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Leonie Swann Glennkill (Glennkill. Ein Schafskrimi, 2005) Traduzione di Monica Rimoldi Dramatis Oves secondo il loro ordine di apparizione MAUDE Ha buon fiuto e ne è orgogliosa. SIR RITCHFIELD Il montone capo - non più tanto giovane, ha un udito calante e una pessima memoria, ma occhi ancora buoni. MISS MAPLE È la pecora più intelligente del gregge, forse la più intelligente di Glennkill e addirittura del mondo. Curiosa, caparbia, tende a sentirsi responsabile. HEIDE Pecora giovane e vivace, non sempre riflette prima di parlare. CLOUD È la pecora più lanosa del gregge. MOPPLE THE WHALE È la pecora con la memoria migliore del gregge: ciò che ha notato una volta non lo dimentica più - un montone merino grassoccio dalle corna ricurve a forma di spirale, che ha praticamente sempre fame. OTHELLO Un montone nero delle Ebridi, con quattro corna e un passato misterioso. ZORA È una pecora profonda, dalla testa nera - l'unica femmina con le corna del gregge di George. RAMSES Un giovane montone dalle corna ancora piuttosto corte. LANE È la pecora più veloce del gregge; pensa in modo

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Leonie SwannGlennkill

(Glennkill. Ein Schafskrimi, 2005)Traduzione di Monica Rimoldi

Dramatis Ovessecondo il loro ordine di apparizione

MAUDE Ha buon fiuto e ne è orgogliosa.

SIR RITCHFIELD Il montone capo - non più tanto giovane, ha un udito calante e una pessima memoria, ma occhi ancora buoni.

MISS MAPLE È la pecora più intelligente del gregge, forse la più intelligente di Glennkill e addirittura del mondo. Curiosa, caparbia, tende a sentirsi responsabile.

HEIDE Pecora giovane e vivace, non sempre riflette prima di parlare.

CLOUD È la pecora più lanosa del gregge.

MOPPLE THE WHALE È la pecora con la memoria migliore del gregge: ciò che ha notato una volta non lo dimentica più - un montone merino grassoccio dalle corna ricurve a forma di spirale, che ha praticamente sempre fame.

OTHELLO Un montone nero delle Ebridi, con quattro corna e un passato misterioso.

ZORA È una pecora profonda, dalla testa nera - l'unica femmina con le corna del gregge di George.

RAMSES Un giovane montone dalle corna ancora piuttosto corte.

LANE È la pecora più veloce del gregge; pensa in modo

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pratico.

SARA Una pecora madre.

UN AGNELLO Ha visto qualcosa.

MELMOTH Fratello gemello di Sir Ritchfield, è un montone leggendario scomparso tempo prima.

CORDELIA Le piacciono le parole strane.

MAISIE Una pecorella un po' ingenua.

L'AGNELLO INVERNALE Un sobillatore dal carattere difficile.

WILLOW È la seconda pecora più silenziosa del gregge - e nessuno se ne dispiace.

IL MONTONE DI GABRIEL Una pecora piuttosto strana.

FOSCO Si ritiene intelligente, e a ragione.

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1Othello pascola senza paura

"E dire che ieri era ancora perfettamente in salute," disse Maude. Le sue orecchie si mossero su e giù nervosamente.

"Questo non significa davvero niente," rispose Sir Ritchfield, il montone più anziano del gregge. "Non è morto di malattia. Non si può proprio dire che le vanghe siano una malattia."

Il pastore giaceva vicino al fienile, non lontano dal sentiero, immobile tra la verde erba irlandese. Una cornacchia solitaria si era posata sul pullover di lana norvegese e sbirciava tra le sue interiora mossa da interesse professionale. Accanto a lui era seduto un coniglio dall'aria molto soddisfatta. Un po' più in là, vicino alla scogliera a picco sul mare, si stava tenendo la riunione delle pecore.

Quando quel mattino avevano trovato il loro pastore insolitamente freddo e privo di vita, le pecore erano comunque riuscite a mantenere la calma, e di questo erano parecchio orgogliose. Certo, in un primo momento per la paura erano volate un paio di frasi avventate: "E adesso chi ci porta il fieno?", o anche "Al lupo! Al lupo!", ma Miss Maple aveva fatto subito in modo che non scoppiasse il panico. Aveva spiegato loro che in estate, sul pascolo più verde e più florido d'Irlanda, solo delle pecore sciocche avrebbero mangiato fieno, e che persino i lupi più evoluti non sarebbero arrivati al punto di cacciare una vanga in corpo alle loro vittime. E non c'era alcun dubbio che un attrezzo del genere stesse facendo capolino dalle interiora del pastore umide di mattino.

Miss Maple era la pecora più intelligente di Glennkill. Alcuni sostenevano addirittura che fosse la pecora più intelligente del mondo, ma non c'era nessuno che lo potesse dimostrare. È vero, a Glennkill si teneva una gara annuale per stabilire quale fosse la pecora più intelligente, ma l'intelligenza fuori del comune di Maple si manifestava proprio nel non partecipare a questo tipo di concorsi. La vincitrice, infatti, dopo essere stata incoronata con una ghirlanda di trifoglio (che in seguito si poteva anche mangiare), si ritrovava a trascorrere parecchi giorni in tournée nei pub delle località limitrofe. Dove si doveva esibire più volte nel pezzo di bravura che per sbaglio le aveva fatto guadagnare il titolo, strizzando gli occhi per il fumo fino a quando non le lacrimavano; con gli uomini che la riempivano di Guinness a un punto tale che la poveretta non riusciva

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nemmeno più a reggersi in piedi. E, come se non bastasse, da quel momento in poi il suo pastore la riteneva responsabile di tutti gli scherzetti che venivano fatti al pascolo: la pecora più intelligente è sempre la sospettata principale.

Ma George Glenn non avrebbe più potuto incolpare nessuno. Giaceva infilzato vicino al sentiero e le sue pecore stavano discutendo sul da farsi. Si trovavano sulla scogliera, fra il cielo color del mare e il mare color del cielo, dove l'odore del sangue non arrivava, e si sentivano in colpa.

"Non che fosse un pastore particolarmente bravo," disse Heide, che era ancora quasi un agnello e non riusciva a dimenticare che, alla fine dell'inverno, George le aveva mozzato la sua magnifica coda.

"Proprio così," le fece eco Cloud, la pecora più sontuosamente lanosa che ci si possa immaginare. "Non ha mai apprezzato il nostro lavoro. Le pecore norvegesi lo fanno meglio! Le pecore norvegesi hanno più lana! Si faceva persino mandare dalla Norvegia pullover fatti con la lana di pecore sconosciute — una vergogna! Quale altro pastore avrebbe offeso così il suo gregge?"

Per un po' ci fu una discussione fra Heide, Cloud e Mopple the Whale. Mopple the Whale sosteneva che, in fondo, il lato positivo di un pastore si vedesse dalla quantità e dalla qualità del foraggio, e che a questo proposito non c'era davvero nulla da dire contro George Glenn. Alla fine furono comunque tutte d'accordo nell'affermare che il bravo pastore è quello che non mozza mai la coda agli agnelli, non usa un cane da pastore, somministra foraggio a profusione - soprattutto pane e zucchero, ma anche cibi sani come erbe, mangime di rinforzo e rape (erano tutte pecore molto ragionevoli) - e si veste solo ed esclusivamente dei prodotti del suo gregge, con una pelliccia di lana di pecora che gli copre tutto il corpo. Solo così lo si poteva definire bello, bello come una pecora. Naturalmente, era ovvio che sulla terra non poteva esistere un essere tanto perfetto. Ma - nonostante tutto - era bello pensarci. Dopo un paio di sospiri, a ogni modo, ognuna delle pecore era già intenzionata ad andarsene di nuovo per la propria strada, estremamente soddisfatta per aver chiarito tutte le questioni rimaste in sospeso.

Fino a quel momento Miss Maple non aveva preso parte alla discussione. Ma allora disse: "Non volete affatto sapere di che cosa sia morto?"

Sir Ritchfield la guardò stupito: "È morto a causa della vanga. Neanche tu saresti sopravvissuta con un aggeggio di ferro così pesante piantato in

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corpo. Non c'è assolutamente da stupirsi che sia morto." E per un attimo rabbrividì.

"E si può sapere da dove è venuta la vanga?""Qualcuno gliel'ha ficcata dentro." Per Sir Ritchfield il problema era

risolto, ma Othello, l'unica pecora nera del gregge, cominciò all'improvviso ad appassionarsi alla questione.

"Può essere stato solo un uomo - o una scimmia molto grande." Othello aveva trascorso una gioventù movimentata alla zoo di Dublino e non perdeva mai occasione di ricordarlo.

"Un uomo." Maple annuì soddisfatta. Il numero dei sospetti si era rapidamente assottigliato. "Penso che dovremmo scoprire chi è stato. Lo dobbiamo al vecchio George. Ogni volta che un cane randagio sbranava uno dei nostri agnelli, lui cercava sempre di scoprire il colpevole. E poi, lui era nostro. Era il nostro pastore. Nessuno aveva il diritto di infilzarlo con una vanga. È un atto da lupi, è un omicidio!"

Ora le pecore erano davvero spaventate. Anche il vento era girato e l'odore del sangue fresco adesso tirava in direzione del mare, in modo lieve ma chiaramente percepibile.

"E una volta trovato l'infilzatore?" chiese Heide nervosa. "Che cosa facciamo?"

"Giustizia!" belò Othello."Giustizia!" belarono le altre pecore.E così fu deciso che le pecore di George Glenn avrebbero fatto luce sul

terribile omicidio del loro unico pastore.

Per prima cosa Miss Maple esaminò il cadavere. Non si può certo dire che lo fece volentieri. Sotto il sole estivo d'Irlanda George aveva già cominciato a emanare un odore di decomposizione, quanto basta per far correre un brivido lungo la schiena di ogni pecora.

All'inizio girò attorno al pastore a una distanza rispettosa. La cornacchia gracchiò in segno di disapprovazione e volò via sulle sue ali nere. A quel punto Maple osò avvicinarsi un po' di più, osservò la vanga, e annusò i vestiti e il volto. E alla fine - il gregge, radunatosi stretto stretto a distanza di sicurezza, trattenne il respiro - infilò addirittura il muso nella ferita e vi rovistò dentro. Almeno così pareva da lontano. Quindi tornò dalle altre con il naso sporco di sangue.

"Allora?" chiese Mopple, che non riusciva più a reggere la tensione. A dire il vero Mopple non era mai stato capace di reggere la tensione troppo

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a lungo."È morto," rispose Miss Maple. Sembrava che per il momento non

volesse aggiungere altro. Poi rivolse lo sguardo al sentiero."Bisogna tenersi pronte. Prima o poi arriveranno gli uomini. Dobbiamo

osservare quello che fanno, stare attente a quello che raccontano. E soprattutto non dobbiamo starcene qui intorno tutte insieme - faremmo nascere dei sospetti. Ci si deve comportare in modo naturale."

"Ma noi ci comportiamo in modo naturale," obiettò Maude. "George è morto. Ucciso. Dovremmo forse pascolare vicino a lui, là dove l'erba è ancora macchiata di sangue?"

"Sì. È esattamente quello che dovremmo fare." Othello si fece avanti fra di loro, nero e deciso. Quando vide le espressioni inorridite delle altre, strinse le narici. "Niente paura, lo farò io. Quando ero giovane ho vissuto di fianco al recinto degli animali feroci - un po' di sangue certo non mi ucciderà." In quel momento Heide pensò che Othello fosse un montone particolarmente temerario e decise che in futuro avrebbe brucato più spesso vicino a lui - ovviamente solo dopo che George fosse sparito e una fresca pioggia estiva avesse lavato il prato.

Fu allora che Miss Maple distribuì gli incarichi di sorveglianza. Sulla collina appostò Sir Ritchfield, che nonostante l'età aveva ancora occhi buoni. Da lì si poteva vedere fino a oltre le siepi, su fino alla strada asfaltata. Mopple the Whale non aveva occhi buoni, ma buona memoria. Fu perciò messo accanto a Ritchfield per memorizzare tutto quello che veniva visto dal primo. Heide e Cloud sorvegliavano il sentiero che attraversava il pascolo: Heide prese posto al cancello in direzione del villaggio, e Cloud nel punto in cui la strada scompariva in un avvallamento. Zora, una pecora dalla testa nera che non soffriva di vertigini, si mise su uno degli spuntoni di roccia della scogliera, da dove poteva tenere d'occhio la spiaggia. Zora sosteneva che fra i suoi antenati vi fosse una pecora di montagna, e se la si osservava muoversi con noncuranza sopra lo strapiombo, quasi le si poteva credere.

Othello scomparve invece all'ombra del dolmen, non lontano dal posto in cui la vanga puntellava a terra George. Da lì, all'occorrenza, si sarebbe potuto spostare in ogni momento per brucare senza dare nell'occhio. Miss Maple non prese parte alla sorveglianza. Rimase all'abbeveratoio e cercò di lavarsi via le tracce di sangue dal naso.

Il resto del gregge si comportava in maniera naturale.

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Poco dopo Tom O'Malley, non propriamente sobrio, si trovava a percorrere la strada che da Golagh conduceva a Glennkill per fare una puntatina anche al pub locale. L'aria fresca gli faceva bene - il verde, l'azzurro. I gabbiani puntavano le loro prede emettendo suoni striduli e si muovevano così velocemente che a Tom vennero le vertigini. Le pecore di George brucavano in tutta tranquillità davanti a questo splendido panorama. Pittoresco. Come in un depliant. Una delle pecore si era spinta particolarmente avanti e troneggiava sul pendio come un leoncino bianco. Come era potuta arrivare fin là?

"Hey, pecorella," disse Tom, "non cadere di sotto. Sarebbe un peccato se una pecorella carina come te precipitasse giù."

La pecora lo guardò con disprezzo e improvvisamente Tom si sentì uno stupido. Stupido e ubriaco. Ma ora basta. Avrebbe fatto qualcosa. Nel campo del turismo. Nel turismo stava il futuro di Glennkill. Ne doveva subito parlare con i ragazzi giù al pub.

Prima, però, voleva osservare più da vicino quel magnifico esemplare di montone nero. Quattro corna. Davvero fuori del comune. Le pecore di George erano proprio speciali.

Ma il montone non gli permise di avvicinarsi e scansò facilmente la sua mano, senza per questo muoversi troppo.

Fu in quel momento che Tom vide la vanga.Una buona vanga. Una vanga del genere avrebbe potuto di certo

tornargli utile. E tutto intorno nessuno al quale sembrasse appartenere. Decise così che in futuro avrebbe considerato la vanga di sua proprietà. Ora la voleva nascondere sotto il dolmen e poi, di notte, sarebbe tornato a prenderla. Non che l'idea di venire al dolmen di notte gli andasse a genio. Si raccontavano certe storie. Ma Tom era un uomo moderno e quella era una magnifica vanga. Quando mise la mano sull'impugnatura, però, il suo piede andò a sbattere contro qualcosa di morbido.

Quel pomeriggio, al Mad Boar, Tom O'Malley, per la prima volta in tutta la sua vita, venne ascoltato con attenzione, come non succedeva da tempo.

Poco dopo Heide avvistò un gruppetto di persone avanzare a passo di marcia sulla strada che proveniva dal villaggio. Emise un belato breve, poi lungo, poi ancora breve, e Othello si presentò di malavoglia sotto il dolmen.

Alla testa del gruppo c'era un uomo magro magro, che le pecore non

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conoscevano. Lo osservarono con attenzione. Il capo di un gruppo è sempre un elemento importante.

Dopo di lui veniva il macellaio. Le pecore trattennero il respiro. Il macellaio metteva loro paura. Il suo odore bastava da solo a far tremare le ginocchia a qualsiasi pecora. Il macellaio odorava di morte inflitta fra mille sofferenze. Di grida, dolore e sangue. Persino i cani avevano paura di lui.

Le pecore odiavano il macellaio. E amavano Gabriel, il quale stava camminando dietro di lui: un uomo di bassa statura, con la barba ispida e un cappello floscio. Per non venire seminato dalla montagna di carne che lo precedeva, era costretto a camminare a passo spedito. Le pecore conoscevano il motivo per cui odiavano il macellaio. Perché amassero Gabriel, invece, non lo sapevano. Era semplicemente irresistibile. I suoi cani mettevano in scena i pezzi di bravura più incredibili. Ogni anno vinceva il grande concorso per pastori a Gorey. Le persone avevano grande rispetto di lui. E si diceva persino che sapesse parlare con gli animali, anche se non era vero. Le pecore per lo meno non capivano una parola del borbottio gaelico di Gabriel. Ma si sentivano toccate, lusingate e alla fine sedotte, e gli trotterellavano vicino fiduciose ogni volta che passava sul sentiero che attraversava il loro pascolo.

Il gruppetto, intanto, aveva quasi raggiunto il cadavere. Le pecore più coraggiose dimenticarono per un attimo di comportarsi in modo naturale e allungarono il collo curiose. A pochi salti d'agnello da George, il capo magro magro del gruppo rimase impalato. La lunga figura oscillò per un istante come un ramo al vento, ma i suoi occhi erano come incollati al punto in cui la vanga si staccava dalle viscere di George.

Anche Gabriel e il macellaio si fermarono a una certa distanza dal cadavere. Il macellaio per un attimo guardò a terra. Gabriel levò le mani dalle tasche dei pantaloni. Poi quello magro distolse gli occhi da George e si tolse a malincuore il berretto dalla testa. Il macellaio disse qualcosa. Le sue mani carnose si serrarono a pugno.

Othello passò di lì pascolando senza paura.Poi lungo il sentiero scese Lilly, ansimando e sbuffando, con la faccia

paonazza e i capelli rossi in disordine, e con lei scese una nuvola di profumo artificiale di lillà. Quando vide George, emise un grido breve e acuto. Le pecore la osservavano rilassate. Qualche volta, verso il tramonto, Lilly veniva al pascolo, e immancabilmente emetteva le sue grida brevi e acute. Quando pestava un mucchietto di sterco di pecora. Quando la gonna

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le rimaneva impigliata in un cespuglio. Quando George diceva qualcosa che non le piaceva. Le pecore ormai ci si erano abituate. Non appena George e Lilly scomparivano per un po' nel capanno, allora tornava la pace. A loro le strane grida di Lilly non facevano più nessuna paura.

Ma all'improvviso il vento soffiò lungo e lamentoso sul pascolo. Mopple e Cloud persero la pazienza e galopparono sulla collina, dove, per la vergogna, si sforzarono di darsi un contegno naturale.

Lilly era caduta in ginocchio proprio accanto al cadavere, senza preoccuparsi dell'erba umida dopo la notte, ed emetteva quei suoi suoni orribili. Le mani vagavano come insetti impazziti sul pullover norvegese e sulla giacca di George tirandogli il risvolto.

Poi, tutto d'un tratto, il macellaio le comparve accanto e la trascinò indietro strattonandola rudemente per un braccio. Le pecore trattennero il respiro. Il macellaio si era mosso veloce come un gatto. Ora le stava dicendo qualcosa. Lilly lo guardava come se fosse stata svegliata da un sonno profondo proprio in quel momento. Nei suoi occhi nuotavano lacrime. Continuava a muovere le labbra, ma sul pascolo non si riusciva a percepire suono alcuno. Il macellaio rispose qualcosa. Poi afferrò Lilly per la manica e la prese da parte, lontana dagli altri due uomini. A quel punto quello magro cominciò a parlare con Gabriel.

Othello si guardò intorno in cerca di aiuto: se il montone fosse rimasto vicino a Gabriel, si sarebbe perso la scena che si stava svolgendo fra il macellaio e Lilly - e viceversa. La maggior parte delle pecore intuì il problema, ma nessuna di loro aveva intenzione di avvicinarsi né al cadavere né al macellaio, dal momento che entrambi odoravano di morte. Preferirono invece concentrarsi sul tentativo di comportarsi in maniera naturale.

A questo punto, dall'abbeveratoio, arrivò trotterellando Miss Maple, decisa ad assumersi la sorveglianza del macellaio. Sul suo naso si poteva ancora notare una macchia sospettosamente rossiccia, ma Maple si era rotolata nel fango e ora aveva solo l'aspetto di una pecora molto sporca.

"... disgustoso," stava dicendo il macellaio a Lilly. "Questo teatrino te lo puoi anche risparmiare. Credimi, adesso hai ben altri problemi, tesorino." L'aveva presa per il mento con le sue dita a forma di salsicciotto e le teneva la testa sollevata, tanto che lei era obbligata a guardarlo fisso negli occhi. Lilly sorrise per tranquillizzarlo.

"Per quale motivo qualcuno dovrebbe sospettare di me?" domandò lei cercando di divincolare la testa. "George e io siamo sempre andati

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d'accordo."Il macellaio continuava imperturbabile a tenerla per il mento. "Andavate

d'accordo. Proprio così. A quelli basta. Chi se no andava d'accordo con George? Aspetta il testamento e vedremo come andavate d'accordo. Non è che navighi esattamente nell'oro, o sbaglio? L'affare dei cosmetici non frutta certo un patrimonio, e con il bordello non si fa molta strada in questo buco. Ma vieni dal tuo Ham e non ti dovrai più preoccupare di tutta questa porcheria."

In quel momento Gabriel gridò qualcosa. Ham si girò di scatto e si avviò verso gli altri con passo pesante, lasciando lì Lilly. Alla quale sparì il sorriso dal volto. Si strinse lo scialle intorno alle spalle e si scosse. Per un attimo sembrò che piangesse. Maple la poteva capire. Venire toccata dal macellaio - come essere tirata per le orecchie dalla morte.

Fra i quattro nel frattempo volarono altre parole, ma le pecore si trovavano troppo lontane da loro per capirci qualcosa. Poi fu la volta di un silenzio rumoroso, imbarazzato. Gabriel si voltò e si avviò con tutta calma in direzione del villaggio, con quello magro attaccato ai talloni. Lilly sembrò pensarci su un attimo ma poi si precipitò anche lei dietro a quei due.

Ham invece non badò agli altri. Si era piantato davanti a George. Una delle sue manone da macellaio si sollevò lentamente, fino a fluttuare sopra il cadavere come una grassa mosca della carne. Poi le dita del macellaio disegnarono due linee in aria sopra il corpo di George. Una lunga, che andava dalla testa alla pancia, e una più corta, da spalla a spalla, fino a che le due linee non si incrociarono. Solo quando Gabriel lo chiamò di nuovo, anche il macellaio trottò verso il villaggio.

Più tardi arrivarono due poliziotti che scattarono delle foto. Con loro scattò anche una giornalista tutta profumata, e anche lei scattò delle foto, molte di più dei poliziotti. Si spinse addirittura fino alla scogliera e fotografò Zora sul suo spuntone di roccia, quindi Ritchfield e Mopple mentre pascolavano davanti al dolmen. Certo, le pecore si erano ormai abituate all'attenzione saltuaria dei turisti con lo zaino, ma ben presto l'interesse della stampa risultò loro sgradevole. Mopple fu il primo a perdere le staffe, e scappò sulla collina belando forte. Quindi anche le altre si fecero prendere dal panico e lo seguirono - persino Miss Maple e Othello. E in pochi istanti si ritrovarono tutte raccolte in cima alla collina, vergognandosi un po'.

Ma i poliziotti non badavano alle pecore. Estrassero la vanga dal corpo

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di George, infilarono l'una e l'altro in grossi sacchetti di plastica, strisciarono per terra lì intorno e alla fine scomparvero dentro una macchina bianca, che poi partì. Poco dopo cominciò a piovere. E ben presto al pascolo fu come se non fosse successo niente.

Le pecore a quel punto decisero di ritirarsi nel fienile. Ci andarono tutte insieme, perché ora, a poca distanza dalla morte di George, il fienile sembrava loro un pochino cupo e inquietante. Solo Miss Maple rimase più a lungo fuori, nella pioggia, per lavare via il fango e con lui la macchia di sangue.

Quando fece il suo ingresso nel fienile, le pecore erano raccolte strette strette intorno a Othello. Lo stavano assalendo di domande, ma il montone nicchiava.

Heide belò eccitata: "Come hai fatto a resistere, così vicino al macellaio? Io sarei morta di paura, e quasi sono morta quando l'ho visto scendere lungo il sentiero!"

Miss Maple alzò gli occhi al cielo. Ma bisognava riconoscere che Othello si esponeva all'ammirazione incondizionata del suo gregge senza lasciarsi troppo impressionare. Si rivolse dunque a Miss Maple attenendosi ai fatti.

"Il macellaio è stato il primo a parlare: 'Maiali!' ha detto."Le pecore si guardarono stupite. Non c'erano mai stati maiali al loro

pascolo. Per fortuna! Le parole del macellaio non avevano alcun senso. Ma Othello era assolutamente sicuro della cosa.

"Dall'odore sembrava piuttosto arrabbiato. E spaventato. Ma soprattutto arrabbiato. Quello magro ha avuto paura di lui. Gabriel no." Othello sembrò riflettere per un istante sulla mancanza di paura di Gabriel, poi continuò.

"Lilly non ha detto niente di niente di sensato. Solo 'George' e 'Ah, George', 'Perché proprio adesso' e 'Perché mi fai questo'. Ha parlato con George. Forse non ha capito che era morto. Il macellaio l'ha presa per un braccio. 'Nessuno lo tocchi,' ha detto. E allora lei ha detto molto piano, più agli altri che al macellaio: 'Vi prego, vorrei restare un momento da sola con lui.' Ma nessuno degli altri due ha risposto, e solo il macellaio ha parlato: 'Se qualcuno ne ha il diritto, questa è Kate,' ha detto. Aveva un tono molto ostile, e poi l'ha trascinata via."

Le pecore annuirono in segno di approvazione. Da lontano avevano osservato la stessa identica scena. I loro sospetti si indirizzarono immediatamente contro il macellaio, solo perché ogni pecora del gregge lo

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credeva perfettamente capace di trapassare un essere vivente da parte a parte con una vanga. Ma Miss Maple scosse impaziente il capo e Othello andò avanti.

"Non appena il macellaio si è allontanato, quello magro ha cominciato a parlare con Gabriel. Aveva uno strano odore, di whisky e Guinness, ma non come se li avesse bevuti. Ne odoravano di più il corpo e i vestiti. Le mani soprattutto."

"È stato lui!" belò Ramses, un montone molto giovane dotato di una fervida fantasia. "Si è versato del whisky sulle mani, proprio perché non sopportava più l'odore del sangue!"

"Può essere," disse Miss Maple poco convinta.Maude, che di tutte le pecore del gregge era quella dotata del migliore

senso dell'odorato, scosse la testa. "Gli uomini non sentono gli odori come noi. Non ne sono capaci."

"E poi non sappiamo se l'omicida avesse o meno le mani insanguinate," aggiunse Miss Maple. "Non sappiamo praticamente niente." E qui guardò Othello in modo interrogativo.

"'Aveva ancora tante cose per la testa, George, tanti progetti folli,' ha detto quello magro a Gabriel. 'Ma ora non se ne farà più niente, no?' Ha parlato molto velocemente, così velocemente che non sono riuscito a memorizzare tutto. Ha parlato tutto il tempo dei piani di George. Credo che volesse sapere qualcosa da Gabriel. Ma Gabriel non ha detto niente."

Othello piegò la testa con aria pensosa. "Mi verrebbe da dire che quello magro lo ha fatto arrabbiare. Per questo Gabriel ha richiamato il macellaio. Quando il macellaio si è avvicinato, quello magro ha smesso di parlare. Allora si sono messi a parlare tutti insieme. Lilly ha detto: 'Bisognerebbe dirlo a sua moglie', Gabriel: 'Bisognerebbe chiamare la polizia', il macellaio: 'Fino a quel momento rimarrò qui con lui.' Quindi quello magro ha detto: 'Nessuno rimane qui da solo.' Allora gli altri hanno fissato il macellaio, direi un po' minacciosi, come i montoni prima di un duello. Il macellaio si è fatto rosso in faccia. Ma poi ha annuito."

Subito dopo Miss Maple raccolse le domande. Ogni pecora avrebbe dovuto dire che cosa non aveva capito, e che cosa voleva sapere. Miss Maple se ne stava in mezzo, e accanto a lei c'era Mopple the Whale. Se una domanda le sembrava degna di nota, faceva un cenno con gli occhi a Mopple e il montone grassoccio la memorizzava. Quello che Mopple memorizzava una volta, non lo dimenticava più.

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"Perché ci hanno fotografato?" domandò Maude."Perché ha piovuto?" domandò Cloud."Perché George è venuto al pascolo di notte?" domandò Heide. Maple

fece un cenno a Mopple. Heide guardò orgogliosa Othello."Perché il macellaio è venuto qui?" chiese Maude."Che cosa vuole il macellaio da Lilly?" domandò Othello. Miss Maple

annuì."Che cos'è un testamento?" chiese Lane. Miss Maple annuì."Riporteranno qui George?" domandò Heide."Potremo brucare di nuovo là dove stava George?" chiese Cloud."Porteranno i maiali al nostro pascolo?" domandò Maude."Perché l'hanno ucciso con la vanga? Avrebbero potuto spingerlo giù

dalla scogliera," disse Zora. Miss Maple annuì."Che cosa c'entra il lupo?" chiese Sara. "È pericoloso per gli agnelli - o

per noi?" Miss Maple esitò un attimo, ma non fece nessun cenno a Mopple.

"Perché nessuno uccide il macellaio?" chiese Cloud. Alcune pecore belarono in segno di approvazione, ma Miss Maple non annuì.

"Da quanto tempo George si trovava sul prato?" chiese Mopple the Whale. Miss Maple gli fece un cenno e Mopple si illuminò.

A quel punto si fece avanti un agnello. Non aveva nemmeno un nome. Le pecore, infatti, ricevevano un nome solo dopo aver superato il loro primo inverno. "Tornerà lo spirito di George?" chiese timidamente. Cloud si piegò su di lui per tranquillizzarlo e lo lasciò rannicchiare fra la sua abbondante lana. "No, piccino, lo spirito di George non tornerà. Gli uomini non hanno un'anima. Niente anima, niente spirito. Così è."

"Come fai a dire una cosa del genere?" protestò Mopple. "Non sappiamo se anche gli uomini abbiano un'anima. È probabile di no, ma non è sicuro."

"Ogni agnello sa che l'anima risiede nel senso dell'odorato. E gli uomini non hanno un senso dell'odorato particolarmente sviluppato." Maude stessa era dotata di un eccellente senso dell'odorato e aveva spesso riflettuto sulla "questione naso/anima".

"Allora vedrai soltanto uno spirito molto piccolo. E di questo non devi aver paura." Othello si piegò sull'agnello con aria lievemente divertita.

"Ma io già l'ho visto!" belò l'agnello. "Era spaventoso. Grande, molto più grande di me, e io ho un buon odorato. Grande e arruffato, e ballava. All'inizio pensavo fosse lo spirito di un lupo, ma ora che so che George è morto, allora deve essere stato il suo spirito. Ho avuto una paura tale che

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questa mattina ho pensato di aver sognato."Miss Maple fissò intensamente l'agnello. "E come sai che George era già

morto?""L'ho visto.""Hai visto George morto e non ci hai detto niente?""No, non è andata così." L'agnello ansimava. "Ho visto la vanga, la

vanga soltanto. Ma George doveva essere lì sotto, no?" Sembrava assorto. "O credi che ci sia caduto dopo, sulla vanga?"

Dall'agnello non si riuscì a tirare fuori più nulla. Era strisciato fuori dal fienile di notte, il perché non lo sapeva; alla luce della luna aveva visto la vanga e lo spirito arruffato del lupo, che non era in grado di descrivere più dettagliatamente; quindi era tornato indietro correndo spaventato, e per la paura si era addormentato subito.

Ora regnava il silenzio. Le pecore si strinsero ancor di più l'una all'altra. L'agnello infilò la testa più profondamente nella lana di Cloud; le altre fissavano per terra imbarazzate. Miss Maple sospirò.

"Un'altra domanda per Mopple: chi è lo spirito del lupo? E dov'è Tess?"Le pecore si guardarono. Sì, dov'era Tess, la vecchia cagna da pastore di

George, la sua compagna più fedele, la sua unica amica, il cane da pastore più mite da cui fossero mai state sorvegliate?

Dopo che le altre si furono addormentate, Miss Maple aggiunse in silenzio una nuova domanda. Aveva detto a Ramses che non poteva sapere se l'assassino avesse le mani insanguinate. La verità era che non poteva sapere nemmeno se avesse le mani. Aveva trovato George col volto sereno, leggermente profumato di Guinness e di the; i vestiti avevano un lieve odore di fumo, e fra le dita teneva un paio di fiori. Le sembrava strano, dal momento che George non si era mai particolarmente interessato ai fiori. Più della verdura, semmai.

Ma Miss Maple aveva visto anche un'altra cosa, una cosa che l'aveva spinta a sollevare con il naso il pullover norvegese insanguinato. Lì, sulla pancia pallida di George, un po' più su rispetto al punto in cui la vanga era entrata, si poteva vedere l'impronta della zampa di una pecora - una sola impronta e nulla più.

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2Heide ha un sospetto

Il giorno seguente le pecore sperimentarono un mondo nuovo, un mondo senza pastore e senza cane da pastore. Esitarono a lungo, prima di decidersi a lasciare il fienile. Ma alla fine osarono uscire all'aria aperta, guidati da Mopple the Whale, che come al solito aveva fame. Era una mattina bellissima. Di notte le fate avevano danzato sull'erba lasciando migliaia di perle d'acqua. Era come se il mare fosse stato lisciato di fresco - azzurro, chiaro, senza increspature -, e nel cielo si potevano vedere alcune nuvolette lanose. Secondo la leggenda, queste nuvole erano pecore che un giorno si erano spinte oltre l'abisso, pecore elette, che continuavano a pascolare in cielo e non venivano mai tosate. A ogni modo, si trattava di un buon segno.

All'improvviso le pecore vennero prese da una straordinaria euforia. Il giorno prima erano rimaste in piedi a lungo, con le code doloranti per la tensione; oggi, invece, si scatenavano sul prato come agnelli marzolini, galoppavano fino alla scogliera, si fermavano poco prima del dirupo e sfrecciavano di nuovo verso il fienile. Ben presto, così, nessuna ebbe più fiato.

Fu allora che a Mopple the Whale venne l'idea dell'orto.Dietro il fienile si trovava il capanno mobile, un veicolo traballante con

cui un tempo George era andato in giro per il paese insieme a un altro gregge. Lì dentro c'erano le sue cose. Qualche volta ci passava anche la notte. E dietro il capanno si trovava un piccolo orto, nel quale George aveva piantato insalata, piselli, ravanelli, crescione, pomodori, indivia, ranuncoli e un po' di erba cipollina.

Tutto intorno George aveva innalzato uno steccato. L'orto si trovava così all'interno del pascolo, ma l'ingresso alle pecore era vietato. Si trattava di un divieto duro per loro, anche perché lo steccato, di per sé, non rappresentava un problema. Ma lo steccato, sommato al divieto e alla sorveglianza di George, avevano fatto in modo che fino a quel momento le pecore non si fossero mai spinte nel paradiso della verdura a fare il raccolto come normalmente lo fanno le pecore. Ma ora George non c'era più, e di conseguenza nemmeno il divieto. Lane aprì abilmente il chiavistello con il muso, Maude si dedicò ai ranuncoli, Cloud ai piselli e Heide ai pomodori. Dopo pochi minuti, di quelle aiuole ben ordinate non era rimasto niente.

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A poco a poco tra di loro scese il silenzio. Le pecore sollevarono lo sguardo e si vergognarono. Una dopo l'altra tornarono al pascolo trotterellando. Al cancello c'era Othello, l'unico a non aver partecipato all'assalto. Fece un cenno a Miss Maple, che lo seguì sul retro del capanno, dove di solito era appoggiata la vanga con cui George metteva ordine nell'orto. Ma quel giorno, lì non si vedevano che una parete dipinta di bianco e un paio di mosche che prendevano il sole. Othello scrutò Miss Maple con aria indagatrice.

Miss Maple ricambiò lo sguardo pensierosa.Le pecore trascorsero il resto del pomeriggio con il rimorso. Mopple,

insieme all'insalata, aveva ingoiato un numero tale di lumache da sentirsi male; e a un agnello si era conficcato nella zampa un pezzo di legno appuntito che lo faceva zoppicare. Pensarono a George.

"Si sarebbe proprio arrabbiato," disse Ritchfield."Avrebbe potuto curare la zampa," disse Cloud."Ci leggeva le storie," disse Cordelia.Era vero. George trascorreva molto tempo al pascolo. Si presentava di

mattina presto, quando le pecore erano ancora immerse nel sonno più profondo. E Tess, anche lei mezza addormentata, aveva il compito di separarle. George allora rideva. "Pigrone!" gridava. "Al lavoro!" Ed era per questo motivo che ogni mattina loro si sentivano un po' offese. Brucavano e George scompariva con Tess dietro al capanno - lavorava nell'orto o metteva in ordine.

Di pomeriggio l'arrabbiatura era già sfumata. Allora si raccoglievano davanti ai gradini del capanno e George leggeva per loro ad alta voce. Una volta una favola con le fate, dalla quale avevano imparato il modo in cui la rugiada si posa sui prati; un'altra volta un libro sulle malattie delle pecore, che aveva messo loro una certa paura; un'altra volta ancora un giallo, che però non avevano capito. Nemmeno George doveva averlo capito, dal momento che aveva gettato via il libro poco dopo la metà e nessuno aveva mai scoperto chi fosse l'assassino.

Ma per lo più il vecchio George leggeva romanzi d'amore, fascicoletti sottili di carta grigia nei quali tutte le donne si chiamavano Pamela e avevano i capelli rossi, "come un tramonto nei mari del sud". A essere sinceri George leggeva quei fascicoletti non tanto perché fosse un tipo romantico, e neanche perché avesse cattivo gusto in fatto di letteratura (cosa peraltro vera - il libro sulle malattie delle pecore era stato davvero troppo), quanto per arrabbiarsi. Leggeva delle Pamele dai capelli rossi che

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attiravano ingenui marinai, medici o baroni, e si arrabbiava oltre ogni dire, insultando tutte le femmine dai capelli rossi sulla faccia della terra, ma soprattutto sua moglie.

Quando George raccontava i dettagli della sua vita familiare, le pecore ascoltavano stupefatte. Era stata, la sua personale Pamela, la donna più bella del villaggio, e all'inizio George non riusciva a credere alla propria fortuna. Ma erano sposati da poco quando Pam (che in realtà si chiamava Kate) si era messa a preparare in continuazione succulente torte di mele e a ingrassare. Mentre George, magro come prima, diventava ancora più secco. Aveva sempre sognato di girare l'Europa con un gregge di pecore, e le torte di mele non rappresentavano per lui una vera alternativa. A questo punto del racconto le pecore per lo più abbassavano la testa imbarazzate. Sarebbero andate volentieri in Europa, che nella loro immaginazione era come un grande prato pieno di meli.

"Non andremo mai in Europa," disse ora Zora."Non andremo mai più all'altro pascolo," disse Heide."Oggi sarebbe stato di nuovo il giorno delle nostre pastiglie." Solo a

Lane dispiaceva che George non ci fosse per cacciare loro in bocca la pastiglia settimanale di calcio. Le piaceva il sapore. Le altre si scrollarono.

Mopple era commosso. "Non lo dobbiamo dimenticare," voleva dire. "E non avremmo dovuto mangiare la verdura. Bisogna rimediare."

Zora guardò fissa il mare. "Perché no?" chiese con aria casuale. Mopple iniziò a masticare con forza la sua ultima foglia di insalata. Quando Zora diceva qualcosa in quel modo, si sentiva sempre come se fosse stato colpito da un fulmine.

"E come vorresti rimediare?" chiese Cloud.In onore di George, decisero allora di rinunciare a un pezzetto del

pascolo. Non all'orto, tanto lì non c'era più niente da fare. Ma ai piedi della collina trovarono un punto in cui crescevano erbe particolarmente appetitose. In futuro nessuna pecora avrebbe dovuto pascolare in quel punto. Lo chiamarono George's Place. D'un tratto si sentirono sollevate.

Miss Maple intanto osservava da lontano il modo in cui il suo gregge stava fondando George's Place. Pensava a George mentre leggeva loro le storie, anche se negli ultimi tempi era successo sempre più di rado. Spesso George non veniva nemmeno più al pascolo, ma ci passava solo brevemente con la sua auto puzzolente. Tess saltava giù dal posto di fianco al conducente e di mattina faceva spaventare le pecore, mentre di sera i due tornavano un'altra volta per contarle. Durante tutta la giornata, invece,

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scomparivano. All'inizio George aveva cercato di insegnare a Tess a badare alle pecore in sua assenza, ma la cosa non aveva funzionato. Quella cagna da pastore era infatti convinta che curarle fosse prima di tutto compito di George. Pensava che occuparsi delle pecore fosse solo un favore che lei gli faceva.

Miss Maple rifletté sul fatto che Tess non ci fosse più. Era forse scappata? Se sì, ciò che aveva ucciso George doveva essere davvero stato qualcosa di terribile. Quella cagna gli era fedele come una pecora madre, e quando era necessario sapeva diventare coraggiosa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per George. Ma George era morto e Tess scomparsa.

Tutto d'un tratto Mopple si allontanò con andatura insolitamente veloce dal gruppo che se ne stava lì, in ammirazione di George's Place, perché a poco a poco cominciava a provare appetito proprio per le erbe che vi crescevano. Si diresse deciso da Miss Maple. Ma poi, inaspettatamente, sulla sua strada si presentò Sir Ritchfield. Miss Maple non sapeva da dove fosse piombato così all'improvviso. Ritchfield guardò il montone più giovane con aria minacciosa e Mopple trotterellò via, non verso George's Place, ma in direzione della scogliera. Pensieroso, si mise a guardare giù verso la spiaggia.

Ritchfield si unì a Miss Maple."Ogni tanto bisogna incutere rispetto ai giovani," disse lui. "Altrimenti

vanno a finire come Melmoth."Miss Maple non replicò. Nessuna pecora somigliava a Melmoth meno di

quanto gli somigliasse Mopple.A poco a poco l'entusiasmo per George's Place si sgonfiò. E le pecore

ripresero a dedicarsi alla loro occupazione abituale, e cioè il pascolo. Miss Maple le osservava. Era un bene che si fossero tranquillizzate. Una volta sazie e meno eccitate, sarebbero tornate a essere curiose e avrebbero dato la caccia all'assassino; alla maniera delle pecore, certo, interrompendosi ogni tanto per pascolare e avere paura, ma sarebbero state inesorabili. Maple le conosceva tutte; le più giovani le aveva viste crescere, mentre con le più grandi ci era cresciuta. Quando lei era ancora un agnello, Ritchfield e Melmoth avevano fatto trattenere il respiro al gregge con il loro comportamento avventuroso. Era così tanto tempo che Ritchfield non parlava del suo gemello che Maple aveva quasi pensato che lo avesse dimenticato. Ora però si sentiva inquieta. L'aria era purissima, un vento fresco soffiava dal mare, e il pascolo profumava. Ma, nonostante questo, tutto all'improvviso puzzava di morte, di una morte recente e di una antica,

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quasi dimenticata. Maple cominciò a pascolare.

Quel pomeriggio il gregge ricevette un'altra visita dagli uomini. Dal villaggio giunsero una donna paffuta e un uomo vestito di nero, con il colletto rigido e un lungo naso che non passava certo inosservato. Anche la donna era vestita di nero, ma con i suoi capelli rosso fuoco, gli occhi azzurri e le guance rosate, sembrò alle pecore piuttosto colorata. Profumava di mele, un profumo così buono che questa volta gli osservatori scelti per origliare che cosa si dicessero i due furono addirittura cinque: Miss Maple, Othello, Heide, una pecora giovane di nome Maisie e Mopple the Whale.

La coppia si fermò di fronte al dolmen."È qui che è successo?" domandò la donna. L'uomo annuì. La donna

colorata fissò per terra. Ma la pioggia aveva lavato via le tracce della vanga, e lei si ritrovava perciò a fissare il punto sbagliato.

"È terribile," disse con voce sottile. "Chi può essere capace di una cosa simile?" Le pecore tesero le orecchie. Forse l'uomo alto e nero avrebbe fornito una risposta proprio in quel momento. Ma rimase in silenzio.

"Non è sempre stato facile per me avere a che fare con lui," aggiunse la donna.

"Non era facile per nessuno," disse quello dal naso lungo. "Era un'anima persa, un agnello smarrito, ma il Signore nella sua infinita bontà lo ha preso di nuovo con sé."

Le pecore si guardarono stupite. Cloud belò confusa."Avrei voluto saperne di più su di lui," continuò la donna. "Negli ultimi

tempi era così strano. Pensavo fosse la vecchiaia. Se ne andava via con la macchina, riceveva posta che non potevo aprire. E," si allungò un po' per bisbigliare all'orecchio dell'uomo alto, ma le pecore la sentirono lo stesso, "ho scoperto che leggeva di nascosto romanzi, romanzi d'amore. Sa di che cosa parlo." Arrossì. Le donava. L'uomo la guardò interessato.

"Dice davvero?" chiese lui.Si diressero lentamente verso il capanno. Le pecore si innervosirono.

Presto quei due avrebbero scoperto che cosa avevano combinato nell'orto di George.

Gli occhi della donna spaziarono oltre il capanno, verso le aiuole di erbe tutte brucate e le piante di pomodori strappate.

"È bello quassù," sospirò lei.Le pecore non credevano alle proprie orecchie.

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"Forse qualche volta sarei dovuta salire qui da lui. Ma non voleva. Non mi ha mai lasciato venire. Gli avrei potuto portare una torta. E ora è troppo tardi." Aveva le lacrime agli occhi. "Non mi sono mai interessata del bestiame. George portava la lana e io mi occupavo di quella. Lana meravigliosamente morbida..." Singhiozzò.

"E adesso che ne sarà del gregge, Kate?" chiese il tipo dal naso lungo. "È un bel pezzo di terra e qualcuno si dovrà pure occupare degli animali."

Kate si guardò intorno. "Non hanno l'aspetto di pecore bisognose di qualcuno che le curi. Sembrano soddisfatte."

La voce dell'uomo suonava acidula. "Un gregge ha bisogno di un pastore. Ham te le comprerebbe di sicuro, se non vuoi che ti creino problemi."

Le pecore si fecero di pietra per lo spavento, ma la donna si strinse nelle spalle.

"Ham non è un pastore," disse. "Non se ne occuperebbe.""Ci sono modi e modi di occuparsi di qualcuno. Con amore e con

severità, con la parola e con la spada. Ce lo ha insegnato il Signore. L'importante è l'ordine." Il gran naso dell'uomo vestito di nero fissò la donna in volto con aria di rimprovero. "Se non vuoi parlare direttamente con Ham, lo posso fare io per te," aggiunse poi.

La donna scosse la testa e le pecore tirarono un sospiro di sollievo. "No, quella cosa con Ham è finita da un pezzo. E poi non so nemmeno se tutto questo è mio. C'è un testamento. George lo ha fatto preparare da un avvocato in città. Deve trattarsi di un testamento diverso dal solito; ha cercato a lungo prima di trovare l'avvocato giusto. Lì dentro c'è scritto a chi va che cosa. Ma non lo voglio sapere. Spero solo che non abbia lasciato niente a lei."

All'improvviso sembrò che le pecore non la trovassero più tanto bella. "Andiamo?"

L'uomo annuì. "Coraggio, figlia mia. Il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà." Si allontanarono con passo pesante attraverso George's Place, dove calpestarono alcuni germogli appena spuntati.

Othello strinse i denti. "Sono maledettamente contento che il Signore non sia il mio pastore." Le altre annuirono.

"Prima che ci vendano al macellaio, io scappo," belò Mopple. Le pecore erano stupite. Mopple non era esattamente un tipo audace. Ma aveva ragione.

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"E io fuggirò oltre l'abisso," spiegò Zora. Le altre sapevano che Zora sperava segretamente di far parte di quelle pecore elette trasformate in nuvole.

"No, voi rimanete qui," disse Miss Maple dolcemente. "Per lo meno ora sappiamo che cos'è un testamento. Stabilisce a chi da ora in poi appartengono le cose e le pecore di George."

"E si trova in un prato1 in città," aggiunse Heide. "E dirà a quello dal naso lungo che George non ci avrebbe mai e poi mai vendute al macellaio."

Erano davvero sollevate."Speriamo che lo trovino in fretta," aggiunse Lane."George non era un agnello," disse Heide."Quella donna era troppo vecchia per essere sua figlia," disse Mopple."L'uomo ha mentito," disse Othello. "A quel tipo alto George non

piaceva per niente. E a me non piace lui. E l'altro Signore di cui ha parlato, neanche lui mi piace."

"È stato quel Signore!" venne fuori Heide a un certo punto. "Prima ha preso con sé George. Poi è successo. Hanno litigato, prima a parole, poi con la spada. Solo che qui non c'era nessuna spada, ed è per questo che ha preso la vanga. Quello dal naso lungo lo ha praticamente ammesso!"

Mopple era d'accordo con lei. "Probabilmente hanno litigato per via dell'ordine. George non era un tipo molto ordinato, tranne che nell'orto." Gettò uno sguardo pieno di vergogna a George's Place. "Per prima cosa dobbiamo scoprire chi è questo Signore."

Maple lo fissò scettica.Cloud aveva taciuto fino a quel momento. "Il Signore è un agnello,"

disse ora.Le altre la fissarono sbalordite. Cloud stessa aveva un'aria sorpresa."No, è un pastore," la contraddisse Heide. "Un pessimo pastore, molto

peggio di George."Cloud scosse la testa. "No, no. È diverso. Se solo riuscissi a ricordarmi

meglio..." Cloud fissò un ciuffo d'erba davanti alle sue zampe, ma le pecore capirono che stava pensando ad altro.

"Quell'uomo... io lo conosco. Già un'altra volta è stato al nostro pascolo, tanto tempo fa. Io ero ancora un agnello. George mi teneva in braccio, mi aveva appena limato gli zoccoli. Tutto odorava... di terra e sole... come una

1 L'autrice utilizza un gioco di parole - "Anwalt" (avvocato) ed "ein Wald" (un prato) - per spiegare che le pecore non hanno capito di che cosa Kate abbia parlato (N.d.T.).

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pioggia d'estate. Un odore così buono e poi... qualcosa di amaro. L'ho sentito subito che a George non piaceva quell'uomo. L'uomo voleva invitare George da qualche parte, ma aveva una voce scortese. Voleva benedire il bestiame. Non sapevo che cosa significasse benedire, ma suonava come bruciare. Sapevo che il bestiame ero io - George lo aveva detto poco prima, quando non stavo ferma. Mi sono fatta prendere dalla paura. George rideva. 'Se intendi dire Ham, quello lo benedici tutte le domeniche.' Ha detto lui. L'altro si è molto arrabbiato. Poi non so più che cosa abbia detto, ma ha parlato tanto del Signore, che avrebbe separato le pecore dai capri." Le pecore belarono scandalizzate.

Cloud fissava pensierosa il suo ciuffo d'erba. Solo quando Zora le diede una leggera spinta sul fianco con il naso, continuò a raccontare, piano piano e titubante. "A un certo punto anche George si è arrabbiato. Mi ha presa e mi ha spinta fra le braccia del tipo dal naso lungo. 'Benedici questa bestia,' ha detto. L'altro aveva un cattivo odore e mi faceva paura. Non sapeva come prendermi, ma mi ha portata via. La sua casa era la più grande del paese, alta e appuntita come lui. Mi ha chiusa in giardino. Da sola. C'era un melo, ma lo aveva recintato e le mele restavano per terra a marcire."

Alcune pecore belarono indignate. Cloud rabbrividì."Poi, all'improvviso, molte persone hanno cominciato a riversarsi nella

casa. Hanno portato cani, pecore mai viste e un maiale. Anch'io sono dovuta entrare. C'era un terribile frastuono, ma quello dal naso lungo parlava a voce alta in modo che tutti lo potessero sentire. 'Benvenuti nella casa di Dio!' Questo ha detto. Questo e altre cose." Fece una pausa; aveva un'aria assorta.

"Quindi quell'uomo si chiama 'Dio'," commentò Sir Ritchfield.Othello ebbe un'espressione strana. "Dio?""Forse," disse Cloud incerta. "Ma poi ho scoperto che adoravano un

agnello. Mi sembrava una bella idea. Tutte quelle persone adoravano un agnello, ma un agnello particolare. Lo chiamavano 'il Signore'. Poi si è sentita una musica, come se provenisse dalla radio, solo più... disturbata. Mi sono guardata un po' in giro e mi sono spaventata a morte. Alla parete era appeso un uomo, un uomo nudo, e sebbene sanguinasse da molte ferite, non si riusciva a sentire l'odore del sangue." Non aveva intenzione di proseguire nel racconto.

"E dentro di lui era infilzata una vanga, vero?" chiese Sir Ritchfield trionfante.

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"Questo 'Dio' mi sembra abbastanza sospetto," disse Mopple. "Sembrerebbe proprio che abbia già parecchie persone sulla coscienza. La faccenda dell'agnello è con ogni probabilità soltanto una scusa. Tu stessa hai notato che non ci sa per niente fare con gli agnelli."

"È molto potente," disse Cloud, che si era un po' ripresa. "Tutte le persone si sono messe in ginocchio davanti a lui. E lui ha detto di sapere tutto."

Maude masticava pensierosa un ciuffo d'erba. "Mi ricordo," disse. "Cloud era scomparsa, per un giorno intero. Sua madre l'aveva cercata come... sì, insomma, come una madre."

"Perché non ci hai mai raccontato niente?" chiese Zora."Non avevo capito," rispose Cloud piano. Sembrava leggermente

trasognata, e cominciò a grattarsi il naso imbarazzata su una delle zampe anteriori.

Le pecore, intanto, continuavano a riflettere sulla faccenda di Dio."Non è vero che sa tutto," belò Othello. "E lo dimostra il fatto che non

sapesse che George legge romanzi d'amore.""Leggeva," lo corresse seccamente Sir Ritchfield."L'omicida torna sempre sul luogo del delitto," disse Mopple the Whale.

"E quello dal naso lungo è tornato sul luogo del delitto." Mopple si guardò intorno orgoglioso. Era l'unica cosa utile che avessero imparato dai gialli di George. Mopple, ovviamente, se lo era memorizzato.

"Che cosa ne pensi?" chiese a Miss Maple."È un tipo sospetto," annuì lei. "Non gli piaceva George e a George non

piaceva lui. Si interessa di quello che succederà a noi e al pascolo. E poi, quando sono arrivati di fronte al dolmen, ha guardato il punto esatto, proprio quello in cui si trovava George."

Le pecore tacevano impressionate. Maple continuò. "Ma si può anche trattare di un caso. Ha guardato per terra tutto il tempo. Ci sono così tante cose da chiarire. Che cos'è che è finito con Ham? Chi è la lei alla quale si spera che George non abbia lasciato niente? E che cos'è la storia di Lilly e Ham e George?"

"Non è facile capire gli uomini," concluse Maude.

Le pecore abbassarono la testa. Pascolarono e meditarono per un po'.Mopple si ricordò di non aver sempre capito George, nonostante George

fosse facile da capire - per essere un uomo. Si interessava dell'orto e leggeva alle sue pecore i romanzi di Pamela. Non provava interesse per le

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torte di mele. Ma negli ultimi tempi anche George qualche volta faceva cose strane. Per esempio, tirava fuori il bersaglio.

Quando George marciava attraverso il pascolo in stivali di gomma con in mano il bersaglio rotondo e colorato, allora Mopple cercava alla svelta un rifugio sicuro. E l'unico posto sicuro in cui non si riuscisse a vedere il bersaglio era subito dietro il capanno, nelle immediate vicinanze dell'orto. Era lì che George lo trovava quando usciva per la seconda volta dal capanno con la pistola scintillante. Puntava quella orribile cosa contro Mopple e gridava: "Ti ho colto in flagrante, in flagrante, mani in alto!" E ogni volta Mopple, spaventato, scappava a zigzag per il pascolo mentre George se la rideva. Poi scendeva i gradini. Poco dopo il bersaglio cominciava a tremare e Mopple tremava insieme a lui.

Un tempo anche solo il rumore gli era risultato insopportabile, ma da quando George aveva comprato un silenziatore si sentiva solo un leggero schiocco, come di una pecora che morda una mela. E questo rumore era, oltre alla paura di Mopple, l'unico risultato evidente della mania di George per le armi da fuoco. Una cosa priva di senso. Mopple avrebbe preferito produrre lo stesso rumore con delle mele vere, ma George non riusciva a rinunciare al bersaglio.

Miss Maple, intanto, pensava al modo in cui le mani di Lilly avevano vagato sulla giacca di George, come se stessero cercando qualcosa, come insetti.

Zora, dal canto suo, rifletteva su quanto poco gli uomini tollerassero l'altitudine. Non appena si avvicinavano troppo alla scogliera, con la loro andatura insicura da uomini, diventavano pallidi e i loro movimenti si facevano ancora più impacciati. Sulle scogliere una pecora era di gran lunga superiore a ogni uomo. Persino George non sapeva che cosa fare quando Zora si piazzava sulla sua lingua di roccia preferita. Restava a distanza di sicurezza e, dato che era consapevole di non dover sprecare il proprio tempo con le lusinghe, per un po' si limitava a imprecare. Poi cominciava a lanciarle delle cose, prima ciuffi d'erba sporchi, poi sterco di pecora secco.

Qualche volta il vento portava in risposta un'imprecazione impercettibile proveniente dal basso. La qual cosa provocava un miglioramento repentino nell'umore di George. Si metteva a quattro zampe, strisciava sulle scogliere e si sporgeva oltre il bordo. Allora vedeva dei turisti, oppure gli abitanti del villaggio colpiti di sorpresa sulla testa dai suoi luridi proiettili. Anche Zora li vedeva. In quel momento si guardavano - il pastore, sdraiato sulla

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pancia che sogghignava, e Zora, troneggiante sul suo spuntone di roccia come una capra di montagna. In momenti come quelli si intendevano alla perfezione.

Zora pensava che gli uomini avrebbero potuto compiere grandi progressi, se solo si fossero decisi a muoversi a quattro zampe.

Ramses pensava alla storia della tigre evasa, che Othello raccontava talvolta al gregge di agnelli pieni di stupore.

Heide pensava alla strada che conduceva all'altro pascolo. Al ronzio degli insetti, al rumore delle auto puzzolenti che passavano e alla superficie liscia del mare. In primavera l'aria odorava di terra umida. In estate stormi di passeri volavano come foglie sopra i campi di frumento. In autunno, quando il vento scuoteva gli alberi, le ghiande scrosciavano sulle pecore. In inverno la brina disegnava strani motivi sull'asfalto. Ogni volta era un'esperienza meravigliosa, almeno fino a quando non arrivavano al punto in cui gli uomini verdi facevano loro la posta. Gli uomini verdi avevano cappucci e sputafuoco e non promettevano nulla di buono. Quando arrivavano dagli uomini verdi, persino George diventava nervoso. Nonostante ciò, si rivolgeva a loro in modo amichevole e stava attento che i loro cani non si avvicinassero troppo alle pecore. Senza George non sarebbero mai riuscite a passare indenni attraverso quegli uomini. Heide si domandò se avrebbero mai rivisto l'altro pascolo.

Cordelia pensava all'abilità degli uomini nell'inventare le parole, nel mettere in fila, una dietro l'altra, parole inventate, nello scrivere parole che facevano rima una con l'altra. Era una magia. E Cordelia sapeva anche questo, dal momento che George aveva spiegato loro che cosa fosse la magia. Quando George leggeva ad alta voce e si imbatteva in una parola che secondo lui le pecore non potevano capire, gliela spiegava. Qualche volta spiegava parole che tutte le pecore conoscevano già, parole come "profilassi" o "antibiotico". La profilassi veniva prima della malattia, l'antibiotico durante. Entrambi avevano un sapore amaro. George non sembrava tanto esperto in quel campo. Si ingarbugliava in spiegazioni astruse, nelle quali il ruolo principale veniva svolto da animali molto piccoli. E alla fine ci rinunciava imprecando.

Mentre di altre spiegazioni era estremamente soddisfatto, quando invece le pecore non avevano capito un bel niente. In casi come questi si sforzavano di non far intuire a George la propria ignoranza, cosa che di solito riusciva loro molto bene.

Ma c'erano delle volte in cui George insegnava davvero loro cose nuove.

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Cordelia amava le sue spiegazioni. Amava conoscere parole che si riferivano a cose che non aveva ancora visto, o addirittura a cose che non si potevano nemmeno vedere. Queste parole se le teneva a mente.

"La magia," aveva detto George, "è qualcosa di innaturale, qualcosa che in effetti non esiste. Quando schiocco le dita e Othello improvvisamente diventa bianco, questa è magia. Quando prendo un barattolo di vernice e lo dipingo di bianco, quella non è magia." Rise e per un istante si ebbe come l'impressione che avesse voglia di schioccare le dita o di prendere un barattolo di vernice. Poi continuò. "Tutto quello che sembra magia, in realtà è un trucco. Non c'è nessuna magia." Cordelia pascolava con piacere. Era la sua parola preferita, una parola per qualcosa che non c'era. Poi pensò alla morte di George. Era come una magia. Qualcuno aveva infilato una vanga in corpo al pastore sul loro pascolo. George doveva aver gridato in modo spaventoso, ma nessuna delle pecore nel fienile lì vicino aveva sentito niente, e un agnello aveva visto uno spirito, uno spirito che danzava senza far rumore. Cordelia scosse la testa. "È un trucco," sussurrò.

Othello pensava al clown crudele.Lane pensava alle strane persone che di tanto in tanto facevano visita a

George. Arrivavano sempre di notte. Lane aveva il sonno leggero, e sentiva lo stridio delle ruote delle auto quando queste svoltavano sul sentiero, giù dalla strada asfaltata. Qualche volta si era nascosta all'ombra del dolmen a osservare. Era bello, uno spettacolo tutto suo. I fari della macchina proiettavano strisce luminose nell'oscurità o si impigliavano nella nebbia dando vita a una bianca foschia scintillante. Erano auto grandi con motori rombanti, venivano giù lungo il sentiero e non puzzavano come l'auto di George, che lui chiamava l'"anticristo". Poi si spegnevano le luci e una o due ombre in lunghi cappotti scuri si avvicinavano al capanno. Camminavano facendo attenzione e si sforzavano di non calpestare al buio lo sterco di pecora fresco. Una mano bussava sul legno della porta. Una volta, due volte, poi ancora una volta. La porta del capanno si spalancava e nell'oscurità emergeva un'apertura rossastra. Gli sconosciuti entravano in fretta. Ma prima, per un attimo, si fermavano sulla porta come corvi giganteschi dai profili netti. Lane non aveva mai visto le loro facce, eppure le erano quasi diventati familiari...

Tutto d'un tratto qualcosa di scuro si mosse sul sentiero in direzione del pascolo. Fra le pecore ci fu un breve momento di panico. Galopparono tutte insieme sulla collina senza perdere di vista l'intruso. Dio era tornato.

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Correva su e giù per il pascolo come un cane da caccia, con il lungo naso puntato a terra.

Per prima cosa girò intorno al dolmen, poi seguì il sentiero fino alle scogliere. Stava quasi per mettersi a correre oltre i cespugli, ma all'ultimo momento alzò il naso, vide il grande blu davanti a sé e il lungo corpo nero all'improvviso si fermò. Un sospiro attraversò il gregge, che aveva seguito con attenzione i movimenti del naso e di Dio, da quando entrambi avevano fatto rotta sulle scogliere.

L'uomo vestito di nero diede loro una breve occhiata. Othello abbassò minaccioso le corna, ma Dio aveva già imboccato il sentiero che portava al villaggio. Dopo due o tre passi sentì qualcosa. Si bloccò, allungò le orecchie, poi si voltò bruscamente e fuggì con il volto pallido e tirato verso il pascolo libero.

Ora quel qualcosa lo sentivano anche le pecore - un rumore ronzante, frusciante. Assomigliava un po' al rumore che avevano fatto loro assaltando l'orto di George. Si stava avvicinando. Ora si sentivano anche i cani che abbaiavano e le voci degli uomini. Fu solo in quel momento che le pecore videro da che cosa era fuggito il tipo dal naso lungo. Sul pascolo si stava riversando un gregge, un gregge che le pecore non avevano mai visto prima d'ora.

3Miss Maple si bagna

A George gli uomini non piacevano. Solo molto di rado capitava che qualcuno passasse dal pascolo, un contadino o una donna anziana che aveva voglia di chiacchierare. E ogni volta George si infastidiva. Metteva una cassetta a tutto volume nel suo mangianastri grigio e si rintanava nell'orto, dove si dedicava ad attività il più disgustose possibile, fino a quando il visitatore non se ne andava.

Le pecore non avevano mai visto gli uomini in gregge, ed erano troppo sorprese per piombare di nuovo nel panico. Più tardi Mopple sostenne di aver visto sette persone, ma Mopple era miope. Zora ne aveva contate venti, Miss Maple quarantacinque e Sir Ritchfield molte ma molte di più di quante riuscisse a contarne. Tuttavia la memoria di Ritchfield era pessima, soprattutto quando era agitato. Dimenticava di continuo chi avesse già contato e contava tutto e tutti due o tre volte. E, come se non bastasse,

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contava anche i cani.Mopple si ritrovò a fissare gli uomini con sguardo miope e un po'

seccato. La teoria dell'assassino che torna sempre sul luogo del delitto se la potevano pure scordare. Erano tornati tutti sul luogo del delitto, e di sicuro l'assassino era nascosto tra di loro. Spinte dalla curiosità, le pecore osservavano il modo in cui il gregge di uomini avanzava. Non era guidato né dal più forte né tanto meno dal più intelligente, bensì da Tom O'Malley. Dietro di lui venivano i bambini, quindi le donne e infine, un po' più indietro, gli uomini, imbarazzati, con le mani infilate nelle tasche dei calzoni. Ancora più indietro si muovevano alcune persone molto anziane, che procedevano lentamente e tremando.

Tom aveva portato una vanga, una vecchia vanga triste, arrugginita. La conficcò nella terra, a non meno di dieci passi dal punto in cui aveva trovato George. Le altre persone, che fino a quel momento erano trotterellate dietro alla loro guida come in ogni gregge che si rispetti, fecero un balzo indietro, come se Tom le avesse spruzzate con dell'acqua fredda, e andarono a formare un cerchio a debita distanza.

"Era qui," urlò Tom. "Proprio qui. Il sangue è schizzato fino a qui," e fece due lunghi passi in direzione del dolmen, "e qui" - altri tre passi in un'altra direzione - "mi trovavo io. Ho visto subito che per il vecchio George non c'era più niente da fare. Sangue dappertutto. La faccia tutta deformata, terribile, con la lingua blu che gli penzolava fuori dalla bocca."

Niente di tutto questo era vero. E Miss Maple non mancò di notare quanto ciò fosse strano. In effetti, George avrebbe dovuto presentarsi proprio come aveva detto Tom. Molto sangue e il volto immobilizzato dal dolore per la lotta contro la vanga. Invece era disteso sul prato come se si fosse messo a dormire.

Il gregge di uomini arretrò ancora ed emise un suono strano, aspirato, qualcosa fra l'orrore e l'entusiasmo. Tom intanto continuava a gridare. "Ma il vostro Tom ha mantenuto i nervi saldi. È andato subito al Mad Boar a chiamare la polizia..."

Una voce nasale lo interruppe. "Come no, la strada per il pub il nostro Tom la trova sempre!" Gli uomini risero. Tom abbassò la testa. Ricominciò a parlare, ma questa volta così piano che, dalla collina, le pecore non riuscivano più a sentirlo. Quel poco di ordine che regnava nel gregge degli uomini andò in tilt. Dappertutto c'erano bambini che correvano, mentre gli adulti si raccolsero in gruppetti che cambiavano di continuo, belando ininterrottamente. Il vento portava scampoli di parole

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sulla collina."Re dei folletti! Re dei folletti! Re dei folletti!" cantavano i bambini."... probabilmente ha lasciato tutto alla chiesa!" disse un contadino dalla

faccia rossa."Lilly ha avuto un collasso nervoso quando lo hanno trovato!" cinguettò

una giovane donna dalle guance paffute. L'uomo che le stava di fianco le teneva la mano e sorrideva.

Un uomo basso si strinse nelle spalle. "Era un peccatore, che cosa vi aspettate?"

"Anche tu sei un peccatore, Harry," sogghignò una donna anziana con un buco in mezzo ai denti, "e dico solo Lonely Heart Inn. La tua cara zia può dirsi veramente fortunata ad avere un nipote tanto premuroso." L'uomo impallidì e tacque.

"Ha accumulato un patrimonio. Traffici poco chiari!" disse un uomo con la pancia a punta.

"George aveva dei debiti, lo sanno tutti," disse un altro."... si sentiva un po' troppo attratto dalle sue pecore," raccontò un uomo

molto giovane ad altri due. "Lo sapete come!" Fece un movimento con le mani. Gli altri due risero. "Facile, un omicidio per gelosia fra pecore!" gridò il più magro di tutti così forte che un paio di donne si voltarono. Di nuovo tutti e tre risero in modo sgradevole.

"Deve averlo sorpreso," disse un uomo che puzzava decisamente di sudore, "e George era maledettamente difficile da sorprendere."

"Un disastro per il turismo," disse un altro a voce alta, "George sa davvero come mandare a monte i piani."

"... voleva vendere tutto a Ham, le pecore, la terra, tutto!" disse una donna senza collo.

"È stato Satana," bisbigliò una donna con la faccia da topo a due bambini piccoli e biondi.

"Che Dio lo aiuti!" disse un'altra con la voce tremante. Le pecore la conoscevano. George l'aveva chiamata "Beth la misericordiosa". Beth si presentava regolarmente al capanno per convincere George a compiere delle "buone azioni". Le pecore non sapevano di preciso che cosa fossero le buone azioni, ma sembrava che George dovesse fare qualcosa come lavorare in un orto. George, però, il suo orto ce l'aveva già. Le pecore avevano capito che George cercava di difendersi dalla donna. Ma evidentemente la donna no. A ogni rifiuto metteva in mano a George una pila di fascicoletti sottili per indurre la sua anima peccatrice a convertirsi.

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Che cosa stesse succedendo all'anima di George (se pure ne aveva una), questo loro non lo potevano sapere. Ma i fascicoletti gli piacevano, nonostante non li avesse mai letti. La sera dopo c'erano sempre le patate, che George arrostiva sopra un piccolo fuoco tremolante.

All'improvviso, il nemico balzò in mezzo alle pecore - il nemico secolare, davanti al quale non si poteva far altro che scappare. Fino a poco prima solo un paio di loro se ne erano andati in giro a ficcare il naso per il pascolo - ogni tanto venivano richiamati dai loro padroni con un fischio e dovevano mettersi a cuccia, ma alla prima occasione cercavano di prendere il largo. Niente di insolito. Mentre i gruppetti bisbiglianti si avvicinavano al dolmen, i cani battevano una zona di esplorazione sempre più ampia. Nessuno si occupava più di loro. Si erano uniti per formare una piccola muta, tre cani da pastore più un altro. Gli occhi dei cani da pastore brillavano. Si vedeva il loro pelo pezzato guizzare attraverso il pascolo. Strisciando, si avvicinarono alla collina. Le pecore belarono per l'agitazione. Ben presto i cani le avrebbero fatte pascolare, in lungo e in largo, separate e tutte insieme, spinte dai movimenti rapaci dei cani da pastore, ai quali nessuna pecora riusciva a resistere. In realtà non avevano paura, erano già state fatte pascolare migliaia di volte, ma furono prese da un disagio atavico.

Poi, però, videro l'altro cane muoversi, e il loro nervosismo si trasformò in paura. All'apparenza il cane lupo grigio faceva le stesse cose che facevano i cani da pastore: si piegava, aspettava, si avvicinava. Ma c'era qualcosa che non tornava. Non abbaiava, non indugiava. Era come se volesse soltanto imitare la danza dei cani da pastore, un gioco al quale partecipava senza giocare. Per un attimo, l'intero gregge trattenne il respiro: per la prima volta nella loro vita venivano cacciate. Il cane partì in quarta.

A quel punto scoppiò il panico. Il gregge schizzò in ogni direzione, disperdendosi e trascinando con sé i cani da pastore sbalorditi. Mopple si infilò di corsa in mezzo alla massa di uomini e buttò per terra Harry il peccatore. Zora si mise in salvo sul suo spuntone di roccia. Da lì era l'unica pecora in grado di vedere che cosa stesse succedendo.

La collina era deserta. Ai suoi piedi, vicino a George's Place, giacevano due corpi scuri, Othello e il cane. Entrambi stavano per rimettersi sulle zampe. Othello ci riuscì per primo e attaccò. Zora non aveva mai visto prima di allora una pecora attaccare. Othello sarebbe dovuto fuggire.

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Sarebbe davvero dovuto fuggire. Il cane esitò. Gli ci volle un istante prima di riconoscere la sua preda nel nero Othello che lo stava attaccando. Allora lo puntò. Prima dell'urto, però, ebbe un attimo di incertezza, frenò e all'ultimo momento deviò di lato. Othello cambiò immediatamente direzione e, facendo una piccola curva, galoppò di nuovo verso il cane. Zora fissava incredula la collina. Era chiaro che Othello fosse più veloce del cane. Ed era probabile che anche il cane lo avesse capito. Si rannicchiò sul terreno, digrignando i denti, per saltare addosso al montone da sotto.

Zora chiuse velocemente gli occhi e pensò ad altro. Al pensiero che riservava ai momenti brutti della vita. Pensò al giorno in cui aveva messo al mondo il suo primo agnello, al dolore e poi alla rabbia. L'agnello era marrone terra, persino dopo che lei gli aveva leccato via il sangue dal manto con la massima cura. In seguito il marrone si sarebbe trasformato in un bianco lana, ma allora Zora non lo poteva sapere. Si era chiesta perché, di tutte le pecore del gregge, solo lei non avesse messo al mondo un agnello bianco. Ma poi l'agnello aveva belato, piccolo e marrone come la terra, con una voce più bella di quella di tutti gli altri agnelli. Aveva un buon odore, meglio di quello di qualsiasi cosa commestibile. E Zora seppe che lo avrebbe difeso contro il mondo intero, che fosse marrone come la terra oppure no. Quello stesso giorno lo aveva portato sulle scogliere e gli aveva mostrato i gabbiani e il mare.

Zora si rilassò. Finora aveva allattato tre agnelli, che ora erano le pecore più coraggiose e dal passo più sicuro che ci si potesse immaginare. Ma quest'anno non aveva messo al mondo nemmeno un agnello, e anche tra le altre pecore quasi nessuna era rimasta gravida. In quel momento Zora capì perché negli ultimi tempi non era riuscita a meditare sulla sua roccia e perché era ben lontana dal diventare una pecora nuvola. Per tutta l'estate le erano mancati gli agnelli. Solo due giovani pecore inesperte - eccitate e goffe - avevano scaraventato nel mondo i loro piccoli, e George aveva imprecato per ciascuno di loro. E poi, naturalmente, c'era l'agnello invernale. Zora allargò le narici per lo sdegno. Allungò le orecchie. Le sarebbe piaciuto così tanto sentire belare un po' di giovani agnelli, ma tutto era così terribilmente silenzioso, se si escludevano le urla dei gabbiani, alle quali Zora però non badava più da tempo. Gli uomini intanto ronzavano in lontananza come un popolo di insetti.

Poi Zora sentì un grido spaventoso. I suoi occhi si aprirono, sebbene

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cercasse di tenerli chiusi. Guardò involontariamente verso la collina. A terra giaceva un corpo scuro. Le zampe si agitavano in aria come se volessero continuare a scappare. A Zora vennero i brividi. Il cane aveva preso Othello. Solo un attimo dopo vide che a terra c'era il cane lupo. Di Othello nessuna traccia.

Il cane lupo, arruffato, cercava inutilmente di rialzarsi. Gli si avvicinò il suo padrone, uno dei ragazzi dalla risata sgradevole. Era pallido e smosse il cane con un piede. Un contadino sollevò la bestia e la portò via.

Gli uomini borbottavano per l'agitazione. Nessuno riusciva a capacitarsi di che cosa fosse finito improvvisamente addosso a quel bel cane nerboruto. Quando videro il pelo della pancia insanguinato, alcune donne gridarono. Si sentirono di nuovo le parole "Satana" e "re dei folletti". Le donne belarono ai loro bambini di tornare. Gli uomini sudavano e scuotevano la testa.

I cani feriti sembravano suscitare tra gli uomini un panico simile a quello provocato da quelli sani tra le pecore. Il gregge di uomini si allontanò all'improvviso, così come era arrivato.

Dietro di loro rimase soltanto la vanga.

Zora sedeva immobile sul suo spuntone di roccia chiedendosi se avesse solo sognato. Doveva per forza essere così. L'erba intorno a lei era morbida come il muso di una pecora, e lì crescevano anche delle erbe che nessun altro poteva strappare. "Erbe dell'abisso", le chiamava Zora, e le piacevano più di ogni altra cosa che si trovasse da mangiare al pascolo. La frescura del mare soffiava con folate salmastre e fredde, e sotto di lei si incrociavano i gabbiani. Era una bella sensazione avere sotto di sé quei bianchi urlatori, era bello essere da sola. Nessuno era in grado di seguirla fino a lì.

Aveva osservato il gregge mentre lentamente si calmava e ricominciava a pascolare. Othello pascolava in mezzo alle altre pecore. Nessuna di loro sembrava fargli particolarmente caso. Zora pensò a quanto poco sapessero di Othello.

