L'epatite virale -...

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L'epatite virale Molto si è appreso in questi ultimi anni sulla immunologia di questa grave malattia e presto dovrebbe essere disponibile un vaccino efficace per una delle sue forme più diffuse, chiamata comunemente epatite B di Joseph L. Melnick, Gordon R. Dreesman e F. Blaine Hollinger numero 111 novembre 1977 anno x volume xix LE SCIENZE SCIENTIFIC AMERICAN F attore indispensabile per la produ- zione di un vaccino contro una malattia virale è la disponibilità di una grossa quantità di virus e in questo secolo il problema cruciale dei ricercatori che lavorano alla produzione di vaccini virali è stato quello di scoprire un valido sistema di coltivazione del virus, come su uova embrionate o su colture cellulari. Va sottolineata quindi l'importanza che siano attualmente in corso di sperimen- tazione vaccini che potrebbero essere in grado di tenere sotto controllo una grave malattia come l'epatite B, nonostante non sia mai stato possibile coltivare in labo- ratorio il virus che provoca tale malattia. I vaccini sono costituiti da componenti di quello che sembra essere un involucro o guscio esterno del virus. Non si cono- sce né la funzione precisa di tali compo- nenti né il momento e il meccanismo con cui essi vengono a trovarsi associati nella particella virale. Tuttavia essi compaio- no in gran numero nel sangue dei pa- zienti affetti da epatite B e dei portatori sani di tale malattia. Stimolando la pro- duzione di anticorpi altamente specifici essi inducono l'immunità anche contro il virus infettivo stesso. In questo resocon- to di carattere generale sull'epatite virale ci sforzeremo di ripercorrere la via che ci ha portati vicino alla scoperta di un vac- cino contro l'epatite B. Epatite virale è un termine che viene generalmente riservato alle infezioni epa- tiche acute provocate da uno di almeno tre differenti virus. Il sintomo più facil- mente rilevabile di queste malattie è l'it- tero cioè una colorazione giallastra della cute e della sclera dovuta alla deposi- zione di pigmenti biliari che il fegato leso non è più in grado di rimuovere dal sangue. Una delle forme più diffuse di epatite virale è quella di tipo A o epatite a breve incubazione, più comunemente chiamata epatite infettiva (o ittero epide- mico, o ittero catarrale acuto). Il virus che la provoca viene generalmente tra- smesso con l'ingresso di alimenti conta- minati dalle feci di una persona infetta nel tubo digerente di un soggetto ricetti- vo, ma può venir trasmesso anche per altre vie. L'altra forma più diffusa è l'e- patite virale di tipo B o epatite a lunga incubazione, più comunemente conosciu- ta come epatite da siero (ittero da siero omologo, ittero da trasfusione o epatite da «siringa»). Come è implicito nelle pri- me denominazioni, l'epatite B viene tra- smessa con l'inoculazione percutanea di sangue o di componenti ematici infetti; tuttavia studi recenti dimostrano che il virus si può trasmettere anche per altre vie. Oltre a questi due tipi di infezione ben definiti, è stata individuata una nuo- va forma di epatite associata alle trasfu- sioni di sangue, somigliante all'epatite B per quanto riguarda i sintomi clinici e il tempo di incubazione. Essa sembra pro- vocata da uno o più agenti non correlati ai virus dell'epatite A o B, e per comodi- tà viene chiamata «epatite C», anche se effettivamente sembrano esservi implica- ti molti agenti diversi. L'anno scorso sono stati registrati ne- gli Stati Uniti circa 60 000 casi di epatite acuta di cui circa il 60 per cento furono diagnosticati come epatite A, il 25 per cento come epatite B e nel 15 per cento dei casi non fu specificato il tipo. Molti casi sono, però, così lievi da passare inosservati e i medici spesso non segnala- ' 4 t IP' e* ;. 's‘ 4 é. 040:# ''ALP "t # ott 'le f/A orplt4' * ' gh no la malattia anche quand'essa viene diagnosticata; il numero reale dei casi è quindi stato stimato circa 10 volte supe- riore al numero segnalato. Sulla base di questi dati l'epatite virale è quindi da considerare una malattia importante dal punto di vista della spesa pubblica e dell'inabilità individuale. Per quanto ri- guarda l'epatite B, alcuni pazienti a gua- rigione clinica avvenuta, diventano por- tatori del virus, mentre altri sviluppano la malattia in forma cronica. Negli Stati Uniti vi sono circa un milione di porta- tori di epatite B. ino all'inizio degli anni sessanta i due differenti tipi di virus responsabili dell'epatite A e dell'epatite B non erano stati caratterizzati; si sapeva semplice- mente che sembravano esistere due for- me differenti di malattia, una con perio- do di incubazione più lungo dell'altra. In seguito Saul Krugman, della New York University School of Medicine, e i suoi colleghi raccolsero e conservarono il sie- ro di pazienti affetti da una delle due forme di malattia. Essi osservarono che i bambini esposti al siero di pazienti affet- ti dalla forma a breve incubazione mani- festavano regolarmente un'epatite clini- camente evidente circa 30 giorni dopo, mentre bambini inoculati con siero ap- partenente a pazienti affetti dalla forma a lunga incubazione sviluppavano la sin- tomatologia dopo 60 giorni. Il siero pro- veniente da questi nuovi pazienti tra- smetteva a sua volta la forma specifica della malattia nei bambini a cui veniva somministrato. Il superamento di una delle due forme di epatite conferiva im- munità solo nei confronti di quel tipo di Il virus dell'epatite B e le sue subunità sono ingrandite 200 000 volte in tre microfotografie elettroniche ottenute da Guy A. Cabral nel laboratorio degli autori. Tre particelle principali si osservano nel sangue di pazienti affetti da epatite B (in alto a sinistra): piccole sfere di circa 22 nanometri di diametro, strutture filamentose con diametro trasversale di 22 nanometri e la forma completa a doppio involucro del virus dell'epatite B. Le numerose sfere da 22 nanometri possono essere purificate (in alto a destra) e rappresentano il materiale princi- pale utilizzato per i vaccini. Le cellule epatiche dei pazienti affetti da epatite B contengono particelle grandi 26 nanometri (in basso a sinistra), che sono la struttura centrale non rivestita del virus a doppio involucro. Nella microfotografia elettronica di un «aggregato immu- ne», in cui le particelle virali sono tenute assieme da anticorpi specifi- ci, eseguita da Clifton R. Gravelle dei laboratori Phoenix del Center for Disease Control, il virus dell'epatite A, che non ha niente a che fare con il virus dell'epatite B, è ingrandito 200 000 volte (in basso a destra). 14 15

