ascorbato è un antiossidante solubile in acqua, per proteggere efficacemente dall’inrancidimento la frazione grassa (soprattutto con gli attuali elevati livelli di insaturazione) si impiegano anche antiossidanti lipofili quali i tocoferoli.

Nei salumi cotti si possono impiegare polifosfati che riducono la sineresi in cottura, aumentando la capacità di ritenzione dell’acqua da parte della carne, con un conseguente aumento della resa produttiva e della succosità del prodotto. I polifosfati però sequestrano il calcio e, anche nelle dosi massime permesse dalla legge, sono sconsigliati in particolare nella dieta dei bambini, delle donnein gravidanza e degli anziani per l’effetto negativo sulla struttura ossea. Pertanto, dagli anni ’80 è diventato commercialmente importante poter dichiarare in etichetta l’assenza di polifosfati aggiunti,sostituendoli con ingredienti che permettono di ottenere risultati tecnici equivalenti: caseinati e sieroproteine del latte o altre proteine, zuccheri e polisaccaridi a medio e alto peso molecolare, idrocolloidi e fibre. Anche nel caso dei salumi crudi, questi ingredienti in opportune proporzioni secondo il tipo di prodotto, oltre ad aumentare la capacità di ritenzione dell’acqua e la resa, possono migliorare la presentazione del prodotto all’atto dell’affettatura (integrità e aspetto). Nel caso dei salami crudi, ad esempio, viene favorita la precipitazione delle proteine miofibrillari e sarcoplasmatiche, con maggiore coesività tra le particelle magre e grasse. Sempre nei salami, gli zuccheri semplici si utilizzano anche per garantire un’adeguata fermentazione.

Sempre con l’esclusione del Prosciutto di Parma DOP, sono molti gli altri ingredienti che possono essere impiegati nelle “conce” e nelle “salamoie”: generalmente il pepe, spesso anche altre spezie,talora aglio e vino. Questi ingredienti, indispensabili per conferire aroma ai salumi cotti; per quelli crudi, a parte gli effetti sensoriali tramandati dal loro impiego plurisecolare, hanno una importante funzione antiossidante ed anche batteriostatica complementare a quella del sale. Essi impediscono l’irrancidimento e l’accrescimento microbico quando sono presenti superficialmente inelevata concentrazione; mentre nei prodotti tritati favoriscono la fermentazione lattica selezionando

Page 14: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

la flora microbica occasionalmente presente. Per garantire sistematicamente una corretta fermentazione dei salami, oggi si impiegano starter specifici, con inoculi tali da essere sicuramentecompetitivi rispetto alla flora microbica indesiderata. L’abbassamento del pH, conseguente alla fermentazione, comporta un’ulteriore azione di selezione microbica che permette di portare il prodotto a temperature superiori, adatte alla sua maturazione enzimatica. Quando l’accrescimento di muffe superficiali non comporta difetti nel prodotto finito (come nel caso del prosciutto stagionato), ma permette di regolare meglio lo scambio di umidità con l’ambiente esterno e apporta enzimi utili alla maturazione specifica (come nel caso del salame di Felino), è bene effettuare un inoculo superficiale anche di queste forme microbiche. Infatti, se ci si affida all’accrescimento spontaneo dei miceti presenti nell’ambiente di lavoro, è inevitabile avere accrescimenti di muffe eterogenee, indesiderate per la diversa colorazione del feltro fungino e talora pericolose se producono micotossine. Nelle lavorazioni “semplificate”, le muffe accresciute spontaneamente vengono eliminate con spazzolatura e lavaggio, infarinando poi la superficie per simulare la tradizionale “piumatura” di muffe bianche benigne.

Nella produzione di prosciutto crudo stagionato, nonostante l’impiego degli impianti frigoriferi, ancora negli anni ‘50 la percentuale dei pezzi difettosi era tra il 25% e il 30%, mentre oggi si aggiraintorno al 2%18. Fortunatamente, l’esperienza empirica degli addetti permetteva di individuare precocemente i prosciutti che non sarebbero “andati a buon fine” e, quindi, di recuperarli quando erano ancora idonei alla trasformazione in prosciutti cotti. Questa produzione, peraltro, era molto limitata e utilizzava tecniche essenzialmente artigianali. Successivamente, la produzione di salumi cotti è divenuta del tutto autonoma e ha avuto un rapido sviluppo industriale. Al prosciutto cotto - differenziato in diversi livelli di qualità - si è aggiunta la spalla e il prodotto in pezzi “ricostituiti” (essenzialmente destinato alla ristorazione più economica). Anche a parità di tipo di materia prima utilizzata, gli stampi di cottura avevano forme diverse (anche in funzione delle diverse abitudini regionali), al punto che chi serviva un mercato allargato doveva avere una dozzina di tipi di stampo, con conseguenti problemi di logistica interna, difficoltà di programmazione della produzione e immobilizzo di magazzino.

Ancora alla fine degli anni ’70, i prosciutti erano salamoiati mediante iniezione ipodermica manualemolto lenta, e che richiedeva una particolare abilità da parte dell’operatore. Dopo la cottura dentro gli stampi immersi in vasche con acqua prossima all’ebollizione e il successivo raffreddamento, il prodotto era semplicemente confezionato in sacchi plastici, ma la sua shelf life era breve, anche in condizioni refrigerate per la ricontaminazione superficiale post raffreddamento. Taluno confezionava il prodotto in grandi scatole di banda stagnata sagomate “a mandolino” (verniciate internamente e con un dischetto di alluminio rivettato sul fondo, quale “anodo sacrificale” per proteggere la base di acciaio dalla corrosione dovuta all’elevato contenuto di cloruri) e lo sottoponeva ad un trattamento di sterilizzazione superficiale in autoclavi a vapore. Poiché, a seguito del trattamento termico, non correttamente correlato alla composizione ed alla quantità di salamoia siringata, si aveva una rilevante sineresi, le scatole ancora calde e rigonfie erano perforate sul coperchio e compresse per fare uscire la fase acquosa libera; successivamente, continuando a comprimere il coperchio, il foro era chiuso con una saldatura a lega stagno-piombo. Il tutto manualmente. Nella seconda metà degli anni ’80 erano ormai generalmente utilizzate le siringatici multiago automatiche con successiva zangolatura refrigerata e sottovuoto, differenziata per tipo di materia prima e livello di qualità del prodotto: zangole a “betoniera” per massaggiatura lenta e delicata; impianti automatici a “bidoni” per massaggiatura più energica e impastatrici a pale per sfibratura dei pezzi da prodotto ricostituito (eventualmente inteneriti con semitagli e detendinatimediante apposite macchine prima della siringatura). Era stato anche introdotto lo stampaggio sotto vuoto e la cottura in armadi a vapore-aria. Inoltre, era stata sperimentata la cottura del prodotto già racchiuso ermeticamente in un sacco plastico resistente al trattamento termico, con una salamoiatura a “calo zero” (ovvero di composizione e quantità tale da non dare sineresi), oppure con sacchi aventi una “proboscide” che fuoriusciva dallo stampo, tale da accogliere per pressione la maggior parte della fase sierosa ed eliminata dopo raffreddamento con doppia termosaldatura e taglio intermedio. Ma, per la variabilità della materia prima in termini di capacità di ritenzione dell’acqua, la tecnica a “calo zero” era realmente applicabile solo rinunciando alla massima resa. Il sacco con “proboscide” comportava invece molta manualità e dava scarse garanzie di ermeticità; cosicché, nonostante il maggior costo energetico, si è quindi affermato il

Page 15: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

confezionamento sotto vuoto dopo raffreddamento con un secondo trattamento di pastorizzazione superficiale e di raffreddamento.

Nonostante il grande apprezzamento a livello internazionale del Prosciutto di Parma, la sua esportazione era fortemente penalizzata dal fatto che all’estero non erano in genere utilizzate (anche a livello commerciale) macchine affettatrici adatte e, comunque, era preclusa la vendita attraverso la grande distribuzione. Qualche pioniere, già negli anni ’80, aveva pensato di superare questo handicap con la preaffettatura, ma l’unica forma di confezionamento allora in grado di proteggere il prodotto sia meccanicamente, che dall’ossigeno e dalla disidratazione era una scatola di banda stagnata rettangolare, molto larga e bassissima, chiusa sotto vuoto. Il prodotto si conservava molto bene, ma lo spessore del lamierino necessario per sopportare il vuoto interno era tale da rendere la scatola, oltre che molto costosa, davvero difficile da aprire, anche disponendo di un buon apriscatola. Nei decenni successivi, anche in Italia si è progressivamente allargata la quota di prodotti alimentari veicolati dalla grande distribuzione e l’esigenza di commercializzare i porzionati e preaffettati è divenuta pressante per tutti i salumi crudi e cotti. I tranci potevano essere adeguatamente confezionati sottovuoto in sacchi plastici termoretraibili; mentre per i preaffettati è stato necessario attendere la disponibilità di vaschette plastiche a elevata barriera e chiuse con adatta atmosfera modificata. Infatti l’impiego di buste chiuse sottovuoto, nonostante l’inserimento di foglietti plastici di interfalda, non permetteva di mantenere integre le fette all’utilizzo. Ma per i salumi cotti ed anche per quelli crudi poco stagionati, con elevata attività dell’acqua e senza poter impiegare additivi antibatterici ad ampio spettro, il problema principale da superare è stato quello di garantire una adeguata shelf life in condizioni di refrigerazione (peraltro con una “catena del freddo” poco affidabile) effettuando le operazioni di affettatura e di confezionamento in ambiente a bassissima carica microbica alterativa, oltre che potenzialmente patogena.

Negli anni ’90, questo problema è stato affrontato mutuando dal settore farmaceutico e medicale latecnica delle “camere bianche”. Queste, peraltro, erano poco efficaci perché malamente adattate altraffico continuo di materiali e di addetti provenienti dagli altri ambienti con elevata contaminazione microbica: le macchine di affettatura e di confezionamento non erano progettate e costruite per essere adeguatamente pulite e sanificate e, talora, anche non adatte per la contaminazione crociata dovuta alla copresenza di prodotti stagionati e prodotti cotti. Mentre inizialmente erano sorte aziende dedicate al preconfezionamento anche per conto terzi, oggi la quota di prodotto venduto preaffettato è tale per cui la maggior parte dei salumifici e prosciuttifici si è attrezzata autonomamente. Ad esempio, la produzione di Prosciutto di Parma preaffettato dal 2000 a oggi è passata da 15 a 52 milioni di vaschette, con una quota del 21% rispetto al totale del prodotto marchiato e del 36% di quello esportato19. Questo sviluppo è stato consentito dalla migliore progettazione e gestione delle “camere bianche” e dei macchinari, che hanno anche raggiunto capacità produttiva elevata. Per esigenze di presentazione e per ridurre lo sfrido, il prodotto è appositamente fabbricato con forme adatte, oppure compresso in mattonelle dopo il disosso; e per mantenerlo sufficientemente rigido nonostante il calore generato dall’attrito del taglio ad alta velocità, recentemente è stato introdotto il preraffreddamento in camere con iniezione di azoto liquido. Un problema ancora aperto è connesso alla esportazione negli USA, per la difficoltà di adeguarsi all’obbligo di garanzia “listeria free” (assenza analitica di batteri del genere Listeria) che si applica a questi alimenti di tipologia “ready to eat” (da consumare senza previa cottura).

Sono tuttora in corso ricerche sperimentali di trattamenti germicidi fisici non termici, ma la stessa esperienza statunitense ha dimostrato che l’unica soluzione attualmente disponibile è garantire l’assenza di Listeria nella materia prima per i salumi crudi e, comunque, negli ambienti di lavorazione e di stoccaggio. Ma queste condizioni, indipendentemente dalle procedure di detergenza e di sanificazione, sono molto difficili da attuare in stabilimenti di macellazione e di trasformazione e con impianti di raffreddamento che non siano stati appositamente progettati e costruiti per non essere essi stessi “focolai” di batteri psicrofili come quelli del genere Listeria.Negli anni ‘80-’90, gli obblighi ambientali relativi ai reflui di allevamento e quelli igienici sulla macellazione hanno imposto a questi due settori una forte aggregazione per raggiungere economie di scala. Le nuove strutture sono state localizzate in Lombardia e in Emilia Romagna, ma lontano dalle zone tipiche di trasformazione, per le quali è stata perseguita una politica di

Page 16: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

particolare tutela ambientale. D’altra parte, l’impiego di materia prima fresca nazionale si è sempre più ristretto ai salumi con DOP che la rendono obbligatoria nel proprio Disciplinare, risultando molto più economica negli altri casi quella di provenienza estera. Comunque, il maiale “pesante” del circuito produttivo vincolato dalle DOP (comune al Prosciutto di Parma, di San Daniele e di Modena e al Culatello di Zibello) ha ormai molto poco di tradizionale e l’evoluzione sia della genetica sia dell’alimentazione rendono spesso le cosce disponibili poco adatte alla trasformazionein prodotto stagionato. Infatti, l’accrescimento troppo rapido e l’elevato contenuto di acidi grassi insaturi della dieta comportano, rispettivamente, eccessiva attività di enzimi proteolitici durante la maturazione (valutata come attività della catepsina B) e scarsa consistenza, ed elevata ossidabilitàdello strato di grasso esterno (valutata come numero di iodio). Per quest’ultimo, l’elevato tenore di acidi grassi insaturi può essere considerato positivo dal punto di vista nutrizionale, ma non certamente dal punto di vista tecnologico. Il problema di scarsa idoneità alla trasformazione delle cosce suine già nei primi anni ’90 era stato documentato scientificamente dai ricercatori della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari, ma tuttora permane. Lo dimostrano le seguenti considerazioni fatte da un ricercatore nel 2006: “Una scorretta alimentazione (carenze proteiche ed energetiche) infatti non solo riduce le prestazioni produttive degli animali, ma ritarda il raggiungimento di quello stato di maturazione delle carni di cui l’attività enzimatica è l’indice. Ne risulta che è particolarmente importante, proprio ai fini della qualità delle carni da destinarsi alle produzioni tipiche, che gli animali ricevano un’alimentazione che consenta loro di esplicare tutta la loro potenzialità produttiva e soprattutto che al momento della macellazione l’accrescimento del tessuto muscolare sia in fase calante e sia in pieno sviluppo il tessuto adiposo. Tale concetto che gli animali debbano essere macellati quando sono “finiti” e cioè quando abbiano raggiunto un adeguato grado di adiposità è apparentemente ovvio.

Nella suinicoltura moderna invece sempre più spesso si utilizzano suini con potenzialità di accrescimento tale che, sebbene giungano al macello ad un peso adeguato per le produzioni tipiche (160 chilogrammi), sono ancora in fase di accrescimento muscolare e quindi non “finiti”.20Come nel caso del formaggio Parmigiano Reggiano, anche per il Prosciutto di Parma, nonostante ilimiti posti dal Disciplinare, le modalità di allevamento si sono evolute con l’obiettivo di incrementare sempre più la resa produttiva, rendendo maggiormente difficile riuscire a ottenere la qualità tradizionale del prodotto finito, mantenendo effettivamente tradizionale solo le modalità di trasformazione. D’altra parte, tranne piccole nicchie di mercato, lo strapotere della grande distribuzione ha innescato una spirale economica perversa: il prezzo medio di mercato spuntato dal prodotto finito (assurdamente vicino a quello del prosciutto cotto, che non ha il calo peso e l’immobilizzo di capitale di quello stagionato) non permette ai prosciuttifici di premiare con il prezzodi acquisto le cosce fresche di migliore qualità. Non sorprende, quindi, il fatto che la gran parte della produzione di prosciutto crudo sia al di fuori dalla DOP, dal momento che la conoscenza tecnologica oggi disponibile permette di ottenere uno standard di prodotto con adeguato rapporto qualità/prezzo, modificando le modalità di lavorazione tipiche in funzione della materia prima utilizzata.

Page 17: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.6 – La pasta e i prodotti da forno

La produzione commerciale di pasta essiccata si è diffusa dalla Sicilia, nel palermitano dove erano disponibili sia il grano duro sia le condizioni climatiche favorevoli all’essiccazione, alla Liguria e allaCampania, in particolare Torre Annunziata e Gragnano, che avevano il clima adatto, ma dovevano importare il grano duro. La pasta essiccata era un bene di lusso per il costo di trasporto del grano duro e, soprattutto, per il costo elevato di una lavorazione completamente manuale; infatti diventa un alimento popolare nel XVII secolo con l’invenzione del torchio meccanico.

La lavorazione della pasta prevedeva e prevede tuttora una serie di operazioni meccaniche per la sua formatura, seguite da trattamenti igro-termici per arrivare al completo essiccamento. Originariamente anche le operazioni meccaniche erano del tutto manuali. Dopo l’impastamento e la gramolatura, la formatura era inizialmente effettuata per laminazione (compressione con un rulloo tra due rulli); ma già nel ‘600 si è diffusa l’estrusione con torchio o pressa, ovvero la compressione dell’impasto contro una piastra di bronzo forata (trafila), con aperture per formati cilindrici, a nastro o tubolari, e taglio allo scarico. La pasta fresca era posta su un telaio oscillante (trabatto) ed esposta al sole e al vento o comunque asciugata rapidamente in superficie (incartamento), per ridurne l’adesività e la deformabilità; poi, posta su telati era portata in cantina fresca e leggermente umida, per evitarne la successiva rottura con una ridistribuzione dell’acqua interna (rinvenimento) e, infine, era postata in locali arieggiati da grandi finestre (con eventuali bracieri) per la vera e propria essiccazione, lenta e graduale. Il tutto, ovviamente, adattando empiricamente le modalità operative in funzione delle effettive condizioni atmosferiche per evitare sia fermentazioni anomale e ammuffimento, sia una struttura anomala per asciugamento troppo rapido.