Qualche volta George portava pecore nuove. Per lo più si trattava di agnelli svezzati e il gregge li accoglieva come se fossero stati sempre lì. Ma per quanto Zora riuscisse a ricordare, solo due pecore adulte erano arrivate da fuori: Othello e Mopple the Whale. Mopple era arrivato da loro due inverni prima a bordo della rumorosa macchina di George. Quando George trasportava pecore singole, le metteva semplicemente sul sedile

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posteriore. Ed era lì che avevano visto per la prima volta Mopple, un giovane montone massiccio, che fissava confuso fuori dal finestrino e mordicchiava i bordi della cartina stradale di George. George lo aveva piazzato di fronte a loro e aveva tenuto un breve discorso. Mopple era di una "razza da carne", ma loro non dovevano avere paura, perché qui nessuno finiva "sotto il coltello", si trattava solo di un po' di "sangue fresco". Le pecore non avevano capito e all'inizio avevano avuto un po' paura di Mopple. Ma il giovane montone era cordiale e sempre leggermente imbarazzato, e la volta in cui Sir Ritchfield lo aveva sfidato a duello avevano definitivamente capito che Mopple non rappresentava per loro un pericolo.

Othello, al contrario, non era mai stato sfidato a duello da Ritchfield. E nessuna pecora se ne era mai meravigliata. Più strano era invece che nemmeno Othello avesse mai sfidato Ritchfield. Qualcosa in Sir Ritchfield sembrava infatti incutere timore a Othello, e tanto più sordo e smemorato diventava Ritchfield, tanto meno le altre riuscivano a capire di che cosa si trattasse.

Nessuna pecora aveva visto arrivare Othello. Semplicemente, una mattina lui si trovava là - un montone già adulto con quattro corna pericolosamente ricurve. Quattro corna! Fino a quel momento non avevano mai visto una pecora con quattro corna. Le pecore madri erano impressionate e i montoni segretamente un po' invidiosi. Zora se lo ricordava molto bene, non era passato tanto tempo. Quella volta George non presentò Othello, ma cantò, fischiò e ballò. Non lo avevano mai visto così su di giri. George aveva cantato in lingue sconosciute, che nessuna pecora era riuscita a comprendere, e aveva spalmato la temuta pomata che bruciava su una ferita sottile, ma impressionante, che attraversava tutta la fronte di Othello. Alle pecore vennero i brividi. Ma Othello rimase in silenzio. E George saltò da una gamba all'altra così a lungo che alla fine dovette togliersi il maglione di lana.

Zora decise allora di tornare dalle altre pecore. Voleva chiedere se davvero Othello avesse sconfitto il grosso cane grigio. Le sembrava improbabile, ma era appena capitato qualcosa di assolutamente inconcepibile. Arrivò così vicina a Maude, che stava pascolando nei pressi di George's Place, da non poter nemmeno fingere di essere capitata lì per caso.

Maude masticava persa nei suoi pensieri."Maude," chiese Zora "hai visto che Othello ha combattuto contro il

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cane?" Maude la fissò senza capire."Othello è una pecora," rispose lei. "L'erba qui è eccellente," aggiunse

poi con tono invitante. Zora si voltò. Voleva chiedere a Maple o, meglio ancora, a Mopple. Se una pecora era in grado di ricordarsi di cose strane, questa era Mopple the Whale.

Quando alzò la testa per fiutare dove si trovasse Mopple, Zora notò che Othello era ricomparso in mezzo alle altre pecore e che pascolava nelle loro vicinanze. Aveva lo stesso aspetto di sempre. Zora tornò ad abbassare la testa e cominciò anche lei a pascolare. Una pecora dovrebbe dimenticare il più in fretta possibile le cose impossibili e inquietanti, prima che il mondo sotto le sue zampe vada sottosopra.

Di norma le pecore non sono gente chiacchierona. Uno dei motivi è che spesso hanno la bocca piena d'erba. Un altro motivo è che talvolta hanno in mente solo l'erba. Ma le pecore apprezzano le buone storie. E la cosa che in assoluto preferivano era ascoltare e meravigliarsi - anche perché si può ascoltare senza smettere di ruminare. Da quando George non leggeva più storie, nella loro vita mancava qualcosa. Ed era per questa ragione che ogni tanto capitava che una pecora raccontasse una storia alle altre. Spesso questa pecora era Mopple the Whale, qualche volta Othello e raramente una delle pecore madri.

Le pecore madri parlavano per lo più della loro prole, e questo non era certo un argomento di particolare interesse per le altre. Naturalmente c'erano stati anche agnelli leggendari, come Sir Ritchfield, ma le loro madri tenevano prudentemente la bocca chiusa.

Quando era Othello a raccontare, tutte le pecore lo ascoltavano interessate, senza però riuscire realmente a capirlo. Othello raccontava di leoni e di tigri e di giraffe, animali strani provenienti da paesi torridi. A tale proposito, poi, spesso scoppiavano delle liti, dal momento che ogni pecora si immaginava questi animali in modo diverso. Le giraffe odoravano come frutta marcia, avevano le orecchie cespugliose e almeno un po' di lana? Othello per lo più non andava oltre le semplici descrizioni, e persino queste bastavano per far nascere nelle altre pecore una sensazione sgradevole che scivolava loro lungo la schiena. Degli uomini, invece, Othello non parlava mai.

Quando era Mopple a raccontare, al contrario, si trattava sempre di uomini. Mopple raccontava le storie che aveva letto George. Se le era memorizzate tutte, e le sue storie qualche volta erano belle quasi quanto le

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ore di lettura di George davanti al capanno. Solo, non erano mai altrettanto lunghe. A un certo punto, infatti, a Mopple veniva fame e lì la storia finiva. Tanto più la storia era bella, tanto più si materializzavano prati, pascoli e foraggio, quanto più in fretta arrivava la fine. Il vero motivo della suspense spesso non stava nelle storie, ma nella loro durata.

E anche oggi le prospettive non erano delle migliori. Mopple raccontò la favola delle fate. In nessun altro racconto c'erano così tanti prati, così tanta erba e frutta. Mopple raccontò del ballo notturno delle fate sul prato dei ranocchi e i suoi occhi brillarono. Raccontò che durante i festeggiamenti i folletti invidiosi avevano lanciato delle mele addosso alle fate, e i suoi occhi si inumidirono. Raccontò come il re dei folletti fosse comparso nell'erba alta. Il re dei folletti, che era capace di tirare fuori i morti dalle tombe e di istigarli contro gli uomini. Qui accadde una cosa insolita. Mopple fu interrotto.

"Ma davvero è stato il re dei folletti?" chiese Cordelia timidamente. Tutte le pecore sapevano che si riferiva alla morte di George. Mopple strappò un ciuffo d'erba alla velocità della luce.

"O Satana?" aggiunse Lane."Sciocchezze," sbuffò Ramses nervosamente. "Satana non farebbe mai

una cosa del genere."Alcune pecore belarono in segno di approvazione. Nessuna di loro

credeva infatti che Satana fosse capace di una cosa del genere. Satana era un asino in là con gli anni, che qualche volta pascolava sul prato vicino e che di tanto in tanto emetteva ragliate particolarmente acute e penetranti. Le sua voce era davvero terribile, ma fatta eccezione per questo era sempre parso innocuo.

"Io continuo a credere che lo abbia ucciso quel 'Dio'," disse Mopple con la bocca piena. "Anche Beth pensava la stessa cosa." Le pecore nutrivano un certo rispetto nei confronti di Beth, per il fatto che avesse sempre dimostrato una buona dose d'impegno a proposito di un'impresa dalla dubbia riuscita come la salvezza dell'anima di George.

"E perché mai dovrebbe fare una cosa simile?" chiese Maude."Le vie di Dio sono imperscrutabili," spiegò Cloud. Le altre la

guardarono stupite. E a Cloud fu chiaro di aver detto qualcosa di strano. "Lo dice lui stesso," aggiunse.

"Allora mente!" Othello sembrava arrabbiato. Gli occhi delle pecore madri brillavano per l'ammirazione. Solo Miss Maple non si lasciò impressionare.

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"Nella notte in cui George è morto, avevamo l'alta o la bassa marea?" chiese improvvisamente. Per un secondo tutte rimasero in silenzio. Ci stavano pensando.

"Alta marea!" belarono poi Mopple e Zora all'unisono."Come mai?" chiese Maude.Maple cominciò a correre avanti e indietro concentrata. "Se il cadavere

di George fosse stato gettato oltre le scogliere, nessuno avrebbe mai più saputo niente di lui. Sarebbe stato spinto al largo, forse addirittura fino in Europa. E la cosa sarebbe rimasta un mistero. Invece così chiunque lo poteva scoprire, era addirittura impossibile non scoprirlo. L'omicida voleva che George venisse trovato. Perché? Perché si vuole che qualcosa venga trovato?"

Le pecore ci pensarono sopra a lungo e intensamente."Perché si vuol fare un piacere a qualcuno?" chiese Mopple titubante."Perché si vuole mettere qualcuno sull'attenti," disse Othello."Perché si vuole ricordare qualcosa a qualcuno," aggiunse Sir Ritchfield."Proprio così!" Miss Maple aveva un'aria soddisfatta. "Ora dobbiamo

solo scoprire a chi è stato fatto un piacere, chi è stato messo sull'attenti e chi si è ricordato di qualcosa. E che cosa è questo qualcosa."

"Questo non lo possiamo scoprire," sospirò Heide."Forse sì," disse Miss Maple.E, senza aggiungere altro, cominciò a pascolare. Per un attimo tutte le

pecore tacquero e pensarono con timore all'importante compito che le aspettava.

Poi, improvvisamente, un agnello belò forte per la paura e l'indignazione. Sara, sua madre, si unì a lui con il suo belato eccitato. Le pecore guardarono in quella direzione. Sara si voltava di qua e di là come se volesse scuotersi via dal manto un insetto fastidioso. Accanto a lei stava il suo agnello con aria piagnucolosa. Poi, dalle zampe di Sara scivolò fuori qualcosa di minuto, ispido, che scappò via a zigzag.

Il nanerottolo. Il ladro di latte. L'agnello invernale.Aveva approfittato del momento di riflessione collettiva per rubare il

latte di Sara. Alcune pecore madri belarono scandalizzate.Ogni pecora sapeva che un agnello invernale non significava nulla di

buono per il gregge. Gli agnelli invernali vengono messi al mondo al di fuori della stagione giusta, al freddo, con un carattere storto e una piccola anima maligna. Poveri disgraziati, che nei tempi di magra spingono i predatori ad aggirarsi intorno a greggi di pecore infreddolite. Avidi, senza

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rispetto, e gelidi come il giorno in cui hanno visto la luce fioca di questo mondo. E non era mai esistito un agnello invernale peggiore di quello che dall'anno passato se ne andava in giro come un fantasma in mezzo al gregge. Era nato nella notte più buia. E nella notte più buia sua madre era morta. Ci si aspettava che anche lui sarebbe morto. Ma piagnucolava e inciampava zampettando dietro al gregge, che lo scansava recalcitrante. Andò avanti così per due giorni. Il terzo giorno tutte si aspettavano che finalmente sarebbe morto. Ma George mandò a monte i loro piani con una bottiglia di latte. E quando loro lo rimproverarono belando, mormorò qualcosa come "coraggioso" e lo fece crescere contro ogni pronostico: un ladro di latte senza rispetto, sproporzionato come una capra, troppo piccolo per un agnello della sua età, ma duro e astuto. Loro cercavano di ignorarlo, per quanto ciò fosse possibile.

Ed era per questo motivo che fra le pecore ci fu solo un po' di movimento. Dopo essersi assicurate che l'agnello invernale fosse fuggito davvero fino al limite del pascolo e che gironzolasse intorno all'albero delle cornacchie, tornarono a comportarsi come se non fosse successo niente.

Trascorsero il resto della giornata alla maniera delle pecore. Pascolarono a lungo (ma non a George's Place), digerirono con comodità verso il crepuscolo, e trottarono tutte insieme nel fienile, dopo che Cloud ebbe annunciato che sarebbe stata una notte di pioggia.

Lì si accalcarono tutte insieme strette strette - gli agnelli nel mezzo, le pecore anziane intorno a loro, i montoni adulti nella parte esterna - e in men che non si dica si addormentarono.

Miss Maple fece un sogno cupo, un sogno nel quale a stento riusciva a distinguere l'erba davanti al proprio naso. Di fronte a lei si trovava il dolmen, più grande e più piatto rispetto alla realtà. E sopra il dolmen c'erano tre ombre. Erano uomini, ma il fiuto non le rivelava nulla di più. Maple sentì i loro sguardi su di sé. Questi uomini riuscivano a vedere nel buio.

Tutto d'un tratto uno di loro si mosse verso Maple. Il suo profilo spettrale prese la forma del macellaio.

Maple si voltò e fuggì. La vanga, che apparentemente teneva in una zampa anteriore, picchiava per terra con un rumore sordo.

Dietro di sé sentiva la voce del macellaio. "Un gregge ha bisogno di un pastore," sussurrava. Maple però sapeva di non aver bisogno di un pastore, ma di un gregge. Belò e dall'oscurità giunsero le voci di altre pecore.

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Proseguì inciampando, trovò il gregge e si infilò sempre più dentro la loro matassa, sicura e lanosa.

Ma qualcosa la insospettì. Era il suo gregge, non c'erano dubbi, ma aveva un odore sbagliato - il perché, questo Maple non lo sapeva. In quel momento sentì arrivare il macellaio sempre più vicino e si impietrì, e intorno a lei si impietrì anche il gregge. Poi il vento si alzò e spazzò via l'oscurità come se fosse nebbia. Nella luce fioca Miss Maple riuscì a vedere che tutte le pecore del suo gregge erano nere. Lei era l'unica bianca. Il macellaio puntava dritto verso di lei. Nelle mani aveva una torta di mele.

Improvvisamente intorno a lei si fece di nuovo buio. Miss Maple si era svegliata. Sollevata, voleva stringersi a Cloud, la sua vicina preferita per la notte. Ma c'era qualcosa che non quadrava. Si trattava dell'odore. Le pecore intorno a lei odoravano come il suo gregge, ma allo stesso tempo no. Riusciva ad annusare le singole pecore: Mopple, che sapeva ancora leggermente d'insalata, Zora, con il suo fresco profumo di mare, l'odore resinoso da montone di Othello. Ma era come se fra di loro si fossero mischiate altre pecore, pecore con caratteristiche odorose contraddittorie, pecore che non rivelavano nulla della propria personalità - mezze pecore, per così dire. Maple si guardò intorno, confusa e stanca, ma il fienile era buio come nel sogno. Non sapeva che cosa pensare. Fuori scrosciava la pioggia, e non si sentivano altri rumori. Nonostante questo, tuttavia, Maple a un certo punto fu certa di aver avvertito un movimento alla porta del fienile. Spinse Cloud di lato. Cloud in sogno iniziò a belare piano, e a lei si unirono altre pecore. Nel nugolo di pecore belanti, Miss Maple perse per un attimo l'orientamento. Si fermò. Dopo pochi istanti i belati sfumarono e lei tornò a sentire la pioggia. A fatica riprese la strada verso l'uscita.

Fuori la notte era nascosta dietro fili di pioggia. Maple affondò nel fango fino alle ginocchia. Il suo manto di lana si riempì di pioggia e ben presto pesò il doppio del solito. Pensava all'agnello e, tremando, desiderava riprendere la strada verso il dolmen, quando udì un rumore tintinnante, picchiettante, come un cozzare di pietra su pietra. Il rumore veniva dalle scogliere. Maple sospirò. Le scogliere non erano certo il posto in cui avesse intenzione di incontrare lo spirito del lupo in una notte di pioggia nera come la pece. Tuttavia, si mise in movimento.

Sulle scogliere il buio era meno intenso di quanto avesse temuto. Il mare rifletteva un po' di luce e si riusciva a riconoscere la linea della costa, in modo non distinto eppure inequivocabile. E si poteva vedere che non c'era

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nessuno. Chiunque avesse provocato quel rumore, doveva essere precipitato giù dalle scogliere. Maple si muoveva cauta, con le zampe bagnate sulla scarpata scivolosa, e guardava in basso. Naturalmente non era in grado di vedere niente, nemmeno quanto la scarpata fosse profonda. Voleva tornare indietro e capì che non sarebbe stato facile. L'erba era bagnata e viscida, la terra inzuppata. Le era stata tesa una trappola e lei, Miss Maple, la pecora più intelligente di Glennkill e forse del mondo, ci era cascata ignara. Maple pensò che l'intelligenza non serve a molto, se si ha fatto un brutto sogno, e si aspettava che una mano o un naso la spedissero nel vuoto, con una spinta delicata ma decisa.

Attese a lungo e inutilmente. Quando si accorse di non avere nessuno dietro di sé, si irritò. Con un furibondo salto all'indietro si riportò su un terreno almeno parzialmente affidabile e fece ritorno al fienile. Sulla porta si fermò e inalò un po' d'aria. Sapeva del suo gregge e di nient'altro. Maple tirò un sospiro di sollievo e si accorse che le gambe le tremavano. Cominciò a cercare Cloud, che da qualche parte nel buio continuava a belare piano, in un sogno senza macellaio e torta di mele, nel quale probabilmente il ruolo principale era interpretato da un grande campo ricoperto di trifoglio verde.

Ma all'improvviso la sua zampa ancora tremante si trovò a contatto con un liquido caldo che gocciolava giù da Sir Ritchfield. Il vecchio montone era immobile, con gli occhi chiusi, come sprofondato nel sonno. Era bagnato come una pecora tenuta a lungo sotto l'acqua. Miss Maple appoggiò la testa sulla schiena lanosa di Cloud e si mise a riflettere.

4Mopple riesce a passare

Il giorno seguente il vento non soffiava più e i gabbiani tacevano. Una nebbia fitta e grigia serpeggiava qua e là sul pascolo. Nessuno riusciva a vedere più in là di due lunghezze di pecora. Le pecore rimasero a lungo nel fienile, asciutto e accogliente. Da quando Tess e George non le facevano più spaventare strappandole dal sonno alle prime luci dell'alba, erano diventate più esigenti.

"È umido," disse Maude."Fa freddo," disse Sara."È un'indecenza," disse Sir Ritchfield. Così la questione era decisa. Il

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vecchio montone odiava la nebbia. Nella nebbia i suoi occhi buoni non servivano a niente. Si era accorto di non riuscire più a sentirci bene e dimenticava molto velocemente da quale direzione fosse venuto.

Ma dietro la loro esitazione c'era anche un altro motivo. Oggi la nebbia era inquietante. Era come se dietro il suo respiro bianco si muovessero strane ombre.

Rimasero quindi nel fienile per l'intera mattinata. Durante la quale si materializzarono la noia, la coscienza sporca e alla fine la fame. Ma le pecore si ricordarono anche di essersi sempre arrabbiate con Tess e George in giornate come questa, e dunque si intestardirono. Un fronte di teste di pecora bianche e pensierose fissava miope la coltre di nebbia, mentre Mopple cercava di uscire all'aperto attraverso un buco nella parete posteriore del fienile.

Schegge di legno delle assi marce gli si impigliarono nella lana pungendo la sua tenera pelle di pecora. Mopple gemette. Quando si fu spinto fuori per metà, cominciò a dubitare che l'idea del buco fosse davvero una buona idea.

"Se passa la testa, passa anche il resto," ripeteva sempre George. Ma solo adesso a Mopple venne in mente che George si riferiva ai ratti che ogni tanto si infilavano nel capanno e si avventavano sui barattoli di conserva arrugginiti.

Mopple non aveva mai visto un ratto da vicino, ma d'un tratto non fu più così sicuro che assomigliasse a una piccola pecora. Glielo aveva raccontato sua madre, quando era ancora un agnello da latte ben nutrito e aveva paura dei ratti da stalla che si muovevano guizzanti e lo sfioravano fugaci e delicati. Lei gli aveva raccontato che si trattava di pecore molto piccole e lanose, che guizzavano in gregge nelle stalle per rubare i sogni alle pecore grandi. E neppure Mopple poteva aver paura di piccole pecore lanose.

Da montone adulto qualche volta si era domandato perché le altre pecore scalciassero le piccole pecore-ratto. Ed era giunto alla conclusione che probabilmente si trattava di pecore che avevano fatto brutti sogni. Ma Mopple non si poteva lamentare dei propri sogni. Certo non erano molto vari, ma sereni sì.

Ora, per la prima volta, Mopple si ritrovò a pensare a quale aspetto avessero le pecore. Zora, per esempio: naso elegante e un muso tutto nero, corna graziosamente ricurve (Zora era l'unica pecora femmina con le corna del gregge di George, e le stavano benissimo), un corpo pieno e lanoso e

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quattro zampe diritte con graziosi piedini. La testa era forse la parte più bella del corpo di una pecora, ma di certo non la più grossa.

Mopple si muoveva con difficoltà avanti e indietro, fortemente deciso a non cadere nel panico - almeno non subito. Era giusto svignarsela come se niente fosse attraverso il buco, in segreto e all'insaputa di tutte le altre pecore? È vero, aveva i suoi motivi - ma si trattava di buoni motivi? Gli veniva fame prima e più spesso delle altre pecore. Questo non era un cattivo motivo. Mopple allungò il collo, arrivò ad avere un ciuffo d'erba fra i denti e si calmò un po'.

L'altro motivo invece era un pochino più complicato. Aveva a che vedere con la memoria di Sir Ritchfield o di Mopple o di Miss Maple, o piuttosto di tutti e tre insieme. Un indizio. Il giallo di George era pieno di indizi, ma George aveva gettato via il libro. Miss Maple avrebbe saputo che cosa fare con un indizio. E Ritchfield cercava di impedire a Mopple di riferirlo a Maple. Perciò Mopple doveva passare attraverso il buco. Per dirlo a Maple in segreto. Lei non si trovava nel fienile e quindi doveva essere da qualche parte là fuori. O no?

Fino a quel momento era andato tutto liscio, ma ora un pezzo di legno appuntito lo stava pungendo sul fianco e Mopple aveva una paura terribile di ferirsi e di sgonfiarsi come Sir Ritchfield. Le pecore, infatti, erano d'accordo nel pensare che da qualche parte Sir Ritchfield dovesse avere un buco da cui i suoi ricordi si disperdevano nel nulla. Ma osavano dirlo solo quando Ritchfield non era a portata di voce. E col passare del tempo non era poi così difficile non essere a portata di voce di Sir Ritchfield.

Mopple cercò di assottigliarsi. Il bruciore della puntura era diminuito. Mopple tirò un sospiro di sollievo e immediatamente la punta gli si infilò di nuovo nel fianco. Ora era assai prossimo al panico. Mopple se lo sentiva sulla schiena come un animale rapace, e dato che non poteva girarsi verso di lui, le cose si mettevano ancora peggio. Si sarebbe sgonfiato, anche più di Sir Ritchfield, e avrebbe dimenticato tutto, persino di voler uscire da quel buco. E allora sarebbe rimasto bloccato lì in eterno e sarebbe morto di fame in modo orribile. Morto di fame - lui, Mopple the Whale!

Mopple allora si fece così sottile che vide ballare le stelle davanti ai suoi occhi e, preso dal panico, iniziò a dimenare le zampe posteriori.

Othello aveva passato la metà della notte fuori, al pascolo, bagnato fradicio e su di giri. Lui sarebbe tornato? Dal primo momento in cui aveva visto Sir Ritchfield, lo aveva segretamente sperato. E temuto. Ora era successo. Il

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ricordo di una traccia di odore era ancora presente nelle narici di Othello, inquietante, inconfondibile. I pensieri si incrociavano come vortici di nebbia fra le sue corna. Gioia, collera, rabbia, mille domande e un imbarazzo che lo solleticava.

Ma Othello aveva imparato a far fronte ai turbini che gli si agitavano nella testa. Attraverso l'umidità della nebbia si diresse al fienile guidato dal fiuto: un nervosismo impregnato di sudore e un odore acidulo di confusione. Il gregge era stato preso dall'inquietudine. E a ragione: la nebbia di oggi appariva inquietante persino a Othello.

Ritchfield non lasciava che le sue pecore uscissero dall'asciutto. Othello si domandò che cosa il montone capo sperasse di ottenere in questo modo.

Ritchfield sapeva chi era arrivato al loro pascolo la notte scorsa? Cercava di nasconderlo alle altre pecore? Perché?

Il montone nero pensò brevemente a quale direzione avrebbe dovuto prendere. La direzione più improbabile, naturalmente. Trotterellò verso le scogliere. Qui la pioggia notturna e l'aria densa di nebbia avevano lavato via la scia di ogni odore. Othello teneva la testa un po' inclinata e cercava con gli occhi le tracce che un uomo avrebbe forse potuto lasciare. Si vergognava un po'.

Quasi sordo e quasi privo di senso dell'odorato, sentiva dire nella sua testa alla voce a lui nota e sempre un po' beffarda. Una voce che veniva dalla memoria, accompagnata dal fruscio di nere ali di cornacchia. Se vuoi sapere che cosa sanno quelli a due zampe, devi pensare a quello che non sanno. Per loro conta solo quello che vede l'occhio. Non sanno più di noi, sanno meno, ed è per questo che sono così difficili da capire, ma... Othello scosse la testa per scacciare la voce. Buoni consigli, non c'erano dubbi, consigli senza prezzo, ma la voce tendeva a fare discorsi confusi e lui ora si doveva concentrare.

In un punto il terreno non solo era fangoso, ma anche smosso a regola d'arte. Miss Maple, probabilmente. Lui non avrebbe mai lasciato una tale confusione. Othello era alla ricerca di un riferimento discreto. A una certa distanza vide un pino deforme, l'unico pino che ci fosse nei dintorni. Amici degli alberi sempreverdi, custodi del mistero, saggi delle radici. Othello fu attirato dal pino.

Girò attorno al povero alberello, così a lungo che - sotto i suoi sguardi - questo sembrò pendere di lato pieno di vergogna. Niente di insolito. Oltre al buco, ovviamente, ma Othello non credeva alle storie che si raccontavano a proposito di quel buco. Che aveva inizio proprio accanto

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alle radici del pino e arrivava tutto storto fino alla roccia. Giorno e notte lì dentro soffiava il mare, gorgogliando soddisfatto - una risata beffarda che giungeva dalle sue profondità. Si diceva che, con la luna piena, fuori dal buco strisciassero degli esseri marini che lasciavano lungo il fienile strisce prodotte da dita viscide. Ma Othello sapeva che, in realtà, le linee cangianti che si scoprivano il mattino dopo sulle pareti di legno del fienile erano le tracce di bava delle lumache notturne. Nel loro intimo lo sapevano anche le altre pecore. Solo che a loro piacevano le storie. Certi giorni si potevano vedere tre o quattro giovani pecore particolarmente audaci raccolte intorno al pino a origliare dentro il buco e a rabbrividire di spavento (e di piacere).

Ora anche Othello vi gettò uno sguardo dentro, per la prima volta con un certo interesse. Ripido, senza dubbio, ma non troppo ripido per un uomo capace di usare le mani e non troppo ripido per una pecora molto coraggiosa. Othello esitò. Quello che non piace alla prima masticata, non migliora nemmeno alla decima! Si burlava la voce. L'attesa alimenta la paura, aggiunse un po' impaziente, quando il montone non si era ancora mosso. Ma Othello non ascoltava la voce. Fissava come ipnotizzato qualcosa di scuro, brillante, ai suoi piedi. Una piuma luccicante, nera e silenziosa come la notte. Othello sbuffò. Girò ancora una volta la testa verso il fienile, poi scomparve nel buco.

All'improvviso Mopple si ritrovò all'aperto, tremante e con il respiro affannoso. Sentiva di essersi ferito sul fianco, nel punto in cui si concentrava un dolore pungente. Per tranquillizzarsi Mopple disse la cosa più difficile che avesse mai imparato: "Operazione Polifemo". George lo aveva detto qualche volta e nessuna pecora aveva mai capito di che cosa si trattasse. Mopple era una delle poche pecore in grado di memorizzare anche le cose che non capiva. Dopo si sentì un po' più coraggioso e addirittura un pochino più deciso.

Girò la testa per ammirare, non senza orgoglio, la piccola fessura attraverso la quale lui, Mopple the Whale, era appena passato. Ma la parete di legno del fienile era già scomparsa nella nebbia. Era una nebbia particolarmente fitta, così spessa e densa che Mopple ebbe quasi la tentazione di darle un morso. Si controllò e, invece, preferì strappare un po' d'erba.

Per Mopple la nebbia non rappresentava un grosso problema. Con la nebbia si vedeva male, è vero, ma Mopple aveva comunque una vista pessima. Piuttosto lo disturbava, quando le fredde perle d'acqua mischiate

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a erba gli si infilavano nelle narici, non poter usare il fiuto. Ma in generale nella nebbia si sentiva protetto. Immaginava di marciare attraverso la lana leggera come piuma di una pecora gigantesca, e questo era un bel pensiero. Cominciò a pascolare spensierato. Adesso era certo che per lo meno il suo primo motivo era un buon motivo. Mopple amava l'erba nebbiolina, che sapeva di acqua limpida, dal momento che le erano stati lavati via tutti gli odori sgradevoli. Poteva cercare Miss Maple più tardi - forse sarebbe stata attirata anche lei dai rumori che Mopple faceva strappando e ruminando. Si spostò trotterellando qua e là, fino a quando ebbe l'impressione di non essere poi così affamato.

Ma d'un tratto il suo naso si imbatté in qualcosa di duro e freddo. Impaurito, Mopple fece un balzo indietro, con tutti e quattro i piedi contemporaneamente. Ora però, purtroppo, non riusciva più a vedere quello che lo aveva spaventato. Mopple esitò. Alla fine vinse la curiosità. Fece un passo avanti e diede un'occhiata per terra. Lì si trovava la vanga attorno alla quale Tom O'Malley aveva raccolto il gregge di uomini. Non era stata conficcata sufficientemente in profondità nel terreno, si era piegata di lato e alla fine era caduta. Mopple fissò la vanga con ostilità. Gli attrezzi degli uomini dovevano stare nella rimessa degli attrezzi e non sul pascolo. Ma questa vanga non aveva lo stesso odore degli attrezzi degli uomini - di sudore delle mani, rabbia e cose pungenti. A questa vanga era attaccato soltanto un leggero ricordo di vapore umano, e poi un odore liscio e pulito, come quello di un ciottolo di fiume umido.

Ma se la si annusava più intensamente, il ricordo si faceva lentamente più chiaro, guadagnava in nitidezza e prendeva forma. Vi si mescolavano acqua saponata, sentore di whisky e detersivo all'aceto. Mopple odorò una barba corta e ispida e piedi non lavati. Quando capì che non stava più odorando la vanga, ma un uomo vero, che si stava muovendo nella nebbia lì vicino, era quasi troppo tardi. Allora sollevò la testa e vide una figura, o meglio l'ombra bianca di nebbia di una figura che gli si stava avvicinando di lato muovendosi carponi. Aveva un aspetto spaventoso. Mopple pensò allo spirito del lupo, alla vanga e al dolmen, alla devastazione dell'orto e al fatto che anche George qualche volta avesse i piedi non lavati. Perse la calma e corse via all'impazzata nella nebbia.

Non è saggio correre nella nebbia. Mopple the Whale lo sapeva. Ma sapeva anche di non poter restare fermo. Le sue zampe, che di solito lo portavano, senza fare resistenza e leggermente flemmatiche, tra erbe selvatiche e tappeti d'erba profumati, da un momento all'altro decisero da

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sole. Tutta la nebbia di questo mondo sembrava ritrovarsi ora nella testa di Mopple, il quale avrebbe preferito dimenticarla, per diventare tutto zampe e correre via: George, lo spirito del lupo, Miss Maple, i cani cattivi, Sir Ritchfield, i suoi ricordi e soprattutto la morte. Ma una delle sue zampe gli faceva male per la forza insolita con cui queste pestavano sul terreno, e ciò lo aiutò a respingere la nebbia che aveva in testa. Cercò di pensare a qualcosa e subito gli venne in mente la cosa più spiacevole: quello che sarebbe successo di lì a poco.

Non poteva continuare a correre così in eterno. Prima o poi sarebbe andato a sbattere contro un ostacolo. E questo ostacolo avrebbero potuto essere le scogliere. O il fienile. O i cespugli. O il capanno di George. "Per favore non il capanno," pensò Mopple. L'idea di scontrarsi nell'orto - il luogo del suo crimine - con lo spirito arrabbiato di George gli metteva davvero paura.

Poi Mopple sbatté contro qualcosa di grosso, morbido, caldo, che cedette e cadde in avanti con un grugnito. L'odore era pungente, e prima ancora che Mopple lo potesse analizzare fino in fondo le sue zampe diventarono molli per il terrore. Si sedette sul posteriore e - colpito dall'impatto -scrutò nella nebbia a occhi spalancati. Il grugnito divenne un'imprecazione, parole che Mopple non aveva mai sentito in vita sua e che, nonostante questo, comprese immediatamente. Poi dalla nebbia emerse il macellaio, prima le gigantesche mani rosse, poi la pancia tonda e alla fine gli occhietti terribili e luccicanti. Squadrarono Mopple senza fretta, sembravano addirittura contenti. Di punto in bianco il macellaio si scaraventò su Mopple. Non lo afferrò, non lo picchiò, non lo prese a calci, gettò semplicemente tutto il suo corpo sul grasso montone, come se volesse stritolarlo con la pura e semplice massa della propria carne.

La cosa che Mopple notò subito dopo fu che in qualche modo gli era riuscito di scansarsi. Non una volta soltanto, ma più volte. Il macellaio era caduto ripetutamente nel fango - i gomiti, la pancia, le ginocchia e la metà della faccia erano nere di fango. Sulla guancia sinistra aveva alcuni fili d'erba verde appiccicati come se fossero peli della barba, e agli occhi miopi di Mopple il macellaio sembrava un gatto-tigre molto cattivo e molto grasso. Ciò che nella sua faccia non era nero, soprattutto la fronte e le orbite degli occhi, era rosso come una lingua di pecora infiammata. Anche il collo era rosso e stranamente grosso e gonfio. Mopple tremava in tutto il corpo. Era allo stremo, troppo sfinito per sfuggire ancora una volta al macellaio.

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Regnava un silenzio assoluto. Anche il macellaio vide che Mopple non ce la faceva più. Una delle sue mani prese la forma di un enorme pugno e si chiuse nell'altra, semiaperta, con un rumore secco. Poi quella esterna si chiuse su quella interna. Sembrava che le braccia del macellaio si fossero trasformate in una palla di carne cruda. Le nocche diventarono bianche e Mopple sentì un rumore molto lieve e molto sinistro, uno scricchiolio lontano, come se un osso si fosse spezzato lentamente dentro le profondità di un corpo. Indifeso, il montone fissava il macellaio e masticava meccanicamente un ultimo ciuffo d'erba, che aveva strappato in tempi lontani e felici. Non sapeva di niente. Mopple non riusciva a ricordarsi perché avesse pascolato. Non sapeva più nemmeno perché una pecora a questo mondo dovesse pascolare, fino a quando esistevano i macellai. Il macellaio indietreggiò di un passo, senza dubbio per fare qualcosa di molto cattivo e definitivo. Poi, all'improvviso, scomparve, come inghiottito dal terreno.

Mopple rimase fermo e continuò a masticare, e masticò fino a che non ebbe più nessuna fibra d'erba in bocca. Non pensava a nulla, solo che doveva continuare a masticare. Finché avesse continuato a masticare, non sarebbe successo niente. Si sentì un po' stupido a masticare con la bocca vuota, tuttavia non osava strappare un nuovo ciuffo.

Passarono soffiando un paio di brandelli di nebbia e poi - inaspettato - un pezzetto di aria limpida. E non vide - nulla. Esattamente davanti agli zoccoli di Mopple il mondo cessava. Mopple si trovava vicino alla scarpata più di quanto non vi si fosse mai avvicinato volontariamente. E a quel punto smise di domandarsi dove fosse scomparso il macellaio. Mopple rabbrividì. Fece cautamente un passo indietro. Ancora uno. Quindi Mopple the Whale si voltò, lasciandosi nuovamente inghiottire dalla nebbia.

Fino a quel momento Mopple aveva sempre amato la nebbia. Quando ancora era un agnello, il pastore gli aveva proibito di poppare da sua madre. Era stato un giorno terribile per Mopple. Ingrassava troppo in fretta, diceva il pastore. A partire da quel giorno il pastore poppò da sua madre, con un apparecchio. Anche il pastore era grasso, ma nessuna pecora poteva proibirgli niente. A Mopple dava poi una bevanda di latte e acqua. A Mopple piaceva vedere il latte e l'acqua che si mescolavano, e per questo aspettava addirittura un attimo prima di cominciare a bere. Il bianco del latte tesseva dei fili nell'acqua, fino a far nascere un tessuto delicato e denso. Questa tela era come la nebbia, che si faceva sempre più

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densa, ed era la promessa che Mopple si sarebbe saziato e che tutto sarebbe andato bene. Ma da oggi Mopple sapeva che la nebbia non era la lana di una pecora gigantesca e, anche nel caso in cui lo fosse stata, si trattava di una pecora infestata da insetti nocivi, da macellai dalle mani di carne cruda che trasformavano in carne cruda tutto ciò che toccavano.

Lentamente anche lui cominciò a meravigliarsi delle urla beluine che sembravano salire dal basso, ricoprendo il pascolo come un corpo massiccio. Erano urla che Mopple riusciva a sentire fino nelle punte delle sue corna arrotondate, così rabbiose e disperate come non le aveva sentite mai. Gli facevano male nei denti e nelle zampe, ma nonostante ciò non cercò di scappare. Ora sapeva che non si poteva scappare via così facilmente, e nemmeno rifugiarsi dalle altre pecore, che erano soltanto un diverso genere di nebbia e che potevano dissolversi altrettanto velocemente. Già una volta le aveva viste scomparire: tutti i suoi fratelli di latte, i suoi compagni di poppate, gli amici agnelli da latte - solo il pastore era tornato, grasso e freddo, come se non fosse successo niente.

Mopple fissò per terra e vide che l'erba era verde come prima. Era l'erba che lo aveva salvato. Forse ci si doveva tenere attaccati all'erba. Senza alzare lo sguardo da terra, Mopple cominciò a muoversi. Prudentemente, mise una zampa davanti all'altra e seguì l'erba, ovunque questa lo volesse portare.

Othello si arrabbiò. Il buco non era stato un problema, quasi un gioco da ragazzi, una volta trovato il coraggio di entrarci dentro. Anche lui la pensava in maniera simile. I problemi non stanno nei tuoi piedi, e nemmeno nei tuoi occhi o nella tua bocca. I problemi stanno sempre nella testa, sussurrò la voce. Ora Othello passò scrupolosamente in rassegna ciò che c'era nella sua testa, come solo una pecora ruminante sa fare. Ma, nonostante questo, non sapeva come comportarsi. Aveva già trotterellato per un pezzo lungo la spiaggia senza scoprire la minima traccia. La sabbia si muoveva sotto i suoi piedi piacevole e soffice, ma insieme pigra e insidiosa. E ora ci si mettevano anche le grida.

Non erano abbastanza vicine da preoccupare Othello, ma erano comunque forti e snervanti. Chi o che cosa era capace di gridare così? La questione lo interessava. In altre circostanze avrebbe fatto dietro front per andare a vedere chi era che urlava. Ma quello che forse lo attendeva era anche più interessante. Doveva trovarsi poco prima del villaggio. Othello sapeva che quello era il momento di lasciare la spiaggia.

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Il montone guardò su, verso le scogliere. Qui erano più piatte, e in alcuni punti scendevano dolci e sabbiose. Dove il vento non aveva creato dune, cresceva erba di sabbia dallo stelo ruvido. Non era molto buona da mangiare, ma offriva un buon sostegno alle zampe. Othello si arrampicò su per la scarpata. Arrivato in alto, vide altra erba di sabbia ruvida e un viottolo stretto che si snodava in mezzo alla polvere senza capo né coda. L'erba di sabbia si stendeva monotona in tutte le direzioni e non gli rivelava alcunché. Quando non si sa che cosa fare, o si rinuncia o si lascia perdere, lo prendeva in giro la voce, tanto si arriva sempre allo stesso punto. Othello rimase testardamente fermo. C'era una gran quantità di strade che una pecora avrebbe potuto prendere, ma una sola che nessuna avrebbe scelto. O meglio, quasi nessuna. Othello seguì il viottolo che conduceva al villaggio.

La strada svoltò un paio di volte, indecisa qua e là, poi si imbatté in un muro di pietre grezze, a cui correva parallela come una zampa di pecora. Il muro era talmente alto che Othello, anche se si fosse sollevato sulle zampe posteriori, non avrebbe potuto vedere oltre.

Era un peccato, perché oltre il muro stavano accadendo strane cose. Molte voci mormoravano in modo strano sottili e lievi, e non era solo la nebbia ad attutirle. Othello avvertì una certa eccitazione, e allo stesso tempo un silenzio rispettoso. Raramente gli uomini si sforzavano di rimanere in silenzio. E ciò doveva avere un significato. Othello giunse a un cancello in ferro battuto. Abbassò la maniglia con le zampe anteriori e la porta cedette, cigolando in modo spaventoso. Il montone nero sgattaiolò dentro senza far rumore, silenzioso come la sua ombra, e chiuse la porta con cura servendosi della testa. Non era la prima volta che si ritrovava a essere felice di aver passato quel periodo orribile al circo.

In un primo momento Othello credette di essere finito in un orto gigantesco. L'ordine deponeva a favore di questa ipotesi: strade diritte e lotti di terreno quadrati, oltre all'odore di terra fresca e alla vegetazione innaturale. Senza dubbio qui era stato piantato qualcosa. Ma non aveva un odore appetitoso. Sui vialetti, figure umane si muovevano a piccoli passi. Sembravano arrivare da ogni parte, ma era un punto solo ad attrarle magicamente. Da tutti i lati si muovevano bisbigliando in direzione di quel punto.

Othello si nascose dietro una pietra messa verticalmente. Si sentiva inquieto, ma non a causa degli uomini. Era l'odore. Othello adesso sapeva con certezza di non trovarsi in un orto. Anzi, forse si trattava addirittura

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del contrario di un orto. Un odore molto antico si spargeva per i vialetti di ghiaia insieme alla nebbia. Othello pensò a Sam. Sam lavorava allo zoo, ed era così stupido che addirittura le capre si prendevano gioco di lui. Ma dall'amministrazione dello zoo Sam era stato nominato signore e padrone della fossa. La fossa si trovava nella terra di nessuno dietro alla gabbia degli elefanti, e persino da agnello Othello aveva capito perché le palpebre degli elefanti fossero sempre rosse e pendessero così pesanti. Ogni animale dello zoo era a conoscenza della fossa. Quando Sam tornava dalla fossa, persino le capre lo lasciavano in pace, e gli occhi degli animali necrofagi si facevano sottili. Quando Sam tornava dalla fossa, odorava di una morte antica.

Era il primo funerale a cui avesse mai partecipato, ma il montone si comportò in modo esemplare. Se ne stava nero e serio fra le pietre tombali, di tanto in tanto strappava una viola del pensiero e ascoltava con grande attenzione la musica e le voci delle persone. Vide che veniva portata dentro una cassa marrone e capì subito chi si trovava nella cassa. Avvertì immediatamente anche la presenza di Dio, ancora prima che quest'ultimo emergesse dalla nebbia ondeggiando con solennità. Dio parlava di se stesso e la grassa Kate piangeva. Nere come corvi, le altre persone si unirono a loro mormorando. Apparentemente nessuno pensava a George, il quale si trovava nella cassa. Solo Othello.

Othello si ricordò del giorno in cui aveva visto George per la prima volta, attraverso una spessa cortina di fumo di sigarette. In quei giorni Othello era abituato al fumo delle sigarette. Da qualche parte scorreva sangue nei suoi occhi. Era così sfinito che le zampe gli tremavano. Il cane accanto a lui era morto, ma questo non significava molto. C'era sempre un altro cane. Othello cercava di rimanere in piedi e di tenere gli occhi aperti. Gli riusciva difficile - troppo difficile. Voleva solo strizzare gli occhi per liberarsi del sangue, ma una volta che li ebbe chiusi rimasero chiusi. Per alcuni istanti un buio celestiale, poi si udì la voce, decisamente in ritardo. A occhi chiusi arriva la morte, disse. Othello non aveva niente in contrario a essere morto; ma nonostante questo sollevò ubbidiente le palpebre e fissò diritto gli occhi verdi di George. George lo guardava con una tale attenzione che Othello riuscì ad aggrapparsi al suo sguardo, così a lungo che le sue zampe non tremavano più tanto. Poi si voltò verso la porta da cui venivano i cani e abbassò le corna.

Poco più tardi si ritrovò sdraiato nella vecchia auto di George,

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riempiendo di sangue il sedile posteriore. George era seduto al posto del guidatore, ma l'auto era ferma e la notte premeva curiosa contro i finestrini. Il vecchio pastore si era voltato verso di lui, e nei suoi occhi non c'era attenzione, ma piuttosto trionfo. "Andiamo in Europa," annunciò.

George si era sbagliato. Non ci erano andati in Europa. "Giustizia," pensò Othello. "Giustizia."

5Cloud scalcia

Le pecore avevano trascorso una giornata orribile. Mai nella loro vita si erano sentite così abbandonate a se stesse. Prima la nebbia, poi la brutta sensazione che qualcosa di ignoto si muovesse nella nebbia, rumori lontani, un pallido presagio di odori ostili.

Con un pretesto, l'agnello invernale aveva attirato gli altri due agnelli in un angolo buio del fienile e li aveva spaventati a tal punto che per la paura si erano messi a correre andando a sbattere contro la parete e facendosi male. Uno alla testa e l'altro a una delle zampe anteriori. Ritchfield, dal canto suo, non vedeva nulla, non sentiva nulla e rimaneva sulle proprie posizioni. Poi cominciarono le grida e alla fine anche l'anziano montone capo dovette ammettere che c'era qualcosa che non andava. Sembrava quasi sollevato, forse perché finalmente anche lui si era accorto di qualcosa.

Le grida erano davvero troppo per le pecore. Saltavano per il pascolo e trotterellavano nella nebbia con le orecchie tese, troppo nervose per pascolare. Dopo tornò il silenzio, ma ciò mise loro ancora più paura. Si strinsero l'una all'altra, tutte insieme, sulla collina. Maude scalciava nervosa e colpì Ramses sul naso. L'umore era pessimo, e tutte erano in attesa del vento, che avrebbe portato via la nebbia e insieme a lei anche il silenzio. Accadde insomma quello che nessuna pecora avrebbe mai ritenuto possibile: si sentiva la mancanza delle grida dei gabbiani.

Il vento arrivò verso mezzogiorno, i gabbiani ripresero a gridare, e Zora se ne andò sulle scogliere. Poi belò, e ben presto tutte le pecore si ritrovarono vicine alla scarpata - vicine per quanto fosse loro possibile osare - a fissare verso il basso. Lì sotto, su un tratto di spiaggia in mezzo alle rocce, giaceva il macellaio. Supino. Aveva un aspetto sorprendentemente piatto e largo. Ritchfield sostenne di aver visto un

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rivolo di sangue all'angolo della sua bocca, ma quel giorno le pecore non erano molto ben disposte nei confronti di Ritchfield e non vollero credere a una sola parola di ciò che diceva. Il macellaio teneva gli occhi chiusi e non si muoveva. Alle pecore quello spettacolo piaceva. Poi all'improvviso l'occhio sinistro del macellaio si aprì e l'atmosfera positiva venne come spazzata via. L'occhio pallido del macellaio le guardò, ogni singola pecora, e alle pecore, che pure si trovavano in alto sulle rocce, tremarono le ginocchia. Quell'occhio era alla ricerca di qualcosa, ma non lo trovò e tornò a chiudersi. Con cautela le pecore si ritirarono dalle scogliere.

"Verrà trascinato via," sostenne Maude in modo ottimistico.Le altre non ne erano poi così sicure."C'è sempre un ragazzo che passa sulla spiaggia con il cane," sospirò

Cordelia. Alcune pecore annuirono. Lo avevano imparato dai romanzi di Pamela.

"Il cane la trova. Il ragazzo ne è incantato e la prende con sé," integrò Cloud, che era sempre stata molto attenta. "Almeno se ne va," aggiunse poi. Ma le pecore sapevano che non era la stessa cosa. "Il mare non restituisce mai nulla," aveva sempre detto George, quando di notte, con l'alta marea, dal suo capanno gettava le cassette oltre gli scogli. I ragazzi, al contrario, si stancavano ben presto del loro bottino. Capitava persino alle Pamele profumate, e di conseguenza ci si poteva immaginare come sarebbe andata al macellaio dalle dita come salsicciotti.

"Mopple the Whale dovrebbe raccontare la storia di Pamela e del pescatore," disse Lane. Le altre belarono in segno di approvazione. Amavano la storia del pescatore, perché in quella storia a interpretare il ruolo principale era un gigantesco mucchio di fieno. Mopple era proprio bravo a raccontarla, e quando aveva finito le pecore rimanevano mute e si immaginavano che cosa avrebbero fatto loro in quel mucchio di fieno.

Ma Mopple non c'era. Cercarono prima di tutto nell'orto, poi a George's Place. Ma George's Place era intatto. Ci fu un po' di imbarazzo, per il fatto di aver pensato che Mopple sarebbe stato capace di compiere un atto simile. Le pecore tacquero, non sapendo che cosa fare. Poi Zora tornò scodinzolando alle scogliere per vedere se sulla spiaggia ci fosse anche una macchia bianca, lanosa e tondetta. Ma per fortuna Mopple non giaceva laggiù. Dalla sua postazione Zora vide che le pecore avevano fatto la supposizione giusta. Tre ragazzi stavano sollevando il macellaio per metterlo su una barella, e per portarlo poi a casa. Zora scosse la testa di fronte a tanta irragionevolezza. Belò alle altre pecore, ma nessuna osò

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guardare i ragazzi impegnati in quel trasporto così faticoso. Si ricordarono dell'occhio del macellaio e rabbrividirono.

Via via divenne evidente che davvero Mopple non si trovava al pascolo. Non capivano più come andasse il mondo.

"Forse Mopple è morto," disse Lane molto piano.Zora scosse il capo energica. "Solo perché si è morti, non significa che si

deve scomparire subito. George è morto, ma era qua." In un certo senso era contenta che il caso di Mopple fosse differente.

"È diventato una pecora nuvola," belò Ramses eccitato."Mopple ce l'ha fatta." Le teste delle pecore si sollevarono, ma il cielo

era grigio e piatto come una pozzanghera sporca."Non può essere scomparso," disse Cordelia. "È come se il mondo

avesse un buco. È come una magia."Heide si grattò l'orecchio con una delle zampe posteriori."Forse è semplicemente andato via," disse Maude."Non si può andare via così," la contraddisse Ramses. "Nessuna pecora

può farlo."Tacquero a lungo. Pensavano tutte alla stessa cosa."Melmoth è andato via," disse Cloud alla fine. Heide perse l'equilibrio e

cadde di lato. Le altre pecore guardarono nella direzione opposta.Tutte conoscevano la storia di Melmoth, nonostante nessuna pecora la

raccontasse volentieri e nessuna la ascoltasse volentieri. La storia comunque non veniva mai raccontata in pubblico. Era una storia che le pecore madri sussurravano all'orecchio dei loro agnelli per metterli in guardia. Era una storia senza mucchi di fieno, una storia impossibile, e faceva paura a tutte.

"Melmoth è morto!" sbuffò d'un tratto Sir Ritchfield. Le pecore trasalirono tutte insieme. Avevano parlato molto piano e nessuna aveva pensato che proprio Ritchfield potesse captare qualcosa.

"Melmoth è morto," ripeté. "George è andato a cercarlo. Con i cani del macellaio. È tornato e odorava di morte. L'ho aspettato. Sono stato l'unico a rimanere al capanno, quando è arrivata la quinta notte. L'ho aspettato. Ho odorato la morte. Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge."

A lui nessuna osò replicare. Le teste si abbassarono, una dopo l'altra, e cominciarono a pascolare in maniera meccanica. Era inequivocabilmente una brutta giornata per loro.

Avrebbero chiesto volentieri a Miss Maple di Mopple, ma Miss Maple non c'era. Avrebbero domandato a Othello se oltre il pascolo si potesse

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andare da qualche parte, dal momento che Othello conosceva il mondo e lo zoo. Ma Othello non c'era. Ora erano davvero disorientate. Si domandarono se era possibile che un ladro si fosse infilato nel gregge e avesse messo le mani sulla pecora più grassa, su quella più forte e su quella più intelligente. Un ladro di cui non si sentiva l'odore. Lo spirito del lupo, forse, o il re dei folletti, o il Signore, chiunque fosse. Ma non era un pensiero piacevole.

Sir Ritchfield decise allora di contare le pecore. Si trattava di un procedimento laborioso. Sir Ritchfield sapeva contare solo fino a dieci, e anche questo non sempre gli riusciva. Le pecore si dovettero perciò raccogliere in piccoli gruppi. Ci furono discussioni, perché alcune pecore sostenevano di non essere state ancora contate, mentre Ritchfield affermava di averlo già fatto. Tutte temevano di venire dimenticate durante la conta e forse, così, di scomparire. Alcune cercarono di infilarsi in altri gruppetti per venire contate due volte. La prudenza non è mai troppa. Ritchfield belava e sbuffava, e alla fine giunsero al risultato che in tutto al pascolo si trovavano trentaquattro pecore.

Poi si guardarono perplesse. Solo allora fu loro chiaro che non sapevano affatto quante pecore avrebbero dovuto trovarsi al pascolo. Il numero ottenuto con tanta fatica era dunque privo di alcun valore.

Tutto ciò era molto deludente. Avevano sperato di sentirsi più sicure, una volta fatta la conta. George era sempre così soddisfatto dopo che aveva finito di contarle. "Bene così," diceva, ma qualche volta si limitava solo a un "Ah". In questo caso se ne andava con passo pesante alle scogliere, per gettare il concime addosso a Zora, oppure all'orto, dove un agnello curioso allungava il collo attraverso la rete a maglie larghe, e anche la lingua.

Dopo la conta George sapeva sempre che cosa fare. Loro invece non sapevano un bel niente.

Per la frustrazione Ramses diede uno spintone con la testa a Maude. Maude belò indignata. Heide belò anche lei. Zora pizzicò Heide sul didietro. Stranamente Heide rimase zitta, ma al suo posto Lane, Cordelia e due giovani pecore madri cominciarono a belare contemporaneamente. Le zampe di Ritchfield raspavano per terra fra l'erba, Lane diede delle spintarelle a Maisie, la pecora più ingenua del gregge. Maisie cadde quasi per terra per la sorpresa, poi diede un leggero morso a Cloud sull'orecchio, e Cloud scalciò e colpì Maude a una delle zampe anteriori. Tutte le pecore si sentivano offese e belavano. Poi, come a un cenno, ammutolirono - tutte eccetto Ritchfield, che distribuiva spinte da tutte le parti e gridava tentando

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di riportare l'ordine.Fu in quel momento che Othello scese dal sentiero. Le squadrò con un

certo stupore, poi, passando loro davanti, se ne andò alle scogliere. Le pecore si guardarono. Cloud leccò le orecchie a Maude per calmarla, Ramses rosicchiò la groppa di Cordelia. Il montone nero gettò uno sguardo all'impronta a forma di macellaio nella sabbia. Poi piegò la testa di lato. Le pecore avrebbero avuto ancora tante domande da fare, ma all'improvviso nessuno aveva voglia di disturbare Othello. Era sufficiente sapere che le pecore scomparse potevano ritornare. Ricominciarono a pascolare, per la prima volta in quella giornata con un certo piacere.

Tre uomini si incontrarono sotto il tiglio. Uno era sudato, l'altro profumava di sapone, il terzo respirava con un rantolo. Attorno a loro vagava la paura con occhi luccicanti.

"Se adesso Ham ci rimane davvero...," disse quello che sudava, "allora tocca a noi di sicuro."

"Che roba pazzesca," ansimò quello con il rantolo. "Un rischio del genere. George - chi lo sa? Ma Ham ha tutto dall'avvocato. Non è uno che minaccia a vuoto."

La paura annuì."Certo che è stato un idiota," gemette quello sudato."Ham?" Una corrente d'aria saponosa rivelò che il secondo uomo aveva

fatto un movimento brusco. "Che ne pensi, non è stato un incidente?""Credo di sì," sussurrò quello che sudava e che adesso sudò ancora più

intensamente."Un incidente?" La voce rantolante rise. "E perché Ham dovrebbe cadere

dagli scogli? Uno dall'andatura sicura come lui! E poi, perché si sarebbe fatto una passeggiata proprio là? Ma dai! Qualcuno ce lo ha attirato - un po' di profumo alla violetta su una lettera, e Ham, quella bestia, naturalmente ci è andato."

"Morto, non è morto," disse quello sudato. "Forte come un toro lo è sempre stato. Grazie a Dio. Le possibilità che ha di farcela non sono poi così male, dicono i medici. È probabile che non potrà più camminare. Ma la cosa più importante è che sia vivo."

"Forse ha perso la memoria. Dopo un incidente così..." La voce del saponoso suonava quasi ottimista.

"Ham si ricorda tutto," disse quello col rantolo. "Forse non c'è molto in quella sua zucca, ma una volta entrato, non esce così facilmente. Quando

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Josh lo ha fatto sbronzare la sera del matrimonio di George... ve lo ricordate?" Forse gli uomini annuirono. O forse cercarono di fare una smorfia. Ma era chiaro che se ne ricordavano. Josh si era limitato a mettere davanti a Ham un bicchiere dopo l'altro e Ham, che di solito beveva poco, se li era scolati uno dopo l'altro. Quante risate si erano fatti quella volta! "Non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome, e alla fine gli è entrata una mosca nell'occhio e lui nemmeno lo ha strizzato."

"Josh si è preso i soldi per ogni singolo bicchiere, e anche qualcosa di più... io non ci starei a farmi prendere per i fondelli a quel modo." Quello che sudava ridacchiò. Diede sui nervi agli altri due.

"Se Ham si sveglia, se ne ricorderà," disse quello con il respiro rantolante. "E allora il giochetto andrà avanti!"

Rimasero in silenzio. Forse annuirono. Poi si separarono andando in tre direzioni diverse. La paura sorrise, si voltò con un movimento elegante, e la sua chioma ondeggiò intorno al fusto del vecchio tiglio. Li seguì tutti e tre fino a casa.

Il tiglio era molto vecchio. Un tempo si trovava nel bel mezzo del villaggio e gli uomini ci danzavano intorno. Avevano compiuto i loro sacrifici col sangue e il tiglio era cresciuto bene. Probabilmente aveva fatto in tempo a vedere anche i lupi, ma di certo aveva visto i cani lupo, con cui i nuovi signori cacciavano la selvaggina e il bestiame e gli uomini. Oggi se ne stava lì solitario, il villaggio gli era passato davanti. Continuava a crescere. Il suo fusto misurava più di due lunghezze di pecora. E dietro il suo tronco c'era Mopple the Whale. Era arrivato fin qui perché dietro l'albero si sentiva al sicuro. Qui era come stare in una stalla. Non era scappato quando gli uomini erano arrivati. Mopple ora sapeva che fuggire non aveva senso. Era rimasto lì tutto tranquillo e aveva continuato a masticare. Memorizzando ogni parola.

Mopple non pensava a quei tre, e nemmeno al macellaio - per carità, non al macellaio! Mopple pensava alla paura. Non aveva visto gli uomini e non sapeva un granché di loro; conosceva solo gli odori e i suoni che erano strisciati verso di lui attraverso il fogliame fitto e profumato. Ma quel che Mopple aveva visto era stata la paura: ciascuno dei suoi movimenti sobri, così chiaramente, come se il tronco dell'albero fosse stato fatto d'acqua. Era più grande di una pecora e camminava a quattro zampe. Un animale feroce grande e forte, con il manto setoso e gli occhi furbi. Mopple non aveva temuto questa paura - non era la sua.

Un uccello cominciò a cantare. Un uccello notturno. Lentamente si fece

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sera. Mopple pensò alle altre pecore e smise di ruminare. Improvvisamente ebbe nostalgia del suo gregge, una nostalgia tale che la lana fitta dietro le orecchie cominciò a prudergli. Era ora che un'altra pecora gli rosicchiasse la nuca - una cosa più importante di animali sconosciuti e di macellai che strillavano. Naturalmente Mopple si ricordò della strada che aveva preso quella mattina in mezzo alla nebbia e le sue orecchie si muovevano su e giù allegramente mentre trotterellava verso casa.

Mopple arrivò soltanto verso il crepuscolo. Sembrava più pensieroso del solito e addirittura più magro. Non al punto che lo si potesse notare, ma tanto da muoversi in modo diverso. Alcune pecore gli corsero incontro belando in modo amichevole. Solo durante la sua assenza si erano rese conto di quanto bene volessero a Mopple the Whale. Aveva un odore particolarmente buono, come può esserlo quello di una pecora del tutto sana, dalla digestione eccellente, e conosceva le storie più belle. Lo assalirono di domande, ma Mopple era silenzioso come non lo avevano mai visto. Nell'aria aleggiava un terribile sospetto, il sospetto che Mopple non se ne ricordasse. Ma nessuno osava dirlo. Mopple si mise accanto a Zora, e Zora gli rosicchiò la nuca - persa nei suoi pensieri, ma non scortese.

Si fece buio. Nonostante ciò, le pecore rimasero all'aria aperta. Aspettavano Miss Maple. Ma Miss Maple non arrivava. Solo quando in cielo spuntò la luna piena, dalla parte del pascolo si fece avanti una piccola figura di pecora. La precedeva, trottando, una lunga ombra sottile gettata dalla luna. Era Maple. Sembrava sfinita. Cloud le leccò amichevolmente il muso.

"Tutte nel fienile," disse Maple.Nel fienile le pecore le si strinsero tutte intorno. Attraverso gli stretti

buchi per l'aerazione il chiarore della luna cadeva su volti di pecora pieni di curiosità. Miss Maple si appoggiò a Cloud e si mise comoda.

"Dove sei stata?" chiese Heide impaziente."Indagini," rispose Miss Maple. Le pecore sapevano che cosa fossero le

indagini, avevano imparato la parola dal giallo. Durante le indagini il detective ficca il naso nelle faccende altrui e si ritrova nei pasticci.

Miss Maple raccontò di essersi fatta tutta da sola la strada che portava alla casa di George. Passando per il villaggio, dove una macchina l'aveva quasi investita e dove le era stato sguinzagliato dietro un grosso cane rosso. Poi si era nascosta sotto la ginestra davanti alla casa di George e

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aveva ascoltato quello che veniva detto dietro la finestra. Le pecore ammirarono il suo coraggio.

"Non hai avuto per niente paura?" chiese Heide."Certo," ammise Maple. "Una paura terribile. Ci ho messo così tanto,

proprio perché non avevo il coraggio di uscire dal cespuglio di ginestra. Ma ho sentito molte cose."

"Io non avrei avuto paura!" spiegò Heide gettando un'occhiata di lato in direzione di Othello. Le altre pecore non mostravano più alcun interesse per quello che Maple aveva sentito.

Miss Maple raccontò che a partire da mezzogiorno molte persone si erano recate da Kate - non tutte in una volta, ma a piccoli gruppetti o da sole. Tutte dicevano la stessa cosa. Che era orribile. Una terribile sfortuna. Che ora Kate doveva essere forte. Kate quasi non rispondeva, solo "sì" e "no" e "ach", e piangeva soffiando dentro a un grosso fazzoletto. Ma poi - molto tardi di sera - qualcuno aveva bussato e davanti alla porta c'era Lilly. In quel momento Kate non aveva pianto. "Proprio tu!" aveva detto a Lilly. "Almeno non l'hai avuto tu" aveva sibilato Kate tra i denti, e aveva sbattuto la porta in faccia a Lilly. "Come una gatta rabbiosa," disse Miss Maple. "Proprio come una gatta rabbiosa."

Questo non sorprese affatto le pecore. Anche le Pamele dei romanzi spesso si comportavano in modo incomprensibile e malvagio. Ben presto comunque persero qualsiasi interesse per la storiella che apparentemente aveva tanto affascinato Maple. In fondo, avevano altre preoccupazioni.

"Avete passato una bella giornata?" chiese Maple sospirando, quando notò che nessuna si interessava più alle sue avventure. Le pecore ebbero un'espressione imbarazzata. Raccontarono ciò che era successo quel giorno.

"Aveva un occhio aperto," disse Lane."Il macellaio era sdraiato sulla spiaggia," aggiunse Maude."Mopple non ci ha raccontato nessuna storia," disse Heide, e lanciò

un'occhiata ostile a Mopple."Sembrava così piatto," disse Sara."Abbiamo litigato," disse Cordelia."Sir Ritchfield ci ha contate," disse Ramses."I ragazzi lo hanno portato via," disse Zora.Miss Maple sospirò. "Tocca a Mopple raccontare.""Mopple non c'era," disse Cordelia. Maple sembrò stupita."Othello non c'era," sospirò Heide. Miss Maple guardo Othello in modo

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interrogativo.Othello raccontò dello strano giardino e di George, che avevano messo

sotto terra dentro a una cassa. Un mormorio attraversò il gregge."Non hanno una fossa, ma non lasciano decomporre i morti così. Sembra

un giardino, non un orto, ma un giardino molto ordinato. E sapete come si chiama il giardino?" Othello si guardò intorno con gli occhi che gli brillavano. "Il giardino si chiama 'campo di Dio'!"

Le pecore si guardarono inorridite. Un giardino in cui venivano seminati dei morti!

"È stato lui," mormorò Ritchfield. Maple lanciò un'occhiata al montone. Sembrava vecchio, molto più vecchio del solito, e le sue corna contorte a forma di elica adesso avevano l'aria di essere troppo pesanti per lui.

"Non che fossero particolarmente tristi, gli uomini," continuò Othello, "eccitati, questo sì, molto eccitati, ma non tristi. Nervosi. Neri e loquaci come corvi, e sappiamo bene che cosa divorano i corvi." Le pecore annuirono con espressione seria. "Il macellaio non c'era, di questo si sono stupiti. Ma ora non se ne stupiranno più."

Othello rifletté. "Per il resto c'erano tutti, Kate e Lilly e Gabriel, Tom, Beth e Dio e molti che non conosciamo. L'uomo magro magro, quello che è venuto per primo da George insieme agli altri tre, si chiama Josh Baxter. Fa l'oste."

Tutte guardarono Miss Maple. Ma l'intelligente signora pecora si limitava a strofinarsi il naso su una delle zampe anteriori. Le pecore erano deluse. Si erano immaginate che la ricerca dell'assassino sarebbe stata più eccitante, più semplice e soprattutto più veloce. Come nei romanzi di Pamela, dove subito dopo ogni misterioso decesso c'era sempre un misterioso sconosciuto che saltava fuori, con un volto scavato e pieno di cicatrici, occhi inquieti e freddi. Per lo più voleva avere Pamela per sé, e al massimo dopo due o tre pagine un ragazzo di bell'aspetto lo faceva fuori in duello. Ma qui si trattava più che altro di un giallo. E George lo aveva buttato via subito. All'epoca ne erano rimaste deluse, ma ora si chiedevano se non fosse stato meglio così, piuttosto che rompercisi invano la testa tutto il giorno.

"Dobbiamo scoprire che genere di storia è questa," disse Cordelia. Le altre la guardarono in modo interrogativo.

"Ogni storia ha a che fare con cose diverse," spiegò Cordelia paziente. "Nei romanzi di Pamela si parla di passione e di Pamela. Le favole parlano di magia. Nel libro sulle malattie delle pecore si affrontano le malattie

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delle pecore. Nei gialli invece la storia gira intorno agli indizi. Così, quando scopriremo di che storia si tratta, sapremo anche a che cosa prestare attenzione."

Si guardarono un po' imbarazzate."Speriamo che non sia una storia che ha a che fare con le malattie delle

pecore," belò Maude."È un giallo," disse Maple con decisione."È una storia d'amore," belò Heide all'improvviso. "Non capite? Lilly e

Kate e George. È proprio come nelle storie di Pamela. A George non piace Kate, ma Lilly. Ma a Kate piace George. E allora: gelosia e morte. È tutto così semplice!" Per l'eccitazione Heide si lasciò andare a un salto, come se fosse stata un agnello.

"Sì," disse poi Miss Maple cauta. "A questo punto Lilly dovrebbe essere morta. E non George. Ci sarebbe dovuto essere un duello e i concorrenti avrebbero cercato di uccidersi a vicenda. Non si combatte ciò che si vuole avere. Piuttosto quello di cui ci si vuole sbarazzare!"

"Ma," aggiunse poi, quando vide la faccia delusa di Heide, "anch'io ci ho pensato sopra. In un certo senso la storia sa anche di questo. In realtà però non ha senso."

"È una storia d'amore," ripeté Heide testarda."E se George fosse stato uno dei pretendenti?" chiese Othello. "Per

Lilly? O forse ha difeso Kate."Miss Maple piegò la testa di lato pensierosa. Ma sembrava non voler

dire più niente a questo proposito.

Molto più tardi, quando la maggior parte delle pecore stava già dormendo, Mopple, che per la prima volta in vita sua non riusciva a dormire bene, vide attraverso la porta aperta del fienile una figura di pecora che se ne stava immobile sulle scogliere, guardando il mare: Maple. Mopple si mise in movimento. All'inizio rimasero in amichevole silenzio l'uno accanto all'altra. Più tardi però Mopple le raccontò degli spaventi che si era preso quel giorno, mentre Maple taceva.

"È così grande," disse lei alla fine.Mopple sospirò. "Qualche volta mi fa un po' paura. Fissare il mare così a

lungo, voglio dire, a lungo come fa Zora, non riuscirei a farlo.""Non intendo il mare, Mopple," disse Maple dolcemente, "voglio dire

tutto. Accadono tante di quelle cose. Prima qui non passava quasi mai nessuno. A parte George, ma lui non era esattamente un uomo, era il

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nostro pastore. È diverso."Miss Maple rifletté per un po'."E poi, da un momento all'altro, vengono a greggi. Addirittura la mattina

strisciano di soppiatto nella nebbia. Il macellaio e un altro. Non c'è alcun dubbio che tutto sia collegato. Ma hanno davvero attirato qui il macellaio? Chi? E perché? E perché gli uomini sotto il tiglio temevano che morisse, nonostante a loro non piaccia? Dobbiamo stare attente a tutto, Mopple. Devi memorizzare tutto."

Mopple sollevò la testa. Era orgoglioso di essere la pecora con la memoria migliore. Poi gli venne in mente il motivo per cui quella mattina era sgattaiolato di nascosto fuori dal fienile.

"Mi sono già memorizzato qualcosa," disse, e raccontò di quando era stato sulla collina insieme a Ritchfield e aveva memorizzato tutto quello che Ritchfield aveva osservato. Quasi tutto. Ritchfield aveva visto che quei quattro se ne erano andati - Gabriel, Josh, Lilly e il macellaio. Che uno di loro era rimasto indietro e si era piegato fino a terra. Aveva raccolto qualcosa? Aveva lasciato cadere qualcosa? O strappato qualcosa? In quel momento Ritchfield si era messo a starnutire. Cinque volte di seguito. E una volta finito, aveva dimenticato chi si era piegato e che cosa aveva in mano.

"Dimenticato!" sbuffò pieno di compassione. "Dopo soli tre respiri. Da non credere! Ma ora sa di aver dimenticato qualcosa e quindi cerca di intimorirmi, in modo che io non dica niente." Inclinò la testa di lato. "Non lo avrei mai detto. Ritchfield mi piace. È il montone capo. Ma credo si tratti di un indizio." Guardò in modo interrogativo Maple, la quale continuava a fissare il mare di notte.

"Un indizio," disse lei pensierosa. "Ma di che cosa? Non è tipico di Ritchtfield intimorire le altre pecore, quando queste dicono la verità." Rimase in silenzio.

"È strano," disse dopo un po'.Continuò a riflettere. Poi sembrò giungere a una conclusione."Sei capace di tenere la bocca chiusa, Mopple?" chiese lei.Mopple the Whale restò zitto.Allora Maple gli raccontò dell'impronta di zoccolo sulla pancia di

George. "Una pecora è salita con tutto il suo peso sulla pancia di George," disse. "Oppure gli ha dato un calcio. È difficile da dire. Ma la domanda importante è: quando? Prima che morisse? Forse. Ma non molto prima, perché l'impronta era troppo definita. E questo significa..."

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Mopple la guardò ansioso."Questo significa che poco prima o poco dopo la sua morte una pecora si

trovava insieme a George. Oppure durante la sua morte. Una pecora robusta. O una pesante." Diede una breve occhiata a Mopple. "Ma perché una pecora avrebbe dovuto dare un calcio a George? Per difendersi? Come quando ci dava le pastiglie di calcio?"

Mopple pensò alle pastiglie di calcio e agitò le orecchie."Ma la cosa ancora più strana," disse Maple, "la cosa più strana è che

questa pecora non ci ha raccontato niente. Perché? Oppure ha dimenticato tutto..."

"Ritchfield!" belò Mopple. Poi assunse un'espressione imbarazzata. In fondo aveva promesso di rimanere in silenzio. Ma Miss Maple era troppo concentrata per farci caso.

"... oppure non ce lo vuole raccontare.""Mopple," disse Maple. Guardò Mopple con aria seria. "Dobbiamo

rifletterci sopra, considerare se esiste la possibilità che una pecora abbia a che fare con la morte di George. Non soltanto gli uomini si comportano in modo strano. Anche alcuni di noi. Sir Ritchfield. Othello. Certo, ci ha raccontato del giardino della morte. Ma il perché si sia spinto fino a là, questo noi non lo sappiamo. Sappiamo così poco di Othello. Non sappiamo che cosa George facesse con lui di sera dietro il capanno. Dobbiamo riflettere su ogni singola cosa, Mopple."

Mopple deglutì. E tacque.Quando più tardi entrambi tornarono al fienile, le altre pecore erano

sveglissime. C'era eccitazione nell'aria."Che cosa succede?" chiese Miss Maple.Le pecore rimasero in silenzio a lungo. Poi Maude si fece avanti. Il

chiarore della luna allungava il suo naso di pecora in modo quasi minaccioso.

"Heide ha trovato una cosa!" disse.

6Maude fiuta il pericolo

E così ebbe inizio una notte ricca di eventi, una notte di cui anche dopo mesi le pecore belavano e ribelavano. Tutto iniziò con Heide, che se ne stava in un angolo, muta per la vergogna, gli occhi di tutto il gregge,

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incredulo, puntati su di lei."Una cosa?" saltò su Mopple."Una cosa?" sussurrò Cordelia."Che cos'è una cosa?" chiese un agnello. "Posso mangiarla? Fa male?"

Sua madre taceva imbarazzata. Come si poteva spiegare a un agnello così piccolo che cosa fosse una cosa?

"Non... non è proprio una cosa," mormorò Heide. Aveva abbassato la testa con aria un po' cocciuta. "È bella."

"Ma la si può mangiare, sì o no?" chiese Mopple. Quando si trattava di cose, Mopple sapeva essere severo quanto ogni altra pecora.

"Non credo." Heide abbassò le orecchie."È viva?" chiese Zora."Io... forse!" Fu chiaro a tutti che una tale eventualità era saltata alla

mente di Heide solo in quel momento. "Volevo scoprire se era viva. Quando la luce ci cade sopra, si muove qualcosa. È così bella. Bella come l'acqua. Volevo continuare a guardarla..."

"Heide!" Sir Ritchfield fece un passo avanti. Teneva ben alta la testa e le sue corna, che erano già al terzo giro, gettavano sui piedi di Heide un'ombra di luna piena intessuta di rimprovero. Othello lo guardava in modo strano. All'improvviso si capì perché Ritchfield fosse ancora il montone capo.

"Tutto ciò che è davvero bello lo puoi guardare sempre. Il cielo. L'erba. Le pecore nuvole. Il sole sul manto lanoso. Sono queste le cose importanti. Ma non le puoi avere." Ora Ritchfield parlava come avrebbe parlato a un agnello molto piccolo. Diceva quello che tutti già sapevano, ma le pecore ne erano commosse.

"Puoi avere solo ciò che è vivo. Un agnello, un gregge. Quando hai qualcosa, tu sei sua. Se è viva ed è una pecora, va bene. Le pecore dovrebbero aversi a vicenda. Il gregge dovrebbe restare unito, le pecore madri e gli agnelli e i montoni. Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge... Una stupidaggine, una tale stupidaggine... Avrei dovuto tenere la bocca chiusa, oh, se solo avessi tenuto la bocca chiusa..." Ora Ritchfield stava perdendo il filo. Guardò al di là di Heide e si mise a parlottare fra sé e sé. Heide tornò ad assumere quell'espressione da giovane pecora cocciuta, e aveva intenzione di sgusciare di nuovo fra le altre senza farsi notare, quando si udì una voce spezzata provenire dall'angolo più buio del fienile. Una voce inzuppata come un ramo trascinato dall'alluvione.

"Avere è male," disse la voce. "Avere le cose è male." Tutte voltarono il

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naso verso Willow, la quale si trovava all'ombra, dietro la greppia vuota. I suoi vecchi occhi brillavano come due perle di rugiada. La testa di Heide si piegò così in basso che più in basso non si può.