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L'epatite viraleMolto si è appreso in questi ultimi anni sulla immunologia di questagrave malattia e presto dovrebbe essere disponibile un vaccino efficaceper una delle sue forme più diffuse, chiamata comunemente epatite B

di Joseph L. Melnick, Gordon R. Dreesman e F. Blaine Hollinger

numero 111

novembre 1977

anno x

volume xix

LE SCIENZESCIENTIFICAMERICAN

F

attore indispensabile per la produ-zione di un vaccino contro unamalattia virale è la disponibilità di

una grossa quantità di virus e in questosecolo il problema cruciale dei ricercatoriche lavorano alla produzione di vaccinivirali è stato quello di scoprire un validosistema di coltivazione del virus, come suuova embrionate o su colture cellulari.Va sottolineata quindi l'importanza chesiano attualmente in corso di sperimen-tazione vaccini che potrebbero essere ingrado di tenere sotto controllo una gravemalattia come l'epatite B, nonostante nonsia mai stato possibile coltivare in labo-ratorio il virus che provoca tale malattia.I vaccini sono costituiti da componentidi quello che sembra essere un involucroo guscio esterno del virus. Non si cono-sce né la funzione precisa di tali compo-nenti né il momento e il meccanismo concui essi vengono a trovarsi associati nellaparticella virale. Tuttavia essi compaio-no in gran numero nel sangue dei pa-zienti affetti da epatite B e dei portatorisani di tale malattia. Stimolando la pro-duzione di anticorpi altamente specificiessi inducono l'immunità anche contro ilvirus infettivo stesso. In questo resocon-to di carattere generale sull'epatite viraleci sforzeremo di ripercorrere la via che ciha portati vicino alla scoperta di un vac-cino contro l'epatite B.

Epatite virale è un termine che vienegeneralmente riservato alle infezioni epa-tiche acute provocate da uno di almenotre differenti virus. Il sintomo più facil-mente rilevabile di queste malattie è l'it-tero cioè una colorazione giallastra dellacute e della sclera dovuta alla deposi-zione di pigmenti biliari che il fegato leso

non è più in grado di rimuovere dalsangue. Una delle forme più diffuse diepatite virale è quella di tipo A o epatitea breve incubazione, più comunementechiamata epatite infettiva (o ittero epide-mico, o ittero catarrale acuto). Il virusche la provoca viene generalmente tra-smesso con l'ingresso di alimenti conta-minati dalle feci di una persona infettanel tubo digerente di un soggetto ricetti-vo, ma può venir trasmesso anche peraltre vie. L'altra forma più diffusa è l'e-patite virale di tipo B o epatite a lungaincubazione, più comunemente conosciu-ta come epatite da siero (ittero da sieroomologo, ittero da trasfusione o epatiteda «siringa»). Come è implicito nelle pri-me denominazioni, l'epatite B viene tra-smessa con l'inoculazione percutanea disangue o di componenti ematici infetti;tuttavia studi recenti dimostrano che ilvirus si può trasmettere anche per altrevie. Oltre a questi due tipi di infezioneben definiti, è stata individuata una nuo-va forma di epatite associata alle trasfu-sioni di sangue, somigliante all'epatite Bper quanto riguarda i sintomi clinici e iltempo di incubazione. Essa sembra pro-vocata da uno o più agenti non correlatiai virus dell'epatite A o B, e per comodi-tà viene chiamata «epatite C», anche seeffettivamente sembrano esservi implica-ti molti agenti diversi.

L'anno scorso sono stati registrati ne-gli Stati Uniti circa 60 000 casi di epatiteacuta di cui circa il 60 per cento furonodiagnosticati come epatite A, il 25 percento come epatite B e nel 15 per centodei casi non fu specificato il tipo. Molticasi sono, però, così lievi da passareinosservati e i medici spesso non segnala-

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no la malattia anche quand'essa vienediagnosticata; il numero reale dei casi èquindi stato stimato circa 10 volte supe-riore al numero segnalato. Sulla base diquesti dati l'epatite virale è quindi daconsiderare una malattia importante dalpunto di vista della spesa pubblica edell'inabilità individuale. Per quanto ri-guarda l'epatite B, alcuni pazienti a gua-rigione clinica avvenuta, diventano por-tatori del virus, mentre altri sviluppanola malattia in forma cronica. Negli StatiUniti vi sono circa un milione di porta-tori di epatite B.

ino all'inizio degli anni sessanta i duedifferenti tipi di virus responsabili

dell'epatite A e dell'epatite B non eranostati caratterizzati; si sapeva semplice-mente che sembravano esistere due for-me differenti di malattia, una con perio-do di incubazione più lungo dell'altra. Inseguito Saul Krugman, della New YorkUniversity School of Medicine, e i suoicolleghi raccolsero e conservarono il sie-ro di pazienti affetti da una delle dueforme di malattia. Essi osservarono che ibambini esposti al siero di pazienti affet-ti dalla forma a breve incubazione mani-festavano regolarmente un'epatite clini-camente evidente circa 30 giorni dopo,mentre bambini inoculati con siero ap-partenente a pazienti affetti dalla formaa lunga incubazione sviluppavano la sin-tomatologia dopo 60 giorni. Il siero pro-veniente da questi nuovi pazienti tra-smetteva a sua volta la forma specificadella malattia nei bambini a cui venivasomministrato. Il superamento di unadelle due forme di epatite conferiva im-munità solo nei confronti di quel tipo di

Il virus dell'epatite B e le sue subunità sono ingrandite 200 000 voltein tre microfotografie elettroniche ottenute da Guy A. Cabral nellaboratorio degli autori. Tre particelle principali si osservano nelsangue di pazienti affetti da epatite B (in alto a sinistra): piccole sferedi circa 22 nanometri di diametro, strutture filamentose con diametrotrasversale di 22 nanometri e la forma completa a doppio involucrodel virus dell'epatite B. Le numerose sfere da 22 nanometri possonoessere purificate (in alto a destra) e rappresentano il materiale princi-

pale utilizzato per i vaccini. Le cellule epatiche dei pazienti affetti daepatite B contengono particelle grandi 26 nanometri (in basso asinistra), che sono la struttura centrale non rivestita del virus a doppioinvolucro. Nella microfotografia elettronica di un «aggregato immu-ne», in cui le particelle virali sono tenute assieme da anticorpi specifi-ci, eseguita da Clifton R. Gravelle dei laboratori Phoenix del Center forDisease Control, il virus dell'epatite A, che non ha niente a che fare conil virus dell'epatite B, è ingrandito 200 000 volte (in basso a destra).