L’officina Pattison di Napoli nel 1830 ha introdotto la gramola a coltelli; forse corrispondente a quella che Cesare Spadaccini sosteneva di avere allestito nel suo scritto del 1833: “Uomo di bronzo per rimuovere l’abominevole uso di lavorare la pasta con i piedi”. Sempre la Pattison ha realizzato nel 1870 la prima gramola completamente automatica e un torchio idraulico “a gotto montante”. 21 Comunque, anche se la lavorazione dell’impasto e la sua formatura erano agevolateda attrezzature meccaniche, l’essiccamento continuava ad essere molto laborioso e non riproducibile se basato su condizioni ambientali tradizionali; oppure tale da non permettere di ottenere pasta di buona qualità se si utilizzavano stufe. Nel ventennio a cavallo tra ‘800 e ‘900 si contano circa 20 brevetti e, in particolare, nel 1898 quello dell’Ing. Vitaliano Tomasini che, sviluppando una idea di Filippo De Cecco dell’omonimo pastificio abruzzese, che permetteva di riprodurre (seppure in maniera scarsamente controllata) le condizioni del sistema di essiccamento naturale “alla napoletana”. Nel primo quarto di secolo del Novecento vengono depositati oltre 150 brevetti e, in particolare, quello di Renato Rovetta, inventore del primo essiccatoio con regolazione di temperatura, umidità e distribuzione del flusso d’aria.In questo contesto di industrializzazione dell’attività pastaria, Parma ha svolto e svolge un ruolo particolarmente rilevante.

Nell’Archivio di Stato di Parma sono stati rinvenuti due campioni di pasta secca risalenti agli anni 1837 e 1838, relativi al rifiuto per qualità non conforme di una fornitura destinata ai carcerati 24.Tra le molte attività di pastificazione artigianale attive a Parma, il primo pastificio con assetto industriale fu quello fondato dall’Ing. Ennio Braibanti nel 1870. Giuseppe e Mario Braibanti, figli di Ennio ed anch’essi ingegneri, si dedicarono allo sviluppo dei macchinari produttivi e nel 1933 progettarono la prima pressa-impastatrice italiana. Successivamente, Giuseppe Braibandi fondò e amministrò l’impresa meccanoalimentare F.lli Braibandi di Milano, la quale nel 1946 lanciò sul mercato internazionale le prime linee totalmente automatiche per la produzione di paste corte e, nel 1949 quelle per paste lunghe.

Pietro Barilla senior, che nel 1887 aveva aperto un laboratorio artigianale per pane e pasta fresca, nel 1910 mise in funzione un vero e proprio pastificio. Negli anni ’50 lo stabilimento fu ammodernato e potenziato e nel ‘68 fu affiancato da quello di Pedrignano che, con una crescita progressiva, diventerà il più grande sito produttivo pastaio. A partire dagli anni ’70 entrano a far parte del Gruppo Barilla sia la parmense Braibanti sia la Voiello (attiva a Torre Annunziata fin dal

Page 18: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1879). Nei primi anni ’80 la Barilla ha introdotto nuove linee di pastificazione automatizzate e con la fase di essiccamento ad alta temperatura per breve tempo che, conciliando la riduzione dei tempi di trattamento con una migliore texture della pasta (grazie all’ottimale formazione del reticologlutinico che limita la fuoriuscita dell’amido in cottura), ha permesso di utilizzare miscele di semole variabili in funzione delle variazioni del mercato ma ottenendo un prodotto di qualità media, con buon rapporto qualità/prezzo e, soprattutto molto più standardizzato rispetto alla concorrenza. E’ importante considerare che il consumatore medio italiano, che mangia un primo di pasta quasi tuttii giorni, è molto esigente dal punto di vista della tenuta in cottura (assenza di collosità e mantenimento del nerbo “al dente”, ma senza gusto di amido) e, più che al livello di qualità assoluto, apprezza la costanza del livello che diventa abituale e induce fidelizzazione al marchio. Fatto sta che la pasta Barilla incrementò rapidamente la sua quota di mercato a scapito di quella degli altri stabilimenti industriali, i quali peraltro non disponevano delle conoscenze tecnologiche, prima ancora che delle risorse finanziarie per attuare rapidamente le stesse innovazioni di processo. Ciò ha dato all’impresa parmense un vantaggio competitivo di circa dieci anni sulla concorrenza e, quindi, le risorse per autofinanziare la sua espansione internazionale e la concomitante differenziazione produttiva (prodotti da forno e condimenti per primo piatto). Anche se i nuovi impianti più avanzati non erano di fabbricazione italiana ed erano ovviamente utilizzati anche in altri Paesi, le competenze interne per selezionare le semole fin dalla scelta varietale dei grani duri e delle rispettive condizioni di coltivazione, di mettere a punto le condizioni di processo edi tenerle strettamente sotto controllo, ha permesso alla Barilla di conquistare e mantenere la leadership produttiva a livello internazionale.

La capacità interna di orientamento delle scelte agronomiche è stato un importante fattore competitivo, perché ancora negli anni ’70-’80 la ricerca agronomica pubblica in questo ambito era essenzialmente dedicata alla produttività e all’adattamento forzato allo stress salino e alla siccitosi;laddove la ricerca in Francia era molto più orientata alla qualità in pastificazione. Il fatto è che nel nostro Paese era in vigore la “legge di purezza” che vietava l’immissione sul mercato di pasta secca che non fosse esclusivamente ottenuta con semola di grano duro (peraltro dichiarata incompatibile con il Trattato CEE sul mercato unico europeo, in base al principio della sentenza “Cassis de Dijon” del 1979). Questa norma doveva servire a tutelare il reddito dei produttori agricolipugliesi e siciliani e si dava per scontato che utilizzando la semola la pasta dovesse risultare necessariamente di buona qualità. Invece, estremizzando, dal punto di vista della pastificazione può essere addirittura migliore un ottimo grano tenero rispetto ad un grano duro scadente.Nel 1975 la Barilla ha iniziato una differenziazione produttiva con l’attivazione della linea di prodottida forno a marchio Mulino Bianco e, successivamente, con l’acquisizione della Pavesi, acquisendorapidamente la maggiore quota di mercato dei biscotti, dei prodotti da prima colazione e dei sostituti del pane, soprattutto, ampliando grandemente questo mercato fino ad allora stagnante. Ciò è stato possibile grazie al fatto che Barilla ha saputo dedicare rilevanti risorse umane per la ricerca e sviluppo sia di prodotto sia di processo in questo settore che, pur avendo già un assetto impiantistico del tutto industriale, in Italia era fortemente carente dal punto di vista tecnologico e non in grado di adeguarsi alle preferenze dei consumatori. In particolare il ritardo culturale riguardava l’approccio all’ingredientistica puramente chimico e subordinato alle proposte dei fornitori; mentre, proprio questo settore ha ampie potenzialità di innovazione di prodotto, se si è in grado di progettare nuove caratteristiche strutturali e funzionali scegliendo tra le innumerevoli variabili di formulazione.

Contrariamente alla pasta ed anche ai predetti prodotti da forno, le origini della produzione commerciale di pane risalgono addirittura alle prime fasi di aggregazione urbana, perché le singolefamiglie non potevano disporre di un forno adatto. Eppure questa attività è rimasta in Italia di dimensione strettamente artigianale fino agli anni ’80. Questa anomalia è dovuta al forte condizionamento politico esercitato a livello normativo dalla categoria dei panificatori, ma anche perché la componente fermentativa del processo lo rendeva poco adatto ad una industria alimentare capace di gestire i fenomeni fisico-meccanici ma priva di competenze tecnologiche comprensive degli aspetti biochimici. Nel 1980 la Barilla ha acquisito una serie di panifici operanti in Toscana, Piemonte e Lombardia; dal 1994 ne ha progressivamente aggregato la produzione finoa concentrarla in tre grandi stabilimenti , ciascuno per Regione ma con un mercato nazionale, che rappresentano tuttora (dal 2003 non fanno più parte del Gruppo Barilla) la più grande realtà

Page 19: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

produttiva di pane fresco industriale. Si deve osservare, peraltro, che questa industrializzazione è stata possibile solo acquisendo da altri Paesi, oltre ai macchinari, anche il know how tecnologico che era assente in Italia anche a livello accademico per l’approccio esclusivamente empirico che era considerato intrinsecamente connaturato al settore.

Page 20: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.7 - L’industria saccarifera

Nel 1799 Franz Carl Achard, titolare della cattedra di fisica a Berlino, presentò a Federico Guglielmo III di Prussia dei “pani di zucchero” da lui ottenuti a partire da una varietà barbabietola da foraggio appositamente selezionata e ottenne un finanziamento di 50.000 talleri, per costruire a Kunern in Slesia il primo zuccherificio industriale che entro in funzione nel 1802 25. Allora in Europa si utilizzava lo zucchero di canna che proveniva principalmente dalle colonie del Centro America. Ma nel 1804 gli inglesi, per contrastare l’espansionismo di Napoleone, attuarono un blocco navale che imponeva alle navi dirette negli scali controllati dai francesi di transitare prima per i porti della Gran Bretagna pagando pesanti dazi. Napoleone rispose con il Blocco Continentale (Decreto di Berlino del 1806) e lo inasprì nel 1807 (Decreti di Milano), proibendo l’importazione dei coloniali, compreso lo zucchero di canna. Napoleone impose la coltivazione della barbabietola nei dipartimenti attorno a Parigi e, aiutato dal finanziere e studioso di scienze naturali Benjamin Delessert che aveva perfezionato il metodo di Archard, favorì il sorgere di zuccherifici tramite premi sulla produzione di zucchero ed esenzioni fiscali. Poiché questi incentivi non risultavano efficaci nel Regno d’Italia, su cui regnava lo stesso Napoleone, lo Stato francese con propri capitali (tramite il prefetto Dupont Delporte che si era appena insediato nel Granducato di Parma e Piacenza) fece costruire nel 1811 il primo zuccherificio a Borgo San Donnino, oggi Fidenza, che peraltro non sopravvivrà a Waterloo.

Lo zuccherificio di Borgo San Donnino può essere considerata la prima industria alimentare italiana; anche se davvero effimera. Nel 1815, con la caduta di Napoleone e con il ritorno dello zucchero di canna, infatti, vennero a mancare anche le condizioni economiche per giustificare la prosecuzione di una attività che era sorta con un finanziamento pubblico anziché per un progetto imprenditoriale. D’altra parte, fino al 1870 l’Italia della Restaurazione ha visto pochi altri tentativi di impiantare zuccherifici e tutti falliti rapidamente.

Mentre già nel 1813 in Francia funzionavano 34 zuccherifici, in Italia diversi altri tentativi ebbero vita molto breve, risultando più vantaggiosa la sola raffinazione del saccarosio importato grezzo, e una consistenza paragonabile (29 zuccherifici) fu raggiunta solo un secolo dopo (27).Fin dal 1879 Carlo Rognoni aveva iniziato a sperimentare la coltivazione della barbabietola da zucchero ed a propagandarla attraverso il Bollettino del Comizio Agrario di Parma, del quale era presidente. Il Rognoni, peraltro, propugnava lo sfruttamento diretto del prodotto da parte degli agricoltori 28. Si può dedurre, quindi, che nel parmense, dopo la breve esperienza napoleonica siaproseguita una attività saccarifera di tipo artigianale. La Società Ligure-Lombarda, che nel 1872 aveva costruito una raffineria a Genova e una seconda nei primi anni ’80 in provincia di Verona, nel 1899 installò uno zuccherificio anche a Parma e, con la mediazione di Antonio Bizzozero (titolare della Cattedra Ambulante di Agricoltura che aveva una visione più industrialista del più anziano Rognoni), incentivò economicamente gli agricoltori locali a destinare 500 ettari alla coltivazione di barbabietola da zucchero. Tra i primi ad aderire (con 6 ettari) fu Giovanni Bonani, parroco di Mezzano Inferiore, che partecipava anche al comitato che mediava i prezzi tra agricoltori e lo zuccherificio 29. Il rapporto con il settore agricolo non era solo per l’approvvigionamento della materia prima, ma anche per la fornitura di foraggio melassato. Lo stabilimento, successivamente divenuto Eridania e dismesso nel 1968 per trasferire la produzione a San Quirico Trecasali, è stato tutelato come archeologia industriale e nel 2001 è diventato l’Auditorium Nicolò Paganini progettato da Renzo Piano. Il destino saccarifero di Parma è confermato ancora oggi, visto che quello di San Quirico Trecasali (oggi Eridania Sadam) è uno degli unici 4 zuccherifici italiani sopravissuti con l’ultima OCM europea del settore.

All’inizio, quando l’estrazione dello zucchero (come la concentrazione del succo di pomodoro) era su piccola scala artigianale gestita dagli stessi produttori agricoli, come propugnato da Carlo Rognoni, le attrezzature impiegate erano di legno e quelle metalliche (taglierine, vasche, torchi a tela di sacco, caldaie a fuoco diretto) erano realizzate dalle officine meccaniche locali che lavoravano genericamente il rame e il ferro. Quando, invece, l’attività saccarifera divenne effettivamente industriale, comprendendo anche la raffinazione, servivano generatori di vapore, estrattori e concentratori di grande dimensione ed anche macchine di filtrazione e separatori centrifughi. Tali macchinari furono importati dalla Francia e si può pensare che da queste possano

Page 21: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

avere preso spunto le officine parmensi per il progressivo sviluppo delle attrezzature che, al contrario di quelle strettamente specifiche per la fabbricazione dello zucchero, potevano essere impiegate anche per la trasformazione del pomodoro e che avevano quindi un potenziale mercato locale molto più ampio. Si fa riferimento in particolare alla evoluzione delle caldaie, come dimensione e come modalità di riscaldamento. Dal fuoco diretto alla camicia di vapore e, alla fine dell’800, l’impiego del vuoto con colonna barometrica per concentrare a temperatura più bassa (dalla semplice “boulle” alle batterie con doppio stadio), con i corrispondenti generatori di vapore (dal combustibile legna al carbone e infine al gas). Risale al 1846 l’officina del gas di Parma, con distillazione del carbon fossile.

Page 22: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.8 - L’industria delle conserve alimentari

L’industria alimentare, intesa come prodotti alimentari e non come ingredienti quali lo zucchero, ha le sue origini in Francia, a Ivry-sur-Seine, dove nel 1796 François Nicolas Appert ha realizzato le prime conserve racchiuse in bottiglie di vetro a bocca larga, tappate con sughero precompresso e bloccato da una gabbietta di filo di ferro, e sottoposte a bollitura. Nel 1804 Appert, vinse il premio di12.000 franchi messi in palio dal Direttorio francese per chi avesse presentato il migliore progetto per la fornitura di alimenti conservati alle forze armate di Napoleone I e nello stesso anno avviò a Massy una vera e propria fabbrica produttiva (la Maison Appert). La commissione che aveva deciso l’attribuzione del premio comprendeva il celebre chimico-fisico Gay-Lussac. Nel 1810 Apert descrive con dettagli applicativi e minuziosi disegni la sua invenzione nel “Le Livre de tous le Ménage ou l’Art de Conservar pendant Plusieurs Années Toutes les Substances Animales et Vegetales”. Tuttora sono chiamati “appertizzati” i prodotti alimentari confezionati ermeticamente e trattati termicamente in maniera tale da risultare stabili a temperatura ambiente (ovvero commercialmente sterili). Lazzaro Spallanzani nel 1752, confutando la teoria della generazione spontanea, aveva dimostrato che gli estratti vegetali e di carne non subivano nel tempo alterazionese erano messi in fiale di vetro chiuse ermeticamente alla fiamma e tenute per più di un’ora in acqua bollente. Comunque, soltanto dopo più di un secolo, sarà Luis Pasteur che nel 1859, ripetendo le esperienze di Spallanzani, collegherà la stabilizzazione di liquidi alimentari alla distruzione termica dei microrganismi originariamente presenti. In effetti, l’impiego di bottiglie di vetro con sigillatura precaria (individuata come punto critico dallo stesso Appert) e la bollitura a bagnomaria non garantivano l’effettiva stabilità microbiologica dei prodotti così trattati. Il reale sviluppo dell’industria conserviera è stato possibile solo grazie all’impiego di scatole di banda stagnata, che arrivò molto presto, e all’autoclave per prodotti a bassa acidità che, pur derivando dalla famosa pentola a pressione di Papen del 1681, solo nel 1852 Raymond Chevalier-Apert, pronipote di Nicolas Appert ed erede della sua fabbrica di conserve, riuscì a sviluppare in maniera affidabile.