"Mamma!" mormorò.Di norma le pecore madri e gli agnelli erano uniti come il terreno

sabbioso e l'avena. Una pecora madre che rimproverava in pubblico la sua prole non si era quindi mai sentita. Ma Willow fino ad allora non aveva detto niente contro Heide, dal momento che non parlava affatto. Così per lo meno sostenevano le pecore più burlone del gregge. L'ultima volta aveva parlato poco dopo la nascita di Heide - un'osservazione di nessun conto a proposito del tempo, oltremodo pessimistica. Nessuna pecora si dispiaceva che Willow non facesse parte delle pecore loquaci. Si diceva addirittura che in gioventù avesse brucato un'intera aiuola di lapazio acido. E non si poteva spiegare altrimenti la sua luna notoriamente storta. Ma questa volta non aveva esagerato.

"È una vergogna," disse Cloud."È scandaloso," disse Zora, e strappò in tutta tranquillità un unico filo di

fieno dalla greppia vuota."È indegno," disse Lane."È stupido," disse Maude."È umano," disse Ritchfield, che ora aveva ripreso l'espressione severa

da montone capo. Così era stato detto tutto. Sembrava che Heide si dovesse trasformare da un momento all'altro in un animale molto piccolo e privo di odore.

Miss Maple rizzò le orecchie piena di curiosità."Ma che razza di cosa è questa cosa?" chiese."È..." Heide si interruppe. Avrebbe voluto dire "bella", ma le fu chiaro

che parlare così delle cose era inappropriato. Per un attimo pensò a che cosa si potesse dire di buono di una cosa. "Non ha fine."

"Tutto ha una fine!" sospirò Sara."Se qualcosa non avesse fine, non ci sarebbe nient'altro, nessuna pecora

in tutto il mondo," disse Zora, che spesso si dedicava a elucubrazioni di questo genere sulla sua roccia.

Le pecore si guardarono malinconiche.Ma Heide continuava testarda. "Ci sono due segni sopra, segni come

quelli dei libri. Forse non è una cosa, ma una storia. E poi è un po' come una catena, come la catena di Tessy, solo più corta e senza fine, la si può guardare per ore e non si vede la fine."

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"E tu l'hai fissata per ore?" belò Maude. "Il tuo naso odora già della cosa dell'uomo. L'ho sentito subito."

Heide ammise tutto. Aveva trovato la cosa al pascolo subito dopo la morte di George e si era lasciata stregare. Ci aveva rotolato sopra una pietra per proteggerla. Solo oggi l'aveva presa fra le labbra e l'aveva nascosta sotto il dolmen, mentre Ritchfield contava le pecore. Se ne pentiva. Non voleva più guardare la cosa.

Le pecore decisero di inviare immediatamente una spedizione al dolmen, per bandire una volta per tutte la cosa dalla loro vita. Le avrebbero insegnato dove era il suo posto: nel mondo delle cose, lontana da tutte le pecore per bene. La spedizione era indubbiamente una questione d'onore. Pensarono a chi vi dovesse partecipare. A Cloud tutto d'un tratto tornò il vecchio dolore alle articolazioni. Sara doveva allattare il suo agnello e a Lane venne un attacco di starnuti. E a sorpresa saltò fuori che Mopple non ci vedeva di notte.

Tutte le pecore avevano paura di andare al dolmen di notte, dopo che lì era stato avvistato uno spirito di lupo danzante. Alla fine la spedizione risultò composta da Sir Ritchfield, Othello, Miss Maple, che evidentemente era curiosa di vedere la cosa, Maude, alla quale non veniva mai in mente una scusa per tempo, e Zora, troppo orgogliosa per pensare a una scusa. E, per finire, anche Mopple dovette andare con loro. Non gli fu d'aiuto andare a sbattere contro un palo nel fienile per convincere le altre della sua cecità notturna. Mopple era la pecora con la memoria migliore. Motivo per cui doveva partecipare, qualora fosse stato necessario allestire un breve processo a cose sospette.

Là fuori ad attenderle c'era una notte tranquilla, calda e illuminata dalla luna. Dal capanno si riusciva a vedere fino alle scogliere; e il fiuto era disturbato dagli odori intensi della notte. Guidate da Ritchfield, le pecore trottarono in direzione del dolmen. Maude era stata messa di guardia, in modo che con il suo naso sensibile potesse fiutare immediatamente, nel caso in cui fossero saltati fuori spiriti di lupo. Le altre pecore allungarono le teste sotto la pietra che copriva la cosa, Mopple e Zora da un lato, le altre di fronte a loro. Con un paio di calci Othello aveva raspato la terra ed estratto la cosa. Dato che tutte gettavano ombra sulla fossa, all'inizio non videro niente. Quasi coperto dai profumi della notte, saliva verso di loro un odore umano. Mani sudate, metallo e un odore intenso che solleticava le narici e che le pecore non conoscevano. Maple convinse Mopple a fare un paio di passi indietro, e quando il montone grassoccio arretrò un po' offeso,

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sulla cosa cadde un largo fascio di luna.Erano deluse. In segreto tutte si erano aspettate qualcosa di

particolarmente bello (bello come lo può essere una cosa), ma la cosa che stava dinanzi a loro nella polvere era una specie di catena sottile con in mezzo un pezzo di metallo. Era vero che non aveva fine, dal momento che formava un cerchio. Ma questo era tutto ciò che la cosa aveva a che fare con l'infinito. Le pecore fissarono sprezzanti la cosa degli uomini.

"In effetti ci sono sopra dei segni," disse Sir Ritchfield, per il quale era stato imbarazzante aver perso il filo poco prima. Ora poteva riguadagnarsi il rispetto grazie ai suoi buoni occhi.

"Il primo segno è appuntito come un becco d'uccello, rivolto verso l'alto," disse, "nel mezzo c'è un riga. E l'altro segno è come una pancia su due gambe. Questo significa che sta per uno con due gambe. Credo sia un brutto segno!" belò risoluto Ritchfield al gruppo.

Mopple aveva intenzione di gettare la cosa giù dalle scogliere.Zora invece non voleva in nessun caso gettarla giù dalle scogliere.

Pensava che le scogliere fossero sprecate per la cosa.Maude belò sorpresa, ma nessuno le diede retta.Sir Ritchfield voleva seppellire la cosa, ma non la voleva toccare.Maude continuava a belare.Mopple non avrebbe avuto niente in contrario a toccare la cosa, ma non

voleva seppellirla e poi forse un giorno pascolarci sopra.Miss Maple sorprese tutti."Ci teniamo la cosa," disse. "È un indizio. È venuta fuori dopo la morte

di George. Potrebbe averla persa l'assassino. Come il letame," aggiunse, quando Sir Ritchfield la fissò senza capire.

"Non odora come il letame," obbiettò Mopple.Maude belò allarmata.Maple scosse il capo in segno di impazienza. "Mi è venuto in mente

prima nella stalla. Gli uomini sono attaccati alle cose. Le cose si attaccano agli uomini. Se osserveremo con attenzione le cose, scopriremo l'assassino."

In quel momento Maude si infilò fra di loro sotto il dolmen, e pochi istanti dopo un raggio di luce le trapassò. Tre uomini gli stavano alle calcagna. Il raggio di luce trovò il capanno di George e scivolò lungo le sue pareti. Sembrava che stesse cercando un nascondiglio.

"E spegni quella stupida pila," disse una voce. "È così chiaro che si possono contare i chicchi di grano e Tom O'Malley si porta dietro una

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pila!" Evidentemente il raggio di luce aveva trovato un buco in cui nascondersi, perché all'improvviso scomparve.

"Se continui a strombazzare così i nostri nomi, non riesco proprio a capire perché ci siamo messi sulla faccia queste ridicole calze," si lamentò un'altra voce. Le pecore riconobbero la voce dal giorno prima. Harry il peccatore.

Tom O'Malley ridacchiò. Le pecore notarono che non sapeva di alcool. Quasi non lo avrebbero riconosciuto. "Hey," disse, "hey, non essere così nervoso. Non stiamo facendo niente di male. Facciamo ciò che va fatto - per Glennkill!"

"Per Glennkill," mormorò Harry."Per salvarci il culo," disse la voce che avevano sentito per prima. Josh il

secco. "O adesso ci mettiamo a cantare Where Glennkill's Bonny Hills So Bright, oppure apriamo questo maledetto rottame e cerchiamo la roba."

Nessuno aveva voglia di cantare. Le pecore erano sollevate. Tre ombre sbatterono contro la porta del capanno, due più tonde e una lunga e sottile. Il raggio di luce non era riuscito a ingannarli. Il metallo luccicava alla luce della luna e le chiavi sferragliavano. Sferragliarono a lungo.

"Non funziona," disse Harry il peccatore.Il secco prese a calci la porta per tre volte. "Fottiti George! È finita!"

Schiacciò il naso contro le due finestrelle del capanno. Era così alto che per farlo non aveva nemmeno bisogno di alzarsi sulle punte dei piedi.

"E adesso?" chiese Tom."Abbiamo bisogno dell'erba," disse Harry. "Buttiamo giù la porta.""Ma sei impazzito?" chiese Josh. "Io questo non lo faccio. È illegale.""Invece eliminare delle prove è legale, vero?" lo prese in giro Tom. "Se

trovano la droga, allora è finita. Niente dolmen degli elfi. Niente maneggio per i pony. Niente centro culturale. Niente specialità di whisky. E il tuo hotel sulla costa te lo puoi anche scordare!"

"Forse la droga non c'è nemmeno.""E allora cosa? E si può sapere come ha fatto George a cavarsela per

tutto questo tempo? Con un paio di povere pecorelle? Ma non farmi ridere! Voleva forse vendere? Ti ha riso in faccia, quando sei andato da lui con i soldi. Questa vista preferiva sprecarla con le sue pecore, e ora che finalmente è morto, Glennkill dovrebbe finire sul giornale come un covo della droga?"

Per l'indignazione alle pecore tremavano le ginocchia."Harry ha ragione, Josh." Tom dondolava da una parte all'altra come al

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solito. "Gettava il letame addosso ai turisti, non permetteva a nessuno di venire quassù e addirittura se ne andava in giro a sparare con una pistola per metterci paura. Perché lo faceva, ti sto chiedendo? Di questa terra avrebbe potuto fare una miniera d'oro. Perché era già una miniera d'oro, te lo dico io. Di notte le barche sulla spiaggia, e poi nel capanno la roba per le pecore, e il giorno dopo via con la sua vecchia carretta."

Josh continuava a scuotere la testa.Ma Tom si era infervorato e gridava nella notte in mezzo al prato. "Ma

non pensiate che George fosse un agnellino innocente. I bambini lo hanno visto di sera - con un montone nero. Perverso! Non vorrei neanche sapere che cosa ci può essere là dentro!"

Alcune teste bianche comparvero sulla porta del fienile. Ognuna delle pecore al pascolo ascoltava tesa. E non solo le pecore. Da un bel pezzo Maude aveva fiutato l'aria ed era inquieta. Da dove si trovava non riusciva a sentire l'odore degli uomini con la faccia ricoperta dalla calza - i profumi della notte si erano adagiati misericordiosi sul sudore degli intrusi provocato dalla paura. Ma, nonostante questo, dinanzi a lei oscillava, insieme a ogni respiro, un presentimento di odore umano, di digestione di cibi cotti, difficile da percepire e chiaro solo a metà. All'inizio aveva dato la colpa alla cosa. Ma la cosa era per terra. Mentre l'odore umano, al contrario, veniva dall'alto.

Allungò la testa verso l'alto e si mise a fiutare. Ora ne era sicura. Qualcuno si trovava sulla cima del dolmen.

Un cacciatore esperto, questo fu subito chiaro a Maude. La nuca le prudeva, e dentro di lei salì un ricordo mai vissuto di strette gole rocciose e di ladri accovacciati. "Al lupo!" pensò. "Al lupo!"

Quando una pecora pensa "al lupo", in effetti dovrebbe belare e correre il più veloce possibile, per quanto le consentano le sue zampe da pecora. Ma Maude rimase ferma. Il nemico era troppo vicino e ora, dopo averlo riconosciuto, il suo odore la circondava da tutti i lati. Non si stava avvicinando, era già qui. Maude non sapeva che cosa fare. Rimase ferma, come ipnotizzata, continuando smarrita a inspirare aria.

È sorprendente quanto la paura riesca a passare di pecora in pecora senza fatica. Maude non si era mossa e non aveva emesso il benché minimo verso. Ma nonostante questo tutte e cinque le pecore seppero all'istante del lupo. I respiri affannosi di Maude rivelavano quanto fosse vicino il nemico, l'odore di Maude era diventato salato, le sue connotazioni amare parlavano di fuga e trappole. I loro cuori galoppavano battendo in

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tutte le direzioni. Ma poiché Maude non si muoveva, anche le altre pecore rimasero ferme senza muoversi. Maude era la loro pecora da fiuto, quella che meglio di tutte sapeva riconoscere il pericolo. Ciò che faceva lei lo avrebbero fatto tutte le altre pecore.

Maude era consapevole della responsabilità che aveva. Non potendo fuggire, cercò almeno di odorare a fondo il cacciatore sul dolmen: odore di fumo. Un uomo, era ovvio. Aveva mangiato cipolle da poco. All'inizio aveva attirato la sua attenzione solo grazie alle cipolle. Maude sentiva che lo stomaco dell'uomo e le cipolle che lo avevano tradito si contraevano.

Al capanno, intanto, il secco prese di nuovo a calci la porta. Ci fu un rumore sottile e timoroso - forse era il raggio di luce che era seduto dentro e aveva paura. L'uomo sul dolmen si contrasse. In quel momento Maude capì che non era a loro che l'uomo stava dando la caccia, ma ai tre uomini al capanno. Maude emise un odore di sollievo.

Nel frattempo al capanno la discussione a proposito di George e di Othello era terminata.

"Hanno forse perquisito la macchina?" chiese Tom. "No, non hanno fatto niente, niente di niente. Niente indagini, niente domande. Nascondere, dimenticare, seppellire, qui il motto è questo. Stanno tutti sulla stessa barca, la polizia e la mafia del traffico della droga. Tutti comprati!" Nella voce di Tom risuonava una certa delusione, perché nessuno si era mai preso la briga di comprare lui.

"Bene!" Il secco sembrava arrabbiato. "E perché dobbiamo intrufolarci qui noi, se nessuno si interessa della roba?"

Tacquero. Harry prese a calci la porta senza molta convinzione. Dentro non si sentirono rumori. Tom aprì la bocca e poi tornò a chiuderla. Quindi si allontanò dagli altri due per avviarsi alla strada asfaltata. Poi si bloccò.

"Una macchina!" sibilò Tom. Le pecore l'avevano sentita da un bel po'. Una grossa macchina ronzante senza luci accese percorreva la strada asfaltata. Si fermò e smise di ronzare. I tre uomini andarono nel panico e si misero a correre come polli in tutte le direzioni. Harry il peccatore fece un paio di scarti impeccabili, il secco aveva piegato la sua lunga figura per poter correre meglio. Le pecore rimasero a bocca aperta. Fino a quel momento non si erano accorte di quanto paurosi potessero essere gli uomini. Loro invece erano orgogliose, perché, nonostante la macchina, avevano mantenuto i nervi saldi. Poi i tre uomini scoprirono contemporaneamente il fienile. Vi si diressero al galoppo, ci si buttarono dentro, passarono davanti alle pecore perplesse, e si arrampicarono su per

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la scala, al piano dove era accatastato il fieno.Le pecore schizzarono all'aperto come gocce di latte, incontro all'uomo

che veniva dalla strada asfaltata. Ma l'uomo non fece caso a loro. Sembrava non stupirsi nemmeno del caos provocato dalle pecore che belavano alla rinfusa e lo aspettavano al pascolo. Si diresse senza fretta al capanno.

Solo sei delle pecore rimasero sotto il dolmen senza muoversi. Maude aveva resistito al clima generale di catastrofe. Continuava a rimanere concentrata sul lupo sopra le loro teste. Si era schiacciato contro la pietra. Le cipolle nel suo stomaco continuavano a gorgogliare. Respirava affannosamente. Maude capì che anche il cacciatore esperto aveva paura.

L'uomo al capanno non prese a calci la porta. Bussò. Una volta brevemente, due volte a lungo, poi una volta ancora brevemente. Il cuore del cacciatore esperto batteva ora come quello di una pecora quando deve inghiottire le pastiglie di calcio. Ma non si muoveva. Non osava muoversi. Per il pascolo si avvertì un sottile scatto metallico, come il richiamo di un grillo. Ma la porta rimase chiusa. Alla fine l'uomo si voltò e se ne tornò verso il sentiero.

Un motore ronzò.Silenzio.

7Sir Ritchfield si comporta in modo strano

Come ci si poteva aspettare, quella notte capitarono anche altre cose, pur se non tanto spettacolari quanto quelle capitate al capanno. L'uomo sul dolmen scomparve senza far rumore, non lasciando di sé alcuna traccia, se non un lezzo di cipolle. Più tardi anche gli altri tre riemersero impauriti dal fienile. Cercavano di muoversi silenziosi, ma senza successo. In silenzio, alla fine, si avviarono in direzione del villaggio. All'improvviso la porta del capanno sembrava non avere per loro più nessuna importanza.

Le pecore, dopo avere osservato tutta questa serie di eventi, rimasero sveglie ancora un bel po'. A un certo punto tornò la calma. Erano sparse per i prati, sbalordite come nuvole azzurre. Othello sembrava una nuvola da temporale azzurro scuro. Una corrente d'aria soffiò via con cautela la loro paura. Nonostante questo, tuttavia, non si poteva davvero più pensare a dormire. Le pecore piegarono il collo e cominciarono a pascolare.

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Al buio si riusciva a pascolare veramente bene. Gli insetti notturni frinivano nell'erba stimolando l'appetito, e tutto profumava di erba umida. Perché finora si erano lasciate sfuggire questo piacere? Era tutta colpa di George. George insisteva perché stessero notte dopo notte in quel noioso fienile, mentre fuori il mondo regalava di sé uno spettacolo così appetitoso. Non c'era alcun dubbio, era stato un cattivo pastore. Non aveva la minima idea di che cosa fosse l'arte del pascolo.

E se c'era qualcuno in grado di capire qualcosa a proposito del pascolo, beh, questo qualcuno erano loro. Naturalmente i pareri contrastanti nemmeno si contavano, ma questo non faceva altro che rendere la cosa ancora più interessante. Miss Maple preferiva il trifoglio dolce e i fiori, a Cloud piaceva l'erba con delle infiorescenze secche ma aromatiche, Maude andava pazza per un'erba piuttosto insipida - "erba di topo", la chiamavano le pecore. Era convinta che stimolasse il senso dell'odorato. Anche se in realtà era vero il contrario: infatti solo una pecora con un odorato eccezionale era in grado di sentire la presenza dell'erba di topo, del tutto anonima, in mezzo a un tappeto profumato di erbe succulente. Sir Ritchfield, invece, si gettava soprattutto sulle erbe dall'aspetto attraente e dalle foglie grandi, e quando ci trovava in mezzo del lapazio acido, la cosa non lo disturbava affatto. Sara, al contrario, aveva il terrore del lapazio acido. Lane amava le erbe di terra dal sapore forte, come l'orecchio di pecora e l'erba dolce. Cordelia, che si piegava malvolentieri, mangiava di preferenza l'avena alta. E, per finire, Mopple divorava tutto indistintamente. Questo per dire che, quando facevano ritorno all'altro pascolo dopo una lunga assenza, bastava una sola occhiata alle tracce fresche per poter stabilire con una certa precisione chi e dove avesse mangiato.

Zora, intanto, si godeva il pascolo di mezzanotte al chiaro di luna. La cosa la metteva in uno stato d'animo assai piacevole: eccitata e tuttavia filosofica, meditativa e allo stesso tempo intraprendente. Insomma, la condizione ideale per le storie. Bisogna sapere, infatti, che Zora era l'unica pecora che non solo ascoltava con piacere le storie, ma qualche volte ne inventava pure. Niente storie complicate, nulla di più che un paio di pensieri messi uno di fila all'altro. Perché l'importante non era tanto quello che succedeva, ma come lo si osservava. E le storie aiutavano Zora a comprendere in quale modo il mondo galoppasse intorno agli eventi. Si trattava di notare tutto il più precisamente possibile - ogni aspetto, ogni dettaglio. Zora era convinta che le sue storie fossero un buon esercizio per

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superare l'abisso. Oltre al fatto che si divertiva sia a pensarle che a raccontarle.

Zora si raccontò una storia che aveva come protagonista Mopple. Le storie con Mopple the Whale erano decisamente fra le sue preferite. "Mopple the Whale vuole mangiare le erbe dell'abisso, ma non ne ha il coraggio," pensò Zora. Non è facile concentrarsi su una storia nella quale l'unica cosa chiara è quello che non succede. Ma Zora aveva una certa esperienza. Anche Mopple si trovava sulle scogliere, a pochi metri soltanto dal trampolino roccioso di Zora. Ovviamente si comportava come se a interessarlo fosse soltanto la vista. Il vento soffiava da terra e così Zora poteva fiutare l'odore gradevole di Mopple. Poi si concentrò sul vento: un vento forte che rimaneva intrappolato nella lana di Mopple, in cui faceva tremare delle fiammelle bianche, lo spingeva con dita delicate verso le scogliere e lo rendeva nervoso. Il tempo come sempre era bello. Zora non dedicava molti pensieri al tempo, perché per lei ogni tempo era bello. I gabbiani gridavano (particolare scontato, dato che le grida dei gabbiani facevano parte dell'abisso come il vento e l'acqua). Lentamente si stava facendo sera. George era seduto sui gradini del capanno e fumava la pipa. Senza che lui li notasse, due turisti stavano passando sulla spiaggia, gemendo sotto il peso di zaini giganteschi. Uno di loro vide Zora sulla roccia e la indicò all'altro. I turisti erano contenti. Mopple si comportava come se improvvisamente trovasse interessanti i turisti; fece un altro minuscolo passo verso l'abisso. Il resto del gregge pascolava a una certa distanza. Poi Othello smise di pascolare. Si mise a osservare Mopple, visibilmente divertito. "Othello è furbo," pensò Zora nella storia, "forse non intelligente come Miss Maple, ma furbo. E molto attento." Questo era uno dei pensieri di Zora nella storia. Quello che Othello pensava, però, lei non lo poteva decidere. Sullo sfondo brucavano Lane e Cordelia. E oltre Lane, molto lontano sullo sfondo, si trovava... Zora non credeva ai propri occhi. Laggiù, nel punto in cui il pascolo confinava con la strada asfaltata, si trovava il macellaio, privo di qualsiasi odore. Sulla sua faccia campeggiava un unico occhio, proprio nel mezzo della fronte, e questo occhio era rivolto inesorabilmente verso Mopple the Whale.

Zora scosse la testa. Non era il genere di storie che aiutavano una pecora a superare l'abisso. Che cosa ci faceva il macellaio nella sua piccola limpida storia?

A quel punto sollevò lo sguardo e notò di essere riemersa dai suoi pensieri al momento giusto. Si trovava al limite di George's Place. Era il

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momento di prendere un'altra direzione. Zora osservò George's Place con occhio critico. Le pareva che si fosse rimpicciolito.

Ma proprio quando stava per voltarsi, Zora notò, nel buio, una pecora che si trovava sull'altro lato di George's Place e la fissava. Normalmente Zora non ci avrebbe fatto caso. Quando pascolava aveva una linea di condotta ben precisa: concentrarsi sulla cosa più importante, senza lasciarsi distrarre dai dettagli. Ma c'era qualcosa in questa pecora che le suonava strano. Forse addirittura pericoloso. Zora alzò la testa fiutando, ma il vento era girato e non le svelò nulla. Allora guardò con maggiore attenzione. Corna ricurve. Sir Ritchfield. Zora si sentì sollevata. Per un momento aveva temuto... non sapeva neanche lei cosa. Belò amichevolmente a Sir Ritchfield. Ma Sir Ritchfield non rispose. Zora si ricordò di quanto Sir Ritchfield fosse diventato duro d'orecchi negli ultimi tempi, e belò più forte.

Ritchfield si voltò e guardò verso il dolmen."È andato via, no?" sussurrò. Zora fu sorpresa da quanto potesse essere

dolce la voce di Ritchfield quando sussurrava. Normalmente sbuffava e strepitava, e quanto più vecchio diventava, tanto più peggiorava. Zora cercò di capire a chi si riferisse. Al cacciatore esperto? A George? Tutto d'un tratto fu certa che si riferisse a George.

"Non torna più, è vero?" insistette Ritchfield."No," disse Zora. "Non torna più." Aveva freddo in quella notte di luna.

Non desiderava nient'altro che trovarsi di nuovo al fienile, stretta stretta insieme a tante altre pecore.

"E Ritchfield, quel matto, si è limitato a guardare," disse Ritchfield quasi allegramente. Zora lo fissò. Improvvisamente ebbe la sensazione di guardare in un abisso, ma più profondo e più selvaggio di quello delle scogliere. Chiuse gli occhi un attimo per riprendersi. Quando li riaprì, Ritchfield era scomparso. Zora si guardò intorno. Non aveva più voglia di pascolare. Vide riapparire Ritchfield al dolmen e gli trotterellò dietro. Era tipico di Zora esplorare gli abissi di questo mondo.

"Che cosa vuoi dire con 'limitato a guardare'?" sussurrò a Ritchfield. Lui la guardò stupito.

"Che cosa?" belò."Che cosa vuoi dire con 'limitato a guardare'?" bisbigliò Zora un po' più

forte."Più forte!" belò Ritchfield.Zora scosse la testa e trottò pensierosa verso la sua roccia.

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Poco dopo anche Miss Maple passò pascolando per George's Place. Da quando era un luogo vietato, George's Place esercitava sulle pecore un'attrazione misteriosa. Maple alzò lo sguardo con l'intenzione di tornare indietro, quando incappò in qualcosa di scandaloso.

"Mopple!" sbuffò.Attraverso George's Place correva una traccia fresca di erba brucata,

larga e spudorata. Alla seconda occhiata Maple capì di aver fatto un torto a Mopple. Perché non tutte le erbe erano state mangiate. Nel bel mezzo della devastazione se ne stavano ritti, alti, snelli e dal profumo dolce, i fiori che pizzicavano il naso. Quando li si mangiava, questi fiori provocavano un piacevole solletico al naso ed erano tra le erbe più amate dalle pecore. Era impensabile che Mopple le avesse risparmiate.

Maple pensò a quale fosse la pecora del gregge a cui non piacessero quei fiori. Ma non le venne in mente nessuno. Un momento, però, una volta lo aveva notato. Cercò di ricordarsi meglio. E si irritò per il fatto di non avere la memoria di Mopple. Se una pecora aveva intenzionalmente pascolato a George's Place, allora si trattava di una cosa seria. Significava che non si ricordava volentieri di George. Era come un'offesa.

Miss Maple si guardò in giro con attenzione. Niente di sospetto. La maggior parte delle pecore strappava ritmicamente l'erba dal terreno. Solo poche di loro avevano alzato la testa. Miss Maple non aveva più fame. L'insolito pascolo notturno stranamente le stava rimanendo sullo stomaco. Decise allora di occuparsi ancora più a fondo della soluzione dell'omicidio. Ma prima di tutto c'erano alcune questioni pratiche da sbrigare. Trottò puntando al dolmen.

Poco dopo le pecore la videro andare al fienile, con la cosa in bocca. Sembrava soddisfatta e un po' euforica.

"Che cosa fai qua?" chiese Cloud."È ora di pensare a che cosa fare quando avremo trovato l'assassino,"

disse Miss Maple.Proseguì. Cloud la seguì fino all'ingresso del fienile. Lì si fermò. Maple

scomparve nel buio. Quando uscì dal fienile senza la cosa, sembrava ancora più soddisfatta. Le brillavano gli occhi.

"Fatto!" disse.Le altre pecore non sembravano particolarmente contente."Ha la mia cosa!" belò Heide."Male!" disse Willow, la seconda pecora più taciturna del gregge, in un

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insolito attacco di loquacità.Maple squadrò il suo gregge. Ora tutte le pecore la guardavano e solo

poche sembravano essere ben disposte nei suoi confronti. Cloud aveva un'aria colpevole, Heide gelosa, Maude preoccupata, Ritchfield severa. Solo Mopple non aveva smesso di pascolare, e mentre passava davanti a loro, senza pensieri, continuando a brucare, trasmetteva più gentilezza lanosa del resto del gregge messo assieme.

Miss Maple sospirò. "Non voglio la cosa per me. È per gli uomini. Avete già pensato a che cosa succederà se troviamo l'assassino? Credete che un fulmine lo colpisca? Abbiamo bisogno di prove!"

"Quella non è una prova," belò Maude. "È una cosa.""Ma forse potrebbe diventare una prova," disse Maple impaziente. Lei

stessa aveva un'idea vaga del ruolo che la cosa avrebbe potuto svolgere nella cattura dell'assassino.

"Non troveremo l'omicida!" sospirò Lane."Ci basta sapere che George è morto a causa della vanga," disse Sir

Ritchfield per calmare la situazione."Appunto!" belò Maude. L'affare della vanga era l'unico aspetto che

avesse capito nella storia dell'omicidio."Appunto!" belarono le altre pecore."Basta con le indagini!""Basta con le riflessioni!"Miss Maple guardò incredula il suo gregge. "Ma ci sono così tante

domande da farsi," disse. "Voi stesse le avete raccolte - alcune almeno. Dov'è Tess? Chi è lo spirito del lupo? Che cosa cercava Dio al pascolo? Che cosa succede fra Lilly e Kate? Perché Ham è stato qui? Che cosa aveva a che fare George con il traffico di droga? E che cos'è poi il traffico di droga? Chi è il cacciatore esperto? Perché è stato qui? Un cacciatore esperto è stato al nostro pascolo e voi non volete nemmeno sapere come mai?"

"Esatto!" belò Maude. "La cosa più importante è che non torni più." Alcune pecore belarono in segno di approvazione. "E se lo fa, lo fiuterò io!" aggiunse Maude non senza orgoglio.

Mopple continuava a brucare passando davanti a loro, raggiante di soddisfazione, prova vivente che la felicità terrena esiste ed è raggiungibile con mezzi semplici. Le altre pecore lo guardavano un po' invidiose.

"Vedi," disse Sir Ritchfield, "le pecore dovrebbero trascorrere la giornata in questo modo. Pascolando! Non facendo domande. Non

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possiamo trovare le risposte. Questo è il motivo per cui George ha buttato via il giallo. Ha capito che non si può scoprire tutto. E lo dovresti capire anche tu, Maple!"

Miss Maple raspava impaziente l'erba e la terra con la zampa. "Ma è successo," disse testarda. "Esiste una fine. Se George avesse finito di leggere il giallo, l'avremmo saputa. E io la voglio sapere. E anche voi la volete sapere. So che siete curiose. Solo che non volete sforzare le vostre teste di pecora!"

"È troppo per noi," disse Cornelia imbarazzata. "Tutte queste cose umane che non riusciamo a capire. E non c'è più nessuno che ci spieghi le parole."

Le altre non dissero nulla. Alcune osservavano l'erba davanti alle loro zampe, come se volessero guardarla crescere. Altre cercavano con gli occhi le pecore nuvole notturne.

"Dobbiamo dimenticare," disse Cloud piano. "Sarà più facile, quando avremo dimenticato tutto." Di nuovo ci fu un belato di approvazione. Dimenticare era una ricetta sperimentata contro le preoccupazioni delle pecore. Quanto più un avvenimento era strano e inquietante, tanto più velocemente lo si sarebbe dovuto dimenticare. Come mai fino a quel momento non ci avevano ancora pensato?

Maple le guardava incredula. Le altre la guardavano offese."Ma se dimentichiamo tutto, non ci saranno più storie," disse. "È come

una storia, non lo capite?"Nessuna rispose."Voi non volete!" disse esterrefatta."Certo che vogliamo," spiegò Cloud dignitosamente. "Solo non la stessa

cosa che vuoi tu.""E invece sì," disse Maple. "È che non lo sapete! È molto semplice. Là

fuori c'è un lupo. Solo che non sappiamo chi sia. Come facciamo a proteggerci da lui, se non lo sappiamo riconoscere? Non abbiamo nemmeno un pastore che badi a noi. Qualcuno ci ha portato via il nostro pastore e voi continuate a credere che il mondo sia a posto!"

Non avevano mai visto prima Maple così arrabbiata. Se ci pensavano bene, anzi, non avevano mai visto Maple arrabbiata.

"Non lo notereste nemmeno, se il lupo si infilasse nel gregge. Vi ricordate della storia del lupo travestito da agnello?"

Era la storia più terrificante che avessero mai sentito da George. Menzionarla nel mezzo della notte era scorretto.

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"O voi trovate il lupo, o lui trova voi. Non è difficile! Tutte le storie hanno una fine! Non serve buttare via il libro a metà, solo perché non si capisce qualcosa!" Maple sbuffò. "Se non lo volete scoprire, lo scoprirò io da sola!"

Cloud, che non era capace di sopportare contrasti di opinioni, la guardò con gli occhi umidi. "Abbiamo bisogno di un pastore," sussurrò.

Ma Maple non le prestò attenzione. Scuoteva sprezzante la coda. Poi trottò via, sotto l'albero delle cornacchie, il più lontano possibile dalle altre pecore. Lì si mise a fissare nel buio con aria meditabonda.

"Giustizia," belò.Solo Othello le rispose."Giustizia!" replicò belando.Le altre pecore si guardarono imbarazzate. Poi ricominciarono a

pascolare. Così. Per dispetto. Volevano dimostrare a Miss Maple quanto potesse essere meravigliosa una vita da pecore semplice e senza pensieri. Solo Othello continuava a belare perso nei suoi pensieri. "Giustizia!" belava piano. "Giustizia!"

"Che cos'è la giustizia?"All'improvviso di fronte a Othello era comparso l'agnello invernale, con

il suo corpicino arruffato, la testa un po' troppo grossa e gli occhi che brillavano.

"Che cos'è la giustizia?"Othello ci pensò sopra. In effetti sarebbe stato più saggio non mettersi a

discutere con l'agnello invernale. Ogni volta che apriva bocca, era per lo più per provocare guai.

"Che cos'è la giustizia?"Ma qualche volta a Othello l'agnello invernale piaceva. Era esattamente

il genere di pecora che al circo avrebbe fatto perdere il filo al clown crudele. Othello decise di affrontare il rischio. "La giustizia...," disse Othello. Gli occhi dell'agnello si fecero grandi. Il nero non aveva mai parlato con lui prima.

"La giustizia," ripeté il montone. Che cos'era la giustizia? Allo zoo di tanto in tanto alcune pecore venivano portate via dal recinto. Per gli animali feroci, sebbene nessuno ne parlasse. Non le più deboli, non le più stupide. Solo alcune. Questo non era giusto. Poi Lucifer Smithley aveva comprato Othello per il numero del lancio dei coltelli. Perché era quello che era, nero e dall'aspetto pericoloso, con le sue quattro corna. Perché sul manto nero non si vedeva il sangue, quando Lucifer non era così

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diabolicamente preciso nel lanciare, come annunciava il manifesto. Anche questo non era giusto. Poi Smithley aveva avuto un colpo. Questo era giusto, ma in seguito Othello era finito nelle mani del clown crudele e dei suoi animali, e doveva mettere in scena stupidi pezzi di bravura in pista. Non era giusto! Allora Othello si era arrabbiato e il cane cattivo del clown non era sopravvissuto. Questo era giusto, ma il clown aveva venduto Othello al macellatore. Ingiusto! E il macellatore lo aveva portato ai combattimenti per cani. Ingiusto! Ingiusto! Ingiusto!

Othello sbuffò e l'agnello invernale lo squadrò dal basso sospettoso. Pensa alle tracce di bava delle lumache nell'erba, pensa al tempo che ti aspetta, lo esortava la voce.

Il montone si riprese."Giustizia è quando si può trottare dove si vuole e pascolare dove si

vuole. Quando si può andare per la propria strada. Quando si può combattere per la propria strada. Quando nessuno ti ruba la strada. Questa è la giustizia!" Improvvisamente Othello si sentì molto sicuro della cosa.

L'agnello invernale piegò di lato la sua testa troppo grossa. Intorno alle narici si notava in lui qualcosa che avrebbe potuto essere scherno o timore.

"E a George hanno rubato la strada?"Othello annuì. "La strada per l'Europa.""Ma forse George voleva rubare la strada a qualcun altro e hanno

combattuto. Questo sarebbe giusto!"Othello era sorpreso, perché l'agnello invernale aveva capito tutto. Ci

pensò sopra."George non avrebbe mai rubato la strada a nessuno," disse poi."Ma forse sì," disse l'agnello invernale. "Forse non ha potuto fare

altrimenti. Qualche volta si deve rubare, perché nessuno cede niente volontariamente. E di chi è la colpa, se nessuno cede volontariamente niente?"

"Di Dio!" rispose Othello, senza pensarci su un attimo."Quello dal naso lungo?" chiese l'agnello invernale. "Come mai?"Ma Othello era tornato al proprio passato e non lo sentì.Othello vide recinti e ancora altri recinti. E poi fiocchi di neve. La prima

neve di Othello. Ma invece di lasciarsi andare allo stupore, doveva trottare dietro al clown cercando di rubargli un fazzoletto dalla tasca. Poi il clown inciampava. Così. Nessuno ci poteva fare niente. I bambini con i loro berretti e le giacche calde ridevano. Othello sapeva che cosa pensava il clown quando veniva preso in giro.

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Il calcio che gli dava il clown quando si rimetteva in piedi non era finto."Perché la pecora deve lavorare a Natale?" chiese una voce infantile.

"Non è giusto!"Una donna rise. "Certo che è giusto! Dio ha stabilito che gli animali

siano al servizio degli uomini. È così."Othello sibilò di rabbia. Così era! Accanto a lui sibilava l'agnello

invernale, un'imitazione piccola e beffarda della sua stessa rabbia. Poi scalciò impertinente, salterellò per il pascolo come un ariete e se ne andò. Othello si guardò intorno.

L'orizzonte era diventato rosa come il muso di un agnello marzolino. A un tratto Othello vide dalla parte del villaggio la sagoma nera di una pecora contro l'orizzonte. Si bloccò. Un paio di secondi più tardi altre pecore si profilarono contro il cielo mattutino. E in mezzo alle pecore marciava una figura con un cappello floscio. Gabriel il pastore stava portando le sue pecore al loro pascolo.

8Nessuno risponde a Zora

Comparve una bianca farfalla, una ballerina di latte, un pezzetto di seta fatto di vento. La seta veniva prodotta dai bruchi, vermi di terra striscianti in forni giganteschi. Li si cucinava e si rubava la loro pelle, e le pecore venivano tosate. Non ci si preoccupava se sulla pelle nuda si indossava succo di vermi oppure lana, fintanto che la lana era bianca, fintanto che scaldava. Tutti la volevano bianca come gli agnelli, e tuttavia non la potevano sopportare e la tingevano e lei puzzava. Ma la nudità rimaneva, questo era il segreto, il nudo segreto. Nudi di fronte alle cose stavano gli uomini, esposti alle cose, traditi dalle cose e traditori delle cose.

Come era stato quella volta? Una vanga, no? Una vanga! Il ricordo lo scosse. Dalle risa. Nonostante ciò, una tristezza sonante salì per la sua zampa posteriore sinistra.

Era una bella giornata, e sprofondava nel verde. Il frammento bianco svolazzante sopra di lui non aveva possibilità contro il verde. Profumava su di lui, soffiava intorno a lui, e il cantore dell'aria sprofondava di buon grado. Il verde si diffondeva fino all'orizzonte e fino al cielo. Verde era il canto della dissennatezza. Crescere e crescere senza ragionare minimamente, e spingere tutte le creature a fare lo stesso. E loro lo

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emulavano. Verde era il comandamento più bello del mondo.Lieve, senza che l'avesse notata, era apparsa un'altra voce all'orizzonte.

Un punto rosso cantava nella frenesia del mondo, un papavero in movimento, un respiro bollente percorreva con passo pesante la strada di campagna, meditato, deciso. Solo uno stupido avrebbe ignorato il punto rosso. Si sollevò sbuffando e sbirciò attraverso l'erba alta. La cornacchia sulla sua schiena si alzò in volo.

Una donna scendeva per la strada di campagna. Il suo volto era coperto da un cappello di paglia, con una tesa molto larga, che le gettava ombra fino alla gola, ma doveva essere una donna giovane. Portava in mano una valigia, e la portava senza fatica. Solo una donna giovane avrebbe osato portare un vestito così rosso, rosso sangue dalle spalle fino ai polpacci. Un odore fresco e intenso la precedeva, oscurato dalla terra e dal sudore sano. Un odore di cui innamorarsi.

La giovane donna si fermò. Mise giù la valigia in mezzo alla strada. Non era una cosa saggia. Dal verde nulla all'improvviso poteva arrivare una macchina e versare il suo vestito sull'asfalto. Lui stesso non correva rischi per strada. Deserti di strade, inghiottitori di suoni. La donna non sembrava preoccuparsi. Ma naturalmente era alta e sovrastava il verde. Ragione e fuoco. Il verde si sarebbe piegato di fronte a lei. Intorno al suo polso sinistro era arrotolato un fazzoletto. Se lo passò sulle guance. Poi guardò in cielo e lui riuscì a vederla in volto. Solo per un momento, poi l'ombra decisa si gettò di nuovo su occhi e naso verso il rosso. Si piegò ed estrasse qualcosa dalla valigia. Una cartina stradale. Un'estranea, non una che tornava a casa. O si poteva tornare a casa in un luogo estraneo? Ma poi, si poteva tornare a casa? Era di qui, la signora del verde, questo era chiaro. Ma che cosa avrebbero detto i pallidi? I pallidi, che sedevano al villaggio e spezzettavano i ricordi?

Imprecò. Imprecava in modo così carino, come un mandriano. Poi rise. Un suono strano era la sua risata. Penetrante come un belato e rivolto a nessuno. Un suono innaturale.

La donna aveva sollevato nuovamente la valigia, piena di slancio, per far vedere che l'aveva posata non per stanchezza, ma per fermarsi un attimo a pensare. Una donna riflessiva. Lasciò la strada, a sorpresa.

Per un soffio non l'aveva colto in flagrante nell'erba alta. Lasciare l'asfalto senza battere ciglio e senza voltare gli occhi! La maggior parte degli uomini esita prima di lasciare la strada. Sospettosi e dalle zampe fragili sono gli uomini, come se il terreno fosse pieno di buche in cui

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inciampare, e i loro primi passi sono come nel fango. La donna aveva lasciato la strada come una pecora: decisa, fedele al proprio naso. Seguiva il naso anche adesso, mentre si avviava al villaggio astuta come una pecora. Non si era lasciata confondere dalla strada. Avrebbe fatto ballare i pallidi, questo era certo, facendo ballare in cerchio le vanghe. Non vedeva l'ora.

Le pecore erano sempre state certe che Gabriel fosse un pastore eccellente. Già dal suo modo di vestire. Sia d'inverno che d'estate Gabriel portava un mantello di lana di pecora non tinta. Alcune affermavano addirittura che fosse di lana di pecora non lavata. Dal punto di vista olfattivo, Gabriel era pertanto simile a una pecora, almeno quanto lo può essere un uomo. Soprattutto con l'umidità.

E poi Gabriel sapeva come fare i complimenti a una pecora. Non con le parole, come faceva George qualche volta (troppo di rado), ma semplicemente guardandola con i suoi occhi azzurri, senza chiuderli nemmeno una volta. Una cosa del genere massaggiava l'anima di una pecora e le faceva venire le ginocchia molli.

Le pecore riponevano grandi aspettative nell'abilità di Gabriel come pastore.

Anche se finora non era successo molto. I cani di Gabriel le avevano radunate e Gabriel le aveva contate. Tutto senza emettere alcun suono. I cani di Gabriel non abbaiavano. Mai. Si limitavano a fissare le pecore. Questo bastava perché dalle zampe fino alla spina dorsale loro avvertissero un brivido di paura fredda di fronte al lupo.

Dopo, alle pecore non sembrò nemmeno di essere state pascolate. Un breve momento di disagio, e già si erano ammassate davanti a Gabriel come guidate da una mano misteriosa. Un piccolo cenno con la mano, e i cani erano scomparsi.

Gabriel se ne stava di fronte al capanno, immobile e silenzioso come il dolmen. Le guardò con i suoi occhi azzurri, una per una, una dopo l'altra, come se volesse scoprire qualcosa di loro. E a ogni pecora faceva un cenno quasi impercettibile con la testa.

La maggior parte di loro era certa che si trattasse di un cenno di approvazione. Gabriel le aveva esaminate e giudicate positivamente. Era eccitante. Le pecore ne erano piuttosto orgogliose - fino a quando Othello non mandò in fumo quella bella atmosfera.

"Ci ha contate," sbuffò irritato, "nient'altro che contate. Punto."

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Othello non era contento del nuovo pastore come lo era il resto del gregge. Si teneva in disparte e coltivava pensieri bui.

Un domatore. Negli occhi di Othello brillava una rabbia antica. Lo aveva riconosciuto subito: gli stessi gesti misurati, la stessa noia negli occhi. La stessa perfidia nascosta dietro una gentilezza ingannevole. Anche il clown crudele era un domatore, con zucchero e fame e sofferenza strisciante. Aveva provocato in Othello una tale rabbia, e Othello era sorpreso di ritrovare quella rabbia dentro di sé dopo tutto questo tempo, ancora così nuova e intatta.

Ma non avrebbe ceduto alla rabbia. Ora non più. Pensò al giorno in cui aveva imparato a opporre la pazienza alla rabbia.

Era il giorno in cui il clown non aveva chiuso subito la porta della stalla, ma si era piegato sulla cassetta degli attrezzi rivolgendo a Othello il fondoschiena. Othello, affamato, aveva infilato il naso nel fieno, ma i suoi occhi non avevano lasciato il fondoschiena del clown neanche per un attimo.

Dimenticò il fieno.Abbassò le corna.E fu in quel momento che sentì la voce per la prima volta. Una voce

lieve e stranamente cupa, dietro cui si celavano molte cose."Attento, nero," disse la voce dietro di lui, "la tua rabbia ha già

abbassato le corna, vede rosso, e se non stai attento ti scapperà via al galoppo."

Othello nemmeno si voltò. "E allora?" ansimò. "E allora? Perché no? Se lo merita."

Fuori dalla finestra si era levata una cornacchia."Tu non te lo meriti," lo prendeva in giro la voce. "Che cosa credi,

contro chi corre la tua rabbia? Certo non contro di lui, il pascolatore delle paure, il mandriano del timore. È contro di te che la tua rabbia corre - una rabbia così scintillante - e tu non le resisterai, quando lei sarà corsa via."

Othello si limitò a sbuffare.Le corna abbassate, gli occhi rivolti al clown.Ma non si mise a correre."E allora?" sbuffò ancora una volta.La voce tacque.Othello si voltò. Dietro di lui era apparso un montone grigio, dalle corna

imponenti. Un montone nei suoi anni migliori. Un montone capo - muscoli, vista e grazia sotto un manto villoso. I suoi occhi d'ambra

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brillavano nel buio della stalla come quelli di un folletto. Othello guardò da un'altra parte imbarazzato.

Il clown riemerse dalla cassetta degli attrezzi, sbatté la porta della stalla e scomparve. Othello per la delusione rivoltò il mondo sotto i suoi piedi. Improvvisamente il montone sconosciuto comparve al suo fianco, dandogli delle spintarelle con il naso. Aveva uno strano odore, come di molte cose messe assieme, che Othello non riusciva a distinguere.

"Ach," gli sussurrò il grigio nell'orecchio, "la testa come una goccia sul ramo, come mai? Se la tua rabbia fosse partita al galoppo, lui ti avrebbe potuto guardare dentro, a partire dalle corna, attraverso gli occhi, giù fino in fondo al cuore. Così invece non sa niente. Vantaggio tuo. Tutto quello che non sa, va a tuo vantaggio. Trovare i punti deboli. Il vecchio gioco." Tutto d'un tratto il montone sembrava divertito.

Othello faceva su e giù con le orecchie, per scacciare le molte parole che da un momento all'altro avevano cominciato a svolazzargli intorno nel buio. Ma il grigio non gli lasciò il tempo di prendere fiato.

"Dimentica la paura," disse ora il montone. "Pensa alle tracce di bava delle lumache nell'erba, pensa al tempo che ti aspetta."

"Ma io sono arrabbiato!" disse Othello, per dire qualcosa."E allora combatti!" disse il montone."Come faccio a combattere, se lui mi chiude sempre dentro?" sbuffò

Othello. Ora che la cosa cominciava a interessarlo, il grigio si era messo a parlare a monosillabi, come una pecora madre di cattivo umore. "Non serve a niente!"

"Pensare serve!" disse il montone."Io penso," disse Othello. "Penso giorno e notte." Non era del tutto vero,

perché di notte per lo più dormiva esausto in un angolo della stalla. Ma voleva impressionare il montone sconosciuto.

"Allora pensi alle cose sbagliate!" disse il montone poco impressionato. Othello tacque.

"A che cosa pensi?" chiese il grigio."Al fieno," ammise Othello mogio.Come c'era da aspettarsi, il montone scosse la testa in segno di

disapprovazione. "Pensa al luccichio del manto della talpa, pensa al suono che fa il vento nei cespugli e alla sensazione che hai nella pancia quando corri giù per un pendio. Pensa a come odora la strada che sta di fronte a te, pensa alla libertà che il vento ti soffia incontro. Ma non pensare mai più al fieno."

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Othello guardò il grigio. Si sentiva una strana sensazione nello stomaco, ma non era la fame.

"Se la vuoi far semplice," disse il grigio, "pensa a me!"

Othello pensò al grigio e la rabbia se ne tornò triste nelle sue quattro corna, al suo posto. Il nero scosse la testa per scacciare i vecchi pensieri. Le pecore del suo gregge continuavano a guardarlo stupite.

"Ci ha contate," ripeté brusco. "Nient'altro che contate."Ora che lo diceva Othello, anche a loro sembrava che fosse così. Erano

deluse. Ma il loro umore migliorò in un batter d'occhio. Se con Gabriel persino la conta si svolgeva in modo così gentile e misterioso, ci si poteva immaginare quanto sarebbero state eccitanti le cose davvero importanti, quali il riempimento della mangiatoia, la distribuzione della paglia. O la lettura. Le pecore erano molto curiose di vedere che cosa Gabriel avrebbe letto.

"Poesie," sospirò Cordelia. Non sapevano con precisione che cosa fossero le poesie, ma dovevano essere qualcosa di bello, dato che qualche volta nei romanzi gli uomini leggevano poesie a Pamela al chiaro di luna; e George, che non spendeva mai una buona parola per Pamela, in quei punti smetteva di imprecare e sospirava.

"O qualcosa sul trifoglio," disse Mopple speranzoso."Sul mare, il cielo e la mancanza di paura," disse Zora."Certamente non sulle malattie delle pecore," disse Heide. "Che cosa ne

pensi, Othello?"Othello taceva."Leggerà a voce alta, chiaro e forte, come si deve," disse Sir Ritchfield."Ci spiegherà molte parole nuove," disse Cordelia.Divennero sempre più curiose. Che cosa avrebbe letto? Non vedevano

l'ora che arrivasse il pomeriggio."Perché non chiediamo a loro?" domandò Cloud. "Loro" erano le altre

pecore, il gregge di Gabriel. I cani di Gabriel le avevano spinte ai margini del pascolo e Gabriel ora era impegnato a innalzare una recinzione intorno a loro. Le pecore di George non sapevano che cosa pensare. In questo modo il loro pascolo sarebbe diventato sensibilmente più piccolo.

"Proprio lì, dove cresce l'erba di topo," brontolò Maude. Le altre non erano arrabbiate a causa dell'erba di topo. A loro era il principio che importava.

D'altro canto, erano felici che le pecore di Gabriel non se ne andassero in

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giro fra di loro. Facevano venire leggermente i brividi. Gambe corte e tronco lungo, con il naso allungato e per nulla buffo, occhi inquieti e dalla tonalità stranamente pallida. E poi, avevano un odore sgradevole. Non malsano, ma nervoso e spento. La cosa più strana però era che praticamente non avevano lana, solo una peluria crespa e fitta sulla pelle. Così era possibile notare che non erano state tosate da poco. Perché Gabriel aveva delle pecore che non facevano lana? A che cosa servivano? Gabriel doveva essere un tipo davvero gentile per occuparsi di pecore tanto inutili.

Si immaginavano che Gabriel fosse felice di essersi imbattuto finalmente in un gregge così lanoso. Presto non avrebbe potuto più capacitarsi di che cosa avesse mai visto nelle altre pecore e le avrebbe cacciate via. Ma fino a quel momento ci si doveva arrangiare anche con loro. Tutte concordavano nel pensare che il modo migliore di affrontare le pecore di Gabriel fosse ignorarle. Ma ora erano rose dalla curiosità.

"Io vorrei chiedere che cosa legge," disse Maude, "ma mi prudono le narici quando mi avvicino troppo a loro."

Guardarono Sir Ritchfield. In quanto montone capo, ci si aspettava da lui che prendesse contatto con il gregge sconosciuto. Ma Ritchfield scosse la testa. "Pazienza!" sbuffò nervoso.

Mopple non ne aveva il coraggio. Othello di colpo sembrava non essere più interessato a questioni letterarie, e le altre pecore erano troppo orgogliose per parlare con le lanose.

Alla fine Zora dichiarò di essere disponibile. Sulla sua roccia aveva riflettuto a lungo ed era giunta alla conclusione che l'orgoglio, per quanto possa essere giustificato, non dovrebbe impedire a nessuna pecora di scoprire più cose possibili a proposito del mondo. Mentre Gabriel era impegnato dietro al capanno con un rotolo di recinzione, Zora partì al trotto.

Le pecore di Gabriel pascolavano. La prima cosa che Zora notò fu che erano rimaste vicine vicine, una accanto all'altra, spalla a spalla. Doveva essere scomodo pascolare così vicine. Nessuna badava a Zora, nonostante il suo odore dovesse averla annunciata da un bel pezzo. Zora si fermò ai margini del pascolo e aspettò cortesemente di venire interpellata. Ma non successe nulla del genere. Ogni tanto una pecora alzava la testa e si guardava intorno nervosa. Ma i loro sguardi trapassavano Zora, come se fosse stata invisibile. Zora le fissò per un po', più sorpresa che irritata. Poi perse la pazienza e si rivolse belando al gregge sconosciuto, in modo forte

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e inequivocabile.Tutte le bocche smisero di brucare. Tutti i colli si allungarono. Tutte le

teste si voltarono dalla sua parte. Innumerevoli occhi pallidi fissarono Zora. Non aveva paura. C'erano il cielo, il mare, e soprattutto la roccia. Zora era abituata a guardare nel vuoto. Stava dinanzi a loro come contro un vento freddo, e teneva loro testa.

Forse era una prova. Una prova di coraggio. Per rendere più distesa l'atmosfera, Zora agitò di proposito le orecchie e strappò con aria scherzosa un paio di fili d'erba. Non successe niente.

Dall'altra parte del gregge, un paio di pecore abbassarono di nuovo la testa e un rumore monotono e ruminante rivelò che avevano ricominciato a brucare. Ma la maggior parte degli occhi rimase puntata su Zora. La quale dovette ammettere con se stessa che questi occhi la inquietavano. In loro c'era una luce tremolante, come la si vedeva qualche volta in cielo, nei giorni molti brutti. In quei giorni nessuna pecora riusciva a concentrarsi.

Ben presto capì che dalle altre pecore non avrebbe ottenuto niente. Un bel niente. Se doveva succedere qualcosa, allora doveva succedere per merito suo, di Zora. Zora gettò uno sguardo indietro, al suo gregge. Anche qui c'erano delle teste girate verso di lei. Per un momento a Zora sembrò che anche le sue pecore la guardassero in modo strano. Ma poi notò che non era vero. Sir Ritchfield stava sulla collina, con un'aria severa e attenta. Cloud, Maude, Lane e Cordelia si erano strette l'una all'altra e la osservavano con curiosità. A poca distanza da loro si trovava Mopple, che guardava concentrato nella sua direzione. Zora sapeva che da quella distanza Mopple non era in grado di vedere di lei niente di più che una macchia bianco-nera. Era commossa. All'improvviso non le sembrò più tanto difficile interpellare quelle pecore sconosciute.

"Buongiorno," disse. Decise di tentare con qualcosa di innocuo."Vi piace l'erba qui?" chiese. Le venne in mente troppo tardi che alle

altre pecore avrebbe potuto sembrare una malignità l'allusione al fatto che si erano buttate sul foraggio di altre. Ma di questo si sarebbe potuto discutere più tardi, quando l'atmosfera fosse stata più rilassata.

"Anche il tempo non è male," disse Zora. Con un tema come questo non ci si poteva sbagliare. Il cielo era grigio e caldo, l'aria era fresca e umida, e il pascolo profumava.

Le pecore sconosciute tacevano. Alcune delle teste che si erano abbassate a pascolare tornarono a sollevarsi. Sempre più occhi pallidi puntati su Zora. Forse erano solo molto pensierose. Forse non parlavano

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volentieri di cose ovvie. Chi poteva sapere quali cose importanti avesse già letto loro Gabriel?

"Potremmo parlare di come si va in cielo," propose Zora. Le pecore di Gabriel tacevano.

"In un modo o nell'altro deve funzionare," disse Zora. "In fondo, vediamo le pecore nuvole. Ma come? C'è un posto da cui si può salire in cielo? O si tratta di continuare a pascolare nell'aria?" Zora fissava le pecore con curiosità. Niente. O meglio, un lieve cambiamento. A Zora sembrò che il guizzo irritante in quei pallidi occhi da pecora si fosse fatto più intenso.

Zora perse la pazienza. "Non mi importa che cosa voi pensiate a questo proposito. Per essere franca, sono abbastanza sicura che la faccenda abbia a che fare con il superamento dell'abisso. Ma certo non sono venuta qui per parlarne con voi!" Decise di essere sincera.

"Si tratta di Gabriel. È il vostro pastore da un bel po'. Vorremmo sapere che cosa vi legge."

Le pecore la fissarono. Non capivano? Impossibile! Una pecora non poteva essere così stupida. Zora sbuffò.

"Il pastore! Capite? Gabriel! Gabriel!" Girò per un istante la testa verso il loro pastore, e vide che di lì a poco avrebbe finito di preparare il successivo rotolo di recinzione.

Era ora di andarsene.Voltò la testa di nuovo verso il gregge di Gabriel e si accorse che non

era cambiato niente. Quel che è troppo è troppo!Proprio di fronte a Zora, a pochi metri di distanza soltanto da lei, si

trovava un montone sconosciuto. Zora gli gettò un ultimo sguardo sprezzante - e si fermò. Era lì da prima? Zora non riusciva a ricordarsene. Poi vide che le pecore sconosciute non erano per niente piccole. Avevano le gambe corte, è vero, ma erano allungate e massicce. Il montone di fronte a lei dava l'impressione di essere possente. Qualcosa in lui ricordava a Zora il macellaio. Non le piaceva per niente. Nel congedarsi avrebbe voluto dire qualcosa di pungente, ma poi le sembrò fosse meglio sparire in fretta. Il montone la stava fissando, e Zora ebbe come l'impressione che nel giro di pochi istanti dai suoi occhi fosse scomparso quello strano luccichio. Allora il montone scosse lentamente, quasi impercettibilmente, la testa.

Zora si voltò e galoppò dritta alla sua roccia.

Verso mezzogiorno, Gabriel aveva finito con la recinzione. Si sedette sui gradini del capanno, là dove si sedeva sempre George, e si mise a fumare

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la pipa. Il fine odore di tabacco penetrò in modo strano nel naso delle pecore. Un odore misterioso. Dietro il velo di fumo si nascondeva il vero Gabriel, in un luogo in cui nessuna pecora riusciva a fiutarlo. Persino Maude dovette ammettere che anche lei riusciva a distinguere ben poco di Gabriel, sotto la sua lana di pecora e il tabacco.

L'ora di mezzogiorno era stata tranquilla come non succedeva da tempo. Certamente avevano fatto la loro parte il sole tiepido, in parte coperto dalle nuvole, la sfarzosa vista sul mare impeccabilmente azzurro e il ronzio degli insetti. Ma la sensazione più evidente era stata il sollievo di avere un pastore così competente seduto sui gradini del capanno. E le pecore già pregustavano le storie di Gabriel al crepuscolo.

Quando l'uomo in bicicletta sfrecciò verso di loro, però, la quiete svanì di colpo. Le pecore diffidavano dei ciclisti. Per sicurezza si ritirarono sulla collina. Ma l'uomo in bicicletta non badava a loro. Puntava direttamente su Gabriel.

A distanza di sicurezza, le pecore finirono per tranquillizzarsi un po' e allungarono le orecchie verso il capanno. L'uomo scese dalla bicicletta e si mise esattamente di fronte a Gabriel. Ora lo riconoscevano. Era lo stesso che era venuto con Lilly, Ham e Gabriel a ispezionare il cadavere di George, quello alto e magro che la notte scorsa aveva premuto il naso contro le finestre del capanno: Josh. Odorava di acqua saponata e piedi non lavati. Mopple si nascose dietro il dolmen, sbirciando timoroso fra le pietre.

Mentre pecore coraggiose come Othello, Cloud e Zora si avvicinarono trotterellando.

"Josh," disse Gabriel senza togliersi la pipa dalla bocca. I suoi occhi azzurri fissarono il secco. Le pecore sapevano come si dovesse sentire quest'ultimo. Lusingato in volto e un po' debole nelle ginocchia.

Il secco si rovistò nervosamente nella tasca della giacca. Trovò una chiave e la porse con rispetto a Gabriel.

"Da parte di Kate. Alla fine l'ha trovata. In una scatola di biscotti all'avena. Ti immagini? Biscotti all'avena!" Il secco rise. Le pecore ora capivano perché fosse così nervoso. Probabilmente aveva mangiato tutti i biscotti all'avena.

"Kate pensa che deve trovarsi nel capanno," disse il secco. "In casa di sicuro non c'è."

"Bene," disse Gabriel. Prese la chiave e la buttò senza pensarci sul gradino più in alto.

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"Gabriel?" chiese il secco.Silenzio. Una gazza volava curiosa sopra il tetto del capanno."Che succede se non la troviamo?""Fino a quando non la trova nessuno...," disse Gabriel. I suoi occhi

azzurri cercavano il mare azzurro. Dalla bocca salivano nuvole di fumo."Sai che cosa dicono, Gabriel?"Gabriel sembrava non saperlo e non volerlo sapere. Nonostante ciò, il

secco andò avanti a parlare. "Dicono che non si trova nel capanno. Dicono che sta tutto nel testamento."

"Se è vero, lo sapremo domenica," disse Gabriel.Il secco emise un rumore leggero e nervoso. Poi ritirò la testa fra le

spalle e tornò alla bicicletta. Non si era allontanato che di tre passi, quando Gabriel lo richiamò.

"Ah, Josh?""Gabriel?""Qui ne sono successe di fesserie, no? Dovresti fare in modo che non ne

succedano più.""Fesserie? Che vuoi dire, Gabriel?" Josh sembrava spaventato."Non so, gite notturne al capanno di George per esempio. Ma a che cosa

serve? Non fa altro che spaventare le pecore."Cloud era commossa. Persino in questo momento Gabriel pensava a

loro.Josh sembrava non voler parlare della notte scorsa. "Ma che razza di

pecore è questa?" L'oste guardava con occhio critico le pecore di Gabriel e parlava molto alla svelta. "Certo che hanno un aspetto strano. Così non ne avevo mai viste."

"Una nuova razza da carne," disse Gabriel dall'angolo della bocca.Fissava Josh con i suoi occhi azzurri. Quello sguardo lo mise a tacere.

Rimasero in silenzio un bel po'.Josh sospirò. "Sai proprio tutto tu, eh?"Gabriel disse qualcosa in gaelico. Le pecore si domandarono se per farlo

avesse una seconda lingua in bocca."Non c'è stato niente da fare," si lamentò Josh. "Tom e Harry sarebbero

venuti comunque, quegli idioti. Trovare l'erba, evitare lo scandalo, non danneggiare il turismo, sempre la solita solfa. Come se si trattasse di questo... Non ne hanno idea. Allora ho pensato, meglio essere presente, capisci? Gli ho dato una chiave sbagliata, perché non portassero gli attrezzi e non riuscissero a entrare."

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Gabriel annuì. Josh era visibilmente sollevato. All'improvviso sembrava che gli si fosse sciolta la lingua.

"Ma la sai una cosa?" chiese. "Non eravamo soli. C'era qualcun altro. Uno sconosciuto. Uno della droga, se lo vuoi sapere. Quindi qualcosa di vero c'è. Se a trovarla sono loro prima di noi..."

Di nuovo una gazza volò sopra Gabriel e Josh. Se si trattasse della stessa, naturalmente non lo si poteva dire. Fece una curva elegante e atterrò baldanzosa sul tetto del capanno.

"Quelli non la trovano," disse Gabriel. "Non sanno niente della cassetta. A loro interessa solo la roba. E poi adesso ci sono qua io. Dovresti fare in modo che la gente giù al pub si calmi."

Josh annuì con entusiasmo. Le pecore lo capivano. Era semplicemente una gioia fare un piacere a Gabriel.

"Gabriel?" Josh aveva fatto per andare, ma si voltò ancora una volta.Gabriel spostò la pipa dall'angolo destro a quello sinistro della bocca e

guardò Josh in modo interrogativo."Certo che sei stato davvero bravo." Josh fece un ampio movimento con

la mano, che comprendeva Gabriel, il capanno, le pecore e tutto il pascolo, e che si chiudeva in un solo punto.

Gabriel annuì. "Le pecore hanno bisogno di essere sorvegliate, per lo meno fino a quando non si aprirà il testamento. All'amministrazione mi sono stati davvero riconoscenti. La protezione degli animali. Norme igieniche, la solita roba. E così mi risparmio anche il foraggio per le mie." Fece un sorriso accattivante.

"E va da sé che posso stare seduto qui," batté con la mano sui gradini del capanno, "fino a quando mi va."

Josh sogghignò sollevato. Fece un cenno di saluto a Gabriel, risalì in bicicletta e scomparve sferragliando in direzione del villaggio.

Non appena Josh fu scomparso dietro la curva del sentiero, la mano abbronzata di Gabriel si abbassò sul gradino superiore del capanno. Ma tastava inutilmente. La chiave non c'era più. Tintinnava e luccicava sopra Gabriel, dal tetto del capanno, nel becco di una gazza.

Sotto la sorveglianza di Gabriel le pecore si comportarono nel migliore dei modi, come ormai non capitava da tempo. Pascolarono coscienziosamente con passi lunghi e ben distesi, piegarono il collo verso l'alto, furono "buone assimilatrici di foraggio" e mangiarono con gusto anche l'erba secca che non sapeva quasi di niente. Persino durante l'ora del riposo,

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all'ombra del vecchio fienile, allungarono le teste e osservarono Gabriel con la coda dell'occhio. Ma Gabriel non le stava guardando. Gabriel saltava come una giovane pecora eccitata dietro a una gazza, di cespuglio in cespuglio, da un albero a un arbusto, in lungo e in largo per tutto il pascolo...

9Miss Maple indaga

"Tanto per fare un esempio, Glendalough," disse la sconosciuta. "Un santo si ritira in solitudine, e non appena la gente lo scopre, quel posto è letteralmente sommerso dai pellegrini. La più grande meta di pellegrinaggi del Medioevo, e per quale motivo? Gli uomini sono animali da gregge. Gli si fa credere che tutto il mondo viene qui, e una volta che ci credono, allora ci viene davvero tutto il mondo. È così." Diede un morso al suo biscotto al burro e sorrise. Aveva un vestito rosso come le bacche in autunno.

Di fronte a lei si trovava un cestino colmo di biscotti al burro, coperti con cura da un tovagliolo che li proteggeva dalle mosche, ma che le pecore riuscivano ugualmente a fiutare. La donna intinse il biscotto prima nella panna semiliquida, poi nella marmellata rossa. In una tazza di plastica si versò del the da una caraffa, aggiunse due cubetti di zucchero scuro e vi versò sopra dell'altra panna. Biscotti, marmellata, the, zucchero e panna erano distribuiti su una gigantesca coperta a quadretti colorati. C'erano anche una bottiglia di succo d'arancia, formaggio molle, pasticcini da the, pane da toast, un vasetto di maionese e un'insalata di pomodori con foglie di basilico. La coperta a sua volta copriva un pezzetto di pascolo vicino alle scogliere, per fortuna là dove le erbe più appetitose erano già state brucate. I colori squillanti misero paura alle pecore. Già erano nervose, per via del fatto che Gabriel le avesse lasciate da sole dopo il balletto estivo dietro alla gazza.

Profumi insospettati soffiavano sul pascolo lusingando le narici. Le pecore si tenevano a distanza di sicurezza, non trattenendosi però dal fissare con malcelata ingordigia il cestino dei biscotti e l'insalata di pomodori.

Sul bordo della coperta sedeva Beth la misericordiosa - un mucchietto nero di malessere, con i polsi sottili e una pettinatura impeccabile -, la quale si sforzava di occupare il minor spazio possibile con la sua gonna a

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sbuffo. Non mangiava niente, ma qualche volta si portava la mano al petto e la chiudeva intorno a un oggetto piccolo e luccicante. Quando lo faceva, il vasetto di maionese traballava.

"La fede," sospirava ora. "La fede non è mai una scelta facile.""La propria fede no. La fede degli altri - molto." La sconosciuta rise. Un

altro biscotto ricevette il battesimo della panna."Ne prenda!" disse la donna.Beth scosse la testa in silenzio. I suoi occhi vagarono verso il dolmen."Lei dovrebbe mangiare," disse la donna, "le farebbe bene. Non mi pare

che si nutra a dovere," aggiunse gettando uno sguardo alle braccia secche e pelose di Beth.

"No," disse Beth con voce decisa, "non mangio molto. Sa, abito vicino a un take-away. E se si sta a vedere ogni giorno in quale modo assurdo gli uomini si ingozzano, al posto di occuparsi della salvezza della propria anima, le assicuro che allora l'appetito passa."

La donna rimase impassibile e diede un morso di gusto al biscotto. "Sa qual è davvero la cosa più strana?" continuò in modo non molto chiaro, dal momento che non aveva finito di masticare il biscotto. "Sa quando la gente crede davvero che tutto il mondo vada in un posto? Bisogna convincerla che si tratta di un posto solitario! È questo a convincerla. La solitudine è qualcosa che tutti cercano. Se un posto è solitario, molta gente ci va per godersi la solitudine."

Beth fissava un punto di fronte a sé con espressione incredula. Il vasetto di maionese traballò. Maude pensò a quanto fosse sgradevole l'odore di Beth. Intenso e dolciastro. Odorava di fame annosa. Di morte precoce. E guastava a Maude il profumo piacevole che saliva della coperta a quadretti colorati.

"Non riesco proprio a capire perché lei si preoccupi." La rossa non sembrava preoccuparsi del fatto che Beth puzzasse e tacesse. "Questo è un posto da sogno. Chiunque si troverebbe bene qui."

"Io no," disse Beth. "Nessuno a Glennkill si troverebbe bene qui. Sono successe cose terribili. Non lo dovrei dire, anzi, dovrei convincerla del contrario. Ma lo dico lo stesso. Non mi lascio più intimidire. Il Signore è con me."

"Cose terribili?" chiese la donna con noncuranza. "Tanto meglio. Gli uomini adorano le cose terribili. Un santo è stato torturato dai pagani? Meraviglioso! Una mandria viene spinta in mare dai santi? Ancora meglio! Con i crimini, nel campo del turismo non si commettono mai errori."

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La rossa non aveva problemi con le parole. Cordelia la ascoltava ammirata. Quella donna doveva nascondere un sacco di storie.

Beth fece un rumore, come un gorgoglio. Sembrava un riso soffocato, ma chi vedeva in faccia Beth sapeva che non era altro che il tentativo di coprire un singhiozzo.

La donna lo notò e si fece seria. "Ah, intende dire l'omicidio? Mi scusi, non sapevo fosse successo qui." Rimise sulla coperta il biscotto al burro mezzo morsicato.

"Sì, è successo qui," confermò Beth con voce tombale. Il vasetto di maionese tornò a traballare.

"Un suo parente? Un amico?" Ora la voce della donna aveva un tono gentile.

Beth si scosse. "Nessun parente. Certamente non un amico. Avrebbe riso all'idea. Rideva sempre di me. Ma siamo stati a scuola insieme, alla scuola elementare qui al villaggio. È stata una morte orribile, una morte pagana."

"L'ho letto sui giornali," disse la rossa pensierosa. "Con una vanga. Certo non una faccenda piacevole. Non ci si deve preoccupare per i turisti. Ma un arresto non guasterebbe. C'è già un sospettato?"

La rossa prese l'insalata di pomodori. Un sospiro silenzioso attraversò il gregge. Per l'insalata di pomodori provavano un interesse maggiore che per tutte le altre cose disposte sulla coperta. Avevano sperato che la donna si ingozzasse di biscotti e che lasciasse intatta l'insalata di pomodori. Ma ora le prospettive non erano delle migliori.

"Alcuni dicono che si trattasse di soldi, o di droga, o forse anche di qualcosa di peggio." Beth arrossì. "Ma questo non è l'aspetto più spaventoso. La cosa peggiore è che qui a Glennkill gira una persona..." La sua voce si modulò su una tonalità più alta, tanto da non suonare più come la voce di Beth. Le pecore trasalirono e agitarono nervosamente le orecchie. "Esteriormente una persona come tutte, ma interiormente un animale selvaggio, divorato da una tale malattia dell'anima, da una tale mancanza di fede, da una tale disperazione..."

Beth fissò la sconosciuta negli occhi e per un attimo la sconosciuta ricambiò lo sguardo senza timore. Poi infilò la forchetta nella ciotola con l'insalata di pomodori e ne estrasse un pomodorino intero. Le pecore ne furono sorprese. Non avevano mai visto pomodori così piccoli. Persino i pomodori striminziti dell'orto di George (George non aveva mai avuto grande fortuna con i pomodori) erano giganteschi in confronto a questo baby-pomodoro. Ma il profumo era lo stesso di un pomodoro grande.

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Profumava - e scomparve a velocità impressionante fra i denti impeccabili della rossa.

Ora che Beth aveva cominciato a parlare, non si riusciva più a frenarla."Capisce, questo non è un omicidio normale. Non è di quelli che si

vedono in televisione. Dove si tratta di soldi o di potere. Ci ho pensato su parecchio. Me lo sento. Io distribuisco questi fascicoletti, sa, testi bellissimi sulla Buona Novella, e quando lo si fa abbastanza a lungo, si sviluppa una certa sensibilità nei confronti delle persone. Può anche ridere di me, ma io questa sensibilità ce l'ho."

La voce di Beth, che non suonava più come la voce di Beth, tremava. La mano della donna, che stava portando alla bocca una forchetta con due pomodorini, invece non tremava.

"Le potrei raccontare delle cose... Qui si tratta di un omicidio che ha a che fare con l'anima, questo lo posso proprio dire. Con la colpa. Chiunque lo abbia commesso, sapeva cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma non aveva la forza di fare la cosa giusta. È così terribile non avere la forza di fare la cosa giusta, così terribile, che si vorrebbe tagliare via da sé la propria debolezza con un coltello. Un coltello... Ma la debolezza rimane, e a un certo punto non si vede più nessun'altra possibilità, se non quella di distruggere la parte forte. Distruggere quello che non si può raggiungere - questo è il peccato peggiore. Dio è con me."

Beth aveva parlato rivolta direttamente al cielo, a testa alta, come se avesse completamente dimenticato la rossa. Ma ora le due si guardavano di nuovo. Gli occhi della rossa erano sottili; una forchetta con altri due baby-pomodori ondeggiava dimenticata di fronte alle sue labbra scarlatte. Gli occhi di Beth erano tondi e ben aperti, proprio come gli occhi dei bambini. Sorrise triste. Le pecore dimenticarono per un momento i pomodori. Una Beth sorridente non l'avevano mai vista. Era carina. A ogni modo più carina del solito.

"Posso immaginarmi che le sembri strano, in fondo sono io ad avere questo sesto senso."

La rossa scosse la testa. Voleva dire qualcosa. Ma Beth non la lasciò parlare. Beth che non lasciava parlare qualcuno era un'altra esperienza del tutto nuova.

"Vede, ho parlato con la polizia. Sono stata l'unica, tra l'altro. Si immagina? Un intero villaggio - e io sono la sola che chiede informazioni. Qui soffocheranno tutti nel silenzio." Beth fece un respiro profondo.

"Allora, la polizia. Dicono che George per prima cosa è stato avvelenato.

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Si è addormentato serenamente. Poi è stata la volta della vanga. Dopo che già era morto, capisce? Perché? - ci si domanda. Probabilmente la polizia giudiziaria di città non ci pensa su troppo. Ma io sono andata in giro per anni porta a porta con i miei fascicoletti. So quale razza di pagani siano gli uomini qui, nel profondo."

Due labbra rosse si chiusero intorno a due pomodori altrettanto rossi."Sa, c'è un'antica superstizione. Quando qualcuno muore, non ci si

dovrebbe avvicinare troppo al cadavere durante la prima ora. Si dice che i cani del diavolo gli facciano la guardia, per divorare l'anima del morto. E l'anima di George era del diavolo, oh sì, se lo era! Riesce a immaginarsi che orrore deve aver provato quel poveretto, davanti al cadavere, con in mano la vanga? Cosa può aiutare a superare un orrore del genere? Lei dice che l'omicidio non ha alcuna importanza per il turismo. Ma io sento che Glennkill potrà riprendere a vivere solo quando quella pecora nera avrà lasciato il nostro gregge."

Beth si alzò all'improvviso, con movimenti sorprendentemente fluidi. Othello la guardò ostile. Una volta in piedi, Beth perse quel piccolo slancio di eleganza che l'aveva colta così inaspettatamente.