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Il metodo della gel-diffusione, elaborato da Orjan Ouchterlony del Karolinska Institute diStoccolma, è in grado di evidenziare l'antigene di superficie dell'epatite B nel siero e permetteinoltre di dimostrare che esistono differenti sottotipi di tale antigene. Sette pozzetti sono statiricavati in uno strato di agar steso su di un vetrino (ingrandito qui di circa sette volte). Il sierocontenente l'anticorpo diretto contro l'antigene di superficie è stato posto nel pozzetto centrale;il plasma di sei individui in esame è stato seminato nei pozzetti periferici. Gli antigeni presentinei sieri e l'anticorpo presente nel pozzetto centrale, diffondendosi attraverso il gel, formano unalinea di precipitato nel punto di incontro. Questo esempio di gel-diffusione secondo Ouchter-lony indica che quattro dei sei sieri contengono l'antigene di superficie, che in tre casi appartienea uno stesso sottotipo e in un caso a un sottotipo diverso. Il meccanismo molecolare medianteil quale si formano le linee di precipitato è spiegato nell'illustrazione della pagina a fronte.

veda l'illustrazione in basso a pagina18 e 19); questo metodo è 4000 volte piùsensibile della diffusione su gel.

Le linee di precipitato che si osservano nella fotografia della paginaprecedente sono dovute alla reazione di legame tra antigene (piccolicerchi) e anticorpo (rappresentato dalle Y). I sieri presenti nei pozzetti1, 2, 3 e 4 contenevano l'antigene di superficie; i sieri dei pozzetti 5 e 6erano negativi. Tutte le particelle dotate di attività antigenica possie-dono un determinante antigenico comune «gruppo-specifico» (in ne-ro), ma quelle dei pozzetti 1, 3 e 4 hanno inoltre un determinanteparticolare «tipo-specifico» (in colore), mentre quelle del pozzetto 2possiedono un determinante «tipo-specifico» differente (in bianco).L'antisiero nel pozzetto A contiene anticorpi contro il determinante

«gruppo-specifico» e contro uno solo dei due determinanti «tipo-spe-cifici» (quello in colore). La linea di precipitazione tra i pozzetti A e 2è più debole di quella che si è formata tra A e i pozzetti 1, 3 e 4perché, in mancanza della reazione con il determinante «tipo-specifi-co» oltre che con quello «gruppo-specifico», si crea una quantitàminore di aggregato. Tra i pozzetti 1 e 2 e tra il pozzetto 2 e 3 sipossono notare due «speroni». Ciò è dovuto al fatto che l'anticorpo«tipo-specifico» (in colore) ha continuato a diffondere verso la peri-feria in assenza del corrispondente antigene nel pozzetto 1, finoa potersi incontrare con l'antigene «tipo-specifico» dei pozzetti I e 3.

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malattia e non dell'altro. Krugman eJoan P. Giles dimostrarono che se ilsiero di un paziente affetto da epatite Bveniva inattivato con l'ebollizione e poiinoculato, i bambini che avevano ricevu-to siero inattivato col calore risultavanoprotetti dall'infezione provocata dal vi-rus dell'epatite B. Tali esperimenti di-mostravano che due differenti virus era-no responsabili di due differenti formedi epatite. Essi indicavano anche chesarebbe stato possibile produrre vaccinicontro le malattie qualora i virus fosserostati isolati o coltivati.

La catena di eventi che condusse allascoperta del virus dell'epatite B fu peròcomplessa. Cominciò nel 1963 quandoBaruch S. Blumberg dell'Institute forCancer Research di Filadelfia intrapresel'esame di migliaia di campioni di sanguedi popolazioni diverse per uno studionon sull'epatite, ma sulla variazione ge-netica delle proteine seriche. Egli scopriche un campione di siero di un aborige-no australiano conteneva un antigene chereagiva con un anticorpo presente nelsiero di un paziente americano affetto da

emofilia. Questo paziente che aveva rice-vuto numerose trasfusioni di sangue, a-veva molto probabilmente prodotto unanticorpo in risposta ad una precedenteesposizione all'«antigene Australia». Checos'è questo antigene? Studi successivihanno dimostrato che esso è molto raronelle popolazioni dell'America settentrio-nale, mentre è molto più comune in al-cune popolazioni africane e asiatiche.Blumberg e i suoi collaboratori scopriro-no un legame tra questo antigene e lamalattia che ora conosciamo come epa-tite da siero. Nel 1968 altri ricercatori, ein particolare Alfred M. Prince del NewYork Blood Center e K. Okochi del To-kio University Hospital, confermaronoche l'antigene Australia si trovava so-prattutto nel siero di pazienti affetti daepatite B.

Questa importante reazione antigene--anticorpo fu scoperta e studiata inizial-mente con una tecnica di diffusione sugel mediante la quale i due sieri vengonoposti in pozzetti in un gel di agar, inmodo che possano diffondere l'uno ver-so l'altro; se un siero contiene un anti-

corpo specifico per un antigene presentenell'altro siero, si forma una linea vi-sibile dove l'anticorpo e l'antigene si in-contrano e si combinano a formare unprecipitato. È stato notato che se i sieridi due pazienti reagiscono con l'anticor-po dell'epatite B, a volte si forma uno«sperone» secondario che indica la pre-senza di più di un singolo antigene (sivedano le illustrazioni in queste due pa-gine). Le particelle virali dell'epatite B diciascuna persona contengono un antige-ne gruppo-specifico comune agli altrisottotipi e almeno due antigeni principalisottotipo-specifici.

Le particelle virali dell'epatite B furo-no presto identificate: microfotografieelettroniche rivelarono che i sieri conte-nenti l'antigene dell'epatite B possede-vano una varietà di particelle simili performa e dimensioni a quelle dei virusanimali noti; alcuni pazienti possedeva-no 1000 miliardi di particelle per millili-tro di sangue. La particella virale di piùfrequente riscontro nella maggior partedei campioni di sangue provenienti dapazienti affetti da epatite B consisteva dipiccole particelle sferiche di circa 22 na-nometri (milionesimi di millimetro) didiametro. C'erano anche forme lunghe efilamentose dello stesso diametro, macon una lunghezza variante da 100 a 700nanometri. Nel 1970 D.S. Dane dellaMiddlesex Hospital Medical School diLondra osservò una forma ulteriore divirus: particelle simil-virali dotate di dop-pio guscio con un diametro esterno dicirca 42 nanometri e struttura interna di26 nanometri di diametro.

