L'Enigma Della Lingua Albanese_2011

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Tutti gli articoli del blog “L’enigma della lingua albanese” (www.eltonvarfi.blogspot.com), anno 2011.

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L’ENIGMA DELLA LINGUA

ALBANESE  

E-BOOK 

ARCHIVIO BLOG ANNO2011 

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Questo e-book è proprietà del blog:

L’enigma della lingua albanese www.eltonvarfi.blogspot.com 

Avvertenza: 

Potete liberamente utilizzare i contenuti di

questo e-book nelle vostre pubblicazioni

cartacee, sui vostri blog o siti Web, con il solo

obbligo di citare la fonte (è cioè il blog

L’enigma della lingua albanese) alla fine di

ogni pezzo. Se mi avvertirete di ciò, inoltre, viringrazierò di cuore.

***Tutte le traduzioni dalla lingua albanese sono di Elton Varfi.

“ La tradizione serba non possiede canti epici ” traduzione di

Brunilda Ternova. 

***

 ©-2012- L’enigma della lingua albanese

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“Generoso come un Bojaxhiu”:

Le origini di Madre TeresaDi Adele Pellitteri

Che Madre Teresa sia una delle donne più eccezionalidell’ultimo secolo, a tal punto da essere la prima persona nonpolitica ad essere raffigurata in un francobollo, è noto a tutti;quello che forse non è altrettanto risaputo è che la giovanissima

Anjeze Bojaxhiu è nata a Skopje, in Albania. La donna èmotivo di orgoglio per il popolo albanese non soltanto perchéne è una grandiosa rappresentate, ma perché tutto ha inizio in

famiglia.Dopo aver letto il libro di Cristina Siccardi, “Madre Teresa.Tutto iniziò nella mia terra”, è chiaro come sia decisiva unafamiglia che insegni valori autentici e che non perda tempo asprecare parole, ma che tenga piuttosto conto dell’azionequotidiana. Agendo il bene ogni giorno. Non solo intenzioni,bensì fatti.La famiglia Bojaxhiu godeva di un certo benessere economicograzie agli ottimi affari commerciali. Ma in quella famiglia tuttierano consapevoli che il benessere è vuoto se non è condiviso

con gli altri. L’ospitalità era una delle regole della famiglia.Ogni giorno nella loro casa c’era almeno una personabisognosa o semplicemente sola. Il padre di Madre Teresa,scomparso prematuramente, diceva sempre alle proprie figlie dinon accettare mai bocconi che non fossero condivisi con altri,condannando in tal modo l’egoismo come una malattia

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spirituale che impedisce all’uomo di condividere con gli altri.Non solo parole, ancora una volta fatti.

Il luogo in cui tutto ciò avviene non è irrilevante. L’Albania èstata una terra colpita da molte tragedie e soprusi, per questo lapopolazione ha manifestato un forte senso di solidarietà. Ma lasola solidarietà del popolo albanese, per quanto raggiungalivelli altissimi, non basta per spiegare la grandezza dellafamiglia Bojaxhiu; è l’amore per Dio che ancora meglio di

qualsiasi cosa spiega il valore inestimabile di questa caritàsmisurata. Nel libro della giornalista Cristina Siccardi, AgiBojaxhiu Guttadauro, unica nipote di Madre Teresa, sposatacon un siciliano, racconta che a Skopje si usa dire “seigeneroso come un Bojaxhiu” divenuta ormai una generositàproverbiale per tutti.È ancora una volta il destino di una rappresentante del popolo

albanese, che, nato nel conflitto, offre la propria grandezza peril bene di tutti. Madre Teresa è figlia della famiglia Bojaxhiu, èfiglia del popolo albanese che con grande generosità hacontribuito a donare al mondo una donna che ha saputo metterela sua mano nella mano di Gesù e guardare avanti.

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Dodona

Di Aristidh Kola

Il centro di culto più antico nel mondo pelasgico è Dodona, chesi trova sulla montagna di Tomor. Lì ebbe inizio il culto diZeus, dodoneo e pelasgico1 . Karapano è riuscito addirittura

riportare alla luce i resti dell'oracolo sacro di Dodona, nel1974, ai piedi del monte Tomor, nelle vicinanze di Giannina.Ma esiste una Dodona anche più a nord, e c'è anche unamontagna che si chiama Tomor presso la città di Berat(Albania); invece la montagna vicino a Giannina si chiama inrealtà Tomorica (la pronuncia è: Tomoriza) che significa“piccolo Tomor”. Comunque sia, in queste montagne del

nordovest balcanico si trovano il centro del mondo pelasgico eil suo epicentro religioso. Lì abitavano i preti consacrati aquella liturgia (Εεγγoς) e l'oracolo di Dodona fu l’ultimo aessere soppresso nel IX secolo dai “nostri gloriosi imperatoribizantini”, con riferimento ai quali molte volte mi sono chiestose davvero siano “nostri” e quanto gloriosi fossero essi per i

Greci stessi.È noto che i primi templi dedicati agli dei nella penisolabalcanica si costruirono sulle cime delle montagne 2 . Lì sirecavano, fin dalle prime luci dell’alba, i sacerdoti easpettavano pregando “la nascita del sole”, l’alba. Si afferma

1 Iliade p, 233.2 “Le più alte cime delle montagne greche conservano tracce dell’antico

culto dedicato a Zeus”, dice Richpin in “Mitologia greca”, vol. I, p. 75.

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che la stessa cosa facesse Orfeo. In quei tempi la popolazioneabitava ai piedi delle montagne, nelle maggior parte dei casi

nelle grotte, ragion per cui è evidente che i primi a vedere l'albafossero i sacerdoti, che si trovavano sulle cime delle montagneproprio per annunciarla alla popolazione che si dovevasvegliare per iniziare il suo lavoro quotidiano. Ma i sacerdoticome riuscivano a proclamare che “il sole era nato”?Sicuramente con uno strumento sonoro, che la popolazione, giù

ai piedi della montagna, era in grado di ascoltare. Il suono cheemetteva questo strumento poteva assomigliare a un daw, dew-diw, duw, a secondo del materiale con il quale era costruito:legno, metallo, pelle ecc. L’antica popolazione pelasgica cheabitava ai piedi delle montagne di questa regione, appenasentiva i suoni diw, dew che emetteva il tamburo dei sacerdoti,li collegava con l’alba e il sole, ed è proprio per questo motivo

che il sole venne chiamato Diaw, Deaw, Diw3 ecc.La cerimonia dell’annuncio che il sole era alto fu celebrata permolte migliaia di anni senza interruzioni e non sappiamoquando fu abbandonata. Quello che sarà sicuramente cambiatonel corso dei secoli è il materiale con cui era costruito lostrumento primitivo che annunciava l’arrivo dell'alba. Lascoperta che si potessero fabbricare tamburi con la pelle deglianimali avrà fatto sì che i sacerdoti sostituissero il vecchiostrumento con il tamburo. Avendo il tamburo un suonoevocabile con la parola duw, in albanese esso venne chiamato Daulle, perché questa parola è onomatopeica. Così,successivamente, è nato il nome dell'oracolo: Dodona; oppure

3 In albanese odierno il sole viene chiamato Diell. (N.D.T. )

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 Duduna nella lingua degli Arvaniti4 e nel greco antico. Perciòil suono dell’antico tamburo diede il nome all’antico oracolo.