Nel 1810 in Gran Bretagna, Peter Durand, che aveva avuto rapporti d’affari tuttora non ben chiariti con Appert, brevettò la scatola di banda stagnata saldata a piombo e, già nel 1813 gli inglesi John Hall e Bryan Donkin, in una piccola fabbrica nei pressi di Dartford cominciarono a produrre scatolette di carne per la marina militare. Negli USA, le prime bottiglie di pomodori conservati sono state preparate nel 1821 a Boston da William Underwood, un inglese emigrato nel nuovo continente dopo avere conosciuto la tecnica di Appert da giovane apprendista presso una impresa commerciale di Londra. Underwood, che doveva importare le bottiglie di vetro dall’Inghilterra, è stato anche tra i primi a sostituirle con le più robuste scatole di banda stagnata Allora, peraltro, la produzione era manuale e molto costosa, dal momento che un bravo artigiano non poteva fabbricare più di 60-70 scatole in una giornata32. Si trattava di piccole produzioni artigianali vendute a prezzi molto elevati, fino al 1861, quando la Guerra Civile americana incentivò la produzione di alimenti conservati su larga scala per le truppe. Solo nel 1880-90, di nuovo in Gran Bretagna, iniziò la fabbricazione automatica con l’applicazione dei fondelli al corpo cilindrico mediante doppia aggraffatura ermetica 33. Oggi, con una sola linea se ne possono fabbricare più di 1.000 al minuto, nonché riempirle e chiuderle con la stessa velocità.

A Parma e, parallelamente, nella zona di Napoli e Salerno si sono sviluppati i più importanti poli conservieri italiani, ma con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi. Come riferisce Ballarini34, nel 1832 Agnoletti, già credenziere e liquorista alla corte di Maria Luigia, nel suo “Manuale del cuoco edel pasticcere” descrisse la preparazione di una “conserva di pomidoro al fresco” costituita da polpa di pomodoro setacciata due volte, messa in bottiglia coprendola con poco olio, sigillando poi le bottiglie con turaccioli incatramati e facendole bollire a bagno maria per sedici minuti. E’ del tuttoverosimile che Agnoletti abbia derivato questa ricetta dall’opera di Appert, pubblicata venti anni prima, nel 1810. Applicata al pomodoro, che ha una elevata acidità naturale, questa tecnica non hapresentato i problemi incontrati da Appert nel preparare per le forze armate francesi conserve di legumi e di carne a bassa acidità; tanto è vero che la stessa procedura è arrivata fino ai nostri giorni come pratica domestica, soprattutto nel Sud-Italia. Nel 1856 a Torino il ventenne Francesco Cirio, privo di cultura ma con grande intuizione, prese in affitto un locale dove fece installare un camino capace di contenere due grandi caldaie da bucato

Page 23: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

e, basandosi solo sull’evidenza della prova pratica, riuscì a conservare dei piselli. Visto il successo, estese il metodo ad altri ortaggi strettamente stagionali; compreso il pomodoro, al quale resterà strettamente legato il marchio Cirio (non è noto quando iniziò la sostituzione delle bottiglie con le scatole metalliche). Nel 1875 Francesco Cirio aprì nel napoletano la prima fabbrica di concentrato di pomodoro, aiutato peraltro dal parmigiano Lamberto Gandini.

Nel 1874 a Parma, per iniziativa di Carlo Rognoni, si costituisce la Società Anonima di coltivatori per la preparazione delle conserve di pomidoro. Al 1887 risale la Giuseppe Calda di Sala Baganza.Come risulta dai registri della Camera di Commercio, le imprese della provincia di Parma che trasformavano il pomodoro in estratto erano 4 nel 1893, 5 nel 1894, 7 nel 1895, 11 nel 1896, 13 nel1897 e tra le 14 e le 16 fino al 1905. Ma questi dati, sono sottodimensionati in quanto la registrazione alla Camera di Commercio diventerà obbligatoria solo nel 1910. Infatti, secondo i datiministeriali, nel 1890 erano attivi in provincia di Parma 16 opifici, che disponevano complessivamente di 35 caldaie a fuoco diretto, occupavano 76 operai e producendo mediamente 535 quintali all’anno di conserva nera in pani. La lavorazione avveniva introducendo i pomodori in sacchi di tela, che venivano schiacciati sotto una rudimentale pressa azionata a mano per eliminare il liquido placentare. La polpa veniva passata nei bigonci attraverso grandi setacci di rame, quindi bollita sul fuoco a legna, rimescolandola con lunghe pale di legno, infine veniva fatta asciugare al sole, e l’estratto veniva confezionato in pani. Alcuni fabbricanti erano commercianti di salumi e formaggi e solo in seguito si dedicano all’agricoltura; ma quelli che riusciranno a sviluppare le loro imprese fino ai giorni nostri erano prevalentemente proprietari terrieri che reinvestivano i profitti agricoli in questa attività, oltre che nella produzione di formaggio e in alcuni casi anche di salumi.

Lodovico Pagani, che nel 1894 aveva iniziato a produrre conserva di pomodoro in società col Rognoni, alla sua morte nel 1904 diventa titolare dell’impresa che, successivamente, saranno i suoi figli a fare transitare dalla fase pionieristica della conserva nera alla fase industriale moderna.Giuseppe Pezziol, a Padova, confezionava i concentrati di pomodoro in vasi di vetro (il doppio e il triplo) o in pani. Dal 1890 iniziò a mettere il doppio concentrato in scatole di lamierino rivestite internamente di carta pergamena e cinque anni dopo (nel 1895) fu acquistata la prima macchina per chiudere le scatole senza doverle stagnare una per una. Nel 1901 la Pezziol decise di insediarsi nel luogo della produzione del pomodoro e costruì uno stabilimento attrezzato fin dall’inizio con le boules. Nel 1896 Remigio Rodolfi aprì un piccolo opificio per la produzione di concentrato di pomodoro che restò attivo solo per 11 anni; mentre il fratello Giuseppe attivò un caseificio e suo figlio Mansueto, acquisiti terreni contigui al caseificio, aggiunse la produzione agricola e la trasformazione del pomodoro tuttora attiva. Nel 1899 fu fondata la F.lli Mutti, trasformando una azienda agricola in industria per la trasformazione del pomodoro. A fianco, c’era un caseificio già attrezzato allora con caldaie a vapore.

Tra il 1902 e il 1907 sorsero 19 stabilimenti forniti di caldaie a vapore e nel 1908 erano già 24, per lo più piccole imprese familiari ma alcune di esse erano società per azioni ed avevano una dimensione relativamente grande37. Con l’introduzione nelle imprese più capitalizzate dei concentratori sotto vuoto, inizialmente importati dalla Francia ed anche dalla tedesca Erfurter Maschinenfabrik che aveva una propria rappresentanza a Parma, il settore assunse nel suo complesso una rilevanza quantitativa tale da indurre la coltivazione del pomodoro su vasta scala.Secondo il Maggiore Eugenio Massa38, nel 1910 erano attivi a Parma 36 stabilimenti di conserve alimentari, 31 dei quali dedicati esclusivamente alla produzione di concentrato di pomodoro, e “L’estratto del Parmense ha preso il sopravvento su quello delle altre regioni […] L’esportazione di anno in anno va aumentando e buona parte del prodotto viene ritirato dalle principali piazze d’Europa.”

Nel 1910 erano contemporaneamente commercianti di formaggio, fabbricanti di salumi e di conserve le ditte Musi e Polon, Rizzoli Emanuelli, Società Parmigiana Prodotti Alimentari, Guscetti e Ozzola; fabbricanti di salumi e di conserve le ditte Boschi Luigi e fratelli, Martinelli Lodovico e Napoleone, Ugolotti Antonio e Calda Giuseppe; commercianti di formaggio e produttori di conservele ditte Marchese Enrico, Abele Bertozzi di Colorno, Carrara e Bonaventura di Noceto. L’esercizio di più attività consentiva di a diversificare il rischio d’impresa e la diversa stagionalità delle

Page 24: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

lavorazioni consentiva di ottimizzare l’utilizzo della forza lavoro ed i flussi di cassa. Cosicchè nel 1912 presso la Camera di Commercio l’industria conserviera parmigiana risultava costituita da 61 stabilimenti che, con 226 impianti sottovuoto (da intendersi come singole boulle discontinue), trasformavano ben 1,5 milioni di quintali di pomodoro. Una produzione che eccedeva la domanda e che determinerà per il settore uno stato di crisi fino agli anni ‘30.

Nel 1922 venne istituita la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari in Parma, la quale avrà il merito di acquisire le conoscenze tecniche e scientifiche disponibili a livello internazionale e di adattarle e trasmetterle al contesto produttivo locale, alimentando la continua innovazione impiantistica e di processo. Secondo l’Unione Parmense degli Industriali, da 36 fabbriche di conserve di pomodoro del 1904, nel 1930 erano diventate ben 77; mentre dal dopoguerra, la crescente meccanizzazione del settore ha comportato una progressiva riduzione del numero di imprese, ma con una crescente capacità produttiva globale. Nel tempo, mentre le imprese campane si sono prevalentemente dedicate alla produzione di pomodori pelati, con il concentrato come sottoprodotto, a Parma la produzione di pelati è stata sempre meno rilevante rispetto al concentrato e, nei tempi più recenti, è stata abbandonata perchél’integrità del prodotto comportava maggiori costi di raccolta e di trasporto. La produzione di passate e di polpe è diventata invece largamente preponderante, soprattutto perché quello dei concentrati si era ridotto a mercato di semilavorati con bassi margini di guadagno per la crescente concorrenza di nuovi paesi produttori nordafricani e asiatici (il basso livello di conoscenze necessario per i concentrati di pomodoro non costituiva certo una barriera tecnica sostitutiva di quella doganale europea in progressivo smantellamento). D’altra parte, anche se la maggior parte della produzione di derivati del pomodoro è stata sempre costituita da semilavorati per una seconda trasformazione industriale (dal concentrato per ketchup alle polpe per pizze), i conservieripiù dinamici hanno sempre cercato di rivolgersi anche al mercato al dettaglio con rilavorazioni interne a proprio marchio e con preparazioni alimentari ad elevato valore aggiunto. Di seguito si riportano alcuni esempi della capacità innovativa sviluppata nel tempo dall’industria conserviera parmense.

Althea, nata nel 1932 dall’idea dei fratelli Bertozzi di non produrre soltanto conserva di pomodoro, ma anche prodotti più ricchi e pronti all’uso, nel 1937 ha lanciato sul mercato “Sugoro”, il primo sugo pronto italiano (confezionato in vasetti di vetro con capsula a fascetta di facile apertura) che si aggiudicherà nel 1947 il “Diploma di Gran Premio” alla prima Esposizione dell’Alimentazione promossa dalle Fiere di Parma. Seguono negli anni ’50 prodotti innovativi (tipo snacks) a base di frutta molto concentrata, così da risultare “self stable”, e dadi per brodo. Nel 1961 inizia la commercializzazione dello spicchio di formaggio Parmigiano Reggiano senza crosta confezionato in un involucro plastico sotto vuoto, che allora era innovativo anche se diventerà poi di impiego elettivo e generalizzato per questo prodotto. Dopo diversi passaggi societari, dal 1997 lo stabilimento appartiene alla DELFINO S.P.A. di Acerra (Napoli).La Rodolfi Mansueto, fondata nel 1906, negli anni ’50 inizia la produzione di “Ortolina”, una salsa pronta da bolliti a base di concentrato di pomodoro e verdure, coraggiosamente confezionata in tubetto di alluminio fino ad allora impiegato solo per dentifricio, e installa un primo impianto per trasformare il concentrato in polvere di pomodoro.

Nel 1961 Calisto Tanzi, insieme ad altri piccoli investitori, aveva fondato Dietalat, una piccola azienda per latte pastorizzato in concorrenza con il monopolio locale della Centrale del Latte di Parma. Successivamente trasformata in Parmalat, l’azienda è stata la prima a livello mondiale ad utilizzare con successo la tecnica Tetrapak (confezionamento asettico in contenitori tetraedrici di cartoncino plastificato) per produrre latte a lunga conservazione UHT (ovvero trattato termicamente a temperatura molto alta per un tempo molto breve prima di essere confezionato asetticamente) di qualità migliore rispetto a quello sterilizzato in bottiglia e, soprattutto, con un contenitore che costava solo un terzo rispetto al vetro. Grazie a questa innovazione, a partire dagli anni ‘70 l’azienda è diventata rapidamente una multinazionale leader in questo settore. Tra le altre innovazioni si possono citare un latte fermentati con particolari batteri probiotici e il latte pastorizzato e microfiltrato su membrane ceramiche a shelf life estesa. La Boschi Luigi e Figli, nata intorno al 1905 dalla trasformazione della precedente attività molitoria e attualmente appartenente al Gruppo CIO-Casalasco, agli inizi degli anni ’80 apparteneva al

Page 25: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

gruppo Parmalat e da questa mutuò la tecnica di trattamento e confezionamento asettico per applicarla con successo prima alla passata e alla polpa di pomodoro, poi a succhi di frutta, alle minestre e condimenti (presso lo stabilimento di Felegara rilevato dalla Campbell Soup che lo aveva attivato nel 1965) e, infine, al tè e ad altre bevande. Alla moltiplicazione dei prodotti si è aggiunta quella delle forme di confezionamento: asetticamente in cartoni, sacchetti e bottiglie di plastica; a caldo in lattine di banda stagnata o alluminio e in bottiglie di vetro.La società cooperativa Parmasole, nata nel 1912 come Pagani e Ceresini ed ora Columbus del Gruppo Mantua, nel 1985 aveva rilevato la celebre Arrigoni di Cesena ed era diventato lo stabilimento con la maggiore capacità produttiva applicando lo stoccaggio di polpe e passate di pomodoro in enormi cisterne asettiche (tanto grandi da dover essere collocate al di fuori dello stabilimento) come semilavorati ad uso interno, oltre che in sacchi plastici asettici per la spedizione.

Greci Industria Alimentare, le cui origini risalgono al 1923 con la produzione di concentrato di pomodoro, nel 1966 inizia la produzione della polpa e nei primi anni 70 scelse di dedicarsi esclusivamente ai prodotti per la ristorazione professionale, aggiungendo ai derivati del pomodoro preparazioni gastronomiche inscatolate a base di vegetali, di carne, di formaggi e prodotti ittici e diventando leader di mercato in questo settore. La chiave del successo può essere sintetizzata nell’avere abbinato alla cura nella scelta delle materie prime la capacità di approccio tecnologico alla progettazione ed al controllo dei processi, sviluppando anche una tecnica proprietaria di confezionamento asettico in scatole di banda stagnata.La Barilla, in una tappa della sua differenziazione produttiva, a fine anni ’80 lancia la sua linea di sughi pronti a base pomodoro e vi aggiunge progressivamente quelli a base bianca ed i pesti, utilizzando un innovativo sistema di confezionamento asettico in vasi di vetro. Negli anni ’90 questi sughi pronti acquisiscono la leadership di mercato e vengono prodotti e distribuiti anche negli USA.Pur lontana dal mare Parma ha attratto anche la produzione di conserve ittiche. Ad iniziare la lavorazione del pesce azzurro fu la Rizzoli e Tosi, che si era trasferita da Torino a Parma nel 1892 e che si occupava anche di salumi e formaggi. Trasformata poi in Rizzoli Emanuelli, è divenuta celebre per le sue alici in salsa piccante (la cui base pomodoro poteva giustificare la venuta a Parma) con il logo dei tre gnomi.

Fino agli anni ’70 le alici erano confezionate in scatole di banda stagnata con coperchio “a decollage” (saldato con lega piombo-stagno e con applicata l’apposita chiavetta per aprirlo). Nel tempo la produzione è stata estesa ad altre conserve ittiche e attualmente le stesse tradizionali alici sono confezionate anche in “minipack” (vaschette plastiche monoporzione). Con la tipica logica del distretto produttivo, nel 1950 nasce la Zarotti e nel 1974, per gemmazione familiare dallaRizzoli Emanuelli, la Delicius Rizzoli che, partendo anch’essa dalle alici e da altre conserve ittiche, recentemente ha sviluppato una gamma di pesce fresco filettato e refrigerato “ready to cook” di alta qualità. Mentre le alici erano acquistate come semilavorato maturato sotto sale, per gli altri prodotti ittici le predette aziende sono ricorse prima al copacking e, attualmente, hanno propri stabilimenti produttivi in zone marine. Nella progressiva meccanizzazione di modalità operative manuali di tipo tradizionale i costruttori di macchinari hanno avuto ovviamente un ruolo primario. In Italia ed anche a Parma, fino al secondo dopoguerra la scienza alimentare non era ancora formalizzata, l’attenzione era rivolta più alla quantità che alla qualità prodotta e la conoscenza dei processi in funzione delle caratteristiche della materia prima e del prodotto finito era a livello di tecnica empirica. La conoscenza tecnica era detenuta in particolare dai costruttori di macchinari che assommavano l’esperienza dei singoli clienti. Cosicché i macchinari stessi non erano standardizzati ma subivano continui adattamenti ed erano venduti all’industria alimentare insieme al know-how applicativo, realizzando una forma primordialedi quello che oggi chiamiamo trasferimento tecnologico. A dimostrazione del basso livello della tecnologia tradizionale, si può ricordare che, ancora negli anni ’70, a Parma erano frequenti le proteste dei “conservieri” per il fatto che i “meccano-alimentari” vendevano le linee per la trasformazione del pomodoro anche all’estero, creando competitori a più basso costo di materia prima e manodopera. Oggi, fortunatamente, grazie alla presenza di competenze tecnologiche su base scientifica, le nostre imprese del settore hanno saputo mantenersi competitive in termini di qualità a fronte dei derivati del pomodoro a basso prezzo prodotti in Cina con gli stessi impianti. Comunque, per tutta l’industria alimentare

Page 26: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

l’industrializzazione diffusa e competitiva è stata resa possibile solo con l’innovazione di prodotto edi processo.