June D. Almeida dei Wellcome Re-search Laboratories in Inghilterra fornìil legame tra le prime osservazioni sullareazione antigene-anticorpo e le più re-centi acquisizioni basate sulle microfo-tografie elettroniche. Essa dimostrò chequando un siero contenente l'anticorpocontro il virus dell'epatite B veniva fattoreagire con un siero contenente le varieparticelle antigeniche, tutte le tre parti-celle venivano agglutinate: le sfere di 22nanometri, le forme filamentose e le par-ticelle di Dane da 42 nanometri. Se icampioni di sangue venivano pretrattaticon detergente per rimuovere il guscioesterno della particella di Dane, tuttaviala struttura centrale denudata non si ag-glutinava con le altre particelle. In altritermini, il guscio della particella di Daneera antigenicamente correlato con le sfe-re da 22 nanometri e con i filamenti, mala struttura centrale della particella diDane era antigenicamente distinta daqueste forme. L'antigene associato allesfere, ai filamenti e alla parete esternafurono designati HBsAg, o antigene disuperficie dell'epatite B, mentre l'anti-gene della struttura centrale fu chiamatoHBcAg. Sorto state allestite metodichemolto sensibili per misurare piccolequantità di questi due antigeni. Una del-le metodiche più diffuse è il test radioim-munologico in fase solida in cui il com-plesso antigene-anticorpo viene reso ra-dioattivo in modo da permettere la misu-razione con rivelatore di radiazioni (si

Successivamente furono purificate ecaratterizzate le numerose particelle

sferiche da 22 nanometri e si cercò didimostrare se esse possedevano le carat-teristiche di un virus animale. Le par-ticelle furono purificate nel nostro labo-ratorio al Baylor College of Medicine ein altri laboratori con svariati procedi-menti di centrifugazione e furono poianalizzate con metodi biofisici e biochi-mici. Noi scoprimmo che le particellepossedevano bassa densità, e ciò signi-ficava che esse contenevano sia lipidi(grassi) che proteine. Ulteriori analisi ri-velarono la presenza di carboidrati manon quella di acidi nucleici, il materiale

genetico che dovrebbe essere presente inun virus. Misurazioni precise segnalaro-no l'esistenza di notevoli variazioni neldiametro delle particelle, da 17 a 25 na-nometri. La composizione in amminoa-cidi delle proteine sembrava differire con-siderevolmente da quella dei virus ani-mali già ben caratterizzati. Purtuttavia leparticelle possedevano una struttura bio-chimica complessa: esse erano formateda circa otto polipeptidi diversi (catenebrevi di amminoacidi) o di glicoproteine(complessi proteina-zucchero). Tutte que-ste osservazioni suggerivano che le par-ticelle sferiche probabilmente non rap-presentavano un virus, ma piuttosto qual-che metabolita virus-specifico o materia-le virale modificato dalle cellule ospiti incui il virus si era replicato.

Poco tempo dopo, diverse particelle

simil-virali furono osservate nel sanguedi pazienti affetti da epatite B e alcuniricercatori trovarono materiale antigeni-camente correlato nelle cellule di fegatointeressate dalla malattia. Il citoplasmadelle cellule infettate conteneva l'antige-ne di superficie; l'antigene della strutturacentrale fu invece ritrovato nei nucleicellulari. Inizialmente gli antigeni furonovisualizzati legando ai loro anticorpi uncolorante fluorescente ben visibile allaluce ultravioletta. La loro presenza fuconfermata dalla microscopia elettroni-ca: i nuclei di epatociti infettati contene-vano particelle da 26 nanometri che as-somigliavano alla struttura centrale delleparticelle di Dane e tali particelle nonerano presenti negli epatociti di pazientiaffetti da altre malattie epatiche.

William S. Robinson e Paul Kaplan

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Vari tipi di particelle dell'epatite B sono correlate o si differenzianotra loro in base all'antigenicità. Le forme che si trovano nel sanguedei pazienti sono le sfere di 22 nanometri, i filamenti con diametrotrasversale di 22 nanometri e la particella virale completa (particella diDane), che consiste di un involucro esterno e di una struttura centrale

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L'antigene può essere messo in evidenza anche con la tecnica delsaggio radioimmunologico in fase solida. L'anticorpo specifico per undeterminato antigene (rappresentato dalle Y in nero) viene adsorbitosu di un supporto solido, in questo caso le pareti di una provetta diplastica (1), assieme a proteine non specifiche (cerchi vuoti). Vienequindi aggiunto il materiale da studiare (2); se esso contiene l'antigene

(a). Queste tre forme sono caratterizzate dalla presenza dell'antigene disuperficie dell'epatite B come è indicato dal fatto che l'anticorpo (incolore) diretto contro questo antigene reagisce con esso provocandol'agglutinazione di ogni tipo di particella (b). Il trattamento con deter-gente elimina il rivestimento esterno che possiede l'antigene di superficie,

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(esagoni neri), esso si combinerà con l'anticorpo (3). Si allontanal'eventuale eccesso di antigene (4) e per rivelare la presenza dell'anti-gene rimasto ancorato alle pareti, si aggiunge anticorpo marcato conisotopo radioattivo (rappresentato dalle Y in colore, 5). Esso si lega asua volta con l'antigene, che viene a trovarsi racchiuso tra due stratidi anticorpo (6). La provetta viene di nuovo sottoposta a lavaggio,

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lasciando le strutture interne «nude» (c). Questea loro olta possono essere agglutinate da anti-corpi diversi (in grigio scuro), specifici per l'an-tigene della struttura centrale, al fine di distin-guerle dalle particelle con rivestimento (d).

per lasciare solo il sandwich anticorpo-antige-ne-anticorpo (7). La radioattività residua dellaproietta viene quindi misurata in un rivelato-re di radiazioni (8) e messa a confronto con laradioattività di una provetta di controllo al-lo scopo di quantificare l'antigene (9-16).

della Stanford University School of Me-dicine dimostrarono che le particelle do-tate di struttura centrale isolate dal san-gue contenevano un DNA a doppia elicae la loro DNA-polimerasi (l'enzima ne-cessario per la replicazione del DNA equindi la moltiplicazione del virus). Noiabbiamo isolato le particelle dotate distruttura centrale da epatociti infettati eabbiamo dimostrato che anch'esse con-tenevano DNA a doppia elica e polime-rasi. Il peso molecolare e la densità dellestrutture centrali sono quelli tipici di cer-ti virus animali ed esse si comportanocome particelle virali quando sono sotto-poste a elettroforesi. La maggior partedei preparati di queste strutture centraliche noi abbiamo esaminato contengonotre differenti polipeptidi caratteristici delcapside, o rivestimento proteico, di alcu-ni virus. Considerate insieme, queste di-verse osservazioni erano a favore dell'i-potesi secondo cui la particella di Dane èun virus con una struttura centrale e unguscio esterno simile a quello dei virus«capsulati». L'anno scorso l'Organizza-zione mondiale della sanità raccomandòinfatti che la particella di Dane venisseconsiderata il virus dell'epatite B.