"Se ha delle domande da farmi - sul turismo, intendo - la prego di venire all'ufficio parrocchiale. Tutti i giorni dalle dieci alle dodici, tranne al mercoledì, dalle nove."

Si stava per girare, quando la rossa la prese gentilmente per la manica. I suoi occhi erano ancora sottili. "E se ho delle domande su George?" sussurrò a Beth. Una voce profonda. Roca e bella. Una voce da lettrice.

Beth si bloccò. I suoi occhi puntarono un'altra volta il cielo impeccabilmente azzurro. Quando alla fine tornò a guardare la donna, sulle sue labbra c'era l'ombra di un sorriso.

"In questo caso," sussurrò, "venga da me stasera. La casa azzurra di fronte alla chiesa. Davanti c'è un take-away. Dietro abito io."

Beth si voltò e presto non fu altro che una figurina nera dai profili netti, sempre più piccola sullo sfondo del cielo pomeridiano. La rossa, immobile, la seguì con lo sguardo. Nella ciotola dell'insalata giaceva, dimenticato, l'ultimo pomodoro.

Quell'ultimo pomodoro se l'era preso Othello. Se ne stava là tutto trasognato, osservando la donna mentre faceva sparire tutte le cibarie nel suo cestino, per poi avviarsi pensierosa lungo le scogliere in direzione del villaggio. Intorno a lui si potevano vedere facce di pecore invidiose. Ma

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come faceva Othello a sapere sempre cosa fare? Chi gli aveva insegnato ad affrontare gli uomini in questo modo? Piazzarsi semplicemente di fronte alla donna, non insistente, ma nemmeno timido, proprio nel momento in cui lei stava per riporre la ciotola con l'insalata. La rossa si era messa a ridere con la sua bella voce roca, "alla George", e aveva teso la ciotola a Othello. E Othello si era mangiato senza fretta quell'ultimo pomodorino.

Ora l'umore delle pecore si era fatto pessimo. Nessuna avrebbe osato fare ciò che aveva osato fare Othello, e tanto meno con una donna del tutto sconosciuta, ma tutte gli invidiavano il pomodoro. Solo Miss Maple aveva un'espressione pensierosa. Pascolava assorta nei suoi pensieri, passando di fianco a un imponente cespo di trifoglio. E da questo si poteva intuire fino a che punto fosse assorta nei suoi pensieri.

"Stupida non è," mormorava Miss Maple, più a se stessa che ad altri. "Beth non è stupida. Sì, forse pensa troppo alle anime e troppo poco agli uomini, ma non è stupida."

"E nemmeno la rossa è stupida," disse Othello, forse con un po' troppo di orgoglio.

"Eh no," annuì Miss Maple. "La rossa non lo è per niente.""Mai avrei pensato che George avesse una figlia," disse Maude. "L'avete

sentito anche voi?" Ora alcune pecore si erano raccolte per seguire l'interessante conversazione che si stava svolgendo fra Maple, Othello e Maude. Annuirono. Odore di famiglia. Sudore e pelle e capelli. Senza alcun dubbio la figlia di George.

"Non sappiamo che cosa tutto questo significhi," disse Cordelia. Era vero. Fra le pecore non aveva importanza chi fosse il padre, quello che monta. Ma chi poteva dire come stessero le cose fra gli uomini? Nei romanzi di Pamela una volta c'era stato un padre che aveva rinchiuso la figlia per impedirle di fuggire con un barone.

"La Pamela delle mele, a ogni modo, non è la madre," disse Cloud. Di nuovo si guardarono perplesse. Che cosa voleva dire? Era importante?

"Ha detto una cosa importante," continuò Miss Maple. "Proprio come George, dice cose importanti, ma in un modo tale che anche una pecora le possa capire. Ha detto che gli uomini sono animali da gregge. Mi sembra un'osservazione pertinente."

Ora Miss Maple si era completamente dimenticata di pascolare e trottava concentrata avanti e indietro.

"Abitano tutti nello stesso posto, giù al villaggio. Arrivano insieme per dare un'occhiata alla vanga. Quindi sono animali da gregge. Ma perché..."

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Miss Maple si fermò."Perché ci sembra una cosa così nuova? Perché non sapevamo che gli

uomini sono animali da gregge? La risposta è semplice."Miss Maple fissò intensamente le pecore che le stavano attorno. Dalle

loro espressioni intuì che la risposta non era poi così semplice. Ma proprio quando stava per riprendere a parlare, Sir Ritchfield belò indispettito.

"Ha lasciato il gregge! George ha lasciato il gregge!"Alcune pecore belarono nervosamente, ma Miss Maple si limitò ad

annuire."Proprio così," disse lei, "George deve aver lasciato il gregge. O non ha

mai fatto parte del gregge degli uomini. Oppure ne è stato cacciato. Era sempre arrabbiato con la gente del villaggio, questo lo sappiamo tutte. Ma era arrabbiato perché lo avevano cacciato? Oppure era già arrabbiato con loro ed è per questo che ha lasciato il gregge? Può darsi che da solo fosse vulnerabile, proprio perché aveva lasciato il gregge. E addirittura può darsi che la sua morte sia stata una punizione, una punizione per aver lasciato il gregge."

Le pecore tacevano inorridite. A loro pareva terribile che il loro pastore avesse abbandonato il gregge.

"Ma i cani del diavolo," sussurrò Cordelia, "quelli non se li è certo meritati,"

Lane rabbrividì. "Devono essere cani spaventosi, se persino gli uomini hanno paura di loro. Lo spirito del lupo potrebbe forse essere un cane del diavolo."

Al pensiero dello spirito del lupo, una paura nebulosa si insinuò nella lana delle pecore, nonostante il sole brillasse sopra il pascolo. Involontariamente si strinsero le une alle altre. Cloud iniziò a belare spaventata.

Solo Maude assunse un'espressione ironica. "Non è necessario che i cani del diavolo siano poi tanto grandi" disse, "se si considera quanto piccole siano le anime degli uomini. Non più alte di un ginocchio di pecora - al massimo - direi. Per loro è sufficiente un cane piuttosto piccolo."

Le pecore pensarono al cane più piccolo che avessero mai visto. Era grande quanto una grossa barbabietola, con il pelo dorato e il naso piatto, e aveva abbaiato alle pecore standosene in braccio a una turista. Forse i cani del diavolo avevano quell'aspetto? O forse quell'aspetto ce l'aveva lo spirito del lupo? Le pecore si rilassarono. Di cani del genere non si dovrebbe davvero aver paura.

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Miss Maple scosse la testa impaziente."Ma il punto è che gli uomini credono che le loro anime siano grandi,"

disse. "Beth aveva ragione. Gli uomini si immaginano che i cani del diavolo siano grandi e terribili. Quindi, perché non hanno avuto paura di infilzare George con la vanga?"

Le pecore ci pensarono sopra senza arrivare a una risposta.Maple continuò a pensarci. "Ora sappiamo perché nessuno ha sentito

George gridare. Semplicemente perché non ha gridato. Perché era già morto, quando è stato infilzato con la vanga. Ed è per questo che aveva un'espressione serena. Per questo c'era così poco sangue sul prato."

Le pecore a quel punto si meravigliarono. Ora che Miss Maple lo aveva spiegato, tutto risultò chiaro, chiaro come una pozza d'acqua limpida.

Miss Maple sbatté le orecchie per scacciare delle mosche fastidiose. "Ma questo non spiega niente. Anzi, si tratta di un nuovo enigma. Fino a questo momento abbiamo sempre pensato che la vanga fosse lì per uccidere George. Ma perché qualcuno dovrebbe infilzare George con una vanga, quando George è già morto?"

Silenzio imbarazzato. Come poteva una pecora trovare la risposta a una domanda tanto difficile? Ma Miss Maple non sembrava scoraggiata, e non la smetteva di trotterellare avanti e indietro tutta vispa.

"Ora, naturalmente, si aprono nuove possibilità. Forse ci sono due diversi omicidi - uno che ha avvelenato George e un altro che pensava di uccidere George con la vanga. Oppure la vanga era lì per nascondere il vero omicidio. Ma a me..." Miss Maple fece una pausa e strappò un paio di margheritine, "la vanga sembra una stupidaggine. Come una cosa architettata da un paio di agnelli. Forse l'assassino ha avuto il coraggio di usare la vanga proprio perché non era da solo."

Più tardi, mentre le altre pecore si erano sparse per il pascolo a brucare, l'agnello senza nome si trovava ancora nel punto in cui si era tenuta la riunione, come se ci avesse messo radici. Aveva ascoltato tutto - raggomitolato al sicuro fra la lana morbida di Cloud. All'inizio era più interessato al caldo. Ma poi si era messo ad ascoltare. E, sprofondato nella lana di Cloud, aveva cominciato a tremare. Si era augurato di avere più coraggio, molto di più, per riuscire a parlare una seconda volta di fronte a tutte quelle pecore anziane ed esperte. Ma gli avrebbero creduto? Lo avrebbero ascoltato? Alla fine non aveva osato.

Avrebbe voluto dire che era tutto sbagliato. Che Miss Maple, la pecora

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più intelligente di Glennkill e forse del mondo, aveva commesso un terribile errore.

Perché lo spirito del lupo non aveva il pelo dorato come quel minuscolo cane in braccio alla turista. Lo spirito del lupo era orribile, ispido e grigio. L'agnello sapeva di non doverlo dimenticare, e sapeva anche di non poter far finta di niente. Lo spirito del lupo continuava ad andarsene in giro per le colline selvagge, al di là del pascolo. La sera, quando la luna era già alta ma il cielo non era ancora scolorito, e tutte le cose emanavano l'odore più intenso e sincero, lo si poteva sentire. Così come si poteva sentire il buio anche a occhi chiusi. Era sbagliato combattere lo spirito del lupo dentro la propria testa, mentre lui se ne stava là fuori. L'agnello si ricordò che al dolmen lo spirito del lupo aveva allargato le sue ali nere, e sentì per la seconda volta quel grido roco.

Intorno a lui le altre pecore pascolavano in tutta tranquillità.

Ma un attento osservatore avrebbe notato che la pace al pascolo era solo apparente. Che lento, ma deciso, un gruppetto di pecore particolarmente ardite si era raccolto dietro al capanno, là dove Ritchfield non le poteva vedere.

Queste pecore pensavano di lasciare il gregge.Era stata Miss Maple a istigarle.Era decisissima ad andare al villaggio di nascosto quella sera, per

ascoltare non vista la conversazione fra Beth e la rossa. Ma andarci di nuovo da sola, no - non ci si poteva fidare. Quindi aveva reclutato le pecore più coraggiose del gregge: Zora, Othello, Lane - capace di pensare in modo pratico come nessun'altra -, Cloud, la sua compagna di pascolo, e Mopple, con la sua memoria eccellente.

Va detto che fino a quel momento la proposta non aveva suscitato grande entusiasmo.

"Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge!" belò Cloud. Con questo le sembrava di aver detto tutto quello che c'era da dire.

"Ma noi non lasciamo il gregge," spiegò Maple. "Se una pecora va via da sola, allora lascia il gregge. È stato un errore da parte mia. Non lo farò più. Nessuna pecora può tollerarlo." Maple si diede una scrollata.

"Ma se sono più pecore ad andare - due o tre -, allora non lasciano il gregge. Perché sono un piccolo gregge!" Belò trionfante al gruppo.

"Potremmo andarci tutte," belò Cloud. "Se ci vanno tutte, vengo anch'io!" Fece un'espressione imbarazzata.

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Maple scosse la testa. "Non possiamo andarci tutte. Darebbe troppo nell'occhio. Tutto il giardino di Beth sarebbe pieno di pecore - se Beth ha un giardino. Le verrebbero dei sospetti."

Questo fu evidente a tutte."Solo poche pecore," continuò Miss Maple. "Così si possono nascondere

sotto i cespugli e all'ombra degli alberi, e se qualcuno le vede, penserà solo che si sono perse. Trottiamo verso la casa di Beth, ascoltiamo e torniamo indietro. Semplicissimo!"

"E dov'è la casa di Beth?" chiese Zora. "Potrebbe essere ovunque!""È vicina al take-away. Presso la chiesa. Ed è azzurra," disse Miss

Maple."Ma come facciamo a trovare il take-away? O la chiesa? Non sappiamo

nemmeno che cos'è un take-away," domandò Lane.Le pecore si prepararono a un silenzio lungo e imbarazzato, in parte

deluse e in parte sollevate dal fatto di non essere obbligate a far parte di quella pericolosa spedizione. Dopo una pausa adeguata, si sarebbero dedicate nuovamente al pascolo.

Ma poi fu Mopple the Whale ad aprire bocca."Nel take-away ci sono le patatine fritte," mormorò perso nei suoi

pensieri mentre ruminava. Era evidente che non ci aveva fatto caso. Solo quando notò il silenzio delle altre pecore, alzò la testa e guardò direttamente Maple, che lo fissava con gli occhi che le brillavano.

Mopple era l'unica pecora del gregge che avesse esperienza di patatine fritte. Una volta George gli aveva teso uno di quei bastoncini gialli e unti per dimostrargli che non gli sarebbe piaciuto. Ma la prova era miseramente fallita, e da allora Mopple sapeva che odore avessero le patatine fritte, e anche che sapore. E si sarebbe ricordato dell'odore.

Mopple alla ricerca di cibo: sarebbe stata la loro pecora guida. Un piano infallibile.

10Gerani per Mopple

Nel bel mezzo di Glennkill si trovava una piccola piazza anonima: quattro alberi non curati, una panchina, una colonna di marmo con un'iscrizione, e una siepe dietro cui ci si poteva nascondere. La siepe gettava due ombre: una spenta nella luce dorata, una netta circondata da una luce pallida.

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Su un lato della piazza c'era una casa dal tetto a punta, illuminata d'oro dalla luce dei fari. Sull'altro lato brillava la fredda luce al neon del take-away.

Dietro il take-away era in attesa l'oscurità.E nell'oscurità erano in attesa tre pecore.Maple, Othello e Mopple the Whale si erano messe in cammino al

crepuscolo per ascoltare di nascosto la conversazione fra Beth e la rossa. Mopple aveva un'espressione contrariata. Per convincerlo a far parte di questa spedizione gli erano state promesse delle patatine fritte, ma poi Maple e Othello lo avevano spinto via in fretta dalla porta del take-away. E ora Mopple si ritrovava lì a spiare attraverso la finestra della casa di Beth, standosene a guardare Beth che si mangiava un piatto di verdure crude: cavolo rapa, carote, ravanelli, sedano, e come dessert una bella mela rossa. Per riuscire a vedere qualcosa, Mopple doveva appoggiarsi con le zampe anteriori a una fioriera collocata di fronte alla finestra e allungare il collo. E a causa di quella posizione inconsueta cominciava a fargli male la schiena. La vita era davvero ingiusta con lui.

Dalla strada provenivano rumori inquietanti - un ronzio di motori, risate di uomini, latrati di cani. Il cortile li catturava e li faceva oscillare tra il muro della casa, un muretto e la parete nuda del garage.

Dopo aver finito di mangiare, Beth si alzò. Aveva lasciato indietro una carota, tre ravanelli, un gambo di sedano e la metà di quella bella mela rosa. In Mopple risorse la speranza. Ma Beth portò via il piatto dalla stanza e tornò un attimo dopo a mani vuote. Poi si sedette in poltrona e si dedicò alla fabbricazione di una catenina di perline di legno. Beth faceva passare le perline tra le dita e mormorava fra sé e sé. Padrenostrochesei...

Quando una serie di passi decisi giunse nel cortile, già oltre il take-away, Beth sembrava non averli neppure notati, tanto era impegnata. Ma le pecore capirono subito chi era la persona che stava doppiando l'angolo risoluta, disegnando per terra un'ombra netta alla luce del neon. Aveva ancora un buon odore, anche se la puzza di sigarette lo aveva leggermente velato.

Mopple iniziò a cercare una via di fuga nel cortile interno. Ma alla fine tutte le pecore mantennero la propria posizione. Lo avevano già provato prima. Se la rossa fosse arrivata davvero solo fino alla porta, sarebbero rimaste lì, nascoste da un arbusto di ginestra, protette dai suoi sguardi.

La donna bussò e Beth, nella poltrona, trasalì. Ripose in fretta il suo lavoro, si fece con il pollice destro un segno sul petto e si affrettò verso la

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porta. Poi, Beth dentro e la donna fuori, scomparvero dalla vista delle pecore, che non poterono sentire nient'altro che un mormorio indistinto. Era eccitante. Non avevano mai visto l'interno di una casa degli uomini. Evidentemente entrare e uscire non erano la stessa cosa.

Alla fine la porta si aprì. La rossa, non più in rosso ma in pantaloni blu e camicetta verde, entrò, seguita da Beth.

"Rebecca," disse la donna. "Puoi chiamarmi Rebecca."Ma Beth non disse nulla e le due donne per un po' si guardarono in

silenzio."Lei non è venuta qui come turista," disse Beth alla fine. "Lei è qui per

George." Era una constatazione.Rebecca annuì. "Vorrei sapere il più possibile sulla sua vita. E sulla sua

morte. Se poi posso fare incrementare il turismo, beh, tanto meglio." Un sorriso ironico, che Beth era però troppo concentrata per notare.

"Perché? È una della polizia? Lo sa il cielo quanto sarebbe ora che quelli facessero finalmente qualcosa."

Rebecca arrossì. "No," disse, "in realtà sono qui per... beh, diciamo per motivi personali, molto personali."

Gli occhi di Beth si fecero sottili. "Eppure lei non sa quasi niente di lui," disse. "Non restano molte altre possibilità..."

Rebecca aveva abbassato gli occhi e taceva."E lei viene da me!" La voce di Beth suonava esaltata, quasi come un

tempo, quando spingeva i fascicoletti in mano a George. "Proprio qui da me! E io che pensavo che lei fosse una persona per bene. Dovrei cacciarla via, con la Buona Novella, ma cacciarla via. Che cosa va cercando da me?"

Rebecca aveva risollevato lo sguardo. Continuava a sorridere, ma ora appariva molto più triste. "Lei forse lo chiamerebbe perdono," disse piano.

La risposta di Rebecca ottenne senza fatica ciò che nessuna delle osservazioni velenose di George era mai riuscita a ottenere: Beth se ne stava lì, come trafitta da un fulmine. Per un po' nessuna delle due disse niente. Le mani sottili di Rebecca disegnavano linee ricurve sul cassettone.

Mopple si annoiava. Allungò il collo, provò uno dei gerani che si trovavano nella fioriera e masticò rumorosamente. Othello gli gettò un'occhiata irritata. Mopple ricambiò con uno sguardo innocente.

Dietro il vetro Beth era bianca come un lenzuolo."Oh mio Dio," sussurrò. "Mio Dio." Poi sembrò venirle in mente un

altro pensiero. Si calmò un po'."The?"

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Rebecca annuì.Fuori si udì del fracasso. Mopple, alla ricerca di un bocciolo di geranio,

si era piegato un po' troppo, aveva perso l'equilibrio e ora se ne stava lì perplesso a zampe all'aria.

Othello sbuffò. "Mopple, se ne mangi ancora anche solo una foglia, domani ti inseguirò per tutto il pascolo fino a farti diventare magro come una vecchia capra." Mopple smise di masticare e si rimise di nuovo sulle zampe; Maple gettò uno sguardo di rimprovero a entrambi; e infine i tre tornarono ai rispettivi posti di osservazione all'ombra dei gerani.

Nel frattempo, però, Beth e Rebecca erano scomparse. Al loro posto tintinnava la porcellana.

"Non riuscirà a trovare niente," disse la voce di Beth. "Non se chiederà alla gente."

"È davvero così terribile?" chiese la voce di Rebecca."Da non credere," disse la voce di Beth. "Davvero, da non credere,

proprio perché nessuno sa niente. Solo poche cose, e insignificanti, che non combaciano l'una con l'altra. Tutto il villaggio è marcio, come l'interno di una mela, mi spiego? Esattamente come una mela."

Mopple fece una smorfia. Era stato un errore venire al villaggio. Stava per staccarsi dalla fioriera, quando Miss Maple riuscì a capire che cosa ne era stato di Beth e Rebecca. Non erano scomparse. Erano solo sprofondate nelle rispettive poltrone e i gerani ne impedivano la vista. Che seccatura.

"Guardi questo," disse Beth. Qualcosa frusciò sul piano del tavolo."Oh," fece Rebecca.Beth emise una debole risata. "Ma la cosa davvero interessante riguarda

il luogo in cui l'ho trovato."A quel punto Maple non poté più trattenersi."Mopple," belò Maple a voce bassa, ma decisa come un montone capo,

"mangia i gerani. Fai un buco fra i gerani. Subito." Mopple era il divoratore più veloce di tutta Glennkill. Un paio di ciuffi di gerani erano un gioco da ragazzi per lui. Ma Mopple non si muoveva. Se ne stava lì tra Maple e Othello con l'aspetto di uno che abbia lo stomaco sottosopra.

"Mopple the Whale!!!" Miss Maple era adirata come non le capitava da tempo. Mopple la guardò con aria afflitta. Poi si girò verso Othello.

"Mangiali," sibilò Othello a denti stretti.In un battibaleno, là dove un tempo crescevano i gerani, ora c'era il

deserto. E oltre quel deserto le pecore poterono finalmente vedere Beth e Rebecca sedute accanto a un tavolino. Se una di loro due avesse guardato

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fuori dalla finestra, sarebbe sembrato che Beth avesse piantato tre teste di pecora nei vasi dei fiori. Per fortuna, però, né a una né all'altra venne un'idea simile. Erano troppo prese dalla conversazione.

"Tutto lascerebbe pensare a uno stupido scherzo da ragazzi," disse Beth."Hmmm," fece Rebecca.Stavano esaminando un fascio di paglia appoggiato sul tavolo in mezzo

a loro. Qualcuno aveva legato insieme la paglia in modo che il fascio risultasse fornito di braccia, gambe e testa. E in mezzo a questo fantoccio quel qualcuno aveva poi piantato un ramo.

"Sa come i bambini chiamavano George? Re dei folletti! Riesce a immaginarselo? Da dove l'hanno preso... Quei senza Dio! Solo alle sue spalle, non occorre nemmeno dirlo. Oh, lo temevano come se fosse stato il diavolo in persona..."

Rebecca annuì. "E lei ha pensato...""A uno stupido scherzo da ragazzi, appunto. Non sarebbe neanche stata

la prima volta." Beth sospirò. "L'ho trovato la scorsa settimana sui gradini del capanno di George. Non ho mai rinunciato a lui, sa, nonostante mi prendesse in giro. Ma quella volta non c'era. Negli ultimi tempi in realtà c'era di rado. Allora ho preso con me questa cosa. Ho pensato ai bambini, con quella sciocchezza del re dei folletti, insomma, non valeva la pena di arrabbiarsi."

"E invece ora lei pensa...""Ora penso che si trattasse di un avvertimento. E mi sento in colpa,

perché George non lo ha visto." Beth fece un sorriso triste. "Ma non è poi così terribile. George non ci avrebbe fatto caso comunque. So bene quanto George non abbia mai dato ascolto agli avvertimenti."

Tacquero."Perché negli ultimi tempi George non era quasi mai al pascolo?" chiese

Rebecca. "Che cosa faceva, quando non era lì?"Beth si strinse le mani. "Se solo lo sapessi. Quando andava via, per

quanto ne so, si vestiva come si deve. Un vero vestito, con la camicia bianca. Sembrava dieci anni più giovane. Un vero damerino. Naturalmente la gente mormora. Ma io non credo a una sola parola di quello che dicono. Credo andasse in città, a Dublino, per uffici, in banca, cose del genere insomma. Se ne voleva andare via da Glennkill, capisce?"

"Ma c'era qualcuno che non voleva che se ne andasse?" chiese Rebecca.Beth annuì."Storie di donne?"

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Beth scosse il capo scandalizzata. Rebecca sollevò le sopracciglia."Questioni di soldi?" domandò poi.Beth emise di nuovo una debole risata. "Questo sono in molti a

chiederselo. Soldi, è tutto quello a cui riescono a pensare. Quei senza Dio! Ma sarà poi vero che George aveva dei soldi? No, il giusto, direi. Quello che gli bastava per vivere. Un pezzetto di terra, qualche pecora, una casetta e nessun grosso affare. La maggior parte della gente ha di più. Guadagnano tutti molto bene con il turismo, nonostante se ne lamentino. Ma, d'altro canto... Talvolta George aveva delle cose. Cose care, carissime. Un orologio, per esempio, un orologio che in tutta Glennkill non si sarebbe mai potuto permettere nessuno, nemmeno Baxter, l'oste, per quanto con il bed & breakfast ora sia davvero il ritratto del benessere. In senso figurato, intendo. Se mai lo vedrà, capirà perché dico 'in senso figurato'." Beth fece una risatina da adolescente.

"Ma George non dava importanza a quell'orologio di lusso. Non se lo toglieva nemmeno mentre piantava i ravanelli." Le mani di Beth giocherellavano con il fantoccio di paglia. In modo sottile la sua voce aveva assunto un tono come di ammirazione.

"Ora, naturalmente, tutti aspettano l'apertura del testamento. Se ne occuperà un avvocato di città, questa domenica, all'aperto. George ha stabilito tutto nel dettaglio. Soldi, è questo che interessa a quei senza Dio. Mi creda, fino a ora nessun evento ha mai suscitato tanta attesa, nemmeno quello stupido concorso per pecore."

"Il concorso per la pecora più intelligente di Glennkill," disse Rebecca sorridendo. "La calamità studiata apposta per attirare turisti. E George le ha rubato la scena."

"Se la può anche risparmiare," disse Beth. "Quello che fanno con gli animali. Ridicolo. Io ci devo andare - per la faccenda della beneficenza."

Dal braccio del pupazzetto intanto si era sollevato un filo. Sembrava che tenesse in mano uno stelo di paglia. Le dita sottili di Beth avvolsero esperte un singolo filo intorno al mazzetto, fino a quando il pupazzetto non risultò di nuovo intatto.

Maple intanto stava avendo una pessima sensazione, che dalle zampe le scendeva fino alla punta dei piedi. Era come se le sue orecchie fossero state tappate con della lana, come se la lastra di vetro fra loro e Beth fosse fatta di vetro oscurato. Ascoltava e vedeva, ma aveva sempre la sensazione di trovarsi nella nebbia. La cosa durò un attimo, fino a quando Maple comprese che cosa ci fosse all'origine di quella sensazione. A causa della

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lastra di vetro lei non riusciva a sentire l'odore di Beth e Rebecca. L'odorato non le rivelava se le due donne stessero dicendo la verità, che cosa stessero provando e che cosa temessero. Un mondo spaventosamente imperfetto. Per gli uomini, con le loro piccole anime e i loro inutili nasi sporgenti, doveva essere sempre così. Maple rifletté su che cosa tutto ciò significasse. Mancanza di fiducia. Insicurezza. Paura. Ecco, significava paura.

"... volubile, lunatico," stava dicendo Beth. "Io non ci credo. Il cuore umano è strano. Può attaccarsi a una sola cosa nella vita, e dove si attacca, là muore, nel bene e nel male."

Le pecore si meravigliarono. Beth prima parlava sempre e solo della Buona Novella e delle "buone opere" e definiva tutto il resto "chiacchiere frivole". E all'improvviso anche lei chiacchierava in modo frivolo, senza mettere in mano a Rebecca un solo fascicoletto. La sua nuova spensieratezza ricordava quella di un agnello. Audace e allo stesso tempo vulnerabile. Doveva essere molto eccitata.

"Prenda Ham, per esempio," disse Beth. Rebecca la guardò incredula."Ham?""Sì, Abraham Rackham, il macellaio," spiegò Beth. La sua espressione

passò dalla smorfia alla risata. "Se intende scoprire qualcosa di questo posto, deve prima di tutto imparare come la pensa la gente di qui. È chiaro che per loro Abraham è un nome troppo lungo. Più di due sillabe in un nome. Non ce la si può fare."

Rifletté per un momento. "Va da sé che ci possono anche essere delle eccezioni. Gabriel, per esempio. Strano, non ci avevo mai pensato prima. Nessuno qui oserebbe chiamarlo 'Gabe'."

"Ma 'Ham'?""Quando lo vedrà, capirà. 'Abe' forse sarebbe stato più normale, non che

qui la gente sia molto creativa. Ma abbiamo già un 'Abe', e poi bisogna tenere conto dei due 'ham' finali e della professione. Oh, lo dovrebbe vedere!"

"Che mi dice di Ham?""Se io fossi in lei, comincerei senz'altro da lui. Si comporta sempre in

modo così devoto, come se fosse l'unico al mondo ad avere letto la Bibbia. Ma la gente ha paura di lui. E anche lui - anche lui ha paura. Nella sua macelleria... ha un sistema di videosorveglianza. Da sempre. Sin da quando queste cose si vedevano solo nei film americani. Ma per quale motivo un macellaio ha bisogno di un sistema di sorveglianza del genere?

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Non ce l'hanno nemmeno in banca. Si potrebbe pensare che sia un paranoico. Ma non lo è, basta guardarlo per capire che non lo è. Io credo invece che abbia davvero paura. E ciò significa che ha qualcosa da nascondere. È questo quello che penso. Una volta gliene ho parlato, alla raccolta di fondi di Natale."

"E?""È diventato rosso. Irritato. Imbarazzato. E Ham non è uno che si

imbarazzi facilmente. Non voglio neanche sapere che cosa potrebbero trovare nel suo macello. Dio ci aiuti!"

Lo stomaco di Mopple nel frattempo stava producendo strani rumori. Othello lo fissò con aria di rimprovero.

Rebecca si passò la lingua sulle labbra. "Strano posto, questo. Non me lo sarei mai aspettato. Pensavo fosse un posto tranquillo."

"Era tranquillo," disse Beth. "Prima era un posto tranquillo.""Evidentemente non abbastanza."Beth scosse la testa. "Non intendo dire prima della morte di George.

Intendo dire molto prima. Anni fa." Beth ci pensò su un attimo. "Sette anni fa, per la precisione. Sono stata in Africa sei mesi. E quando sono tornata, tutto era diverso. Più superstizione. Meno timor di Dio. E George l'ha presa malissimo. Da quel momento si è allontanato sempre di più - mah, non so..."

"Cosa era successo allora?""Niente, è ovvio," disse Beth con amarezza. "Per lo meno stando a

quanto mi hanno raccontato. Ma da allora," Beth si piegò nuovamente in avanti, "da allora tutti attendono la redenzione."

Le ginocchia di Mopple cominciarono a tremare. Scivolò giù dalla fioriera e si trovò a fissare con occhi vitrei il muro del garage. Improvvisamente il suo odore era acido come quello della sorba fermentata. Mopple strabuzzò gli occhi. Una colica! Mopple the Whale, una pecora in grado di mangiare enormi quantità di trifoglio fresco a stomaco vuoto, stava avendo una colica. Quei gerani dovevano essere opera dei lupi!

Othello e Maple si misero ai fianchi di Mopple impedendogli di sdraiarsi. Andare avanti e indietro era l'unica cosa da fare quando si aveva una colica. Questo lo avevano imparato da George.

"Avanti, Mopple," sussurrava Maple. "Ancora un passo, poi un altro.""Non belare, Mopple," bisbigliava Othello.Mopple proseguiva barcollando, con gli occhi sbarrati, ma non belò.

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Maple e Othello lo spingevano avanti e indietro nel cortile interno del take-away.

Poi tutto d'un tratto la porta si aprì. L'odore acidulo di Beth fuoriuscì. Era come se Beth conservasse in casa il proprio odore concentrato e ne portasse con sé solo una piccola quantità. L'odore pieno e caldo di Rebecca si snodava come un agile furetto in questo deserto di odori. Era già nel cortile. Mopple, Maple e Othello erano riuscite a rifugiarsi dietro un cespuglio di ginestra.

"Grazie davvero," disse Rebecca rivolta verso l'odore desolante che aleggiava sulla porta. "Mi è stato di grande aiuto, soprattutto quello che lei mi ha detto alla fine."

Sorrise in modo furbo. "Ora ho fame. Crede che il take-away sia ancora aperto?"

"No," si sentì dalla porta. "È un miracolo se rimane aperto di giorno. Ma potrebbe mangiare qualcosa qui da me. Pane e insalata?"

"No, la ringrazio." Rebecca tornò a sorridere e fece un paio di passi verso la strada. Poi si girò ancora una volta.

"Ma c'è una cosa che non capisco," disse. "È chiaro che lei non ha una grande opinione di Glennkill. Perché è rimasta allora?"

Dalla porta, silenzio. "Diciamo per motivi molto personali," sussurrò una voce che nessuna delle pecore avrebbe riconosciuto come quella di Beth.

"George?" chiese Rebecca, ma la porta si era già chiusa. Rebecca vagò pensierosa per il cortile per poi scomparire dietro l'angolo.

Era proprio ora. Mopple si stava contorcendo. Lo spinsero di nuovo avanti e indietro nel cortile. Maple gli sussurrava parole di consolazione, Othello di minaccia.

A un certo punto Mopple si fermò."Avanti!" belò Maple. Othello diede a Mopple una spinta per nulla

delicata con il muso."No!" disse Mopple con voce flebile."Devi," ringhiò Othello"No," ripeté Mopple. "Non ce n'è bisogno. Non capite? Mi è passata.

Ora ho di nuovo fame!"

Quando le tre pecore ebbero lasciato il cortile del take-away, per le strade regnava il silenzio. Mopple era sempre un po' traballante sulle zampe, ma riuscì a mangiare un paio di fiori che qualche sprovveduto aveva piantato

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attorno alla colonna di marmo nella piazzetta.Miss Maple aveva preso la via del pascolo, ma già dopo pochi passi si

accorse che Othello non li stava seguendo. Il montone nero se ne stava accanto alla colonna di marmo come una piccola nuvola scura. Maple gli belò in segno di incoraggiamento, ma Othello scosse la testa.

"Io rimango," disse Othello. Maple tese le orecchie curiosa. Ma Othello fece soltanto un'espressione misteriosa e un momento dopo era già scomparso nell'ombra della siepe. Miss Maple lo avrebbe seguito volentieri, ma Mopple the Whale odorava di confusione, lacrime negli occhi e ginocchia tremanti, e lei non lo voleva lasciare solo. Tornarono insieme al pascolo.

Gli occhi di Mopple erano ancora leggermente vitrei. Maple trottava accanto a lui di buonumore come non le capitava da tempo.

"È stata un'esperienza interessante," disse. "Non vorresti sapere anche tu che cosa è successo sette anni fa?" Ci pensò sopra. Sette anni. Un tempo incredibilmente lungo. Maple era la pecora più intelligente di Glennkill, ma immaginarsi sette anni, proprio non ce la faceva. Ci provò con sette estati. Niente. Sette inverni? Riusciva a ricordarsi davvero solo dell'ultimo, quando George aveva inchiodato un vecchio tappeto davanti alla porta del fienile per proteggerle dal vento gelido. Prima c'era stato un altro inverno, e prima un altro ancora. Poi, le tracce dell'inverno si perdevano nel buio.

Mopple, intanto, aveva seguito i propri pensieri."È stato il macellaio," gemette."E perché mai?" Maple guardò preoccupata Mopple. "Perché ha un

sistema di videosorveglianza? Ma se non sappiamo nemmeno che cosa sia un sistema di videosorveglianza."

Mopple assunse un'espressione testarda."A nessuno piace il macellaio," continuò a riflettere Maple. "Ma

nonostante questo, gli uomini sotto il tiglio avevano paura che lui morisse." Scosse la testa. "C'è così tanta paura in questo posto. Tutti gli uomini hanno paura. È un miracolo che George ne avesse così poca."

"Ma, a lui, volevano fare paura," disse Mopple. "Con la paglia." Scosse la testa pensando a quanto poco ci capissero gli uomini. Sulla terra esistevano cose terribili e spaventose, ma la paglia non era decisamente una di queste.

Maple annuì. "Un avvertimento." Poi le venne in mente qualcosa e si fermò. Mopple la guardò con aria interrogativa.

"Mopple," disse Maple, "se una figura così piccola infilzata con un

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rametto rappresentava un avvertimento per George, non potrebbe essere che George infilzato con una vanga ora rappresenti un grosso avvertimento per qualcun altro?" Mopple la guardò perplesso, ma Maple non era in attesa di una risposta. Con i suoi pensieri era già oltre.

"E i bambini avevano paura di George. Perché? Perché tutti i bambini? Che cosa c'era di così terribile in George, da far sì che tutta quella gente lo temesse?"

"Mopple," disse, "memorizza 're dei folletti'.""'Re dei folletti'," ripeté ansimando Mopple.

11Othello viene scambiato per un altro

Trovare la casa di Dio non fu un problema per Othello: la casa più grande del villaggio, alta e con il tetto a punta — proprio come aveva detto Cloud. Più difficile sembrava entrarci. A differenza delle altre, questa casa era illuminata sul davanti. Solamente sotto l'arco della porta si apriva un cono d'ombra. Da qualche parte, lontano, un cane guaiva e si sentiva della musica. Per il resto, niente. Othello attraversò rapido il cortile illuminato. Due lunghe ombre di pecora trottavano accanto a lui, e una terza, ancora più lunga e molto pallida, li seguiva. Ma, pur essendo in quattro, non facevano praticamente rumore.

All'ombra della porta Othello fu di nuovo solo. Fiutò. Fuori si sentiva l'odore della strada, delle auto e di una notte estiva di velluto, mentre dall'interno strisciavano all'aperto, attraverso le fessure, odori freddi, aspri, che solleticavano le narici.

Nessun uomo, nessun essere vivente.Oppure no?Quando cominci a fidarti, dovresti smettere, sussurrò la voce nella sua

testa. Othello fiutò ancora una volta.Forse uno o due topi. Certamente niente di grosso. Solo la porta lo

preoccupava. Più lunga e più larga di qualsiasi altra porta lui avesse mai visto. La maniglia era così in alto che nemmeno lui, appoggiato sulle zampe posteriori, riusciva ad arrivarci con le zampe anteriori. Sembrava che dietro questa porta abitassero dei giganti. Dio era grande, pensò Othello, ma non così grande.

Poteva forse azzannare la maniglia? Puntellò le zampe anteriori contro la

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porta e allungò il collo. La porta cedette. Non molto, ma quanto basta perché Othello capisse: la porta era aperta e la maniglia era dunque superflua.

Si lasciò cadere nuovamente sulle quattro zampe e abbassò la testa. La porta si lasciò aprire dalle sue corna da montone senza alcun problema.

Othello stette con l'orecchio teso.Silenzio.Allora mise una zampa dentro, sulla pietra fredda e lucida, poi un'altra.

Voleva mettere dentro anche una delle zampe posteriori, quando la voce tornò a farsi sentire.

In verità in ogni via ce ne sono due, disse la voce. "Avanti e indietro," pensò Othello. Si bloccò. La strada del ritorno è la più importante, aggiunse la voce beffarda.

Il montone nero sbuffò impaziente. Era irritato con se stesso. Se la porta si lasciava aprire verso l'interno, non era detto che la stessa cosa funzionasse anche nella direzione opposta.

Othello mosse un paio di passi indietro, fino a che il suo posteriore non si trovò nuovamente sotto la luce, gettando tre lunghe ombre. A quel punto abbassò le corna. Poi si lanciò in avanti. Attacco - impatto - parata a corna alzate. Una elegante sequenza di movimenti, che gli avrebbe fatto guadagnare rispetto in qualsiasi duello fra montoni.

In quel momento la pesante porta di legno si spalancò del tutto. Per un istante, alla luce della luna, Othello vide delle panche, colonne svettanti, una volta molto alta. Si trattava forse di una pista?

La porta ricadde all'indietro smuovendo una manciata di polvere. Poi oscillò verso l'esterno, oltre lo stipite. Poi tornò in avanti. E poi di nuovo verso l'esterno. Avanti e indietro. Ora ne era sicuro: avrebbe potuto aprire la porta dall'interno così come dall'esterno.

Othello attese all'ombra del portale d'ingresso, fino a quando non tornò il silenzio. Poi continuò ad attendere. La rabbia ora aveva ceduto il posto a una pazienza fredda. Presto avrebbe sfidato Dio a duello per il dolore, la sofferenza e i molti occhi avidi e indifferenti di questo mondo.

Ma quando si trovò sul freddo pavimento di pietra e la porta dietro di lui gli ebbe nascosto la luce, Othello si sentì incredibilmente a disagio. Troppe cose in questo luogo gli ricordavano il circo. L'organo, in grado di accompagnare con una musica allegra anche le cose più terribili. Le panche vuote degli spettatori. La piattaforma. Laggiù, ecco gli attrezzi di scena per la rappresentazione: un microfono, una pedana, una panchetta.

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Una spalliera di punte di ferro con sopra delle candele accese. Othello riusciva a immaginarsi le creature infelici che giorno dopo giorno venivano trascinate sopra questo strumento. Per la gioia degli spettatori. Senza dubbio era a una rappresentazione del genere che Cloud aveva assistito quella volta. Othello era felice di aver ritrovato Dio. Lo spettacolo non doveva andare avanti.

Passò tra le fila di panche. Uno spesso tappeto rosso attutiva ogni passo. Il tappeto rosso era riservato solo agli artisti. Gli uomini. Guai all'animale che per sbaglio ci metteva un piede sopra. Ma a Othello adesso questo non importava più.

Poi avvertì un rumore. Un piccolo rumore stridulo, come di una porta oliata male. O forse un animale? Oppure un uomo? Othello sbirciò con cautela attraverso le fila di panche. Davanti a lui una polvere fitta ballava alla luce della luna. Là dietro c'era un supporto. E lì era appesa, più morta che viva, una figura di uomo. Il rumore proveniva da lei? Othello rabbrividì: la vittima del numero del lancio dei coltelli? Ma non sembrava un incidente. Chiunque avesse lanciato i coltelli, sapeva esattamente che cosa stava facendo.

Quando Othello si avvicinò, capì però che il rumore non avrebbe mai potuto provenire da quella figura d'uomo. Cloud aveva ragione. Non si sentiva odore di sangue, e Othello all'improvviso ne comprese il motivo: quell'uomo era di legno.

Stranamente, questo non servì a tranquillizzare Othello. Lui sapeva che gli uomini erano in grado di creare figure di legno. Ma perché lo volessero fare, questo andava al di là della capacità di comprensione di una pecora.

Da qualche parte, nella casa di Dio, una porta scricchiolò.Passi.Dio?Il tipo dal naso lungo era apparso all'altro capo della sala, sbucato fuori

da una porta laterale. Portava con sé una piccola luce traballante.Senza far rumore, Othello scivolò come un'ombra attraverso le fila di

panche. Verso una parete, oltre la striscia di luce disegnata dalla luna. Lì si trovava uno sgabuzzino fatto di legno. Davanti, una pesante tenda di velluto. Dietro, un odore di pietra, legno, polvere e paura. Othello esitò.

La luce danzante si avvicinava.Othello superò un gradino di legno e scomparve nello sgabuzzino. Le

pieghe della tenda oscillarono. Avanti e indietro.Ma l'uomo passò oltre.

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"Non è vero che sa tutto!" pensò trionfante Othello.Il montone, con le sue quattro corna, non mosse un muscolo. Quando la

tenda si fu calmata, si guardò intorno, dentro lo sgabuzzino di legno. Una panca. Di lato un'apertura a graticola. Forse per la ventilazione. Una cassetta per il trasporto degli uomini? L'odore era quello. Qui gli uomini avevano avuto paura.

Da fuori venne un rumore metallico. Non troppo vicino.Othello decise di dare un'occhiata. Fra le pieghe della stoffa si poteva

benissimo sbirciare fuori.Il tipo dal naso lungo ora era sulla pedana. Di malavoglia si stava

dedicando alla spalliera delle candele. E di tanto in tanto guardava l'orologio. Era nervoso.

Per un po' non successe niente.Poi si percepì uno scricchiolio proveniente da fuori, uno struscio sulla

ghiaia, sempre più vicino.Dio si voltò speranzoso.La grande porta si spalancò, strofinò sulla pietra, si bloccò su una

protuberanza del pavimento. E per il colpo tremò. Attraverso quell'apertura così grande la luce si riversò dentro: non una luce di luna fredda, ma la luce gialla dei fari nel cortile.

Othello, tutto teso, restò ad aspettare. Di nuovo sentì scricchiolii e struscii. Poi nella luce comparve una figura piccola, come di un bambino, ma così larga che a stento riuscì a passare attraverso la porta. Si faceva avanti. Una strana miscela di uomo e di macchina. Un profilo nero tarchiato, con una corona di capelli arruffati, dorati alla luce dei fari. Si spingeva avanti. Ora non faceva più rumore sul pavimento di pietra, liscio. Immobile e tuttavia in movimento, quasi come se scivolasse. Una scia disorientante di metallo e medicine amare. Olio e ferite in via di guarigione. E, sotto, un odore conosciuto.

"Ham." Quello dal naso lungo sorrise cortese. "Che bello che tu stia meglio. Che bello che anche nella tua sventura tu sia venuto da me." Le sue mani scavavano nella cera profumata e calda. Ma tutto quel profumo non riusciva a coprire la puzza di sudore aspro che adesso emanava da lui.

Othello capì immediatamente che Dio odiava il macellaio più di tutto il resto, più di quanto non avesse mai odiato George. E il macellaio sembrava saperlo. Alto come un bambino, scivolò oltre il tipo dal naso lungo senza degnarlo di uno sguardo, diretto verso la figura di legno.

"Non vengo da te," disse. "Vengo da lui."

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L'altro si strinse nelle spalle, come per difendersi da una folata improvvisa. Tacque. Così Othello scoprì che anche Dio temeva il macellaio.

Mentre Ham fissava muto la figura di legno, il tipo dal naso lungo si infilò nervoso in una nicchia. Aspettò che il macellaio scomparisse. Othello sbirciò con cautela fra le tende pesanti della sua nicchia e restò in attesa. Il tempo passava e Othello poteva sentire dall'odore che quello dal naso lungo diventava sempre più nervoso.

Alla fine la sedia a rotelle del macellaio si girò. Scivolò verso la porta senza far rumore, al di là della soglia, e si allontanò scricchiolando oltre il cortile. Il sollievo si sparse nell'aria come nebbia tremante. Con cautela Dio si avviò verso la porta. Sbirciò fuori. Dovette far forza con tutto il suo corpo per smuoverla. Quando la porta alla fine si chiuse e la luce dorata fu bandita all'esterno, allora quello dal naso lungo si sentì meglio. Si mise addirittura a canticchiare.

Il suo strano abito si muoveva come acqua alla luce della luna mentre si dirigeva allo sgabuzzino nel quale si trovava Othello, passando attraverso le fila di panche. Othello ritirò fulmineo la testa - Dio doveva aver notato qualcosa. Si fermò esattamente davanti alla cassa. Mentre una mano tirava indietro la tenda, la stoffa morbida frusciava. Othello abbassò le corna. La cassa tremò, ma non entrò nessuna luce. Dio era entrato dall'altro lato dello sgabuzzino, e Othello decise che era ora di andarsene.

Ma quando si voltò, le assi scricchiolarono sotto le sue zampe."Ah," disse quello dal naso lungo, "sei già qui. Mi dispiace che tu abbia

aspettato. Ma lo vedi anche tu com'è. Non chiudo la chiesa per una sera ed ecco che lui entra." Rise.

Othello non mosse un muscolo."Ti vuoi confessare?" La voce era dura e viscida, come resina di pino.Othello tacque."Solo uno scherzo," sussurrò attraverso la grata di legno. "Sono davvero

contento che tu sia qui. Temevo non potessi venire. Si tratta di una cosa importante, stammi a sentire. Per quanto riguarda George, ho tenuto la bocca chiusa. Ma non lo farò una seconda volta. Anche io ho una coscienza."

Othello sbuffò involontariamente."Non ridere," si lamentò la voce. "Lascia in pace Ham. Non so se siete

stati voi, laggiù alle scogliere. Se sì, allora ti dico che avete commesso una sciocchezza colossale. Ma ora basta, hai capito? Se Ham ci rimane secco,

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salta fuori tutto, almeno questo ti dovrebbe essere chiaro. E poi Ham non rappresenta certo un pericolo. Perché da un momento all'altro dovrebbe iniziare a fare qualcosa? Non è che fosse poi tanto legato a George. Ha il suo sistema di videosorveglianza, la macelleria, il televisore. Ed è contento così. No davvero, di Ham non c'è da preoccuparsi."

Dalla voce di Dio si avvertiva invece che lui si preoccupava, eccome. La cosa suonò strana a Othello, perché prima aveva percepito quanto quello dal naso lungo odiasse il macellaio. Othello cominciò allora a masticare pensieroso un pezzo di pelle che pendeva dall'imbottitura della panca. Tutto d'un tratto non ebbe più paura. Aveva voglia di farsi riconoscere.

"Kate," disse Dio, "di questo puoi stare sicuro al cento per cento. Fino a quando Kate rimarrà qui, Ham si guarderà bene dal seminare il panico. Proprio adesso che lei è tornata libera. Può anche darsi che Ham sia addirittura contento del fatto che George sia morto. Quindi non stare a tirare in ballo Ham, hai capito?"

Othello si schiarì la gola. Quello dal naso lungo lo prese come un segno di approvazione.

"Sono contento che anche tu la pensi così," disse. A quel punto la sua faccia si fece vicinissima alla grata di legno. "E per quanto riguarda l'erba..." bisbigliò.

Anche la testa di Othello si avvicinò alla grata di legno, distante non più di pochi centimetri dal naso di Dio. Il naso di Dio respirava inquieto. Othello si stupì che all'improvviso parlasse di cose ragionevoli come l'erba.

Ma ora quello dal naso lungo aveva smesso di parlare. Fissava con gli occhi lucidi attraverso la grata.

"Ma sei tu?" chiese.Othello rimase muto. All'improvviso Dio saltò fuori dalla sua cassa e

spalancò la tenda davanti a Othello. La luce della luna scivolò dentro. Per un istante nessuno dei due si mosse. Poi Othello emise un belato, un belato sinistro, aggressivo, che risuonò per tutto la sala.

Il tipo dal naso lungo lanciò un urlo acuto. Corse tra le file di panche, inciampò, si rimise in piedi, saltò con un balzo maldestro oltre la spalliera di ferro con le candele e scomparve attraverso la porticina da cui era arrivato. Othello, soddisfatto, lo seguì con lo sguardo.

Quando il montone lasciò la casa di Dio, di nuovo due ombre trottarono accanto a lui, e un'altra più lunga e pallida lo precedeva. Ma gli uccelli notturni sugli alberi videro qualcosa di strano, qualcosa che metteva

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decisamente sottosopra la simmetria delle ombre. Perché c'era una quarta ombra, un'ombra che a una certa distanza trottava dietro Othello. Un'ombra molto ispida, con corna lunghe e ricurve.

Come le nuvole, tranquille e sazie come le nuvole, con un profumo dolce, tutte diverse e giovani, brucavano nel pascolo al crepuscolo. Ignare della notte che era giunta di soppiatto sull'erba. Era ancora accovacciata sotto il dolmen, e non sorprendeva che le sue stelle, occhi morti su ossa, non brillassero. Sapeva che il dolmen era stato costruito per la morte, un capanno per la morte, ma senza ruote, perché la morte sa attendere. Là era appostata una cantilena di fauci putride. Non è necessaria una vanga per dimostrare la pazienza della morte.

Oltre il dolmen pascolava la gioventù, la sua, con le articolazioni forti e la gioia che nuotava nella pancia, ma così stupida, così stupida che poteva persino fare pena nella sua felicità. Oltre il dolmen c'era il pascolo, che non ci poteva essere: il ritorno. Lo aveva cercato per tutto il mondo. Sotto le pietre lisce, dietro al vento, negli occhi degli uccelli notturni e sull'acqua degli stagni soffici. Lì aveva visto solo se stesso, e presto la compagnia era stata troppa per lui - se non avesse scoperto il ritorno. Sedeva dietro alle sue orecchie e rideva, non sorprende che non fosse riuscito a trovarlo nel mondo. Il ritorno era una strada. L'aveva portata con sé tutto il tempo, ma solo nelle punte del manto, dove la pioggia rinfrescava, dove prudeva, senza che lo notasse. Troppi parassiti nella lana, e non si poteva essere sicuri che il ritorno non fosse uno di loro.

La via del ritorno è sempre la più importante, raccontava il fogliame. Dovunque raccontava lo stesso, e bisognava credergli, manto profumato e respiro del mondo, anche quando cresceva, sempre in fuga dal marrone. Ma quando l'aria cominciava a odorare di fumo freddo, stagione di migrazione delle rondini, tempo dei giorni bui, il marrone arrivava sul terreno. Allora significava che doveva stare attento a non trovare un ostacolo tra gli zoccoli e a non scivolare sulle zampe come fanno i ragnetti. Le zampe gli prudevano, non andava bene pensare ai ragni. Cercavano di rendere freddo il cuore e gli si infilavano nel naso. Il fogliame aveva ragione. Persino durante la stagione di migrazione delle rondini sussurrava dai cespugli, dagli agrifogli, dall'edera insaziabile nel sottobosco, dai pini bassi e dalla sua anima infreddolita: la via del ritorno è sempre la più importante. Credeva a tutti loro. Credeva anche alle

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cornacchie che liberavano la sua schiena dai parassiti, ma lasciavano in pace il ritorno. Ali nere sulla sua schiena, occhi luccicanti e rauchi. Perché anche le rondini tornavano con il fogliame.

Ora la strada si era avvitata come la coda di un porcellino, si era trasformata in un unico passo. Oltre il passo pascolavano loro, come le nuvole create dal respiro in inverno, calde e vive in un mondo vuoto. Vide il nero fra di loro, con l'anima rabbiosa e le molte ferite sotto la lana. Il nero era qui, ora. Chi si era preoccupato che qualcuno appartenesse a un luogo? George ci era riuscito, unire e separare, meglio di qualsiasi cane da pastore. George le avrebbe dovute radunare, tutte le pecore disperse, in mezzo al ritorno. Ma George aveva guardato troppo in profondità sotto il dolmen, pietre e gamba. Ha visto quello che era come uno specchio d'acqua liscia, e ha visto che il manto della pancia pendeva flaccido. Ma le corna erano curve come la strada, curve e orgogliose come le sue.

La sua anima si mise e galoppare.Ma lui stava ancora immobile. Stava lì e la seguiva con lo sguardo. Solo

un passo, un passo solo. Nessuno gli aveva detto che si trattasse di un passo impossibile. Tristezza, sufficiente per piangere davanti alla luna, come facevano le sue cornacchie di nascosto, quando pensavano che non l'avrebbe notato. Non c'era un ponte che lo potesse portare oltre questo passo, nessun guado dove l'acqua fosse più bassa. Annegare all'ultimo passo, questo non se l'era aspettato. Le sue corna penetravano come viti nella notte che passava. Ma poi, poi... c'era un guado, lo si poteva costruire, con le parole, parole antiche, conservate con amore nell'anima, molti anni, pensate come formule magiche, ancora e ancora. Ora le cercava. Ma la sua anima era diventata così grande, così inquietante e stretta, strade su strade su strade, tutte le strade che aveva percorso, e non riusciva più a trovare le parole. Ma doveva. Doveva fare alla svelta, perché le lanose erano fugaci come il respiro d'inverno, e sotto il dolmen sedeva già il pastore muto, e i suoi occhi azzurri brillavano. Il giorno arrivava lentamente dal mare e minacciava di cacciarlo via, come già lo aveva cacciato per quattro giorni. Il quinto giorno. Il quinto giorno era quello del ritorno. Esitò.

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12Ramses interviene

Sul fare del giorno, Miss Maple fu la prima pecora ad arrivare al pascolo. Non riusciva a ricordarsi di aver dormito. C'era qualcosa che la tormentava. Forse un sogno? No, nessun sogno, piuttosto il ricordo di un sogno, il sogno delle mezze pecore. Le sembrava che nell'aria aleggiasse ancora quell'odore, come di molte pecore, solo incomplete, sconosciute.

"Le pecore di Gabriel," pensò Miss Maple. Ma nello stesso momento capì che non poteva essere così. Le pecore di Gabriel erano facili da fiutare, un gregge di pecore e di montoni giovani, di uno, due anni, pecore prive di sfumature, scialbe. Le mezze pecore invece non erano giovani. O per lo meno non tutte. Tra loro c'erano montoni molto vecchi, pecore madri e agnelli, ricordi, esperienze, astuzia, euforia giovanile, innocenza. Un gregge completo. Ma insieme incompleto, come a metà. Fili di uno strano odore pendevano nell'aria.

Poi, nella nebbia del mattino, vide Sir Ritchfield. A George's Place. Per un istante Maple pensò che fosse morto. Non perché se ne stava così immobile - non era una cosa tanto insolita per i montoni anziani. Ma per via degli uccelli. Sulla schiena di Ritchfield erano posate tre cornacchie. E quale pecora viva avrebbe potuto tollerare di venire sfruttata dalle cornacchie come punto di osservazione? Certamente non Sir Ritchfield. Una delle cornacchie allargò le ali e gracchiò roca nell'aria fresca del mattino. Sembrò che a Ritchfield fossero cresciute ali corte e nere. A Maple corse un brivido lungo il manto.

All'improvviso avvertì un movimento alle proprie spalle. Si girò di scatto, saltando con tutte e quattro le zampe, come solo un agnello molto giovane o una pecora molto spaventata riescono a fare. Dietro di lei, dalla nebbia emerse Sir Ritchfield. E davanti a lei, a George's Place, ancora Sir Ritchfield. Maple, con rispetto, indietreggiò di qualche passo.

I due montoni se ne stavano uno di fronte all'altro, come le immagini riflesse al di qua e al di là di una pozzanghera. Solo che non c'era alcun riflesso delle cornacchie. Maple si ricordò allora della favola delle fate, nella quale si diceva che neanche i morti si riflettono nello specchio. Entrambi i montoni abbassarono le corna e si andarono incontro lentamente, con lo stesso ritmo, come anche i riflessi avrebbero fatto. Maple cercò di capire quale dei due fosse il vero Sir Ritchfield, e quale invece l'immagine riflessa. Le corna si scontrarono, con un suono pieno e

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sonante. Entrambi risollevarono la testa."Ho osato," disse il Ritchfield con le cornacchie."Hai osato," confermò il Ritchfield senza le cornacchie.Tutto d'un tratto sembrava confuso. "Nessuna pecora ha il permesso di

lasciare il gregge," belò. "George è tornato e sapeva di morte." Scosse la testa turbato. "Se solo avessi tenuto la bocca chiusa... è stata una tale sciocchezza..."

E il Ritchfield senza le cornacchie si voltò e trottò via con movimenti nervosi in direzione delle scogliere. L'altro Ritchfield rimase là e lo seguì con un'espressione quasi di tenerezza nello sguardo. Come seguendo un ordine, tutte e tre le cornacchie si alzarono in aria contemporaneamente e un solo Ritchfield restò sul pascolo. Un Ritchfield molto arruffato. Un Ritchfield che odorava come un gregge di mezze pecore.

Miss Maple guardò preoccupata l'altro Ritchfield, che vagava confuso lungo le scogliere. Si voltò e lo rincorse.

Solitamente, la mattina Cloud e Mopple erano le prime pecore ad arrivare al pascolo. Mopple perché gli veniva fame prima di tutte le altre, Cloud perché era dell'opinione che l'aria del mattino stimolasse la crescita della lana.

"Credete forse che io sia così lanosa grazie a un dono di natura?" si premurava di chiedere.

"Sììì," belavano allora, insieme ad alcune delle pecore più anziane, gli agnelli, i quali non smettevano mai di entusiasmarsi per l'incredibile lanosità di Cloud.

Cloud, allora, alzava gli occhi al cielo lusingata. "Forse è così," diceva, "ma non crediate che io non faccia niente!" A questo punto tutte le pecore interessate potevano assistere a una lunga conferenza sui vantaggi dell'aria mattutina per la lana. Ma la cosa singolare era che, nonostante le prediche di Cloud risultassero molto apprezzate, non si riusciva a trovare una sola pecora disposta a sottrarsi prima delle altre all'abbraccio soffice del gregge allo scopo di migliorare la propria personale lanosità.

Quella mattina, a ogni modo, Mopple the Whale si stava ancora facendo una bella dormita per curare i postumi della sua prima colica, e di conseguenza Cloud si trovò da sola al pascolo fresco di rugiada. Ma davvero era sola? In realtà no. Perché al pascolo c'erano anche le pecore di Gabriel, le quali, essendo senza fienile, erano costrette a svegliarsi presto, mettendo tra l'altro in forte dubbio la teoria di Cloud a proposito dei

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vantaggi delle prime ore del mattino per la lana.Ma, con grande sorpresa di Cloud, anche Sir Ritchfield era già sveglio.

Si trovava a George's Place, pascolando compitamente. Per l'indignazione Cloud dimenticò la mattutina pace dell'anima. Tutta agitata, si piazzò di fronte a Sir Ritchfield.

"Ma sai dove ti trovi?" chiese."Indietro," rispose Ritchfield commosso. Tornò ad abbassare la testa fra

le erbe ancora intatte di George's Place e pascolò con cautela intorno ad alcuni di quei fiori appetitosi che solleticano il naso.

"Stai pascolando a George's Placet belò Cloud. "Ma come ti permetti?""Semplice," rispose Ritchfield. "Per le colline, attraverso il campo, nella

vecchia cava di pietra, sopra il cadavere, per il mondo e indietro. Non farsi beccare dal macellaio. Facile, dal momento che il divoracarogne teme i morti. La testa nel vento, gli occhi liberi, senza scuotere i ricordi dal manto. Impossibile. Ma semplice, quando lo si fa."

Cloud fissò Ritchfield spaventata. L'indignazione le era passata. C'era qualcosa che non andava in Ritchfield. Belò inquieta. A Ritchfield non sembrò piacere. Le si avvicinò e le sussurrò in un orecchio. "Niente paura, lanosa. Questo non è George's Place. Nessuna pecora toccherà George's Place, perché George's Place è sotto il dolmen, là dove non cresce più erba, dove il pastore con gli occhi azzurri sta seduto e aspetta. George's Place è al sicuro, fino a quando la chiave, calda, non verrà alla luce. Ma chi ha la chiave?" chiese.

Era evidente che quelle parole erano state pensate con l'intento di tranquillizzarla. La voce di Ritchfield aveva un suono dolce. Ma, nonostante questo, Cloud fuggì confusa verso il fienile.

Non molto tempo dopo l'intero gregge si era radunato a George's Place. Le pecore se ne stavano, a una distanza rispettosa, attorno a Sir Ritchfield, il quale non si stava assolutamente apprestando a lasciare George's Place. Tutte quelle pecore sembravano irritarlo.

"Qualche volta stare da soli è un vantaggio," disse."Che cosa intende?" chiese Heide. Le altre pecore tacquero."Non sono parole da Ritchfield," disse Lane alla fine."Ha un odore strano," aggiunse Maude. "Come di malato. O forse non di

malato, ma comunque non l'odore di Ritchfield. Non l'odore di una pecora. O perlomeno non di una sola pecora. Come un giovane montone con un solo corno. E come una pecora madre esperta. E come una pecora giovane,

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dalla lana molto fitta, che non ha ancora visto l'inverno. E come un montone molto anziano, che non vedrà mai più nessun inverno. Ma anche come nessuno di loro. In un certo senso - qualcosa a metà." Maude aveva esaurito le proprie riserve di saggezza.

"Si sgonfia!" esplose Mopple. "Ritchfield si sgonfia!"Doveva essere andata così! Nella notte il buco nella memoria di

Ritchfield si era allargato a tal punto che da lui stavano defluendo tutti i ricordi possibili e impossibili, così, come se niente fosse.

Nessuna pecora riusciva a decidersi sul da farsi. Era Ritchfield il montone capo, ma era chiaro che non ci si poteva aspettare che fosse lui a fare qualcosa. Maple era scomparsa. Non si trovava Othello da nessuna parte. Mopple, insieme alla sua memoria, era scappato dall'altra parte del pascolo, terrorizzato dall'eventualità che il buco nella memoria potesse essere in qualche modo contagioso. E Zora, dopo aver fissato Ritchfield per un istante con occhi strani, si era precipitata sulla sua roccia. Alla fine fu Ramses a prendere in mano la situazione. Condusse quindi il gregge il più lontano possibile da Ritchfield, in modo che nessuno potesse sentire che cosa si dicevano.

All'inizio non fu presa alcuna decisione. Nessuna pecora sapeva infatti come bloccare un buco nella memoria. E, a essere sinceri, non riuscivano nemmeno a immaginarsi che cosa potesse essere un buco nella memoria.

"Dobbiamo portarlo via da George's Place, prima che divori tutto," disse Ramses.

"Ma come?" chiese Maude. "È il montone capo.""Non è il montone capo, non più," disse Ramses. "Si tratta solo di

farglielo capire."Era pur sempre una proposta. Le pecore, nella confusione, si sarebbero

comunque entusiasmate per qualsiasi proposta. Così, prima che Ramses si accorgesse di che cosa stesse capitando, era già stato deciso che il compito di spiegare a Ritchfield che il periodo da montone capo era finito spettasse proprio a lui.

Mentre Ramses trotterellava esitante verso Ritchfield, le pecore si strinsero l'una all'altra. Ramses deglutì. Gli sembrava che Ritchfield non avesse mai avuto un aspetto più maestoso e imponente di oggi. Stava per mormorare un saluto rispettoso, quando Ritchfield lo interruppe.

"Tu, dalle corna corte e non ricurve," disse a Ramses. Questo bastò. Le corna di Ramses, in effetti, non erano altro che due spuntoni. "Risparmiati il fiato. Risparmiati la spiegazione. Non vedi come è limpida la giornata?

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Più limpida di tutte le altre giornate. I miei uccelli lo sanno e di conseguenza si alzano presto. Ritchfield lo sa e di conseguenza va in cerca dei suoi ricordi. È chiaro che non sono il montone capo. Ed è chiaro che, se non lo voglio, nessuna pecora al mondo mi potrà portare via da questo bel pascolo. Solo che voi," il suo sguardo sfiorò anche le altre pecore, che fissavano George's Place con occhi grandi e confusi, "voi potreste essere più chiare."

Senza aver detto una sola parola, Ramses ritornò al suo gregge."Lo ha sentito," belò Maude. Evidentemente il buco nella memoria

aveva rinforzato le orecchie di Ritchfield. Si prefissero perciò di fare più attenzione, in futuro, ai commenti irrispettosi. E per sicurezza si allontanarono ancora un po' da George's Place, arrivando fino al dolmen.

Lì incontrarono Othello, che si era nascosto all'ombra del dolmen e guardava Sir Ritchfield con grande attenzione.

"Othello," sospirò Heide sollevata, "lo devi mandar via da George's Place!"

Othello sbuffò ironico. "Non sono mica impazzito," disse. Da lui non si ottenne altro.

La strana risposta di Othello disorientò ancor di più le pecore. Othello conosceva il mondo e lo zoo. Sapeva cose che loro non sapevano. Ed era per questo che se ne stava immobile all'ombra del dolmen. Continuarono a pensarci su.

"Per lo meno Ritchfield ha detto che sta andando in cerca dei suoi ricordi," disse Lane ottimista.

"Se si tratta di un buco nella memoria, forse è proprio con i ricordi che lo si può bloccare," disse Cordelia all'improvviso. "Come un buco nel terreno, quando lo si riempie con la terra."

"Ma una buca per topi non la si riempie coi topi," osservò Cloud."Beh, forse lo si potrebbe anche fare," insisteva Cordelia. "Con dei topi

molto grossi, naturalmente."Un paio di minuti dopo avevano un piano. Avrebbero procurato a

Ritchfield un ricordo grosso, ingombrante, per essere certi che bastasse a tappare il buco. Un ricordo grande, con il maggior numero possibile di pecore. Fecero venire Zora dalla sua roccia e convinsero Mopple ad avvicinarsi di nuovo a Ritchfield. La stazza di Mopple non poteva che far bene alla dimensione del ricordo. Solo Othello si rifiutava testardamente di aiutarle.

"Deve essere qualcosa di davvero speciale," belò Heide eccitata.

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"Qualcosa che un gregge fino a ora non ha mai fatto."Poco dopo tutte le pecore erano davanti a George's Place: sdraiate sulla

schiena, a zampe per aria, belavano a squarciagola. Ritchfield aveva smesso si pascolare e le guardava attento. Se non fossero state così impegnate, avrebbero notato che sembrava divertito.

"Ma che razza di stupidaggine è mai questa?" sbuffò improvvisamente la voce ben nota di Ritchfield. "Siete forse ammattite?"

Le pecore si guardarono trionfanti, per quanto fosse possibile in una situazione del genere. Sir Ritchfield appariva rinsavito. Lentamente e con fatica le pecore si rimisero dunque in piedi, un po' sottosopra a causa dell'insolita posizione che avevano assunto, ma orgogliose del proprio successo.

Ritchfield, proveniente dalle scogliere, stava trottando verso di loro. "Ordine!" sbuffava. "Un po' di contegno! Ma proprio non vi si può lasciare sole!"

Ma Ritchfield si trovava allo stesso tempo a George's Place, dove ricominciò a pascolare intorno ai fiori che pizzicavano il naso.

Gli occhi delle pecore vagavano increduli fra i due Ritchfield, avanti e indietro.

"Quello è Ritchfield," sussurrò Heide con lo sguardo rivolto al Ritchfield che urlava ordini dalle scogliere, "ma anche quello è Ritchfield."

"No," disse Miss Maple, apparsa accanto a Ritchfield come un'ombra curiosa, "quello è Melmoth."

L'arrivo di Melmoth mise in subbuglio il gregge come solo l'arrivo di un lupo avrebbe potuto fare. Melmoth era più di un montone scomparso: era una leggenda, come Jack-non-tosato-e-scampato o l'ariete dalle sette corna; era lo spirito che doveva incutere timore agli agnelli ribelli, quando tutti gli altri richiami non servivano più. Un esempio di ciò che succede a una pecora quando si allontana dal gregge, si avvicina troppo alle scogliere, mangia cibo sconosciuto o non presta attenzione ai belati di avvertimento delle pecore madri.

"Proprio così si è sporto Melmoth, e non è più tornato," si diceva quando un agnello pieno di sé osava avvicinarsi all'abisso.

"Proprio così ha fatto Melmoth, ha mangiato le erbe del dolore e ora è morto."

Essendo lo spauracchio per eccellenza impiegato nell'educazione degli agnelli, Melmoth era morto mille volte di una morte sussurrata; ma

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nonostante tutto ora se ne stava lì davanti a loro, vivo e vegeto. Le pecore madri si domandarono come avrebbero fatto, in futuro, a tenere a bada gli agnelli. E nessun agnello aveva mai sentito un numero maggiore di storie raccapriccianti a proposito di Melmoth di quante ne avesse sentite l'agnello invernale. Il quale ora si aggirava all'ombra della siepe fissando Melmoth con occhi che brillavano enigmatici.

"Ci sono due Ritchfield," cantavano gli altri agnelli a eccezione di uno, che se ne stava zitto e affondava il più possibile nella morbida lana di Cloud.

Fu comunque chiaro a tutti che Melmoth era un montone speciale. "Quello non tosato", lo chiamavano alcune pecore, non sapendo se si trattasse di un merito o di un demerito. Ma dopo che Ritchfield gli ebbe spiegato perché nessuna pecora aveva il permesso di pascolare a George's Place, Melmoth fu accolto in modo amichevole.

"È lanoso," disse Cloud in segno di apprezzamento. "Un po' ispido forse, ma lanoso."

"Ha una bella voce," disse Cordelia."Ha un odore interessante," disse Maude."Ci lascia i fiori che pizzicano il naso," disse Mopple ottimista.Ma ben presto tutte si posero la questione di quale dei due fosse il vero

montone capo."Non possiamo averne due," disse Lane, "nemmeno," aggiunse

pensierosa, "se sono identici."Il gregge avrebbe voluto che Sir Ritchfield restasse il montone capo.

Tuttavia sembrò a tutte poco pratico avere un montone capo che a prima vista potesse anche sembrare un sosia del montone capo. E poi Ritchfield non era più lo stesso. Era diventato più allegro, più giocherellone, audace quasi come un agnello. Insomma, non sembrava molto interessato a restare il montone capo. Se ne stava ogni momento appiccicato a Melmoth. Non lo avevano mai visto così felice. Aveva persino stabilito una nuova regola. "Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge," diceva a tutti quelli che lo stavano sentire, "a meno che poi non torni."

Quella mattina Gabriel fece di nuovo la sua comparsa al pascolo - prestissimo, molto prima dell'ora in cui George fosse mai arrivato. Senza il bastone da pastore. Senza cani. Addirittura senza cappello. Ma con la pipa all'angolo della bocca. E una scala. Le pecore erano orgogliose di essere già al lavoro. Gabriel avrebbe certo notato che fra di loro non c'erano

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fannullone.Ma Gabriel non aveva l'aria di essere particolarmente contento. Forse

non gli piaceva Melmoth? Tuttavia Gabriel sembrò non aver assolutamente notato il nuovo montone. Gettò una breve occhiata alle sue pecore, che ormai avevano divorato quasi tutto quello che c'era da divorare nel loro pezzo di pascolo recintato. Poi, sempre con la scala, marciò in direzione dell'albero delle cornacchie.

Sul pascolo non c'erano alberi. In compenso, il prato era limitato su due lati dalle siepi. Le siepi non erano un ostacolo da prendere sul serio, nel caso in cui, da un momento all'altro, una pecora avesse preso la decisione di lasciare il pascolo. Ma ostruivano la vista del verde succulento dei prati circostanti, e in questo modo impedivano alle pecore di voler lasciare il pascolo. "Ostacoli psicologici", così le chiamava George.

In mezzo alle siepi di ginestra si trovavano tre alberi: l'albero delle ombre, sotto il quale in estate si stava meravigliosamente al fresco, poi un piccolo albero di mele, che - con grande rabbia delle pecore - lasciava cadere i suoi frutti quando erano grandi solo come un occhio di pecora e acide come Willow nei suoi giorni peggiori. E infine l'albero delle cornacchie. Lì abitavano gli uccelli, che gracchiavano dall'alba al tramonto. Solo a mezzogiorno se ne stavano in silenzio.

Gabriel si diresse con la scala sotto l'albero delle cornacchie. Appoggiò la scala al tronco. Si arrampicò sulla scala. Quindi sui rami più bassi. Gli uccelli, notando che si trattava di una cosa seria, si alzarono in volo, tondi e goffi come colombi selvatici, brillanti e beffardi come cornacchie o, come in questo caso, bianconeri e furtivi - proprio come gazze.

Gabriel per un po' continuò ad arrampicarsi sull'albero. Le pecore lo stavano a osservare.

"Gli piacciono le gazze," disse Mopple. Era la prima volta che diceva qualcosa su Gabriel. Mopple the Whale si vergognava un po' che a lui tutta la faccenda di Gabriel non sembrasse importante. Per come la vedeva lui, Gabriel e le sue pecore non avrebbero mai dovuto fare la loro comparsa sul pascolo. Ora quelle pecore sconosciute e inquietanti stavano divorando una parte del pascolo alla velocità della luce, e fra di loro c'era un montone al quale Zora gettava sguardi inquieti. Gabriel stesso non sembrava particolarmente utile. Che cosa aveva fatto finora per loro? Niente barbabietole, niente trifoglio, niente pane secco, nemmeno la paglia. Non aveva neanche pulito il trogolo dell'acqua, nonostante secondo l'opinione di Mopple si trattasse di una cosa davvero necessaria. E, come se non

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bastasse, il giorno prima aveva passato tutto il tempo a saltare per il pascolo. E oggi: alberi! Naturalmente gli uccelli non facevano che strillare, e a ragione. Se questo era quello che Gabriel intendeva come suo dovere, allora li attendevano tempi cupi.

Gabriel, con la sua figura da pastore asciutta e compatta, saltava di ramo in ramo, sempre più in alto. Come un gatto. E come un gatto Gabriel sbirciava nei nidi degli uccelli.

Presto però le pecore lo trovarono noioso. Se Miss Maple non avesse insistito, affermando che dovevano continuare a osservarlo con attenzione, si sarebbero dedicate ad altri pensieri. Ma, stando così le cose, non smisero di fissare verso l'alto, fra i rami, fino a quando non ebbero dei giramenti di testa. Persino Melmoth spiava Gabriel con uno sguardo insolito, da uccello.

Ma poi fu Sir Ritchfield a captare la mossa decisiva. Evidentemente Gabriel aveva trovato in uno dei nidi quello che andava cercando. E, oltre a Ritchfield, anche Zora, Maple e Othello videro che Gabriel teneva in mano una chiave. Ma solo Ritchfield riuscì a distinguere che non si trattava della chiave che ieri Josh aveva tolto dalla scatola dei biscotti d'avena.

"Piccola e tonda," disse Ritchfield. "La chiave del nido è piccola e tonda. Mentre la chiave di ieri era lunga e appuntita." Le pecore erano stupite. Soprattutto per Ritchfield. Fiero della propria osservazione, non aveva nemmeno notato di essersi ricordato della chiave di ieri. Era chiaro che la presenza di Melmoth gli faceva bene.

La memoria di Gabriel, invece, sembrava peggiore di quella di Sir Ritchfield. Forse perché ieri non aveva guardato bene la chiave. A ogni modo, scese di buon umore dall'albero. Di buon umore tornò al capanno, e di buon umore infilò la chiave nella toppa. Ma il buon umore passò in un istante. Gabriel emise un fischio sottile e rabbioso attraverso i denti. Quando le sue pecore sentirono questo fischio, fra di loro scoppiò un panico muto, immotivato, che non si placò nemmeno quando Gabriel se ne era già tornato da un pezzo al villaggio, passando per il sentiero. Le pecore di George le osservarono inquiete, fino a quando un altro rumore non distrasse la loro attenzione. Melmoth se ne stava accanto al dolmen e ridacchiava.