In Albania abbiamo un piccolo tamburo che si usava perconvocare le riunioni popolari e che è chiamato “ Duduka”.Per rafforzare la mia ipotesi sulla similitudine tra il suono deltamburo ed il nome dell'oracolo, porto a testimonianza anchegli studi di K. Rodhi sulla parola dihet .  Dihet , nella linguadegli Arvaniti, significa arriva il nuovo giorno cioè arriva

l’alba. Ma ha anche il significato di “tuono. Perché mai unsuono si collega con la “nascita del sole” soltanto in questalingua antichissima che si è parlata nello stesso luogo dovevenne “creata” Dodona (o Duduna) migliaia di anni fa?In conclusione, Jani Vreto5 ci fa sapere di una antica credenzasecondo la quale i vecchi Arvaniti (Albanesi) che risiedevanonei presi di Dodona, credevano che sulla montagna vivesse un

monaco invisibile, santo e immacolato. Egli suonava untamburo invisibile che diffondeva ovunque un rombo sordo6.Molte religioni infierirono, con il loro fanatismo velenoso edistruttivo, sul popolo albanese ma, nonostante ciò, neconservarono, con identico fanatismo, alcuni elementi di culto.

4 Gli Arvaniti sono gli Albanesi che vivono in Grecia. (N.D.T.)5Jani Vreto (1822-1900) è stato uno dei maggiori componenti del “ Rilindja”

(risorgimento) albanese.6 Jani Vreto “Aπoγoγια” , p.84.

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Il canto di Costantino e DoruntinaDi Aristidh Kola

Il famoso canto di Costantino e Doruntina è presente, condiverse varianti, in tutti i paesi balcanici. C’è stata una grandediatriba filologica per decidere quale popolo lo abbia compostoper primo. A questa diatriba parteciparono tanti studiosi

balcanici tranne quelli del popolo che aveva ideato per davveroquesto meraviglioso canto.Il tema del canto: una madre ha nove figli maschi e una figliafemmina. Il più piccolo dei fratelli, Costantino, vuole dare insposa sua sorella Doruntina in un paese lontano, ma la madrenon è d’accordo e giustifica il suo disappunto con il fatto che,

quando sarà ancora più vecchia e i figli maschi si saranno tuttiaccasati con le proprie famiglie, non potrà avere vicina la figliafemmina per essere aiutata da lei. Costantino insiste e le dà lasua parola (besa, che è una formula di giuramento solenne)che, qualsiasi cosa succeda, lui riporterà Doruntina inqualunque momento l’anziana madre vorrà vedere sua figlia.Cosi il matrimonio di Doruntina si fa. Ma arrivano tempi duri

di guerra e tutti i figli dell’anziana madre muoiono, compresoCostantino. La madre rimane sola e senza aiuto, e malediceCostantino per la brutta piega che hanno preso gli eventi, eperché Costantino non potrà più mantenere la sua besa , dalmomento che è morto.Ma la parola data, la besa, si deve mantenere ad ogni costo

(questa è la credenza di un popolo intero), addirittura sfidando

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e sconfiggendo la morte. E cosi Costantino esce veramentedalla sua tomba per riportare a sua madre la figlia mantenendo

cosi l’impegno preso.Ma in quale popolo esiste questo concetto così alto della paroladata? È un elemento non studiato da filologi e storici balcanici.Tale argomento trova riscontro in altre nazioni? E quale popolosi trova da secoli, racchiuso in enclave più o meno grandi, inaltri paesi come la ex Jugoslavia, la Romania, la Bulgaria e la

Grecia?Quando parliamo di caratteristiche simili nei popoli balcanici,dobbiamo considerare che il loro denominatore comune era ilpopolo arbëresh (albanese).Solo in questa maniera si giustificano le “varianti” di chi hadiffuso il canto di Doruntina in tutti i paesi balcanici.Inoltre, questi versi si cantano e si ballano in maniera

particolare tra gli  Arbëresh della “Magna Grecia” (l’ItaliaMeridionale), come ci informa il ricercatore calabrese AntonioBellusci. Questo canto, nell’Italia Meridionale ha anche untitolo significativo, originario del popolo che lo ha creato, che è“Besa e Kostandiut”. Un popolo la cui presenza si riscontra siain Italia che nei Balcani e nell’Asia Minore non è lo slavo, né ilrumeno e nemmeno quello bulgaro. Ma è il popolo arbëresh(albanese), successivamente ellenizzato. Parlare diellenizzazione senza gli Arbëresh (Albanesi) è inconcepibile.

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L’albanese: madre della lingua greca Il primo idioma della lingua ellenica

Di Aristidh Kola

La lingua albanese ci aiuta a capire lo sviluppo della linguagreca, dagli antichissimi tempi pelasgici fino al periodo

alessandrino.Le antiche lingue e soprattutto la lingua pelasgica erano lingueper di più composte da consonanti. Vi riporto l’esempio dialcuni studiosi sulla parola  MPS di una iscrizione trovata inAsia Minore, che leggono  MOPSOS. Qui si accenta la letteraM. Nell’epoca Omerica non abbiamo più l’accento diconsonanti, ma l’introduzione di vocali che prendono anche

l’accento delle consonanti. La lingua albanese conserva anchela pronuncia con l’accento delle consonanti! Per esempio laparola greca palami deriva dalla parola pelasgo-albanese plem.Qui si accenta la consonante L. con l’introduzione della vocaleA che segue la consonante L e prende l’accento; la paroladiventa quindi  palàma, così nel dialetto dell’Attica  abbiamo palami, in albanese pëllëmba (palmo della mano).La stessa cosa succede con la parola karma o kirma.L’equivalente in lingua albanese è kërmë (carcassa).La parola albanese motër (sorella) coincide con la parola mitir  – mitros che significa madre in greco antico. Questo si spiegacon il fatto che, nella civiltà primitiva, la sorella maggioreaveva, in famiglia, anche il ruolo della madre, come spiega G.

Stamatakos nel suo dizionario.

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La parola ujk  (lupo, in albanese), che si pronuncia anche ulk  diventò ulikos e dopo likos in greco.