L’industria conserviera degli anni ’60-’80 del secolo scorso era gestita in maniera puramente empirica ed il buon risultato dei processi dipendeva dall’esperienza dei cosiddetti “praticoni” e, quando proprio non se ne poteva fare a meno, ci si rivolgeva all’esperto di riferimento della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma; ma dicendo il meno possibile per non svelare i segreti industriali che si era convinti di possedere rispetto alla concorrenza. In questo clima di gelosa chiusura verso la conoscenza esterna, dominavano alcune figure aziendali strategiche: i “caldaisti” patentati, senza i quali non si poteva generare il vapore; i “boullisti”, che sapevano regolare quasi istintivamente gli impianti di concentrazione allora privi di strumentazione e di automatismi, e gli “aggraffatori”, che riuscivano a inscatolare il prodotto in maniera perfettamente ermetica, anche quando le macchine erano un poco logore e le scatole avevano scarsa omogeneità dimensionale e meccanica. Queste figure, dalle quali dipendeva molto il successo di una campagna di lavorazione, non potevano essere considerate della classe operaia ma semmai dei professionisti; per lo più infatti non erano compresi nelle trattative sindacali e stipulavano contratti personali in funzione della loro insostituibilità. Con l’avvento dei concentratori continui a controllo automatico, i “boullisti” hanno perso i loro privilegi, mentre il ruolo strategico degli “aggraffatori” permane tuttoggi.

Page 27: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.9 - L’industria meccanica per l’industria alimentare

Fino all’ultimo decennio del XIX secolo, fatta eccezione per gli zuccherifici, la produzione dialimenti a livello commerciale avveniva in maniera del tutto manuale e utilizzando attrezzaturemolto semplici: di legno, di ferro e di rame. Le attrezzature metalliche erano fabbricate dai fabbriferrai e ramai. I prodotti alimentari privi di protezione intrinseca (crosta nel formaggio, cotenna obudelli nei salumi) erano confezionati in carta oleata, casse e barili di legno e, solo in piccola parte,in contenitori di vetro o di ceramica. Il passaggio dall’artigianato all’industria alimentare è statodeterminato dalla sostituzione delle forze naturali (uomo, animali, acqua, vento) con macchineazionate da energia appositamente prodotta (vapore prima e elettricità successivamente), chehanno permesso di aumentare la capacità produttiva a parità di manodopera impiegata. A suavolta, anche i costruttori di macchinari sono passati dalla fase artigianale, nella quale sicostruivano da soli i propri attrezzi, a quella industriale con la progressiva introduzione di macchineutensili. Come riferisce Ubaldo Del Sante, all’inizio del ‘900 non era ancora in uso il maglio abalestra o pneumatico e le semisfere di rame grezze prodotte nel bresciano erano modellatemanualmente per ricavarne i fondi delle boulle di cottura e concentrazione. Inizialmente, quindi,erano le fonderie e le officine meccaniche generiche che costruivano, oltre a manufatti emacchinari di vario genere, anche attrezzature e macchine per l’industria alimentare allestite divolta in volta “su misura”. Come retaggio di questa versatilità, ancora nel secondo dopoguerra, puressendoci già stata una differenziazione produttive specialistica, era normale che i clientichiedessero al loro fornitore di macchine alimentari anche attrezzature estranee al settore dicompetenza. D’altra parte, il forte sviluppo di mercato avuto dai costruttori parmigiani negli anni’70, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, è stato basato proprio sulla concorrenzialitàdell’approccio “tailor made”, rispetto a quello standardizzato delle multinazionali del settore.

Nel primo decennio del secolo scorso, le officine meccaniche che costruivano generatori di vaporee motori a vapore avevano come committenti anche le nascenti industrie alimentari e, nel tempo,alcune di esse hanno sviluppato questo settore di mercato grazie alla capacità di ideare e costruiremacchine sempre più efficienti. L’introduzione del vapore come mezzo di riscaldamento indiretto,oltre che come forza motrice, è stato un elemento particolarmente importante per le officinemeccaniche locali perché ha trovato applicazione nei numerosi caseifici e, soprattutto, per latrasformazione del pomodoro. Infatti è stato a partire da questo settore che vi è stata l’evoluzionepiù ampia e tuttora in corso di impianti di concentrazione e di trattamento termico. Nel secondodopoguerra è iniziata la sostituzione del rame con l’acciaio inossidabile (che diventerà materialeelettivo per l’igiene alimentare) e i costruttori parmensi si sono particolarmente affermati a livellonazionale e internazionale proprio per la particolare abilità nel lavorare, saldare e lucidare aspecchio questo materiale anche nelle superfici esterne non a contatto con l’alimento. Dellatradizionale abilità manuale, infatti, è rimasta la propensione a non trascurare anche gli aspettipuramente estetici, con un indubbio effetto “Italian style” anche per mezzi di produzione tutt’altroche frivoli.

Come già detto, l’industria meccano-alimentare parmense si è specializzata nella costruzione dimacchine e impianti per le lavorazioni locali via via industrializzatesi in maniera diffusa, a partire daquelle per la pasta secca e per il concentrato di pomodoro, adattando queste ultime anche allatrasformazione della frutta e alla produzione di conserve vegetali più in generale, che si eranoaffermate in Romagna ed in Campania. Successivamente si è sviluppato il settore delleattrezzature per salumifici, con particolare riferimento ai salumi crudi che non potevano contare suun know how sviluppato in altri Paesi. Molto più recente è stato lo sviluppo dei macchinari per ilformaggio parmigiano, vincolato alla dimensione artigianale e tuttora caratterizzato dall’impiego dicaldaie con fondo di rame, di attrezzature di legno e di tele di canapa.

Page 28: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.9.1 L'Industria delle Macchine di Processo, Confezionamento Primario e complementari

Il comparto delle tecnologie agroalimentare, e particolarmente quello di processo di lavorazione diprodotti ortofrutticoli, comincia a formarsi nel territorio parmense alla fine dell’800, e mentre sisviluppa lentamente fino alla metà del ‘900, nel periodo immediatamente successivo alla fine dellaSeconda Guerra Mondiale, si incrementa velocemente per esplodere letteralmente negli anni‘60/’70.Ricostruire la storia del primo periodo non è stata cosa semplice, in quanto in quegli anni nonesisteva ancora il registro delle imprese, tenuto dalle Camere di Commercio: la sua introduzionesarà prevista solo con il Codice Civile del 1942, per essere poi attuato definitivamente da unalegge del 1993. Gli unici dati disponibili prima degli anni quaranta sono quelli recuperabili da vecchidocumenti, ruoli delle imposte dirette, fatture, registrazioni di partecipazioni alle manifestazionifieristiche. Ciò che ci resta sono quindi testimonianze frammentate che hanno permesso ditratteggiare i pur brevi cenni che seguono.

Nel 1880, secondo un'indagine del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, nel Parmenseoperavano 17 ditte fra fonderie e officine meccaniche, con sedi in Parma, Fidenza, Felino eSorbolo, con un numero di 147 addetti, di cui 38 donne e 109 uomini.A Parma le officine meccaniche, che erano 8 nel 1897, erano diventate 33 nel 1913 e 36 nel 1922.Nel 1908 gli occupati erano circa 400.Si trattava principalmente di piccole realtà artigiane a conduzione familiare tra le quali si ricordanole seguenti.

Attingendo in parte da una dettagliata trattazione di Ubaldo Del Sante37, di seguito si richiamanobrevemente alcuni dati sulla consistenza numerica del nascente meccano-alimentare parmense e inomi di alcuni pionieri, ai quali va il merito di avere messo robuste radici per tutto il settore anchenei casi in cui le loro imprese non sono state tramandate fino ai giorni nostri.

La Pietro Campanini, presso la quale lavoravano 8 operai e produceva torchi per uva e per pasta,caldaie per locomobili e serbatoi per latrine.

La Giovanni Centenari & F., con sede in Via delle Fonderie, la cui produzione si basava sucostruzioni in ferro di vario genere; oltre che in pesi e misure, era specializzata nella costruzione dimacchine a vapore per caseifici e pastifici.

Nel 1850 Pompeo Simonazzi aprì a Baccanelli una officina che costruiva attrezzi agricoli e i suoidiscendenti, verso il 1910, estesero la produzione ai macchinari per la lavorazione delle conservealimentari e per i caseifici e negli anni ‘30 iniziò la produzione dosatrici per il riempimentoautomatico delle scatole di conserva di pomodoro. Successivamente la Simonazzi si indirizzòesclusivamente alle macchine per l’imbottigliamento del vino e di altre bevande.

La Bartolomeo Ballari, fondata nel 1872, si era specializzata nella costruzione di impianti permulini, pastifici, fabbriche di concentrato di pomodoro (fu tra le prime ad introdurre i concentratoricilindrici) e di motori idraulici.

La Carlo Migliavacca, fondata nel 1875 e tuttora attiva, nel 1936 ha registrato il primo brevetto didosatrice per concentrato di pomodoro.

La Luigi Ferrari, nata nel 1878 con sede a Barriera Bixio, costruiva macchine agricole. Essa si ètrasformata, negli anni successiva nella Ing.ri Cugini e Mistrali e poi, all'inizio del '900 nella IngAlberto Cugini, che nel 1910 contava 130 operai ed era lo stabilimento più grande in città. Essadisponeva anche di una fonderia e produceva turbine e impianti per la conserva di pomodoro, permulini, caseifici e pastifici. Ma nel 1912 l’impresa fallì perché il declino della spinta trainante dellefabbriche di conserva di pomodoro e la riduzione dell’attività molitoria, non erano compensati dallatimida introduzione di macchinari nei caseifici.

Page 29: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

Fin dal 1890 alcuni Manzini si erano dedicati alla lavorazione del rame e uno di questi, EgidioManzini, negli anni ’30 brevettò una batteria di concentratori accoppiati a un solo condensatore acolonna barometrica e produceva impianti per la lavorazione del pomodoro, mosti d’uva, latte,caseina, malto per panificazione, nonché bacinelle per cottura basculanti a doppia velocità.

La Pierino Reviati di Felino, che ha origine da una bottega di fabbro ferraio iniziata dal padreCesare nel 1896, inizio prima a riparare e poi a costruire macchine per l’industria delle conserve dipomodoro e si è poi trasformata nella Pellacini Sergio & Figli, con sede a Sala Baganza.

A queste ditte, poi chiuse, dall'inizio del '900 alla Seconda Guerra Mondiale si sono aggiunte nuoveaziende che hanno scritto la storia del comparto, sia per la costruzione di impianti e macchine diprocesso di lavorazione dei prodotti ortofrutticoli che di confezionamento e imbottigliamento. Ilvero e proprio sviluppo è poi avvenuto dopo la Seconda Guerra Mondiale.I fondatori di queste aziende si possono considerare il pionieri del comparto delle tecnologieagroalimentari nel nostro territorio, per molti dei quali ancora in vita sono state elaborate breviinterviste inserite nel capitolo “I Pionieri”.

Oreste Luciani, che aveva iniziato come operaio nell’officina Centenari specializzata in macchinaria vapore, nel 1909 fondò una propria officina. Dopo la Grande Guerra aveva una propria fonderiae potenti presse per lo stampaggio delle piastre per recipienti a pressione e nel secondodopoguerra la produzione comprendeva anche aggraffatrici per scatole.

Tito Manzini, che alla fine del secolo scorso era stato tecnico montatore presso lo zuccherificioEridania, successivamente ampliò la sua esperienza nel settore conserviero e nel 1918 fondò lasua officina che si sviluppò costruendo linee per la produzione e l’inscatolamento di conserve dipomodoro e di frutta, oltre che per caseifici.

L'esigenza di generatori di vapori per la crescente industria conserviera ha stimolato UgoMingazzini, titolare della Vittoriosa che costruiva locomotive, a sviluppare dal 1918 questaproduzione fondando poi nel 1929 la Mingazzini.

Dal “Dizionario biografico dei parmigiani” risulta che Tommaso Barbieri, il quale da giovane avevainiziato a lavorare nell’officina Cugini e Mistrali, dopo aver gestito con il socio Palmia una vecchiaofficina meccanica, verso il 1924 si mise in proprio, rilevando lo stabile della ex Cugini. Fu il suostabilimento a costruire la prima pressa automatica per la produzione di pasta brevettata dai fratelliMario e Giuseppe Braibanti, per la quale arrivarono ordinazioni da tutto il mondo. Dal 1938, in unnuovo stabilimento venivano costruite intere linee di produzione acquistate da grandi pastifici; ma,poiché non nascondeva di accogliere nella sua officina perseguitati dal regime fascista, nel 1944 fuassassinato e con lui morì anche l’azienda.

All’inizio del secolo scorso risale anche la fondazione a Panocchia della Ghizzoni Ettore,apprezzata per la grande capacità di lavorazione dell'acciaio inossidabile, particolarmente perimpianti di concentrazione del pomodoro; l'attività si è tramandata di padre in figlio fino ai giorninostri.

Giovanni Robuschi già dal 1925 lavorava alla riparazione di pompe centrifughe nella propriaofficina in via Bixio. Nel 1941 ha fondato la Robuschi, avviando la produzione vera e propria dipompe per l'industria alimentare e l'agricoltura.

Altro settore specifico è la lavorazione del pane e dei prodotti da forno. In questo campo hannoiniziato a lavorare Celeste Tagliavini e il figlio Enzo, inizialmente costruendo, dal 1934, forni inmuratura per corti agricole. Con l'arrivo del tecnico Rudolph Kauber, Enzo Tagliavini ha fondato nel1945 la Kauber & Tagliavini per la produzione industriale di forni. Dal 1958 l'azienda ha assunto ladenominazione di Tagliavini srl.

Page 30: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

Nel 1936, Gino Gherri ha fondato la propria azienda per la progettazione di attrezzaturemeccaniche varie. Poi nel 1952, con l'entrata in azienda del figlio Giancarlo, la produzione si èspecializzata nelle macchine per l'industria alimentare, particolarmente per la lavorazione dellecarni suine.

Negli anni ‘40 l'ing. Andrea Rossi ha costituito A. & G. Rossi per la produzione anche diintubettatrici automatiche

La storia della Vettori & Manghi descritta da Giancarlo Culatelli è emblematica delle dinamicheche hanno caratterizzato il meccano-alimentare parmense nel secondo dopoguerra. RodolfoVettori e Ennio Manghi, che nel 1943 avevano avviato una officina meccanica generica, nel 1948puntarono sulla progettazione e costruzione di attrezzature per l’industria conserviera e furono iprimi a sostituire i fondi di rame con quelli di acciaio inossidabile, importando sia il materiale basesia gli utensili per lavorarlo.

Il giovane Camillo Catelli, dopo una breve esperienza come tecnico presso un’azienda meccanica,nel 1945 ha fondato con due amici la Catelli e C. diventata poi Rossi & Catelli con l'ingressodell'Ing. Angelo Rossi.

Si ricorda con piacere la Lanzi di Pontetaro, che si è costituita nel 1946 per la fabbricazione dimacchine per la produzione di scatole e barattoli in banda stagnata e per la loro chiusura.

Esempio di specializzazione estrema è la Del Monte Pompe, fondata nel 1946 e inizialmentededicata al settore agricolo, che dal 1949 ha sviluppato la pompa monovite, incentrandosi neglianni solo su questa produzione.

Nel 1947 Bruno Soavi ha fondato Soavi Bruno & Figli, inizialmente per la produzione di macchineper il burro e successivamente omogeneizzatori per l’industria casearia, una particolareapplicazione di pompe a pistoni ad alta pressione.

L'Ing. Angelo Rossi è uscito dalla Rossi & Catelli nel 1948 costituendo la Ing. A. Rossi Impianti,oggi affermata in tutto il mondo nella produzione di macchine per la lavorazione di pomodoro eprodotti ortofrutticoli.

L'Officina Meccanica Reduci, diventata poi La Parmigiana, è stata fondata nel 1949 da LudovicoAdorni, Walter Montari e Afro Valesi, tutti e tre reduci di guerra. Dalle esperienze acquisite con lacostruzione di presse per mattoni, hanno progettato la prima macchina per la lavorazione dellapasta ad alta potenzialità produttiva. In seguito l'azienda si è specializzata nelle macchine per la piccola-media produzione di pastafresca e secca. Nel 1997, con il rilevamento delle quote sociali da parte di Dina Giordani, l'aziendaconcretizzato il proprio sviluppo sui mercati.

Nel 1950, Rino Bardi ha iniziato a produrre artigianalmente lavatrici e riempitrici per bottiglie invetro, fondando poi la R. Bardi con sede a Fidenza, che negli anni si è specializzata nella solaproduzione di impianti di lavaggio, abbandonando la gamma delle riempitrici.

Mario Maselli, arrivato a Parma dalla Ciociaria due anni prima, nel 1946 ha fondato le OfficineMario Maselli per produzione e manutenzione di quadri elettrici. In seguito si è specializzato nellacostruzione di apparecchi di controllo per parametri del processo di produzione dell'industriaconserviera. Suo è il brevetto del Rifrattometro per rilvare il grado di concentrazione del pomodoro.