Le pecore ben presto si accorsero che Melmoth non era soltanto una pecora in più nel gregge. Non sapevano spiegarsi il motivo. Ma la prima

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cosa che le colpì fu l'effetto di dispersione di Melmoth. Quando Melmoth pascolava fra di loro, era praticamente impossibile mantenere la formazione normale del gregge. Le pecore si sparpagliavano involontariarnente, come se un lupo avesse fatto irruzione nel loro gregge. Certo, secondo il ritmo del pascolo, quindi molto lentamente, quasi senza notarlo. Ma Melmoth iniziava a inquietarle.

Un'altra cosa che le colpì furono gli uccelli. Nessun uccello canterino e paffuto, ma solo uccelli mangiacarogne dalla voce roca, come le cornacchie e le gazze. Melmoth le lasciava sfogare e le portava a passeggio mentre pascolava. Non che le pecore avessero paura delle cornacchie (eccetto, forse, Mopple), ma sapevano un po' troppo di morte per i loro gusti. Quando chiedevano a Melmoth, lui sbuffava ironico.

"Sono un gregge come voi, un piccolo gregge dalle ali nere. Vegliano e pascolano e grattano il manto. Non è colpa loro se pascolano la morte. Lasciano in pace i ricordi. Sono più furbe della loro voce. Capiscono il vento."

"È matto!" pensavano alcune, ma nessuna osava dirlo a voce alta. Certo, il modo di parlare di Melmoth era strano come il belato di una capra, ma non era per questo che faceva una strana impressione. Era come se i discorsi di Melmoth girassero intorno a quello che voleva dire secondo linee particolari. Sembrava contorto, ma non matto. Era solo Cordelia a sostenere che il linguaggio di Melmoth fosse più preciso di quello di tutte le altre pecore.

"Dice le cose non semplicemente come le pensa. Dice le cose come sono," si era premurata di dire una volta a un gruppetto di pecore scettiche nei confronti di Melmoth. Via via, però, questi gruppetti si fecero più frequenti - e clandestini. Ben presto si notò che Melmoth veniva a sapere molto di quello che succedeva al pascolo, in modo quasi inquietante.

"Sono gli uccelli che glielo raccontano," belò Heide, e le pecore cominciarono ad avere un occhio vigile sul cielo. E presero a osservare Melmoth con più attenzione rispetto a prima.

Melmoth brucava per il pascolo come un lupo solitario - anche la sua espressione aveva qualcosa di lupesco. Sembrava assurdo, ma qualche volta le pecore avevano come l'impressione che Melmoth non fosse davvero una pecora. Le più audaci fra di loro arrivarono addirittura a pensare alla storia del lupo in veste d'agnello, e rabbrividirono.

E poi, c'era un agnello che se ne stava isolato, un agnello che si reggeva sulle sue zampe tremante e osservava Melmoth con occhi grandi e timidi.

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E poco dopo per tutto il gregge cominciò anche a diffondersi una voce, una voce secondo la quale Melmoth era uno spirito. Dalla favola delle fate sapevano che gli spiriti dei morti qualche volta tornano per vendicarsi. Per il gregge si bisbigliava "re dei folletti" e "spirito del lupo".

Othello intanto si rodeva il fegato. Da giorni si era messo sulle tracce del vecchio. Per essere preciso, da anni. Da quella notte piovosa, là al circo, quando Melmoth galoppava come il vento tra i passaggi del tendone, e Othello lo guardava attraverso le sbarre della gabbia, mentre il clown crudele era immerso nel fango e gridava furioso che accendessero la luce - era da allora che Othello sapeva di dover ritrovare Melmoth. E ora Melmoth aveva ritrovato lui. Othello era scontento. Non sapeva che cosa fare. Andargli incontro felice, come aveva fatto Sir Ritchfield? Melmoth aveva insegnato a Othello la pazienza, gli aveva insegnato a imparare dall'acqua e dal fuoco, a osservare le tracce di bava delle lumache, a ricacciare rabbia e paura da dove venivano. Gli aveva mostrato come osservare i pensieri. Melmoth gli aveva insegnato a combattere. La sua voce aveva accompagnato Othello e gli aveva salvato la vita più di una volta.

Ma Melmoth se lo era lasciato alle spalle, da solo, con il clown crudele. "Qualche volta stare da soli è un vantaggio," sibilò Othello per la rabbia. Di tutte le frasi che Melmoth gli aveva detto, solo a questa lui non aveva mai creduto.

Incapace di prendere una decisione, fino a quel momento Othello si era tenuto, per quanto gli fosse possibile, alla larga da Melmoth. Oh, Melmoth sapeva che lui si trovava qui, su questo Othello non si faceva illusioni. Ma per qualche ragione il grigio aveva deciso di lasciarlo in pace. Othello gli era indifferente - una delle innumerevoli pecore che aveva incrociato nei suoi vagabondaggi solitari, sprofondato in un gregge senza volto, privo di interesse agli occhi di Melmoth? Fra tutte le ipotesi possibili, era questa che a Othello sembrava la più orribile.

Ma ora Othello sentiva il bisbiglio timoroso del suo nuovo gregge - il suo primo vero gregge - e cominciava a preoccuparsi. E se fosse stato vero che un tempo George aveva cacciato Melmoth per mari e per monti, come si sussurrava nel gregge? E allora? Se c'era una cosa che Othello aveva imparato all'epoca del circo, era che Melmoth era capace di tutto.

Nel frattempo anche Miss Maple rifletteva febbrilmente. Non aveva

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creduto nemmeno per un istante che Melmoth fosse uno spirito. Ma non poteva comunque avere a che fare in qualche modo con la morte di George? E che cosa sapeva Ritchfield? Maple era certa che lo strano comportamento di Ritchfield negli ultimi giorni avesse a che fare con Melmoth.

Dopo che Melmoth si fu appisolato sotto l'albero delle cornacchie, Miss Maple non si trattenne più. A passi decisi si avvicinò pascolando a Sir Ritchfield.

"Chi avrebbe mai pensato che Melmoth fosse sopravvissuto..." lasciò cadere, come per caso.

Ritchfield sbuffò divertito. "Io," disse, "io l'ho sentito. Nella notte di pioggia. Intuito da gemelli. Nella notte di pioggia ho saputo che era tornato. E da quel momento in poi ho aspettato."

"Ma a noi non hai detto niente," disse Maple.Ritchfield tacque."A noi hai sempre raccontato di avere odorato la sua morte dalle mani di

George," insisté Maple."Ho odorato la morte sulle mani di George," disse Ritchfield pensieroso.

"Ma era un'altra morte.""O una quasi morte," disse Maple. "Forse Melmoth se l'è cavata, più

morto che vivo. Deve essere stato infuriato con George..."Ritchfield tacque. Miss Maple strappò un ciuffo di dente di leone."Non ci hai raccontato niente," disse Miss Maple, quando ebbe finito di

masticare. "Hai intimorito Mopple, perché pensavi che avesse scoperto qualcosa su Melmoth. Perché non dicesse niente. Come mai?"

Ritchfield assunse un'espressione preoccupata. "Non è stata una cosa giusta intimorire Mopple the Whale," disse. "Ma pensavo..."

Miss Maple non si trattenne più. "Pensavi che Melmoth avesse a che fare con la morte di George. Un comportamento così strano, sgattaiolare al pascolo di notte, di nascosto, e questo proprio dopo la morte di George. Tu pensavi che allora, nella notte che è seguita alla fuga di Melmoth, fosse successo qualcosa di terribile. E Melmoth avrebbe potuto serbare ancora dentro di sé la rabbia per quella notte, no? E allora hai deciso di tenere nascosto l'arrivo di Melmoth."

Maple sollevò la testa sicura di sé. Una deduzione esatta. Induttiva. Proprio come nei gialli. Era orgogliosa di sé. E dall'espressione imbarazzata di Ritchfield riconobbe di aver fatto centro.

"Volevo aiutarlo," disse Ritchfield. "Gemello per gemello."

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"Gemello per gemello," sibilò Melmoth, che all'improvviso era apparso vicino a Miss Maple. Maple fissò i due montoni, prima uno e poi l'altro. Non importava da quale parte girasse la testa, davanti ai suoi occhi c'era sempre lo stesso montone. La cosa la istupidiva. Le faceva venire le vertigini.

Melmoth guardò duramente Ritchfield. "Rabbia nei confronti di George?" sbuffò. "Chiacchiere di gazze. Pianto del vento. Sciocchezze da agnelli. Riuscirai a seguirmi nella notte, quando non sei voluto venire con me? Vuoi una storia?" Belò forte, perché tutte le pecore al pascolo potessero sentire. "La storia della quinta notte?"

Il sole si era arrampicato alto nel cielo, e dal mare non arrivava una bava di vento. Le uniche a cui l'afa sembrava non dare fastidio erano le mosche, che ronzavano instancabili attorno alle narici delle pecore e si infilavano nelle loro orecchie. Così, anche le pecore più scettiche ebbero una buona scusa per raccogliersi come per caso sotto i rami freschi dell'albero delle ombre, dove Melmoth si stava riposando su una morbida imbottitura di foglie vecchie, raccontando la sua storia. A un certo punto persino l'agnello invernale saltò fuori da dietro il tronco dell'albero delle ombre, e dato che le altre pecore erano troppo impigrite per cacciarlo, rimase ad ascoltare anche lui.

Accadde così che, in quell'impeccabile giorno d'estate, a tutte le pecore di George corse un brivido gelido lungo il manto. Melmoth raccontava in un modo che le pecore non avevano mai sperimentato: non solo con le parole, ma con il vento nella lana e con il cuore tremante, e ben presto tutte le pecore si ritrovarono a correre insieme a lui nell'oscurità.

E nella storia di Melmoth faceva un freddo tremendo.

13Melmoth il vagabondo

Per monti e per valli, monti e valli, monti e valli, pietre e zampe, pietre e zampe, resti, resti. Gli zoccoli di Melmoth picchiavano sul terreno invernale. Il battito del suo cuore lo precedeva galoppando. Monti e valli. I cani del macellaio ululavano. Dietro di loro veniva il divoracarogne in persona. Melmoth e Ritchfield chiamavano il macellaio "il divoracarogne", perché odorava di morte e sembrava troppo pigro per abbattere gli animali. Ma ora pareva che il macellaio fosse passato dalla parte dei cacciatori e

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Melmoth correva per salvarsi la vita. Pietre e zampe. Pietre e zampe.

"Non provarci nemmeno," aveva detto Ritchfield con tutta l'arroganza del fratello maggiore. Ma il fatto che Ritchfield fosse più vecchio di Melmoth solo di un paio di secondi non rendeva certo la cosa più facile. All'inizio si era solo arrabbiato. A Melmoth non era venuto in mente di chiedere a Ritchfield se ci potesse provare. Non si trattava di questo, all'improvviso gli fu chiaro. Non si trattava di nessun'altra pecora. Si trattava solo di lui. Melmoth aveva smesso di pascolare. Girò la testa e guardò là, nel punto in cui il paesaggio cominciava ad allontanarsi dolcemente dal pascolo, collina su collina su collina. "Certo che ci provo," aveva detto, proprio in faccia a Ritchfield che lo guardava ironico.

Resti, resti, monti e valli. Melmoth non riusciva più a ricordarsi dove avesse imparato quelle parole. Erano le parole giuste. Lo aiutavano a non pensare al divoracarogne. Doveva solo continuare, correre, per monti e valli, correre, a gambe levate e con il respiro fermo. Fino a quando fosse riuscito ad andare avanti, il macellaio non avrebbe avuto alcuna importanza. Ma da un bel po' di tempo il respiro di Melmoth non era più così fermo. Troppa aria fredda fuori. Troppa poca aria calda nei polmoni. Pietre e zampe, pietre e zampe, da un'eternità.

"Tre giorni e tre notti," aveva detto Ritchfield, "altrimenti non vale.""No," aveva detto Melmoth. "Non tre." Ritchfield sbuffò beffardo."Altrimenti non vale. Ogni agnello da latte è capace di perdersi sui

campi per una notte. O anche per due.""Cinque," disse Melmoth. "Cinque giorni e cinque notti." Si godeva

l'espressione da pecora sbalordita di Ritchfield."Cinque giorni e cinque notti," cantò, "cinque lune e cinque merli e

cinque usignoli." Saltellava intorno a Ritchfield, scalciando tutto eccitato. Per un attimo Ritchfield sembrò preoccupato. Poi si lasciò contagiare dal buonumore di Melmoth. "Cinque merli e cinque usignoli," cantò anche lui, e un attimo dopo eccoli che scorrazzavano e si scatenavano per il pascolo. Nessuno dei due aveva pensato nemmeno per un battito di cuore che qualcuno si sarebbe messo a caccia di Melmoth.

Per monti e per valli. Soprattutto per valli. Tutte quelle pietre. E non lo aiutavano certo mentre correva. Melmoth inciampò sui detriti, urtò le

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zampe contro punte affilate e dovette scansare macigni sempre più grandi. Non aveva mai visto così tante pietre. Fu in quel momento che capì di essersi perso. I cani del macellaio abbaiavano. Erano più di prima. Un intero branco. Il loro ululato rimbombava dietro di lui come fosse vento. Come il vento da dietro. Dietro. Eco. Non erano di più, ma sembrava fossero un branco. Doveva esserci poco spazio intorno a lui. Non riusciva a vedere. Improvvisamente i cani tacquero. Melmoth sentì solo il loro ansimare e la ghiaia che schizzava sulle pietre. Troppo vicini per abbaiare. Troppo eccitati.

"Pietre e zampe!" sbuffò Melmoth."Fino all'alba," gli fecero eco in un sussurro le pareti di roccia.

"Attento a non prenderti un raffreddore," gli aveva detto Ritchfield salutandolo, un po' impacciato. Melmoth aveva sollevato orgoglioso la testa. I suoi occhi brillavano. Che cosa ne sapeva Ritchfield dei pericoli di quando si è soli? I raffreddori non rientravano certo fra quei pericoli. Melmoth ci aveva riflettuto sopra per giorni ed era arrivato alla conclusione che questi pericoli semplicemente non esistessero. Fantasticherie. Spauracchi per tremanti agnelli da latte. Racconti dell'orrore di pecore madri preoccupate. Che cosa facevano le pecore nel gregge? Pascolavano e riposavano. E che cosa avrebbe fatto lui senza gregge? Avrebbe pascolato e riposato. Il resto erano solo fantasie. Non c'erano pericoli. Neanche uno.

Pareti di roccia. Per un istante in cielo era comparsa la luna, e Melmoth riusciva a vederle scorrere a destra e a sinistra. Non erano così alte, ma comunque troppo alte e ripide per una pecora. Monti e valli, pietre e zampe.

Pietre.Ora sì che era tutto finito. Le pareti di roccia si erano chiuse intorno a

lui. Una strada senza uscita, un vicolo cieco. Doveva scalare in qualche modo le pareti di roccia. Lo doveva fare. Alla sua sinistra vide un punto che non sembrava poi così ripido. Un mucchio di detriti, una rampa naturale. Melmoth vi si issò sopra inciampando. All'inizio andò tutto bene. Ma poi si staccarono delle piccole frane, causate dai suoi zoccoli. Era come cercare di correre sulla pioggia battente. Impossibile. Melmoth lo sapeva. Anche il divoracarogne sembrava saperlo. Un grido orribile. Richiamò indietro i cani. I cani adesso non servivano più. Nel silenzio si

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trascinavano dei passi. Melmoth era a pezzi. Anche la sua paura era a pezzi. Nei suoi ultimi secondi di vita, Melmoth decise di essere una pecora davvero coraggiosa. Avrebbe fronteggiato il macellaio. Lentamente e tremando scese giù per la rampa di detriti. Pietre... e zampe... pietre e... zampe e...

Gamba.Dai detriti su cui era passato per scappare, ora spuntava una gamba.

D'uomo.

Naturalmente il raffreddore se lo era preso subito, la prima notte, appoggiato a una siepe di biancospino piena di spine, cercando un qualche riparo dal gelido vento novembrino. Quella notte non aveva dormito. Aveva ascoltato con l'orecchio teso i rumori che lo circondavano. E aveva aspettato con ansia l'arrivo del giorno. Un giorno che sicuramente sarebbe stato magnifico. E di giorno in effetti era andata meglio. Per un po', almeno. Melmoth aveva vagabondato con il naso colante per il verde grigiastro del pascolo invernale e aveva rosicchiato con cautela ciuffi d'erba stopposi.

Verso mezzogiorno si era ritrovato su una collina, da dove una pecora con gli occhi buoni poteva vedere molto lontano. Melmoth aveva occhi eccezionali e li puntò subito sulle strisce di mare blu all'orizzonte. Apparentemente per orientarsi. Segretamente per cercare punti bianchi e lanosi. Ma non vide nulla. Nulla. Nemmeno una nuvola all'orizzonte. In nessuna direzione. Melmoth era da solo, fino all'orizzonte. Un'euforia insensata lo percorse dalla testa fino agli arti, e allora aguzzò ancora di più gli occhi, per penetrare più profondamente nella propria solitudine. Quando l'euforia cominciò a trasformarsi in panico, Melmoth si mise a galoppare a zigzag per le colline deserte.

Con cautela si arrampicò sulla gamba d'uomo, zampe e pietre, fino a quando non sentì del terreno solido sotto i piedi. Sollievo. Melmoth scomparve all'ombra del mucchio di detriti e tese le orecchie. I cani ansimavano, e così anche il macellaio.

"È nella vecchia cava di pietra. Ora lo prendiamo.""Hmmm hmmm," fece una voce conosciuta.Melmoth vide che dall'oscurità emergevano due nuvole di luce bianca,

vide il respiro caldo e fumante dei cani e la figura massiccia e nera come la pece del macellaio. Melmoth tremava, ma solo per lo sfinimento. Dentro

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era straordinariamente tranquillo. Riusciva a sentire ogni cosa, ogni cosa. I guaiti dei cani e il battito del loro cuore che sbavava, il rumore pungente della luce della luna sul terreno freddo, il battito delle ali di un uccello notturno, persino l'avanzare vellutato della notte che scorreva lenta. Era la sua quinta notte - e l'ultima.

Il macellaio aveva portato con sé una luce. Melmoth vide che questa luce aveva fatto uno scarto, si era arrampicata sulle pareti di roccia e si stava facendo sempre più vicina. Ai piedi del mucchio di detriti la luce esitò per un istante. Poi saltò decisa sulla rampa, su pietre e gamba, senza far rotolare una sola pietra. La luce era brava a cacciare. Dalla rampa la luce fece un balzo nell'ombra, direttamente su Melmoth. Per un momento si ritrovò in un biancore accecante. Poi intorno a lui si fece nero.

"Oh merda!" disse il macellaio."Che c'è, che gli è successo?" chiese George, che era rimasto un po'

indietro rispetto al macellaio. "Te l'ho detto, non lo devi braccare così, non di notte, quando..."

George rimase un attimo in silenzio."Oh merda!" disse poi.Spalancando bene gli occhi, Melmoth riuscì a ricacciare indietro il nero.

Ora riusciva a vedere che cosa stesse succedendo. La luce lo aveva lasciato perdere. Era saltata di nuovo sui detriti e si era impigliata saldamente nella solitaria gamba umana. E solo in quel momento Melmoth comprese come una gamba d'uomo in quel posto dovesse risultare strana. Spuntava pallida, priva di peli, nel cielo notturno, e odorava di morte.

La luce cominciò a tremare. Il macellaio fece un paio di passi indietro. Solo i cani sembravano interessarsi a Melmoth, che se ne stava all'ombra della rampa di detriti e respirava pesante.

"George?" disse il macellaio. La sua voce non faceva più paura. "Che ne pensi, dovremmo... andarcene?"

La figura asciutta di George era immobile nel buio, come congelata. Scosse la testa.

"Lo abbiamo visto. Non è un gran bello spettacolo. Anch'io avrei preferito trovare solo Melmoth, e nient'altro. Ma ora è troppo tardi. Non c'è altro da fare. Merda!"

"Merda!" confermò il macellaio. Aveva fatto un altro passo indietro."Lo prendi?" chiese.George si era voltato per metà verso il macellaio e Melmoth sentì che

non era più arrabbiato. Non con Melmoth, e nemmeno con nessun altro.

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"Ham," disse, "sei tu il macellaio. Lo fai tutti i giorni. In teoria. Avevo sperato che tu..."

"Ma questa è tutta un'altra cosa. Completamente un'altra cosa. Mio Dio, George, quello è un cadavere."

George si strinse nelle spalle. "Hai forse l'impressione di lavorare nel campo della frutta?"

Salì sulla rampa. Le pietre cominciarono a rotolare. Prese i guanti da lavoro dalle tasche della giacca. Se li mise. Tirò la gamba. Qualcosa si mosse sotto i detriti. Quando il corpo pesante venne in superficie, molte pietre rotolarono giù. Melmoth fece un passo indietro, perché le pietre non lo colpissero sulle zampe. Pietre e zampe

Il macellaio emise un rumore, come un agnello che ciucciasse, umido e con la lingua che schioccava.

"La donnola," disse il macellaio. "Donnola McCarthy!"George, che fino a quel momento era stato tutto impegnato a estrarre la

gamba, ora guardò verso il basso. Vicino alla prima gamba ne era emersa una seconda, e dopo di questa un torso magro, due braccia altrettanto magre e una faccia da donnola, sorpresa e morta. Braccia e gambe si ritrovavano in una posizione strana.

"Rigido," disse George. Il macellaio annuì."Dopo circa otto ore. Solo fino a quel momento li si possono lavorare."

Poi si passò imbarazzato una mano sulla bocca, come se volesse riprendersi le parole dall'aria chiara della notte.

George tornò a stringersi nelle spalle. "McCarthy in fondo è sempre stato un po' rigido," disse. Entrambi avevano l'aspetto di chi avrebbe preferito non aver detto nulla.

I cani annusavano curiosi McCarthy. Melmoth avrebbe potuto svignarsela. Nessuno si interessava più a lui. Ma era troppo stanco. Sentiva l'avanzare vellutato della notte, stava fermo e taceva.

George si piegò su McCarthy."Non si tratta di una morte naturale. Guarda un po' qui, Ham." Ham

annuì, ma senza avvicinarsi."E se ci limitassimo a chiamare la polizia?" chiese.George annuì. "Con chiunque altro sì, ma non con McCarthy. Pensaci un

po' su, Ham. Qui c'è qualcosa che non quadra. E, te lo ripeto, non si tratta di una morte naturale."

In realtà Melmoth non riusciva a distinguere in McCarthy niente di innaturale. Molte piccole ferite sul busto e sulle braccia. Alcune innocue,

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niente più che lividi bluastri. Ma c'erano anche dei tagli piatti, come provocati da un coltello. Era possibile che la ferita mortale fosse stata quella alla testa, sangue denso e freddo sui capelli unti. Tutto perfettamente naturale.

"Allora, qui non ci vedo bene! Ham, non riesci a farmi un po' più di luce? Qui davanti, non là dietro." George aveva una voce irritata.

"Sei tu che la copri," disse Ham. "Non ti posso passare attraverso con la luce. Ti devi fare da parte."

"Ma non posso farmi da parte!"Era vero. George si trovava in mezzo alla rampa stretta, l'unico punto in

cui uno con due gambe di quell'altezza potesse stare senza cadere."Allora deve venire giù lui!" sbuffò il macellaio. "Altrimenti non ce la si

fa."George si voltò verso Ham."Ham, per favore, non startene lì con le mani in mano !"Il macellaio sospirò. Prese i guanti di George, li infilò a stento sulle sue

manone da macellaio e si arrampicò per la rampa. Rotolarono giù molte pietre. Ham afferrò il cadavere con presa da esperto a un braccio e a una gamba e lo scaraventò con un solo movimento ai piedi di George. Per un momento il macellaio si era mosso elegante come una foca nell'acqua. Qualcosa di pesante tintinnò sulle pietre ruzzolando dietro McCarthy.

"Qui." Il macellaio indicava la nuca di McCarthy. "Un colpo alla nuca. Probabilmente con questo." E indicò la cosa che aveva tintinnato dietro McCarthy. Melmoth odorò con attenzione - una semplice vanga, come quella che George usava nell'orto.

"Comunque una cosa ben fatta. Per quale motivo era necessaria questa fesseria" - il macellaio indicava il busto di McCarthy - "non riesco proprio a immaginarmelo. Serve solo a renderli nervosi."

"Non una morte naturale." George scosse il capo. "Un vero omicidio. Da non credere."

Il macellaio guardò George davvero spaventato. "Dovremmo andare alla polizia."

"Un attimo," disse George. "Un attimo solo. Prima riflettiamo. Questo è un grandissimo casino. Pensaci un po', proprio McCarthy. Quali conseguenze può provocare una cosa del genere? Chi potrebbero sospettare? Chi potrebbe aver avuto un motivo per uccidere McCarthy?"

"Josh, naturalmente. Sam, Patrick e Terry," disse il macellaio. "Michael e Healy."

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George annuì. "Eddie, Dan, Brian, O'Connor, Sean e Nora.""Adrian e Little Tennis," aggiunse il macellaio."Leary.""Harry e Gabriel.""Tu, in ogni caso," disse George."Anche tu," disse il macellaio un po' offeso. "In effetti tutti. A parte

Lilly." Il macellaio fece un movimento sprezzante con la mano.George si piegò di nuovo su McCarthy."Chiunque avrebbe potuto farlo."Ham annuì. "Alcuni meglio, altri peggio.""Tu lo avresti fatto meglio," disse George. "Se adesso andiamo alla

polizia, dobbiamo prima di tutto dimostrare che non siamo stati noi. Un..." Si tirò indietro il berretto dalla fronte. Melmoth sapeva che quando George si tirava indietro il berretto dalla fronte era perché stava riflettendo intensamente. "Abbiamo bisogno di un alibi. L'unico problema è capire per quando. Mi sai dire da quando è morto, più o meno?"

"Hmmm," fece il macellaio. "Da me ovviamente stanno nella camera di refrigerazione. Ma anche qui non fa proprio caldo. Quindi, se fosse un maiale, direi che almeno, hmmm, diciamo almeno da quattro giorni. Succede così solo quando si lavora male e non li si prepara subito, è allora che succedono queste porcate."

"E se invece fosse stato al caldo più a lungo e lo avessero portato qui solo da poco?"

"Anche in questo caso," disse il macellaio. "Almeno tre giorni. Vedi queste macchie? Due giorni perché si formino, e marcate come queste... Tre giorni, direi."

Il berretto di George si spostò ancora più indietro rispetto alla fronte. "Tre giorni. Tre giorni fa era domenica. Io ero al capanno, volevo finalmente passare una giornata tranquilla. E tu sarai rimasto seduto da solo davanti alla tele, no?"

Ham annuì imbarazzato."Male, molto male," mormorò George. "Se lo denunciamo, ci

metteranno tutto sottosopra. Andranno a frugare dappertutto nel capanno. Ci manca solo questo. In prigione per McCarthy? Io no di certo! Ascolta, lasciamo tutto così. Lo trovi chi vuole!"

George si voltò e se ne andò deciso nella direzione da cui erano venuti. Il macellaio richiamò i cani e lo seguì a grandi passi frenetici. Melmoth si trovava accanto a McCarthy e li guardava. E persino nella sua profonda

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stanchezza si stupì. Il divoracarogne - messo in fuga proprio da una carogna! Da non credere. Melmoth guardò la sua morte sicura allontanarsi con passo pesante. Pum, pum. Pietre e zampe. Pum.

Ma a un certo punto il macellaio si fermò e si voltò. Un freddo mortale strisciò nella testa di Melmoth attraverso le corna. Una seconda morte non l'avrebbe sopportata. Prima la pausa, acida, come il vapore, poi il coraggio di fronte alla morte, rigido, ma chiaro, il sollievo, morbido e putrido, e ora di nuovo la paura. Melmoth sapeva che non avrebbe potuto essere coraggioso una seconda volta. Non ora.

"Che c'è?" chiese George. Anche lui si era fermato."Ho come una strana sensazione," disse il macellaio. "Come se avessimo

trascurato qualcosa." Melmoth si impietrì.George rise amaro. "Se me lo chiedi, avremmo potuto trascurare un

sacco di cose."Ma il divoracarogne si mise in movimento. Verso Melmoth. Pum, pum.

Pietre e zampe."Qualcosa non quadra," mormorò il macellaio. "Qualcosa non quadra.

Se solo sapessi cosa!"Melmoth chiuse gli occhi. Era la capitolazione definitiva di fronte al

divoracarogne. Presto gli sarebbe venuto in mente che cosa non quadrava. Melmoth non quadrava. E poi... Non serviva a molto tenere chiusi gli occhi. Pum. Pum. Sulla pietra. Melmoth riusciva a sentire il puzzo da predatore del macellaio strisciare caldo e rancido verso di lui.

"In macelleria, in macelleria." Mormorò il macellaio. "Oggi, in macelleria, tre lombi di maiale per Kate, e poi Josh, che viene a prendere i suoi dieci chili di macinato di manzo. Josh ne ha bisogno per il pub, poi venti salsicciotti per il compleanno di Sam, no, non era questo. Josh. Josh e i suoi dieci chili."

Il macellaio si fermò un'altra volta, così all'improvviso che George inciampò su di lui e imprecò.

"Maledizione, Ham, sei impazzito?" Ma Ham non si lasciò distrarre."Le costolette di maiale marinate, hanno detto poi. Non so più chi le ha

comprate. Forse Dan. O Eddie. E poi ancora qualcuno. Ma di Josh sono sicuro. Josh mi ha raccontato che McCarthy ieri è stato al Mad Boar, che si è comportato da cani, mi ha raccontato, e che è riuscito a far passare tutti i suoi progetti nei vari uffici, e che ora non c'è più niente da fare. Ieri, ha detto. Ieri."

George fece un fischio fra i denti. Era il fischio con cui di solito

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ordinava a Tess di riportare ordine fra le pecore. Tess era ancora piccola e qualche volta non serviva proprio a niente. Ma oggi Tess non c'era, e con i cani del macellaio serviva ancora a meno.

"Una cosa non capisco," disse il macellaio. "Chi è che ha bevuto una birra ieri al Mad Boar! Lui" — il macellaio illuminò brevemente McCarthy e il raggio di luce passò strisciando su Melmoth - "lui sicuramente no."

"Sei sicuro che abbia detto 'ieri'?" chiese George.Il macellaio annuì. "Sì, ieri. Se non mi credi, lo possiamo vedere sulla

cassetta del sistema di sorveglianza.""Ma è senza audio, no?" domandò George."Sì che ce l'ha, l'audio," rispose Ham.George sollevò le sopracciglia, ma il macellaio continuò imperterrito.

"In effetti mi sono meravigliato. Per settimane tutti ignorano McCarthy e poi, da un momento all'altro, tre, quattro persone parlano di lui. Ok, ho pensato, se la faccenda si è conclusa..."

George si batté la fronte con il palmo della mano. Melmoth sapeva che questo gesto era riservato, nella vita di George, solamente alle grandi idee. L'idea di dipingere i ratti con colori fosforescenti per osservare al buio da quale buco si infilassero nel capanno. L'idea che Miss Maple avesse leccato via lo sciroppo dal pane. L'idea che si potesse catturare Melmoth catturando Ritchfield. Perché Melmoth e Ritchfield erano uniti come la sabbia e l'erba di sabbia. Ogni volta che George si batteva la fronte con la mano, aveva sempre ragione.

"Sono stati loro," disse George. "Tutti insieme.."Il macellaio lo guardò incredulo."Loro chi?" chiese."Non lo so chi," disse George. "Ma erano tanti. Davvero tanti. Così tanti

che tutti quelli che ieri sera sono stati al Mad Boar ci sono dentro. Mio Dio, Ham, pensaci. Lo hanno deciso così come hanno deciso che il centro civico aveva bisogno di un tetto nuovo. Quei porci. Lo hanno nascosto qui. E ora se ne vanno in giro e raccontano a tutti che ieri McCarthy è stato al Boar. E se lo trovano un po' più tardi, se l'ora e il giorno della morte non possono più essere stabiliti con precisione, da ieri hanno tutti, hmmm, dei fantastici alibi. Avvocati, appuntamenti dal medico, viaggi in città. Devi solo starli a osservare nei prossimi giorni, e vedrai che è così."

"Ma..." il macellaio agitava le sue grasse braccia perplesso, "intendi dire tutti? Anche O'Connor? Anche Fred?"

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"Non lo so di preciso," rispose George un po' irritato. "Comunque tutti quelli che ieri sono stati al Mad Boar. E probabilmente anche alcuni che non c'erano. Mi posso certo immaginare che i veri mandanti si siano tenuti fuori dalla faccenda del pub."

"E se ci fossi andato anche io al Boar? Ci ho pensato su, alla TV non c'era niente."

"Allora McCarthy sarebbe già andato via. O non sarebbe ancora arrivato. O lo avrebbero visto al supermercato. O al parco giochi, a raccontare ai bambini dei suoi progetti disgustosi. Se ci sono dentro davvero, fa lo stesso."

"Non ci posso credere," si lamentò il macellaio. "Comprano tutti i miei insaccati. Le mie costolette. E all'improvviso sono tutti degli assassini? Non ci posso credere."

"Così sono gli uomini. È meglio che ti ci abitui," disse George, ma il macellaio non sembrava ascoltarlo.

"Il mio roast beef... Come faccio a continuare a vendergli il mio roast beef, adesso che so che hanno ammazzato uno?"

Per un attimo il respiro di Ham rimase sospeso nel silenzio dell'aria fredda.

George si impietrì. "Ham, sta' zitto!" ringhiò fuori dai denti. Molto piano. Quando George parlava molto piano, si trattava di una cosa davvero importante. Ma Ham non si lasciò frenare.

"Niente, da me non avranno più niente, niente di niente!" imprecò."Ham!" sibilò George. Qualcosa nell'espressione del viso di George fece

sì che Ham la smettesse di parlare. Di nuovo il respiro sospeso nel silenzio. E passi. Passi sulle pietre, passi che si allontanavano in fretta. Poi silenzio.

"Merda!" disse George."Merda!" disse il macellaio.Entrambi tacquero per un istante.George sospirò. "Ora lo sanno. Finora non era successo niente. Ora

siamo davvero nella merda."Gli occhi del macellaio si spalancarono. Il suo odore si fece amaro-

acidulo. Il divoracarogne aveva paura."George, non credi davvero che loro ci...? Noi gli stiamo simpatici. E

McCarthy che non gli è mai stato simpatico."George scosse il capo. "Hanno ucciso McCarthy per una questione da

quattro soldi. Ti immagini che cosa potrebbero fare se in ballo ci fosse la loro pelle?"

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"Quei porci!" Ham serrò i pugni. "Sicurezza, bisogna premunirsi, premunirsi sempre. Ma non gliela farò certo passare liscia!"

Premunirsi sempre, pensò Melmoth."Ma come?" continuò il macellaio. "Ci siamo cascati dentro come idioti.

Ora lo sanno. Che cosa ci può aiutare adesso?""Pensare aiuta," disse George. "Dobbiamo trovare i loro punti deboli."Trovare i punti deboli, pensò Melmoth. Pensare aiuta."Ma loro non hanno punti deboli," sospirò il macellaio. "Sono così in

tanti. Lo sai come vanno le cose, George, cane non mangia cane, e se sono tutti sulla stessa barca..." Mulinava perplesso le braccia carnose.

"Ham, per favore, niente panico. Pensaci su. Ci sono sempre dei punti deboli."

Ci sono sempre dei punti deboli, pensò Melmoth. Non avrebbe mai pensato che George e il macellaio potessero dire cose così intelligenti.

George si tirò indietro il berretto dalla fronte. "Hmmm, dalla nostra abbiamo un po' di tempo. Si dovranno consultare. Nessuno di loro oserà fare un passo senza gli altri."

"Ora siamo tagliati fuori," disse il macellaio. La sua voce tremava. "Lo capisci, George? Ora non si può più tornare indietro. Fuori una volta, fuori per sempre. Oh merda!" Ora il macellaio lardoso tremava tutto.

George gli mise una mano sulla spalla per calmarlo. Era una scena piuttosto comica, dal momento che Ham era molto più alto di George. "Ham, hai mai pascolato le pecore?"

Ham scosse la testa."Un gregge di pecore riesci a pascolarlo perché sai qualcosa di loro. Sai

che vogliono rimanere insieme. Fanno di tutto per rimanere insieme. Per questo riesci a pascolarle. Una pecora da sola non la puoi pascolare. È imprevedibile. Qualche volta stare da soli è un vantaggio."

Melmoth e il macellaio ascoltavano George con gli occhi spalancati."Se siamo tagliati fuori, allora sfruttiamo la situazione," continuò

George. "Troviamo le prove. Il tuo video del sistema di sorveglianza - non buttiamolo via. Tu vendi anche i giornali..."

Ham guardò George dubbioso. "I giornali? Sì, e allora?""Bene!" George annuì soddisfatto. "Li si vede nel video? Allora

possiamo dimostrarlo con la data."Ham annuì a bocca aperta. Lentamente sembrava capire dove George

volesse arrivare.Ma George era già andato avanti. "Molto bene," mormorò. "Molto bene.

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Loro sono in tanti. E tante persone insieme non corrono alcun rischio. Faremo in modo che la polizia trovi immediatamente McCarthy. Tu fai delle copie del video. Poi nascondiamo le cassette. E se ci succede qualcosa, viene fuori tutto!"

"E se ci succede qualcosa, viene fuori tutto!" ripeté il macellaio. "Giusto! Glielo faccio vedere io, chi sono. Domani le mie cose saranno già dall'avvocato. Con un testamento. Da aprire alla mia morte!"

George annuì. "Solo che anche loro devono venirlo a sapere alla svelta, altrimenti non ci serve a niente."

"Domani mattina!" disse il macellaio deciso. "Il primo che entra nel mio negozio lo verrà a sapere."

Si voltarono un'altra volta e si allontanarono con passo pesante, ancora più velocemente della prima volta.

Ma poi George si voltò e illuminò Melmoth."Melmoth," disse con voce gentile. "Vieni!"Ham sbuffò arrabbiato."Ma come fai a pensare a quella bestia adesso?""Perché è la mia bestia. Il mio agnello smarrito. Chi fra noi due corre in

chiesa tutte le domeniche? Vieni, Melmoth!"George cercava di attirarlo con la voce più gentile che aveva, quella da

"ho-un-pezzo-di-barbabietola-in-mano". Ma Melmoth sapeva perfettamente che George non aveva nessun pezzo di barbabietola in mano. Nonostante questo, però, sarebbe andato lo stesso volentieri insieme a lui. Sarebbe tornato dal gregge.

Ma non poteva.Non si può tornare indietro. Fuori una volta, fuori per sempre.Melmoth era da solo. E da solo doveva restare.Qualche volta stare da soli è un vantaggio.Indietreggiò rispetto a George. Passo dopo passo, fino a quando il suo

posteriore non sbatté contro una roccia. George gli andò incontro. Lo prese con una mano per le giovani corna, amichevolmente, come aveva fatto molte volte. Melmoth lottò contro questa presa, come non aveva mai combattuto contro qualcosa in vita sua.

A un certo punto George cedette."Vuoi che...?" chiese Ham.George scosse la testa. "Non ha senso," disse. "Non vuole."All'improvviso George aveva un coltello in mano. Si avvicinò di nuovo

a Melmoth. Lo prese per la lana, direttamente alla gola, cercando qualcosa.

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Melmoth era come impietrito. Poi George trovò quello che stava cercando. Un filo sottile, sprofondato nella lana di Melmoth. Lo tagliò. Una chiave tintinnò a terra, piatta e luccicante. George si piegò e la sollevò. Sospirò.

Melmoth riusciva a ricordarsi del giorno in cui George gli aveva legato quella chiave al collo. "Perché sei il più selvaggio," aveva detto George. Lui, non Ritchfield, nonostante Ritchfield tenesse sempre le corna così alte. Era stato un gran giorno per Melmoth.

Poi George si allontanò, senza girarsi nemmeno una volta."George, ma sei matto?" gli gridò Ham. "Prima cerchiamo quella bestia

per giorni e ora la lasci qui. Che cosa gli succederà? Andrà dal primo gregge che trova. È un peccato. Una pecora senza gregge? Non va bene! Non ce la farà mai!"

"Invece ce la farà!" Melmoth sentì dire George, mentre due pallidi coni di luce scomparivano nel buio.

14Lane va a cercare aiuto

Quella sera al pascolo regnava il silenzio. I colombi selvatici vagavano nell'erba alla ricerca di insetti, il cielo era pallido e rosato, il mare intorno alle scogliere liscio come l'olio. Persino il rumore monotono del gregge di Gabriel che strappava l'erba era cessato. Con gli occhi smunti le pecore si accalcavano mute contro il recinto, là dove uno dei pali si era staccato dalla base.

Ma le pecore di George non notarono niente di tutto questo. Erano ancora sedute sotto l'albero delle ombre, in silenzio.

"E tu ce l'hai fatta," disse Cordelia ammirata. Le altre pecore tacevano. I loro cuori battevano ancora dietro alle avventure di Melmoth, al coltello luccicante, all'odore del divoracarogne, ai guaiti dei cani del macellaio.

Anche Melmoth taceva. Sembrava che stesse ancora vagando per la cava di pietra. Sembrava ancora giovane, in un modo strano.

"Avanti!" belò una voce gracchiante. L'agnello invernale. Melmoth voltò la testa veloce come un lampo.

"Avanti che cosa, giovane pascolatore?"L'agnello invernale scomparve spaventato dietro il tronco dell'albero

delle ombre."Voglio dire, come va avanti la storia?" belò da lì.

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"La storia non va avanti," disse Melmoth. "Una storia finisce quando finisce. Come un respiro. Ora. Ma la vita è andata avanti, per colline e paludi, lontano dalle strade, lungo spiagge salate e fiumi scintillanti, sulle montagne nebbiose, dove pascolano le capre selvatiche di Wicklow, per molte greggi, come per molti fiocchi di neve, fino al mare del nord, dove il mondo finisce, e oltre - io l'ho seguita, in svolte senza fine, come un topo che corre nell'erba."

"Allora raccontaci del mare del nord!" belò la voce da dietro il tronco.Ma Melmoth non lo ascoltava."Anch'io ho sempre voluto che la storia andasse avanti," sussurrò a un

maggiolino nero e luccicante che si era messo a passeggiare sopra un lungo filo d'erba proprio di fronte al suo naso. "Nel mio manto, nel ritorno, non con gli estranei, nel mondo. Ma per questo c'è bisogno di un pastore, e il pastore è morto." I suoi denti si chiusero e il maggiolino grassoccio scomparve fra le mascelle di Melmoth, insieme al suo filo d'erba. Il montone grigio masticò pensieroso. Mopple storse il naso.

"Come sai che George è morto?" chiese Maple all'improvviso.Melmoth la guardò stupito. "Come potrei non saperlo? I miei uccelli lo

sanno, l'aria lo sa. Il tipo dagli occhi azzurri porta qui le sue pecore dagli occhi smorti. Voi avete fatto piazza pulita nell'orto. Il gregge degli uomini calpesta il prato a suo piacimento. E poi," aggiunse dopo un po', quasi divertito, "chi lo ha visto nella notte, con il cuore silenzioso e il sangue, e la vanga conficcata in mezzo alla vita, può essere abbastanza certo che sia morto."

"Sei stato qui quella notte?" belò Cloud eccitata. "Hai visto chi lo ha infilzato con la vanga?"

Melmoth sbuffò irritato. "No, non l'ho visto," disse. "Oh, se lo avessi visto..."

"Dopo?" chiese Maple. "Poco dopo?""Gli uccelli notturni non avevano ancora ripreso a cantare. L'ho trovato

davanti ai necrofori. L'ho trovato quando il caldo della vita non era ancora fuggito via, nell'oscurità."

"E poi?" chiese Maple tutta tesa. "Che cosa hai fatto poi?""Ho fatto tre giri a sinistra, tre giri a destra e tre salti in aria, come fanno

le capre selvatiche di Wicklow quando si spegne un saggio del loro gregge. Gli ho messo una zampa sul cuore. Difficile dire dove si trovi il cuore negli uomini. Se poi ce l'hanno, un cuore. Ma lui ce l'aveva di sicuro. Avrei voluto che mi vedesse. Solo da lontano. Solo per poco. Perché

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sapesse che c'è l'ho fatta. Un tramonto troppo tardi. Uno solo. Dall'ultimo volo delle rondini ho sentito il tempo passare, scorrere come sabbia nel vento. Ho pensato: è il mio tempo. Non potevo sapere che fosse il suo."

Melmoth sembrava triste.Maple si immaginò la sua figura ispida al buio, gli occhi ardenti, i

movimenti fluidi, le cornacchie dalle ali nere sulla schiena. L'enigma dell'impronta di una zampa. Annuì.

"Lo spirito del lupo."Lo vide chiaro di fronte a sé.Le altre pecore la guardarono preoccupate. Non pensavano volentieri

allo spirito del lupo - nemmeno in pieno giorno, quando il sole brillava sulla loro lana e i gabbiani gridavano. Maude si fiutò intorno sospettosa.

Le più intelligenti guardavano Melmoth. Lentamente capirono: nessuno spirito del lupo al pascolo. Solo Melmoth. Nonostante il "solo" non fosse molto adatto nel caso di Melmoth. Rifletterono, ognuna per conto suo, se dovessero temere Melmoth come temevano lo spirito del lupo, o se non dovessero temere lo spirito del lupo come non temevano Melmoth. Oppure il contrario?

Il gregge fu preso da un leggero disagio. Lane e Mopple, che fino a quel momento si erano riposate comode per terra, si rialzarono nervose. Eccetto loro non si mosse nessuno. Ritchfield, che in quanto montone capo in situazioni del genere avrebbe dovuto dare l'esempio, questa volta non fu di grande aiuto.

"Pah!" disse solo.Pah? Significava che non c'era niente di vero nella storia di Melmoth e

dello spirito del lupo? Che doveva presentarsi più di uno spirito del lupo per far perdere la calma a Ritchfield? Che non lo aveva capito?

Si guardarono perplesse. Alcune pecore belarono confuse.Alla fine fu la fame a salvarle.Mentre Melmoth raccontava della notte alla cava di pietra, infatti,

nemmeno una pecora aveva pascolato. Erano fuggite, col cuore in allarme, avevano tremato, avevano sperato. Ma ora avevano fame. Era stata una fortuna che le storie di Pamela non fossero state come quella di Melmoth, altrimenti si sarebbero trasformate in un gregge di pecore gracili. Così, spirito del lupo sì o spirito del lupo no - le pecore cominciarono a pascolare con appetito. Al lavoro, con le mandibole che macinavano e le labbra che strappavano, le narici e i pensieri sprofondati nell'erba, la loro tensione si dissolse come nebbia.

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Ma poi, tra la lana di Cloud, qualcosa si mosse. Ne scivolò fuori l'agnello. Le zampe gli tremavano, ma aveva un'espressione decisa. Si guardò intorno. Melmoth si trovava a pochi metri da lui, come se lo avesse aspettato.

Stranamente non gli fece paura, ma coraggio. I due si guardarono."Dicono che tu sei lo spirito del lupo," disse l'agnello ancora un po'

titubante."Io sono Melmoth," rispose Melmoth."Allora lo spirito del lupo non esiste?" chiese l'agnello con gli occhi

spalancati. Melmoth abbassò il muso ispido e grigio verso l'agnello. Gli angoli della sua bocca si arricciarono. La cornacchia sulla sua schiena gracchiò beffarda.

"Ma tu lo hai visto, proprio con i tuoi occhi tondi, piccolo brucatore?""Io l'ho visto," disse l'agnello serio. "Ma non era come te. Era

spaventoso."Melmoth sbuffò divertito, ma, prima che l'agnello cominciasse a pensare

di essere ridicolo, tornò serio."Ascolta, piccolo brucatore, ascolta bene, con queste orecchie così ben

formate, con gli occhi, con le corna che non sono ancora cresciute, con il naso, con la testa e con il cuore."

L'agnello spalancò addirittura la bocca per ascoltare meglio."Se hai visto uno spirito del lupo," disse Melmoth, "allora lo hai visto.

Quella notte ero con George. Ma chi può dire che io fossi solo? Era un pastore particolare, quello che era sdraiato là, nel manto dell'oscurità. Aveva attraversato molti mondi, era stato ospite di molti mondi. Ora i pallidi ballano, giù al villaggio, e la rossa è arrivata. Uomini silenziosi e neri bussano inutilmente al capanno e i divoracarogne cadono dal cielo. Chi può dire se qualcun altro ha ballato attorno al suo corpo morto? Non tu! Non io!"

"Cordelia pensa che sia un trucco," disse l'agnello. "Cordelia pensa che non ci sia nessuno spirito. Ma non lo crede davvero - anche lei ha paura."

"Non è un trucco," disse Melmoth. "Credi a Melmoth, che ha pascolato in molti mondi. Ci sono gli spiriti nel mondo. Spiriti delle pozze e vermi delle siepi, dita del mare e fantasmi del fieno - sono i più innocui. Ma l'agnello che piange... Quando l'agnello che piange grida nella nebbia, nessuna pecora madre riesce a resistere. Devono andare da lui, capisci, le attira come fanno i ragni. E nessuna torna indietro."

L'agnello rabbrividì. "Nessuna?"

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"Nessuna. E proteggi i tuoi occhi dalla capra rossa. Quando una pecora vede la capra rossa, presto un montone del suo gregge morirà in duello, e nemmeno il vento può farci niente. Una pecora farebbe meglio a non vedere mai la capra rossa. Ma la foschia della solitudine..." Melmoth strinse le narici, "... la foschia della solitudine, la seduttrice del naso, una pecora farebbe meglio a non odorarla, piccolo brucatore. Un odore celestiale, come le cose buone tutte insieme, erbe e latte e sicurezza, il profumo del prato in autunno, l'odore della vittoria dopo il duello, attrae e attira e sussurra con voce dolce. Ma solo una pecora del gregge può fiutarla. Una sola. Poi la segue, per monti e valli, via dal gregge senza gettare uno sguardo indietro, nella palude, fino a un mare nero nella palude. Un piccolo occhio cattivo di lago, e ti fissa..."

"E poi?" sussurrò l'agnello a bassa voce."Poi?" Melmoth roteò gli occhi. "Poi niente. Oltre l'occhio cattivo non è

andato nessuno - nessuno che ne sia uscito sano e salvo. A scappare dalla foschia della solitudine ci è riuscita una sola pecora."

La cornacchia sulla schiena di Melmoth voltò la testa e i suoi piccoli occhi vuoti fissarono l'agnello senza espressione.

"Tu?" bisbigliò l'agnello."Io?" ammiccò Melmoth. "Importante è la storia, non chi la racconta.

Ascolta le storie, ascoltale attentamente, raccoglile dal pascolo come ranuncoli. Ci sono i cani da pastore che guaiscono, Thul senza odore, la pecora vampiro, il pastore senza testa..."

"E lo spirito del lupo," disse l'agnello, che ora si ricordò di nuovo della notte da brivido al dolmen.

"E lo spirito del lupo," confermò Melmoth. "Lo spirito del lupo, piccolo visionario tenace, c'è anche lui."

E come a conferma di quanto aveva detto, la cornacchia sulla sua schiena spalancò le ali nere nel sole della sera.

Melmoth si voltò e passò davanti a Maude, che lo seguì fiutandolo. Passò davanti a Cordelia e a Maple, a Zora e a Sir Ritchfield, che aveva l'espressione di chi la sapeva lunga. Poi Melmoth scomparve nella siepe di ginestra e un momento dopo alle pecore sembrò di avere solo sognato lo strano montone grigio.

Ma Ritchfield strizzò gli occhi divertito. "Se ne va un po' in giro," disse. "Ha sempre amato la notte. 'Un peccato dormire,' ha sempre detto. Ma torna. Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge - a meno che non torni," aggiunse per precauzione.

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Scomparso Melmoth, il pascolo sembrò vuoto alle pecore, inquietante come il mare, piatto e profondo. Così, si ammassarono tutte insieme sulla collina e si misero in ascolto prima del silenzio e poi di Miss Maple. Miss Maple andava avanti con le indagini.

"Ora sappiamo perché George ha lasciato il gregge," disse. "Nella notte di cui ci ha parlato Melmoth, George ha scoperto che quello era il gregge sbagliato. Il suo gregge aveva fatto a pezzi McCarthy. Provate a immaginare, vivete in un gregge e un giorno scoprite che le altre pecore non sono pecore - ma lupi."

Le pecore fissarono Maple inorridite. A un pensiero così tremendo non sarebbero mai arrivate spontaneamente, nemmeno in sogno. Solo l'agnello invernale belò ironico.

"Ma era un segreto," continuò Maple. "Lupi che non si potevano scoprire semplicemente con l'odorato - lupi in veste d'agnello. E questo non poteva venir fuori. Credo che per gli uomini la giustizia sia questo: quando qualcosa esce fuori."

"Da che cosa?" chiese Othello, a cui l'argomento interessava.Miss Maple ci pensò intensamente. "Non so da che cosa," ammise alla

fine. "Se sapessimo da che cosa, potremmo semplicemente lasciarlo uscire."

"Giustizia!" belò Mopple, a cui piaceva il pensiero di lasciare uscire qualcosa. Per lo meno non sembrava pericoloso; un piccolo calcio contro la porta giusta o il muso abile di Lane, e l'intera storia dell'omicidio si sarebbe finalmente conclusa. Ma poi, rifletté, perché avevano chiuso dentro la giustizia? Era pericolosa? E se sì, solo per gli uomini o anche per le pecore? Mopple tenne la bocca chiusa e fece una faccia molto da pecora. Decise che nelle prossime riunioni si sarebbe limitato a tacere e a ruminare.

"È interessante riflettere su chi è che ha paura nella storia di Melmoth - e perché," disse Miss Maple dopo un po'. "George e il macellaio all'inizio avevano paura del cadavere. Questo lo sappiamo. Il cadavere dice che la morte è vicina - e tutti temono la morte."

Belati esitanti di approvazione. Il tema era decisamente troppo morboso per le pecore. Ma Miss Maple continuò implacabile.

"Ma poi," disse, "George e il macellaio hanno avuto ancora più paura, non appena hanno capito che gli assassini sapevano che loro sapevano."

Le pecore si guardarono. Chi sapeva che cosa? Miss Maple approfittò

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del momento di confusione generale per strappare un grasso ranuncolo dorato e masticarlo di gusto. Poi continuò.

"Perché? Perché gli assassini hanno paura - paura che venga fuori. Questo li rende pericolosi - come i cani. I cani che hanno paura sono doppiamente pericolosi. I cani che hanno paura mordono."

All'improvviso sembrò saltarle alla mente un pensiero nuovo. Fissò Mopple, che continuava a ruminare tutto concentrato.

"Mopple, che cosa ti devi memorizzare?""Tutto," rispose Mopple orgoglioso.Maple sospirò. "E che cosa ancora?"Mopple ci pensò su per un attimo brevissimo."Re dei folletti," disse poi.Miss Maple annuì. "E ora sappiamo anche il motivo per cui i bambini

avevano paura di George - sebbene non avesse mai fatto del male a nessuno. Hanno imparato la paura dai grandi - come gli agnelli. Per i grandi George era un pericolo, perché conosceva il segreto."

Le pecore tacquero impressionate. Miss Maple era davvero la pecora più intelligente di tutta Glennkill.

"Ma può darsi che tutto ciò non abbia niente a che fare con la morte di George," disse Zora. "Lo hanno pur sempre lasciato in pace per anni - quasi quanto una vita di pecora. Perché da un momento all'altro tutto questo?"

Miss Maple scosse il capo decisa. "Ma deve per forza avere a che fare con tutto ciò. La vanga qui - la vanga là - è fin troppo evidente. Di norma le vanghe non sono pericolose. La nostra ha trascorso molti anni nella rimessa degli attrezzi e non è mai successo niente. E improvvisamente due uomini muoiono a causa di una vanga? O, almeno, nel caso di George così deve sembrare, nonostante in realtà sia stato avvelenato. Chiunque abbia ucciso George - voleva che si pensasse a McCarthy."

"E il macellaio?" belò Mopple, di nuovo infedele al buon proposito di tacere e ruminare in eterno. "Anche il macellaio sapeva di McCarthy."

"Il macellaio," rifletté Maple. "Il macellaio." Era come se stesse ruminando la parola. "Il macellaio ha preso le sue precauzioni. Per questo nessuno ha ucciso il macellaio! Ma se si è trattato di un avvertimento per lui - perché non hanno osato avvicinarlo direttamente? D'altro canto," le orecchie di Maple facevano su e giù, "d'altro canto può anche essere il contrario. Forse adesso qualcuno vuole che salti fuori tutto. E forse quel qualcuno ha ucciso George proprio perché finalmente salti fuori tutto. E

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poi, visto che non ha funzionato con George, ha puntato sul macellaio. Gli uomini al villaggio temono per il macellaio. Lo abbiamo sentito, come si preoccupano, anche se in realtà non piace a nessuno."

"È una storia d'amore!" belò Heide testarda."Non se c'entra il macellaio," disse Mopple.Ma Miss Maple pareva credere capace di una storia d'amore persino il

macellaio. "Perché no?" chiese. "Dopo tutto, il macellaio sembra interessarsi a Kate. E sapeva che cosa fosse successo a McCarthy. Forse, addirittura, è stato proprio il macellaio a infilzare George con la vanga, perché sembri che anche questa volta siano stati gli altri. Tutti insieme! Nessuno oserebbe tradirlo, dal momento che lui ha preso le sue precauzioni."

Le pecore quasi avevano le vertigini a causa di tutti quei pensieri di Miss Maple. Dovunque lei infilasse il suo naso da pecora, là frullavano fuori nuove possibilità, come le mosche al trogolo. Ma anche a Miss Maple ora sembrò che fosse davvero troppo. "Non ne sappiamo ancora abbastanza," sospirò. "Ci sono altre cose da sapere sugli uomini."

Le pecore decisero di andare tutte insieme al fienile per tentare di riprendersi da queste spossanti attività investigative.

Dopo una giornata così calda, nel fienile c'era puzza di stantio e di chiuso. Il caldo aveva stanato vecchi odori da ogni angolo, nicchia e cantuccio. Un topolino che la scorsa estate era morto sotto le assi di legno. George, che sudando spalava giù il fieno attraverso il lucernario - una pioggia di fieno profumata. Una vite che si era staccata dalla radio e ora odorava di nuovo come allora, di metallo e musica. Sangue e pomata che bruciava, colati per terra dalla ferita di Othello. Uova di rondini sotto il tetto. L'odore di gasolio. L'odore di molti agnelli. L'odore della neve. La cipria caduta dall'ala delle farfalle.

Gli odori si aggiravano per il fienile come ratti curiosi.Maple li seguiva assonnata. Nonostante la calura, si era addormentata

subito.Nel suo sogno faceva fresco. Si trovava vicino a un ruscello e il ruscello

mormorava. Gorgogliava, canticchiava, cantava. Il ruscello raccontava che tutto scorreva verso il mare e niente tornava indietro. Ma Maple non si fidava del ruscello. Sulla sua riva pascolava un gregge numeroso di magnifiche pecore bianche, e qualche volta succedeva che una di loro attraversasse il ruscello. Ogni volta arrivava nera all'altra riva. Nera dalla testa agli zoccoli. Le pecore nere guardavano con occhi languidi la riva

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delle pecore bianche, ma le pecore bianche sembravano non notarle, fino a quando una delle pecore nere non prese la rincorsa e saltò ancora una volta oltre il ruscello. Ma non tornò a essere bianca. Mentre saltava si trasformò in un grande lupo grigio. Davanti al lupo le pecore bianche schizzarono via, direttamente in cielo. Nel sogno Maple decise di memorizzare come facessero, per poterlo poi raccontare a Zora. Ma nel sogno Maple sapeva anche che non avrebbe potuto mantenere quel segreto dopo essersi svegliata. Un odore nervoso scendeva dal cielo.

Maple si svegliò dal suo sogno di soprassalto, riportata indietro nella calura del fienile. L'odore di un gregge di pecore! Pecore sconosciute, molto vicine! Solo dopo un istante le venne in mente che ora anche Melmoth si trovava fra di loro. Melmoth, che odorava come un gregge di mezze pecore. Probabilmente era tornato prima del previsto dalla sua scorribanda notturna. Maple, dunque, tornò a tranquillizzarsi. Pensò al perché Melmoth avesse un odore così strano, diverso da quello di tutte le altre pecore che lei avesse mai conosciuto. Forse c'entrava qualcosa con la sua vita vagabonda. Melmoth non aveva vissuto come di solito vivono le pecore. Perché avrebbe dovuto odorare come una pecora normale?

Poteva forse dipendere dalle greggi che aveva incontrato, presso le quali per un breve periodo di tempo si era trovato a suo agio. Così tante vite di pecore, iniziate in greggi così diverse. E nessuna pascolata fino in fondo. A Maple cominciò a girare la testa a causa di questo pensiero. Non c'era da stupirsi che Melmoth odorasse come tante pecore diverse.

Forse, però, si poteva trattare di una cosa del tutto diversa. Forse, durante i suoi vagabondaggi, Melmoth aveva conosciuto delle pecore, pecore particolari, che gli erano piaciute e che si era portato con sé, come ricordo, come odore, come modo di pascolare e come voce fissata nella testa. Melmoth, in questo modo, si era forse cercato un gregge, un gregge di spiriti di pecore, che si trascinava dietro con fili di odore invisibili?

Il pensiero la rese inquieta. Non si sarebbe mai abituata del tutto all'odore di Melmoth. Nessuna pecora sarebbe stata in grado di farlo. E, come a cercare conferma, Maple si mise ad annusare ancora una volta lo strano gregge là fuori.

E all'improvviso si svegliò.Non si trattava di Melmoth! Niente di misterioso, inspiegabile, a metà.

Ma una traccia giovane, scialba, ingorda. Le pecore di Gabriel! Molto molto vicine.

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Maple belò per dare l'allarme.Era stato un belato penetrante a far sì che le pecore, nella notte,

facessero di colpo ritorno dai loro floridi pascoli da sogno. Dappertutto, nel fienile, teste di pecore si sollevarono e si guardarono attorno. Poco dopo il gregge di George si trovava sulla porta del fienile e osservava che cosa stesse succedendo al pascolo.

Un fronte chiuso di colli muscolosi e di teste brucanti si stava muovendo verso di loro. Le pecore di Gabriel erano riuscite in qualche modo a evadere dal loro pezzo di pascolo, e ora pascolavano in direzione del fienile, fitte fitte, inarrestabili. Al buio i loro corpi davano l'idea di essere ancora più pallidi, come se stessero emettendo una luce fioca. Ora che non erano più rinchiuse dietro al recinto, ci si poteva capacitare per la prima volta di quanto fossero numerose. Era uno spettacolo minaccioso, simile per certi versi a quello di una delle macchine crepitanti e ronzanti che in autunno passavano attraverso i campi.

"Gabriel non è davvero capace di costruire recinti," commentò Zora secca. "È un cattivo pastore."

"E ora che cosa facciamo?" si lamentò Heide."Niente," rispose Cordelia. "Restiamo qui nel fienile. Non verranno di

certo qui dentro.""Ma non possiamo permettere che si divorino tutto il nostro pascolo!"

Mopple era fuori di sé. "Dove pascoleremo domani? Dobbiamo cacciarle via!"

"Ma non lo vedi quante sono? Come facciamo a cacciarle via?" chiese Zora. "Non sono nemmeno riuscita a parlarci."

"Ma ci deve pur essere un modo!" Mopple belò testardo. "Si divoreranno tutto. La collina. Il trifoglio sulle scogliere. Le erbe dell'abisso."

"Non tutte le erbe dell'abisso," disse Zora orgogliosa."George's Place!" belò Mopple all'improvviso. "Divoreranno George's

Place!"Le pecore si guardarono terrorizzate."George's Place!" sussurrò Cloud. "Tutto ciò che noi non abbiamo il

permesso di mangiare.""L'erba di topo," disse Maude."Orecchie di pecora e erba dolce!" aggiunse Lane."Erba da latte e avena!" disse Cordelia. E così venne fuori che le pecore

sapevano con sorprendente precisione che cosa crescesse a George's Place.

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Il pensiero di George's Place fu determinante. Già era duro da digerire che le pecore di Gabriel si buttassero su ciò che spettava a loro. Ma che ora divorassero quello che doveva ricordare George... a cui loro avevano rinunciato volontariamente! Quel che è troppo è troppo!

"No!" Mopple sembrava arrabbiato. "George's Place non lo avranno!"Così fu deciso che avrebbero difeso George's Place.

Guidato da Mopple, il gregge si avviò in direzione di George's Place. Ora nessuna di loro aveva più paura. Se Mopple the Whale non aveva paura, la cosa non poteva assolutamente risultare pericolosa.

Arrivate a George's Place, all'inizio le pecore se ne stettero lì perplesse. Come si difende un pascolo da pecore che pascolano?

Ma poi Othello ebbe un'idea. Mostrò loro come costruire una recinzione intorno a George's Place. Pecora contro pecora contro pecora, spalla a spalla, le teste rivolte verso le pecore sconosciute. Lo stesso Othello si mise al centro dell'anello. Da lì poteva correre in aiuto delle altre per respingere l'attacco delle pecore di Gabriel.

"Ora dovrete solo restare ferme in questa posizione," disse Othello. "Basta che non passino, e non divoreranno George's Place. Tutto qui."

In effetti sembrava sorprendentemente facile.All'inizio.Quando videro avanzare verso di loro il fronte compatto delle pecore

pallide, furono però assalite di nuovo dai dubbi. Alcune delle pecore di Gabriel alzarono la testa e le fiutarono. Le pecore di George si sforzarono perciò di darsi un tono deciso. Senza alcun successo visibile. Uno dei montoni sconosciuti belò qualcosa. Poi le pecore di Gabriel puntarono su di loro. "Cibo!" belavano.

Cibo! Le pecore di George si guardarono incerte. In effetti, che cosa significava veramente essere una razza da carne?

Le prime pecore di Gabriel avevano raggiunto il cerchio di difesa e allungavano il naso verso George's Place. Quello che vi fiutavano sembrava convincerle. Cercarono di passare tra le pecore di George, esattamente come avrebbero cercato di passare attraverso una siepe. Mopple belava indignato. Othello sbuffava.

Ora che sapevano dove si trovava il cibo migliore, le pecore di Gabriel tacevano, come se non ci fosse più nulla da dire sulla faccia della terra. Inarrestabili, come l'acqua, si spingevano sempre più inesorabili verso George's Place, con occhi spaventosi e facce spaventose e vuote. Senza

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Othello il gregge di George non avrebbe resistito così a lungo. Non solo la ressa e la confusione, ma anche la tensione. Così muta e terribile non se l'erano immaginata la difesa di George's Place.

A un certo punto Cordelia belò indignata: una giovane pecora dalle zampe particolarmente corte era riuscita a spingerla di lato e a sfondare la difesa. Othello le era subito galoppato dietro e con un'unica grossa spinta aveva cacciato fuori l'intrusa dall'altra parte di George's Place. Nonostante tutto, però, non sembrava soddisfatto.

"Così non va," brontolò.Non importava quanto si impegnassero - le pecore di George erano

costrette a retrocedere passo dopo passo. Mopple era l'unico a trovarsi ancora nella propria posizione di difesa originaria, saldo come una roccia. Guardava spaventato da tutte le parti, là dove le pecore di Gabriel riuscivano sempre più nell'impresa di spingere indietro il suo gregge. Zora aveva un'espressione stoica, ma le sue zampe posteriori si trovavano già fra le erbe proibite. Le pecore di Gabriel erano troppe. Non sembrava mettersi bene per George's Place.

All'improvviso Othello comparve accanto a Lane."Lane, corri!" le disse. "Cerca Melmoth. Portalo qui!""Dove?" Lane era una pecora che andava dritta al sodo."Non lo so," sbuffò Othello nervoso. "Da qualche parte!"La situazione non sembrava promettere nulla di buono. Ma Lane era

contenta di non dover più stare immobile come una siepe vivente. Di correre era capace. Lane era la pecora più veloce del gregge. Senza dire una parola strisciò fra le pecore di Gabriel e cominciò a galoppare. E Othello prese il suo posto di difesa, fra Heide e Miss Maple.

"Ma come farà Melmoth a cacciarle da qui?" chieseHeide. "Non è il loro montone capo. Non lo seguiranno.""Non lo seguiranno, infatti," disse Othello. "Scapperanno."Maple sbuffò incredula. E persino Heide ebbe un'espressione scettica.Le pecore di Gabriel avevano scoperto che era più facile mettersi di

fianco e appoggiarsi con tutto il peso contro l'anello di difesa. Le pecore di George gemevano.

Poi Zora perse la pazienza. Morse con forza un'intrusa sul suo delicato naso da pecora. La pecora belò per dare l'allarme. Tutte le pecore estranee alzarono la testa. E per un lungo attimo minaccioso non accadde nulla.

Poi si andò avanti fra spingere e pigiare, respingere e resistere. Per lo meno, avevano potuto tirare il fiato per un attimo. Ma la povera pecora che

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era stata morsa era apparsa così ferita, così spaventata, che nessuna delle pecore di George aveva voglia di riprovarci con la violenza.

Poi - tutto d'un tratto - le pecore di Gabriel smisero di spingere. Rimasero immobili e tese in ascolto del buio. I loro fianchi si abbassavano e si sollevavano, tremando per lo sforzo - o forse per qualcos'altro. Intorno a loro, intanto, in cerchi sempre più stretti, una figura scura correva nella notte.

Più tardi nessuna delle pecore riuscì a ricordarsi con precisione che cosa fosse successo. Una serie di fughe e mancanza di fiato, serrarsi e schizzare da tutte le parti, eccitazione cieca e grandissima attesa. Mai nel panico, mai senza via d'uscita. C'era sempre un altro passo da fare, l'unico passo possibile. Da qualche parte là fuori, invisibile, più intuito che percepito, qualcuno le proteggeva in modo magistrale.

Non molto tempo dopo - poteva esserne passato solo poco, dal momento che il loro respiro era chiaro e i loro cuori battevano ancora per l'eccitazione - tutte le pecore si trovavano di nuovo dove dovevano essere: le pecore di George nel fienile, e le pecore di Gabriel dietro al loro recinto.

Lane, la pecora più veloce del gregge, con gli occhi luccicanti per l'ammirazione, se ne stava sulle scogliere e rimirava sognante la notte.

15Zora viene a sapere qualcosa dell'uomo con la falce

Il mattino successivo le pecore si recarono di buon'ora al pascolo per dare un'occhiata a George's Place con la luce. La visita le lasciò soddisfatte. George's Place era intatto e persino l'erba calpestata tutto intorno cominciava a rialzare la testa. Le pecore di Gabriel si trovavano sempre là dove dovevano stare, dietro il recinto, e nemmeno una di loro aveva osato oltrepassare di nuovo il varco. Le pecore di George erano orgogliose. E, curiose, aspettavano l'arrivo di Gabriel. Il quale avrebbe dovuto ben rendersi conto di quello che le sue pecore avevano combinato.

Ma quando Gabriel arrivò, si era già fatto tardi. Persino i bombi, non particolarmente mattinieri, scorrazzavano già sul pascolo, e le lucertole se ne stavano lì a prendere il sole sul muretto di pietra accanto al cancello. Ma quando Gabriel finalmente si presentò, scomparvero veloci come lampi scuri. Gabriel non era solo. Accanto a lui camminava un uomo dagli

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occhi guizzanti e inquieti, con una borsa nera in mano. Insieme si fermarono davanti al capanno.

"Mi farebbe comodo poterci entrare," disse Gabriel. "Potrei lasciarci dentro le mie cose. E forse ogni tanto potrei anche passare qui la notte."

"Certo," disse l'uomo in modo eloquente, strizzando rapidamente gli occhi, "comodo sarebbe comodo. E interessante. Diamoci un'occhiata."

L'uomo estrasse dalla borsa alcuni attrezzi.Una gazza si posò sul tetto del capanno e piegò curiosa la testa da un

lato.L'uomo, con i suoi attrezzi di metallo, si mise all'opera cercando di

aprire la porta del capanno di George. Ben presto cominciò a sudare. Anche le pecore avvertivano la calura precoce del nuovo giorno. Non era un calore piacevole. Era il caldo muto che precede la tempesta. Dopo un po' l'uomo si rialzò e si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della camicia. Le mosche ronzavano.

"Mi spiace," disse l'uomo."Che cosa vuoi dire?" chiese Gabriel."Non ce la faccio ad aprirla con i miei attrezzi normali. Qui ci vogliono

del tempo e uno specialista.""Pensavo che fossi tu lo specialista, Eddie.""Sì, ma non per un lavoro del genere. Ho imparato, è vero, ma così,

insieme al lavoro nei campi..." Eddie si strinse nelle spalle."Ma qual è il problema?" chiese Gabriel."La serratura è il problema. È una serratura di sicurezza. Non è uno

scherzo fare una copia della chiave.""Ah," fece Gabriel."Stammi a sentire, Gabriel. Sia io che te sappiamo il motivo per cui vuoi

entrare. Le tue cose le puoi anche mettere da qualche altra parte. Perché non sfondi semplicemente la porta? Tanto, se poi è da buttare, a chi interessa? La porta non sarebbe poi questo gran danno. In effetti non ha molto senso: una serratura del genere su una porta così..."

"Ma, entrare si potrebbe entrare?""Quando vuoi.""Ma si vedrebbe?""Sì che si vedrebbe.""E dalle finestre?""Stessa cosa. Entrare non è un problema, ma vedersi si vedrebbe."Gabriel annuì. "A lui era questo che interessava. Lasciamo perdere."

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Per un attimo l'uomo lo guardò incredulo. Le pecore notarono quanto lui desiderasse entrare nel capanno. Quasi quanto Gabriel. E ancora una volta fu loro chiaro quanto George fosse differente dagli altri uomini. Lui si interessava delle pecore. Gli altri solo del capanno.

La faccia di Eddie si illuminò."Ecco che cos'è, tu hai paura. Di loro. Della mafia della droga. Se

riescono a non far perquisire il capanno dalla polizia, allora dev'essere una cosa grossa. Quindi è vero che..."

"Io non ho paura," disse Gabriel. Mentiva. Fili di paura trovarono la strada verso l'esterno persino attraverso il suo manto di lana di pecora, completamente impregnato di fumo di pipa. "Non voglio che si facciano chiacchiere inutili. Ma mi pare di essere l'unico a pensarla in questo modo." Fissò l'altro con sguardo tagliente.

"Di certo qualche chiacchiera in più al posto giusto non avrebbe fatto nessun danno," disse Eddie. "Invece così ognuno fa ciò che può."

Gabriel fissò l'uomo più o meno nel modo in cui un montone capo osserva i capricci di un giovane montone, con aria di sufficienza.

"Cosa ne pensi di questo?" Gabriel si frugò nella tasca e tirò fuori un altro oggetto di metallo luccicante.

L'uomo fece un fischio attraverso i denti.Gabriel assunse un'espressione strana. Teso. Per la prima volta da

quando le pecore lo conoscevano, aveva un aspetto teso.Eddie lo notò."Una cosa così non la trovi certo per strada," disse. "Dove l'hai presa?""È caduta dal cielo," borbottò Gabriel.L'uomo scosse la testa. "Così non va, Gabriel. Sai che cosa sta

succedendo giù al villaggio? Al Mad Boar? Se ne stanno tutti là seduti, bevono e aspettano. Parlano di qualsiasi cosa, ridono persino alle barzellette di O'Malley. Solo di questo non parlano. Avranno pure il diritto di sapere che cosa succede qui."

"Qui non succede un bel niente," disse Gabriel. Fissò l'uomo a lungo con i suoi occhi azzurri. "Ci penso io perché qui non succeda niente."

Le pecore agitarono le orecchie incredule. La scorsa notte erano successe un sacco di cose e Gabriel era l'ultimo che avesse fatto qualcosa. Cominciarono ad ammettere con se stesse di essere un po' deluse dal comportamento di Gabriel.

L'uomo sospirò. "E va bene. È la chiave di una cassaforte. Ma non una di quelle che puoi ordinare per posta. Una cassaforte vera. Costosa.

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Intendo dire davvero costosa. Forse anche con una combinazione numerica. E può darsi che ci sia bisogno di più di una chiave. In ogni caso, una cassaforte davvero complicata."

Gabriel annuì, come se già lo sapesse. "Quanto potrebbe essere grande?"Eddie alzò le spalle. "Difficile dirlo. Quanto un forno a microonde?

Quanto un frigorifero? La grandezza non ha importanza, per quanto ne so io. Quelle grandi hanno il vantaggio che non te le puoi portar via facilmente. Quelle piccole, invece, non le puoi far saltare senza distruggerne il contenuto. Dipende a cosa ti serve."

Guardò Gabriel incuriosito. Gabriel fissava con aria indifferente le sue pecore, come se già da prima avesse saputo tutto.

"Grazie," disse. "È tutto."Ma Eddie non si lasciò cacciare via così. "È quasi mezzogiorno," disse.

"Sai una cosa? Mi fermo a mangiare qui.""Fai un po' come ti pare," disse Gabriel assente. Aveva scoperto il varco

nella recinzione e cominciò a cercare sotto il capanno un nuovo pezzo di rete e un nuovo palo.