La parola etero in albanese è një tjetër (un altro). Qui vediamoche  NTR significa një tjetër  (un altro) e non semplicementetjetër (altro). Fra le consonanti vengono introdotte le vocali e indefinitiva abbiamo enetero (enEtero) = një tjetër (un altro), inalbanese njëtër (un altro).In albanese, abbiamo la parola sipër = sopra. La parola greca

corrispondente è iper  e quella latina super. L’albanese è piùvicino al greco ed è l’anello mancante che collega al latino eaiuta a capire come si pronunciava la “famosa” F in grecoantico, pronuncia che i greci furono costretti a eliminare deltutto. Ma la lingua albanese, proprio perché meglio di tutteconserva la lingua pelasgica, conserva anche la sua pronuncia.Visto che in generale la F si pronuncia a volte come F e a volte

come V, le parole Vras = Vreo (uccidere), Vesh = Vesho(orecchio)  , Var = Vero (appendere), sono comprensibili. Lalettera F del greco antico non aveva solo questa pronuncia, maanche un'altra stabilita dai Romani, e, in definitiva, rimase F esi perse V. Per esempio la parola greca antica ficos nella linguagreca divenne sikos, in latino rimase  ficus e in albaneseabbiamo fik.Il prefisso greco para deriva dalla parola pelasgo–albanese per con l’inserimento della vocale A.Che gli studiosi si siedano, studino seriamente la linguaalbanese “povera” e “barbara” e sottovalutata, che gli arbëreshe gli albanesi, che si trovano fuori dall’Albania, la smettano didisprezzare la loro lingua, ma che la insegnino anche ai loro

figli.

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Che si tenga presente che questa lingua albanese “barbara” è lamadre della lingua di Omero, Eschilo, Erodoto, Tucidide, e

anche della famosa lingua conosciuta come dialetto dell’Attica.È la lingua antica dei nostri antenati, i pelasgi, che alcuniscienziati vogliono fare scomparire come per magia,dimostrando che gli elleni non vengono dalle montagnedell’Albania ma dall’Egitto e dalla Mesopotamia. Credo chequeste teorie avrebbero potuto prendere il sopravvento se non

esistesse oggi “l’albanese barbaro”. Oltre il grande padreDIAU (il sole) e la grande madre DHEA (la terra), che sono i“genitori” della vita, adorerò anche la lingua albanese che miinsegnarono i miei nonni e i miei genitori.È molto importante (per gli elleni) conoscere quello che credi esapere perché lo credi. È proprio questo che ci differenzia daipopoli orientali.

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Precisazioni sulla lingua albanese

Di Aristidh Kola

Sarebbe ingenuo pensare che gli Albanesi abbiano conservatoparole elleniche nella loro lingua soltanto grazie al contatto congli stessi Elleni nel II secolo d. C., come sostiene lo studioso

Jacob Philipp Fallemayer. Se veramente fosse così, allora gliAlbanesi avrebbero dovuto parlare una lingua simile a quellaalessandrina, perché credo che sarebbe molto strano che unipotetico popolo, che arrivasse oggi tra noi, imparasse non lanostra lingua corrente ma un antico dialetto dell’Attica. Conl’esempio sopracitato s’intende spiegare che logica vuole che,per prima, s’impari la lingua che si sente parlare ogni giorno e

che, magari, conserva anche parole del dialetto dell’Attica eaddirittura parole omeriche come andras = burrë (uomo), ieron = i shenjtë (sacro), polis = qytet  (città), ecc, mentre èincomprensibile si apprendano parole che non vengono piùusate, come  Rea (nuvole), anë (lato), mend, (la mente), nisem(parto). Se è cosi, dobbiamo ammettere che questo ipotetico

popolo, appena arrivato, si metta a studiare appassionatamenteOmero. Ma gli Albanesi erano analfabeti. Perciò, comepoterono imparare la lingua omerica se i loro primi contatti coni Greci avvennero solo nel II secolo d. C, come sostieneFallemayer, o addirittura nel X secolo d. C., come sostienel’antialbanese dichiarato Nicocli?Molti studiosi neogreci, appurando che alcune popolazioni

greche usavano in talune parole del loro dialetto suffissi

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dell’antichità classica come   –usi, -asi, ecc, sono arrivati allaconclusione che questo solo elemento sia la prova tangibile

dell’ellenizzazione di queste popolazioni. Senza voler mettereminimamente in dubbio questo processo di ellenizzazione,devo dire che la conclusione di questi studiosi mi sembra moltosuperficiale. Nello studio della lingua, gli elementi chedimostrano le continuità filologiche non sono i suffissi ma leradici. Questi suffissi erano in uso fino alla fine dell’Impero

Bizantino, e forse anche oltre. Ma le affinità tra le popolazioniattuali e l’antico Impero Bizantino, che un tempo le dominava,non necessariamente rappresentano la prova di uncollegamento con l’ellenismo antico! Gli Ebrei, i Siriani, gliEgizi e tutti gli altri popoli che furono soggetti all’ImperoBizantino, pur convertendosi in buona parte anche alCristianesimo, non arrivarono mai a sentire un legame di

sangue o una vicinanza spirituale con l’antichità classica!...Al contrario, la lingua albanese non ebbe mai parole consuffisso  –usi, oppure -asi, ma nel suo lessico ha termini con lestesse radici dei vocaboli di un idioma che si parlava in Greciafin da tempi lontanissimi. Per 30 anni ho parlato la linguaarbëresh* e nello stesso tempo la lingua moderna greca, manon ho mai pensato che potesse esservi qualche collegamentofra il greco antico e l’albanese. E’ comprensibile che per glistudiosi non sarà facile dare delle risposte convincenti erisolvere i problemi linguistici del periodo preellenico se nonprenderanno in seria considerazione la lingua albanese. Inalbanese si riscontrano parole con radici arcaiche che noncompaiono più nel dizionario greco, oppure, se esistono,

vengono considerate neologismi dai moderni vocabolari greci.

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Così, in albanese esiste il verbo flas (parlo); in greco si trovanola parola “filiaræs” e il verbo “filiaro”. In albanese abbiamo il

termine fjala (parola), invece in greco iper-fialos, che significachiacchierone. I linguisti che non conoscono l’albanese nonpossono rispondere ad una serie di quesiti che hanno origine daepoche lontane e che sono legati al territorio che include lapenisola italiana fino al fiume Indo in India. Com’è possibilestudiare le civiltà preelleniche ignorando la lingua pelasgica

(albanese)?L’autore Jakov Thomopulo, nel suo libro Sui Pelasgi, hasottolineato questo argomento ma i suoi studi non venneroconsiderati perché lui non era un linguista “con la laurea” masoltanto un amante della filologia. Sappiamo bene che nonavere una laurea, in alcuni casi, non rappresenta un fattoredeterminante ai fini della ricerca. Una delle scoperte più

sensazionali è stata fatta da quel mercante testardo che eraHeinrich Schliemann il quale, ritrovando le vestigia dell’anticaTroia, sfidò pervicacemente l’opinione di tutti coloro chemettevano in dubbio l’esistenza di Omero.Non farò un esame approfondito del dizionario neogreco,perché non ci darebbe prove sull’identicità dei due popoli(quello greco e quello albanese), e non dimostrerebbe altro cheuna serie di contaminazioni linguistiche da entrambe le parti.Tuttavia esistono alcune parole che si trovano sia nella linguaneogreca sia nella lingua albanese:

Greco Albanese Italiano

Bora, qihoni Bora La neve

Vorias Veriu Nord

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Notos Noti NuotareKrini, pruno,

vrisi

Krua, kroi La fontana

Kleo Qaj (klian -dial arbër)