Nel 1950 l'ing. Tommaso Mori Checcucci e Aldo Ghiretti hanno costituito la OCME, inizialmente perla costruzione di macchine di processo per l'industria conserviera e, negli anni successivi, diriempitrici a peso e volumetriche e palettizzatori per barattoli, fardelli e casse in cartone.

Nello stesso anno è nata la Caseartecnica Bartoli, con sede a Parma, che ancora oggi produceapparecchiature per caseifici.

Page 31: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

La storia della Tecnica del Freddo è legata alla necessità di sviluppare tecnologie per laconservazione e la stagionatura di prodotti alimentari, particolarmente di salumi e formaggi, inlarga scala. Fu Aldo Terzi ad avviare nel dopoguerra l'attività a proprio nome trasformandola nel1950 in Tecnica del Freddo, ancora oggi guidata dalla famiglia Terzi.

Alberto Soncini nel 1952 ha fondato la propria azienda a Langhirano per produrre macchine persalumifici, specialmente per la lavorazione di prosciutto crudo, diventando negli anni leader nelsettore.

La Zacmi è nata nel 1954 per opera dell'ing. Giuseppe Zanichelli, per costruire un'ampia gamma dimacchine sia nel processo di lavorazione di prodotti ortofrutticoli che nel riempimento e chiusura dibarattoli e vasi per prodotti alimentari.Nei primi anni di attività è diventato fornitore privilegiato della De Rica di Piacenza e in quegli anniha messo le basi tecnologiche per un futuro di successo.

Provenienti dalla Vettori & Manghi e dalla Mingazzini, nel 1958 Ermes Ghiretti e Franco Dall'Arginehanno fondato la Dall'Argine & Ghiretti, specializzandosi in macchine per la lavorazione delpomodoro, tra le quali molto apprezzati sono stati i pastorizzatori-raffreddatori a scatola rotante ele macchine per la lavorazione della polpa di pomodoro.

Sulla Gazzetta di Parma del 12 novembre 1959 è riportato che la Campesato, nata lo stesso annoper opera di Marino Campesato, è stata la prima azienda a progettare pulitrici per cipolle. Neltempo sono seguite una serie di macchine per lavaggio, asciugatura, pulitura e calibratura diprodotti ortofrutticoli e, particolarmente, di tuberi.

Il gruppo americano IMC-FMC, la cui fondazione risale al 1883 a opera di Mr. John Bean, nel 1960ha aperto una propria sede a Parma, avviando la produzione di macchine di processo per lalavorazione e il confezionamento di prodotti ortofrutticoli, succhi di agrumi e tonno.

Nello stesso anno, i fratelli Silvio e Piero Zecchetti, grazie all'esperienza acquisita presso laCapolo e la Bronzoni, hanno dato vita alla propria azienda a Montecchio Emilia iniziando conl'attività di manutenzione di macchine per scatolifici e sviluppando nel tempo la produzione di unavasta gamma di trasportatori, palettizzatori e depalettizzatori.

Provenienti dalla Rossi & Catelli, sempre nel 1960 Gianni Bertonelli, Fabbi e Rastelli hanno decisodi fondare la propria azienda, denominandola FBR e avviando la costruzione di evaporatori perconcentrato di pomodori e sviluppando, tra i primi in Italia, le pelatrici per pomodoro e le riempitricisottovuoto di barattoli.

Giorgio Bellini ha fondato nel 1962 la Zilli & Bellini, specializzandosi nella costruzione dimacchine di riempimento di barattoli e vasi con prodotti conservati. Nel tempo ha aggiunto unaapprezzata gamma di aggraffatrici e macchine complementari, ponendosi quale fornitori di lineecomplete particolarmente per vasi.

Nello stesso anno Giorgio Dordoni e Franco Martini hanno fondato, con altri soci, laTecnindustria. Inizialmente la ditta lavorava solo per la costruzione di macchine conto terzi e poiha sviluppato impianti propri per la lavorazione e il confezionamento di prodotti ortofrutticoli.

Renato Remedi e il cognato Franco Maggiani hanno dato vita, sempre nel 1962, allaFrigomeccanica, con sede a Sala Baganza, specializzata nella produzione di impianti direfrigerazione e stagionatura industriale di carni e formaggi.

Renzo Levati nel 1963 ha costituito la R. Levati, inizialmente proseguendo nell'attività del padre direvisione e commercio di macchine usate per l'industria conserviera e iniziando poi laprogettazione e costruzione di macchine di processo, tra cui molto note le autoclavi, ledetorsolatrici di peperoni e le friggitrici.

Page 32: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

La B.C. è nata a Parma nel 1965 grazie a Vittorio Macrì e altri soci, sviluppando la produzione diriempitrici e tappatrici per bottiglie, specializzandosi particolarmente nel settore del vino conimpianti a bassa e media velocità.

Nel 1967, per iniziativa di Mario Gelati e Adriano Cavatorta, provenienti dalla OCME e dallaLuciani, unitamente ai fratelli Zecchetti e Ivan Del Rio, hanno fondato la Comaco a MontecchioEmilia. Grazie alla consolidata esperienza dei fondatori, l'attività aziendale si è sviluppatarapidamente in diversi settori, particolarmente nel campo delle aggraffatrici, delle riempitricivolumetriche, dei palettizzatori e depalettizzatori e soprattutto delle linee complete destinateall'agroalimentare e al petrolchimico.

L'ing. Mori Checcucci, uscito dalla OCME, ha scelto di intraprendere (primo in Italia) la strada dellemacchine per controllo peso, fondando la Tecnoeuropa nel 1969, che si è specializzata nellaproduzione di selezionatrici ponderali per prodotti sfusi e confezionati.

Più giovane ma comunque pionieristica nel proprio settore è la storia della Fava Giorgio e Axel,fondata nel 1976 per produrre una vasta gamma di macchine per l'industria alimentare especializzata nel settore della carne e degli insaccati, soprattutto salumi cotti.

Nel 1979 è nata un'altra azienda dalla storia breve ma significativa: la Elpo. Provenienti dalla Star,Martin Ellenberg e Renato Ponzi iniziarono la produzione di riempitrici asettiche in sacchi e bag-in-box. Furono proprio le intuizioni di Ellenberg a rivoluzionare i concetti di conservazione di prodottisemilavorati in uso allora.

L’industria meccano-alimentare di Parma, come già accennato in precedenza, ha avuto un grandesviluppo nella seconda metà del ‘900, soprattutto per l’esportazione nei Paesi in via di sviluppo(Sud-America, Medio-Oriente, Nord-Africa, Est-Europa) e anche in quelli più arretrati grazie aifinanziamenti Statali per la cooperazione allo sviluppo. La concorrenzialità dei nostri costruttoririspetto alle multinazionali del settore era dovuta alla grande flessibilità organizzativa, chepermetteva di offrire a prezzi relativamente bassi macchinari adattati alle esigenze specifiche delcliente (tailor-made) e di eccellente fattura anche estetica. Si era informalmente costituito un vero eproprio distretto industriale specializzato; nel quale le imprese maggiori avevano la forzacommerciale per acquisire e gestire contratti internazionali anche chiavi-in-mano (assumendosil’impegno di formare le maestranze e, talora, anche di commercializzare prodotti) ed effettuavanoal loro interno solo le lavorazioni più strategiche, avevano favorito (spesso gemmate dalle prime)la maggior parte del lavoro alle molte imprese più piccole che offrivano contoterzismo moltoeconomico. In questo contesto, nelle imprese maggiori spiccava la figura del “montatoretrasfertista”, al quale era affidato appunto il montaggio degli impianti, ma anche il loro collaudo,l’addestramento della manodopera e, spesso, la conduzione della prima campagna di produzione.Quello dei montatori era un lavoro duro, che costringeva a lunghe permanenze all’estero; maanche gratificato dall’esercizio del comando assoluto e dalle integrazioni al salario. Questo nefaceva una sorta di casta privilegiata, sia per il buon tenore di vita garantito alla famiglia, sia perl’invidia che destavano i racconti sui piacevoli fine-settimana trascorsi in grandi ed esotiche cittàstraniere. Certamente, al pensionamento era difficile per questi giramondo riadattarsi alla normalevita familiare e cittadina, ma la carenza di giovani disposti a sostituirli, permetteva loro diproseguire l’attività come freelance. Oggi la figura del trasfertista è stata normalizzata dalle risorsetelematiche che permettono di consultare di volta in volta lo specialista in sede per la soluzione deiproblemi.

Page 33: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.9.2 L'Industria degli Imballaggi Primari in Vetro e Acciaio

Collateralmente all’industria delle conserve alimentari, si è sviluppato a Parma anche un altrosettore meccanico: quello della produzione di contenitori primari in vetro e acciaio.

Rocco Bormioli nel 1825 aveva aperto una vetreria a Borgo S. Donnino (oggi Fidenza) e nel 1860aveva trasferito la produzione a S. Leonardo (Parma), producendo bottiglie con lavorazioniprevalentemente manuali. Dopo essere stato distrutto nella Seconda Guerra Mondiale, lostabilimento fu ricostruito con forni e meccanizzazione statunitensi, permettendo così diconquistare rapidamente la principale quota del mercato del vetro cavo per alimenti. Oggi, dopomolte variazioni societarie, la Bormioli Rocco S.p.A., con sede a Fidenza, è la seconda industriavetraria in Europa (terza al mondo) con 20 stabilimenti produttivi.

Anche se già nel 1895 erano impiegati localmente contenitori di banda stagnata, il primoscatolificio sorto a Parma nel 1907 è stata la Società Ligure Emiliana che producevaquotdianamente fino a 15.000 contenitori.

Nel 1910 a Montecchio Emilia è stata fondata la Società Anonima Cooperativa Cattolicadenominata “Casa del Popolo”, poi divenuta Capolo, successivamente Impress e, nel 2011 è stataacquisita da Ardagh Group.

La S.C.E.D.E.P. è nata a Parma nel 1919 per la litografia dei corpi scatola iniziando poi laproduzione vera e propria di barattoli. Ha venduto la linea completa alla Superbox nel 1970 ecessato anche l'attività litografica nel 1976.

Nel 1940 è stata costituita a Parma la fabbrica di scatole e barattoli Sirma, il cui pacchettoazionario è stato acquisito nel 1968 dalla Metal Graf di Lecco, poi nel 1978 dalla Efim (società apartecipazione statale).

Nel 1955 è nata a Calerno la fabbrica di barattoli Fa.ba che, nel 1980, ha acquisito il pacchettoazionario della Sirma, trasformandola in Nuova Sirma. Le due aziende si sono fuse nel 1996 con ladenominazione di Fa-ba Sirma e oggi inglobate nella multinazionale Crown Imballaggi Italia.

La Superbox di S. Ilario d’Enza (RE), attivata nel 1960, dopo diversi passaggi societari ha chiusolo stabilimento nel 1997 trasferendo la produzione in Turchia.

Negli anni '80, per iniziativa di Ivan del Rio e dell'ing. Foresti, è nata a Campegine la In.CamFabbrica Barattoli, poi afferita alla National Can Italiana con sede nel Salernitano. Nel 2011 èstata acquisita da Ardagh Group.

Gli enormi investimenti richiesti nella produzione di imballaggi in acciaio per sviluppo,progettazione e materia prima hanno portato, per ridurrei costi, alla concentrazione in pochistabilimenti, di cui tre presenti tra il Parmense e la Val d'Enza, appartenenti a due multinazionalicome Crown Imballaggi e la Ardagh Group. In questi tre stabilimenti oggi è prodotto circa l'80% deltotale Italiano.

Page 34: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.10 – Le macchine per l'industria conserviera

1.3.10.1 Macchine di Processo e Confezionamento Primario

Come riportato da Cusatelli, in una intervista sulla “Gazzetta di Parma” del 29 settembre 1967, lanipote Laura Rognoni così descriveva la produzione artigianale di conserva di pomodoro: «Qui aPanocchia, nel vecchio podere del mio nonno, c’è tuttora l’antica conservera, dove le pile deisacchi di tela venivano schiacciate sotto una rudimentale pressa azionata a mano o a cavalcioni,per eliminare il liquido dei pomodori: ricordo bene i grandi setacci di rame che passavano la polpanei bigonci, le grandi caldaie di rame in cui sul fuoco a legna si cuoceva la salsa, continuamenterimescolata da lunghe pale di legno: Poi veniva fatta asciugare su tavole al sole, e infineconservata e confezionata in pani di 1 kg, duri e neri, che venivano avvolti in fogli colorati di cartaoleata». Questo stesso schema operativo può essere utilizzato per illustrare sinteticamente losviluppo dei macchinari impiegati nella produzione industriale a partire dal primo ‘900.

Fino a quando erano impiegate varietà tradizionali, per triturare il pomodoro erano impiegatitrituratori a coltelli. Con l’introduzione degli ibridi da raccolta meccanica, invece, è stato necessarioricorrere ai trituratori a martelli, peraltro di uso più generale. Secondo la tecnica tradizionale, ilpomodoro era triturato a freddo (cold break) e poi riscaldato in scambiatori di calore a calandria,detti “brovatrici”, a temperature non troppo elevate per non inattivare i semi che venivanorecuperati per l’anno successivo. Il triturato riscaldato, la cui consistenza era stata ridotta daglienzimi pectolitici attivati dal riscaldamento, era inviato alla setacciatura per separare i frammenti dipelle ed i semi (passatura con luce del vaglio da 1,2 mm) e per ridurre la dimensione dei granuli dipolpa (raffinazione con un secondo vaglio da 0,8-0,6 mm e, se il concentrato era destinato allaricostituzione in succo da bere, superraffinazione con un terzo vaglio da 0,4 mm). Per ilconcentrato destinato alla produzione di ketchup, invece, la triturazione era effettuata a caldo (hotbreak) (introdotta nel 1936), riciclando sul trituratore una parte del prodotto in uscita dallabrovatrice, così da limitare la macerazione enzimatica ed avere una maggiore consistenza.Quando si è sviluppata la produzione di “passata di pomodoro”, il mantenimento della massimaconsistenza è diventato elemento di vantaggio competitivo, in quanto permetteva di ridurre il gradodi concentrazione del prodotto finito, e, a tale fine, la Rossi & Catelli ha sviluppato il “super hotbreak”, basato sulla disaerazione del prodotto nel trituratore, così da inibire fin dall’inizio l’attivitàdegli enzimi pectolitici.

Con l’introduzione degli ibridi di pomodoro ad alta consistenza per la raccolta meccanica e per iltrasporto in cassoni liberi, è stato necessario aumentare la potenza delle passatici, cercandoperaltro di evitare il passaggio nella polpa di frazioni indesiderate come quelle necrotizzate. A taleriguardo si possono citare la passatrice-raffinatrice a battitori liberi Butterfly della Rossi & Catelli, ilTurboestrattore monostadio della Manzini e quello alveolare epicicloidale della Bertocchi.La classificazione merceologica dei diversi concentrati è definita dal D.P..R. 11 aprile 1975 n. 428,il quale prevede ancora il “sestuplo concentrato di pomodoro”, ovvero un succo di pomodoroconcentrato fino ad almeno il 55% di residuo secco al netto del sale aggiunto (con circa 10 kg dipomodori freschi per ottenere 1 kg di prodotto), corrispondente grosso modo all’antica “conservanera” ottenuta completando la concentrazione per ebollizione con un asciugamento al sole. Il triploed il doppio concentrato sono quelli con residuo secco netto non inferiore, rispettivamente, al 36%e al 28%. Per il concentrato semplice e per il semi-concentrato il limite è di residuo secco è,rispettivamente, 18% e 12%.

La concentrazione del succo polposo inizialmente era effettuata in maniera discontinua con le“boulle”, così chiamate perché le prime erano state importate dalla Francia. Si trattava di unaevoluzione della bacinella a doppio fondo (flussato con vapore saturo come mezzo diriscaldamento), con agitatore ad ancora e chiusa da una campana, a sua volta collegata nellasommità ad una colonna d’acqua barometrica in maniera tale da condensare il vapore liberato dalprodotto e mantenere all’interno un certo grado di vuoto, con conseguente abbassamento della

Page 35: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

temperatura di ebollizione. Successivamente sono state realizzate batterie di “boulle” per laconcentrazione finale del prodotto scaricato da un singolo preconcentratore. Infine, sono statiapplicati al pomodoro i concentratori continui ad uno o più stadi, ciascuno costituito da unoscambiatore di calore tubolare (introdotto nel 1935) e una camera di ebollizione sotto vuoto, el’abbinamento alla colonna barometrica del vuoto meccanico mediante pompa ad anello liquido.Non è stato possibile mutuare direttamente i concentratori continui a circolazione naturale giàimpiegati per liquidi newtoniani, quali le soluzioni zuccherine e il latte. Infatti, la reologiapseudoplastica del succo polposo di pomodoro ha reso necessario introdurre le pompe per lacircolazione forzata, azionate da turbine alimentate con il vapore di caldaia per contenere il costoenergetico, visto che in Italia l’energia elettrica è stata sempre particolarmente cara. Perminimizzare il consumo di vapore, d’altra parte, i concentratori continui sono a multiplo effetto(utilizzo del vapore liberato dal prodotto in uno stadio ad alta temperatura e basso vuoto, perriscaldare lo stesso prodotto in uno stadio a bassa temperatura ed alto vuoto, oltre che prevederela termocompressione del vapore liberato dal prodotto con vapore vivo di caldaia.