Oltre ai sistemi anticorpo-antigene disuperficie e della struttura centrale, nel1972 fu scoperto al Laboratorio batte-riologico nazionale di Stoccolma un ter-zo sistema i cui componenti furono desi-gnati antigeni e dell'epatite B e anticorpianti-e. Gli antigeni e sembrano esserestrettamente correlati con la particellavirale capsulata e il suo potere infettante.Si trova solo in individui portatori del-l'antigene di superficie e la sua presenzaè correlata a due altre misure del potereinfettante: l'aumento della quota di par-ticelle virali e dell'attività polimerasicadell'epatite B. Tra i portatori cronici del-l'antigene di superficie dell'epatite B,quelli che possiedono l'antigene e sonoaffetti con maggior probabilità da un'e-patite attiva rispetto a quelli che possie-dono anticorpi anti-e. Allo stesso modola trasmissione dell'epatite ai neonati èpiù probabile quando nel siero maternoè presente l'antigene e, che non quandosono presenti anticorpi anti-e, e l'iniezio-ne di sangue contenente antigene e hamaggiori probabilità di provocare l'in-sorgenza di epatite B che non l'iniezionedi sangue contenente anticorpi anti-e. Inaltri termini, la presenza di antigene enel sangue di portatori di antigene disuperficie indica che il sangue è partico-larmente infettivo; la presenza di anti-corpi anti-e significa che il sangue è unasorgente di infezione meno probabile.Non si conosce tuttavia il locus specificodell'antigene e.

Nonostante l'accumularsi dei dati ri-guardanti il virus dell'epatite B e i suoiantigeni, il virus stesso sfuggiva alle no-stre ricerche e non eravamo in grado dicoltivarlo in laboratorio. Fortunatamen-te tuttavia fu disponibile una possibilitàalternativa per la produzione di vaccino.Fu dimostrato che pazienti guariti dall'e-patite B erano protetti contro la reinfe-zione dalla presenza, nel loro sangue, di

anticorpi diretti contro l'antigene di su-perficie. Studi prospettici sull'epatite pro-vocata dalla trasfusione di sangue conte-nente antigene di superficie dimostraro-no che nessuno dei soggetti trasfusi, ilcui sangue conteneva in precedenza anti-corpi contro l'antigene di superficie, siammalò di epatite B clinicamente mani-festa, mentre un numero significativo ditrasfusi privi di anticorpi sviluppò la ma-lattia. Al contrario la presenza o l'assen-za di anticorpi contro l'antigene dellastruttura centrale non sembrava interfe-rire con la protezione contro l'infezione.

Dalle osservazioni descritte sono emer-se due conclusioni fondamentali. In

primo luogo sembra accertato che glianticorpi diretti contro l'antigene di su-perficie sono in grado di proteggere unindividuo contro l'infezione prodotta dalvirus dell'epatite B. Inoltre era evidenteche le particelle antigeniche del diametrodi 22 nanometri potevano essere separatedal sangue di portatori apparentementesani in forma altamente purificata e inquantità sufficiente per la produzionedel vaccino contro l'epatite B. Quando siscoprì che gli scimpanzè possono essereinfettati dal virus dell'epatite B, si potèfinalmente disporre di un animale daesperimento su cui saggiare tale vaccino.Come ci si aspettava, gli animali inocu-lati con particelle da 22 nanometri puri-ficate e pretrattate con formaldeide pro-dussero anticorpi contro l'antigene di su-perficie e non svilupparono la malattiain seguito all'inoculazione di sangue con-tenente virus dell'epatite B ad alto potereinfettante. Inoltre si verificò che l'anti-corpo diretto contro l'antigene gruppo--specifico conferiva un'immunità antivi-rale efficace, anche quando l'antigene disuperficie del virus infettante era di unsottotipo differente dall'antigene di su-perficie del virus con cui gli animali era-no stati vaccinati.

Nel dicembre scorso, Philippe Maupasdell'Università di Tours pubblicò i risul-tati preliminari di uno studio su volonta-ri vaccinati con un antigene di superficieparzialmente purificato e trattato conformaldeide. Circa il 90 per cento degliindividui vaccinati sviluppò una rispostaanticorpale specifica verso l'antigene ino-culato. Su 80 volontari vaccinati che la-voravano in un servizio di emodialisi,dove l'epatite B era endemica tra i pa-zienti e il personale, solo uno manifestò isintomi dell'epatite B. Ulteriori test convaccini costituiti da antigene di superfi-cie sono stati condotti da Maupas e daaltri ricercatori francesi.

È convinzione generale, però, che lavaccinazione con le particelle da 22 na-nometri deve essere introdotta con cau-tela. Vi sono infatti due osservazioni cheinducono alla prudenza: una riguarda lacomplessità dei vari componenti viralilegati all'infezione da epatite B, com-plessità che potrebbe risultare maggioredi quanto ci si potrebbe aspettare sem-plicemente in base all'entità di informa-zione genetica presente nel DNA dellastruttura centrale del virus; l'altra è che

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Nuclei di cellule epatiche di un paziente affetto da epatite B cronica deceduto per un'affezionerenale contengono particelle nucleari del virus dell'epatite B. I gruppi di particelle indicate dallefrecce sono ingranditi 50 000 volte (in alto) mentre le particelle presenti in un altro nucleo dicellula epatica sono ingrandite 200 000 volte (in basso). Queste microfotografie elettronichesono state ottenute da Ferenc Gyorkey presso il Veterans Administration Hospital di Houston.

STADIO ACUTO

CONVALESCENZAEPRECOCE>l< TARDIVA

o 2 4 6 8 10 12

IMMUNOGLOBULINE G

IMMUNOGLOBULINE M

SOGLIA DI RILEVAMENTO

l'inoculazione nei piccoli animali da e-sperimento di particelle che contengonol'antigene di superficie produce una for-te risposta anticorpale, mentre l'uomo(ospite naturale dell'infezione) e lo scim-panzè, perfino dopo l'infezione, produ-cono solo bassi livelli anticorpali versol'antigene di superficie. Queste osserva-zioni fanno supporre che le particelle di22 nanometri contengano componenti cel-lulari antigeniche (in questo caso proba-bilmente proteine epatiche) derivate dal-l'ospite, invece di proteine «estranee»associate al virus. Conseguentemente al-cuni individui potrebbero sviluppare unarisposta autoimmunitaria verso le loroproprie proteine epatiche. A conferma diquesta temuta conseguenza è stato se-gnalato che pazienti affetti da epatitecronica attiva di tipo B hanno sviluppatouna risposta immunitaria contro lipopro-teine normalmente presenti nella cellulaepatica (complessi lipoprotidici).