Piangere

Pio, pino Pi, pij BereZei, vra-zi Zien, valon ,

vlonBollire

Ipevo Hipi, hipën SalireLuo Laj LavareEn ora, vor-is Në orë (në

kohë, herët)In tempo(presto)

Ster-evi,sterume

Shteron,shterem

Prosciugare

Stira Shterpë Sterile

Dhrapani Drapëri (dial.Drapëni)

Falce

Lehona, lohia Lehem(lindem)

Partorire

Thira Dera La portaMikitas, muh-

k-la

Myku Muffa

Buqia (nëQipro)

Bukë, buka Pane

Dhris, dris Dru LegnoKokos Kokë Testa

Dhra-skel-izo Shkel CalpestareA-mil-on Miell Farina

Vus Viç Vitello

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Dam-alis Dem, demi ToroNin Nani Ora (in

questoistante)

Eh-mi, eh-miro

mpreh, gri-h Temperare,macinare

Per tutte queste parole non possiamo immaginare che sianostate assimilate nella lingua albanese dal greco, perché qui le

parole sarebbero state le stesse: per esempio, la lingua albaneseconserva il verbo mpreh (temperare, macinare) che in grecoinvece non esiste; però abbiamo i pronomi come Eh-mi, eh-miro, ma questi pronomi non sono presenti nella linguaalbanese. Il verbo shkel (calpestare) non esiste in greco, se nonconsideriamo la parola skelos e il verbo dhraskelizo, che perònon esistono in albanese. Perciò affermiamo che le radici di

questi termini siano state conservate sia nella lingua greca chein quella albanese e non possono essere considerati influssi diun idioma piuttosto che di un altro, ma fanno parte dell’identitàdi tutt’e due i popoli. La lingua greca, però, ha assimilatoalcune parole dall’albanese, che i Greci usano senza saperne laprovenienza o, nel peggiore dei casi, definendole parole turcheo slave.

Greco Albanese Italiano

Besa Besa GiuramentoBabesis I pabesë Traditore

Kaligono Kalëroj CavalcareKalikuca I kaluar, i hipur mbi

kalë

A cavallo

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Furka Zemërim, inat Ira, rabbiaKunadhios Kunati Cognato

Puli Pulë PolloKuvenda Kuvendim Assemblea

*l’autore di questo pezzo, Aristidh Kola. 

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Gli Elleni

Di Arsim Spahiu

Nell’epoca classica, i termini per indicare la Grecia e i Grecierano Ellade ( Hellas) ed Elleni. Queste parole venivano usateda Omero per indicare una piccola regione a sud dellaTessaglia e i suoi abitanti. Nei poemi omerici, il termine elleno

viene usato soltanto una volta perché, come sottolineaTucidide, essi (gli Elleni) non costituivano un popolo o unanazione. Inoltre, lo stesso autore aggiunge che, prima diElleno,7 il nome Ellade non esisteva8. Ai tempi di Omero, iGreci non costituivano ancora un gruppo etnico identificato.Gli attuali studiosi dei poemi omerici non riscontranodifferenze etniche fra gli Achei e i Troiani. Basandosi sui

resoconti dei geografi antichi, P. Faure esprime il parere che, altempo della caduta di Troia, nell’anno 1250 a.C., la stessaTroia fosse popolata da Dardani, Lelegi e Pelasgi. Egli osservache in questa regione i villaggi, le montagne, i fiumi presentanonomi che si possono riscontrare anche nei territori che vannodalla costa della Tracia fino a Creta: nomi come  Larissa,

Olimpo, Tebe, ecc. Si stima che in questa provincia la linguadei Pelasgi e dei Dardani abbia preceduto quella degli Elleni esi parlasse ancora nell’anno 1250 a.C. in una buona partedelle isole e anche della Grecia continentale come, ad 

7 Elleno, nella mitologia greca, era il figlio di Deucalione e Pirra, ed è l'eroeeponimo degli Elleni.

8 Tucidide, Archèologie, I, 3.

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esempio, la Tessaglia9 . Questo autore conclude quindi che,nell’anno 1250 a.C., sia gli Achei della Grecia continentale e

sia quelli delle isole erano ancora Pelasgi o Illiri nonellenizzati, che parlavano il gergo dei Dardani e dei Pelasgi.Nella lingua parlata nell’VIII secolo a.C., non esisteva untermine che accomunasse gli Elleni per distinguerli dai barbari.I nomi Elleni ed Ellade saranno utilizzati solo in seguito peruna regione ben definita. La terminologia che usa Omero

perciò non è corretta; sarebbe stata più idonea in un periodo incui i nomi  Hellas ed Elleni avessero già cominciato adiffondersi.Lo stesso E. Lévy sostiene che ci sono contraddizioni fra laterminologia adoperata da Omero e quella che veniva usata daisuoi contemporanei. Egli menziona altri autori moderni 10 , iquali sostengono che in questo campo, come in tanti altri,

Omero generalizzava11. Nel catalogare le navi, quando trattadelle truppe di Achille, il poeta le chiama sia Mirmidoni cheElleni che Achei. Forse si tratta di popolazioni diverse? PeròOmero adopera questi tre nomi con l’intento di riferirsi ad ununico gruppo etnico. Invece, nell’Odissea, i soldati di Achillevengono chiamati sempre Mirmidoni e mai Elleni o Achei.Infatti, i Mirmidoni sono abitanti della Ftia (in Tessaglia),mentre gli Achei sono abitanti della città di Argo, che erapelasgica 12 . Erodoto (I, 57) usava il termine Elleni per gliimmigrati greci, i quali si distinguevano dalla popolazione

9 P.Faure, 1975, p.223-224.10 H.Diller, 1962, p.39-82; P. Wathelet, 1975, p. 128.11 E.Lévy, 1969, p. 51.12  Ibid., p.51. 

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antica ed autoctona perché non parlavano il greco (da questapopolazione discendono gli Ateniesi), che chiamava anche

Pelasgi13. Altri autori sostengono che l’etnonimo elleno inizia adiffondersi solo all’inizio del VI secolo14. G. Rachet sottolineache l’appellativo  pre-ellenico non è idoneo per classificare leciviltà della Grecia precedenti all’invasione dei Dori. Secondolo stesso autore, questo termine è un espediente per definire il periodo di tempo prima del quale tutti gli abitanti della Grecia

sarebbero stati chiamati Elleni15

. Sempre G. Rachet sostieneche il nome di civiltà ellenica potrebbe essere utilizzato solo apartire dal VI secolo a.C. In conclusione, possiamo sostenerecon lo stesso Erodoto (I, 56-58) che il mondo ellenico si siasviluppato ellenizzando alcuni popoli barbari, soprattutto iPelasgi.

13 Iniziando dal IV secolo, i greci d’Oriente si chiamavano Romanoi(Romani). In conclusione possiamo dire che il termine elleno oggi hauna valenza che non si può paragonare con quella dell’antichità.