La sostituzione dei fondi di rame con quelli di acciaio inossidabile inizia nel secondo dopoguerra edal 1957 la Maselli Misure aveva reso disponibile il rifrattometro per il controllo automatico delgrado di concentrazione. L’evoluzione dei concentratori, con riduzione sia della temperatura sia deltempo di trattamento e conseguente riduzione della velocità di imbrunimento non enzimatico(reazione di Maillard), a parità di grado di concentrazione ha permesso di ridurre progressivamentel’inscurimento del colore e il gusto di cotto. Questo valeva in particolare per la conformazione diimpianto che prevedeva nei diversi stadi una temperatura decrescente all’aumentare del grado diconcentrazione, in controcorrente quindi rispetto al grado di vuoto. Con l’introduzione delle varietàdi materia prima ad elevata consistenza, è stato necessario passare alla configurazione inequicorrente, perché il prodotto più concentrato doveva avere temperatura elevata per risultarepompabile e, comunque, è risultato più difficile ottenere triplo concentrato.

Per promuovere i primi concentratori continui si sosteneva che una frazione di succo inizialepotesse “by-passare” i vari stadi di trattamento preservando nel prodotto finale l’aroma di fresco.Questo giustificava anche l’inserimento a valle del concentratore Il triplo concentrato di pomodoro destinato alla rilavorazione industriale era riempito a caldo in fustida 200 litri (prima di legno, poi di plastica) con strati di sale; mentre il doppio concentrato(microbiologicamente più alterabile) era riempito a caldo in scatole di banda stagnata di grandeformato (10 e 5 kg), fino all’introduzione negli anni ‘80 del trattamento termico e confezionamentoasettico in sacchi plastici da 200 litri presterilizzati a raggi gamma, utilizzando riempitrici asetticheche hanno rappresentato una evoluzione prettamente parmigiana della tecnica “bag-in-box”introdotta nel 1974 dalla Sholle statunitense. I concentrati da mercato al dettaglio eranoconfezionati per lo più in scatole di piccolo formato (molto diffuso il tamburello da 100 g) e in tubettidi alluminio flessibile. Oggi il mercato di questi prodotti è ridottissimo e praticamente limitato aitubetti flessibili da 130 o 180 g, in quanto è stato sostituito da derivati del pomodoro a maggiorecontenuto di acqua.

Il riempimento a caldo dei fusti non richiedeva particolari macchinari, in quanto era effettuatoscaricando direttamente il prodotto dal fondo delle boulle di concentrazione discontinue, ed anchela chiusura (peraltro non ermetica) era manuale. Per le scatole di banda stagnata e per i tubetti,invece, era necessario disporre di sistemi di dosaggio e macchine chiuditrici, seppure afunzionamento semiautomatico. Diverse officine parmensi si sono specializzate nella produzione diqueste macchine, tanto più complesse e automatizzate quanto più piccoli erano i contenitori dariempire e chiudere. Il sistema di dosaggio era volumetrico a pistone e, poiché il confezionamentonei piccoli formati avveniva per lo più fuori campagna con prodotto precedentemente conservatonei fusti, le dosatrici erano integrate con sistemi di preriscaldamento (prima in semplici tramoggecon camicia a vapore e agitatore, poi con scambiatori di calore tubolari e pompe di circolazione).Le macchine per chiudere le scatole di banda stagnata erano e sono tuttora costituiteessenzialmente da un piatto di appoggio, un mandrino per comprimere il coperchio sul corposcatola e due rollini che si avvicinano in successione con moto relativo rotazionale per realizzare ladoppia aggraffatura tra il bordo del corpo scatola e quello del coperchio ricoperto di mastice (conuna prima operazione di aggancio ed una seconda operazione di sovrapposizione e compressione

Page 36: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

dei ganci), così da renderla ermetica grazie al mastice interposto tra gli strati metallici. A parità diprincipio di funzionamento, peraltro, le macchine aggraffatrici hanno subito un progresso continuoche ha portato dalle prime attrezzature da banco completamente manuali alle attuali multi testa acontrollo elettronico che arrivano a chiudere 1.000 scatole al minuto.

I trituratori, le bolle di concentrazione e le dosatrici a pistone per i concentrati di pomodoro hannotrovato impiego anche nella produzione di confetture e marmellate; ma con evoluzione più lentadata la taglia molto più piccola di queste produzioni (ancora nel decennio scorso l’impiego diconcentratori continui era una eccezione). Per il confezionamento finale di questi prodotti, invece,l’impiego delle scatole di banda stagnata è stato molto marginale rispetto a quello dei vasi di vetro.La tipologia di tappatrici è mutata nel tempo con il tipo di chiusure impiegate: dalle robuste capsulea corona, che richiedevano semplici mandrini a pressione, alle capsule twist-off da avvitaredelicatamente sulle filettature dell’imboccatura del vaso e tenute salde dal vuoto interno generatoper raffreddamento del prodotto riempito a temperatura prossima a quella di ebollizione.

La produzione di pomodori pelati, che a Parma ha affiancato quella dei concentrati fino agli anni’60-’70 ed ha invece caratterizzato lo sviluppo conserviero in Campania, richiede attrezzaturecompletamente diverse ma che sono anch’esse rappresentative del primato meccano-alimentareparmense. Le pelatrici a vapore con caduta di pressione (dette termo-fisiche), che erano stateintrodurre negli USA fin dagli anni ’40 in alternativa alla pelatura in bagno di soda caustica, nonerano adatte ai pomodori di forma allungata utilizzati per legge in Italia, in quanto la bassaresistenza meccanica comportava elevata incidenza di rotture. Notevole fortuna riscosse pertantola pelatrice termo-meccanica della Savi, basata su un preriscaldamento superficiale per attivare glienzimi pectolitici, una incisione dentinata longitudinale e lo sgusciamento della polpa dalla pellelacerata per compressione tra tamponi disassati che mimano lo schiacciamento nel palmo dellamano. Quando, però, le varietà di pomodoro tradizionali furono sostituite dai nuovi ibridi ad elevataresistenza meccanica, le pelatrici termo-meccaniche non risultarono competitive rispetto a quelletermo-fisiche, molto più semplici ed a maggiore capacità produttiva (quella sviluppata negli anni ’80dalla FBR, con la seconda camera tenuta sotto vuoto mediante un eiettore regolabile, sicaratterizzò per la particolare versatilità e per il ridotto consumo energetico). Per evitare di averenel prodotto finito bacche deteriorate o immature, la lavorazione prevede fasi di cernita prima edopo la pelatura e, l’introduzione di selezionatrici ottiche automatiche ha reso economicamenteaccettabili queste operazioni tradizionalmente affidate a squadre di numerose addette (come ilcontrollo del riempimento scatole, questo tipo di lavoro era esclusivamente femminile). Lanecessità di mantenere l’integrità della polpa nel prodotto finito, garantendo peraltro il peso nettodichiarato in etichetta anche nelle scatole di formato standard da 480 g con diametro relativamentepiccolo, ha richiesto l’impiego di calibratici a monte della pelatura e di particolari sistemi diinscatolamento. Come riempitrici si sono affermate quelle rotative a piatto forato, con a valle lacolmatura con salsina (concentrato semplice ottenuto per lo più dagli scarti di cernita).

Poiché i pomodori pelati sono dosati quasi a temperatura ambiente e la poca salsina aggiuntacalda non permetterebbe di eliminare l’aria inglobata nelle scatole (con conseguente assenza divuoto interno e rapida corrosione della banda stagnata per azione dell’ossigeno), prima dellachiusura le scatole (eventualmente con il coperchio solo preaggraffato) erano sottoposte ad untrattamento di riscaldamento in un tunnel a vapore (exhauster) per allontanare l’aria interna primadella chiusura ermetica. Questa operazione, che comportava un grande spreco di vapore, con lacrisi energetica degli anni ’70, è stata sostituita dall’introduzione delle colmatrici sotto vuoto per lasalsina e del getto di vapore sulle aggraffatrici. In tutti i casi, per la stabilizzazione microbiologicadei pomodori pelati è necessario sottoporre il prodotto inscatolato ad un trattamento termico ingrado di portare a circa 90°C la temperatura della porzione di prodotto che si riscalda piùlentamente. A parte i piccoli bagni statici con acqua all’ebollizione per produzioni artigianali e legrandi vasche con tappeto mobile sul fondo che erano impiegati in Campania ancora negli anni’80, i costruttori di Parma hanno proposto pastorizzatori-raffreddatori continui a scatola rotante adalta capacità produttiva anche molto innovativi (come quello di Dall’Argine Ghiretti che, soprattuttonei formati da 1 e 3 kg, permette di abbassare i tempi di trattamento grazie alla inversione del motodi rotazione delle scatole indotta dal movimento alternato del piano di rotolamento). Le soluzionitecniche sviluppate per il confezionamento e la pastorizzazione dei pomodori pelati hanno trovato

Page 37: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

applicazione anche per la frutta sciroppata; una produzione oggi divenuta marginale ma che avevaavuto un grande sviluppo in Romagna e in Campania negli anni ‘60-’80. Nonostante l’introduzionesul mercato di nuovi materiali, sia per i pomodori pelati sia per la frutta sciroppata il contenitore piùadatto è tuttora la tradizionale scatola di banda stagnata non verniciata. Questo perché la lentacorrosione elettrochimica dello stagno, oltre ad eliminare il poco ossigeno inizialmente presente,comporta lo sviluppo di idrogeno atomico e l’ambiente fortemente riducente protegge il colore el’aroma del prodotto anche per tempi di conservazione molto lunghi.

Ritornando ai derivati del pomodoro, come già detto, a partire dagli anni ‘70 l’interesse produttivo siè accentrato sulle passate e polpe. Le prime sono ottenute con le normali passatrici attrezzate consetacci a maglia media o grande (passata rustica), con il successivo trattamento in trovatrice e unaconcentrazione fino a 10-12 °Brix. Per le polpe, invece, sono state messe a punto appositemacchine che, alimentate con pomodori tagliati, permettono di separare la buccia dalla polpasfruttando la diversa resistenza meccanica mediante estrusione su piastra forata oppurecompressione su fili o lame di acciaio paralleli e/o a griglia, con successivo passaggio su vagliosgrondatore per separare il siero e buona parte dei semi. In tutti i casi, il successivo trattamento inbrovatrice comporta una profonda degradazione strutturale, mentre con sistemi di riscaldamentopiù blandi l’attivazione degli enzimi pectolitici comporta una elevata sineresi con ridotta resa inpolpa. La frazione sierosa è parzialmente concentrata insieme al succo derivante dagli scarti dicernita e la salsina così ottenuta è aggiunta alla polpa per renderla meno acquosa. Rispetto aiconcentrati, le passate hanno costi di produzione molto inferiori perché è molto più alta la resarispetto alla materia prima impiegata. Ovviamente, è molto inferiore anche la resa in termini diutilizzo gastronomico, ma il prodotto è stato valorizzato con l’immagine di maggiore freschezza enaturalità. Le polpe, d’altra parte, hanno costi di produzione molto inferiori rispetto ai pomodoripelati perché sono ottenuti da varietà tonde ad alta resistenza meccanica, senza necessità dicalibratura e con ridotto scarto di cernita. Ma il vantaggio principale è la possibilità di stoccare ilsemilavorato in grandi contenitori durante la campagna di lavorazione del fresco, effettuandosuccessivamente il confezionamento nei contenitori finali in funzione delle richieste del mercato eutilizzando macchinari con ridotta capacità produttiva.

Come già anticipato per il doppio concentrato, anche questi semilavorati sono sottoposti ad unprocesso di trattamento termico e confezionamento asettico in grandi contenitori presterilizzati. Pergli impianti continui di riscaldamento, sosta termica e raffreddamento asettico la Rossi & Catelli si èpotuta avvalere dell’esperienza acquisita per il latte UHT della Parmalat, ma sono state necessariemolte modifiche perché i derivati del pomodoro in questione non hanno reologia semplice di tiponewtoniano e, nel caso delle polpe, contengono fasi solide. I costruttori parmensi si sono distinti inparticolare nella progettazione di scambiatori di calore a superficie raschiata, con soluzionicostruttive molto più economiche di quelle preesistenti statunitensi. Per lo stoccaggio temporaneodel semilavorato da rilavorare internamente si utilizzano grandi cisterne asettiche presterilizzate avapore e pressurizzate con aria sterile; mentre per la vendita del semilavorato tal quale si usanosacchi plastici presterilizzati a raggi gamma da 200 litri e racchiusi in fusti di acciaio riciclabili (diforma troncoconica per poterli impilare da vuoti). Tuttavia l’applicazione dei sacchi asettici allepassate e polpe non è stata semplice, in quanto il loro sciabordio durante i trasporti dovuto allabassa consistenza rispetto al doppio concentrato comportava microfratturazione per faticadell’accoppiato plastico in corrispondenza delle doppie pieghe e degli spigoli a contatto con laparete del fusto esterno, con conseguente ricontaminazione microbica e alterazione del prodotto.Le passate possono essere riconfezionate a caldo in bottiglie di vetro a bocca larga con capsuletipo twist-off. La stessa cosa può valere anche per le polpe, che però in buona parte sonodestinate alle pizzerie e al catering e sono confezionate in scatole di banda stagnata da 3 kg consuccessivo trattamento nei pastorizzatori-raffreddatori, oppure ritrattate e riconfezionateasetticamente in sacchetti plastici da 10-15 kg (questa tecnica è tuttora oggetto di innovazionicompetitive).

Agli inizi degli anni ’80 la Boschi ha mutuato da Parmalat la tecnica di confezionamento asetticoTetrapak applicandola alla passata ed alla polpa di pomodoro, dando una nuova immaginecommerciale a questi prodotti con il vantaggio dell’impiego di contenitori molto meno costosirispetto alle scatole metalliche ed alle bottiglie di vetro. L’introduzione di questo tipo di contenitore,

Page 38: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

la cui minore capacità protettiva sia meccanica sia di barriera all’ossigeno comportava una minoreshelf life rispetto a quelli tradizionali, era divenuta compatibile con l’affermazione della grandedistribuzione e dei suoi sistemi logistici. Comunque, per via della presenza di fibre o addirittura dipezzi di pomodoro, è stato necessario adattare le macchine form-fill-seal Tetrapak normalmenteimpiegate per il latte, sostituendo in particolare nella termosaldatura a tubo pieno le semplici barresaldanti con quelle ad ultrasuoni. Successivamente si sono diffuse le fill-seal asettiche tipoCombibloc che impiegano cartoni preformati. A seguito del Decreto Ministeriale 23 settembre 2005,può essere denominato passata di pomodoro solo il prodotto che non sia stato concentrato a più di12 °Brix e successivamente ridiluito e che, se non è confezionato direttamente nel contenitore divendita, deve essere preliminarmente condizionato in asettico.

Oggi il prodotto considerato dal mercato il sostituto dei pomodori pelati di maggior pregio è il vero eproprio cubettato, caratterizzato da regolarità di forma e di colorazione. Questo cubettato èottenuto sottoponendo il pomodoro (preferibilmente di varietà partenocarpica, ovvero senza semi)a pelatura termo-fisica prima del passaggio in taglierina, con il confezionamento diretto in scatoladi banda stagnata e il successivo trattamento in pastorizzatore-raffreddatore a scatola rotante.Infatti, le tecniche asettiche convenzionali e, seppure in misura minore, anche il riscaldamentoohmico comportano un danno termo-meccanico che degrada la forma dei cubetti di pomodoro e,come già detto per i pomodori pelati, i contenitori asettici di poliaccoppliato non proteggono ilcolore e l’aroma allo stesso modo della banda stagnata. Le macchine di lavorazione e le modalitàdi confezionamento utilizzate per le passate, le polpe e i cubettati di pomodoro hanno avutoapplicazione diretta per i derivati della frutta: puree preconcentrate con i corrispondenti succhipolposi e prodotti in pezzi destinati alla produzione di confetture.

Anche grazie alla tradizionale manifestazione fieristica dedicata al meccano-alimentare (nata comeMostra delle Conserve, poi Tecnoconserve ed ora CibusTec), i costruttori parmensi hannosviluppato le loro abilità anche per settori che non avevano già rilevante applicazione nel territoriovicino. Anzitutto si deve citare il settore del confezionamento asettico che, oltre alle applicazioni giàcitate precedentemente, si è innestato sulle tradizionali competenze di imbottigliamento dellaSimonazzi e, anche con la gemmazione di Procomac, ha conquistato una leadershipinternazionale nel riempimento asettico di bevande in bottiglie di materiale plastico. Per quantoriguarda le tecniche di stabilizzazione microbiologica a freddo, si può citare un brevetto Simonazziper il trattamento iperbarico di bevande già racchiuse in bottiglie plastiche, che però non ha avitoapplicazione commerciale per i tempi di trattamento eccessivamente lunghi. Alla produzione disottaceti e sottoli, sviluppatasi a livello industriale in diverse regioni italiane negli anni ‘70-’80 apartire da semilavorati, si è dedicato un segmento del settore meccano-alimentare parmense conmacchine specifiche, quali le dosatrici a tamburo rotante e a piano vibrato, le colmatrici sottovuoto, le tappatrici per vasi di vetro e i pastorizzatori-raffreddatori ad acqua più economici di quellia passo pellegrino impiegati per le bevande imbottigliate (si può citare quello proposto per primada Tecnoceam, a pioggia con flusso in controcorrente e recupero di calore, caratterizzato dasemplicità di manutenzione e da consumi energetici particolarmente contenuti). Parma si èimposta a livello nazionale e internazionale anche per macchine destinate alle conserve a bassaacidità (vegetali, carnee e ittiche), che pure avevano limitata applicazione nel territorio vicino.Come particolarmente attiva in questo campo si può citare la Levati (oggi del Gruppo GEA), con lemacchine automatiche per la mondatura di diversi tipi di ortaggi, le pelatrici a vapore per tuberi, lefriggitrici continue e, soprattutto, una gamma di autoclavi tecnicamente evolute e adatte a diversitipi di contenitore, discontinue ma disponibili anche in batterie automatizzate e in grado dicompetere con quelle costruite in Germania e Francia.