Alla luce di questi fatti bisogna valu-tare la possibilità di trovare una sorgentedi vaccino più sicura. Alcuni laboratori,tra cui il nostro, stanno studiando leproprietà immunitarie di componenti po-lipeptidici individuali delle particelle di22 nanometri purificate. Da questi studi

emerge che la maggior parte dei polipep-tidi individuali induce una risposta im-munitaria negli animali da esperimento eche animali inoculati con un solo poli-peptide producono un anticorpo che rea-gisce con la particella da 22 nanometricompleta. Gli animali sono stati studiatiattentamente per vedere se sviluppavanouna reazione autoimmunitaria verso ma-teriale epatocellulare normale; solo i po-lipeptidi che non producono risposte im-munitarie di questo genere potrebberoessere utilizzati per un vaccino. Preparatidi polipeptidi piccoli e altamente purifi-cati avrebbero inoltre il vantaggio di es-sere privi di geni virali o cellulari chepotrebbero rappresentare un rischio diinfezione. Qualora scoprissimo che unvaccino costituito da un singolo polipep-tide ha vantaggi superiori rispetto a quel-lo costituito dall'intera particella di 22nanometri, dovremmo creare sistemi diproduzione economici ed efficaci per l'e-strazione di quantità sufficienti di poli-peptide dalle particelle.

Il virus associato all'epatite A non èper nulla correlato a quello dell'epatite Be tuttora se ne sa ben poco. Esso è statoisolato per la prima volta nel 1973 daS.M. Feinstone e dai suoi colleghi ai

National Institutes of Health, dalle feciprelevate durante la fase acuta della ma-lattia da volontari sperimentalmente in-fettati con siero di pazienti affetti da e-patite A. Le particelle virali hanno undiametro di 27 nanometri e, a differenzadel virus dell'epatite B, non possiedonouna capsula esterna. Il virus purificatopossiede densità variabile, probabilmen-te perché le differenti particelle viralicontengono diverse quantità di acido nu-cleico; alcune particelle virali sembranoessere così deficitarie da non contenereacido nucleico. Non è ancora stato pos-sibile stabilire quale sia il materiale ge-netico di questi virus. Studi preliminarisuggeriscono che invece del DNA, comenel virus dell'epatite B, l'RNA sia l'aci-do nucleico del virus dell'epatite A, co-me nel poliovirus e in altri virus a essocorrelati. Altre caratteristiche, tuttavia,come la stabilità al calore del virus e lesue variazioni di densità, fanno supporreche il virus sia strettamente correlato aun particolare gruppo di virus di piccoledimensioni contenenti DNA. Studi con-clusivi richiederanno una quantità di ma-teriale virale dell'epatite A sufficiente peranalisi biochimiche, il che equivale a direche sarà necessario attendere lo sviluppodi un sistema che permetta la crescita delvirus in laboratorio.

L'epidemiologia dell'epatite A e Be levariazioni seriche osservate in queste

due malattie sono completamente diffe-renti, come si verifica per infezioni cau-sate da virus diversi. Tuttavia è moltodifficile distinguere tra i due tipi di epa-tite sulla base della sintomatologia clini-ca negli stati precoci della malattia. Inentrambi i casi il paziente-tipo presentamalessere, stanchezza, dolori muscolari,perdita dell'appetito, nausea, dolori ad-dominali e febbre di basso e medio gra-do. L'urina diventa brunastra e la cutegiallastra; a volte tutti gli altri sintomiregrediscono dopo la comparsa dell'itte-ro. (In alcuni casi di epatite B è presenteuno stato infiammatorio delle articola-zioni, dei vasi sanguigni e dei glomerulirenali, a volte associato a eruzioni cuta-nee in assenza di ittero; ciononostante,la diagnosi di epatite B può essere con-fermata da analisi biochimiche del san-gue volte a dimostrare uno stato di sof-ferenza epatica.)

La guarigione completa si verifica en-tro due-quattro settimane per l'epatite Aed entro quattro-otto settimane per l'e-patite B. Tuttavia circa il 10-15 per centodei pazienti affetti da epatite B sviluppauna forma grave della malattia. In menodel 2 per cento di tutti i casi la malattiaprogredisce verso una grave e rapida di-minuzione della funzionalità epatica, e iltasso di mortalità si aggira per questicasi tra il 70 e il 100 per cento. Il tassototale di mortalità riferito a tutti i casiesaminati è dello 0,5 per cento per l'epa-tite A, del 3-4 per cento per l'epatite Bcontratta in seguito a trasfusione, dello0,8 per cento, per l'epatite B associataalla tossicomania. Nel valutare questecifre va tenuto presente che numerosi

E- VIRUS NEL SANGUE

VIRUS NELLE FECI

TRANSAMINASI

SINTOMATOLOGIA

SETTIMANE DOPO IL CONTAGIO

L'epatite A ha un periodo di incubazione di quattro settimane, duran- cure indica la concentrazione di due tipi di anticorpi and% irus: le immu-te il quale il virus è presente nel sangue e gli enzimi epatici (transami- noglobuline M, presenti solamente nella fase acuta della malattia, e lenasi) dimostrano un livello serico aumentato. L'andamento delle

immunoglobuline G, che persistono dopo la convalescenza per decenni.

TRANSAMINASI

•SINTOMATOLOGIA

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ANTICORPI PER L'ANTIGENE DELLA STRUTTURA CENTRALEANTIGENE DI SUPERFICIE

r •(----ANTICORPI PER L'ANTIGENE DI SUPERFICIE

IANTICORPI PER L'ANTIGENE DELLA STRUTTURA

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CENTRALE

ANTIGENE DI SUPERFICIE

VIRUS, DNPOLIMERAS ANTICORPI PER L'ANTIGENE DI SUPERFICIE

ANTIGENE DEL •STRUTTURA CENTRA

ANTIGEN e\ il., SOGLIA DI RILEVAMENTO

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2

4 5

6

7MESI DOPO IL CONTAGIO

L'epatite B ha un periodo di incubazione più lungo di quello dell'epa- raggiungono il picco di concentrazione e iniziano a decadere in momentitue A. Gli antigeni dell'epatite B e i rispettivi anticorpi compaiono, diversi, condizionando l'efficacia dei test diagnostici serologici.

PERIODO DIINCUBAZIONE

TESTDIAGNOSTICI

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SONO PRONTII RACCOGLITORI

PER IL 1977 DILE SCIENZEQuesti raccoglitori corrispondono ai volumi XVIII e XIX della rivista,e rispettivamente ai fascicoli da gennaio (n. 101) a giugno (n. 106) e a quellida luglio (n. 107) a dicembre (n. 112), più l'indice semestrale (fornitoinsieme al fascicolo successivo all'ultimo numero di ciascun volume).

Sono ancora disponibili i raccoglitori dal Vol. IX al XVII,e dei raccoglitori non numerati appositamente approntati per sostituirei primi otto esauriti.