14 D. Briquel, 1984, p.20.15 G. Rachet, 1993, p.36.

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La leggenda albanese della nascita della dea Atena

Di Dhimitri Pilika

In Labëria 16 è ancora oggi conosciuta e tramandata unaleggenda sulle origini della dea dodonea Atena (pubblicata nel1875). La fonte di questa leggenda è una anziana signoravissuta nel XVIII secolo, originaria di Zhulat17.

“ Zoti18  , che era il re, dichiarò guerra ai Cretesi, perché essinon gli pagavano la tassa; però non aveva né navi e né armi per combattere. Così cercò l'aiuto di un re zoppo che viveva inuna terra lontana. Quando questi arrivò, Zoti, il re, andò dicorsa verso di lui per abbracciarlo. Mentre il re zoppo stavascendendo da cavallo, gli cadde l’ascia che teneva sulle spallee spaccò la testa a Zoti, il re; dalla testa del sovrano uscì unabellissima ragazza armata di tutto punto, che fu chiamataThëno (Atena). Il re zoppo unse con un miracoloso balsamo ilcapo di Zoti, il re, ed egli guarì; poi costruì per lui navi, asce,coltelli, spade, archi e tantissime altre armi di ogni tipo.Sbarcarono a Creta con molti guerrieri toschi e vinsero facilmente la guerra contro i Cretesi, e Zoti il re visse per molti

anni in quel paese. Poi mandò a chiamare gli altri Toschi e litrasferì con le navi a Creta perché quell'isola gli piacque.Quando sua figlia Thëno (Atena) giunse all'età adulta, sposò il

16 Labëria è una regione a sud dell’Albania; i suoi abitanti sonocomunemente conosciuti anche come Toschi. (N.d.T.)

17 Zhulat, è un paesino nei pressi di Valona in Albania. (N.d.T.)18 Labëria è una regione a sud dell’Albania; i suoi abitanti sono

comunemente conosciuti anche come Toschi. (N.d.T.)

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  figlio di un re di una terra lontana. Suo padre Zoti il re leregalò tanti castelli e addirittura ne costruì uno al quale diede

il suo nome, e lì essa vive circondata dai moltissimi figli ed èattualmente felice, e noi siamo felici qui.”Questa versione della leggenda sulla nascita della dea Atenadalla testa di suo padre, Zeus pelasgico di Dodona, ha unaparticolare importanza se teniamo conto che la mitologiaalbanese è la più antica sia nei Balcani che in Europa.

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La parola pelasgica “Zot” (che significa “Zeus”) in

alcune iscrizioni del I secolo a. C. e la sua totale

corrispondenza con la lingua albanese

Di Dhimitri Pilika

Nel novembre del 1961, a dieci chilometri a nord di Preveza(ex Nicopoli), vicino al villaggio Mihalici - nel cimitero di un

antica città tesprotica ancora sconosciuta (forse Berenica,fondata da Pirro Molosso) - è stata rinvenuta un'iscrizionerisalente al secolo V-IV a. C., sulla quale si legge chiaramenteil nome DIOZOTOS.In precedenza, vicino al paesino di Gurana, periferia dellaPandosia tesprotica, 30 km a sud di Dodona, è stata rinvenutaun'altra iscrizione con lo stesso antroponimo DIOZOTOS, cheviene datata intorno al IV secolo (360-365 a. C.).Se dobbiamo andare ancora più indietro nel tempo, verso laseconda metà del XIX secolo, era molto conosciutaun'iscrizione del VI secolo a. C., rinvenuta su un vaso diceramica, opera dell'artista pelasgico THEOZOTO, che eraconosciuto nel mondo antico, originario forse della Beozia. A

questo grande pittore i Greci avevano dato l’appellativo metek (straniero, non ellenico), per sminuire, con quel genericosoprannome, la sua vera origine, con molta probabilitàpelasgica.

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Vaso raffigurante scena con animali (sotto il vaso, la riproduzione completa della s

 firma dell'autore THEOZOTO. (secolo VI a. C. Museo del Louvre

 Particolare: la firma del maestro pelasgico THEOZOTO. Da notare che la firma è se

 greco S

La presenza, per niente casuale, della parola “ZO

tre iscrizioni, stranamente non è stata, finapprofondita come meriterebbe dagli studiosi.Gli antroponimi pelasgico – tesprotici DIOSZO

DIOZOTOS, tradotti letteralmente, significano

Zeus, di Dio; invece il nome THEOZOT /S/ (uomoSignore è una tautologia del greco ZEUS-DIOS,del pelasgico ZOT (in albanese Dio). Possiaappartiene alle tautologie studiate dal nostro ellKonda, come “MALOROS”, “MALEIAON OROPETRA”, “GURAS PETRAS” che incontriamo inCosì si evidenzia che 26 secoli fa, grazie alcomunicazione più usato in tutta l’Europa e nel Mecioè la lingua greca (scritta), è riuscita a diff sopravvivere l’ancestrale parola pelasgica ZOT.

iscrizioni possiamo dedurre che la parola pelaarrivata intatta alla odierna lingua albanese, e quinconsiderarle come i primi documenti dell’albanese

 cena). In calce, la

 za il suffisso finale

” in questead oggi,

OS oppure(uomo) di

) di Dio, delTHEÓ[S] eo dire chenista Spiro

” e GURO-Omero.

mezzo diiterraneo, endersi e aa queste tregica Zot èdi possiamocritto.

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Merita attenzione una fotografia di un vaso di ceramicarinvenuto a Taranto ed esposto nel museo di Benevento fino a

prima della seconda guerra mondiale (sfortunatamente è andatoperso durante un bombardamento), perché si nota l’iscrizioneBASILEUS PYRRO (secolo III a. C.). Così comenell’antroponimo THEOZOTO (secolo VI a. C.), anche quinon troviamo il suffisso S,  che è indispensabile nel grecoantico. Anche nella seconda iscrizione fra DIO e ZOT non

troviamo questo suffisso.Comunque questi “errori” linguistici ci dimostrano che gliautori epiroti che hanno inciso le iscrizioni non adoperavano ilgreco antico come lingua madre, in quanto scrivevano secondole regole di un'altra lingua che consideravano la propria: quellapelasgica.Questi tre documenti epigrafici, che non si possono decifrare

con il greco, hanno un inestimabile valore storico e linguisticoperché sono testimonianze autentiche del passato, e come talici aiutano a confermare quello che ritroviamo costantementenelle nostre fonti orali. Infatti, in alcuni racconti albanesipubblicati nel 1875, il re degli dei, a Dodona e dintorni, moltisecoli prima dei Greci, veniva chiamato solamente ZOT (chesta per Zeus, Dio, Signore, ecc.). In questa raccolta, pubblicatanella zona sud dell'Albania 136 anni fa (1875), si dice:“[…]   Zoti (Zeus),… secondo le credenze degli Epiroti, non ènato a Dodona, nei palazzi di suo padre Crono, ma a“Palavli”(paesino in Albania), dove si trovava uno dei tanti pascoli di Crono, e da lì è stato aiutato a fuggire dal porto diSaranda con destinazione Creta, dove è cresciuto e dove

regnò […], non lontano dal castello di Crono si trova un paese

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che si chiama “Palavia e Zotit” (Palavia di Zeus) […]  Lìarrivò Rea e partorì Zotin (Zeus) e lo aiutò nella sua fuga

verso Creta. Poi Zoti (Zeus) andò in Asia e arrivò fino in India[…].Credo che ulteriori commenti siano superflui.