"Sei stato fortunato che non ti siano scappate," disse Eddie."Pecore educate," disse Gabriel."Con gli animali sì che ci sai fare, bisogna proprio dirlo."Le pecore erano indignate. Educate quelle! Se non fosse capitato un

piccolo miracolo, Gabriel sarebbe anche potuto andare a cercarle in tutti gli orti di Glennkill. Era solo grazie a Melmoth che le sue pecore ora si trovavano ancora dietro la rete senza osare uscire.

Mentre Gabriel riparava la recinzione, le sue pecore gettavano sguardi affamati verso George's Place.

"Hanno fame," disse Eddie con la bocca piena.Gabriel annuì, con una punta d'orgoglio. "Sì, divorano qualsiasi cosa, in

compenso però ingrassano a dovere. Ma devo continuare a dargli da mangiare."

Poi si avviò con passo pesante alla minuscola rimessa per gli attrezzi dietro il capanno e si mise a cercare qualcosa. Quando uscì, aveva in mano una falce.

La falce di George. Le pecore riconobbero lo strano attrezzo di legno e metallo. Ma a che cosa servisse, questo non lo sapevano. "Chi ha le pecore, si può risparmiare la falce," aveva sempre detto George ogni volta che lustrava la lama con uno straccio bianco e rosso. Solo così, per scrupolo.

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Gabriel invece non risparmiò la falce.Non risparmiò la falce nemmeno a loro.Ai piedi della collina, dall'altro lato rispetto al mare, cominciò a

pascolare.Le pecore rimasero in silenzio. Per la prima volta videro un uomo

pascolare. Era uno spettacolo orribile. In mano a Gabriel, lo strano attrezzo si trasformò in un gigantesco artiglio di ferro, che passava tra l'erba con una cantilena ostile. Per il pascolo risuonavano rumori strani, come di uccelli dal becco appuntito che volavano bassi. Là dove passava la falce, i fili d'erba si sdraiavano a terra senza opporre resistenza. Era questa la cosa più spaventosa: Gabriel pascolava l'erba e allo stesso tempo la disprezzava. Era un'immagine di distruzione insensata. E il profumo delizioso che saliva dall'erba morta rendeva la cosa ancora peggiore.

Nonostante il sole estivo, alle pecore venne freddo. Mopple cominciò a tremare piano, qualcosa a metà fra indignazione e delusione.

Eccetto il rumore perfido della falce, non si sentiva un fiato. Anche le pecore di Gabriel avevano smesso di belare "Cibo!" e guardavano dalla parte di Gabriel con la fame dipinta negli occhi vuoti.

"Perché non la tagli là dietro?" chiese l'uomo. "Là è molto più alta."Indicò George's Place.Le pecore trattennero il respiro."Meglio di no," disse Gabriel. "Se le altre non pascolano lì, forse è

perché il terreno è contaminato. Ci manca solo che ora si becchino qualcosa, dopo che le ho fatte ingozzare di cibo."

"Te ne intendi proprio tu," disse l'uomo, "di bestie. Meglio di me con le serrature." Gabriel gli gettò uno sguardo ostile.

A un certo punto Gabriel fu soddisfatto dell'opera di distruzione. Si infilò un unico filo d'erba fra i denti, là dove di solito teneva la pipa, e si avviò al capanno per prendere la carriola. Eddie era ancora seduto sui gradini del capanno. Aveva finito di mangiare il suo panino da un pezzo. Gabriel non gli prestò attenzione. Portò l'erba alle sue pecore e la gettò oltre il recinto. Le pecore di Gabriel avevano intonato di nuovo i loro belati - "Cibo!" - belando a lungo, fino a quando anche l'ultima di loro non riuscì a infilare il naso nell'erba morta.

Poi tornò il silenzio. E Gabriel tornò al capanno, là dove Eddie se ne stava sempre seduto sui gradini. Si guardarono a lungo.

"Quindi intendi aspettare fino a domenica, all'apertura del testamento?" chiese Eddie.

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Gabriel annuì. Eddie si alzò all'improvviso, chiuse la borsa e marciò in direzione del villaggio.

Alle pecore occorse un po' di tempo per riprendersi dall'esperienza con la falce. Nessuna di loro ormai ci teneva più a sostenere che Gabriel fosse un bravo pastore.

"Non è affatto un pastore," disse Heide. "Dovremmo comportarci come se lui non ci fosse. Tanto nemmeno ci guarda."

Un piano eccellente. Ben presto molti posteriori di pecore si ritrovarono rivolti verso il capanno. Avevano deciso di sfilare davanti a Gabriel pascolando con ostentato disprezzo. George ne sarebbe rimasto indignato, ma Gabriel non sembrò neanche notarlo. Solo una delle pecore di Gabriel le guardava invece con un certo interesse. Era il montone imponente che Zora aveva già notato in precedenza. Aveva smesso di rimpinzarsi di erba falciata e ora sbirciava concentrato le pecore di George.

Zora lo notò per prima. In effetti aveva fatto il proposito di non parlare mai più con le pecore di Gabriel, e addirittura di non pensare nemmeno a loro inutilmente. Era una decisione presa inizialmente in seguito ai falliti tentativi di conversazione, e ribadita la notte precedente, quando le pecore di Gabriel avevano assalito il loro pascolo come bruchi pallidi.

Ma questo montone le interessava. Era più vecchio delle altre pecore e - secondo Zora - anche più intelligente. Inoltre, da qualche parte fra i suoi occhi smunti, Zora avvertì un abisso. Nel modo meno appariscente possibile cominciò dunque a pascolare nella sua direzione. Gli passò davanti pascolando una volta. Poi una seconda. Gli occhi del montone la seguivano, ma al di là di questo non succedeva niente. Zora decise allora di riprovarci una terza volta, passando vicinissima alla recinzione.

Questa volta funzionò."Cibo," disse il montone. "Morte." Aveva una bella voce, dolce e

melodiosa. Una voce che non si adattava a quel corpo tarchiato e alle gambe corte. Era la voce di una pecora molto elegante.

"Sì," disse Zora compassionevole. "La vostra erba è morta. L'ha tagliata. Con una falce."

Il montone scosse la testa. "Noi siamo cibo. Lui è la morte. Correte via!""Gabriel?" chiese lei. "La morte? Sciocchezze. Gabriel è un pastore.

Anche se scadente."Il montone scosse un'altra volta la testa."Noi siamo carne," disse.

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Zora lo guardò in modo strano. Qualcosa in lei cominciò a tremare. L'abisso era qui, da qualche parte di fronte a lei, ma non lo riusciva a vedere, solo a fiutare.

"La carne è cibo," continuò il montone.Zora scosse la testa. "L'erba è cibo," disse.Il montone strofinò frustrato la testa senza corna contro il recinto. Un

ronzio metallico percorse il pascolo. Gabriel gettò loro un'occhiata."L'erba è morte," disse il montone con insistenza. "L'erba porta la

morte." Guardò Zora quasi implorante. Zora rifletté sull'eventualità che il montone fosse solo matto. Tutti quei discorsi senza capo né coda sulla carne e sulla morte. Finora non aveva mai sentito una pecora parlare di carne. Voleva girarsi e lasciar perdere una volta per tutte le pecore di Gabriel, quando dall'abisso le giunse una sola espressione.

"Razza da carne," pensò Zora.Restò. Tutto d'un tratto l'aria si era fatta molto pesante. A fatica Zora

inspirò la calura del temporale che si stava avvicinando. Il montone guardò il suo gregge, che continuava ad abbuffarsi con l'erba tagliata senza fare il minimo ragionamento.

"Mangiano. Ingrassano. Muoiono," disse il montone. "E io..." - abbassò la testa e non andò avanti. Zora si piantò per terra alla maniera delle pecore di montagna per poter affrontare meglio i brandelli di parole che l'abisso le stava facendo mulinare addosso. "Mopple," pensò, "ingrassare, una razza da carne... sotto il coltello... ingrassano per bene... ingozzare." E all'improvviso la nebbia si squarciò, e Zora poté scorgere l'abisso aprirsi di fronte a sé. Era l'abisso più profondo che avesse mai visto.

Il montone sconosciuto la guardò speranzoso. Riconobbe dagli occhi spalancati di Zora che lei aveva capito e sembrò sollevato.

"Correte via!" disse di nuovo."Perché non avverti anche loro?" chiese Zora, tremante di rabbia, al

montone che le rivelava cose così orribili. "Perché non correte via voi? Ieri, per esempio - invece di avventarvi su George's Place?" Non appena lo ebbe detto, se ne dispiacque. Il montone sembrava così triste, triste come nessun'altra pecora Zora avesse mai visto.

"Paura," disse. "Recinti e paura. Recinti di paura. Sono giovani. Non capiscono. Non devono vedere. Le pecore madri dimenticano. Ogni anno. Vogliono dimenticare. I suoi recinti sono alti. I suoi cani sono veloci." Guardò Gabriel con gli occhi vuoti.

Zora capì. Le si inumidirono gli occhi. Davanti a lei si trovava la pecora

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più coraggiosa che avesse mai conosciuto. Una pecora che giorno dopo giorno fissava l'abisso da sola. Disperatamente sola.

"Diventerai una pecora nuvola," gli sussurrò in fretta. "Vedrai, per te sarà molto facile. Ben presto ti vedrò in cielo."

Poi non ce la fece più e se ne andò via al galoppo, a zigzag attraverso il pascolo. Dove poteva fuggire? Sulla sua roccia? Ma l'abisso che si apriva sul mare le sembrò ridicolo al confronto. Si vergognò dello sconosciuto e di se stessa. Ma poi capì il motivo per cui lui le avesse parlato: un avvertimento. Un incarico. Doveva avvisare il suo gregge.

"Un pazzo," disse Heide."Che cosa ha detto?" chiese Cloud."Che moriranno," ripeté Zora impaziente. "Che Gabriel le ucciderà.

Presto.""Un pazzo," ripeté Heide. "Gabriel è un pastore. Si occupa di loro - più

che di noi.""Poco fa hai detto che non era un pastore," disse Maude."Non l'ho detto," belò Heide con aria impertinente, e se ne andò via a

testa alta."Perché Gabriel dovrebbe ucciderle?" chiese Sara incredula."Per la loro carne." Zora capiva la ragione per cui il montone

sconosciuto non riuscisse a far comprendere l'abisso al proprio gregge. Persino il suo gregge non le credeva - nonostante loro fossero pecore molto più intelligenti e comprensive di quelle di Gabriel. "Dà loro l'erba perché ingrassino alla svelta. E poi... In effetti torna tutto. Sono una razza da carne. Come Mopple. Anche lui è una razza da carne. George allora aveva detto 'Sotto il coltello'. Vi prego, credetemi."

"È questo che ti ha raccontato il montone sconosciuto?" chiese Cordelia."No," ammise Zora. "Non in maniera diretta. Ma aveva paura."Le altre pecore tacquero. Il montone sconosciuto faceva loro pena. Ma

solo per questo bisognava credere alle sue storie strampalate?Zora capì dalle loro espressioni che non erano convinte. "Vi prego,"

disse, "so che è vero!""Hmmm," fece Miss Maple. "In effetti questo spiegherebbe perché non

sono lanose. Vi ricordate che ci siamo chieste perché Gabriel perdesse il suo tempo con pecore senza lana? Se a Gabriel non interessa la loro lana... Questa sarebbe una spiegazione."

Zora guardò Miss Maple con gratitudine. Le altre tornarono a pensare

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alla teoria di Zora. Se persino Maple, la pecora più intelligente di Glennkill e forse del mondo, mostrava interesse per la cosa, forse in tutto questo poteva anche esserci qualcosa di vero - per quanto sembrasse incredibile.

Ma fu Mopple in persona a intervenire a tradimento contro Zora."Io non credo a una sola parola di questa faccenda," belò. "Questo

montone non ha tutte le rotelle a posto. Ieri volevano far fuori George's Place e oggi cercano di farci paura in un altro modo. Lo saprò io come stanno le cose. Anche io sono una razza da carne. E George ha mai cercato di mettermi sotto il coltello?"

"George era diverso," osservò Zora. "A lui interessavano le pecore lanose, lanose come le pecore norvegesi."

Ma Mopple non si lasciò convincere. "Razza da carne significa tutta un'altra cosa," belò. "Razza da carne significa..." - Mopple, con la testa piegata, passò in rassegna i propri ricordi. Ma non gli venne in mente niente. "Tutta un'altra cosa," ripeté testardo.

In questo modo riuscì nell'impresa di convincere le altre - della teoria di Zora. Se persino a Mopple the Whale, con la sua memoria prodigiosa, non veniva in mente niente, la storia di Zora doveva proprio essere vera.

Scoppiò il panico.Maude belò "Al lupo! Al lupo!" e si mise a correre da una parte all'altra

per il pascolo. Lane e Cordelia si infilarono reciprocamente la testa tra la lana. Le pecore madri belarono eccitate per richiamare a sé i propri agnelli.

"Ora siamo noi il suo gregge," si lamentò Ramses. "È finita!""Ci ucciderà," sussurrò Cloud. "È come il macellaio. Dobbiamo

scappare da qui!""Ma non possiamo," disse Sara. "Questo è il nostro pascolo. Dove

dovremmo andare?"Mopple le guardava irritato. "Ma davvero ci credete?" belò. "Davvero?

Anch'io?""Tu per primo!" sbuffò Zora, ancora arrabbiata perché Mopple non le

aveva creduto.Persino Miss Maple non sapeva come uscirne. Con timore sbirciava in

direzione del capanno, per vedere se Gabriel stesse già affilando i coltelli."I montoni devono sapere cosa si può fare," mormorò.Allora le pecore si guardarono attorno alla ricerca dei loro montoni più

esperti. Ritchfield e Melmoth stavano giocando a rincorri-la-pecora come due agnelli da latte e Othello era occupato a tenersi prudentemente al riparo da Melmoth. Ma quando si rese conto dell'agitazione, trotterellò da

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loro."Al lupo!" belò Maude."Il montone sconosciuto," sussurrò Cordelia."Ci ucciderà tutte," belò Mopple. "Me per primo."Ci volle un po' prima che Othello riuscisse a capire. E quando capì anche

lui si spaventò. Othello conosceva il mondo e lo zoo, ma pecore da carne non ne aveva mai conosciute.

"Lo dobbiamo dire a Melmoth," disse. "Melmoth ha esperienza."Si voltarono dunque verso Melmoth. Lui e Ritchfield erano passati nel

frattempo al gioco del duello. Melmoth si era lasciato battere per finta da Ritchfield e ora si stava rotolando nell'erba come un cagnolino.

"Ne sei sicuro?" chiese Cloud.

Othello trottò verso la collina con il cuore che gli batteva e una strana sensazione nello stomaco. Ecco il momento della verità. Da un lato era sollevato. Da giorni cercava un motivo per presentarsi finalmente da Melmoth.

Dall'altro, però, l'idea di guardare di nuovo negli occhi il grosso montone grigio lo riempiva di imbarazzo. Melmoth lo conosceva meglio della propria ombra. Aveva assistito a tutti gli errori e alle stupidaggini che egli aveva compiuto in gioventù - e li aveva criticati senza pietà. L'imbarazzo faceva arrabbiare Othello. In fin dei conti non era stato lui ad andarsene di soppiatto di notte dal carrozzone-stalla del clown crudele, congedandosi con una sola frase priva di senso.

"Qualche volta stare da soli è un vantaggio," sbuffò Othello per la rabbia. Ma non lo era stato per niente, un vantaggio. Stare da solo lo aveva fatto soffrire - una pecora sola fra quattro cani, un furetto e un'oca bianca. Le pecore non erano fatte per stare da sole. Fra le corna di Othello si dispiegò la tristezza, e insieme anche una certa compassione per Melmoth, che nella solitudine aveva trascorso tutta la vita, solo, in fondo al cuore, in ogni gregge. E ora era accaduto ciò che Othello non si sarebbe mai immaginato: Melmoth era invecchiato.

Portava la vecchiaia come Othello non aveva visto fare a nessun'altra pecora, ma nonostante questo era evidente che il peso del mondo aveva fatto venire la barba lunga al grigio. Othello pensò a come sarebbe potuto andare a finire un duello fra loro due e si spaventò. Era un pensiero che non aveva mai osato sfiorare. Quando si erano incontrati per la prima volta, Melmoth non sembrava nemmeno conoscere il peso di pietra della

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vita. Le sue zampe quasi non toccavano terra, e ogni suo movimento dava un'immagine di forza completamente sotto controllo.

E di fianco a lui Othello, con quattro ridicoli cornini e la confusione nel cuore. Combattere? Lui, una pecora? Contro i cani?

"Non sono capace di combattere," aveva belato con la sua voce cocciuta da giovane montone.

"No," aveva ribattuto Melmoth, "ma non importa. Combattere non è qualcosa di cui si è capaci. Combattere è qualcosa che si vuole."

Una questione di volontà, come tutto nella vita di una pecora. Dalle corna di Othello salì ammirazione per Melmoth, ammirazione per la volontà e la saggezza che lo avevano sostenuto così a lungo in tutta la sua solitudine. E poi - come avrebbe potuto andare diversamente? - di nuovo imbarazzo per la propria testardaggine.

Othello si fermò bruscamente.Nell'erba, proprio davanti alle sue zampe, giaceva Melmoth, povera

vittima di un duello per finta. Gli occhi da folletto color giada brillavano fissando Othello come da lontano.

"Donatore d'ombra," disse Melmoth. "È meglio gettare ombra che stare all'ombra. Ma venire ombreggiati in un giorno torrido come questo - non è da disprezzare."

Melmoth voltò quindi la testa verso Ritchfield, che si trovava a un paio di passi di distanza, ancora sbalordito per la vittoria ottenuta nel duello per finta.

"Conosco un nuovo gioco," disse Melmoth. "Chi-ha-paura-della-pecora-nera!" E, con un movimento elegante, si rimise sulle sue quattro zampe; poi tornò a rivolgersi a Othello.

"Chi ha paura della pecora nera?" chiese a Othello. I suoi occhi lo guardavano seri; impossibile che solo pochi battiti del cuore prima brillassero sornioni. "Un gran numero di cani, direi, e alcune pecore, se sono furbe, e naturalmente l'uomo nero. Io no di certo." Melmoth squadrò Othello con insistenza. "Ma la pecora nera - di che cosa ha paura?"

E così si erano ritrovati. In Othello si diffuse una familiare sensazione di confusione. E spiegò che cosa Zora avesse scoperto di Gabriel.

"Dobbiamo scappare," disse. "Se sarai tu a guidarci, ce la possiamo fare."

"Tutte? Così tante?" Gli occhi di Melmoth volarono come una cornacchia sopra le pecore, che da una distanza rispettosa guardavano tese verso la collina. "Qualche volta stare da soli è un vantaggio."

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"Da sole non se ne andranno mai," disse Othello. "Nessuna di loro.""Allora rimarranno qui," disse Melmoth brevemente."Ma...""È meglio così," continuò Melmoth. "Scappare? Da quello con gli occhi

azzurri? Dall'uomo con la falce? Non ne vale la pena." Guardò una volta ancora le pecore. "Devono solo imparare, imparare a insegnare, a insegnare a quello con gli occhi azzurri a ballare, e ad avere paura."

16Mopple fa venire i brividi a qualcuno

Poco dopo Othello aveva già radunato il gregge sulla collina. Era la prima volta che le altre pecore vedevano il montone nero così indaffarato. Nonostante tutto erano scettiche. Una cosa era abituarsi lentamente allo strano odore di Melmoth e ammirarlo per le sue avventure e il suo coraggio. Ma un'altra era farsi insegnare qualcosa da lui. In fondo Melmoth parlava quasi come una capra. E ogni agnello da latte sa che le capre sono matte.

Melmoth intanto si era piazzato sul punto più alto della collina, in modo tale che tutte lo potessero vedere. Un vento caldo gli passava sul manto ispido trasformando la sua lana in fiamme grigie tremolanti. Le corna luccicavano alla luce del sole.

"Chi è il vostro peggior nemico?" chiese Melmoth."Il macellaio!" - "Gabriel!" - "Il cacciatore esperto!" - "Il lupo! ",

belarono le pecore in coro. Negli ultimi tempi si erano manifestati così tanti nemici che le pecore non riuscivano più a decidersi.

"L'abisso," disse Zora filosoficamente."Sbagliato," disse Melmoth. "Il vostro peggior nemico siete voi stesse!

Pigre e lente, codarde e timorose, sconsiderate e ingenue come siete!"Ecco che finalmente era venuto fuori: Melmoth era pazzo. E ascoltarlo,

mentre Gabriel affilava i coltelli, uno spreco di tempo. Ma nessuna osava girargli le spalle. Melmoth le osservava severo.

"La mancanza di fiducia," disse Melmoth, "è comunque un inizio. Non dovete credere a quello che non capite. Dovete capire quello a cui credete. Othello, il mio amico dalle quattro corna, il nero dagli occhi audaci, vi aiuterà a capire."

Othello, tutto orgoglioso, trottò da Melmoth in cima alla collina.

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Melmoth gli fece un cenno con gli occhi. Othello cominciò a pascolare. Le pecore lo osservarono per un po', impazienti, dal momento che a loro non era stato dato il permesso di pascolare.

"Voi ora state vedendo una pecora che pascola," disse Melmoth dopo un po'. "Che se ne va per il prato persa nei propri pensieri alla ricerca del verde, con occhi sognanti. E ora" - Melmoth fece un altro segno a Othello - "una pecora che pascola con attenzione, tesa come una gatta prima del salto, con tutti i sensi all'erta in mezzo all'erba, con le corna in tutte le direzioni, su fino al cielo."

Othello pascolava con fervore. Di nuovo le pecore lo guardarono un po' invidiose.

"Dove sta la differenza?" chiese Melmoth all'improvviso.Ci pensarono sopra."Nelle orecchie," disse Zora. "Muove più spesso le orecchie.""Tiene le corna più basse," belò Lane."Agita meno la coda," disse Heide."L'odore," belò Maude vaga. Con l'odore raramente ci si poteva

sbagliare."Sbagliato," disse Melmoth. "Sbagliato, sbagliato e ancora sbagliato.""Le narici," disse Sara. "Ha dilatato le narici.""Sbagliato," disse Melmoth."Quello che mangia," belò Mopple. "Mangia cose diverse. Più trifoglio.

Meno avena.""Sbagliato!""Non c'è nessuna differenza," disse Maple."Sba... giusto," disse Melmoth, e guardò le pecore con gli occhi che gli

brillavano. "Imparate: l'attenzione vede e non viene vista. Le uniche che devono preoccuparsi di stare attente siete voi. Se mollate, diventate voi il vostro peggior nemico. Perché una differenza c'è. Othello attento - sopravvive."

"Però Gabriel...," iniziò Sara cautamente, ma Melmoth la interruppe."L'attenzione vi aiuterà a comprendere i pensieri calvi di quelli a due

zampe. Ipocriti con i rumori, traditori di odori, ma contro l'attenzione non ce la fanno."

Melmoth studiò le espressioni delle pecore per scoprire se avessero capito. Ma le pecore, grazie alle spiegazioni di George, avevano una certa pratica nel far finta di aver capito, e Melmoth notò che per loro non era facile arrivare a scoprire certi trucchi.

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Poi, quando la maggior parte delle pecore aveva ormai perso la speranza, ebbe inizio la parte pratica della lezione. A dire il vero, cominciò in modo meno eccitante di quanto si fossero immaginate. Il primo esercizio consisteva nel fissare una pietra tonda e pesante con aria ostile, con tutta l'attenzione di cui fossero capaci.

"Ma le pietre non sono pericolose," si lamentò Heide."Non lasciarti ingannare!" borbottò Melmoth. "Se una ti vola sulla testa

ti può anche uccidere." Melmoth ridacchiò, come per una barzelletta molto ben riuscita. Heide, tutta spaventata, fece un balzo indietro allontanandosi dalla pietra.

"È proprio questo il punto: noi pensiamo che la pietra non sia pericolosa," spiegò Melmoth. "Ogni agnello sta attento, una volta che ha capito che ne va della sua pelle."

Le pecore si misero a fissare la pietra con la massima concentrazione, e se la pietra non fosse stata una pietra, si sarebbe certamente sciolta sotto i loro sguardi, come una macchia di neve in primavera. Mentre le pecore erano impegnate con la pietra, sopra di loro la calura della giornata si stava trasformando in un violento temporale. La pietra si bagnò e brillò alla luce dei fulmini. I tuoni rombavano, e le pecore gocciolavano.

Heide fu la prima a perdere la pazienza. "Non voglio più stare attenta," mugugnò. "Voglio imparare a badare alle pecore come fai tu. Voglio imparare a essere pericolosa."

"Fino a quando non saprai badare a te stessa, non potrai badare a nessun altro," disse Melmoth. "E pericolosa lo sei già - ma per te. Fino a quando non avrai imparato a non esserlo più per te, non lo sarai nemmeno per gli altri. Semplice, no?"

Quel pomeriggio non tutte le pecore impararono "l'arte dell'attenzione dalle narici larghe e alta fino in cielo", come la chiamava Melmoth, ma tutte impararono qualcosa. Maude imparò a dormire in pieno giorno con gli occhi aperti, Mopple imparò che era possibile resistere un intero pomeriggio senza pascolare, Sara imparò a cacciare via le mosche agitando e muovendo diversi muscoli senza per questo muovere le orecchie, e Heide imparò a stare zitta. Per essere solo all'inizio, Melmoth era soddisfatto di loro.

Più tardi, nell'aria profumata e chiara che seguì al temporale, iniziò ad affidare loro piccoli incarichi. Per esempio, dovevano passeggiare vicino alle scogliere facendo attenzione a ogni passo. Melmoth supervisionò questo esercizio dalla roccia di Zora. Zora era molto impressionata e

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Mopple sembrava più pensieroso del solito. Più tardi Melmoth le spedì a rubare il cappello da pastore di Gabriel, pesante di pioggia, che si trovava sui gradini del capanno, là dove lui lo aveva dimenticato quando aveva trovato rifugio nel fienile all'arrivo del nubifragio.

Le pecore imparavano più velocemente di quanto capissero. Tra l'altro notarono che, quando riuscivano davvero a osservare tutte le cose con l'attenzione pretesa da Melmoth, in realtà il tempo per avere paura era molto poco.

Naturalmente non tutto funzionava sempre alla perfezione. Una volta Mopple era talmente attento che dimenticò di scansarsi durante uno dei finti attacchi di Melmoth e venne travolto. E a Heide andò un boccone di traverso mentre pascolava, perché per l'attenzione aveva inghiottito nel momento sbagliato.

Verso sera, infine, Melmoth insegnò loro una cosa del tutto insolita per una pecora. Insegnò loro a non lasciarsi pascolare.

"Ma questo non si può fare," belò Lane. "È una cosa che succede nelle zampe."

"Succede perché voi lasciate che succeda," disse Melmoth. "Riescono a badare a voi perché voi non riuscite a badare a voi stesse. Dimenticate il gregge. Dimenticate i cani. Badate solo a voi stesse."

Fino al crepuscolo le pecore si esercitarono a non lasciarsi pascolare. Melmoth aveva assunto il ruolo del cane da pastore e galoppava selvaggiamente intorno a loro - un turbine di attacchi apparenti, finte e ritirate. Il loro compito era di rimanere ferme. Ben presto, però, furono tutte sfinite, alcune perché dovevano correre via controvoglia, e altre perché dovevano rimanere eroicamente ferme.

"Abbiamo quasi finito?" chiese Maude."Finito? Con che cosa?" Melmoth fissò Maude con aria innocente."Con l'imparare," belò Sara."No!" disse Melmoth."Quand'è che abbiamo finito?" sospirò Mopple. I tendini gli facevano

male e aveva la schiena rigida. Stranamente non aveva fame."Montone grassoccio," disse Melmoth, "guarda Melmoth mentre

attraversa il mondo alla ricerca dell'attenzione e, credigli, non c'è stato nessun giorno - e nessuna notte - della sua vita in cui non abbia imparato niente."

Mopple sospirò. Ora potevano scordarsi anche la loro quiete notturna. Si preparò ad altre ore faticose. Ma Melmoth non aveva ancora finito.

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"D'altra parte," disse, "d'altra parte si può imparare anche pascolando. Ruminando. Persino dormendo. Se me lo chiedete, ora potete continuare a imparare pascolando."

Le pecore furono ben presto d'accordo sul fatto che si poteva imparare magnificamente anche pascolando al crepuscolo. E più tardi se ne tornarono al fienile per continuare a imparare dormendo. Ma nonostante fossero stanche come non succedeva da un pezzo, riuscì loro difficile prendere sonno. Una leggera pioggerellina faceva crepitare le foglie delle siepi al buio. Nel fienile regnava un silenzio inquietante. Spossate, se ne stavano lì e pensavano a montoni sconosciuti e a pecore vagabonde, a pietre e a cappelli da pastore, a razze da carne e a recinti. Tutto sottosopra. Non osavano nemmeno sdraiarsi per dormire. Una civetta gridò, e persino questo le rese nervose. Poi qualcosa scricchiolò vicino alla porta. Le pecore si strinsero tutte insieme in un angolo, ma era solo Melmoth, comparso come un'ombra nera all'ingresso del fienile.

"Non imparate," disse. "Non dormite. Che cosa succede?""Paura," disse Maude."Paura," belarono le altre pecore."Paura," disse Melmoth. "Non è qui dentro. È là fuori, vero?"Aveva ragione. Da qualche parte là fuori si trovavano Gabriel, il

macellaio e tutti i carnivori di questo mondo."La dovete scacciare," disse Melmoth. "È un esercizio. Dovete

sperimentare a che cosa serve l'attenzione."Ancora una volta Melmoth assegnò dei compiti.Sara, Cloud e Maude avrebbero dovuto mettersi nell'ombra più scura

sotto l'albero delle cornacchie per ascoltare gli uccelli nelle loro riflessioni notturne. Ramses, Lane e Cordelia avrebbero dovuto andare al foro sotto il pino e ascoltare in profondità il mare freddo, che mormorava minacce contro le scogliere. Zora avrebbe dovuto fissare il cielo e immaginare di andare non in alto, ma in basso, in un abisso vasto come il cielo. Heide avrebbe dovuto rimanere da sola nel fienile e andare alla ricerca del silenzio in tutti gli angoli e gli anfratti.

E Othello, Maple e Mopple sarebbero dovuti andare al villaggio, per cercare il macellaio e osservarlo così a lungo da non avere più nessuna paura di lui.

Continuava a piovigginare. Gocce d'acqua scendevano lungo i vetri delle finestre. In ciascuna di loro era imprigionata una scintilla di luce

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proveniente dalla stanza oltre il vetro.Miss Maple, Mopple e Othello sbirciavano fra le gocce. Dentro, Dio e il

macellaio erano seduti a un tavolo, uno di fronte all'altro. Fra di loro si trovavano una bottiglia marrone e due bicchieri pieni di un liquido dorato.

Ham aveva appoggiato il mento alle sue grosse zampe da macellaio e guardava fisso Dio.

Dio stava intingendo il naso nel bicchiere con il liquido."Tutto per vanità," disse, "vanità femminile. Si tingono i capelli, si

mettono quelle cose aderenti e noi dovremmo guardare dall'altra parte. Non è giusto."

"Kate non si tinge," disse Ham. "Tutto naturale, e che colore.""Ma non è giusto," disse Dio. "E io sto così male. Tormenti dell'anima.

Capisci? Mi sento male.""Stammi a sentire," disse il macellaio, "se sono qui a bere una cosa con

te, immaginati tu come mi senta da cani io."Dio annuì. Lo capiva. "Credi forse di piacermi? Da anni mi rendi la vita

un inferno, e tutto a causa di quella. Scosse il capo tristemente."Ma lo devo pur raccontare a qualcuno," disse il macellaio, "altrimenti

divento matto." La sua voce aveva un suono stranamente denso e indolente. Forse dipendeva dalla lastra di vetro. "Se George fosse stato ancora vivo, sarei andato da lui. George era capace di tenere la bocca chiusa, questo bisognava riconoscerglielo. Anche se alla fine non gli è servito a molto, povero diavolo. E tu, mio caro, anche tu terrai la bocca chiusa, che tu lo voglia o no."

Quello dal naso lungo sorrise tormentato. "La mia carne debole. Sai che cosa significa raccontare ogni giorno alla gente del cielo e, allo stesso tempo, sapere di essere attesi all'inferno là sotto? Attesi, poi! Da me vengono di persona."

"Ma che cosa credi, che io sia caduto da solo dalle scogliere? Sì? È così? Il vecchio Ham comincia a zoppicare?" Ham guardava Dio furente.

Sembrava che questo si aspettasse da un momento all'altro una reazione. Per un istante i suoi occhi fissarono il macellaio. Poi annuì più volte in modo esagerato, assomigliando così a un gigantesco tacchino.

"Direttamente dall'inferno. E sono terribili. Pianto e stridore di denti per tutta l'eternità, e tutto a causa di questa maledetta carne."

Maple e Mopple si guardarono. Sembrava che quello dal naso lungo avesse capito in che cosa consistesse la professione del macellaio. Il macellaio stesso rimase impassibile.

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"Voglio dire, si tratta solo di pecore," disse. "Non avrei mai macellato un cavallo. O un asino. Un asino ha una croce sulla schiena. Sul manto. Ha portato il Signore la Domenica delle Palme. Questo è un segno. Ma le pecore? Sono qui per questo. Per questo vengono allevate. Nessun rimorso, ho pensato io. Una morte pulita, e poi via, in vetrina. Tutto qui. Ma poi, poi..." Le dita a salsicciotto di Ham battevano sul tavolo a ritmo selvaggio.

Dio taceva. Dal suo naso pendeva una gocciolina che tremava come rugiada al vento. Le dita di Ham smisero di battere. Per un momento ci fu un silenzio tale che le pecore riuscirono a sentire la pioggia sul davanzale, lieve e nervosa come zampine di topo. Poi Ham prese la bottiglia e si riempì il bicchiere di liquido dorato. La bottiglia gorgogliò. Ham scosse la testa.

"George," disse, "lui era diverso. Gli ha dato dei nomi. Nomi strani. Con loro parlava, e oltre che con loro non andava d'accordo quasi con nessuno. Una volta è venuto da me e mi ha detto 'Melmoth se n'è andato. Già da tre giorni. Ora basta. Ora prendiamo i tuoi cani e lo andiamo a stanare.' All'inizio pensavo si trattasse di un bambino..." Il macellaio scosse il capo ridendo. "Matto. Ma un matto per bene, più di tutti gli altri messi insieme."

"George?" Quello dal naso lungo aveva afferrato geloso la bottiglia marrone e fissava il macellaio. "Ma se non ci credi nemmeno tu. Non sapremo mai davvero che cosa combinasse in quel suo capanno, ma una cosa te la dico io: non si occupava solo delle pecore. Per bene! Pah!"

Dio strabuzzò gli occhi. Si bevve un bel sorso dal bicchiere dorato e tossì. I suoi occhi sporgevano umidi dalle palpebre.

"George mi ha sempre dato dei problemi. Nessun rispetto. Nessun timore di Dio. Me le ha sguinzagliate dietro lui. Per vendetta. Avrebbe dovuto spedirle dagli altri. Ci sono dentro più di me! Io ho solo tenuto la bocca chiusa. Ma no: naturalmente ha puntato me. Sai quando ho visto la prima? Al funerale. La gente se n'è andata via subito. Ci si può immaginare che avessero di meglio da fare che mettere sottoterra George, e io ho... beh, ora non ha più importanza, ho dato un'occhiata a una rivista, solo un attimo, e poi ho sentito qualcosa. Alzo gli occhi e dietro la tomba di George vedo una testa che mi sogghigna. Alto come un uomo, ma la testa, la testa era... era un..." La voce scomparve tremolante dentro il bicchiere e ne uscì poco dopo con un sussurro rauco: "Un ariete! Mi ha fissato negli occhi! Un ariete nero. Con quattro corna!"

Ham annuì deciso. "Un montone bianco," disse. "Mi ha attaccato. Mi ha spinto giù dalle scogliere. Gigantesco. Forte come un cinghiale. E

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selvaggio. Ti sembra normale? Voglio dire, sono solo delle pecore. E poi questo... Bianco, luminoso. Brillava nella nebbia. Te lo dico io, quella non era una pecora normale. Ma perché? Da allora me lo vedo davanti e mi domando: perché?"

Il macellaio bevve un lungo sorso dal suo bicchiere. Dio si soffiò il naso in un fazzoletto.

"In qualche modo avrei fatto," mormorò. "Lì per lì, ho bruciato la rivista e ho pregato. Ma poi... Subito, il giorno dopo. La nuova addetta all'ufficio del turismo è stata da me - finalmente ne abbiamo trovata una, e io avrei dovuto farle vedere tutto. Certo, l'ho guardata - probabilmente, per loro, con troppa concupiscenza. A ogni modo, ecco che alla finestra compare un demone. Di nuovo sotto forma di ariete. Ma questa volta non nero, grigio, con corna gigantesche e ali nere. Alto come un uomo in piedi. Naturalmente ho subito mandato via la donna, l'ho spedita da Beth. Te lo giuro, non riuscirò mai più a guardare una pecora senza che mi vengano i brividi lungo la schiena."

Il macellaio trangugiò il resto del liquidò dorato e guardò Dio comprensivo.

"Nemmeno io," disse. "Ci ho pensato e ripensato su. Mi hanno detto che sono stato solo una notte in ospedale, ma per me è come se fossero state settimane. Ho riflettuto tutto il tempo. Kate, certo lei non la potevo dimenticare, nonostante abbia sposato George. È a causa sua che mi sono comprato il sistema di sorveglianza, per guardarmela di sera, mentre compra il petto di tacchino. E la sua voce..." Il macellaio guardò sognante nel vuoto. "Non desiderare la donna d'altri... ma io non l'avrei mai toccata, mi devi credere. E poi? Non ho nemmeno partecipato a quella porcata con McCarthy, anche se sono stato quello più danneggiato. L'unica cosa che mi è venuta in mente di fare è il macello. Ma qualcuno lo deve pur fare." Il macellaio sbatté sul tavolo il bicchiere vuoto.

"E ora ne paghiamo il prezzo," sussurrò quello dal naso lungo. "Ogni pensiero peccaminoso, ogni singolo pensiero. Persino in chiesa. È questo che mi ha dato il colpo di grazia. Prova a immaginarti, nella casa di Dio! Mi trovavo nel confessionale... volevo parlare con Gabriel. È venuto, abbiamo parlato. E poi... Una cosa orrenda, mi devi credere, orrenda. All'improvviso il confessionale si è riempito di una puzza infernale. La voce si è trasformata in un belato terribile, io ho spostato la tenda e... al posto di Gabriel... vedo... l'ariete nero, con le mandibole in movimento! Con sette corna, come la bestia dell'Apocalisse!" Singhiozzò.

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Ham appoggiò una mano contro l'altra, unendo le punte delle dita - una volta di costoloni grassi e rosati - e parlò in modo spassionato.

"O era sbagliato macellarle," disse, "e io ne porto la colpa. E allora tutto questo è giusto." Le sue dita ora picchiettarono sulla sedia a rotelle. "Oppure era giusto, e allora tutto questo è un'ingiustizia che grida vendetta al cospetto di Dio. Ora, non sta scritto da nessuna parte che fosse sbagliato - in tutta la Bibbia non si trova nemmeno una parola a proposito, neanche nella Bibbia macellano."

"Vendetta," sussurrò quello dal naso lungo, e rabbrividì. "'Mia è la vendetta,' dice il Signore. È questo che avrei dovuto far capire allora a proposito della faccenda di McCarthy. Questo avrebbe dovuto essere il mio compito. Ma ora è troppo tardi. Ora la vendetta è affare di quelli là sotto." E la mano di Dio fece un gesto impaurito indicando il pavimento.

"Ci sono solo due possibilità," disse Ham. "O divento vegetariano, come Beth. Oppure gliela faccio vedere io che non possono mica trattarmi in questo modo. Un montone bianco. Sì, sì, solo uno stupido animale, tutto istinto. Lo dico anch'io qualche volta. Ma allora anch'io sono uno stupido animale. Tutto quello che vediamo, comunque, sono solo... in un certo modo sono solo... qualcosa come delle maschere, capisci? Dietro ci deve essere qualcosa. Non so che cosa, ma so che quello era un montone bianco. E stai sicuro che lo becco. Questa me la paga!" Ham puntò le mani sul tavolo come se volesse alzarsi. Ma si sollevò solo leggermente dalla sua strana sedia per poi accasciarsi di nuovo sospirando.

Improvvisamente qualcosa si mosse accanto a Maple. La ghiaia scricchiolò. Mopple the Whale era arretrato rispetto al vetro e occhieggiava in direzione del cancello del giardino.

Maple lo guardò con aria di rimprovero."Melmoth ha detto 'fino a quando non abbiamo più paura'," disse

Mopple cercando di assumere un'espressione impavida."Ma è importante," disse Maple. "Forse continueranno a parlare di

George. Forse riusciremo a venire a sapere qualcosa dell'omicidio. E sei tu la pecora con la memoria migliore."

In quello stesso istante nella casa del macellaio si sentì un rumore, un rumore duro, freddo, con un'eco spaventosa. Mopple trasalì.

"Qui," disse Maple per incoraggiarlo. "È successo qualcosa. Vieni, lo devi memorizzare!"

Al buio le assi dello steccato sembravano denti aguzzi, e il cancello del giardino cigolava ostile al vento. Tutto d'un tratto la via del ritorno

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solitaria e notturna non sembrava più una buona idea. Mopple tornò a mettersi al riparo, fra Maple e Othello, e riprese a fissare coraggioso attraverso il vetro.

Dentro, la bottiglia era caduta, lasciando fuoriuscire del liquido gorgogliante. Quello dal naso lungo si teneva stretto il proprio bicchiere. Ham fissava affascinato la pozza che si stava allargando sul piano del tavolo, scura come sangue.

"Qui non si tratta della tua anima schifosa," disse a voce molto bassa. Questo suonava più pericoloso di tutto quello che avevano sentito finora dalla bocca del macellaio. "Peccato o non peccato, fa' penitenza e il Signore ti perdonerà, ma tu davvero non credi a niente della roba che racconti tutte le domeniche? La tua stupida castità non mi interessa un fico secco. Ma che dopo di Alice non te ne sia fregato più niente, questa è la porcata. Ed è per questo che ti farò sudare, fino a quando potrò!"

Le pecore osservarono che, colpito dall'ira del macellaio. Dio aveva mollato il bicchiere. Si era tirato su.

"È lei ad avere abbandonato me" disse, asciutto e triste. "Non il contrario. Cosa non avrei fatto per lei... Tutto! Ancora oggi, in ogni donna, è solo lei che vedo. Questa è la mia rovina. Quella... strega."

Le mani del macellaio si strinsero a pugno. Uno scricchiolio minaccioso. Mopple agitò nervosamente le orecchie.

"Strega! Tutto quello che mia sorella voleva era un po' di sincerità!"Di fronte alla collera fredda del macellaio, il tipo dal naso lungo si

ripiegò di nuovo sul suo bicchiere."Ma tu non sai nemmeno cosa faccio io per te," si lamentò. "Credi che

non abbiano mai pensato di farti fuori? E chi li ha convinti del contrario con ogni mezzo? Io! E uno di quei 'geni', per giunta, aveva calcolato quanto sarebbe stato utile se sul luogo del delitto fosse stata trovata la tua catenina. Quella d'oro di Kate." Fece una smorfia. "Grazie a Dio ha confessato. E io mi sono precipitato là a cercarla."

"Josh," fece Ham come annoiato.Dio sollevò le sopracciglia per la sorpresa. "Lo sapevi già?""So solo che ce l'avevo ancora, quando Tom mi ha chiamato al pub. E

poi, quando siamo tornati dal cadavere di George, non c'era più. Era chiaro che c'era qualcuno che voleva affibbiarmi la colpa. E chi mai potrebbe essere stato se non Josh, quel verme? Io non gli piaccio, e non so nemmeno perché." Il macellaio scosse la testa, come pensando ad altro.

"Non avresti dovuto picchiarlo in quel modo dopo il matrimonio di

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George," disse Dio."E allora?" lo rimbrottò il macellaio. "Hai ritrovato la mia catenina?""No," ammise Dio. "Ma avrei voluto farlo.""Solo perché sai che, se mi succede qualcosa, viene fuori tutto," disse il

macellaio sprezzante."Allora fallo!" Quello dal naso lungo osò provarci di nuovo. "Inchioda le

mie lettere d'amore, e tutte quelle altre porcherie, alla porta della chiesa! Se interessa ancora a qualcuno, dopo tutti questi anni."

"Credimi," disse Ham con astio. "Interessa."Dio bevve un piccolo sorso dal suo bicchiere."E le confessioni che ti devi sentire una settimana dopo l'altra non te le

invidio proprio," mormorò Ham dopo un po'. "Che cosa ti racconteranno! Con una vanga! Ma a chi può venire in mente una cosa simile..." Scosse la testa.

Dio si allungò di nuovo sul tavolo - sembrava che sì stesse capovolgendo in avanti - e fissò Ham. Mentre il macellaio si era accasciato un'altra volta sulla sedia a rotelle, Dio sembrava essersi ripreso.

"Nessuno di loro ha detto niente. Nessuno. Non una parola. Nemmeno in confessione. McCarthy, quella storia non la posso più sentire! Ma George - neanche una parola. Ci avevano pensato, questo è sicuro. Ma nessuno ammette di averlo fatto."

Ham si strinse nelle spalle, come se la cosa non lo sorprendesse affatto. Ma l'altro, a ogni parola, si faceva sempre più eccitato.

"Questo silenzio mi fa venire i brividi, Ham! Nemmeno di fronte a Dio... Vorrei davvero che confessassero. Non è da loro. Di solito non vedono l'ora di scaricare su di me la loro coscienza sporca. Forse... voglio dire, la cosa con la vanga è proprio pazzesca."

I suoi occhi assunsero un'espressione di attesa."Senti," disse, "come mai tu sei stato sul luogo del delitto? Il giorno del

funerale di George?"Ham fece una smorfia. Evidentemente ricordava malvolentieri quella

mattina nella nebbia. Con gli occhi vitrei fissò fuori dalla finestra, direttamente negli occhi marroni di Mopple.

"Perché volevo riavere la mia catenina," borbottò. "Mi è venuta in mente la stessa cosa che è venuta in mente a te - anche senza confessione. Josh, quell'idiota. E quando la polizia non è venuta da me, ho pensato che fosse certamente..." A quel punto gli occhi di Ham fissarono qualcosa, e lui ammutolì.

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Dio rise. "In quel momento anche Josh deve aver cercato la stessa cosa - rimorso e via dicendo. Ma nemmeno lui ha trovato niente. C'è qualcosa in questa storia che deve essere stregato, e io credo..."

Ma quando vide l'orrore congelato sul volto di Ham, Dio ammutolì. Seguì lo sguardo del macellaio fino alla finestra e si impietrì. Poi, all'improvviso, si fece molto pallido, e si portò la mano sinistra al petto.

"Eccolo!" gridò Ham. "Ora lo becco!"Con un abile movimento il macellaio manovrò la sua sedia a rotelle e si

precipitò alla porta. Dio, intanto, fissava attonito il quadrato nero, nel quale per un attimo si erano viste tre teste di pecora avvolte in una luce rossastra.

Mopple, Maple e Othello trotterellarono fino al pascolo sotto la pioggerellina. Potevano dirsi soddisfatte. Anche se non avevano scacciato del tutto la paura - per lo meno l'avevano aizzata contro Dio e il macellaio.

Othello zampettava orgoglioso alla testa del gruppo. Aveva impressionato Dio con le sue quattro corna — solo per questo ne era valsa la pena. Persino Mopple trotterellava a testa alta nella notte. Melmoth aveva ragione! Con un po' di attenzione e uno sguardo impavido da pecora si poteva far paura agli uomini.

Mentre rifletteva sulle sue nuove qualità, Mopple aveva assunto un'andatura risoluta e procedeva spalla a spalla con Othello. Timido, aveva intenzione di fare un paio di passi indietro, quando Othello voltò la testa e lo fissò.

"Sei stato tu a spingere il macellaio giù dalle scogliere?" chiese.Mopple sollevò la testa. Proprio come quando aveva assalito il macellaio

nella nebbia... forte come un cinghiale! Con l'attenzione una pecora poteva riuscire a far tutto.

Poi il ricordo gli tornò alla mente. Mopple era la pecora con la memoria migliore del gregge. Aveva memorizzato tutto.

"No," sospirò. "Lui mi ha dato la caccia nella nebbia. E poi è precipitato." Mopple abbassò la testa.

Othello sbuffò divertito, ma con un'espressione bonaria."Comunque, una bella prestazione," disse.Si guardarono in giro cercando Miss Maple, la quale era rimasta un po'

indietro. Di tanto in tanto si fermava e strappava un paio di foglie dai cespugli lungo il sentiero, persa nei propri pensieri. I montoni aspettarono pazienti.

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17Cordelia conosce parole utili

Molto tempo prima, quando Miss Maple non aveva ancora visto nessun inverno, George era solito mangiare ogni mattina pane e burro con lo sciroppo d'acero. Nelle belle giornate faceva sempre colazione all'aperto, davanti agli sguardi invidiosi delle sue pecore. Per prima cosa metteva un tavolino pieghevole davanti ai gradini del capanno. Poi preparava il caffè. Quindi portava fuori il piatto con il pane già imburrato. E poi rientrava, per mettere fretta alla macchina del caffè. In questo intervallo di tempo il pane veniva lasciato incustodito, al sole. Tutte le pecore, naturalmente, se lo sarebbero mangiato volentieri. Ma solo Maple sapeva contare fino a 50. Non appena la macchina del caffè sbatteva, colpita dal palmo della mano di George, iniziava a contare. 1-15: Maple scivolava di soppiatto verso il capanno. 15-25: per sicurezza sbirciava attraverso la porta del capanno. 25-45: leccava via lo sciroppo dal pane molto cautamente, così cautamente che sul burro non rimaneva nemmeno l'ombra di una lingua di pecora. La cosa importante era lasciare sul pane uno strato molto sottile di sciroppo marrone, in modo che George non potesse accorgersi di niente. 45-50: ritornava correndo dalle altre pecore e si nascondeva dietro il corpo lanoso di sua madre, alla quale tutto questo sembrava piuttosto imbarazzante. 51: George usciva dal capanno con una tazza di caffè fumante e iniziava a far colazione.

Ma un bel giorno la macchina del caffè si ruppe e già al 35 George se ne stava lì, a braccia conserte sulla porta. Fu il giorno in cui George diede un nome a Maple ancora prima che arrivasse il suo primo inverno. Le altre pecore furono un po' invidiose della cosa, ma sua madre ne fu estremamente orgogliosa, come se fosse stata lei a rubare lo sciroppo dal pane. Maple stessa camminò impettita per il pascolo fino a sera, muovendosi in modo elegante - la pecora più giovane a cui fosse mai stato dato un nome.

Nel frattempo divenne chiaro a tutte che Miss Maple era davvero la pecora più intelligente di tutta Glennkill - e forse anche del mondo. Ed era per questo motivo che, nonostante la stanchezza, ora se ne stavano lì attente ad ascoltare Maple, Mopple e Othello riferire le parole che avevano sentito uscire dalla bocca di Dio e del macellaio. Di nuovo si parlava di carne e la paura del coltello, che a fatica era stata messa sotto controllo, tornò a

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manifestarsi. Ma Miss Maple voleva arrivare da un'altra parte."Dio ha detto una cosa importante," affermò. "Ha detto che nessuno gli

ha raccontato niente. Lui lo trova un fatto inquietante. E credo abbia ragione. Se lo avessero fatto da gregge, si sentirebbero al sicuro e glielo racconterebbero. Come con McCarthy. Allora Dio non aveva detto niente - perché dovrebbe farlo adesso? A lui George non piaceva."

"Forse se lo sono dimenticato," obiettò Cloud.Mopple the Whale scosse la testa. "Gli uomini non dimenticano

facilmente. George in primavera sapeva ancora chi avesse rosicchiato la corteccia degli alberi in autunno. McCarthy è morto da quasi sette inverni, più o meno un'intera vita di pecora, e ancora se lo ricordano." Era evidente che la capacità di ricordare degli uomini incuteva un certo rispetto a Mopple.

"No, qui non è una questione di memoria," confermò Miss Maple. "Credo che dietro il silenzio ci sia qualcos'altro. Credo che non l'abbiano fatto tutti insieme, come è successo con McCarthy. Non si comportano come un gregge che abbia pascolato unito. Altrimenti sarebbero solidali, si ritirerebbero in un angolo e aspetterebbero. Ma non lo fanno. Se ne vanno in giro alla rinfusa. Si sospettano reciprocamente. Ognuno vuole scoprire qualcosa degli altri. Per questo Josh è venuto da Gabriel, e per questo anche Eddie è stato qui. E sempre per questo Gabriel ha spiato Josh, Tom O'Malley e Harry quando si sono intrufolati al pascolo."

Le pecore belarono stupite. Questa sì che era un'informazione nuova.Miss Maple sbuffò impaziente. "Avremmo dovuto capirlo molto tempo

prima. Così non ci saremmo lasciate abbindolare da lui tanto a lungo. È Gabriel il cacciatore esperto!"

Gabriel il cacciatore esperto! La cosa non sorprese affatto le pecore. Nel frattempo, infatti, avevano imparato a ritenere Gabriel capace di qualsiasi nefandezza. Ma come aveva fatto Miss Maple a scoprirlo?

"Avrei dovuto intuirlo subito," spiegò Miss Maple. "Già per il fatto che Maude non fosse riuscita a fiutarlo subito. Solo Gabriel è in grado di camuffare il proprio odore, dietro la lana umida e il fumo. E poi..."

Miss Maple fissò decisa il gruppo. "E poi sapeva che quei tre erano stati al pascolo. Lo ha detto a Josh. E sapeva anche di averli resi nervosi. Come avrebbe potuto saperlo, se non fosse stato presente?"

"Ma come mai Gabriel dà la caccia agli uomini?""Forse voleva la loro carne," disse Mopple. "Non è che gli uomini siano

particolarmente lanosi."

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"Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge," belò Ritchfield.Maple annuì. "Penso che Ritchfield abbia ragione. In un certo senso

Gabriel è il loro montone capo. Non vuole che se ne vadano in giro. Se ne devono stare tranquilli in un angolo - proprio come le sue pecore. Ma non lo fanno, e quando Gabriel ha visto che quei tre se l'erano svignata, li ha seguiti."

"Non è un bravo montone capo," disse Heide."No," concordò Miss Maple. "Non è capace di tenere unito il gregge.

Nel capanno deve esserci nascosto qualcosa di tremendamente importante. Qualcosa che non deve venir fuori in nessun caso."

"La giustizia!" sbottò Mopple.Miss Maple piegò la testa da un lato. "Può darsi. A ogni modo si tratta di

una questione dell'estrema importanza. Che cosa vanno cercando tutti nel capanno? Eddie, Gabriel, Josh, Tom e Harry. Che cosa cercano?"

"L'erba," disse Zora. "Tom ha detto che cercano l'erba."Alle pecore sembrava una cosa sin troppo sensata. Dei traguardi così

plausibili di solito gli uomini non li avevano.Mopple ebbe un'espressione scettica. "Qui c'è erba dappertutto. Tutto il

pascolo è pieno d'erba, per lo meno là, dove quelle," e qui gettò uno sguardo ostile alle pecore di Gabriel, "non si sono ancora fatte fuori tutto. Per quale motivo dovrebbero cercare l'erba nel capanno, mentre basterebbe piegarsi per raccoglierla?"

Le pecore dovettero ammettere che Mopple aveva ragione. Persino agli uomini andava attribuito un pizzico di buonsenso. Era davvero un argomento di conversazione capace di stimolare l'appetito. Alcune teste si abbassarono per frugare fra la paglia del fienile alla ricerca di gustosi fili d'erba.

"Non credo che tutti vogliano l'erba," disse Miss Maple, dopo che la sua testa era riemersa dalla paglia con una lunga pannocchia in bocca, "qualunque cosa essa sia. Credo che per Gabriel sia più importante che non venga fuori niente. Nemmeno l'erba."

Mopple fissava invidioso la pannocchia di Maple. "Ma perché?""Gabriel è il montone capo," disse Miss Maple. "Penso che fosse il

montone capo anche allora, quando hanno ucciso McCarthy. Sa che George e il macellaio hanno preso le loro precauzioni. Se a loro succede qualcosa, viene fuori tutto. E adesso è successo qualcosa a George. Naturalmente tutti stanno aspettando che questa cosa venga fuori. E, direi, tutti pensano che verrà fuori dal capanno."

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Le pecore si raccolsero sulla porta del fienile e guardarono scettiche il capanno, che riposava al buio come una massiccia pietra nera. Fino a quel momento il capanno era sempre sembrato loro un elemento innocuo, e l'unica cosa che ne fosse mai venuta fuori era George.

"Non lo so," disse Cordelia."Qualsiasi cosa sia, non verrà fuori," disse Lane. "Nessuno riesce ad

aprire la porta. Ci ha provato Gabriel, e così Eddie, Josh, Harry e Tom O'Malley. E l'uomo con la macchina che non faceva rumore. Nessuno ci è riuscito."

"Ma come mai vogliono aprire la porta, se tutti vogliono che non venga fuori niente?" belò Heide. Non era affatto una brutta domanda.

Miss Maple agitò le orecchie pensierosa. "Se non riescono a entrare nel capanno, avranno sempre paura che ce la faccia qualcun altro e che in questo modo scopra il loro segreto. Ma se riescono a entrare nel capanno per primi, saranno loro a trovare le prove e le potranno far sparire una volta per tutte."

Per un po' rimasero in silenzio, rimuginando, riflettendo o semplicemente ruminando. Ma proprio nel momento in cui sembrava che questa riflessione si fosse trasformata in un bel sonnellino, Miss Maple tornò a farle sobbalzare.

"Immaginate che sia stato uno solo di loro a uccidere George," disse all'improvviso. "Chi potrebbe essere stato?"

Un po' spaventate, le pecore si misero a belare alla rinfusa. Gabriel e il macellaio erano i loro favoriti.

"Hmmm," fece Miss Maple. "Avete notato? Prima nessuna di noi avrebbe mai pensato che Gabriel potesse esserne capace. Perché a noi piaceva. Mentre ora il sospettato numero uno è lui. Perché non ci piace più. Forse stiamo commettendo un errore. L'assassino potrebbe anche essere qualcuno che ci piace."

"Ma se fosse lui l'assassino, allora non ci piacerebbe più," spiegò Heide decisa.

"Però può darsi che ora ci piaccia," disse Miss Maple."Rebecca?" belò Cloud spaventata."In fondo che cosa sappiamo di lei, a parte il fatto che ha un buon

odore?" chiese Miss Maple. "Salta fuori dopo la morte di George. Si comporta come se fosse qui per occuparsi di turismo, anche se non è vero. Cerca di scoprire delle cose su George."

"Anche lei vuole trovare l'assassino," disse Othello.

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"O impedire che l'assassino venga scoperto. Ha chiesto se ci sono dei sospetti. Forse vuole solo sapere se qualcuno è sulle sue tracce."

La cosa non sembrava del tutto improbabile. Nei romanzi di Pamela le figlie belle spesso erano la causa della morte dei loro padri. Nonostante questo, però, nessuna pecora riusciva ad abituarsi a una teoria del genere.

"Mi ha regalato l'ultimo pomodoro," disse Othello. Alcune pecore fissarono Maple contrariate. Una che si comporta in questo modo, poi è capace di commettere un omicidio?

Ma Miss Maple rimase impassibile. "Non è una di qui. Non ha paura che venga fuori qualcosa. Non sa nemmeno che qualcosa potrebbe venir fuori. E vi ricordate quello che ha detto Beth a proposito della vanga, del cadavere e dei cani del diavolo?"

"'Riesce a immaginarsi che orrore deve aver provato questo poveretto, davanti al cadavere, con in mano la vanga?'" disse Mopple.

"Proprio questo," Miss Maple guardò Mopple the Whale con gratitudine. "Ma Rebecca non è una di qui. Non sapeva niente dei cani del diavolo. Non avrebbe provato nessun orrore."

"È una persona coraggiosa, e allora?" sbuffò Othello. "Questo non dimostra assolutamente niente."

"È vero." Miss Maple sospirò. Le pecore intuivano quanto fosse stanca. "Questo non dimostra assolutamente niente."

Persa nei propri pensieri, Maple cominciò a trotterellare avanti e indietro nello spazio ristretto del fienile. Alcune pecore, spinte da una parte o urtate, belarono indignate, ma Miss Maple sembrò non averle sentite.

"Gli enigmi piccoli si risolvono," mormorava Miss Maple. "Uno dopo l'altro, come i boccioli che si aprono. Ora conosciamo il motivo per cui il macellaio e Josh si trovavano al pascolo con la nebbia - a causa della cosa. E chi si è piegato e che cosa ha lasciato per terra: Josh ha lasciato per terra la cosa. Chi era lo spirito del lupo - e chi il cacciatore esperto. Ma l'enigma più grosso? L'omicidio? Perché non riusciamo a risolverlo?"

Maple puntò verso Sara, che all'ultimo minuto riuscì a scansarla."Forse non sempre tutto deve riuscire alla perfezione. Forse è un errore

credere che tutto debba sempre combaciare. Nel giallo ogni cosa avrebbe dovuto incastrarsi perfettamente, ma poi tutto si è aggrovigliato e George ha gettato via il libro. Può essere che la soluzione sia che alcune cose semplicemente non si incastrano - cose che crediamo stiano insieme, ma che in realtà non stanno insieme per niente."

Miss Maple si era bloccata.

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"Ci dobbiamo concentrare sull'enigma più grande," spiegò. "E l'enigma più grande è... la vanga!"

Miss Maple tacque a lungo. All'inizio sembrava che stesse riflettendo a fondo su qualcosa. Ma ben presto respiri profondi e regolari rivelarono che la pecora più intelligente di Glennkill si era solo addormentata.

Quella mattina il mare, là fuori, sibilava, e una luce giallognola faceva luccicare i lucernari del fienile come occhi di gatto al buio. Ma gli uccelli cantavano spensierati i loro canti mattutini. E alla fine si mescolò al loro coro, prima da lontano e poi sempre più vicino, un uccello dissonante.

Le pecore sbirciarono fuori dal fienile e videro che Gabriel era tornato a piazzarsi sui gradini del capanno. Fischiava.

Attraverso il sottile velo di nebbia mattutina le pecore guardarono di traverso il loro nuovo pastore.

"Se ne deve andare," disse Heide.Nessuno la contraddisse."Ma come?"Osservarono Gabriel, il quale, saldamente piantato, proprio come un

pino, se ne stava appollaiato sui gradini avvolto dal fumo della pipa. Impensabile che una pecora - e nemmeno un gregge intero - potesse fare qualcosa in proposito.

"Paura," disse Zora. "Gli dobbiamo fare paura."Pensarono a che cosa facesse paura a loro: i cani grossi, le auto

rumorose, la pomata che bruciava, l'odore degli animali feroci. Ma niente di tutto questo sembrava adatto a scacciare Gabriel.

Si guardarono perplesse."Attenzione," sbuffò Melmoth all'improvviso. "Se foste state attente, da

tempo sapreste di che cosa ha paura Gabriel - o per che cosa. Cosa fanno gli uomini quando hanno paura?"

Miss Maple spalancò gli occhi. "Costruiscono dei recinti," rispose.Tutte le teste si voltarono in direzione delle pecore di Gabriel, che, di

nuovo affamate, guardavano fisse attraverso la rete."Ma che cosa può succedere, là dietro la rete, con tutto il foraggio che

Gabriel getta alle sue pecore ogni giorno?" belò Heide amaramente."Potrebbero ammalarsi," disse Melmoth."Non si dovrebbero ammalare," disse Zora. "Hanno già una vita

talmente dura.""Se si ammalano, ci potrebbero contagiare!" belò Mopple spaventato.

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Melmoth ammiccò come se avesse un piano. "E se fossimo noi ad ammalarci?"

Improvvisamente la testa di Cordelia traboccò di parole. Tutti i nomi inquietanti che avevano imparato da George erano saltati fuori e ora galoppavano selvaggi nei suoi pensieri: profilassi, putrefazione degli zoccoli, meningite, Creutzfeld-Jacob... Il libro sulle malattie delle pecore era pieno di parole strane. E tutte significavano qualcosa.

Poco dopo le pecore avevano un piano.

Sparirono nel fienile per esercitarsi. E quando, dopo un bel pezzo, fecero ritorno alla luce del giorno, loro stesse erano stordite dalla grande paura che avevano tramato nella semioscurità del fienile.

Ora avrebbero insegnato a Gabriel ad avere paura.Ma Gabriel non era più seduto sui gradini del capanno.Gabriel pascolava.Sul pascolo soffiava il canto freddo della falce, e l'erba si piegava ai

piedi di Gabriel. Le pecore rabbrividirono. Decisero quindi di aspettare, fino a quando Gabriel non avesse finito con il suo spaventoso modo di pascolare.

Ma poi, inaspettatamente, il vento portò loro dell'altro - non soltanto il sibilo della falce e l'erba morta. Nell'aria c'era qualcosa di ancora più orribile, qualcosa che il vento del mattino soffiava dal villaggio. Galopparono sulla collina e da lì osservarono il macellaio procedere con difficoltà sul sentiero, e poi attraverso il pascolo, diretto verso Gabriel.

La falce cantava forte, e le ruote del macellaio, sull'erba, quasi non facevano rumore. Era davvero possibile che Gabriel non avesse notato il macellaio. In ogni caso non alzava la testa dal suo lavoro.

Il macellaio sudava. Guardò per un po' i fili d'erba gettarsi nella polvere davanti a Gabriel.

"Perché tutta la carne è come erba," disse poi.La falce si fermò a mezz'aria. Gabriel si voltò verso il macellaio e fece

uno di quei suoi sorrisi accattivanti."Il contrario," disse. "Tutta l'erba è buona come la carne, solo dopo che

l'ho data alle bestie."Le pecore si lanciarono sguardi d'intesa. Come se lo avesse avvertito, il

macellaio si voltò di scatto in direzione della collina e strinse gli occhi.Gabriel fissò a lungo il macellaio."Qual buon vento ti porta qui, Ham?" chiese prudente.

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Ham, dopo il faticoso percorso in mezzo all'erba, sudava, e i suoi capelli, che nella casa di Dio erano sembrati così belli e dorati, erano grigi e gli restavano appiccicati sulla fronte. Si guardò intorno nervoso.

"Vieni oggi, all'apertura del testamento sotto il tiglio?" chiese all'improvviso a Gabriel. "A mezzogiorno. Non ero sicuro che lo sapessi."

Ham scivolò un po' più vicino al pastore, fino a trovarglisi di fronte. Lo scrutava dal basso.

Gabriel scosse la testa. "Ham. La gente non parla d'altro da quasi una settimana. Tutti lo sanno. E tutti verranno - tutti quelli in grado di camminare," e qui gettò uno sguardo a Ham, "tutti quelli che non sono ancora morti. A parte padre Will, naturalmente. Lui ci vorrà dimostrare per l'ennesima volta che le cose del mondo non lo interessano. Questa occasione di certo non se la lascerà scappare. Scusa, tu lo sai quanto me. Ma non sei venuto per chiedermi dell'apertura del testamento. Che cosa vuoi, Ham?"

Ham passava imbarazzato le dita a salsicciotto sulle ruote della sedia a rotelle.

"Ti volevo solo mettere in guardia," disse piano."In guardia?" Gli occhi di Gabriel si fecero sottili. "E da che cosa

vorresti mettermi in guardia?""Da loro." Ham gettò uno sguardo veloce verso la collina. I suoi occhi

scrutarono nervosi il gregge, fino a quando non scoprirono Mopple. Mopple belò, a disagio. L'esercizio dell'attenzione non funzionava poi così bene, se il macellaio non si trovava dietro una lastra di vetro.

"Dalle pecore?" Gabriel abbassò la falce. "Oh, Ham. Siamo qui fra noi. Lascia perdere le allusioni. Se mi vuoi minacciare, puoi anche essere più esplicito."

"Minacciare? Perché dovrei minacciare proprio te? Tu non capisci! Sei una delle poche persone per bene in questo posto. Io ti voglio solo mettere in guardia."

"Dalle pecore?" chiese Gabriel."Sì, dalle pecore," confermò Ham. "Probabilmente pensi che io sia

matto. Anch'io lo penso sempre più spesso. Che nella caduta è successo qualcosa alla mia testa. Ma non è vero! Perché è successo prima! Il montone è arrivato prima! Capisci? Prima! La colpa è sua!" Ham indicò la collina con un dito grasso. "Tu pensi che siano bestie innocue, capaci di sopportare tutto. Anch'io lo pensavo. Ah!" Il macellaio rise amaro.

"E invece?" chiese Gabriel irritato.

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"Sbagliato," disse il macellaio. "Sanno esattamente che cosa sta succedendo qui. Chiedi a padre William. Ieri ci hanno seguito. Soprattutto quello grassoccio laggiù. Quello è un vero demonio!"

"Quello là in fondo che cerca di nascondersi dietro al grigio?""Proprio quello!" Ham si asciugò con un fazzoletto alcune perle di

sudore dalla fronte. In quel momento sembrò che a Gabriel, d'un tratto, mentre ancora stava fissando le pecore seguendo l'indice di Ham, fosse venuto in mente qualcosa. I suoi occhi si fecero di nuovo sottili.

"Tu ieri hai parlato con padre Will. Tu? Con Will? Un miracolo!"Ham annuì. "Un segno. Certo. Ma di che cosa? Il segno che non mi

lascerò trattare così. Guardale! Ieri erano in tre. Te lo dico io, queste non sono pecore normali! Guarda come confabulano! Pensano tutto il tempo a come farti fuori."

Le pecore si guardarono spaventate. Il macellaio le aveva smascherate.Gabriel si fece ombra agli occhi con la mano e le guardò."Credo che tu abbia ragione," disse a Ham.Un sospiro attraversò il gregge. Ora anche Gabriel lo sapeva. Non se ne

sarebbe andato via di qui. E loro sarebbero scomparse dal pascolo. Perché tutta la carne era come l'erba, proprio perché tutta l'erba era come la carne. Gabriel stesso lo aveva ammesso.

Ham fissò Gabriel dal basso, sorpreso. "Davvero?" chiese. "Mi credi?"Gabriel annuì rilassato.Sulla collina le teste delle pecore si abbassarono tra l'erba, rassegnate al

proprio destino. Solo Maude continuava a fissare duramente Gabriel e il macellaio. "Ci proviamo lo stesso," belò.

"È vero che non sono pecore normali," disse Gabriel. "Straordinariamente non redditizie. Una razza antichissima. Non ingrassano, non fanno molti agnelli. Che cosa George avesse in mente di fare con loro è davvero un mistero."

Ham giocherellava imbarazzato con il bottone del gilet. "Non è che me ne venderesti una? Quel montone là dietro?"

"Quello terribilmente pericoloso?"Mopple si immobilizzò per la paura. Ma all'improvviso il macellaio

abbassò gli occhi."Tu non mi credi," disse rassegnato. Non sembrava aver più voglia di

chiacchierare con Gabriel.Il macellaio girò la sua sedia a rotelle e se ne andò via. Gabriel lo fissò

per un po' mentre si faceva strada a fatica attraverso l'erba. Poi unì le mani

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a imbuto e gridò dietro a Ham."Hey, Ham," gridò. "Vieni dopodomani al concorso per la pecora più

intelligente di Glennkill?"Ma Ham non si voltò. Scivolò ancora più velocemente sull'erba, sudando

e sbuffando in direzione del sentiero.

Non appena Ham ebbe svoltato sul sentiero, Gabriel cominciò a sghignazzare. Ora era toccata sul serio a quel vecchio coglione. Completamente suonato. Scosse la testa e tornò a sollevare la falce. Ma qualcosa distrasse la sua attenzione. Una delle pecore di George era inciampata e stava ruzzolando nell'erba. Una dalla testa nera. Il ghigno di Gabriel si allargò. Una razza antica! Dal passo sicuro! Ma dove! La pecora a fatica si tirò di nuovo su. Ma un paio di passi dopo tornò a cadere. Dietro di lei incespicava una seconda pecora. E un montone grassoccio sfregava la testa come un ossesso contro la parete del fienile. Il ghigno di Gabriel gli si congelò sulle labbra. I suoi occhi azzurri, ora, non sembravano più di ghiaccio puro, ma di ghiaccio sciolto, appannato e sporco. La falce cadde nell'erba.

"Merda!" disse Gabriel. "Scrapie. Merda! Merda! Merda!"Quando già Gabriel aveva smesso da un pezzo di guardarle, le pecore

stavano ancora barcollando tra l'erba con le gambe innaturalmente rigide. E, sorprendentemente, la cosa le divertiva. Gabriel aveva richiamato subito i cani con un fischio. Poi aveva aperto un buco nella recinzione che aveva costruito con tanta fatica solo pochi giorni prima. Quello che le pecore videro poi fu un capolavoro dell'arte del pascolo. In pochi minuti i cani di Gabriel avevano spinto fuori le pecore dalla recinzione, nel massimo ordine, senza che una sola di loro venisse presa dal panico. Alcuni istanti più tardi una nuvola di polvere sul sentiero e la recinzione vuota erano le uniche cose che testimoniassero il passaggio di Gabriel e delle sue pecore.

"Quello non lo rivediamo più," disse Heide soddisfatta."E invece no," disse Maple. "Quello lo rivediamo eccome. Oggi a

mezzogiorno, quando le ombre si accorciano. Sotto il vecchio tiglio. Forse verrà fuori."

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18Un agnello grida

"Testamento di George Glenn," attaccò l'avvocato. "Redatto e firmato il 30 aprile 1999 in presenza di tre testimoni, uno dei quali è l'avvocato prescelto, ossia io."

L'avvocato guardò i presenti. Dietro le lenti degli occhiali brillavano due occhi curiosi. Non erano solo gli abitanti di Glennkill a essere curiosi di sapere che cosa sarebbe successo. Lo era anche l'avvocato. Sotto il tiglio l'aria era uguale a quella che precede un temporale estivo: come in attesa del peggio. Terribilmente pesante. Una calura muta, opprimente. Un temporale dentro alle teste.

"Da leggere la domenica dopo la mia morte, o una domenica dopo, a mezzogiorno, sotto il vecchio tiglio del villaggio di Glennkill." L'avvocato fissò il tetto di foglie sopra di sé. Una foglia era caduta piano piano e si era andata a posare sulla sua spalla vestita in modo impeccabile. La tolse con la punta delle dita e se la girò e rigirò di fronte agli occhi.

"Indubbiamente un tiglio," disse. "Ma è proprio il tiglio del villaggio?""Si sì," rispose Josh impaziente. "È il tiglio del villaggio. E ora

cominci.""No," disse l'avvocato."No?" chiese Lilly. "Ci ha riuniti tutti qui per non leggerci niente?""No," ripeté l'avvocato."E allora?" chiese Eddie.L'avvocato sospirò. All'improvviso al suo polso brillò un orologio. Un

orologio elegante, come quello che portava George quando lavorava nell'orto. "Sono esattamente le 11 e 56. Credetemi." Questo era rivolto a chi fra i presenti aveva tirato fuori l'orologio. "Prima di mezzogiorno non posso far niente per voi."

Gli uomini cominciarono a borbottare. Rabbia, indignazione, nervosismo e persino un certo sollievo vibravano nelle loro voci da insetti.

Guidate da Othello, le pecore osarono avvicinarsi ancora un po'. Si erano mosse nell'ora in cui le ombre si accorciavano, tutte insieme, per controllare se dal testamento fosse venuto fuori qualcosa di decisivo. L'assassino, o forse un indizio importante. Nessuno badava a loro. Othello aveva raccomandato alle pecore di infilarsi fra gli uomini senza far rumore, come per caso. Ma persino se fossero arrivate al vecchio tiglio al galoppo e belando, nessuno le avrebbe notate. Gli uomini erano troppo

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impegnati con i loro orologi.Finalmente l'orologio del campanile della chiesa batté le dodici. "Ora!"

bisbigliarono gli uomini sotto il tiglio. Ma l'avvocato scosse la testa. "Non è regolato in maniera precisa. Lo dovreste mettere a posto, quando vi capita."

Di nuovo un borbottio di rabbia. Poi le persone tacquero, una dopo l'altra. Mopple vide di nuovo la paura passeggiare fra le file con la sua chioma al vento, accarezzare come una gatta le ginocchia di Josh l'oste, soffiare un respiro freddo nella schiena di Eddie e annusare con un ghigno il vestito nero di Kate.

Poi gli uomini tornarono a intonare un mormorio smorzato. Fra di loro era comparsa Rebecca, come una goccia di sangue sul manto nero dei vestiti per lo più da lutto. Le vennero piantati gli occhi addosso, occhio per occhio per occhio. Othello capì subito che cosa stava succedendo: Rebecca era un pascolo per gli occhi, e gli uomini pascolavano.

L'avvocato fece sparire ancora una volta l'orologio dietro un polsino bianco. Poi si schiarì la voce, allo scopo di riottenere l'attenzione degli abitanti del villaggio.

Le pecore erano tese. Per la prima volta da lungo tempo sentivano leggere qualcosa. E lo aveva scritto George in persona.

"A mia moglie Kate lascio i libri della mia biblioteca, fra cui settantatre romanzi spazzatura, un giallo, un libro di favole irlandesi e un libro sulle malattie delle pecore, e tutto ciò che prescrive la legge."

L'avvocato alzò lo sguardo. "Può tenersi la casa," spiegò, "e le spetta una piccola pensione." Kate annuì a denti stretti.

"A mia figlia Rebecca Flok..." Un mormorio serpeggiò tra la gente. George? Una figlia? Una scappatella? Adulterio?