Se quello delle conserve alimentari è stato ed è tuttora il settore meccano-alimentarequantitativamente più importante per Parma, una posizione di tutto rilievo ha quello delle macchinee degli impianti per l’industria dei salumi crudi, con particolare riferimento ai sistemi dicondizionamento artificiale per le diverse fasi di stagionatura dei salumi e applicati anche allastagionatura dei formaggi (Frigomeccanica, nata nel 1962, è diventata una delle più importantiaziende del settore a livello internazionale, assorbendo recentemente l’attività dell’ex concorrenteBenassi Impianti). Più recentemente, alcune imprese si sono specializzate nella costruzione diattrezzature per il porzionamento, la grattugiatura e il confezionamento del parmigiano reggiano.

Page 39: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

Per il settore pastaio, oltre alla produzione di impianti a capacità produttiva relativamente piccola,si può citare il sistema di premiscelazione innovativo della Storci.

Page 40: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.10.2 Macchine di Confezionamento Secondario e Fine Linea

Prima di procedere a stilare una breve storia dell'evoluzione delle macchine per il confezionamentosecondario e il fine linea iniziata a partire dai primi anni '60 è bene precisare quello che avveniva inprecedenza presso gli scatolifici e le vetrerie che producevano i contenitori primari come barattoli evasi.

In quel periodo questi, alla fine delle linee di produzione, venivano raggruppati in pacchi conavvolgimenti di carta o posti in casse di cartone.Gli operatori delle aziende alimentari toglievano manualmente i contenitori primari dai pacchi o daicartoni e li avviavano al riempimento utilizzando tavoli rotanti o tappeti di allineamento.Nel caso di contenitori posti in casse di cartone, queste, una volta svuotate, venivano riutilizzatealla fine della linea di confezionamento per ricevere barattoli o vasi pieni. Questo sistema eraestremamente costoso per diversi motivi:

acquisto e messa a disposizione delle casse in cartone presso scatolifici e vetrerie conmolto anticipo rispetto al loro impiego;

usura dei cartoni sottoposti a varie manipolazioni, con conseguente pessimapresentazione sul mercato.

Con l'installazione dei palettizzatori per i contenitori vuoti, il sistema descritto è statocompletamente abbandonato.

Risale al 1963 la costruzione del primo palettizzatore per barattoli vuoti, progettato dalla OCME einstallato presso il nuovo stabilimento della Faba di Calerno (Reggio Emilia).Una variante importante di tale macchina è avvenuta per la palettizzazione dei succhi di frutta da125g, sempre costruita dalla Ocme, installata presso la vetreria Bormioli Lugi di via Moletolo(Parma).

Con l'entrata in vigore della Legge 283 del 30/04/1962, che vietava la vendita dei prodottialimentari sfusi, il settore delle macchine per il confezionamento primario ha richiesto un notevoleaumento della cadenza operativa e, di conseguenza, la necessità di progettare nuove macchinesia per il confezionamento secondario che di fine linea.

L'evoluzione delle macchine di confezionamento secondario in casse di cartone ha percorso variefasi.

Inizialmente sono state progettate le formatrici, le riempitrici (incartonatrici), le chiuditrici (nastratricie incollatrici inizialmente a silicato e poi a colla vinilica). Le tre macchine potevano essere impiegate singolarmente ma anche in linea, occupandonaturalmente un notevole spazio e creando problemi di sincronia.L'azienda cliente riceveva dallo cartonificio il cartone preincollato sui lati e le tre macchine sopradescritte provvedevano alla sua messa in forma, riempimento e chiusura.

In un secondo tempo è stata progettata la incartonatrice wrap-round (avvolgitrice) che, a seguitoanche del notevole aumento delle cadenze di confezionamento, ha sostituito molte delleapplicazioni precedenti.In pratica, l'azienda alimentare riceveva dal cartonificio i fogli di cartone stesi e fustellati e lamacchina procedeva al raggruppamento degli imballaggi primari, al loro avvolgimento e allasigillatura del cartone con colla a caldo.

A seguito dell'introduzione sul mercato di un nuovo tipo di avvolgimento in film termoretraibile, èstato adottato un altro sistema di confezionamento secondario, ovvero la fardellatrice, che haavuto immediatamente successo nel settore conserviero e dell'imbottigliamento, particolarmente

Page 41: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

per il minor costo del materiale.

Le prime macchine di confezionamento secondario, prodotte in Germania, Francia e Stati Uniti,sono state costruite anche in Italia da aziende che ne hanno spesso migliorato le caratteristiche ele prestazioni.La Ocme, nel 1970, ha progettato l'incartonatrice wrap – round per succhi di frutta, mentre laBerchi è stata tra le prime a costruire l'incassatrice e decassatrice di bottiglie.

Gli imballaggi secondari, per essere posti a magazzino, hanno richiesto un ulteriore tipo diimballaggio di servizio e di spedizione come il pallet, sul quale questi venivano caricati. A sua voltaquesto carico palettizzato ha richiesto la costruzione di nuove macchine per assicurarne lastabilità, come le reggiatrici e le avvolgitrici con film termoretraibile ed estensibile.

Come per le macchine di confezionamento secondario, anche per i palettizzatori i costruttori italianisi sono ispirati a macchine già costruite all'estero, particolarmente Stati Uniti e Germania.

Per la palettizzazione di casse in cartone piene, il prototipo è stato costruito dalla Ocme e installatopresso la Esso e, immediatamente dopo, presso le maggiori ditte del settore conserviero, come laDe Rica, la Cirio, la Star, la Bertolli e altre.

Una fase del confezionamento che potremmo definire intermedia tra il primario e il secondario èstata la palettizzazione delle confezioni primarie, particolarmente barattoli e vasi pieni, per essereposte in magazzino e successivamente riprese, depalettizzate e portate al confezionamentosecondario. Questo sistema è stato adottato per varie motivazioni, tra cui:

verifica nel tempo della buona tenuta delle chiusure, come nel caso dei barattoli contenentiprodotti alimentari e, particolarmente, derivati del pomodoro che, se non aggraffaticorrettamente, permetteva che il prodotto fermentasse;

necessità di avviare campagne promozionali o di lavorazione conto terzi che richiedevanouna etichettatura a parte o personalizzata.

E' del 1968 il primo palettizzatore per barattoli pieni costruito dalla Comaco – Zecchetti e installatopresso tutti gli stabilimenti Cirio di Napoli. Questo modello di macchina ha subito nel tempo unanotevole evoluzione, con l'impiego di testate di trasferimento strato a piastra magnetica,ottimizzando il trattamento dei barattoli, prodotti con lamierini sempre più sottili.

Lo sviluppo dell'impiego del sistema di palettizzazione a fine linea e l'abbandono della manodoperamanuale per questa operazione sono avvenuti per due ragioni principali:

riduzione del costo della manodopera impiegata; entrata in vigori di leggi sul lavoro che, tutelando i lavoratori, hanno richiesto una costante

limitazione dello sforzo fisico.

Page 42: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.10.3 Componentistica Impiegata nelle Macchine

La progettazione e costruzione delle macchine destinate al processo di lavorazione e alconfezionamento e imballaggio dei prodotti alimentari, sia freschi che derivati, sviluppatasiparticolarmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha richiesto l'impiego di una vasta gamma dicomponenti con caratteristiche diverse da quelli presenti sul mercato fino ad allora.

Ricordiamo che prima di quel periodo l'industria meccanica era sviluppata particolarmente per ilsettore ferroviario e bellico e, più modestamente per il settore automobilistico, della lavorazione dellegno, agricolo e del movimento terra.Tali settori non richiedevano componenti di caratteristiche tali da sopportare l'usura degli acidi che,viceversa, richiedevano le macchine per l'industria alimentare.

Lo studio e la progettazione dei componenti specifici hanno richiesto quindi l'impiego di materiali elavorazioni particolari e, per questo, i laboratori di ricerca e di prova hanno avuto grandeimportanza per raggiungere lo scopo.

I componenti meccanici più importanti sono i cuscinetti a sfera, i supporti a sfere, le tenute siameccaniche che in gomma o materiale equivalente, le catene, i nastri trasportatori, le pompe, ealtri...

I riduttori e i variatori di velocità non esistevano e la variazione dei giri dei motori elettrici avvenivaattraverso l'impiego di pulegge o pignoni da applicare sull'albero di comando del motore elettrico esull'albero a cui trasmettere il moto, entrambi collegati da cinghia o catena. Variando il diametro siadelle pulegge che dei pignoni, si otteneva la variazione di velocità desiderata.

La progettazione quindi dei riduttori prima e dei variatori di velocità poi in sostituzione dei concettiprecedenti è stato un primo passo nell'evoluzione della trasmissione del moto che, negli anni, si èevoluta in forma esponenziale.

Tutte queste evoluzioni si possono constatare ogni anno alla Fiera SPS-IPC Drives Italia a Parma.

Anche per quanto riguarda i cuscinetti e i supporti, l'evoluzione è stata notevole, raggiungendolivelli di protezione molto elevati. Anche le tenute meccaniche e di materiale sintetico come il teflon, il viton e altri, hanno subitoun'evoluzione, particolarmente sulle macchine di confezionamento e sulle pompe, sostituendo lefamose tenute a premistoppa.

Oltre ai componenti meccanici, posto importante occupano i componenti elettrici, elettronici epneumatici. Le poche macchine del comparto che venivano costruite nel dopoguerra erano dotatedi quadri elettrici per il comando dei motori molto semplici contenenti valvole di sicurezza (fusibili),un teleruttore e un relais.

Si è notata in particolare l'evoluzione dei motori elettrici, inizialmente di caratteristiche meccanichelimitate, a corrente continua o alternata e nella gamma 800 – 1200 – 2400 giri, a cui si sonoaggiunti negli anni gli autofrenanti, gli asincroni per inverter e, per ultimi, i brushless.

Nel periodo intermedio di questa evoluzione si sono realizzate applicazioni mediante l'impiego dimotori idraulici che permettevano di assicurare maggiore precisione di arresto.

I quadri elettrici di comando sia di macchine che di linee complete hanno iniziato a evolversi conl'impiego dei blocchi circuitali, progettati dall'ing. Giorgio Vescovini. Ogni blocco implementava unaparticolare funzione logica e conteneva componenti elettronici discreti (diodi, transistor, e circuitiintegrati).

Page 43: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

La necessità di automazione delle macchine e delle linee di confezionamento ha richiesto l'impiegodi sistemi di controllo, particolarmente elettrici tra i quali il microswitch, seguito dalle primefotocellule a raggio di luce poi a differenza di colore ed evolute infine a telecamere e sensori diogni tipo.

Una realizzazione, in riferimento alle fotocellule, è stata effettuata all'inizio degli anni '50 sempreparte dell'ing. Vescovini su richiesta della OCME per la prima dosatrice a peso, commissionatadalla ditta Tanzi di Sala Baganza e impiegata per riempimento di secchielli con strutto. In pratica,l'ing. Vescovini ha realizzato questo prototipo utilizzando componenti elettrici già esistenti eimpiegati nelle radio.

Alla componentistica elettrica si è aggiunta, all'inizio degli anni '60, la componentistica pneumaticache ha portato a un'innovazione nei sistemi di trasmissione del moto, particolarmente nellemacchine del settore Confezionamento e Imballaggio.

E' tra la fine del secolo scorso e l'inizio del 2000 che viene progettata e costruita una serie dipiccoli motori a velocità variabile, che ha letteralmente rivoluzionato la progettazione dellemacchine, semplificandone la parte meccanica ma rendendo più complessa la parte di comandoelettronico.

Come accennato in precedenza, la consistenza di tale evoluzione si è potuta constatare inoccasione della Fiera SPS-IPC Drives Italia, che ha visto la presenza di centinaia di ditteprovenienti da tutto il Mondo, tra i quali spiccavano colossi come la Siemens, la Rockwell, la ABB,la Bosh SCH Rex Roth, la Carlo Gavazzi, la General Electric, la Datalogic Automation, la Festo, laGefran, la Omron Electronics, la Mitsubishi Electric e la Schneider Electric.

Mentre la componentistica sopra indicata si è evoluta fuori dal territorio parmense, eparticolarmente in Lombardia, una tipologia di componenti molto importanti, particolarmentedestinati agli impianti di processo di lavorazione di prodotti alimentari, sono le pompe. Parma èstata certamente la prima a impegnarsi in tale tipo di progettazione e costruzione, vedi la Luciani ela Robuschi, e oggi il territorio vede presenti i migliori costruttori italiani di pompe per l'industriaalimentare.

Page 44: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

1.3.11 I Contenitori Primari per l'Industria Conserviera

1.3.11.1 Contenitori in Acciaio e Banda Stagnata

Venendo ai contenitori per conserve, il settore quantitativamente più rilevante nel parmense è statoquello delle scatole metalliche, a partire dallo stabilimento della Ligure Emiliana attivato nel 1907quando ormai la tecnica di fabbricazione era già industrializzata. Infatti, i primi barattoli eranofabbricati manualmente tagliando, curvando e saldando con lega a base di piombo fogli di ferrolaminati per battitura e stagnati per immersione nello stagno fuso; anche la chiusura dopo ilriempimento era effettuata saldando a piombo un disco sul corpo cilindrico. Con questa tecnicaprimordiale erano state prodotte le scatole di vitello arrostito che William Edward Parry portò conse nel suo viaggio del 1824 verso il Polo Nord e che recavano l’indicazione di usare scalpello emartello per la loro apertura.

L'inizio della lavorazione della banda stagnata risale tra la fine del 1200 ed i primi del 1300, aWunsiedel, una cittadina dell'Alta Franconia, alla quale venne riconosciuto il diritto di fondere lostagno, d'imprimervi il proprio marchio e di controllarne il commercio. Tuttavia la grande ascesa diquesta materia prima per imballaggi viene ricondotta ad un periodo successivo e precisamente trala fine del 1700 e gli inizi del 1800, anni in cui viene studiata e sviluppata la conservazione dei cibiin scatola.In questo periodo in Inghilterra, Bryan DonKin, leggendo il trattato di Nicolas Appert, in cui sispiegava come ottenere la conservazione intatta per mesi di cibi in bottiglie di vetro attraverso unalunga bollitura a bagnomaria, decise di far proprio tale sistema utilizzando però un diverso tipo dicontenitore: La scatola in banda stagnata.Approfittando anche del fatto che Appert non brevettò il suo metodo, esclusivamente preoccupatocom'era di pubblicare il suo trattato e di fare investimenti per ingrandire il suo laboratorio, DonKined il suo socio John Hill svilupparono l"appertizzazione" (il sistema è anche così chiamato, onoredi chi lo ha inventato) in contenitori di banda stagnata forti degli enormi progressi che la siderurgiainglese aveva compiuto nel XVIII secolo: Impiego del coke in altoforno (Abraham Darby, 1709);preparazione dell'acciaio (Benjamin Huntsman, 1760); invenzione del pudellaggio (Henry Cort,1762) e subito dopo del laminatoio ad energia idraulica.Nasce quindi attorno al 1830 il matrimonio tra i cibi destinati ad essere conservati e la latta(termine col quale si indicava in passato la banda stagnata e da cui deriva il nome lattina) comeloro sicuro ed affidabile custode. Un connubio che sarà sempre più saldo negli anni in avvenire,ma che all'inizio presentò come unico difetto quello di costare molto caro, comportando comeinevitabile conseguenza, una vendita limitata.

Tra i primi ad accorgersi dell'utilità e dell'efficacia degli alimenti in scatola fu l'Ammiragliato inglese,tanto è vero che nel 1813 l'allora Duca di Wellington, Lord Arthur Wellesley, in una letteraindirizzata alla fabbrica DonKin, Hall & Gable, esprime il suo compiacimento non solo per l'ottimaconservazione dei prodotti, ma anche per la comodità di trasporto degli stessi.Questo riconoscimento è importante perché sottolinea due qualità importantissime delle scatole inbanda stagnata:1) Limitato rischio da parte dell'equipaggio di contrarre lo scorbuto. Nelle lunghe traversate

oceaniche i cibi freschi, in particolare gli ortaggi, una volta imbarcati deperivano troppovelocemente. Grazie invece agli alimenti conservati con "l'appertizzazione", veniva assicurataai marinai l'assunzione delle vitamine necessarie ad evitare questa malattia.

2) Ottimizzazione dal punto di vista della logistica nelle stive delle navi (poteva essere caricatauna gran quantità di merce in uno spazio minore) e maggior resistenza della latta nei confrontidel vetro, più fragile a sopportare le dure sollecitazioni derivanti dalla navigazione.

Ben presto oltre la Marina anche l'Esercito si convinse dell'utilità e comodità delle conserve dicarne e verdura in scatola, al tal punto che nella guerra di Crimea, ed in quella anglo-boera nefece un grande uso.