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La divisione tra gli Albanesi ortodossi e

musulmani a causa della chiesa ortodossa

Di Elena Kocaqi Levanti

Il ruolo che ha avuto la chiesa ortodossa, sia quella greca chequella serba, nei confronti degli Albanesi, in diversi momentistorici, è stato a dir poco negativo. I chierici ortodossi, in

maniera aperta o nascosta, hanno cospirato per l’eliminazionedegli Albanesi. Per i chierici serbi gli Albanesi erano serpivelenose cui si doveva schiacciare la testa, dovevano essereeliminati, ammazzati19. La più alta istituzione spirituale serba,durante la guerra del 1999, sollecitava tutti i Serbi adammazzare più Albanesi che potevano. Queste azionidovevano essere compiute in nome del “Dio” serbo, con lagiustificazione che gli Albanesi sono degli infedeli e colui chesi sente un vero Serbo non deve avere nessuna pietà per “loro”.In poche parole, la chiesa del buon Dio, misericordioso egiusto, istigava i suoi adepti a uccisioni di massa. Non si saquale padrone serviva questa chiesa perché il Signore nonistiga all’uccisione, anzi condanna severamente un tale atto.

La chiesa ortodossa greco - serba odia gli Albanesi in quantotali, perché essi non vogliono essere assimilati dai Greci o daiSerbi. I chierici ortodossi sono stati a capo dei movimenti anti-albanesi nei Balcani. Loro furono gli ispiratori spirituali delnazionalismo greco – serbo, e dei massacri contro gli Albanesi.

19 Muhamet Shatri, LNÇ në Prizren dhe rrethinë (1941 – 1945), Prishtinë,1987, p. 186.

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Il ruolo della chiesa, in questo caso, invece di esserepacificatore, ha indotto ad atti disumani. Ciò dimostra

chiaramente che le gerarchie ecclesiastiche ortodosse sianostate coinvolte in movimenti politici.La chiesa ortodossa aveva come principale obbiettivo quello dicacciare gli Albanesi dalla loro terra perché volevaimpadronirsene. Va considerato, a tale riguardo, che la chiesa,in Grecia è la maggior proprietaria terriera anche oggigiorno.

La chiesa ortodossa fomentò la discordia tra gli Albanesimusulmani e quelli ortodossi affermando che gli ortodossierano greco - serbi e i musulmani erano albanesi.Il processo di ellenizzazione inizia con il diventare ortodosso econ l'imparare la lingua greca. Un prete che è diventato santo,S. Cosimo (detto anche Cosma), è stato uno dei più attivi nella“crociata” per l’assimilazione degli Albanesi. Lui predicava

agli Epiroti esortandoli ad imparare la lingua greca e, fra l'altro,diceva: “  Mandate i vostri figli a imparare la lingua greca  perché la nostra chiesa è greca. E tu, fratello mio, se nonimpari il greco non puoi capire quello che insegna la nostrachiesa. È molto meglio, fratello mio, avere la scuola greca neltuo paese che avere fiumi e fonti d’acqua. Qualunquecristiano, uomo o donna che sia, che voglia promettermi di non parlare la lingua albanese in casa propria si alzi in piedi e melo dica qui, ora. Io prenderò i suoi peccati su di me, dalla suanascita sino ad oggi […]  (Predica numero 7, indirizzata agliAlbanesi d’Epiro).Si capisce chiaramente che S. Cosimo invitava gli Albanesi,soprattutto giovani e bambini, ad imparare la lingua greca

perché tale era l'idioma della chiesa ortodossa e secondo lui

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non sarebbe mai diventata albanese. Lui imponeva agliAlbanesi di non parlare più la loro lingua con il chiaro scopo

di assimilarli.A Samarina la popolazione era vlacha. In un discorso tenutocontro la loro lingua, S. Cosimo d’Etolia disse ai presenti leparole più ridicole che possano uscire dalla bocca di un prete:“ Il Signore si offende quando sente preghiere o lodi in linguavlacha. Affinché il Signore possa prendere in considerazione le

  preghiere dei fedeli ortodossi, queste si devono recitare inlingua greca. Quando il Signore parla con gli angeli parla ingreco, invece quando la sua ira è rivolta al diavolo parla inlingua valacha.”Quando lui predicava diceva: “Tutte le religioni del mondosono fasulle, soltanto la religione ortodossa è ineccepibile esacra.” (Predicazione numero 1).

Per il “santo” sopracitato, lo scrittore e storico albanese KristoFrashëri ha scritto: “Cosma d’Etolia, non era soltanto unmissionario dell’ortodossia fanariota, ma soprattutto, cosicome assodato dagli odierni storici greci, era il portabandieradell’ellenizzazione.”20 Storici greci come Sakelariu considerano Cosma d’Etolia come“una delle figure più radiose, che ha lavorato per la preparazione della Rinascita greca”21. Cosma d’Etolia ha datoveramente il suo contributo per l’ellenizzazione dell’Albaniadel Sud, ed ha lavorato instancabilmente affinché una partedegli Albanesi ortodossi imparasse la lingua greca e potesse

20 Il giornale “Korrieri” , 8 dicembre 2004.21 Epirus, 4000 years of Greek history and civilization, Athens 1997.

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essere considerata una minoranza grecofona, provando a farlerinnegare la sua origine albanese.

In conclusione, la chiesa ortodossa greco–serba ha avuto unruolo primario nella politica nazionalista e soprattuttoantialbanese nei Balcani. Il comportamento delle gerarchieortodosse è stato uno dei motivi delle sofferenze degli Albanesiche, di natura, sono tolleranti sulle questioni religiose; infattinon hanno mai ucciso o perseguitato per motivi religiosi altre

popolazioni o minoranze etniche.

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L’invasione del Kosovo e l’inizio della sua

colonizzazione da parte dei Serbi

Di Elena Kocaqi Levanti

Nel 1912 ebbe inizio la guerra balcanica. Questa guerra avevacome principali protagonisti tre stati balcanici che erano alleaticon la Russia: la Serbia, la Grecia e la Bulgaria. La guerra

scoppiò per la spartizione delle terre che erano occupatedall’Impero Ottomano che, di fatto, erano territori abitati dagliAlbanesi. Dunque le guerre balcaniche vennero alimentate dalnazionalismo estremo greco e serbo, e l’unico fine eraappropriarsi delle terre degli Albanesi, possibilmenteassimilandoli o addirittura sterminandoli. Le Grandi Potenzeregalarono alla Serbia il Kosovo, e fu proprio questa l’area dadove i Serbi iniziarono a realizzare i loro piani per lo sterminiodegli Albanesi.Secondo Yusuf Osman, e in base ai registri del catasto, le terrealbanesi in quel periodo avevano una superficie di 115.000km2. In seguito, allo stato albanese rimasero solo 28.000 km2;il resto del territorio passò alla Serbia e alla Grecia. Dopo avere

preso le terre albanesi, la Serbia espanse la sua dimensionegeografica e demografica aumentando dell'82% in superficie edel 55% in popolazione.Il Montenegro crebbe del 62% come territorio e del 100%come popolazione.