"... lascio le mie proprietà terriere, consistenti in pascoli a Glennkill, Golagh e Tullykinree."

Othello guardò Rebecca nel suo vestito rosso. Se ne stava dritta come un papavero fra gli abitanti del villaggio grigi e neri. Era diventata molto pallida e stringeva le labbra. Nessuno badava a lei. Kate singhiozzò. Ham la guardò turbato.

"Questo è tutto," disse qualcuno."No," disse l'avvocato. "Questo non è tutto."Mopple riuscì a vedere i muscoli tendersi letteralmente sotto i vestiti.

Sarebbe venuto fuori adesso? Ma che cosa? Mopple si preparò alla fuga."Beth Jameson avrà la mia Bibbia."

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In terza fila Beth la misericordiosa cominciò a singhiozzare in modo incontrollato, nascondendosi dietro una mano.

"Ad Abraham Rackham lascio la mia Smith & Wesson, incluso il silenziatore, perché ho idea che ne avrà ancora bisogno." Ham sedeva nella sua sedia a rotelle. Aveva gli occhi umidi. Annuì con aria contratta.

"So che cosa state pensando adesso," disse l'avvocato. "Non tutti, ma quasi."

"Come fa a saperlo?" chiese Lilly."Sto citando il testamento," disse l'avvocato. Sguardi perplessi.

L'avvocato sospirò di nuovo. Le pecore riuscivano a capirlo. Persino loro sapevano che cosa volesse dire "citare". Più o meno. Qualcosa come "leggere ad alta voce".

"Ci ho pensato a lungo," disse l'avvocato, "ma non lo farò. Continuate a vivere la vostra miserabile vita."

L'avvocato alzò lo sguardo. "Questo forse potete capirlo meglio di me.""È tutto?" chiese Josh, un sollievo evidente nella voce.L'avvocato scosse la testa, si schiarì la voce e cercò fra i suoi fogli."Il resto del mio patrimonio, che al momento consiste in," l'avvocato citò

una cifra che le pecore non avevano mai sentito, "lo lascio..."L'avvocato si prese del tempo. I suoi occhi furbi brillavano attraverso le

lenti degli occhiali, mentre con le palpebre semichiuse osservava gli abitanti di Glennkill. Si erano fatti silenziosi. E in mezzo al silenzio scoppiò la risata isterica di Kate.

"Lo lascio alle mie pecore, perché, come promesso, possano andare in Europa."

La risata di Kate penetrò nel silenzio, una risata brutta, che colava attraverso il manto delle pecore come pioggia fredda. Ham sbatté gli occhi convulsamente, come se questa pioggia avesse colto anche lui.

"È uno scherzo?" chiese Harry il peccatore."No," disse l'avvocato. "È del tutto valido dal punto di vista legale. Il

patrimonio lo amministro io. Ovviamente le pecore hanno bisogno di qualcuno con una delega, che le accompagni in Europa in qualità di pastore. I suoi diritti e doveri sono fissati in modo preciso nel testamento."

"E chi sarebbe?" chiese Tom O'Malley curioso."Questo non è stato ancora stabilito. Lo devo decidere io, a mia

discrezione. La cosa migliore sarebbe farlo adesso. Forse qualcuno di voi sarebbe disposto...?"

Silenzio.

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L'avvocato annuì. "Naturalmente dovete sapere che cosa vi toccherebbe fare. Ho preparato un elenco in proposito." L'avvocato distribuì dei fogli stampati agli abitanti del villaggio.

Lilly ridacchiò. "Bisogna leggere alle pecore per almeno mezz'ora al giorno? E chi dovrebbe fare una cosa del genere?"

"Il delegato o la delegata," rispose l'avvocato. "Va da sé che tutte le disposizioni saranno controllate da un osservatore indipendente - e cioè da me."

"Nessuna pecora può essere venduta, nessuna pecora può essere macellata? Se si progetta un allevamento va tenuto conto della lanosità?" chiese Eddie. "Non è esattamente una cosa vantaggiosa dal punto di vista economico."

"Non è necessario che lo sia," disse l'avvocato. "In basso, vede, è indicato il compenso. Ogni volta che una pecora muore, questo viene abbassato, ma nonostante tutto rimane pur sempre una cifra considerevole, direi."

"E quando saranno tutte morte?" chiese Gabriel. "In un'epidemia, per esempio?"

"In questo caso, alla fine ci sarà una piccola ricompensa, mentre tutti gli altri pagamenti verranno interrotti."

Gabriel si fece avanti. "Lo faccio io," disse."Molto bene," disse l'avvocato. "Qualcun altro?"Gli abitanti di Glennkill si guardarono nervosi. Diedero un'occhiata ai

foglietti, poi tornarono a scrutare Gabriel e l'avvocato. Alcuni parevano riflettere febbrilmente. Una luce strana era comparsa nei loro occhi, e all'improvviso nell'aria si percepiva un sottile odore di sudore. Impaziente. Affamato. Ma tutti fissavano Gabriel, che se ne stava in piedi accanto all'avvocato con le mani nelle tasche dei pantaloni e rimaneva muto. Come un montone capo, pensarono le pecore. Quando il montone capo si assume un incarico, a nessun'altra pecora viene in mente di contenderglielo.

Ma a una pecora sì."Proprio nessuno?" chiese l'avvocato. Nel suo tono di voce piatto si

avvertiva una traccia di delusione."Lo potrei fare io," disse una voce calda. Una voce da lettrice."Magnifico," disse l'avvocato, e guardò Rebecca con una certa

gratitudine. Era in piedi accanto a Beth, pallida e raggiante. Le pecore si sentirono sollevate. Non avrebbero certo voluto andare in Europa con Gabriel.

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"E chi decide chi ci andrà?" chiese Lilly. "Lei?""Le eredi, ovviamente," rispose l'avvocato."Le pecore?" chiese Ham senza fiato."Sì, le pecore," confermò l'avvocato."Allora dobbiamo salire al pascolo," disse Gabriel. I suoi occhi azzurri

sembravano prendersi gioco di Rebecca."Non credo sia necessario," disse l'avvocato. "Mi pare di vedere che le

eredi si trovino già qui fra noi. Un montone nero delle Ebridi a quattro corna, una black face di montagna, un merino, e il resto cladoir con incroci black face - l'ultimo gregge cladoir di tutta l'Irlanda. Un'antica razza di pecore irlandesi, una vergogna che non vengano più allevate da nessuna parte."

Gli uomini si voltarono, all'inizio solo sorpresi. Ma poi iniziarono a fissare con evidente ostilità le pecore di George. Gabriel le squadrò con la fronte aggrottata.

"Pecore? Le pecore?" ansimò Ham. Nessuno gli prestò attenzione.Il gregge degli uomini e il gregge delle pecore se ne stavano uno di

fronte all'altro. Gli sguardi degli uomini presero di mira ostili le pecore. Guardarono con disagio Othello, Ritchfield e Melmoth. I tre montoni avevano fatto un piccolo passo indietro, ma non pensavano certo di scappare.

"Bene," disse l'avvocato. "Ora stiamo a vedere.""Cosa stiamo a vedere?" chiese Lilly leggermente ironica."Di preciso non lo so nemmeno io," rispose l'avvocato. "Dato che le mie

nuove clienti non possono parlare, dobbiamo provare in un altro modo. Lei," si rivolse a Rebecca, "lei per favore si metta lì, e lei," Gabriel, "per favore là. Bene."

Si rivolse alle pecore."Pecore di George Glenn," disse l'avvocato, che visibilmente si stava

divertendo un mondo, "chi vi deve accompagnare in Europa in qualità di pastore? Il signor," e guardò in direzione di Gabriel.

"Gabriel O'Rourke," disse Gabriel a denti stretti."O la signora...""Rebecca Flok," disse Rebecca.Un mormorio attraversò la folla. Persino l'avvocato alzò le sopracciglia.

Kate ricominciò a ridere in modo isterico."Il signor Gabriel O'Rourke o la signora Rebecca Flok," ripeté

l'avvocato.

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Gli sguardi delle pecore vagarono in silenzio fra l'avvocato e Rebecca. Volevano Rebecca, questo era chiaro. Ma come facevano a dirlo all'avvocato?

"Rebecca!" belò Maude."Rebecca!" belarono Lane, Cordelia e Mopple the Whale in coro. Ma

l'avvocato sembrava non capirle. Le pecore tacquero confuse."Ma non ci si cava un ragno dal buco," disse qualcuno a mezza voce.

"Datele a Gabriel, che almeno di pecore se ne intende!"In un lampo la sorpresa degli abitanti del villaggio si era trasformata in

ostilità contro Rebecca."Ma se quella non sa nemmeno distinguere una pecora da un piumino

per la cipria," mormorò qualcuno."Sgualdrina," gracchiò una voce femminile. Gli uomini spettegolavano

sottovoce.Poi, attraverso il mormorio si fece largo una melodia semplice e

allettante. Gabriel aveva iniziato a mormorare in gaelico. Un tempo le pecore ne sarebbero rimaste incantate, e anche adesso la voce dolce di Gabriel continuava a esercitare su di loro un fascino innegabile.

Othello fece un passo avanti. Il gregge gli rimase alle calcagna. Il montone nero fissò per un attimo Gabriel con occhi scintillanti. Poi si voltò rilassato dall'altra parte e trotterellò verso Rebecca. Gabriel gorgogliava il suo gaelico come un piccione impazzito. Ma non gli servì. Una dopo l'altra, le pecore si strinsero intorno a Rebecca.

Maude ricominciò a belare."Rebecca!" belò."Rebecca!" belarono tutte le altre."Bene," disse l'avvocato. "Lo definirei un risultato univoco." Chiuse la

sua valigetta portadocumenti e si voltò verso le pecore."Pecore di George Glenn," disse molto cortesemente, "buon

divertimento in Europa."

In silenzio, come in sogno, poco dopo le pecore tornarono al loro pascolo. Non avevano capito un granché dell'avvocato e del testamento, ma una cosa era certa: Europa. Le aspettava un prato gigantesco pieno di meli.

"Andiamo in Europa," disse Zora stordita."Con il capanno mobile. E Rebecca," completò Cordelia."È..." Cloud fece un respiro profondo. "Meraviglioso", avrebbe voluto

dire, o "strano", o semplicemente "bello". Ma all'improvviso non le

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venivano più in mente le parole. Aveva un po' di paura."È come se George ci avesse rovesciato davanti contemporaneamente

barbabietole da zucchero e pane," disse Mopple con un'espressione saggia. "E mele e pere e mangime di rinforzo."

"E pastiglie di calcio," disse Lane.La gioia arrivava lentamente, ma arrivava impetuosa.Zora si ritirò sulla sua roccia per meditare su questo particolare

momento. Heide fece un paio di salti in aria. "Andiamo in Europa," cantavano gli agnelli, e chi pascolava vicino a Ritchfield poteva sentirlo canticchiare piano. Ma la maggior parte delle pecore festeggiò in silenzio, pascolando, e solo a una seconda occhiata si riusciva a percepire il luccichio nei loro occhi.

Il più contento era Othello. Ora poteva mettere in pratica quello che George gli aveva insegnato nelle ore serali dietro al capanno. Condurre un gregge, mantenere i nervi saldi quando erano in giro, portare le altre a costeggiare gli ostacoli in modo risoluto e cauto - o ad attraversarli. "Aspettavo uno come te," gli aveva sempre detto George ogni volta che faceva tutto giusto. "Con te l'Europa sarà un gioco da ragazzi." E ora si poteva partire. Non con George, purtroppo, ma anche Rebecca non era male.

"Giustizia!" belò Othello soddisfatto. "Giustizia!" Poi ammutolì. Qualcosa alla fine non quadrava. L'Europa era meravigliosa, ma nonostante questo, nonostante questo... Di colpo il nero sollevò la testa.

"Non è venuto fuori," sibilò.Le pecore si interruppero nel bel mezzo della loro gioia e guardarono

Othello. Aveva ragione. Nel testamento erano scritte cose stupende, ma chi avesse ucciso George ancora non lo sapevano.

"Non fa niente," belò Heide felice e contenta. "Noi andiamo in Europa e l'assassino invece resta qui. Ora non è più un pericolo."

"Ma deve venire fuori," disse Mopple coraggioso.Cordelia annuì. "Ci leggeva le storie. Ha scritto il testamento perché

potessimo andare in Europa. In realtà avrebbe dovuto venire lui con noi.""Non possiamo permetterlo," disse Zora. "Era lui il nostro pastore.

Nessuno ha il permesso di uccidere il nostro pastore. Dovremmo scoprirlo prima di andare in Europa. Giustizia!"

Le pecore sollevarono la testa orgogliose. "Giustizia!" belarono in coro. "Giustizia!"

In mezzo a loro stava Miss Maple, e i suoi occhi brillavano.

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Verso sera dal villaggio arrivò Rebecca. La figlia di George. La nuova pastora. Arrivò a piedi, con una valigetta in mano. Il suo volto era più pallido della parete imbiancata del capanno. Posò la valigia sull'erba e salì i gradini verso la porta del capanno.

"Abiterò qui. Fino a quando non andremo in Europa," spiegò alle pecore. "Di certo non in quel villaggio."

Diede degli scossoni alla porta, fece leva sulle finestre, scavò addirittura con una forcina nel buco della serratura. Poi si sedette sul gradino più alto del capanno e si prese la testa fra le mani. Anche George qualche volta stava seduto in quel modo, rigido e solitario come un vecchio albero. Per le pecore la cosa era un po' inquietante. Capirono che Rebecca era triste. Melmoth cominciò a canticchiare piano nel vento.

Rebecca alzò la testa come se lo avesse sentito. Allora cominciò a fischiettare una canzone, che svolazzò cocciuta come una farfalla al suo primo volo.

Non vista, una figura nera era apparsa ai bordi del pascolo. Le pecore agitarono nervose le orecchie. Poi il vento girò e rivelò loro che si trattava soltanto di Beth, che stava per arrivare al pascolo. Beth, alla ricerca di opere buone. Senza far rumore, come uno spirito, scivolò verso Rebecca. Se Rebecca l'aveva notata, non lo diede a vedere. Stava seduta e fischiava, e non voltò nemmeno la testa.

"Mi dispiace," disse Beth. "Quei senza Dio!"Rebecca fischiava."Non ce la può fare," disse Betht "Eddie dice che si tratta di una serratura

di sicurezza. È impossibile che lei riesca ad aprirla."Rebecca continuava a fischiare, come se Beth non ci fosse."Venga con me," disse Beth. "Può dormire da me.""Non tornerò mai più al villaggio," disse Rebecca con voce tranquilla.Rimasero in silenzio per un po'."Chi era Wesley McCarthy?" chiese poi Rebecca."Che cosa?" Beth venne strappata bruscamente dai suoi pensieri."Wesley McCarthy. Ho spulciato negli archivi dei giornali, sa. Di sette

anni fa. Quando lei era in Africa. Wesley McCarthy trovato morto nella cava di pietra. Lo ha denunciato una chiamata anonima. Nessun sospetto, nessun arresto, niente. Scomparso subito dai titoli dei giornali. Credo sia quello che lei cercava."

"Wesley McCarthy!" Beth prese in mano il pendaglio luccicante che

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portava al collo. "Donnola2 McCarthy. Così lo chiamavano!"Rebecca sollevò le sopracciglia."C'erano state molte chiacchiere, all'epoca. Nessuno sapeva da dove

venisse. E che cosa cercasse proprio qui a Glennkill. Ma soldi ne aveva. Ha comprato e fatto sistemare Whitepark. Per un po' ha abitato lì senza farsi notare. O così almeno pensavamo noi. A quell'epoca piaceva a tutti. Dopo, invece, tutti sostennero di aver avuto subito una strana sensazione."

"E poi?""All'inizio sembrava andasse tutto bene," disse Beth. "Al Mad Boar,

quando raccontava di come avesse fatto soldi, pendevano tutti dalle sue labbra. Si diceva che avesse cominciato come bracciante." Una risata ironica. "La gente insisteva nel dargli i propri soldi. Investimenti all'estero. I primi, addirittura, hanno visto qualcosa. A ogni modo," si strinse nelle spalle, "il resto se lo può immaginare."

Rebecca annuì."Ma poi la cosa è partita per davvero," disse Beth. "A poco a poco si è

comprato la terra. Qui, proprio di fianco al pascolo, e poi giù, quasi fino al villaggio. Tutto suo. Pagava bene e la gente non aveva scelta. Non avevano più soldi. Nessuno si è chiesto che cosa volesse farsene della terra. Non all'inizio, per lo meno. E dopo era troppo tardi."

"Troppo tardi per cosa?""Ci voleva costruire un macello. Il macello più grande d'Irlanda. Quando

sono partita per l'Africa, discutevano tutti febbrilmente su come fare per impedirlo. Iniziative civiche, petizioni. Poi, quando sono tornata, più niente. Whitepark era vuoto e che lui è stato ucciso lo sento oggi per la prima volta."

"Cosa c'è di così orribile in un macello?" chiese Rebecca.Beth rise triste. "Ne ha mai visto uno? La puzza! I trasporti degli

animali! Infernale. Li avrebbe rovinati, tutti quanti. O per lo meno avrebbe rovinato il turismo, i bed & breakfast, il Mad Boar, ma anche tutti i contadini - non si sarebbero sbarazzati mai più della loro carne. Sa, la gente in questo posto è fatta così, si è arrabbiata con McCarthy che è piombato qua, certo, ma la carne l'avrebbe comprata dove era più a buon mercato."

"Ecco com'è andata," disse Rebecca. "Penso di non voler sapere altro. Ora non più."

2 In tedesco "donnola" si dice "Wiesel". Il gioco di parole con il nome Wesley è irriproducibile in italiano (N.d.T.).

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Fissò la figura nera da spaventapasseri di Beth. "Sono venuta qui perché volevo sapere tutto di lui. Soprattutto il motivo per cui è stato ucciso, poco prima..." Si interruppe e si passò l'indice sul naso, su fino alla fronte. Era un gesto di George che le pecore conoscevano bene.

"Mi ha scritto una lettera," disse poi, "e io ho preso tempo prima di rispondergli. Lascialo sulle spine, mi sono detta." Deglutì. "Ci saremmo riconciliati di sicuro."

"Lo credo anch'io," disse Beth."Davvero?" chiese Rebecca."Davvero," rispose Beth."Ora riesco un po' a capire come possa aver vissuto, ai margini di quel...

di quel villaggio. È la prima volta che provo ammirazione per lui."Rimasero in silenzio. Poi, come se avessero sentito un rumore, voltarono

entrambe la testa in direzione del mare, dove stava calando un magnifico tramonto. Le pecore, per sicurezza, guardarono anche loro, ma non riuscirono a scoprire niente di particolare.

"E ora che farà?" chiese Beth dopo un po'.Rebecca si strinse nelle spalle. "Conterò le pecorelle. E lei?""Pregherò," disse Beth. "Pregherò per lei."Ma alla fine non fece nulla; se ne stava lì, in piedi, con gli occhi chiusi,

gettando nel crepuscolo una lunga ombra diritta. I grilli cantavano. Una gatta bianca passeggiava con la coda alzata lungo il muro di pietra vicino al cancello. I primi uccelli notturni cominciavano a cantare. Le pecore pascolavano l'erba profumata della sera. Tutte tranne Melmoth. Melmoth continuava a canticchiare. Fino a quando una gazza scese in picchiata dall'albero delle cornacchie e si posò sulla sua schiena.

Non si fermò a lungo lì sopra, ma volò sul tetto del capanno. Quello che portava nel becco brillò come il fuoco al tramonto. Poi cadde dal becco della gazza e finì tintinnando sul gradino superiore del capanno.

Rebecca prese in mano la cosa infuocata. Si alzò di scatto. La porta del capanno cigolò, e Beth spalancò gli occhi. Rebecca rise, come euforica.

"Wow," disse, "se avessi saputo che funzionava in questo modo! Quando le capita, mi porti pure un paio dei suoi trattati."

Beth prese fra le mani, portandoselo al petto, il piccolo oggetto luccicante. Le nocche le divennero bianche.

"Venga dentro," disse Rebecca dall'interno del capanno.Ma Beth indietreggiò e scosse il capo decisa. Anche le pecore erano

nervose. Che cosa sarebbe venuto fuori adesso? Che cosa poteva essere?

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Ma dal capanno non venne fuori niente, così come dal testamento."Dovrei tornare a casa," disse Beth. "È meglio così. Ma, se posso, le

vorrei dare un consiglio: non accenda la luce questa sera. Dirò che lei è andata via."

Poi, all'improvviso, si voltò e marciò sottile e diritta in direzione del villaggio, come aveva fatto tante altre volte.

Rebecca e la sua valigia scomparvero all'interno del capanno. Le pecore sentirono la chiave girare nella serratura. Si misero a confabulare.

"Forse dorme?" chiese Cordelia."Aveva un odore stanco," disse Maude."Non può dormire," disse Heide un po' cocciuta. "È scritto nel

testamento, deve leggerci qualcosa. È una cattiva pastora.""Leggere, leggere," belarono le pecore.Poi ammutolirono. Melmoth si era avvicinato, ispido e inquietante come

sempre."Sciocchezze," disse. "Ma non capite? La storia è qui. La storia siamo

noi. La bambina ha bisogno della chiave.""Ma ha già la chiave," disse Heide.Melmoth scosse il capo. "L'agnello rosso di George ha bisogno di tutte

le chiavi," insistette."Tu intendi dire la chiave della cassetta sotto il dolmen?" chiese Cloud."Sotto il dolmen," confermò Melmoth. "Chi ha la chiave?""Io," disse Zora orgogliosa."Ah, profonda." Nella voce di Melmoth balenò il rispetto."Chi altro?"Nessuna rispose.Melmoth annuì. "Rapite, nell'aria, se la godono come matte, pascolate

meravigliosamente, fino a quando non arriva la gatta degli uomini. Ci dobbiamo sbrigare."

"La devo dare a lei?" Zora fissava Melmoth indignata."Alla pastora. Come la davi a George, il pastore," annuì Melmoth."Ma a George non la davo così," disse Zora. "Lui l'aspettava davanti

all'abisso.""George sapeva. Ma lei è un agnello. Non sa niente. Come con un

agnello, le si porta la bocca al latte," disse Melmoth.Zora assunse un'espressione testarda.Poco dopo Rebecca uscì un'altra volta dal capanno. Fuori, un agnello

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gridava da spezzare il cuore. Quando mise un piede sui gradini, lì brillava di nuovo qualcosa. Nulla di infuocato, perché ora il sole era troppo basso. Piuttosto, come sangue versato. Si piegò. Una chiave attaccata a un filo. La mise nella tasca della gonna alzando le spalle. Oggi non era certo la giornata adatta per stupirsi più di alcunché.

Ma l'agnello continuava a gridare. E Rebecca seguì il rumore fino a sotto il dolmen.

Le pecore osservarono curiose il momento in cui Rebecca trovò la cassetta nascosta. Othello, in precedenza, aveva raspato via la terra, per renderle il ritrovamento più facile. Rebecca capì immediatamente. E si mise a ridere. Pescò la chiave dalla tasca e aprì la cassetta. Quando si piegò sulle ginocchia per estrarre uno dei pacchetti dalla cassetta, un buon odore salì dalla sua nuca.

Strappò lo spago con i denti. Fruscio di plastica. Una cosa secca le si sgretolava fra le dita.

Annusò. Anche le pecore annusarono. Aveva un odore... strano. Invitante. Mopple capì subito che quella cosa si poteva mangiare.

"Erba!" disse Rebecca a voce alta. "Un mucchio d'erba!"Le pecore si guardarono. Era questa dunque l'erba misteriosa che tutti

andavano cercando come pazzi. Ognuna di loro aveva già trasportato sotto la pancia un pacchetto del genere, legato e affondato tra la lana, ogni volta che George le portava per un paio di settimane all'altro pascolo. "Si torna di là," diceva George ogni volta. "Operazione Polifemo". Se solo allora avessero saputo che nei pacchetti c'era dell'erba...

Ora, però, toccava a Rebecca. Ne avrebbe ceduta un po' anche a loro? Sembrava di no. Rebecca formò con la gonna un sacco rosso e ci gettò dentro tutto quello che trovò sotto il dolmen. Saltarono fuori molti, molti pacchetti piccoli e uno un po' più grosso, quadrato. E carta. Una cartelletta di carta.

Con cautela Rebecca riportò la sua gonna gonfia e pesante al capanno. Poi, per un pezzo, scomparve. Ma in seguito tornò a sedersi sui gradini - un puntino luminoso davanti alle labbra.

Un fumo dolce e pesante si diffuse per il pascolo. Alle pecore fece venire sonno. Ma Rebecca d'un tratto era diventata più loquace.

"Vi dovrei leggere qualcosa, pecore," disse. "Vi leggerò come nessuno vi ha mai letto prima. So già che cosa. Vediamo un po' se vi piace..."

Si tirò su con passo malcerto, entrò nel capanno e ritornò con un libro in mano. Lo aprì in un punto qualsiasi, verso la metà. Le pecore sapevano che

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non funzionava così. Avrebbe dovuto aprire il libro all'inizio, e solo nel corso della lettura la carta sarebbe passata lentamente da una parte all'altra. Alcune pecore belarono in segno di protesta, ma la maggior parte di loro era troppo stanca per arrabbiarsi a causa di questa infrazione delle regole. Dopo tutto, avevano qualcuno che leggeva. Non ci si poteva aspettare che la giovane pastora facesse tutto giusto sin dalla prima volta.

Rebecca cominciò a leggere."Catherine Earnshaw, possa tu non avere riposo finché io vivrò! Hai

detto che sono stato io ad ucciderti... perseguitami, allora! Gli assassinati perseguitano i loro assassini. Io credo... io so che altri fantasmi hanno vagato su questa terra. Sii con me sempre... assumi qualsiasi forma... fammi impazzire! Ma non lasciarmi, te ne prego, in questo abisso ove non posso trovarti! Oh, Dio, è un dolore indicibile! Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza l'anima mia!"

La luna scomparve dietro una nuvola scura e l'unica luce rimasta fu il piccolo punto luccicante fra le labbra di Rebecca. Affascinate, le pecore circondavano il capanno. Al chiarore della brace Rebecca sembrava quasi il pirata siamese di Pamela e il corsaro giallo, o almeno come le pecore se lo erano sempre immaginato, malinconico e con gli occhi sottili. Il libro si chiuse.

"È una storia troppo cupa," disse Rebecca. "Troppo triste. Per le storie tristi non ho bisogno di un libro, mie care pecore." Tacque per un po' e soffiò del fumo dolciastro sul pascolo. Poi riprese a parlare, con la sua voce da lettrice, ma senza libro.

"C'era una volta una ragazzina che non aveva un solo papà, ma due. Uno normale e uno segreto. Non avrebbe dovuto vedere quello segreto, ma naturalmente si vedevano e si volevano molto bene. Alla madre della ragazzina, la bella regina, questo non andava giù. Ma non poteva farci niente. Nessuno poteva farci niente. Un giorno però la ragazza e il suo papà segreto litigarono, litigarono terribilmente, a causa di una cosa davvero stupida, e la ragazza fece di tutto per farlo arrabbiare, tanto da far male addirittura a se stessa. A lungo non si parlarono, nemmeno una parola. Alla fine la ragazza ricevette una lettera. C'era scritto che il papà stava progettando un viaggio in Europa. Ma prima la voleva vedere. La ragazza nascose la sua gioia e lo fece aspettare. E così lui ha aspettato fino alla sua morte."

La storia non era male. Ma non c'erano paragoni con quella che Rebecca aveva letto prima. Tuttavia alle pecore non importava. All'improvviso si

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sentirono così stanche da riuscire a malapena ad ascoltare. Tutte tranne una.

Mopple the Whale non aveva tempo per stancarsi. Da quando Rebecca aveva scoperto l'erba sotto il dolmen, era ossessionato dall'idea di provarla. E in quel momento la situazione sembrava mettersi a suo favore. Rebecca stava seduta nella notte con gli occhi semichiusi e canticchiava piano. Accanto a lei, incustodito, un pacchetto aperto di erba. Veloce come un fulmine, Mopple corse accanto a lei, veloce come un fulmine infilò il naso nel pacchetto, e veloce come un fulmine mandò giù il contenuto. Quando Rebecca notò che c'era qualcosa che non andava, Mopple stava già leccando le ultime briciole dai gradini. Rebecca cominciò a ridere.

"Ti sei fatto una canna, eh?" chiese.Mopple masticava sentendosi in colpa. Era un po' deluso dall'erba.

L'odore era meglio del sapore. Non era certo buona come l'erba del pascolo, e nemmeno come il fieno. Gli uomini avevano davvero un gusto pessimo. Mopple abbassò il naso e decise per l'ennesima volta di non mangiare mai più niente di sconosciuto.

La fiammella davanti alla faccia di Rebecca si spense."È ora di andare a dormire," disse alle pecore, poi fece un piccolo

inchino e scomparve all'interno del capanno. Questa volta non si sentì nessun rumore di chiave nella serratura.

Un limpido vento notturno soffiò via il fumo, e le pecore si fecero più vivaci.

"È gentile," osservò Cloud, per farle un complimento. Le pecore annuirono, tutte tranne Mopple, che si era addormentato in piedi in mezzo al pascolo.

Le altre non avevano voglia di andare a dormire. Per l'eccitazione della giornata non avevano avuto molto tempo di pascolare. Decisero perciò di rimanere ancora un po' fuori, di sbrigare la mole quotidiana di pascolo e di fare così compagnia a Mopple, che dormiva come un agnellino e non si voleva svegliare.

Si era fatta notte. Le stelle brillavano, e da qualche parte una civetta gridava a perdifiato. Da qualche parte gracidava un ranocchio. Da qualche parte due gatti facevano il gioco dell'amore.

E da qualche parte si avvicinava ronzando il motore di una grossa auto. Lane sollevò la testa. La macchina si era fermata sul sentiero vicino al cancello. Un uomo scese e si diresse al capanno senza fretta. Si arrestò lì davanti e fiutò rumorosamente nell'aria. Poi salì i gradini e bussò alla

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porta. Una volta, due volte, e poi ancora una.

19Un'oretta da pastore per Maple

Nel capanno non si avvertì alcun movimento. L'uomo mise la mano sulla maniglia e la abbassò. Tenendovi la mano sopra senza mai lasciarla, riuscì ad aprire la porta cigolante del capanno di George senza fare nessun rumore.

E a richiuderla dietro di sé.Nel giro di poco tempo dietro le finestre si accese una luce pallida e

nervosa."Avete sentito l'odore?" chiese Maude. "L'odore del metallo, intendo?

Anche lui ha una pistola. Come George!" Rabbrividì."Ma non ha il bersaglio!" disse Ramses. Erano sollevate. Senza

bersaglio l'uomo con la sputafuoco non avrebbe potuto combinare niente."Forse è il bersaglio di George che vuole," disse Lane pensierosa,

"magari ha intenzione di portarselo via."Othello intanto fissava inquieto il capanno. "Dovremmo scoprire che

cosa sta succedendo là dentro."Le pecore si avvicinarono al capanno. Maple e Othello iniziarono a

pascolare sotto l'unica finestra aperta."E perché dovrei dirlo proprio a lei?" chiese la voce dell'uomo, così

piano che non si riusciva a distinguere alcuna inflessione. Una voce asciutta.

Rebecca non diceva niente, ma le pecore riuscivano a percepire il suo respiro, veloce e irregolare. Si sentirono dei rumori provenire dal capanno. Un oggetto pesante cadde a terra.

"L'ha trovata," disse l'uomo. "Le faccio i miei complimenti."Poi, dopo un po': "Posso sapere dove?"Rebecca rise molto piano. "Non mi crederebbe mai.""Invece le credo," disse l'uomo. "George era uno dei migliori. Uno

specialista del trasporto Irlanda del Nord/Irlanda. Grande ingegno. Mai un inconveniente."

Rebecca rise di nuovo. Questa volta un po' più forte, come soffocato."E tutto questo per... per l'erba?" chiese lei, roca e inespressiva,

completamente orfana della sua voce da lettrice. Othello fissava

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preoccupato in alto, verso la finestra."Soprattutto per l'erba. Qualche volta anche per le sigarette. Qualche

volta per dell'altra roba. Quello che andava al momento.""Me lo dice perché ritiene che ora non faccia più alcuna differenza, non

è così?""In realtà, invece, temo che la faccia," disse l'uomo. "Lei ha anche la

cartelletta. Sa quali danni potrebbe provocare con le informazioni contenute in quella cartelletta? Un gran brutto colpo per la nostra organizzazione."

"Ma non lo farò," disse Rebecca."Lo credo anch'io," disse l'uomo.Rebecca tacque."Lo credo," disse l'uomo poco dopo, "ma anche così non basta." Esitò.

"Mi rincresce davvero.""Le dispiacerebbe spegnere la pila? Mi acceca.""Sì, mi dispiacerebbe," disse l'uomo. Nonostante questo, però, la luce

pallida dietro le finestre del capanno si spense. Maple fiutò con cautela. Dentro c'era una strana atmosfera: pesante, opprimente, tempestosa. Un'atmosfera che avrebbe potuto scacciare le pecore nuvola al galoppo nel cielo. Chi avesse annusato con attenzione, avrebbe potuto scoprire un vago sentore di pioggia.

"Scusi, ma non lo trova un atteggiamento poco professionale?" chiese Rebecca dopo un po'. "Ora ho un vero lavoro, ben pagato. E tutto quello che devo fare è girare per l'Europa. Non ho niente contro quella roba. Non ho niente contro di lei. E l'ultima cosa di cui ho bisogno sono altre difficoltà. Non dirò niente. Mai niente. A nessuno."

"Correre questo rischio sarebbe poco professionale," disse l'uomo."Anche un altro morto in questo pascolo sarebbe poco professionale.""Non esattamente. Conosciamo l'ispettore che sta svolgendo le indagini.

Un incapace. E, per di più, molto disponibile. Che ne pensa? Figlia illegittima con passato dubbio irrompe di notte nel capanno, trova una pistola, ci gioca e si spara per sbaglio. O, se preferisce, per il dolore dovuto alla perdita dell'adorato padre. Questo sì che piacerebbe alla gente. Oppure per via dei sensi di colpa..."

"In camicia da notte?" chiese la donna."Prego?""Non mi pare l'abbigliamento adatto per un'effrazione, insomma - nel

caso lei non l'abbia notato."

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"Hmmm.""E poi, quella non è la pistola di George. Se ha intenzione di convincere

qualcuno con la sua storia, dovrebbe almeno prendere questa."Le pecore sentirono che l'uomo inspirava forte, spaventato."Faccia attenzione. La metta via immediatamente. Non è una pistola da

signora.""Ma io non sono una signora," sussurrò Rebecca. "Sparisca."Qualcosa sbatté dall'interno contro la parete. Rebecca emise un breve

grido. L'uomo imprecò.Poi sul capanno calò nuovamente il silenzio. Un gran silenzio."Maledizione," disse Rebecca alla fine."Non se la prenda," disse l'uomo. "Credo valesse almeno la pena di

tentare."Un piede cominciò a picchiare aritmicamente sul legno."Aveva davvero intenzione di stendermi con la pistola?" chiese l'uomo,

il rispetto nella voce."Perché no? Dopo quello che avete fatto a George...""Noi con quella storia non c'entriamo. Mi creda. Affidabile. Corretto.

Una grossa perdita per l'organizzazione."Rebecca tirò un sospiro di sollievo, molto lentamente. "Allora sa chi è

stato?""No," rispose l'uomo. "Per lo meno non qualcuno del nostro ambiente.

Una cosa così teatrale - quasi un omicidio rituale. La prego di credermi. Non è nel nostro stile. Non ci serviamo di questo genere di intimidazioni."

"Ah, davvero?""No."Silenzio. A lungo. Il piede ora batteva più velocemente."Posso fare qualcosa per lei?" chiese l'uomo. "Ha un ultimo desiderio?""Un ultimo desiderio?""Ma sì. Che ne so. Un bicchiere d'acqua? Una sigaretta?"Rebecca rise ancora, stranamente contratta. "Ma dove lo vuole andare a

prendere un bicchiere d'acqua, in questo posto? Non l'ha mai fatto prima, no?"

"Sì. No. Non si preoccupi."Rebecca sospirò. Era un sospiro che Othello riuscì a sentire fino alla

punta delle corna. Melmoth, nel frattempo, si era materializzato accanto a lui. Entrambi fissavano tesi la finestra semiaperta.

"Maledizione," disse Rebecca. "Perché adesso? Perché proprio adesso?

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Non ci posso credere. Ci deve pur essere qualcosa per farle capire che non costituisco un pericolo per lei."

"Sono altre le idee che lei mi fa venire," disse l'uomo lentamente. "È un invito allettante, ma non sono così poco professionale."

"Che cosa? Lei pensa che io stessi intendendo quello?" sibilò Rebecca. "Se ne scordi. Ma cosa crede? Lei irrompe qui e... Ed è convinto che io sia disposta a fare qualsiasi cosa lei voglia, solo perché ha in mano una pistola!"

"No," disse l'uomo sorpreso. "È stata lei a... Io non ci avevo affatto pensato!"

"Ah, sì. Davvero?""Se pensa che io ne abbia bisogno..." Anche l'uomo sembrava arrabbiato

adesso.Silenzio, per un bel po'.Poi, contemporaneamente, si misero a ridere.Poi di nuovo silenzio."Okay," rise Rebecca. "Allora ci dobbiamo tenere occupati con

qualcos'altro. Si sieda.""Hmmm," fece l'uomo."Potrei raccontarle delle storie. Come Sherazade nelle Mille e una

notte.""Non avevo intenzione di rimanere così a lungo," disse l'uomo.

"Tuttavia..."Il silenzio uscì dalla finestra del capanno, denso e pesante come alito

caldo.Le pecore si guardarono. Magari lì dentro la storia si sarebbe fatta

interessante. Era forse il caso di intonare un belato di incoraggiamento?Come a comando, Maude e Heide cominciarono a belare."Storie!" belarono. "Storie!"Ci volle un po' prima che Miss Maple riuscisse a riportare la calma."Anche se lì dentro si stanno raccontando delle storie," disse, "come

pretendete di sentirle, se fate un tale baccano?"

Ma poi andò a finire che alle pecore non venne raccontata nessuna storia. Nel capanno non si diceva più una parola. D'altra parte le pecore non ne furono affatto sorprese. Conoscevano quel tipo di situazione dai romanzi di Pamela. Quando l'estraneo misterioso - e di uno così senz'altro si trattava, su questo non c'era alcun dubbio - si trovava per la prima volta da solo con

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la donna, si poteva stare certi che la storia sarebbe andata a finire nel nulla. L'uomo e la donna a un certo punto smettevano di parlare, e il capitolo finiva lì. E non c'era una volta in cui si venisse a sapere che cosa fosse successo dopo. Per le pecore la faccenda costituiva un enigma. Qualcosa doveva pur succedere. Anche perché gli uomini poi non scomparivano definitivamente. Anzi, per lo più ricomparivano nel capitolo successivo, vivi e vegeti e di ottimo umore. Nonostante questo, però, nelle storie continuavano a esserci quegli strani buchi.

Le pecore fecero quello che anche durante le ore di lettura trascorse con George facevano, una volta giunte a questo punto della storia: pascolarono pazienti, aspettando che la storia andasse avanti. Solo Maple sollevò ancora una volta la testa per fiutare l'aria dentro al capanno, così, per precauzione. Tempestoso ma luminoso. Pioggia che gocciolava profumata sulle foglie. Maple abbassò il naso tra l'erba, tranquillizzata.

Molto più tardi, quando la sorveglianza del capanno si era fatta noiosa anche per Miss Maple, la porta lentamente si aprì. L'uomo uscì e per un po' stette a fissare la luna.

"Una bella notte," disse. Rebecca era comparsa accanto a lui sui gradini del capanno. Il suo vestito, che nell'oscurità sembrava nero come quello di Beth, era di nuovo raccolto come a formare una sacca. Una spallina era scivolata giù e ora lasciava libera una spalla illuminata dalla luce azzurra della luna.

Rebecca canticchiava. Poi entrambi si guardarono e Rebecca smise di canticchiare.

"A dire il vero uno spinello l'ho fumato," disse scusandosi.L'uomo fece un movimento della mano come per dire che non aveva

importanza.Rebecca ridacchiò. "E un pacchetto intero è sparito. Se l'è mangiato una

delle pecore. Quella grassoccia laggiù.""Credo sia un montone," disse l'uomo. "Animale dai gusti raffinati. Ma

possiamo sopravvivere."L'uomo cominciò a pescare i pacchetti dalla gonna di Rebecca per poi

farli sparire dentro alle tasche del suo impermeabile. Li contava."... ventuno, ventidue, ventitre. Se non si tiene conto di un pacchetto di

mangime per pecore, la consegna è completa. La cartelletta. C'è tutto - ma cos'è questo?"

L'uomo teneva in mano il pacchetto quadrato."Una videocassetta, direi," rispose Rebecca. "Non è sua?"

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"Io non ne so niente," rispose l'uomo, mettendosi in tasca il pacchetto quadrato.

Poi prese la mano di Rebecca con cautela, tra il pollice e l'indice, la sollevò, lentamente, come se si trattasse di qualcosa di molto pesante e fragile, e le baciò la punta delle dita senza fare rumore. Poi si voltò e si diresse alla macchina senza salutare. Il motore ronzante si allontanò.

Le pecore si rilassarono solo quando il rumore della macchina non si sentì più. L'uomo silenzioso le aveva inquietate - anche se non sapevano esattamente il perché. Ma ora tutto era ritornato in ordine. Così in ordine come non capitava da tempo. La figlia di George si trovava nel capanno, Gabriel e le sue pecore voraci erano scomparse, e c'era l'Europa ad attenderle.

Purtroppo, però, quell'ordine non durò a lungo. Era una di quelle notti in cui tutto il mondo si intrufolava nel loro pascolo. Questa era la volta di una piccola figura impacciata, goffa e rumorosa, che avanzava a passi pesanti verso il capanno.

Poi, all'improvviso, ecco Rebecca sulla porta, con la sputafuoco di George in mano.

Lilly emise un grido breve e acuto."Ma che succede?" domandò Rebecca stanca. "Cosa ci fa lei qui?""Volevo solo... Pensavo..." Gli occhi di Lilly fissavano la pistola come

ipnotizzati. "Volevo solo ricordare un po' George."Rebecca scosse la testa. "Non ci credo affatto. Credo invece che lei

volesse entrare lì dentro." La pistola indicò per un attimo la porta del capanno per poi tornare a Lilly. "E ora voglio anche sapere il motivo. E poi voglio andarmene finalmente a dormire."

Per un attimo Lilly combatté con la propria paura. Poi ci rinunciò. "Volevo solo prendermi la ricevuta," disse. "Perché non abbiano niente in mano contro di me. La ricevuta e me ne vado !"

Tacque per un momento, ma poi, non appena Rebecca fece un movimento di incoraggiamento con la pistola, continuò a parlare velocemente.

"Qualche volta mi capita di lavorare al Lonely Heart Inn," disse. "Solo di tanto in tanto. Come..." ammutolì.

Rebecca la fissò per un attimo irritata. Poi annuì. "Va bene. Cosa c'entra il Lonely Heart Inn?"

"I clienti, quelli non vengono soltanto per..." Lilly, imbarazzata, si passò

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le mani tra i capelli. "Vogliono anche fumare qualcosa. E io conoscevo George, e George era la persona giusta... Mi sono sempre rifornita da lui. Solo che la proprietaria... È così sospettosa. Una tirchia. Vuole la ricevuta. Con il mio nome sopra. E in quella maledetta notte me ne sono completamente dimenticata. E poi lui è morto. E se la trovano, hanno in mano qualcosa contro di me. Se lo aspettano tutti qui a Glennkill."

Rebecca abbassò la sputafuoco e Lilly iniziò a darsi una calmata."E quindi lei è stata qui?" chiese Rebecca. "Proprio la notte in cui

George è stato ucciso." Emise un fischio fra i denti. Proprio come faceva George quando gli capitava qualcosa di particolare. "Se la cosa salta fuori e lei continua a gironzolare qua attorno, beh, allora le staranno alle costole non solo per la ricevuta."

Lilly fece una smorfia. "Anche Ham la pensa come lei. Dice che se non sto attenta mi appiopperanno la responsabilità. Ma io ho bisogno lo stesso di quella ricevuta."

"Rackham? Il macellaio?"Lilly annuì. "Deve avermi visto, quando sono venuta qui da George. Ma

dice che non devo aver paura. Sa che non c'entro, dice lui. Ne ha le prove. Anche se in realtà mi odia. Per via di Kate."

"Ricapitolando, Ham è stato l'unico a vederla venire qui? E poi ha avuto quell'incidente laggiù alle scogliere. Lei deve avere davvero nervi d'acciaio, mia cara, se continua a preoccuparsi solo della ricevuta."

"Ma le ho detto che ne ho bisogno," fece Lilly testarda."D'accordo, ma solo quando mi avrà raccontato in dettaglio tutto quello

che è successo con George quella sera," promise Rebecca.Lilly la guardò indignata. "Non è successo un bel niente! Tutti pensano

di sì e possono raccontare di me tutte le balle che vogliono. Ma George era un buon diavolo. Una brava persona. Io compravo l'erba e poi si chiacchierava un po'. Basta. Tutto qui!"

Rebecca sospirò. "E posso sapere di quali argomenti chiacchieravate?"Lilly ci pensò sopra. "Del tempo. Che nelle ultime settimane c'era un

tempo fantastico. Tempo di partire, ha detto. Era di buonumore, davvero su di giri. Non lo avevo mai visto così. Ha detto che in futuro avrei dovuto comprarmi la roba da un'altra parte. Mi ha anche dato un numero di telefono. E poi ha... come pianto, direi."

Le pecore capirono, dalla faccia di Lilly, che le era venuto in mente un altro pensiero sgradevole.

"Oh merda!" disse. "Ho anche dimenticato il numero di telefono!"

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"Quando avrà finito di raccontare, le darò anche quello," disse Rebecca."Dice davvero?""George quella sera le ha detto che cosa avesse in mente?"Lilly corrugò la fronte. "Ha detto che voleva bersi ancora una Guinness

al Mad Boar. Mi ha sorpreso, perché di solito non andava mai al Boar. Mai mai! Ha detto che voleva vedere ancora una volta la gente lì. E poi voleva passare a salutare qualcuno."

"Chi?""Questo non lo so. Non lo ha detto. Una vecchia storia, ha detto, e ci ha

riso sopra.""Bene." Rebecca salì i gradini del capanno, scomparve per un po' e poi

tornò indietro con un pezzo di carta."300 euro avuti per lana grezza da Lilly Thompson. Compromettente. E

sopra c'è anche scritto il numero."Lilly, tutta contenta, si infilò il pezzo di carta nella scollatura. Poi guardò

Rebecca con gratitudine."Ora se ne vada," disse Rebecca. "E se incontra qualcun altro che sta

venendo quassù, gli dica che farà meglio a tornarsene indietro. Al prossimo che mi disturba mentre dormo, gli sparo direttamente."

Lilly annuì spaventata. Poi si avviò al cancello dondolando sui tacchi. Quando ebbe attraversato la metà del pascolo, le pecore sentirono ancora una volta uno di quei suoi strilli brevi e acuti. Aveva pestato un mucchietto di sterco di pecora.

Le pecore ritennero che a quel punto la cosa migliore fosse ritirarsi nel fienile. Chi poteva dire da che cosa ancora sarebbe stato disturbato il sonno di Rebecca?

"E Mopple?" chiese Zora. "Non possiamo certo lasciarlo qui al pascolo da solo."

Non ci si riusciva proprio, a svegliarlo. Ma le pecore scoprirono che nel sonno Mopple era in grado di muoversi. Bastò che Othello e Ritchfield lo spingessero da dietro con le corna, mentre il resto del gregge, che lo precedeva, belava un allettante "cibo cibo".

Ma prima di addormentarsi le pecore pensarono ancora un po' all'Europa.

"Sarà davvero bello," disse Maude. "Ci saranno meli dappertutto, questo sì. Ma il terreno sarà ricoperto di erba di topo."

"Sciocchezze," rispose Zora. "L'Europa si trova in fondo a un abisso, e

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tutti sanno che nell'abisso non cresce erba di topo.""Ma quanto è grande l'Europa?" chiese Cordelia con aria sognante."Enorme," rispose Lane decisa. "Una pecora deve galoppare veloce

come il vento per un giorno e una notte se la vuole attraversare tutta.""E meli ovunque?" chiese Maisie stupita."Meli ovunque," confermò Cloud. "Ma con sopra delle mele vere, rosse,

dolci e gialle, non come le nostre qui."Erano tutte prese dalla gioia dell'attesa. Impazienti, belavano all'Europa.Ma Othello rovinò loro il divertimento."Non è così semplice," sbuffò. "Nemmeno in Europa. Non lo è da

nessuna parte. È bello, certo, altrimenti George non ci sarebbe voluto andare. Ma è anche un posto pericoloso, sconosciuto. Lì una pecora deve stare attenta come in qualunque altra parte del mondo. E forse anche di più."

Sir Ritchfield gli diede ragione. "Da nessuna parte al mondo ci sono solo meli. Ci sono anche la ginestra pungente e il lapazio acido, l'erba con le spine e le foglie che fanno vomitare. Dappertutto ci sono il vento freddo nella lana e pietre appuntite sotto gli zoccoli."

Sir Ritchfield aveva indossato la sua espressione da montone capo e si guardava in giro con aria severa. Le pecore abbassarono la testa. Probabilmente il montone più esperto aveva ragione. Non c'è mela senza lapazio acido. Non c'è posto senza pericolo.

"Ma possiamo comunque ritenerci soddisfatti di andare in Europa," disse. "Non quanto lo potremmo essere di trovarci in un pascolo florido come quelli che si vedono in sogno, ma quanto per un... quanto per un..." A Ritchfield non veniva in mente nessun esempio.

"Quanto per la tosatura?" chiese Cordelia. "Pizzica e tira e tutto gira. Ma dopo ci si sente leggere e fresche."

Sir Ritchfield guardò Cordelia con gratitudine. "Sì, proprio così. Come per la tosatura."

Al pensiero gradevole e fresco della tosatura estiva, le pecore, una dopo l'altra, si appisolarono. Intanto Mopple fece una cosa che non aveva mai fatto prima: nel sonno produceva dei rumori, ansimava e russava.

Poi, piano piano, questi rumori si fecero più ritmici e metallici. Di tanto in tanto si sentiva un piccolo botto. Miss Maple aprì gli occhi a fatica. Attraverso i lucernari del fienile cadeva una luce grigia. Doveva essere mattina presto. Il respiro pesante aveva lasciato d'un tratto il posto a crepitii e scoppiettii. Pietre che schizzavano. A Miss Maple questi rumori

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risultavano stranamente familiari. Li aveva sentiti ogni mattina, praticamente per tutta la vita. Significava che l'anticristo aveva svoltato sul sentiero dalla strada asfaltata.

Mentre Maple si faceva largo verso la porta del fienile, George se ne stava già seduto sui gradini del capanno. Miss Maple gli si avvicinò trotterellando piena di curiosità. Quando la notò, George sollevò la testa e fece un sorrisetto.

"Al lavoro, pigrona!" disse.Miss Maple abbassò ubbidiente la testa nell'erba. Ora che George era

tornato inaspettatamente da loro, voleva fargli questo piacere. Ma George non sembrava soddisfatto di lei.

"Al lavoro," disse ancora. Ora con tono più serio. Miss Maple capì che questa volta non si trattava del pascolo, ma di qualcos'altro. Agitò le orecchie perplessa.

George vide che Maple non riusciva ad andare avanti da sola e dunque fece un lungo fischio. "Ordine fra le pecore", era il significato di questo fischio. Ma al posto di Tess, improvvisamente da dietro l'angolo del capanno sfrecciò la vanga. Per essere una vanga, si comportava molto bene come cane da pastore. Schizzò a pochi passi da Maple, poi abbassò il naso nell'erba. I due chiodi che fissavano la pala al manico tutto d'un tratto assomigliavano a occhi, vivi e attenti. Maple belò inquieta. Ma la vanga non la lasciava in pace. Avanzava sempre di più, con cautela, passo dopo passo, gli occhi di chiodi sempre puntati su di lei.

La vanga si annusò in giro, spaventosa e senza narici, e il suo sottile tronco di legno si piegò come per saltare. A quel punto Miss Maple ebbe una paura terribile. Si rivolse a George in cerca di aiuto, ma George era freddo come la terra congelata.

"Perché sei morto, George?" gli chiese. Le sue parole risuonarono sul pascolo, forti e rimbombanti come se fossero umane. George le avrebbe capite, parola per parola. Miss Maple pensò che era bello essere compresa da un uomo in questo modo.

"Non posso vivere senza l'anima mia," disse George.Non era certo una risposta soddisfacente, ma era l'unica risposta che

avrebbe ottenuto da George. Mentre parlava, infatti, George subiva una trasformazione, senza però che questa si potesse vedere a occhio nudo. Ma quella trasformazione una pecora la poteva odorare. Dopo che l'ultima parola fu rotolata fuori dalle sue labbra, strascicata come una nuvola indolente, Maple vide sui gradini del capanno soltanto un involucro vuoto.

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Nello stesso momento la vanga saltò fuori, riproducendo un unico arco perfetto, il muso metallico rivolto proprio verso Maple...

All'improvviso Miss Maple si ritrovò completamente sveglia."Lo so," belò a Cloud, che si era appoggiata a lei nel sonno."Che cosa sai?" le chiese Cloud insonnolita."Tutto!" rispose Miss Maple. "So tutto della morte di George!"

20Quel che sapeva Maisie

Non molto tempo dopo, tutte le pecore a eccezione di Mopple erano di nuovo sveglie, assonnate ma su di giri. Miss Maple era la pecora più intelligente di tutta Glennkill. E ora sapeva tutto! Tutto della morte di George! Le pecore avrebbero certo preferito venire a sapere subito il nome dell'assassino. Ma Miss Maple sembrava non riuscire a decidere da dove cominciare.

"Non ci sarei mai arrivata se non ci fosse stato il libro," disse. "È stato utilissimo che George nel testamento abbia lasciato scritto che lei ci deve leggere delle storie."

Le pecore non capivano una sola parola di quel che stava dicendo. Si preoccuparono: Maple sembrava davvero molto eccitata.

"Ci leggerà delle altre storie," disse Cordelia per calmarla. "Deve farlo. È scritto nel testamento."

"Ma così è già abbastanza," disse Miss Maple. "Ha letto proprio la cosa giusta. Intendo dire, vi ricordate che cosa ci ha letto?"

Le pecore guardarono Mopple the Whale cercando aiuto. Ma Mopple dormiva come un sasso. Quando Zora gli diede un pizzicotto non troppo lieve sul posteriore, non agitò nemmeno le orecchie.

Miss Maple attese paziente fino a quando tutti i tentativi di svegliare Mopple non cessarono con un belato di frustrazione.

"Pensateci su," disse poi.Le pecore ci pensarono su ubbidienti."Trovare la pace," disse Maude. "Questo ha letto.""C'era anche un abisso," disse Zora."Le persone uccise fanno in modo di perseguitare i loro assassini," disse

Cordelia rabbrividendo.

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"Proprio così," disse Miss Maple. "È come una traccia nell'erba, lo capite? Perché la vanga, ci siamo chieste, dal momento che George era già morto? Per quale motivo?"

Miss Maple lasciò un po' di tempo al suo gregge per pensare, poi perse la calma e risolse l'enigma.

"L'assassino aveva paura di venire perseguitato. E la vanga avrebbe dovuto impedirlo. Come faceva George a perseguitare il suo assassino, se era bloccato a terra dalla vanga? Questo deve aver pensato l'assassino. Ma," e qui fece una pausa a effetto, "si è sbagliato."

Ora la cosa si faceva davvero avvincente. Le pecore si strinsero ancora di più.

"Perché chi viene ucciso può perseguitare l'assassino sotto qualsiasi forma. Anche questo è scritto nel libro. Ma l'assassino non ci ha pensato. George non aveva bisogno della propria forma per perseguitarlo. Poteva scegliersene un'altra. E noi tutte sappiamo che cosa piacesse davvero a George."

"Noi," disse Heide orgogliosa. "Gli piacevamo più degli uomini.""Giusto!" disse Miss Maple. "Questo significa che George ha

perseguitato il suo assassino sotto forma di pecora. Ora dobbiamo solo scoprire chi è stato perseguitato dalle pecore."

Era facile."Dio!" belarono Lane, Cordelia e Cloud all'unisono."Giusto!" disse Miss Maple."Ma," chiese Zora dubbiosa. "Ma non si trattava di Othello?"Maple annuì. "Una volta. Al cimitero. Poi però ha anche parlato di un

montone grigio. Immaginatevi George sotto forma di pecora - potrebbe davvero assomigliare a un montone grigio."

"Mi piacerebbe così tanto poterlo vedere," disse Cordelia.Miss Maple scosse la testa. "Non credo sia possibile. Probabilmente solo

l'assassino lo può vedere."Le pecore sospirarono. Avrebbero accolto volentieri George nel loro

gregge."Ma perché?" belò Heide."È così," rispose Cloud per rabbonirla."No!" Heide scosse la testa cocciuta. "Intendo dire: perché il tipo dal

naso lungo ha ucciso George?"Tutti gli occhi si voltarono verso Miss Maple. Perché?"Anche questo sta scritto nel libro," disse. "'Non posso vivere senza

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l'anima mia', c'è scritto."Guardò il suo gregge con gli occhi che le brillavano."E allora?" belò Heide."Mi ha ricordato che morte e anima hanno a che fare l'uno con l'altra,"

spiegò Miss Maple, troppo concentrata per arrabbiarsi a causa dei belati intermittenti e impertinenti di Heide. "Quando si è morti, l'anima deve abbandonare il corpo. Poiché il corpo odora di morte e il senso dell'odorato dell'anima è così sensibile da non riuscire a sopportarlo. Allora l'anima diventa vulnerabile. Abbiamo sentito parlare dei cani del diavolo. Qualcuno voleva l'anima di George. Qualcuno la voleva tirare fuori da George, prima che cadesse vittima della vendetta dei cani del diavolo. L'assassino voleva l'anima di George per sé."

Miss Maple fece un respiro profondo. Quasi si potevano vedere i suoi pensieri galoppare attraverso il fienile, fuori sul pascolo, fino all'abisso e ritorno, seguendo schemi misteriosi, avanti e indietro, tanto veloci da disorientare.

"Noi stesse abbiamo visto che paura abbia Dio per la sua anima. Era logico e naturale che cercasse di trovare una sostituta..."

Le pecore piegarono la testa di lato pensandoci sopra. Questa possibilità non l'avevano ancora presa in considerazione. Miss Maple agitò le orecchie, certa della vittoria, e continuò.

"Ed è stata proprio la vanga a svelarci qualcosa. A che cosa pensate quando pensate a una vanga?"

"Alla vanga, naturalmente," rispose Cloud. Maple qualche volta faceva delle domande davvero strane.

Maple sospirò. "E poi a cos'altro?""All'erba di topo!" fece Maude immediatamente.Le altre si guardarono."E perché mai all'erba di topo?" chiese Zora."Perché no?" rispose Maude. "Io penso spesso all'erba di topo.""Ma non ha niente a che fare con tutto questo," disse Heide."Ma Maple non ha detto che debba per forza avere a che fare con

questo," disse Maude offesa. "Posso pensare all'erba di topo come e quanto voglio."

"Ma non vuol dire niente," disse Heide."Vuol dire molto, invece!" Maude guardò il proprio gregge con occhi

luccicanti e ostili. "Ora penserò all'erba di topo tutta la notte! Solo perché lo sappiate!"

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Maude chiuse gli occhi e pensò intensamente all'erba di topo. Le altre pecore, intanto, continuarono a riflettere. Qual era il significato della vanga?

"L'orto!" belò Zora.Era chiaro. George rivoltava l'orto con la vanga. Strappava le erbacce e

tracciava per terra delle linee diritte. Poi, con il manico, scavava dei solchi sottili e ci piantava dentro dei semi. La vanga e l'orto andavano in coppia.

Miss Maple annuì soddisfatta. "Proprio così. Ero sicura che la vanga significasse qualcosa. Il campo di Dio - vi ricordate? Era un'indicazione. L'orto nel quale vengono seminati i morti. Con una vanga. Tutto con una vanga. E con una vanga il tipo dal naso lungo ha scavato i buchi e catturato le anime. Non voleva un'anima sola, ne voleva una scorta intera."

Le pecore si meravigliarono. All'improvviso tutti i pezzi combaciavano - chiaro, bello e semplice, come le castagne nel loro guscio. Miss Maple era davvero la pecora più intelligente di Glennkill.

"Ma..." si sentì timidamente belare dall'ultima fila. Le pecore voltarono la testa. Maisie! Proprio Maisie! Curiose e un po' maligne, le pecore drizzarono le orecchie per sentire che cosa sapesse Maisie.

"Ma non può essere stato lui," belò Maisie eccitata. "Lui ha detto che George era un'anima persa. E se pensava che George avesse già perso la sua anima, che senso poteva avere portargliela via?"

Maisie muoveva le orecchie imbarazzata.Le altre pecore la guardarono storto.Ma Miss Maple non si era offesa. In fin dei conti si trattava di trovare la

verità e non di dimostrare la propria intelligenza. Di essere una pecora intelligente, già lo sapeva. Ma la verità, evidentemente, non la conosceva ancora.

"Sono sicura che si tratti dell'anima," disse Maple. "Solo, deve combaciare in un altro modo."

"Beth non ha un'anima," belò a un certo punto Maude, che ben presto si era annoiata di pensare all'erba di topo.

Nonostante le pecore non ci avessero mai pensato, il concetto risultò loro trasparente. Nessuno con l'odore di Beth poteva avere il senso dell'odorato. Con il senso dell'odorato quello era un odore che non si poteva sopportare.

Miss Maple rimase per un po' completamente in silenzio. Non le si muovevano neanche le punte delle orecchie. Se ne stava lì ferma come fanno i montoni molto anziani, sprofondata nei propri pensieri e del tutto

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immobile."Ma Beth un'anima la voleva," disse alla fine. "Senza alcun dubbio.

Perché senza anima non si può vivere. Anche questo è scritto nel libro."Othello sollevò la testa. Dai suoi occhi le pecore potevano vedere che

aveva intuito qualcosa."Anno dopo anno è venuta al capanno di George," continuò Miss Maple.

"Gli ha portato dei libri, perché sapeva che a George i libri piacevano. E negli anni ha sperato di cominciare a piacere lei a George, al punto tale che, alla fine, lui le desse la propria anima."

"Ma George non l'ha fatto," disse Ramses. "George li bruciava i fascicoletti."

"Esattamente," disse Maple. "È stata una bella mossa da parte sua. Poi Beth ha cominciato a raccontare delle buone azioni e dell'anima di George, che si trovava in pericolo. Voleva portarsela via, in un luogo sicuro, dove le anime potessero compiere buone azioni."

"Da Dio?" chiese Heide curiosa."Naturalmente questa era solo una scusa," spiegò Miss Maple. "In realtà

Beth si sarebbe tenuta l'anima, e George non l'avrebbe più vista.""Ma George non l'ha fatto," disse Lane sollevata. "George ha cominciato

a lavorare nell'orto. Con la vanga.""Anche questa è stata una bella mossa," disse Miss Maple. "Perché così

poteva compiere le sue buone azioni. Beth non aveva più nessun pretesto per portarsi via l'anima."

Le pecore si ricordarono. Beth era apparsa così tante volte davanti ai gradini del capanno, preoccupata per l'anima di George. E loro, ingenue, ci erano sempre cascate. Solo ora riuscivano a capire che cosa Beth in realtà tramasse.

"Come una volpe," disse Cordelia. "Una volpe che trova un agnello ferito. E gli gira intorno, in cerchi sempre più stretti, fino a quando l'agnello è così debole che non riesce più a difendersi."

"Ma George non era debole," disse Othello orgoglioso. "Si è sempre difeso."

Miss Maple annuì. "E Beth ha sempre aspettato. Un giorno o l'altro, pensava, un giorno o l'altro... E poi - vi ricordate che cosa vi ho detto? Che tutto dipende dalla vanga? È ancora vero. Solo che all'inizio non sono riuscita a capire bene il modo in cui tutto combacia. La vanga significa orto. Significa che George si è difeso. Significa che Beth non è riuscita ad avere la sua anima."

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Miss Maple fece una breve pausa."Poi ha saputo che George voleva andare via. In Europa. Con la sua

anima. E lei aveva aspettato tutti quegli anni, come un ragno nella sua tela. Adesso doveva pur far qualcosa, perché la sua attesa alla fine non risultasse inutile. E tutte noi sappiamo che cosa ha fatto."

Le pecore tacquero impressionate. Tutte tranne Zora."Ma come la mettiamo con quelli che vengono uccisi e che perseguitano

i loro assassini?" chiese Zora. "Beth non è stata perseguitata da una pecora."

Maple ci pensò sopra."Sembra che sia così," disse dopo un po', "ma non lo è. Persino noi

abbiamo visto per ben due volte con i nostri occhi che Beth veniva perseguitata."

Le pecore rifletterono, ma con tutta la buona volontà non riuscivano a ricordarsi di niente di simile. E Mopple, la pecora con la memoria migliore del gregge, non faceva altro che russare.

"Dovete pensare che con molta probabilità noi non siamo in grado di vedere la pecora spirito," disse Miss Maple. "Solo l'assassino la può vedere. Ma poi abbiamo notato che Beth ha visto lo spirito. Una volta, durante il picnic. Vi ricordate il modo in cui guardava il posto dove era morto George? Aveva una paura tale da non riuscire a mangiare."

Le pecore si ricordavano. La mancanza di appetito, nonostante tutte le cose invitanti disposte sulla coperta colorata, era un segno inconfutabile che Beth doveva avere una paura terribile.

"La seconda volta è stato quando Rebecca ha aperto il capanno. Tutte noi ci aspettavamo che venisse fuori qualcosa. Ma Beth ha visto venir fuori qualcosa."

Pensarono a Beth che fissava la porta del capanno, con gli occhi spalancati, rigida per lo spavento.

"Credi che...?" chiese Cloud.Maple annuì. "Beth ha visto lo spirito di George. E in un caso si è quasi

tradita. Vi ricordate quando ha detto che, una volta che la pecora nera avrà lasciato il gregge, lei potrà vivere di nuovo qui? E che cos'ha Beth contro Othello? Niente, deve solo aver parlato dello spirito di George!"

Questa volta non c'erano dubbi. Miss Maple aveva chiarito la cosa in modo esaustivo. Le pecore tacquero impressionate.

"Chissà se poi l'ha avuta," chiese Cordelia dopo un po'."Che cosa?" domandò Zora.

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"L'anima di George," disse Cordelia. "Mi chiedo se alla fine abbia avuto l'anima di George."

"Se l'ha avuta, la deve ridare indietro," disse Sir Ritchfield severo. L'anima era il contrario di una cosa. Qualcosa con cui si poteva scoprire il mondo. Era davvero preziosa e importante, anche quando - come nel caso degli uomini - era molto piccola.

Miss Maple scosse la testa. "Beth non ha l'anima. Guardatela. Sembra qualcuno che ha perso per sempre qualcosa di importante."

Aveva ragione. Le pecore tirarono un sospiro di sollievo, dal momento che l'anima di George era sfuggita a Beth. Ma in questo modo era già stata fatta giustizia?

"Giustizia!" belò, all'improvviso l'agnello invernale nel bel mezzo del silenzio. Nessuno lo cacciò via.

"Giustizia!" si unì Othello."Giustizia!" belarono le altre pecore."Ma come?" chiese Lane."Beth è colpevole della morte di George," disse Cloud. "Sarebbe giusto

che anche lei morisse."La cosa suonava plausibile."Non è difficile," disse Othello. "Forse non possiamo fare come ha fatto

lei, prima con il veleno e poi con la vanga. Ma, per esempio, possiamo spingerla giù dalle scogliere."

"Giù dalle scogliere no," disse Zora."Si può anche fare in un altro modo," insisté Othello."Ma Beth ha detto di non aver paura della morte," belò Heide. "Vi

ricordate? Lo ripeteva sempre. Invece dovrebbe!"Le pecore belavano agitate. Beth doveva avere paura! Questo era giusto.

Anche loro avevano avuto paura negli ultimi giorni, a causa delle cose terribili che erano successe al pascolo.

"Potremmo comportarci di nuovo come se fossimo malate," propose Cordelia. "Con Gabriel ha funzionato."

Ma alle pecore sembrava che una malattia delle pecore non fosse la cosa giusta per Beth.

Miss Maple nel frattempo continuava a trotterellare avanti e indietro nel buio. "Deve venire fuori. Di questo hanno tutti paura. Dobbiamo fare in modo che venga fuori. Non dal capanno, ma dalle nostre teste. Tutti gli uomini lo devono sapere. Questa è giustizia."

"Ma loro non ci capiscono," disse Cloud.

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"Non sarà facile," ammise Miss Maple. "Tuttavia credo che, se ci prestassero attenzione, potremmo condurli alla soluzione. Ma tanto non ci prestano attenzione. Fanno attenzione solo al capanno."

"Eccetto il macellaio," obiettò Sara. "Il macellaio presta grande attenzione alle pecore." Ma nessuna di loro aveva voglia di intrattenersi con lui.

Miss Maple riprese a trotterellare avanti e indietro sprofondata nei propri pensieri. A lungo.

Poi, di colpo, si fermò. "In realtà una cosa che obbliga gli uomini a prestare attenzione alle pecore c'è!" Miss Maple si guardò intorno con espressione raggiante. Ma l'unica pecora che sembrava felicitarsi per la sua geniale idea era lei stessa. Le altre, mentre Maple rifletteva, si erano addormentate una dopo l'altra.

"Così potrebbe funzionare," disse Miss Maple.

Le pecore si erano svegliate di buon'ora, ma erano rimaste nel fienile per far compagnia a Mopple, immerso in un sonno profondo come quello di un agnellino. Il sole mattutino cadeva attraverso buchi e fessure e dipingeva segni dorati e luminosi sul manto delle pecore. L'umore generale era euforico. "Se cercano la pecora più intelligente, allora saranno obbligati a osservare le pecore con attenzione."

L'idea alle pecore piacque. Tanto più che in segreto si erano sempre interessate al concorso per la pecora più intelligente di Glennkill. Girava addirittura voce che lì le pecore mangiassero trifoglio e mele e venissero ammirate da tutti. George non le aveva mai fatte partecipare. "Ci manca solo questo," disse una volta, quando la conversazione era caduta sul concorso. "Quegli ubriaconi come giuria per le mie pecore così intelligenti."

Ma ora George era morto e non poteva più decidere per loro. Ubriaconi o meno - se le pecore avessero partecipato sarebbero forse riuscite a ottenere giustizia.

"Ci stiamo," belò Sir Ritchfield. In questo modo la cosa fu decisa. Gli occhi di Ritchfield brillavano intraprendenti.

"Ma come facciamo?" chiese Cloud. Misero insieme le informazioni che avevano sul concorso per la pecora più intelligente di Glennkill.

"È una totale sciocchezza," disse Maude."È una trappola per turisti. Quando non si ha nient'altro da offrire," disse

Heide.

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"È al Mad Boar," disse Sara.Era pur sempre un inizio. Le pecore conoscevano il pub dai tempi delle

loro scampagnate all'altro pascolo. Il Mad Boar era rimasto loro impresso per l'odore di whisky e di birra, ma anche per gli occhi che inevitabilmente comparivano dietro le finestre a osservare George, fino a quando lui e le sue pecore non scomparivano dietro la curva della strada principale.

"Andiamoci!" disse Zora audace. "Anche le altre ci devono andare in qualche modo."

Le altre! Altre pecore! Sarebbe stato pieno di pecore - pecore oltremodo intelligenti, dalle quali si potevano imparare un sacco di cose. Forse dopo ci si poteva anche mettere tutte insieme per formare un gregge particolarmente numeroso. Sara agitava felice le orecchie, Zora inspirava di gusto l'aria fresca del mattino con respiri profondi, e Cloud si lasciò cadere nella paglia con un sospiro soddisfatto.

"Ma quando?" chiese Lane. Sapevano che il concorso per pecore si svolgeva solo una volta all'anno. E un anno era lungo, da un inverno a un altro.

"Dopodomani!" disse Mopple. Le pecore si voltarono verso di lui. Mopple the Whale era di nuovo sveglio e le guardava con occhi freschi e luminosi.

"Come fai a saperlo?" chiese Heide. "Perché proprio dopodomani?""Lo ha detto Gabriel," disse Mopple. "Al macellaio. Quando il macellaio

lo voleva mettere in guardia da noi."Dopodomani quindi! Due volte a dormire e poi si partiva. Poco tempo

per prepararsi. Ma anche poco tempo per l'impazienza e l'agitazione.Solo Miss Maple fissava Mopple scettica. "Ma abbiamo già dormito una

volta. Non è più dopodomani. È già domani.""Dopodomani," ripeté Mopple testardo."È cambiato," disse Miss Maple. "Nel sonno è cambiato tutto. Ora

rimane solo domani.""Mai io me lo sono memorizzato," disse Mopple. "E se io mi memorizzo

qualcosa, allora non cambia più. Nemmeno nel sonno. Mai più.""Invece sì," disse Miss Maple. "Questa volta sì."Mopple the Whale si ritirò offeso in un angolo e cominciò a masticare

rumorosamente un ciuffo di paglia. Ma le altre non gli permisero di ostacolare la loro intraprendenza mattutina. Domani!

"Abbiamo solo bisogno di un pezzo di bravura," disse Heide eccitata. Solo con un pezzo di bravura una pecora poteva partecipare al concorso

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per la pecora più intelligente di Glennkill."Che cos'è un pezzo di bravura?" chiese un agnello.Sul fienile scese lentamente il silenzio, fioccando intorno ai loro zoccoli

come neve in inverno. Da qualche parte, molto molto lontano, si sentiva muggire una mucca. Una macchina ronzava sulla strada di campagna, non più rumorosa di un insetto. Sul portello del fienile rumoreggiava un topolino, le zampine come gocce di pioggia sul legno ruvido e asciutto. Un ragno grosso e marrone si muoveva alla chetichella in una selva di zampe di pecore.

"Forse nella rimessa degli attrezzi c'è un pezzo di bravura," disse Cordelia dopo un po'. George conservava cose utili nella rimessa.

"Anche se così fosse," disse Zora, "non lo riconosceremmo.""Possiamo portare tutto quello che non conosciamo," disse Heide, che

voleva partecipare al concorso a ogni costo.Quindi trotterellarono curiose fino alla rimessa, dove Lane rimosse

abilmente il chiavistello con il muso.La porta si spalancò e dalla rimessa fuoriuscì aria stantia. Gasolio,

metallo, plastica e molti altri odori sgradevoli. Speranzose, le pecore sbirciarono all'interno. Era una stanza minuscola, così piccola che non ci sarebbe stata nemmeno una pecora da sola, ma era stracolma di cose. Niente di più probabile che una di queste fosse un pezzo di bravura.

La falce. Il bastone da pastore. Le cesoie, una bottiglietta d'olio, la cassetta degli attrezzi, la trappola per topi e semi per l'orto. I semi avevano un odore piuttosto gradevole. Un bicchiere con delle viti, un piccolo rastrello. Un collare antipulci per Tess. Un barattolo di veleno per topi, che una volta George aveva comprato tutto arrabbiato ma che poi non aveva mai usato. Lo straccio bianco e rosso e la pelle di daino per i vetri. Tutte cose che le pecore conoscevano. Sapevano esattamente che cosa George avesse fatto con quelle cose - in ogni caso non un pezzo di bravura.

Lane, che si trovava in prima fila, si voltò verso le altre pecore."Niente," disse.Ma all'improvviso sentirono una risata. Melmoth. Le pecore si voltarono

verso di lui e si spaventarono. Era come se Melmoth si fosse trasformato in un animale completamente diverso. Si era alzato sulle zampe posteriori e marciava come un essere a due zampe, avanti e indietro. I suoi movimenti erano impacciati e alquanto ridicoli. Strani, insensati, e in qualche modo fuori luogo. Le pecore rabbrividirono.

"Che cos'è mai questo?" sussurrò Cordelia.

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"Questo," disse Othello, che si era messo anche lui sulle zampe posteriori, "è un pezzo di bravura."

Nel frattempo, mentre il sole era già alto e Rebecca usciva a tentoni dal capanno stiracchiandosi come una gatta, le pecore continuavano a discutere.

Niente di ciò che sapevano fare sembrava essere un pezzo di bravura. Non pascolare, non correre, non sedersi sulle rocce. Saltare no e pensare no. Ricordarsi tutto no e mangiare il pane di certo no.

"Che cosa ne pensate di ascoltare?" chiese Heide.Othello scosse la testa impaziente. "Deve essere una cosa priva di

senso," spiegò per la centesima volta, "priva di senso e insieme appariscente. Come camminare sulle zampe posteriori. O sventolare un fazzoletto fra i denti. O far rotolare una palla."

"E perché mai una pecora dovrebbe far rotolare una palla?" chiese Maude.

"Proprio per questo motivo," disse Othello."Pensano che le pecore siano intelligenti quando fanno cose senza

senso?" Cloud agitava incredula le orecchie.Othello sbuffò. "Noi non dobbiamo capire. Lo dobbiamo solo saper

fare." Melmoth annuì in segno di approvazione."Non abbiamo una palla," disse Lane, pecora molto pragmatica."Mi sembra proprio di capire che nessuna di noi sappia fare alcun pezzo

di bravura," disse Zora pacata. "Per nostra fortuna."Alcune pecore abbassarono la testa. Ma Miss Maple non era così facile

da demoralizzare."Non ha importanza," disse. "Vogliamo solo che ci prestino attenzione.