Ogni raccoglitore L. 2.250 Nuovo prezzo dal 1.1.'77

I raccoglitori si possonorichiedere direttamenteall'editore usando l'appositacartolina allegata alla rivistae unendo il relativo importo;gli ordini infatti vengono evasisolo a pagamento avvenuto.I raccoglitori si trovano anchepresso i seguenti punti divendita, sempre a L. 2.250cadauno.BOLOGNA: Libreria ParoliniVia U. Bassi 14FIRENZE: Libreria MarzoccoVia De' Martelli 22/RMILANO: Le Scienze S.p.A.Via Victor Hugo 2NAPOLI: Libreria Guida A.Via Port'Alba 20/21PADOVA: Libreria CortinaVia F. Marzolo 4PALERMO: Libreria DanteQuattro Canti di CittàROMA: Claudio AranciViale Europa 319 (EUR)TORINO: Libreria ZanaboniC.so Vittorio Emanuele 41

LE SCIENZEscrENTIFIcAjnE R I CAN

casi di infezione di lieve entità passanoinosservati.

La terapia dell'epatite virale è preva-lentemente di supporto, il che significache non si può fare molto per controllareil decorso di questa malattia. I pazientidevono stare a riposo e astenersi dall'al-cool e da altre sostanze epatotossiche.Sono stati impiegati i corticosteroidi, maquesti farmaci non si sono rivelati effica-ci nell'abbreviare il decorso dei normalicasi non complicati e inoltre espongonoal rischio di una ricaduta se vengonosospesi troppo rapidamente. Nei casi gra-vi sono stati somministrati gli steroidi inassociazione con concentrati di immuno-globuline anti-epatiteB, ma tuttavia man-ca ancora una sicura dimostrazione dellaloro efficacia.

La terapia con interferon, una sostan-za antivirale prodotta dalle cellule in se-guito a un'infezione virale, è attualmenteoggetto di studio. Sperimentazioni clini-che preliminari sono state effettuate allaSchool of Medicine della Stanford Uni-versity con scarsi risultati in un piccologruppo di pazienti affetti da epatite cro-nica di tipo B. Fu osservata una tempo-ranea scomparsa degli antigeni virali pre-senti nel sangue dei malati cronici senzauna modificazione del quadro patologicoepatico. Tali, risultati suggeriscono chel'interferon può essere efficace nel limi-tare il potere infettante di individui por-tatori del virus, o anche nell'eradicarel'infezione cronica che affligge alcuniportatori della malattia, ma sono tutta-via necessari studi a «doppio cieco» supiù vasti campioni sperimentali.

Gli eventi biologici e immunologici as-sociati all'epatite A sono differenti

da quelli legati all'epatite B. Nell'epatiteA il virus prolifera probabilmente a livel-lo delle pareti del canale intestinale, perpoi raggiungere il fegato attraverso i vasisanguigni e linfatici. L'eliminazione delvirus o dei prodotti virali con le feci siverifica almeno due o tre settimane pri-ma della comparsa dell'ittero e la malat-tia è più contagiosa alla fine del periododi incubazione (prima che si manifesti lasintomatologia) quando il virus è piùconcentrato nelle feci, mentre esse nonrisultano essere contagiose trascorse treo più settimane dalla comparsa della sin-tomatologia. Negli stadi precoci dell'in-fezione sono presenti bassi livelli serici eurinari del virus, ma si tratta tuttavia dirare sorgenti di infezione, né si pensa chela malattia si possa diffondere tramite lemicrogocce di vapore presenti nell'ariaespirata dal naso e dalla bocca. Moltistudi hanno dimostrato una relazione di-retta tra la diffusione dell'epatite A (va-lutata in base alla presenza di anticorpiantivirali) e l'aumento dell'età e le sca-denti condizioni igieniche ambientali epersonali, correlazione comune a molteinfezioni virali che interessano il trattointestinale.

Gli eventi clinici e immunologici cheseguono l'infezione da epatite B rifletto-no un'interazione complessa tra ospite,virus e antigeni virali specifici. Nei casi

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tipici di malattia acuta, uno o due mesidopo l'infezione compare nel sangue loantigene di superficie, che può persistereper pochi giorni o per molti mesi. Leparticelle virali, l'antigene e e l'attivitàpolimerasica compaiono nel sangue in-sieme all'antigene di superficie. Con ilprogredire dell'infezione, le cellule epati-che vanno incontro a lisi, e liberano nelsangue le transaminasi epatiche: per que-sto motivo la comparsa dei sintomi del-l'epatite è associata a un aumento deinormali livelli di transaminasemia. Seb-bene la presenza dell'antigene di superfi-cie sia la migliore dimostrazione per unaprecisa diagnosi di epatite B, tale antige-ne può scomparire dal sangue in unafase insolitamente precoce; in questi casila diagnosi può essere stabilita in basealla presenza di anticorpi diretti control'antigene della struttura centrale checompare insieme ai segni clinici e di la-boratorio della malattia.

L'antigene di superficie persiste nelsangue dei pazienti che sviluppino un'e-patite cronica o che diventano portatoriasintomatici; in questi casi non si riesce aevidenziare la presenza di anticorpi di-retti contro l'antigene di superficie, men-tre sono dimostrabili alte concentrazionidi anticorpi specifici per l'antigene dellastruttura centrale. Nel sangue dei pazien-ti affetti da epatite cronica di tipo Bsono spesso presenti antigene e, DNA--polimerasi e particelle virali, mentre nelsangue dei portatori apparentemente sa-ni si ritrova generalmente solo l'anticor-po diretto contro l'antigene e. Se si rie-spone al virus un soggetto immune neiconfronti dell'epatite B, si verifica unarapida risposta immunitaria di «richia-mo», sostenuta da anticorpi diretti con-tro l'antigene di superficie che compaio-no entro le due settimane successive; nonè possibile dimostrare la presenza del-l'antigene di superficie e il soggetto rein-fettato non sviluppa la malattia.

La maggior frequenza di epatite B nella popolazione generalmente considera-

ta si riscontra nel gruppo di età tra i 15 ei 29 anni, presumibilmente a causa delfenomeno della tossicomania. La fre-quenza è tuttavia maggiore in gruppiselezionati di individui, come i pazientisottoposti a dialisi e il personale infer-mieristico addetto alla loro cura. Fino apoco tempo fa l'incidenza di epatite Bnei soggetti trasfusi con sangue o plasmaera molto alta, ma tale frequenza si èridotta quasi del 75 per cento, poiché si èreso obbligatorio individuare i donatoriinfetti con test specifici quale quello ra-dioimmunologico.