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La Grecia aumentò del 67% in estensione e del 68% perpopolazione22.

Grazie all'appoggio delle Grandi Potenze, la Serbia incrementòla propria popolazione fino ad avere 1,6 milioni abitanti dopoaver ricevuto 13.000 km2 dall'Impero Ottomano, in gran parteterritori albanesi. La crescita della popolazione non eranaturale. Nel 1886 la Serbia contava 1,3 milioni abitanti,invece nella I Guerra Mondiale arrivò fino a 3,2 milioni

abitanti. Come si può vedere, la Grande Serbia, la GrandeGrecia e il Montenegro si formarono acquisendo territorialbanesi. Il fatto più assurdo è che questi paesi quasiraddoppiarono le loro popolazioni incrementandole con iresidenti albanesi.Durante gli anni 1912-1914 vennero uccisi quasi 26.000albanesi e ne furono imprigionati altri 21.000; in Turchia ne

vennero internati 500.000. Nel 1915 se ne imprigionarono altri120.00023. In quel periodo, dunque, furono internati in totaleall’incirca 620.000 albanesi, che vennero sostituiti con 20.000serbi e 6.000 montenegrini24. Negli anni 1912-1915 dalla città

22 Guarda Nuri Bashota, Tokat shqiptare në udhëkryqin e tanishëmballkanik, Shqiptarët në rrjedhat ballkanike, Prishtinë, 1996, p. 275.

23 H. Bajrami, Konventa jugoslavo-turke për shpërnguljen e shqiptarëve,“Gjurmime albanologjike”, 1982. 

24 H. Bajrami, Politika e shfarosjes së shqiptarëve dhe kolonizimi serb i 

Kosovës (1844-1945), Prishtinë 1995, p. 27. 

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di Manastir furono deportati in Turchia un numeroapprossimativo di 130.000 albanesi.

Leo Freundlich scrive: “ Migliaia di uomini, donne, bambini eanziani uccisi e massacrati. Interi paesi bruciati e casesaccheggiate. Donne e ragazze trattate in modo disumano. Un paese devastato, saccheggiato, lavato nel sangue e umiliato, cidimostra che i Serbi in Albania non sono entrati comeliberatori, ma come assassini degli Albanesi... innumerevoli

villaggi sono stati rasi al suolo, le persone sono statemassacrate in massa senza ombra di compassione. Il luogo delquale generazioni di Albanesi poveri avevano fatto la loro patria ormai è trasformato in una distesa di cumuli di rovine.  L'intera nazione è stata crocifissa, il sangue continua ascorrere ma l'Europa tace…” (Leo Freundlich, Vienna 1913.).Edith Durham scrisse nel 1913: “  A Shalë (paese albanese

  N.d.T.) i musulmani o si dovevano battezzare o dovevanomorire. A Pec un uomo raccontava che il governo ogni giornoannunciava la fucilazione di dieci uomini. Nessuno sapeva chi fossero e per quale motivo li uccidessero. Li portavano davantia una grande fossa che sarebbe diventata la loro tomba.”La terra che i Serbi presero nel 1912 era al 90% di proprietàdegli Albanesi ricchi. La Serbia promulgò diverse leggi perespropriarli delle loro terre e darle ai cittadini serbi.Le uccisioni e la violenza nei confronti degli albanesicontinuarono sistematicamente anche dopo la creazione dellaJugoslavia. Il giornale di Belgrado  Rad  scriveva il 5 agosto1925: “É da diversi giorni che le case bruciano. È difficilesentire le urla dei bambini e dei vecchi che vengono maltrattati

 per derubarli. La Serbia ha creato una provincia con cittadini

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di serie B. La stanno bruciando villaggi interi, si massacranogli uomini e le atrocità sono infinite. Nessuno in questo paese

(in Kosovo, N.d.T.) ha scrupoli. Come l’ultimo cannibale, il  potere dello stato predica lo sterminio di una etnia a causadella sua identità nazionale e religiosa.”Dopo che gli Albanesi se ne furono andati dai loro territori einteri villaggi rimasero disabitati, subito furono ripopolati dacoloni serbi. L’obbiettivo di questa colonizzazione era

cambiare la nazionalità di quei paesi, da albanesi in serbi. Inpratica erano rimaste talmente tante terre libere tra quelle cheerano appartenute agli Albanesi, che Belgrado pianificò diportare dei Russi dalla loro madrepatria così come inprecedenza aveva fatto la Grecia.I coloni serbi arrivarono anche dall’America, dall'Europa e daaltri paesi dove vivevano e lavoravano. Entro pochissimo

tempo intere famiglie di origine serba dal niente si trovavanoproprietarie di appezzamenti di terreno da 4 o 5 fino a 40 ettari.Nel periodo fra le due guerre mondiali lo stato Serbo, con lascusa della riforma agraria, espropriò migliaia di ettari di terrache appartenevano agli Albanesi per darli ai Serbi. Durantequesto periodo in Kosovo furono trasferite 13.482 famiglie in594 insediamenti25.Nel 1930 lasciarono il loro paese e se ne andarono in Asia30.000 albanesi; le loro terre furono vendute a bassi prezzi aicoloni montenegrini. Invece altri 6.000 albanesi ritornarono inAlbania. La migrazione degli Albanesi proseguiva a ritmi alti,

25 Registro delle colonie del giorno 8/04/1940.

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e nello stesso tempo continuava la sostituzione nei villaggi cheloro lasciavano con coloni serbi e montenegrini.

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Il regno del Principe di Wied

Di Ferdinando Salleo

La ricerca di un Principe per l’Albania, come la Conferenzadegli Ambasciatori aveva stabilito, cominciò subito. La nominadi un sovrano straniero non era certo una prassi nuova. Nelcorso del secolo precedente le Potenze avevano assegnato ainuovi Stati che sorgevano dallo smembramento del’ImperoOttomano principi europei appartenenti soprattutto alle piccoledinastie tedesche, quasi tutte “mediatizzate” cioè privatizzate omeglio ridotte allo stato di sovranità virtuale conl’incorporazione dei loro principati in Stati tedeschi più grandi,quelle dinastie che sono state per secoli la grande riserva dei

matrimoni regali. Doveva naturalmente trattarsi di un principeche raccogliesse il consenso delle Potenze e quindi non legatoad una Casa regnante troppo potente o direttamente implicatanella regione. Si era sempre trattato poi di principi cristiani,protestanti o cattolici che adottavano di buon grado laconfessione del loro regno. Ma l’Albania, prevalentementemusulmana, era un caso nuovo e diverso.