Non vogliamo vincere.""Io sì, invece," disse Heide.Miss Maple la ignorò. "Se solo riusciamo a entrare, ci presteranno

attenzione. E poi forse riusciremo a condurli a una spiegazione.""E quale sarebbe questa spiegazione?" chiese Maude."Che Beth ha ucciso George con il veleno, ma che poi non era ancora

soddisfatta perché voleva anche la sua anima. E che perciò lo ha infilzato con la vanga, in modo che il suo spirito non la perseguitasse," spiegò Ramses sollecito.

"Non lo capiranno mai," si lamentò Mopple."Dobbiamo renderla più semplice," disse Miss Maple.

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"Che Beth ha ucciso George. Prima con il veleno, poi con la vanga," disse Heide.

"Ancora di più!" disse Miss Maple."Beth - assassino - George," disse Zora snervata."Proprio così," disse Miss Maple. "Se siamo fortunate, riusciranno a

capirlo."Le pecore si guardarono. Tre parole così semplici — e come sarebbe

stato difficile farle capire agli uomini.In cerca di aiuto, si guardarono in giro per vedere dove fosse finita Miss

Maple. Ma l'intelligente signora pecora era scomparsa. Le pecore udirono allora dei rumori inquietanti provenire da un angolo del fienile, come di qualcuno che stesse scavando. Un attimo dopo Miss Maple era di nuovo fra loro, con il naso sporco e la cosa del macellaio fra i denti.

Miss Maple aveva un piano.

21Fosco è esperto

L'ispettore Holmes fissava frustrato la sua Guinness. In qualsiasi altro momento una cosa del genere gli avrebbe fatto piacere, ma non ora. Una Guinness di servizio, per così dire. Gli guastava tutto il divertimento. Proprio qui, in questa Glennkill dimenticata da Dio. E proprio a questo stupido concorso per pecore, incastrato fra turisti e gente del posto, tutti naturalmente di un umore da giorno di festa. L'atmosfera non gli piaceva. Essere allegri andava bene, ma la gente qui era decisamente troppo allegra. Forse aveva questa impressione solo perché non si stava divertendo affatto.

Non avrebbe mai dovuto diventare poliziotto. Non con quel nome. Anche a Galway c'era un Watson, e nemmeno quello lo lasciavano in pace un attimo, ma con lui... I commenti idioti erano solo l'inizio. Tutti i casi senza speranza finivano sulla sua scrivania. Con commenti idioti. Non era certo colpa sua se aveva la peggiore percentuale di casi risolti di tutta la contea. E non c'erano miglioramenti in vista. Non con una faccenda come questa. George Glenn. Sin dall'inizio se l'era sentito: se non è stata la famiglia, non lo scoprirò mai. La famiglia consisteva in quella rossa carina e formosa. Ovviamente fornita di alibi. Poi era venuta fuori la questione dell'eredità. Allora si era ripromesso di limitarsi ad arrestare gli eredi. Sempre meglio di niente, aveva pensato. Si poteva sempre farli uscire più

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tardi.Ma ora! Ora non poteva mettersi ad arrestare un intero gregge di pecore.

Per essere sincero, non ne poteva neanche più delle pecore. E, stando così le cose, il concorso per la pecora più intelligente di Glennkill era indubbiamente il posto sbagliato.

Nel mezzo del salone per le feste del Mad Boar avevano montato una piattaforma di legno. Niente scale per salirci sopra, ma rampe. Per il bestiame. Dietro la piattaforma c'erano i pastori con i loro campioni. Chi di loro esalasse quella puzza così pungente per l'eccitazione, era difficile da stabilire. Forse era anche colpa dei turisti. Alcuni, col caldo che faceva, erano arrivati in bicicletta. E lo si sentiva. Ma che cosa ci faceva ancora qui? Si aspettava forse che l'assassino, completamente sbronzo, si consegnasse alla giustizia di sua spontanea volontà? Oppure che le pecore gli fornissero l'indizio decisivo? Ma la verità era che non aveva nessuna voglia di tornare in ufficio, ad archiviare anche questo tra i casi irrisolti. Meglio andare avanti con le indagini ancora per un po'.

In quel momento scese il silenzio. Ancora più silenzio. Solo le pecore continuavano a belare tutte contente. Non particolarmente intelligenti. Poi un uomo secco secco salì sulla piattaforma. Se quello era l'oste, la cosa non deponeva certo a favore del cibo che si serviva in questo posto. Lui, almeno, avrebbe senz'altro preferito farsi servire un pranzo dal tipo grasso sulla sedia a rotelle. Non erano entrambi fra quelli che avevano trovato il cadavere? Giusto. Baxter e Rackham.

Un tipo riservato, quel Baxter, aveva pensato allora, quando lo aveva interrogato. Ma ora l'oste stava parlando alla folla già da parecchi minuti: san Patrizio... Yeats e Swift... la tradizione... la tradizione... Glennkill è orgogliosa delle sue pecore. Da farti passare la voglia! E la Guinness era già finita.

Finalmente il secco finì. Il concorso era stato inaugurato. Ora il silenzio era davvero assoluto. Attesa. Persino le pecore avevano smesso di belare.

In tutto quel silenzio si sentì bussare alla porta d'ingresso. Solo un minuto prima la cosa non avrebbe avuto nessun effetto, ma ora tutti gli occhi si erano voltati in direzione della porta. Strano bussare alla porta di un pub. Ma forse anche questo faceva parte dello stupido cerimoniale che avevano da queste parti. Tuttavia in sala nessuno si mosse. Nuovi colpi alla porta. In effetti, più che un normale bussare, sembrava che qualcuno si stesse scagliando contro la porta con un oggetto pesante. Nessuna reazione. Solo la terza volta qualcuno fece qualcosa. Naso grosso. Anche

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con lui aveva parlato. Padre... qualcosa. Il parroco del posto.Il parroco andò alla porta e la aprì con un sorriso. Ma poi il sorriso da

prete gli venne male. Si bloccò. Si contrasse in uno sguardo attonito. Inorridita, la faccia da prete fissava quello che c'era ad attenderlo.

Quando finalmente la porta si aprì, le pecore avrebbero preferito scapparsene via subito. Non avrebbero mai pensato che al mondo potessero esistere così tanti uomini. Più di quella volta al pascolo, e persino più di quanti avessero trovato posto sotto il tiglio. E la puzza. Gli odori dei singoli uomini si erano uniti a formare un gigantesco odore collettivo, untuoso e fumoso, acido, rancido e orribilmente sconosciuto. Quella puzza terribile si posò come olio sulle loro narici e tolse alle pecore qualsiasi possibilità di fiutare.

Inoltre, intorno alle facce umane vagava come nebbia la puzza di sigarette. Colpiva le pecore in faccia in modo pungente, facendo venire loro le lacrime agli occhi. E non potevano nemmeno fare affidamento sulle proprie orecchie - sembrava che anche su di loro si fosse posato uno strano velo. Da qualche parte si sentiva della musica, attutita come attraverso il fogliame delle siepi, e alcuni piedi raspavano sotto le panche. Al di là di questo, nessun rumore.

Gli uomini le fissavano muti. Dio, che aveva aperto la porta, aveva fatto un paio di passi indietro con la bocca aperta, si era lasciato cadere su una sedia e ora si teneva le mani sul petto. Othello fece un passo in avanti, in mezzo allo spazio stretto fra le fila di tavoli. Le altre rimasero attaccate a lui. Non per convinzione - avrebbero preferito di gran lunga scappare immediatamente da questo tugurio - ma perché era l'unica cosa che fosse venuta loro in mente. All'inizio tutte le pecore avrebbero desiderato presentarsi al concorso per la pecora più intelligente di Glennkill, e la metà di loro era rimasta indietro offesa quando ne erano state scelte solo quattro - Miss Maple, Mopple the Whale, Zora e Othello. Nel frattempo il timore aveva spazzato via tutto l'orgoglio e tutta la gioia dell'attesa - in Mopple, in Zora e persino in Miss Maple. Othello era il loro montone guida. Ora non potevano fare altro che lasciarsi guidare da lui.

E lui le guidava brillantemente. A testa alta passava tra le fila di tavoli, senza dare a vedere il minimo segno di paura. Subito dietro di lui veniva Zora, poi Miss Maple e in fondo, paffuto e nervoso, Mopple the Whale, lo straccio saldamente fra i denti stretti. Lo straccio puzzolente era il loro accessorio più importante.

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Dopo che ebbero attraversato la metà della sala, uno degli uomini gridò qualcosa. Poi scoppiò un baccano infernale. Gli uomini si picchiavano le mani l'una sull'altra, gridavano e brontolavano. Le pecore si strinsero ancora di più tra di loro. Spinte da Mopple the Whale, che nella sua delicata posizione di chiusura era stato preso dal panico e si spingeva contro Miss Maple. La testa di Mopple ora si ritrovava appiccicata al posteriore di Maple, quella di Maple a quello di Zora, e Zora venne spinta addosso a Othello.

"Che cos'è questo?" mormorò spaventata."Un applauso," rispose Othello perfettamente calmo. "Significa che gli

piace.""Questo chiasso?" chiese Zora, ma Othello era già andato avanti e Zora e

Maple vennero spinte da Mopple.L'applauso e le grida sembravano non voler finire mai. Li seguirono per

tutta la sala. Quando Othello le condusse sul palco, la cosa divenne insopportabile. Il montone nero rimase fermo e si voltò verso gli uomini. Sul palco di legno quadrato le pecore finalmente avevano un po' di spazio. Ma erano immerse in una luce accecante. Mopple, Maple e Zora sfruttarono l'occasione per mettere di nuovo Othello fra sé e il gregge di uomini. Trottavano intorno a lui e dietro di lui si stringevano. Spalla contro spalla. Othello abbassò la testa fino a terra per tre volte. E il rumore si fece ancora più forte.

"Dovrebbero smetterla," si lamentò Mopple in modo poco chiaro, con lo straccio fra i denti. "Fa' che la smettano."

Ma Othello non faceva assolutamente niente. Se ne stava lì fermo e fissava tranquillo il mare di teste umane. Le altre pecore sbirciavano inquiete da tutte le parti. Sul lato posteriore del palco c'era un'altra rampa. Portava in basso, in un angolo dove erano sistemate le altre pecore con i loro pastori. A confronto con quell'inferno lì davanti, laggiù sembrava tranquillo e pacifico, buio e protetto. Volevano andare lì. Ma Othello non aveva per niente l'aria di uno che stia per muoversi. Era in attesa di qualcosa. A poco a poco il rumore si affievolì, quindi si spense del tutto.

Othello si mise sulle zampe posteriori.Il chiasso ricominciò, più forte di prima. Gli uomini rumoreggiavano."Vedete," disse Othello senza voltarsi. "È molto semplice. Quando

facciamo qualcosa, fanno rumore. Quando non facciamo niente, non fanno rumore."

"Allora non dovremmo fare niente," disse Mopple the Whale.

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"Non c'è pericolo," disse Othello, dopo essersi rimesso sulle quattro zampe. "Sono solo spettatori." E con questo si voltò, conducendo il suo piccolo gregge giù per la seconda rampa, nell'angolo dove si trovavano le altre pecore.

Intorno a questo angolo era stato tirato su un recinto basso, e in questo recinto si apriva una piccola porta. Othello la spinse con lo zoccolo anteriore, ci fece passare le sue pecore e la richiuse dietro di sé con il naso. Poi si guardarono intorno. I pastori erano seduti a un tavolo nel mezzo della zona recintata e le fissavano a bocca aperta.

"Avevi ragione," sussurrò Zora a Miss Maple. "Qui le pecore ricevono davvero un mucchio di attenzione."

In compagnia delle altre pecore si sentirono un po' meglio. Othello le portò in un posticino tranquillo, fra un montone grigio grassottello e una pecora madre marrone. Aspettavano di vedere che cosa sarebbe successo.

L'applauso intanto si era trasformato via via in un mormorio eccitato. Rispetto al chiasso di prima, era quasi rilassante. Nel frattempo, uno sconosciuto con gli occhiali si era fatto largo fra la massa di persone che si era spinta curiosa attorno all'angolo recintato delle pecore. Quando i pastori lo notarono, gli si precipitarono incontro.

"È contro il regolamento," gridò uno."Perché nessuno ci ha detto niente? Perché non è scritto nel

programma?""Se ne devono andare immediatamente!""Che senso ha? Ci avete detto che non si può iscrivere più di una pecora.

Avrei potuto portare Peggy e Molly e Sue - allora sì che avreste avuto uno spettacolo come si deve!"

"Quelle non sono neanche iscritte." L'uomo occhialuto fece un sorrisetto imbarazzato. "Per essere sincero, nemmeno io ho idea da dove vengano. E dove sia il loro pastore."

I pastori si guardarono in silenzio."Il loro pastore non verrà," disse uno di loro."Come fa a esserne così sicuro?" chiese l'occhialuto."È morto," disse l'uomo. "Sono le pecore di George Glenn.""Oh." L'occhialuto sembrava irritato."Vanno escluse," gridò un pastore ben piantato con la faccia rossa. "Le

faccia uscire da qui!"Le pecore si spaventarono. Tutto quello spreco di energie per poi venire

cacciate via, poco prima di raggiungere il traguardo?

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"Non è così semplice," disse l'occhialuto. "La sente la gente? I turisti? Sono entusiasti. Se le cacciamo fuori, cosa crede che succederà?"

"Non me ne importa un bel niente," brontolò uno dei pastori. "Le regole sono regole."

"No." L'occhialuto scosse la testa. "Perché dobbiamo togliere il divertimento alla gente?"

"Divertimento?" gridò agitato quello dalla faccia rossa."Le facciamo esibire fuori concorso," disse l'occhialuto per riportare la

calma, "alla fine, quando nessuno ci farà più caso."Di cattivo umore, i pastori tornarono a sedersi al loro tavolo gettando

sguardi ostili alle pecore di George.Mopple, Maple e Zora osservavano a occhi spalancati le cose strane che

stavano capitando intorno a loro. Mani di bambini si sporgevano dal recinto offrendo dolcetti, pane, torte e persino gelato. Ma nemmeno a Mopple venne in mente di toccare quel cibo. Per la prima volta in vita sua non aveva appetito. Forse dipendeva anche dallo straccio che aveva posato accanto a sé sulla paglia, da dove continuava a diffondere il suo odore disgustoso.

Ora la musica si era fatta più forte. Non proveniva più da una piccola radio grigia, ma da una truppa di uomini che erano marciati sul palco e si erano messi all'opera intorno a strani attrezzi. Era una bella musica, che faceva battere più velocemente i loro cuori, come al galoppo. Intanto gli uomini che le guardavano a bocca aperta dal recinto avevano tirato fuori dei piccoli apparecchi e scattavano foto con il flash. Maple sbatté gli occhi. Era la pecora più intelligente di tutta Glennkill, ma in questo momento decise che nessuno avrebbe dovuto scoprirlo.

In cerca d'aiuto, Maple, Zora e Mopple si guardavano attorno osservando le altre pecore. La pecora marrone alla loro destra masticava nervosa un filo di paglia. Maple stava per farle una domanda, quando vide il montone grigio e grassoccio che le stava fissando curioso.

"Certo che non siete particolarmente intelligenti," disse il montone con gli occhi fiammeggianti. "Entrare così, come se niente fosse, come in un pascolo d'estate. Partecipare al concorso in questa maniera. Non la definirei un'idea brillante." Fece loro l'occhiolino.

"Anche le altre partecipano," disse Mopple the Whale."Anche le altre non sono particolarmente intelligenti," disse lo

sconosciuto. I due montoni si guardarono con occhio indagatore. Mopple non aveva mai incontrato prima una pecora più grassa di lui. Il montone

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grigio gli ispirò immediatamente rispetto."Ma anche tu partecipi," disse Miss Maple un po' offesa. In fin dei conti

il concorso per la pecora più intelligente di Glennkill era stato una sua idea. "Allora neanche tu sei particolarmente intelligente."

"Sbagliato," disse il grigio. "Io sono Fosco. Tutte le altre sono qui per la prima volta. Non hanno idea di che cosa le aspetti. Tutte tranne quello pezzato laggiù. Lui partecipa da parecchio tempo, come me. Ma anche lui non ne ha idea. Ogni anno dimentica tutto. Altrimenti sarebbe una follia partecipare una seconda volta."

"Allora anche tu sei folle?" chiese Miss Maple."No," rispose Fosco. "Io sono Fosco. Le altre partecipano. Io vinco."Maple avrebbe voluto chiedere ancora qualcosa, quando a un certo punto

la musica si fermò. L'occhialuto era salito sul palco. "Signore e signori. Finalmente si comincia. Il tradizionale concorso per la pecora più intelligente di Glennkill verrà aperto fra pochi minuti. Una dopo l'altra, le pecore più intelligenti di Glennkill vi presenteranno i loro pezzi di bravura. Chi sarà la vincitrice, lo deciderete voi con le vostre schede. E naturalmente c'è in palio anche un premio. Per voi una settimana di specialità culinarie ovine al Mad Boar. Per le pecore... anche."

Gli uomini rumoreggiarono."Perdonatemi la battuta," continuò l'occhialuto. "Come è ovvio, da noi la

pecora più intelligente di Glennkill non finisce certo sotto il coltello. Alla vincitrice spettano una pinta di Guinness e una corona di trifoglio irlandese. Infine, in una tournée per i pub di Ballyshannon, Bundoran e Ballintra avrà la possibilità di mostrare di che stoffa è fatta."

L'occhialuto non stava mettendo in scena nessun particolare pezzo di bravura. Ma riceveva ugualmente gli applausi.

"Il pastore riceverà un piccolo riconoscimento del valore di 200 euro. Un bell'applauso, per favore. E con questo, dichiaro aperto il concorso per la pecora più intelligente di Glennkill!"

Le persone in sala ubbidirono facendo un chiasso infernale.Othello guardava male l'occhialuto. Zora agitava le orecchie, e Mopple

deglutiva. Il commento sulle specialità ovine aveva lasciato loro un retrogusto sgradevole.

Fosco fece loro l'occhiolino. "Lo dice ogni volta. Guardatemi. Vi sembro una specialità ovina?"

"E ora si comincia," annunciò l'occhialuto. "Un applauso per Jim O'Connor e Smartie."

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"Oh no," ridacchiò Fosco. "Proprio all'inizio lo dovevano mettere quello. Ora state bene attente."

Le pecore allungarono il collo. Il pastore dalla faccia rossa si era alzato e stava facendo salire il pezzato sul palco trascinandolo con una corda. A poco a poco nella sala calò il silenzio.

Il pastore fece un inchino. "Smartie, l'unica pecora al mondo capace di giocare a calcio," disse. E mise per terra davanti a Smartie una palla a macchie bianche e nere.

Fosco si voltò verso le pecore di George. "Si tratta di dare una spintarella alla palla con lo zoccolo. Ve lo dico solo perché dal numero non si capisce."

Smartie annusò la palla coscienziosamente da tutte le angolature. Poi si strofinò la testa su una delle zampe anteriori. Il pastore lo guardava, del tutto certo di vincere. Ora Smartie fece dondolare la zampa anteriore avanti e indietro. Poi fissò di nuovo la palla, come se la vedesse per la prima volta. Si prese tempo. Dal pubblico provenivano fischi isolati. Il pastore via via si fece impaziente. Si diresse verso Smartie e diede lui stesso una spintarella alla palla con il piede. Il calcio gli riuscì un po' troppo forte e la palla rotolò attraverso il palco. Smartie le trotterellò dietro cercando di morderla. Ma in questo modo non faceva altro che spingerla ancora più lontano. E alla fine successe quello che doveva succedere: la palla schizzò giù dal palco, e Smartie le saltò dietro senza un attimo di esitazione, andando a finire nel bel mezzo del tavolo degli spettatori della prima fila. I bicchieri tintinnarono, e gli uomini al tavolo gridarono in segno di protesta.

Le pecore stralunarono gli occhi di fronte a tanta incapacità."Lo vedete?" sbuffò Fosco. "Da anni mette in scena la stessa scemenza.

L'unico del suo gregge a essere più stupido di lui è il pastore."Smartie, l'unica pecora al mondo capace di giocare a calcio, ottenne un

tiepido applauso. Quando si presentò nuovamente sul palco, l'occhialuto sorrise come per scusarsi. "Simon Foster ed Einstein. Il difensore del titolo," annunciò.

"Sono io," disse Fosco. "Pensano che mi chiami Einstein." I suoi occhietti brillavano con un'espressione furba, come se il nome sbagliato fosse una mossa particolarmente astuta da parte sua.

Il pastore di Fosco era alto, robusto e ancora più imponente di lui. Aveva una borsa in mano e l'altra mano in tasca. Entrambi si diressero con tutta calma sul palco. Considerata la sua stazza, Fosco si muoveva in modo

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sorprendentemente agile.Il pastore non disse una sola parola. Tirò fuori dalla borsa una bottiglia

di Guinness e un bicchiere. Poi versò la Guinness nel bicchiere e lo mise per terra davanti a Fosco. Fosco lo sollevò con i denti e lo alzò. Poi piegò indietro la testa e svuotò il bicchiere con sorsi profondi. Applauso. Fosco rimise alla perfezione il bicchiere per terra. Il pastore estrasse una seconda bottiglia dalla borsa. Non aveva ancora tolto la mano dalla tasca dei calzoni. Probabilmente voleva dimostrare questa sua abilità sul palco. Seguì una terza bottiglia. Gli uomini gridavano. Alla quarta bottiglia si erano alzati dalle panche e chiamavano "Einstein, Einstein" in coro. La quinta bottiglia la prese il pastore - sempre con una mano sola. Poi tolse l'altra mano dalla tasca dei pantaloni e con entrambe le mani salutò il pubblico. La pecora e il pastore ritornarono all'angolo sotto un applauso scrosciante. Gli altri pastori li guardavano invidiosi. Fosco venne legato accanto alle pecore di George, e il pastore si rimise a sedere.

"E tu vinci in questo modo?" chiese Miss Maple. "Sbronzandoti?""No," rispose Fosco. "Sbronzandomi di Guinness. Da un bicchiere. Lo

fanno anche loro. Sono convinti che sia la cosa più intelligente che si possa fare. È in questo modo che vinco. Ogni volta."

"Ma non è difficile," disse Zora.Fosco rimase impassibile. "Questo non fa altro che dimostrare la mia

intelligenza. Perché dovrei mettermi a fare qualcosa di difficile, quando funziona anche con le cose facili?"

"E perché vuoi vincere?" chiese Mopple, che nel frattempo si era convinto che da Fosco si potevano imparare davvero un sacco di cose.

"Per la Guinness, naturalmente," rispose Fosco. "Avete sentito che si può vincere una Guinness? E poi ci si esibisce negli altri pub sempre con lo stesso pezzo di bravura. E per fare questo ti danno altra Guinness. E prima ci sono le settimane di allenamento." Gli occhi gli brillavano.

Subito dopo toccò a Jeremy Tipp e a Wild Rose, ma Fosco scosse la testa. "Non ne vale la pena," disse. "Questa volta i pezzi migliori erano all'inizio. Quello che viene adesso, ve lo potete anche scordare. La cosa più saggia sarebbe non guardarlo nemmeno."

Ma le pecore lo guardarono. Wild Rose correva in circolo, e quando il pastore fischiava cambiava direzione. Un'altra pecora saltava sgraziata sopra ostacoli bassi. Un montone particolarmente impacciato oscillava la testa ogni volta che il suo pastore gli faceva un segno. A un altro segno belava. Il suo pastore gli parlava senza sosta. A sorpresa questo numero

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riscosse un discreto successo. Applausi, anche se molti meno che per Fosco.

Il più triste, comunque, fu il numero della pecora madre marrone. Non aveva neanche un nome. Per la paura sul palco perse l'orientamento e non riuscì più a correre in mezzo al breve percorso a ostacoli che il suo pastore aveva costruito. Confusa, si bloccò in mezzo al palco. Il pastore la colpì con un bastone e per il panico lei sfrecciò attraverso tutto il palco precipitando giù dall'altra parte. E a questo punto un paio di persone applaudirono anche.

Fosco taceva livido.L'occhialuto ritornò ancora una volta sul palco. "E ora, signore e signori,

i nostri ospiti a sorpresa. Peggy, Polly, Sansone e il Satana nero.""Si è inventato dei nomi falsi per noi," belò Zora indignata.Anche Othello sbuffò irritato. "Assomiglio forse a un asino?""Non importa," disse Miss Maple. "Ora tocca a noi! Fate semplicemente

tutto quello che abbiamo stabilito e ricordatevi sempre quello che Melmoth ci ha insegnato."

E in men che non si dica le pecore di George stavano trotterellando sul palco, sotto la luce accecante, per ottenere finalmente giustizia.

Le persone in sala le guardavano impazienti. Il brusio si trasformò lentamente in un mormorio smorzato, simile al ronzio degli insetti, quasi familiare. Alla fine il silenzio era tale che le pecore tornarono a sentire il proprio respiro. Una sensazione tranquillizzante.

Poi - tutto d'un tratto - un forte schianto. Una sedia era caduta. Poco dopo sbatté una porta. La gente si voltò sorpresa.

"Cosa è stato?" si mormorò in sala."Padre William!" rispose qualcuno. "Non ho idea di che cosa gli sia

successo! Scappare via così, come se lo stesse inseguendo il diavolo!"

Nel frattempo, fra le corna di Othello si era intrufolata di soppiatto una sensazione spiacevole. Erano forse gli spettatori? Avvertiva i loro occhi come zecche nel manto; proprio come quando Lucifer Smithley lo aveva trascinato per la prima volta in pista. Othello era in attesa della voce. Avrebbe detto qualcosa di tranquillizzante o di provocatorio, oppure qualcosa che lo facesse riflettere. In ogni caso, la voce avrebbe scacciato il disagio.

Ma Othello non sentì niente. Origliò il proprio corno destro anteriore. Quello sinistro anteriore. Quello sinistro posteriore e infine quello destro

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posteriore. Niente. Niente di niente. Silenzio. Othello si bloccò per la sorpresa. La voce era scomparsa. Per la prima volta da tanto tempo era solo. Un brivido percorse il manto di Othello. Da qualche parte, fra gli spettatori, il panico gli faceva la posta. Ma proprio quando stava per saltargli addosso, Othello sentì da dietro una spinta delicata. Era il naso vellutato di Zora che lo spingeva ad andare avanti. Othello si riprese. Aveva sconfitto il cane. Molti cani. Era il montone capo. E oggi, in questo giorno particolare, era la morte.

"Qualche volta stare da soli è un vantaggio," pensò Othello, e mise deciso sul palco i suoi zoccoli neri.

Zora era sollevata. Dopo un momento di esitazione, Othello si era rimesso in movimento. La lunga attesa l'aveva resa pensierosa, e oggi, sul palco del concorso per la pecora più intelligente di Glennkill, in via del tutto eccezionale Zora voleva pensare il meno possibile. Ma era troppo tardi. Zora pensò a quello che aveva detto l'uomo con gli occhiali. Specialità ovine. Pensò al montone sconosciuto. Perché tutta la carne era come erba. La pascolavano come l'erba. Per questo avevano riso. Per questo c'era il macellaio. Zora vide da tutti i volti che volevano vincere delle specialità ovine. Un abisso che era sempre stato lì, dritto davanti a lei, e che lei finora non conosceva. I gabbiani tacevano. Per la prima volta nella sua vita Zora ebbe le vertigini.

Confusa, sbirciò in tutte le direzioni. Poi, all'improvviso, a pochi passi da lei si alzò una piccola pecora nuvola, perfetta. Era uscita dalla pipa di un uomo giovane in seconda fila. Zora chiaramente sapeva che non si trattava davvero di una pecora nuvola. Ma quella nuvola le ricordò per quale motivo esistesse l'abisso: l'abisso c'era per essere superato. Con passo sicuro si arrampicò sulla tribuna dietro a Othello. Oggi Zora era il pastore.

Di buonumore ma tesa fino alla punta dell'ultimo pelo, Miss Maple trotterellò dietro a Zora e a Othello. Era giunta l'ora di mettere in atto il suo piano. Avrebbe funzionato? Gli uomini avrebbero capito che cosa le pecore volevano dire? Le pecore lo avevano capito - tutte, l'intero gregge. Alcune, durante le prove, per lo spavento si erano addirittura ritirate al galoppo sulla collina, tanto la scena che Miss Maple aveva pensato insieme a loro era sembrata terribile e vera. Maple pensò ottimista che gli uomini, nelle loro giornate buone, in fondo non sono tanto più stupidi delle pecore. Per lo meno non più stupidi delle pecore stupide. Ma ci avrebbero creduto? E che cosa sarebbe successo? Miss Maple era molto nervosa, dal

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momento che aveva intenzione di sapere quale aspetto potesse avere la giustizia. Curiosa, mise piede sulle assi di legno e fissò senza paura gli spettatori giù in basso. Miss Maple era il lupo.

Mopple the Whale, con il fiato un po' corto, trotterellava dietro le altre, lo straccio fra i denti. Quell'odore disgustoso era responsabile del fatto che Mopple non riuscisse a prendere fiato se non con respiri brevi e precipitosi. A parte questo, però, Mopple si sentiva sorprendentemente bene. Sapeva che cosa fare. Si era memorizzato tutto. E Mopple aveva un ruolo importante. Persino le pecore più dure di comprendonio durante la sua scena avevano capito chi Mopple stesse interpretando. Chi era l'assassino. Con le corna alzate e sicure di sé e con gli zoccoli cauti, Mopple salì sul palco - e si immobilizzò.

Perché lì davanti, in prima fila, a pochi passi soltanto di distanza da lui, le mani nervose attorno al bracciolo della sedia a rotelle, se ne stava seduto il macellaio.

22Mopple è importante

Tom O'Malley se ne stava lì a osservare la sua Guinness. Gli ultimi giorni non erano stati davvero niente male. La gente parlava volentieri con lui. Perché aveva qualcosa da raccontare. Che differenza, quando la gente parla volentieri con te.

Quei colori meravigliosi. Se qualcuno gli avesse chiesto che cosa era che amava di più nella Guinness, per prima cosa gli sarebbero venuti in mente i colori. Nero, che spesso poteva essere anche rosso scuro o marrone. Tom una volta aveva visto un cavallo di quel marrone. Marrone Guinness. E sopra quel bianco cremoso, come panna dolce. Irresistibile. Nonostante negli ultimi giorni non ne avesse poi fatto tutto quell'uso. All'improvviso tutti volevano qualcosa da lui. Anche se non era molto quello che si ricordava. Solo qualcosa di morbido sul piede e un grosso spavento.

Strano che soltanto ora, quando ormai erano rimasti in pochi quelli che glielo chiedevano, avesse ricominciato a ricordare. Ci aveva messo tutto quel tempo a capire che la vanga veramente gli passava attraverso. Attraverso! Non c'era da stupirsi che ora fosse di nuovo seduto lì, al Mad Boar, a scolarsene una.

"Per lo meno non ho visto gli occhi," pensò. "Se non vedi gli occhi, te la

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puoi cavare."Mopple si ritrovò a fissare negli occhi il macellaio per la terza volta in

vita sua da una distanza così ravvicinata. E il macellaio, di contro, lo puntava con aria minacciosa. Senza vetro, senza nebbia - solo un po' di fumo. Tre volte erano decisamente troppe. Mopple fece inversione di marcia e trottò verso la rampa. Va bene la giustizia, ma il macellaio era pur sempre il macellaio.

Othello sbarrò la strada a Mopple."Il macellaio," ansimò Mopple. "Ci uccide tutte. Me per primo!"Othello scosse la testa."Anche lui è uno spettatore. Gli spettatori non fanno niente. Mai!"Mopple sbirciò gli uomini inquieto. Ma Othello sembrava aver ragione.

Il macellaio non si muoveva. Solo le sue manone si aprivano e si chiudevano intorno ai braccioli della sedia a rotelle. Con il cuore che gli palpitava, Mopple tornò ai bordi del palco, dove Maple e Othello aspettavano di fare la loro entrata in scena, mentre Zora era già trotterellata al centro del palco.

Per prima cosa doveva far capire agli uomini di che cosa si trattasse: di George. Zora iniziò con la caratteristica più caratteristica di George. Si sdraiò di lato e tenne le zampe rigide.

Un paio di persone applaudirono.Ma di spaventato non c'era nessuno.Miss Maple scosse la testa in maniera impercettibile. Non avevano

ancora capito. Zora si alzò e ci provò di nuovo, questa volta con una scena di morte molto più spettacolare.

Mentre Zora lentamente piegava le zampe anteriori belando in modo drammatico, Mopple squadrava curioso gli uomini. E dunque erano questi gli spettatori. In effetti non facevano assolutamente niente. E quello che accadeva sui tavoli non era privo di interesse. C'era una gran quantità di Guinness nei bicchieri, cibo dentro a piccole scodelle e strane ciotole per la cenere. Con occhio esperto Mopple passò in rassegna il cibo degli uomini. La maggior parte delle cose aveva un odore sgradevole, ma là, nel bel mezzo del primo tavolo, un filo di odore dolce e promettente si alzava attraverso il fumo. Mopple guardò Zora, che ora giaceva di lato muovendo di scatto le zampe. C'era ancora molto prima della sua entrata in scena.

Con cautela Mopple fece un passo in direzione della rampa. Eccoli, gli spettatori. Se persino il macellaio non faceva niente - allora anche tutti gli altri dovevano essere innocui! Mentre tutta l'attenzione era rivolta a Zora,

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che proprio in quel momento stava emettendo i suoi ultimi respiri, Mopple appoggiò lo straccio sul bordo del palco e sgattaiolò giù dalla rampa, diretto verso il tavolo da cui proveniva quel buon odore.

Lassù, sul palcoscenico, nel frattempo Zora si era rimessa in piedi. Questa volta dovevano senz'altro averlo capito. Ora toccava all'omicidio.

Zora attraversò impettita il pascolo con l'espressione "Al lavoro, pigrone" negli occhi. Poi drizzò le orecchie: un'idea. George lasciò i gradini del capanno per fare visita a Beth. Maple si trovava sull'altro lato della piattaforma, tranquilla come un lupo, e aspettava.

I due si salutarono. Maple fece un'espressione fintamente cordiale. Diede una spintarella a Zora con il naso: Beth voleva spingere George a fare qualcosa. Ma George non voleva. Scuoteva la testa impaziente. Gli occhi di Zora luccicavano divertiti, come avevano spesso fatto quelli di George. Allora a Beth venne un'idea. Maple belò amichevolmente per invitare Zora a bere qualcosa di fresco. Ingenuamente Zora intinse il naso in una pozza invisibile e infestata e bevve a volontà.

Poi fissò gli spettatori in modo furtivo. Gli uomini stavano lì seduti con espressione indifferente, e solo di Ham si riusciva a vedere che era davvero agitato. Avevano intuito il piano di Beth? Nel loro gregge a questo punto della scena c'erano stati dei belati: "George, non farlo!" Ma era troppo tardi. George aveva già bevuto l'acqua avvelenata. Per la terza volta in quella giornata Zora morì di una morte estremamente drammatica.

Eccolo. Un pezzetto di torta con infilata dentro una forchetta. Mopple aveva esperienza di torte, ma non di forchette. Esitò.

Fu questo l'errore. L'uomo dall'altro lato della torta lo aveva notato."Hey," gridò. "Gscsch, gscsch!" Poi, all'improvviso, fece un movimento

con la mano che normalmente avrebbe spaventato Mopple."Sei uno spettatore," pensò Mopple the Whale allungando il collo.L'uomo con un movimento sorprendentemente agile portò via a Mopple

il pezzo di torta e lo tenne in alto, sopra la testa, dove Mopple non lo poteva raggiungere.

Nello stesso momento, sul palco, le zampe di Zora si agitarono in aria per l'ultima volta - poi rimase sdraiata in silenzio.

E proprio in quel momento, per la prima volta dopo parecchio tempo, Tom O'Malley sollevò gli occhi dalla sua Guinness. Vide sul palco una forma allungata, nella quale era infilato un attrezzo di metallo, poi, dietro,

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vide una pecora - morta? - non era quella con la testa nera che se ne stava sempre sulla scogliera? - e di fianco un montone nero con quattro corna - le pecore di George - il suo piede picchiò contro qualcosa di morbido...

"George!" ululò Tom. Sotto il tavolo ululava Cuchulainn, il vecchio cane da pastore di Josh, che Tom aveva calpestato per sbaglio.

Il nome di George galleggiava ancora nell'aria, mentre gli altri rumori si erano a poco a poco zittiti. Qualcosa cambiò nell'atmosfera della sala. Era come se un vento freddo fosse soffiato nel Mad Boar e avesse spento un paio di luci.

"Siediti, Tom," disse Josh nel silenzio. Aveva un suono severo. "Sei ubriaco. Rimettiti a sedere."

Ma Tom non pensava minimamente di sedersi. Indicò il palco."Le - pecore! È... Ci vogliono dire qualcosa dell'omicidio!""Non è divertente," brontolò una seconda voce."Siediti," ripeté Josh.Tom si guardò in giro nella sala con la faccia pallida e il naso rosso."Rimettiti a sedere," disse la voce severa di Josh per la terza volta. "Sei

ubriaco."Era vero. Tom era ubriaco. Ricadde con un tonfo sulla sua panca e diede

dei buffetti a Cuchulainn per consolarlo. Di nuovo ubriaco. La sala intorno a lui si annebbiò. Mentre solo un secondo prima era stato tutto così chiaro. Le pecore... voleva dire qualcosa. Ma probabilmente voleva solo dire che era ubriaco. Un'altra volta. Senza speranza. Sul palco era apparsa la morte stessa sotto forma di montone nero. In effetti l'entrata in scena di Othello non era necessaria. Nessuno che avesse visto morire Zora poteva mettere in dubbio che non fosse davvero morta. Ma Mopple, Maple e Zora avevano insistito perché Othello andasse con loro al Mad Boar. Othello conosceva il mondo e lo zoo. Senza di lui non avrebbero avuto il coraggio di andarci.

Adesso Othello e Beth stavano facendo la posta al cadavere, entrambi avidi della piccola anima dell'uomo. A un certo punto Beth non ebbe più intenzione di aspettare. Miss Maple fece rotolare Zora nuovamente al pascolo, dall'altro lato del palco. Era l'unico passaggio della loro messa in scena che non sembrasse perfettamente veritiero. Perché Beth potesse spostare il cadavere, Zora stessa doveva aiutarla energicamente con le zampe (in questo punto della rappresentazione, durante le prove, erano state interrotte da grida eccitate - "È vivo! È vivo!").

Ma quando le pecore si apprestarono al gran finale, George Glenn era

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già morto. Arrivata al pascolo, Zora rimase immobile sulla schiena. Maple, in mancanza di una vanga, le piantò una zampa anteriore in petto. Era un effetto mozzafiato, che a Zora aveva provocato alcuni lividi blu nel corso delle prove. Intanto la morte, sotto forma di montone nero, continuava ad aggirarsi intorno al cadavere con gli occhi che le brillavano in modo demoniaco.

Giù fra gli spettatori Mopple the Whale lasciò perdere la torta e ritornò sul palco. All'improvviso era contento di non averla mangiata. Aveva una strana sensazione allo stomaco, moscio e piatto. Mopple era importante. Ora veniva la terza parte della loro rappresentazione, la più difficile: "Beth". Coscienzioso, Mopple riprese fra i denti lo straccio puzzolente e si mise direttamente al fianco di Miss Maple, appena in tempo.

Avevano riflettuto a lungo su come fare a rappresentare l'omicida nel modo più calzante possibile. Alla fine Mopple the Whale aveva avuto l'idea dell'odore. Naturalmente c'erano state delle discussioni, soprattutto fra Mopple e Maude, a proposito della grandezza dell'anima, delle cose e del senso dell'odorato degli uomini. Ma Mopple si era imposto. "Anche gli uomini hanno un naso," aveva detto. "Grosso e nel mezzo della faccia. Qualcosa devono pur riuscire a odorare. E Beth - non c'è nessuno che possa non sentirlo! Quanto meno nessuno che abbia un naso!"

Allora si erano messe al lavoro. Sullo straccio nella rimessa degli attrezzi Maude aveva scoperto un odore molto debole, acidulo, non dissimile da quello di Beth. Per rafforzare l'odore, avevano sotterrato lo straccio per una notte nella terra putrida, e il giorno successivo lo avevano coperto di lapazio acido masticato (Sir Ritchfield, in quanto montone capo anziano, si era assunto il difficile compito di masticare il lapazio) e ci avevano avvolto dentro un toporagno scoperto da Heide e morto da poco. Il risultato era strabiliante. Certo non aveva esattamente lo stesso odore di Beth, ma la somiglianza bastò alle pecore per identificarla in modo inequivocabile. Per gli uomini, con il loro organo dell'odorato così privo di sfumature, era di certo sufficiente.

Mopple scosse in modo drammatico lo straccio e per la sala si sparsero nuvole di odore di omicidio intenso e ributtante. Era questa la parte più difficile. Avevano l'odore e avevano la cosa. Era una catena con un pendaglio luccicante, simile a quella che portava Beth. Per ottenere un effetto maggiore, avrebbero dovuto appendere la cosa al collo di Miss Maple. Ci avevano provato, ma ogni volta la cosa scompariva all'istante

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nella lana folta di Maple e non la si riconosceva più. A quel punto Miss Maple prese fra i denti la cosa, che fino a quel momento aveva tenuto nascosta in bocca, e si spostò ai bordi del palco. Mopple le stava dietro con i suoi brandelli di odore.

Giù in mezzo il pubblico si mosse qualcosa. Un'imprecazione sussurrata. Qualcosa che sferragliava. Un bicchiere rotolò per terra.

Il macellaio si precipitò su per la rampa. Le ruote della sua sedia a rotelle brillavano alla luce dei riflettori.

Una volta arrivato sul palco, per un attimo indugiò. I suoi occhi vagavano avanti e indietro fra Mopple e la cosa in bocca a Maple. Poi si precipitò su Mopple the Whale. Mopple non perse nemmeno un secondo. Fece marcia indietro e galoppò giù dalla rampa anteriore, lo straccio sempre fra i denti. Il macellaio gli stava alle calcagna. Era sorprendente quanto velocemente riuscisse a muoversi con la sua sedia scivolante. Le altre pecore osservarono dalla piattaforma il macellaio che cacciava Mopple per tutta la sala, giù per un passaggio, su per un altro.

Nessuna pecora era in grado di dire se fosse pura disperazione o una trovata geniale quella che alla fine spinse Mopple a piegare in una viuzza stretta tra due file di tavoli. Come previsto, il macellaio gli si precipitò dietro. Ora, Mopple the Whale era certo una pecora bene in carne, ma significativamente più magra del macellaio con la sua sedia. Mentre Mopple si precipitava indisturbato per la viuzza, il macellaio rimase incastrato dopo poche lunghezze di pecora. A quel punto le pecore si prepararono a una serie di imprecazioni che avrebbero sentito fino nel midollo, ma Ham, stupito, si limitò a seguire con gli occhi Mopple e a rimettersi le mani in grembo senza dire una parola.

Mopple the Whale, allora, fece ritorno con le ginocchia tremanti al palco, dove, in mezzo alle altre pecore, si sentiva più al sicuro. Ma durante la fuga aveva perso lo straccio da qualche parte.

Mopple guardò male Othello."Spettatori," sibilò. "Non fanno niente!"Othello fece un'espressione imbarazzata.

Poi si guardarono in silenzio, gli uomini di Glennkill e le 350 pecore di George Glenn. Nessuno applaudì. Mopple, che lentamente cominciava a riguadagnare coraggio, era un po' deluso. In segreto aveva sperato in un applauso. Forse addirittura in qualcosa di più. Durante la rappresentazione,

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sotto gli sguardi curiosi degli uomini, aveva infatti cominciato a riflettere sul sapore della Guinness.

Le pecore strizzarono gli occhi a causa del fumo. Il silenzio iniziò a far venire loro i brividi. Zora sbirciava inquieta in ogni direzione. Il fumo riempiva la sala come una nebbia particolarmente infida. E da qualche parte in quella nebbia un animale feroce si preparava a balzare fuori.

Tuttavia non balzò fuori nessun animale feroce. A poco a poco il silenzio si sgretolò. Per prime si sentirono delle voci provenienti dalle ultime file, dove stavano seduti i turisti. Domande e risate lievi. Qualcuno si alzò e spinse Ham di nuovo al suo posto. Ben presto la sala tornò a ronzare come un alveare. Il momento dell'attenzione per le pecore era passato e la giustizia non era venuta fuori da nessuna parte.

L'occhialuto, che aveva chiamato Othello "Satana", si presentò ancora una volta sul palco. Le pecore fuggirono per la rampa posteriore. E lì si raggrupparono per osservare se fosse successo ancora qualcosa di decisivo.

"Un applauso per Peggy, Polly, Sansone e il Satana nero, che oggi ci hanno dimostrato che anche le pecore capiscono qualcosa di teatro contemporaneo," disse l'occhialuto.

L'applauso fu a dir poco tiepido, ma le pecore avevano come la sensazione che fosse diretto principalmente all'occhialuto, e non a loro.

"Gentili signore e signori. Avete visto con i vostri occhi le pecore più dotate e ingegnose di Glennkill recitare per ottenere il vostro gradimento. Ora tocca a voi..."

Dietro, all'altro capo della sala, qualcosa si mosse. Beth stava percorrendo con lentezza il corridoio principale. In mano teneva amorevolmente, come una pecora madre, lo straccio che Mopple aveva perso. Beth lo aveva aperto, e persino attraverso lo sporco le pecore riuscivano ora a distinguere due segni rossi sul fondo bianco.

Beth intanto procedeva imperterrita verso il palco, come se stesse seguendo una traccia nascosta. Camminava così tranquilla e diritta che era una gioia guardarla. Davanti al palco si fermò.

L'occhialuto la fissava irritato."Mi scusi," disse Beth. "Vorrei dire una cosa.""Proprio adesso?" le sibilò l'occhialuto."Sì," rispose Beth.L'occhialuto si strinse nelle spalle."Signore e signori," disse di nuovo a voce alta, "interrompiamo questa

trasmissione per un annuncio dell'associazione caritativa."

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La sua mano fece un gesto come d'invito, ma Beth non salì sul palco. Si limitò a sedersi sul bordo lisciando la gonna e lo straccio con le dita.

"George," disse, "vi voglio raccontare qualcosa che riguarda George."

Da quel momento in poi nella sala non si sentì volare una mosca. Il trucco dell'attenzione, che non era riuscito né all'occhialuto né alle pecore, riuscì senza fatica a Beth. E non stava nemmeno mettendo in scena un pezzo di bravura, stava semplicemente lì, seduta tranquillamente sul bordo del palco, e parlava. Di tanto in tanto faceva ciondolare le gambe, e qualche volta le sue dita accarezzavano delicatamente lo straccio.

A quanto pareva, lo straccio era un elemento importante, nonostante la puzza. All'inizio Beth non disse una sola parola a proposito di George, limitandosi a parlare dello straccio.

"Questo gliel'ho regalato io," disse. "Così tanto tempo fa. Un'eternità. Era così leggero. Una notte intera l'ho ricamato. Sapevo già dall'inizio come doveva essere. E al mattino mi sembrava di poter volare, fare qualsiasi cosa, dire qualsiasi cosa. Era..." Beth esitò per un attimo, forse per riprendere la voce, che si era fatta sempre più flebile e ora correva il pericolo di dissolversi del tutto. "Bene."

Alcune persone cominciarono a mormorare."E poi è venuto il momento e io non ho detto niente, gli ho solo messo il

fazzoletto in mano senza dire una parola. Lui mi ha guardata un po' senza capire e io non riuscivo a fare niente, a dire niente. Mai più. Poco fa ho realizzato, quando l'ho rivisto, che è stata questa la colpa della mia vita - non l'altra."

Le pecore poterono vedere un brivido correre lungo la schiena di Beth, giù fino alle gambe. La luce dei riflettori intorno a lei all'improvviso sembrava diventata fredda.

"Due domeniche fa, di sera tardi, qualcuno ha bussato alla mia porta. Ero ancora sveglia, ho aperto, e davanti a me ho trovato George. Ho iniziato a raccontare qualcosa della Buona Novella, come ogni volta che ci vedevamo. Ho sempre parlato della Buona Novella."

Beth scosse tristemente la testa."Ma questa volta è stato diverso. 'Beth,' ha detto lui molto dolcemente.

'Smettila. È importante.' Le ginocchia mi sono diventate molli, perché lo ha detto in un modo così lieve. Perciò ho smesso, e lui è entrato in casa. È stato quasi come me lo ero immaginato allora. Ma naturalmente lui pensava a qualcosa di completamente diverso.

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'Vorrei salutarti,' ha detto.'Certo,' ho detto e ho sorriso coraggiosa. Mi sembrava di essere

coraggiosa, ma ora so che sono stata codarda.'Certo. L'Europa chiama.''No,' ha detto. 'Non l'Europa.'Ho capito subito. È stato quasi bello averlo capito subito. Ma

ovviamente ero scioccata. E poi mi ha detto perché era venuto da me. Non so più che cosa sia successo dopo. Solo che l'ho implorato di lasciar perdere. Ma è stato testardo. È sempre stato testardo."

Le dita sottili di Beth seguivano le linee del fazzoletto sporco."'Eri così felice di andare in Europa,' ho detto. 'Sì,' ha detto. 'Lo sono

ancora, in un certo senso. Ma ho paura, Beth. Non posso. È così tardi ormai.'"

Beth ora tremava a tal punto che le sue dita non riuscivano più a seguire le linee del fazzoletto. Le mani si stringevano l'una sull'altra in cerca di aiuto, si accarezzavano, come se cercassero di tranquillizzarsi reciprocamente.

"Non sono riuscita a fargli coraggio. E poi l'ho addirittura aiutato, esattamente come mi aveva chiesto. Se penso che altrimenti non lo avrebbero sepolto..."

La voce di Beth si era persa in un bosco e per un istante si bloccò, tremante.

"Sarei andata con lui. Ma non ha voluto. 'Fra un'ora, al pascolo,' ha detto. 'Allora sarò pronto.' E io ci sono andata, con la pioggia battente. Era già morto. Se non lo faccio per lui, ho pensato - per chi lo faccio?"

Beth sorrideva con gli occhi umidi, e le pecore ne furono sorprese. Ma poi il sorriso si disperse come pioggia nella sabbia.

"Oh," sospirò, "è stato un inferno. E i giorni successivi... Era tutto sbagliato, un peccato del genere, ma, ma..."

"Ma perché?" chiese una voce roca dalla prima fila - quasi un sussurro, ma chiara nel silenzio pieno di tensione.

Per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, Beth alzò lo sguardo.

"Perché... così?" gracchiò Ham ancora più piano.Beth lo guardò irritata. "Non lo so perché. Ma doveva essere

assolutamente la vanga. 'Li farà riflettere,' ha detto. Non ho potuto fargli cambiare idea. È stato terribile."

Ham scosse la testa. "Non la vanga - George."

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"È così difficile da capire?" chiese Beth. All'improvviso sembrava irata e vulnerabile - come una giovane pecora madre che difenda il suo primo agnello. "Quella volta, quando gli ho dato il fazzoletto, mi sentivo anch'io allo stesso modo. Qualche volta la speranza è talmente grande che si riesce a stento a reggerla. Talmente grande, che la paura è ancora più grande. Aveva aspettato troppo ad andare in Europa. Forse... forse non aveva più il coraggio di provarci."

"Ma..."Beth non lo lasciò parlare. "È così sorprendente? Sono stata l'unica qui

che ha notato quanto fosse solo, sempre solo, solo lui e le sue pecore? Naturalmente mi prendeva sempre in giro, ma io ho notato che passo dopo passo si allontanava da tutto, andandosene sempre più verso qualcosa di nero."

Le pecore guardarono Othello disorientate. Il montone capo ebbe un'espressione perplessa.

Beth sospirò."Da quanto durava! Sette anni fa, quando sono tornata dall'Africa, la

situazione è peggiorata irrimediabilmente. Non so che cosa sia successo allora, e non lo voglio neanche sapere. Ma da quel momento non andava più d'accordo con nessuno, nemmeno con Dio. All'inizio ho pensato che forse aveva a che fare con me, con la mia assenza, ma era - vanità. Cosa non gli ho detto! Ma non mi ascoltava per niente. E l'unica cosa che volevo dirgli da sempre, quella non gliel'ho mai detta. Ma ora è facile."

Suonava come se Beth e George avessero parlato della morte di George. Ma come faceva George a sapere che sarebbe morto? E perché non era scappato?

Quello che Beth diceva non aveva senso. Era una strana sensazione per le pecore: comprendevano le parole - erano parole facili, parole come "vita" e "speranza" e "solo", ma quello che Beth voleva dire con queste parole non lo capivano.

A un certo punto le pecore ci rinunciarono. Era faticoso concentrarsi sulle parole, se non se ne capiva il senso. Dopo un po' la voce di Beth per loro non fu nient'altro che una melodia leggera e triste.

Tornarono indietro al buio, nell'angolo delle altre pecore."Ma chi è l'assassino di George?" chiese Mopple alla fine.Nessuna rispose.Poi le pecore sentirono sbuffare. Fosco era dietro di loro. I suoi occhi

brillavano quasi troppo chiari, e il suo respiro aveva uno strano odore.

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"George," disse Fosco.Nessuna delle pecore reagì alla strana eco.Poi Zora chiese molto lentamente e con cautela: "George è l'assassino di

George?""Proprio così," disse Fosco."Ma George è morto," disse Zora. "George è stato ucciso.""Giusto," disse Fosco."George si è ucciso?""Giusto," rispose Fosco di nuovo, e d'un tratto sembrò molto imponente

e grigio."Beth mente," belò Mopple, che aveva portato il fazzoletto puzzolente

per tutta quella strada fino al Mad Boar per chiarire l'omicidio del suo pastore. "Solo che non vuole ammettere di averlo fatto lei."

Tuttavia le pecore riuscivano a odorare che Beth la misericordiosa non mentiva. Per niente.

"Non è pazzesco?" chiese Zora."No," rispose Fosco. "È un suicidio."Suicidio. Una parola nuova, che George non avrebbe più potuto

spiegare."Qualche volta lo fanno - gli uomini," disse Fosco."Guardano il mondo e decidono di non voler più vivere.""Ma," belò Mopple, "vivere e volere - è la stessa cosa.""No," disse Fosco. "Tra gli uomini qualche volta è diverso.""Non è una cosa particolarmente intelligente," disse Mopple."No?" chiese Fosco. Nei suoi occhi c'era un luccichio, come di mille

lucciole tremolanti. "Come fai a saperlo? Io partecipo alla gara da alcuni anni. E se c'è qualcosa che ho imparato, è che non è facile dire che cosa è intelligente e che cosa non lo è."

Nessuno lo contraddisse. Le pecore tacquero per un po' cercando di assimilare quello che avevano sentito da Fosco. Dietro, nella sala, Beth aveva smesso di parlare e gli uomini belavano turbati e confusi.

Zora sollevò la testa."E il lupo?""Il lupo è dentro," disse Fosco."È come un abisso?" chiese Zora. "Un abisso dentro?""Hmmm, sì, come un abisso," confermò Fosco.Zora ci pensò sopra. Cadere in un abisso - questo lo riusciva a

immaginare. Ma cadere verso l'interno?

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Scosse la testa. "Non è una cosa da pecore," disse."No," disse Fosco. "Non è assolutamente una cosa da pecore."Miss Maple era rimasta in silenzio a lungo, la testa piegata di lato, a

riflettere. Ora agitava le orecchie incredula."È venuto fuori," disse alla fine. "Andiamo a casa."Le pecore si congedarono da Fosco, che riusciva a capire cose oscure e

che a ragione anno dopo anno veniva incoronato come la pecora più intelligente di Glennkill. Trotterellarono verso l'uscita posteriore, che Fosco aveva indicato loro. Prima Othello, poi Zora, quindi Maple e infine Mopple the Whale.

Ma proprio mentre Mopple stava per sgusciare fuori all'aperto dietro a Maple, tutto sollevato, una mano carnosa si posò sulla porta e la chiuse con gentilezza davanti al suo naso.

Mopple era prigioniero nel pub puzzolente. Si bloccò.Accanto a lui se ne stava seduto il macellaio, con la faccia pallida e gli

occhi sottili e semichiusi. Le ruote della sedia a rotelle puzzavano di gomma. Mopple sbirciò disperato da tutte le parti. Questa volta non c'era via d'uscita.

Per la paura Mopple si sedette sul terreno pietroso e freddo. Era in trappola.

"Tu," disse il macellaio a voce pericolosamente bassa. "Tu...?"Mopple the Whale tremava come erba al vento. Tutta la carne era come

erba.La mano di Ham fece un gesto impacciato nell'aria. Mopple indietreggiò

sussultando. Per un attimo temette che la mano si staccasse dal braccio del macellaio e gli saltasse addosso.

Ma il macellaio si limitò a fargli un cenno con la testa, in modo quasi rispettoso. "Ora capisco," disse. "Ora capisco di essermelo meritato. Avrei dovuto notare quanto stesse male. Non aveva altro amico - e nemmeno io."

Mopple lo fissava con gli occhi sbarrati. La manona del macellaio si era stretta a pugno davanti al suo naso.

"Ma non l'ho fatto," disse il macellaio. "Ho guardato dall'altra parte. Indifferenza. Una cosa così George l'ha presa sul serio."

La manona del macellaio tremò un po', poi si ritirò cauta. A Mopple girava la testa.

Improvvisamente la porta davanti a lui era di nuovo aperta.Il macellaio non diceva più niente, ma osservava Mopple con gli occhi

che gli brillavano. Le sue mani, morbide e immobili, erano posate sulle

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cosce.Ci volle un po' prima che Mopple riuscisse a comprendere che cosa

stava aspettando il macellaio.Poi si ritrovò all'aperto un po' intontito. Fuori si era fatto buio. Nelle sue

narici penetrò l'aria notturna, densa e vellutata, incredibilmente dolce e chiara.

L'ispettore Holmes assisteva incredulo, mentre sul palco del concorso per la pecora più intelligente di Glennkill il caso si stava risolvendo senza il suo intervento. Dunque si era trattato di un suicidio. E la faccenda della vanga era opera della donna dai capelli grigi. Non ci sarebbe mai arrivato da solo. Ma a posteriori non gli sembrava una cosa improbabile. Un vecchio solo, strampalato, un matrimonio fallito, la figlia lontana. Tuttavia a capirlo non ci sarebbe mai riuscito.

Vicino a lui, il sommesso rumore di una gola che si schiarisce lo strappò dai suoi pensieri.

Accanto a Holmes era comparso un uomo vestito di scuro. Discreto. Questa era la parola giusta. Un tipo che dopo cinque minuti non si saprebbe più descrivere con precisione.

"Il mio border collie si chiama Murph," disse l'uomo."Ah," fece Holmes, "Quasi ci avrei giurato. Che cosa vuole ancora da

me? L'ho lasciata in pace, come d'accordo.""Su questo non c'è alcun dubbio. Siamo davvero impressionati dalla sua

capacità di non fare niente.""Che ne pensa?" chiese Holmes, e indicò con il mento il palco, dove la

donna dai capelli grigi aveva appena smesso di parlare.Il discreto si strinse nelle spalle. "La cosa non ci riguarda. Ma non

riguarda nemmeno lei, non è così? Non le piacerebbe almeno per una volta ottenere un vero successo nelle indagini? Uno tutto suo?"

All'improvviso sul tavolo era apparsa una videocassetta, proprio di fianco alla Guinness di Holmes. Il bicchiere di Guinness era di nuovo mezzo vuoto.

"Se la guardi," disse l'uomo, "e scopra tutto su questo McCarthy. Potrebbe tornare utile alla sua carriera."

Quando finalmente Holmes riuscì a infilare quella cassetta voluminosa nella tasca del vestito, l'uomo era già sparito da un pezzo. E adesso? A ogni modo quel tipo non avrebbe mai riposto alle sue domande. Holmes fissò il tavolo, dove un sottobicchiere prometteva fama e grandezza a chi

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avesse bevuto Guinness. Holmes sentiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, una sensazione che non aveva niente a che fare con il caso Glenn.

Aveva a che fare con la sua vita. Con la stazione di polizia e con la sensazione di non volerci tornare.

Lasciò lì il suo bicchiere di Guinness mezzo pieno.

23Heide dimostra che aveva ragione

"Forse gli è sembrato davvero solo un espediente, la vanga e l'agitazione che avrebbe provocato giù al villaggio. Forse gli è riuscito più facile pensando alla confusione che avrebbe creato." Rebecca inspirò profondamente.

Le pecore si erano raccolte intorno al capanno, come ai vecchi tempi, ma non c'erano più romanzi di Pamela. Al loro posto c'erano invece giornali di grande formato, fruscianti, di carta ancora più sottile di quella dei libri. La cosa bella dei giornali era che contenevano delle storie su George, su Beth, e addirittura sul loro numero durante il concorso per la pecora più intelligente di Glennkill. Un'altra cosa bella era che Rebecca qualche volta sapeva più cose di quelle scritte lì dentro. Perché aveva parlato con Beth, che nel frattempo se ne era andata via da Glennkill per passare il resto della sua vita compiendo buone azioni su un'isola.

La storia che alle pecore piaceva di più era "Le pecore fanno venire alla luce la verità". Insieme all'articolo c'era una foto in cui Maple, Mopple, Othello e Zora si trovavano sul palco del Mad Boar - piccole, grigie e prive di odore, ma inconfondibili. Rebecca gliel'aveva tenuta davanti al naso perché riuscissero a vederla bene, e Mopple aveva cercato di mangiare un pezzo di giornale. Da allora avevano il permesso di ammirare le foto solo da una distanza di sicurezza.

C'era anche una foto di George su un prato, con un agnello sconosciuto - sembrava molto giovane e avventuroso (Cloud sosteneva di essere l'agnello della foto, ma le altre non le credevano). Poi Beth con un vestito estivo, anche lei giovane e con gli occhi che le brillavano. "Una storia d'amore fatale", era intitolata la storia che accompagnava le due foto. "Profanatrice di cadavere per amore" mostrava invece di nuovo Beth, ma questa volta nell'età in cui l'avevano conosciuta le pecore, con il colletto

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rigido e la faccia serissima.Rebecca pensava spesso a Beth. "È stata molto diversa quella sera,"

disse. "Credo sia la persona più romantica che conosco...""Quella sera" - le pecore lo capivano - era la sera durante la quale

quattro di loro avevano partecipato al concorso per la pecora più intelligente di Glennkill. Sollevarono la testa orgogliose. Quella sera avevano fatto qualcosa di decisivo, anche se non sapevano di preciso che cosa.

La questione del suicidio per loro rimaneva comunque un enigma. Non riuscivano a capire come mai George dovesse aver fatto una cosa così strana - proprio George, che diceva sempre le cose in modo che anche una pecora le potesse capire.

"Probabilmente fino alle fine anche lui non ha saputo bene cosa fare," diceva Rebecca. "Qualche volta questo pensiero mi aiuta - immaginare che fino alla fine voleva andare davvero in Europa. Ma poi si è trattato di un altro viaggio..."

Deglutì e si passò la mano sugli occhi umidi. Negli ultimi tempi gli occhi di Rebecca erano spesso rossi.

"Anche se so che le cose non possono essere state così facili. Aveva già fatto testamento perché voi poteste andare in Europa in ogni caso. Era un bravo pastore... Ha portato Tess al canile. Mi ha... scritto la lettera." Rebecca si asciugò con la mano una lacrima solitaria sulla guancia. Il suo sguardo trapassava Mopple, il quale si trovava in prima fila sperando di dare un altro morso a quel giornale saporito. Un'espressione assente era comparsa negli occhi di Rebecca. Il giornale si accasciò. Ogni tanto capitava che la nuova pastora dimenticasse di andare avanti a leggere nel bel mezzo della lettura. Allora bisognava spingerla a lavorare.

Heide e Maude belavano in modo forte e penetrante, poi a loro si univa anche Ramses.

Rebecca alzava lo sguardo e sospirava. Tornava ad aprire il giornale frusciante e riprendeva a leggere "Il pastore solitario e il grande mondo".

Quando sul giornale le storie che riguardavano Glennkill divennero sempre più corte e noiose, Rebecca tirò di nuovo fuori il libro che aveva fatto una così grande impressione alle pecore già alla prima ora di lettura insieme. Ora, vedendolo alla luce del giorno, le pecore potevano ammirare quanto fosse bella la copertina che aveva: una gran quantità di verde, un ruscello, montagne, alberi, rocce.

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Ma poi la storia tornò a parlare di uomini. Con un po' di inquietudine le pecore seguivano le avventure di un piccolo gregge di uomini che viveva nella brughiera. Le esperienze con il giornale avevano instillato nelle pecore un forte rispetto per tutte le cose scritte.

"Quando le pecore e gli uomini riescono a far entrare cose del genere nei libri, allora anche dai libri può venire fuori qualcosa," disse Lane, e Ramses e Heide iniziarono a guardare con sospetto il nuovo libro, ogni volta che Rebecca lo lasciava sui gradini del capanno dopo l'ora di lettura. Nessuna, mentre pascolava, aveva voglia di lasciarsi sorprendere dalla figura lupesca di Heathcliff che usciva dal libro.

Ma il libro rimaneva lì tranquillo.Verso la fine diventò addirittura romantico, con due spiriti finalmente

liberi di vagare per la brughiera come avevano sempre desiderato. Le pecore pensarono a George e sperarono che anche la sua anima si trovasse in un pascolo verde, forse insieme a un piccolo gregge che avesse trovato da qualche parte.

Un giorno Ham scese lungo il pascolo spingendo la sedia a rotelle. Le pecore, prese dal solito panico, scapparono sulla collina. Da lì potevano vedere quello che succedeva al capanno. Rebecca e il macellaio si salutarono.

"Speriamo che non ci venda," disse Mopple."Ma non può!" belò Heide. "Sta scritto nel testamento." Nonostante

questo, però, le pecore fissavano curiose le due persone giù in basso. Non ne erano poi così sicure.

Le cose non sembravano mettersi bene. Rebecca e il macellaio avevano l'aria di andare d'accordo. Le pecore non persero di vista il macellaio. Aveva un'aria seria, un po' rugosa e per nulla pericolosa. Dato che dal mare soffiava un vento salato, per fortuna a loro non arrivava niente del suo odore.

A un certo punto Heide prese la decisione inaudita e coraggiosa di osservare da vicino il macellaio. Gli sguardi sbalorditi delle altre la seguirono giù per la collina.

"... qui ci sono dei nessi," disse il macellaio. "Dappertutto ci sono dei nessi, trasmigrazione delle anime e cose del genere. Ora leggo molto per capire queste cose, sa." Girò la testa e guardò Heide dritto in faccia, in parte imbarazzato e in parte curioso, e in ogni caso pieno di rispetto. Forse, addirittura, annuì leggermente con il capo, come per salutare. Per la

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sorpresa, Heide dimenticò di fare un'espressione impavida e fissò il macellaio sbigottita.

Rebecca si strinse nelle spalle. "Perché no? Hanno passato così tanto tempo con lui. Mi posso benissimo immaginare che ci sia un po' di George nelle pecore..."

Heide gettò uno sguardo impertinente al macellaio e tornò dal gregge trottando. Ad aspettarla c'erano pecore piene di rispetto. Il macellaio e Rebecca si strinsero la mano, poi con sollievo generale il macellaio scivolò sulla sedia a rotelle verso la strada asfaltata. La vita poteva continuare.

E così fu. Come al solito le pecore si mettevano al lavoro all'alba e pascolavano fino al pomeriggio. Poi si raccoglievano per la lettura intorno al capanno. Subito dopo tornavano a pascolare, fino a quando non si ritiravano nel fienile. Una normalissima vita da pecore.

Pensavano volentieri a George e gli erano grate per il testamento. "In fondo è stato un bravo pastore," diceva Cloud.

Tutte le pecore stavano attente a George's Place. A nessuna sarebbe mai venuto in mente di allungare il muso su quelle erbe. Ma George's Place diventava via via inspiegabilmente sempre più piccolo.

"Questo accade perché tutte le cose hanno una fine," spiegò Zora.Un mattino, mentre le altre pecore ancora dormivano, una macchia

bianca e rotonda sgattaiolò fuori dall'abbraccio caldo del gregge e raggiunse di soppiatto le scogliere. Mopple the Whale rimase a lungo a riflettere di fronte allo spuntone di roccia di Zora. Poi fece un passo in avanti. Ancora uno. Zora ne era capace. Un terzo. Anche Melmoth lo sapeva fare. Quattro. Cinque. Aveva visto in faccia il macellaio. Sei, e Mopple si ritrovò finalmente sulla roccia di Zora. Quindi abbassò la testa con cautela per gustare le erbe dell'abisso.

Ora, più spesso di quanto non accadesse prima, durante il pascolo si formavano dei gruppetti in cui venivano scambiate opinioni sui vari avvenimenti.

"È stato un trucco," affermò Cordelia."Nessuna pecora ha il permesso di lasciare il gregge," disse Sir

Ritchfield. "A meno che poi non torni indietro.""Qualche volta stare da soli è un vantaggio," le punzecchiò Melmoth."Era una storia d'amore," belò Heide, e agitò le orecchie in segno di

trionfo.

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24Zora vede una nuvola

Rebecca tutto d'un tratto chiuse il libro. Questa era una cosa nuova. I romanzi di Pamela erano stampati su carta morbida e sottile e non sarebbero mai riusciti a produrre un tale rumore. E nemmeno i giornali. Willow, che si era addormentata in ultima fila, spalancò gli occhi e in silenzio diede la schiena al capanno. Le altre guardavano Rebecca impazienti.

"Questa è la fine," spiegò Rebecca. "Domani iniziamo qualcosa di nuovo."

Le pecore fecero un'espressione delusa. Ora, dopo aver superato tutti gli spaventi, la storia si stava facendo davvero interessante. Che cosa avrebbero fatto Catherine e Heathcliff vagando per la brughiera? Perché nessuno raccontava che odore avesse la palude dopo che vi si era abbattuto sopra un rovescio di pioggia? In qualche modo doveva pur proseguire!

Ma Rebecca rimaneva seduta sul gradino più alto del capanno e non pensava minimamente di andare avanti a leggere. La sua mano accarezzava teneramente la testa di Tessy, e Tess agitava molto debolmente la coda. Si capiva che era la prima volta che agitava la coda dopo tanto tempo.

Un mattino Rebecca aveva riportato lì Tess con una macchina. Tess dagli occhi strani e tristi. Ma la cagna non si era precipitata al pascolo. Non si era messa a saltare attorno al capanno per cercare George. Era semplicemente scomparsa nell'ombra di Rebecca, e ora seguiva la sua gonna rossa dappertutto, come un agnellino segue sua madre.

"È ora di andare a dormire," disse Rebecca.Le pecore si guardarono. Il sole era alto nel cielo, le ombre non erano

più lunghe di due salti al galoppo e l'attività giornaliera - pascolare e ruminare - non era ancora conclusa. Nel fienile? A quest'ora? Mai e poi mai! Tra l'altro Rebecca aveva letto meno del solito. Fissarono la pastora testarde.

"Ancooora!" belò Maude."Ancooora!" belarono tre agnelli.Ma Rebecca fu categorica. E tutte notarono che era davvero della figlia

di George che si trattava."La storia è finita," disse. "Per oggi è tutto."Maude odorò la decisione sulla fronte di Rebecca e ammutolì, ma i tre

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agnelli continuarono a belare incessantemente. Rebecca sollevò le sopracciglia.

"La prossima volta vi leggerò The Silence of the Lambs3," promise. Poi si alzò dai gradini del capanno.

The Silence of the Lambs. Sembrava promettere bene. Le pecore madri in particolare riponevano molte speranze in quella lettura.

"Andate a dormire," disse Rebecca. "Domani si va in Europa. Molto presto. Non voglio vedere facce assonnate."

Quindi scomparve nel capanno, con Tess alle calcagna."Domani!" belò Heide."Europa!" sussurrò Maisie."È bello andare in Europa," disse Cordelia pensierosa, "ma è un peccato

dovercene andare via di qui."Le altre pecore annuirono in segno di approvazione."Se solo si potesse andare in Europa e allo stesso tempo rimanere qui...,"

disse Mopple. "Sarebbe davvero bello. Potremmo pascolare in due posti contemporaneamente."

Le pecore rifletterono per un po' sulle meravigliose opportunità del pascolo multiplo.

Poi di colpo Melmoth sollevò la testa, come se avesse sentito un richiamo. I suoi occhi si fecero umidi e brillanti. Cominciò a saltellare.

"Venite con me alle scogliere," disse. "Vi voglio raccontare qualcosa del congedo." Le pecore ci andarono volentieri. Quando Melmoth raccontava era come se ad accarezzarle in faccia fosse un vento sconosciuto, condito di idee e di odori misteriosi. Seguirono il grigio sulle scogliere.

All'unisono le cornacchie sull'albero delle cornacchie cominciarono a gracchiare. In modo straziante, vere e proprie grida da carogne. Involontariamente le pecore si guardarono intorno alla ricerca dell'animale morto che doveva aver provocato tutta quell'agitazione. Ma non riuscirono a scoprire niente.

Quando tornarono a girarsi, Melmoth era scomparso. Così. Cercarono sotto il dolmen, nel fienile e dietro il capanno. Cercarono tra le siepi e sotto l'albero delle ombre, nonostante Melmoth solo un attimo prima si

3 Nel testo originale Rebecca annuncia che intende leggere Das Schweigen der Lämmer, che è appunto la traduzione letterale in tedesco di The Silence of the Lambs. In italiano il romanzo (cosi come il film che ne è stato tratto) si intitola Il silenzio degli innocenti. Mantenendo il titolo italiano non si sarebbe capito perché le pecore reagiscano con tale entusiasmo a questo annuncio. Infatti non sanno ancora a che cosa andranno incontro (N.d.T).

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trovasse sulle scogliere e fosse impossibile che in così poco tempo fosse riuscito a galoppare fino alle siepi. Doveva essersi nascosto da qualche parte, insieme alla sua storia del congedo. Ma Melmoth non c'era.

Poi Zora belò sorpresa. Aveva piegato il collo all'indietro e con gli occhi luccicanti stava fissando il cielo. Dove ora era possibile vedere una nuvola grigia da temporale che correva, spinta al di sopra del mare da venti vivaci.

"È diventato una pecora nuvola!" belò Mopple."Una pecora nuvola!" belarono le altre pecore eccitate. Una di loro alla

fine ce l'aveva fatta!"Ma le pecore nuvola prima o poi ritornano?" chiese un agnello dopo un

po'.

Othello distolse gli occhi dalla spiaggia e si voltò verso Mopple, Maple, Zora e Cloud, che se ne stavano ancora lì, a guardare la nuvola grigia e ispida con un misto di ammirazione e di tristezza. Othello si domandò se fosse il caso di dirlo oppure di stare zitto. Era chiaro che Melmoth non era affatto diventato una pecora nuvola: era semplicemente sceso attraverso il tunnel roccioso e ripido che si apriva sotto il pino e se l'era squagliata. Qualche volta stare da soli è un vantaggio.

Alla fine Othello decise di non dire niente alle altre. Non avrebbero capito di più, solo di meno. Proprio come lui. Tanto più conosceva Melmoth, tanto meno lo comprendeva. Magia. E sempre quella sensazione inquietante che Melmoth capisse tutto. Se stesso, lui, tutte le pecore — persino i pastori. O forse era solo matto.

Othello scosse la testa per cacciare via la tristezza. Ma scuotere la testa lo aiutò ben poco, così come non gli fu d'aiuto raspare la terra con gli zoccoli.

Ciò che lo aiutò, invece, fu il vento.Perché il vento portò con sé - chi poteva dire da dove? — una foglia e la

posò con cautela davanti agli zoccoli di Othello. Una foglia dorata. Dorata come l'autunno. Tempo di migrazione delle rondini. Tempo di profumi, tempo di accoppiamento. Allora tornò a voltarsi in direzione del pascolo, dove Mopple, Maple, Zora e Cloud erano ancora in adorazione della nuvola grigia. Ma non vide nessuna di loro. Quello che vide, annusò, sentì con tutti i sette sensi, e anche con alcuni altri nuovi sensi instillati dall'autunno, erano tre esseri meravigliosi dal profumo inebriante, luminosi nella loro lana bianca. E un concorrente, giovane e forte, eppure senza esperienza.

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Othello già pregustava il momento in cui avrebbero misurato le loro forze, così come quello che sarebbe seguito. I suoi zoccoli raspavano impazienti il terreno, e il suo sangue scorreva più veloce del solito.

Poi il vento girò e portò via con sé gli odori di Zora, Cloud, Maple e Mopple. Othello si tranquillizzò. Guardò di nuovo la spiaggia, dove in maniera impercettibile Melmoth si era trasformato in un punto grigio in movimento, circondato dal grigio più scuro dell'acqua. Se non avesse saputo che si trattava di lui, da quella distanza lo avrebbe senz'altro preso per una piccola onda, uno schizzo di spuma, schiuma sulla vastità del mare. Ma Othello non vide un'onda grigia. Ciò che vide era un concorrente potente, che si stava allontanando dal gregge - il suo gregge.

E Othello ne fu soddisfatto.

FINE

Nota

Le pecore di Glennkill sono pecore fuori del comune. Le normali pecore da lana e da pascolo, infatti, non sopportano né l'alcool né le droghe. Vorrei perciò chiedere ai miei lettori di non indurre alcuna pecora ad assumere sostanze stupefacenti. Se volete far contenta una pecora, provate con il pane o con della vera erba!