La diffusione naturale dell'epatite Bper contatto (piuttosto che soltanto tra-mite puntura cutanea) sembra più comu-ne di quanto generalmente si ritenga so-prattutto nel caso di rapporti sessualicon portatori del virus (sia che i porta-tori abbiano una sintomatologia cronicamanifesta o non) e tra coloro che appar-tengono a comunità affollate. Una provadel fatto che l'epatite B può essere tra-smessa per vie che non implicano la pe-

netrazione attraverso la cute è offertadalla costante presenza dell'antigene disuperficie in varie secrezioni corporee.Nell'ambito della famiglia, per esempio,un portatore del virus può trasmettere lamalattia a chi fa uso del suo asciugama-no, rasoio o spazzolino da denti. (In cia-scuno di questi casi il virus potrebbe cer-tamente penetrare attraverso la cute o lemucose.) In genere l'epatite B viene fa-cilmente trasmessa da pazienti in faseacuta o da malati cronici piuttosto cheda portatori asintomatici; perché un por-tatore sano possa trasmettere la malattiasono necessarie esposizioni ripetute.

Non tutte le persone esposte vengonoinfettate e tra quelle infettate solo pochesviluppano la malattia in forma clinica-mente evidente. Tale percentuale dipen-de soprattutto dalla dose di virus pene-trata e dalla via di infezione: piccolequantità di virus, o un'infezione attra-verso una via diversa da quella cutanea,comportano un periodo di incubazionepiù lungo e una minore probabilità disviluppare una sintomatologia manifesta,con la comparsa di ittero forse nell'unper cento dei casi solamente. Dosi mag-giori e infezioni attraverso la cute posso-no diminuire il periodo di incubazione eaumentare la frequenza di ittero fino aun caso su cinque. Le persone infettateche non manifestano la malattia e quelleche diventano portatori (cioè coloro chemantengono livelli ematici costanti di an-tigene di superficie per più di quattromesi) costituiscono importanti sorgentidi infezione.

In molti studi è stata descritta unanotevole incidenza di positività per l'an-tigene di superficie in soggetti affetti dacarcinoma epatico primitivo: 1'80 per cen-to a Taiwan (rispetto al 15 per cento nelcampione controllo) e il 35 per cento ditali pazienti in Spagna (rispetto all'unper cento nei controlli). Percentuali simi-li riguardanti l'antigene di superficie so-no state rilevate negli Stati Uniti in pa-zienti con carcinoma epatico insorto inun quadro di cirrosi non alcolica preesi-stente. Sono state fornite diverse spiega-zioni attendibili per questa associazionetra epatite B e carcinoma epatico. Per e-sempio, i pazienti con carcinoma epaticoo cirrosi potrebbero essere particolarmen-te predisposti a contrarre l'epatite B, o adiventare portatori cronici, oppure l'infe-zione virale potrebbe condurre alla cirro-si, stato che precede l'insorgenza del tu-more. Alternativamente il virus dell'epa-tite B potrebbe trasformare in senso neo-plastico la cellula epatica infettata, o inaltri termini, il virus sarebbe la causa di-retta del tumore (condizionato forse da al-tri fattori, tra cui quelli genetici e ambien-tali). Se una delle ultime due interpreta-zioni è corretta, il controllo dell'epatite Bcon la vaccinazione dovrebbe ridurre an-che la frequenza dei carcinomi epatici.

Nonostante l'accurata selezione delsangue dei donatori allo scopo di evitarela presenza di virus A e B, alcuni pazien-ti sviluppano tuttora, in seguito a trasfu-sione, un'epatite virale sieronegativa,senza cioè che sia dimostrabile la presen-

za di questi virus nel sangue di tali pa-zienti. Dato che attualmente non posse-diamo metodi capaci di identificare l'a-gente o gli agenti eziologici dell'epatitenon-A non-B (che è responsabile ora dioltre 1'80 per cento delle epatiti da sieroregistrate negli Stati Uniti), non si cono-sce molto delle sue modalità di trasmis-sione né delle sue caratteristiche immu-nologiche. È tuttavia noto che il quadroclinico e l'andamento epidemiologico so-no simili a quelli dell'epatite B; la malat-tia sembra essere frequente e può com-portare lo stato di portatore sano; infinequesta nuova forma di epatite sembracolpire più frequentemente coloro chericevono una trasfusione di sangue dadonatori che hanno un elevato livello ditransaminasi nel siero.

Finché non saranno prodotti vacciniefficaci contro l'epatite B, il control-lo di tale infezione dovrà basarsi sui me-todi tradizionali, cioè una buona igienepersonale, misure generali di politica sa-nitaria e profilassi con immunoglobuli-ne. Nel caso dell'epatite A, il mezzo pre-ventivo più efficace consiste nel lavarsi lemani prima di mangiare o di manipolarei cibi. Per quanto riguarda l'epatite B, èinvece fondamentale evitare il contattocon qualsiasi oggetto che possa esserecontaminato da sangue, sia esso un a-sciugamano, un rasoio, o un ago ipoder-mico. La sostituzione delle banche delsangue commerciali e dei donatori a pa-gamento con un sistema interamente ba-sato sull'utilizzazione di donatori volon-tari dovrebbe ridurre l'incidenza dell'e-patite B e C.. L'immunoglobulina (chia-mata comunemente gammaglobulina)dovrebbe essere somministrata alle per-sone esposte al rischio di contrarre epati-te A in famiglia o all'interno di un'istitu-zione, ma non come routine nelle scuoleo nei luoghi di lavoro; si sa inoltre chesarebbe inutile somministrare immuno-globuline più di 6 settimane dopo l'espo-sizione al contagio o dopo l'insorgenzadei sintomi. Nel caso dell'epatite B, l'im-munoglobulina può essere ottimamenteimpiegata quando si verificano inoculiaccidentali di piccole quantità di virus.Immunoglobuline ad alta concentrazionerecentemente introdotte hanno dato ri-sultati preliminari promettenti in campio-ni ad alto rischio.

Per quanto riguarda la realizzazione diun vaccino efficace, le nostre conoscenzesugli antigeni dell'epatite B, e sul mododi prepararli, lasciano supporre che i testdi vaccinazione in corso avranno esitofavorevole e che entro due anni sarà pos-sibile disporre di un vaccino per immu-nizzare il personale sanitario frequente-mente esposto al rischio di contrarre e-patite B. Le conoscenze sull'epatite vira-le che si sono accumulate negli ultimidieci anni sono state realmente notevoli egli accorgimenti tecnici introdotti nellericerche sull'epatite rappresentano nuovistrumenti per lo studio di un ampio spet-tro di malattie umane, di probabile ori-gine virale, per le quali la tecnologia tra-dizionale non ha fornito ancora un con-tributo decisivo.