Page 45: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

In America sono gli inglesi a portare le scatolette nel Nuovo Mondo. Thomas Kensett nel 1812 eWilliam Underwood nel 1817 fondano il primo a New York ed il secondo a Boston, le primefabbriche di conserve alimentari, ma le scatolette arrivano ancora dall’Inghlterra.Solo nel 1870 vengono aperte le prime fabbriche di latta negli Stati Uniti.

In Italia i pionieri dei cibi freschi conservati sono Francesco Cirio, per legumi, pomodori e conservedi frutta e Pietro Spada per la carne. E' di quest'ultimo il primo stabilimento; a Crescenzago, per laproduzione di carne lessata in gelatina, la quale dovrà essere confezionata con materialed'importazione, dato che la prima scatola italiana verrà prodotta solo nel 1882 da Luigi Origoni.Nel periodo compreso tra inizio '900 e la seconda guerra mondiale la lattina è presente, oltre chenei settori sopra citati, anche nell'olio d'oliva e nei biscotti.Anche in Italia cosi come in Inghilterra il primo mercato di sbocco della scatola in acciaio ful'esercito. Nella prima, ma ancora di più nella seconda guerra mondiale i nostri soldati come delresto anche quelli delle altre nazioni partecipanti al conflitto vissero di alimenti in scatola.Ed è proprio in questo periodo che gli italiani scoprirono la praticità del cibo in scatola, allorquandol'intera penisola fu letteralmente invasa dalle "scatolette" dell'esercito americano.Solo dopo la ricostruzione del dopoguerra si pongono le basi per la nascita di settori che devonosoddisfare i consumi delle famiglie italiane e tra questi troviamo l'imballaggio in banda stagnata.Ed è infatti proprio in questo periodo che i cibi in scatola, da prodotti d'emergenza, si trasformanoin prodotti di largo consumo.

La fabbricazione della banda stagnata e quella delle scatole hanno avuto una prima fase disviluppo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, con l’introduzione della doppia aggraffatura deifondelli sul corpo cilindrico (sanitary can) e con la progressiva meccanizzazione delle operazioniper ridurre il costo della manodopera, ed una seconda fase dagli anni ’50 agli anni ’80, che hacomportato profonde modificazioni finalizzate a ridurre il costo del contenitore per mantenerlocompetitivo rispetto ai nuovi materiali plastici e accoppiati. Nella banda stagnata la base di acciaioha la funzione di resistenza meccanica, mentre la ricopertura di stagno serve a proteggere l’acciaiostesso dall’arruginimento sulla faccia esterna e dalla corrosione interna che subirebbe se fosse adiretto contatto con il prodotto alimentare (soprattutto se molto acido come nel caso dei derivati delpomodoro e della frutta).

La storia di questo contenitore negli ultimi 50 anni può essere tratteggiata esaminando l'evoluzionedella domanda delle varie tipologie di barattoli.A inizio anni '50 il grosso dell'utilizzo dei contenitori in banda stagnata destinati al settore food erariservato ai derivati del pomodoro ai legumi , alla frutta sciroppata e alla carne.Gli anni '60 vedono l'inizio dell'introduzione sul mercato italiano di scatole per il tonno, peracciughe , sardine e sottolio e sottaceto Dalla fine degli anni '70 l'area dell'impiego della scatola metallica si estende ad altri alimenti quale:caffè, condimenti, cibo per animali e una miriade di prodotti particolari quali. Preparati base pergelati, minestre, patè , burro ecc.A partire dagli anni ottanta troviamo le scatole in acciaio (banda stagnata) con il coperchio easyopen in acciaio e le scatole imbutite nei formati inferiori a 500 gr. di capacità.

Nel secondo dopoguerra su è passati dalla laminazione dell’acciaio a caldo, che comportavaspessori di circa 0,5 mm, alla laminazione a caldo seguita da quella a freddo e alla doppiariduzione grazie a treni di laminazione più potenti, con una progressiva riduzione fino al 50% dellospessore e, corrispondentemente, del peso e del costo della base di acciaio. Per mantenere lanecessaria resistenza meccanica delle scatole è stata introdotta la cordonatura del corpo cilindrico.Applicando la tecnica di formatura delle scatole in due pezzi mediante imbutitura e stiramento, lospessore del corpo cilindrico si è ridotto a circa 0,1 mm, anche se applicabile come resistenzameccanica solo nel caso di bevande gassate. Per quanto riguarda lo stagno, molto costoso econsiderato materiale strategico, mentre la tradizionale stagnatura per immersione (proseguitaperaltro fino agli anni ’70) comportava sulle due facce una copertura di circa 60 g/m2,l’introduzione della stagnatura elettrolitica, la sua applicazione differenziata sulle due facce,l’impiego di vernici interne molto protettive e della litografatura esterna e, infine, le tecniche dielettrodeposizione LTS (light tin steel) hanno permesso di ridurre drasticamente il peso di

Page 46: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

copertura, fino a circa 1 g/m2. Negli anni ’80 la saldatura a lega del corpo scatola è stata del tuttosostituita dalla saldatura elettrica (introdotta per prima dalla svizzera Soudronic), sia per evitare lapresenza di piombo a contatto con l’alimento sia per ridurre la quantità di banda stagnataimpiegata. Sempre per ridurre i costi, la banda stagnata è stata sostituita dalla banda cromata(acciaio protetto da un sottile strato di cromo e ossidi di cromo elettrodeposto), sono stateintrodotte le scatole in due pezzi (quelle imbutite e reimbutite e, soprattutto, quelle imbutite estirate) e la rastrematura della bocca del corpo cilindrico per ridurre il diametro del fondello.

Anche i sistemi di apertura hanno avuto una grande evoluzione, a partire dallo scalpello e martellonecessari al Capitan Parry nell’Artico. Al 1858 risale il brevetto statunitense di un apriscatolemunito di una sorta di baionetta, dal quale sono derivati quelli ancora in uso. Come “servizio alcliente”, vi erano gli apriscatole monouso per decolage attaccati al coperchio con un punto disaldatura: l’applicazione più antica è stata nelle scatole rettangolari tipo sardine con il coperchiosaldato con lega al piombo e, successivamente, nelle scatole per carne in gelatina con semitaglisul corpo cilindrico sotto la doppia aggraffatura. Successivamente, per competere con i contenitorialternativi di più facile apertura, a partire dagli anni ’60 è stato necessario introdurre coperchi easyopen con semitaglio ed anello per la rottura a strappo (prima realizzabili solo di alluminio e,successivamente, anche di banda stagnata o cromata).

Per mantenere la resistenza alla corrosione interna, con la riduzione dello strato di stagno è statonecessario migliorare corrispondentemente le caratteristiche protettive delle vernici senzaaumentarne significativamente il costo. Con l’avvento della petrolchimica, le vernici interne perscatole a base di resine naturali sono state sostituite con quelle sintetiche e queste, insieme al sidestripe per ricoprire la saldatura elettrica, hanno subito una continua evoluzione, oltre che permigliorarne le performance protettive, anche per l’introduzione di obblighi di legge sulle cessioni alprodotto e sulle emissioni di solventi organici nelle fasi di applicazione. Sempre per ridurre i costi, èstata progressivamente ridotta anche la quantità di mastice, con sofisticati sistemi di applicazioneche ne garantiscono comunque la insostituibile funzione di ermeticizzante delle doppieaggraffature. Parallelamente a queste innovazioni, la fabbricazione delle scatole e dei relativicoperchi ha dovuto progressivamente restringerne la variabilità dimensionale per permetternel’impiego con le linee di riempimento e chiusura sempre più veloci.Tutte queste innovazioni hanno permesso di mantenere competitivi i prezzi delle scatole, ma afronte di impianti produttivi sempre più automatizzati e costosi, che hanno richiesto investimentigiustificabili solo con crescenti capacità produttive. Di conseguenza, mentre fino agli anni ’70-’80erano ancora molte le industrie conserviere (soprattutto in Campania) che si fabbricavanodirettamente le scatole, negli ultimi decenni vi è stata una concentrazione del settore in pochistabilimenti grandi e, per lo più, afferenti a multinazionali. Nel parmense si è sviluppata solomarginalmente la fabbricazione degli imballaggi plastici per conserve, che è stata unadifferenziazione produttiva di imprese che erano già insediate prevalentemente in Lombardia.

La produzione di imballaggi in acciaio ha alle spalle l'industria delle materie prime, ovvero leacciaierie e la produzione di laminati in alluminio, con relative fonderie.Le più recenti innovazioni, che hanno interessato sia le materie prime che gli imballaggi, hannoconsentito di aumentarne la competitività rispetto alle altre soluzioni di imballaggio.Al fine di una migliore trattazione è opportuno analizzare separatamente le due aree: materieprime e imballaggi.

Materia prima

Negli ultimi tempi l’orientamento del mercato è stato quello di avere materiale sempre più sottile.Le ferriere europee, dal 1998 ad oggi sono riuscite ad ottenere una progressiva riduzione dellospessore dei laminati ,30%, questo ha consentito l’abbattimento del peso medio degli imballaggicon benefici quali: meno costi, più leggerezza a parità di prestazioni meccaniche.Oggi il mercato, per certe applicazioni quali ad esempio le scatole da 1/2 Kilo per conservevegetali, usa spessori 0,15-0,14.Recentemente presso alcune ferriere è iniziata la produzione di laminati con spessori inferiori, si è

Page 47: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

infatti arrivati a 0,12 / 0,10 mm, ma per impieghi particolari, esempio vaschette usate nel catering.

Altre innovazioni hanno interessato:- la messa a punto degli acciai atti a produrre i coperchi easy open;- la qualità di laminati in banda stagnata o banda cromata adatti a fabbricare le scatole con

configurazioni geometriche “ad hoc”, vedi scatole formate per espansione dopo la saldaturaverticale e l’aggraffatura del fondo.

Gli impianti per la produzione della banda stagnata e di quella cromata sono perfettamente inlinea con le norme ambientali è stato applicato infatti il sistema di Gestione Ambientale ISO 14001.Per quanto concerne la tutela della salute del consumatore,ad esempio,l’ILVA (GruppoRiva) hafatto propria la direttiva Comunitaria per l’abbattimento dei contenuti di metalli pesati nei laminatidestinati all’imballaggio,Infatti a questo proposito è stato abbattuto, ad esempio, il contenuto di piombo e cadmio, dallo0,05% al 0,01%, percentuale al disotto di quello limite stabilito dalle direttive.Sempre in tema di innovazione recentemente è stato immesso sul mercato un nuovo tipo diacciaio per imballaggio chiamato “Creasteel”, messo a punto dalla multinazionale Arcelor MittalPackaging Italia.Si tratta di un acciaio studiato per la produzione di contenitori innovativi e di alto livello, adatto allaproduzione di contenitori destinati a contenere sia prodotti freschi e non.Si tratta di un acciaio iper-imbutibile che permette di realizzare una ampia gamma di contenitori aprofondo stampaggio con un processo industriale semplificato.Grazie alla particolare duttilità il “Creasteel” consente di ridurre significativamente le fasi distampaggio (numero inferiore di operazioni di stampaggio rispetto all’usuale materiale impiegatoattualmente) per la realizzazione di prodotti complessi.Il “Creasteell” è un lamierino con uno spessore di 0,17 mm che , ovviamente dopo l’imbutiturapresenta spessori molto inferiori.

Imballaggi in acciaio

Oltre alle ferriere anche gli scatolifici dell’area acciaio, hanno investito risorse per migliorare il loroprodotto.Può essere significativo a questo proposito evidenziare esempi di innovazioni attuate in alcunearee di mercato.

Nell'area di mercato di barattoli e scatole per alimenti, già caratterizzata da una vasta gamma dicontenitori sia sotto l’aspetto delle gamme di capacità che di forme , le principali innovazioni hannointeressato la riduzione del peso medio dei contenitori per alimenti, le tipologie di chiusure e gliinterventi per accrescere la sicurezza.La riduzione del peso medio ha interessato tutta la gamma di barattoli per alimenti. Questorisultato si è reso possibile non solo utilizzando il lamierino sottile messo a punto dalle ferriere, maanche grazie a nuove tecniche costruttive quali la formatura di cordonature multiple applicate nel corpo scatola, che hanno consentito di esaltare la qualità di robustezza.Una ulteriore innovazione nella tecnica di costruzione è la riduzione dei bordi del corpo scatola(rastrematura), che consente l’ impiego di coperchi di diametro ridotto, e quindi più leggeri.Al raggiungimento di tali risultati gli scatolifici ci sono arrivati grazie anche alla spinta in tal sensooperata dal Consorzio Nazionale Acciaio, da sempre impegnato nell’attività di riduzione dei pesidegli imballaggi quale strumento di prevenzione per la riduzione dei volumi degli stessi.

Per quanto riguarda i fusti in acciaio da 200l: essi sono stati oggetto negli ultimi anni di diverseinnovazioni che hanno portato migliorie su:-Il processo di produzione e in particolare l’automazione;-la tripla agraffatura al fine di garantire una maggiore sicurezza anche nell’eventualità di unacaduta accidentale del fusto con possibile ammaccatura ;-il controllo di tenuta con elio sul 100% della produzione;-l’utilizzo di vernici e lacche a base di acqua al fine di ridurre l’impatto ambientale;

Page 48: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

-l’utilizzo di laminato di acciaio di qualità elevata, che ha permesso di ridurre gli spessori con due vantaggi : la riduzione del peso medio a parità di resistenza con indubbi vantaggidi costi di trasporto e il minore impatto ambientale per la riduzione delle quantità immesse alconsumo.Per quanto concerne il peso medio dei fusti in acciaio in 10 anni è passato da circa 20 kg agliattuali 17 Kg.

Le principali innovazioni nel campo delle bombolette spray in atto a livello europeo riguardano laforma, la produzione di un contenitore in due pezzi, corpo più cupola, al posto dell’attuale tre pezzie l’impiego di valvole a svuotamento totale.Per quanto interessa la forma, si incominciano a diffondere in alcuni mercati europei bombolettepersonalizzate con forme ad hoc a seconda delle esigenze del cliente.

Questi risultati si possono ottenere attraverso una processo di espansione dopo la formaturacilindrica della bomboletta.Le esperienze e la tecnologia per la produzione della bomboletta in due pezzi sono già una realtà,anche se poco diffusa, ma nei prossimi anni si prevede un suo graduale sviluppo grazie almiglioramento delle caratteristiche dell’acciaio e ad una maggiore perfezione delle tecnologie difabbricazione della bomboletta.Il procedimento è quello della produzione delle lattine in due pezzi per bevande., ossia unprocedimento di “imbutitura tipo” D&I”.Per quanto concerne le valvole a svuotamento totale la loro funzione è quella di consentirel’eliminazione di ogni traccia di prodotto eventualmente pericoloso contenuto.

Per quanto riguarda le chiusure, nei barattoli er alimenti di capacità sino a 1/2Kg, l’easy open èormai pressoché dominante. Recentemente ha fatto la sua apparizione anche l’easy peel.Sempre con riferimento alle scatole per alimenti sussistono buone potenzialità di sviluppo sulladiffusione dei corpi scatola in un unico pezzo, senza giunture laterali e fondelli da aggraffare.L’adozione di questa soluzione esalta le proprietà di tenuta e di igienicità dell’imballo, nonché illook della confezione.

Dal punto di vista delle innovazioni è interessante evidenziare che recentemente sono statiassegnati dall’Istituto Italiano Imballaggi due “Oscar dell’imballaggio”: il barattolo per il caffè ILLYconfezionato sotto vuoto dotato di coperchio easy open e coperchio per la chiusura dopo l’apertura(prodotto dall’OCM) e a una bottiglia in banda stagnata per olio di oliva (prodotto dalla FALCO).

Esistono altre due tipologie di chiusure: i tappi corona e le capsule a twist off o pray off.Entrambe le tipologie di chiusure nel tempo hanno beneficiato di innovazioni sia in termini diriduzione di peso,a parità di prestazioni,che in termini di sicurezza finalizzata a stoppare eventualitentativi di manomissione del prodotto contenuto..

1.3.11.1 Contenitori in Vetro

La zona di Parma è storicamente caratterizzata dal primato nella fabbricazione di vetro cavoalimentare della Bormioli, con le progressive evoluzioni relative alla formulazione base, al disegnoe ai trattamenti superficiali che, a partire dalle bottiglie a bocca larga fabbricate manualmente aitempi di Appert, hanno consentito di migliorare progressivamente le prestazioni in termini diriduzione di peso, di maggiore resistenza agli urti, agli attriti ed agli sbalzi termici, di maggioreregolarità di forma e di dimensioni. Parallelamente a quello dei contenitori di vetro si è sviluppatoquello delle chiusure con garanzia di ermeticità: dai coperchi di vetro con guarnizione di gomma esistemi vari di bloccaggio, alle capsule metalliche con guarnizione di gomma e fascetta metallica dibloccaggio, alle capsule tipo corona, fino alle più moderne pray-off tenute bloccate dal vuotointerno (preferite per garanzia di sicurezza nei vasetti per baby food) e twist-off, ermeticizzate con

Page 49: L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE MACCHINE 1.3.1 - … · sull’esperienza pratica tramandata dal maestro all’apprendista, ha consentito di adeguare le

stratificazione di elastomeri adatti alle diverse applicazioni.