Per l’Albania la rosa dei candidati fu inizialmente piuttostoampia. Già nel marzo del 1912, Ferdinando di Borbone –Orléans, Duca di Montpensier, si era recato su uno Yachtinglese a Valona ed aveva proclamato la propria candidatura altrono d’Albania. Cordialmente ricevuto dagli albanesi, erapartito per Roma, Parigi, Vienna e Londra con Isa Boletini, uno

dei capi della sollevazione del Kosovo contro i turchi, per

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raccogliere appoggi per l’indipendenza albanese, ma con pocosuccesso. Il tempo non era ancora maturo, ma gli avvenimenti

incalzavano.Dopo Londra, le Potenze iniziarono complesse ed intenseconsultazioni con tutta l’attenzione per i delicati equilibri chegià si prefiguravano. Oltre a Montpensier, tra i candidatiinizialmente presi in considerazione figuravano i principiMaurizio di Schaumburg-Lippè, Karl von Urach, Ghika di

Romania, Rolando Buonaparte, Arthur of Connaught, il Contedi Torino ed anche un discendente di Skanderbeg che viveva inItalia, Aladro Castriota. La Sublime Porta, in considerazionedella religione della maggioranza dei futuri sudditi, propose asua volta tre principi musulmani, Burhan Eddin e Abdul Mejid,della dinastia ottomana, e il Principe d’Egitto Ahmed FuatPascià, discendente di Mohamed Ali e, quindi, egli stesso di

origine albanese. Tutti, per qualche ragione, suscitarono leobbiezioni dell’una o dell’altra parte delle potenze o sidichiararono poco interessati ad impegnarsi in un’impresa cosialeatoria. Gli stessi dignitari del governo provvisorio e IsmailKemal fecero sapere a loro volta alle Potenze, ma anche aCostantinopoli, di preferire un principe europeo, quasi asottolineare una scelta occidentale per il nuovo stato.Alla fine, sotto la pressione temporale, la decisione fu affidataall’Austro – Ungheria ed all’Italia che concordarono sul nomedi un principe tedesco protestante, estraneo quindi allequerelles religiose degli albanesi, Guglielmo di Wied. La sceltafu subito nota, in realtà prima ancora dell’accettazione formaledel Wied che però, già all’inizio del 1914, fece sapere a sua

volta di avere scelto come capitale Durazzo.

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Capitano nello Stato Maggiore tedesco, soldato con forte sensodell’onore e nessuna esperienza diplomatica o di governo,

Guglielmo di Wied si avviò dunque verso un’avventura assaiincerta che avrebbe comunque richiesto un talento eccezionalee molta fortuna.La regina Elisabetta di Romania, scrittrice ben nota sotto lopseudonimo di “Carmen Sylva”, amava molto il nipote edaveva indotto Re Carol a battersi attivamente perché la scelta

cadesse su di lui. Scrisse sul giovane principe articoli ispirati epoetici e addirittura che “i romeni lo avevano chiamatoLohengrin quando apparve loro nell’uniforme bianca dellaGuardia del Corpo, con l’aquila d’argento”.La stampa italiana fu subito entusiasta del “Sovrano presceltodall’Europa” e riprese, con commenti non meno laudativi, ledescrizioni di un principe che non conosceva affatto. Gli

articoli di “Carmen Sylva” ebbero il posto d’onore sulle rivisteassieme alle ricostruzioni di un’adolescenza e di unagiovinezza esemplari.L’Imperatore della Germania sembrava piuttosto freddo sullequalità del cugino, tanto che si scrisse già allora che gli avesseconsigliato di non accettare. La smentita fu immediata: ilKaiser gli aveva bensì esposto le difficoltà al momento dellaproposta, ma dopo l’accettazione nulla aveva fatto perrecedere. Nelle memorie, scritte dopo gli avvenimentid’Albania e la stessa Guerra Mondiale, Guglielmo II ribadìtuttavia non pochi dubbi sulle capacità di governo del Principedi Wied, ma si può certo notare che egli stesso non erasull’argomento il più qualificato dei giudici.

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Con compassionevole equilibro e non poca saggezza,monsignor Fan Noli, l’ecclesiastico ortodosso che fu una figura

politica importante nelle successive vicende albanesi, scrisseche il Principe di Wied poteva “essere criticato per non esserestato capace di far miracoli”.Guglielmo di Wied scrisse a sua volta un testo di memorie incui ripetutamente lamentò che gli intrighi italiani, russi efrancesi e le mene dei loro protetti, “l’immunità della Grecia

per le sue macchinazioni”, ma anche la “neutralità” dellaGermania e dell’Inghilterra, avessero reso impossibile il suocompito e segnato il destino del breve regno. Cercò anche dispiegare la freddezza di Guglielmo II per la sua avventuraalbanese con il fatto che l’Imperatone “non amava l’Albania”ed era “in fondo filo greco” per l’influenza della sorella,Regina di Grecia e del cognato Re Costantino.

In una lettera allo storico inglese Swire, il Principe invocò lapreponderanza del contesto europeo per giustificare il marasmain cui alla fine il suo regno in Albania era stato travolto escrisse che, quando l’intesa austro – italiana venne a mancare eil “clima di preservazione della pace cambiò in quello dellapreparazione della guerra”, l’intera base della missione sidissolse, ma arrivò ad affermare che “in circostanze normali néEssad Pascià né i poveri illusi ribelli di Shijak avrebbero osatoopporsi alle decisioni dell’Europa”.Il 6 febbraio, autorizzato dall’Austria – Ungheria e dall’Italia,il Principe di Wied comunicò agli ambasciatori a Berlino diRussia, Gran Bretagna e Francia la propria disponibilità e il 21febbraio accettò formalmente il trono nell’incontro con la

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deputazione albanese che si era recata a Neuwied peroffrirglielo.

Dalla designazione del Principe all’accettazione della coronapassarono due mesi e da questa alla partenza per Durazzo solopoche settimane, ma le turbolenze e le beghe locali non sicalmarono, anzi si fecero più aspre ed in realtà anticiparono atutti le stesse difficoltà dell’impresa.Il Principe avrebbe preferito aspettare che si chiarisse

l’intricata situazione del suo regno prima di prendere possesso,ma Berchtold premeva perché partisse al più presto perl’Albania dove la situazione si complicava sempre più. Nellostesso senso si muovevano le altri capitali europee ed anche igreci che, in fondo, non vedevano con sfavore un lentoimpianto del nuovo regime che prevedevano lento eimpacciato, mentre temevano un deciso intervento in Epiro da

parte delle Potenze.I disordini continuarono ad intermittenza a Valona e adElbasan, come del resto nell’interno del paese. Nel Sud i greci,come abbiamo visto, facevano orecchio da mercante allerichieste della Commissione Internazionale ed alle ingiunzionidelle Potenze e mantenevano l’occupazione “dell’Epiro delNord”. A Valona, sede del governo provvisorio, gli intrighi trai capi albanesi erano continui, peggiorati poi dall’azioneincessante degli agenti turchi che fomentavano il malcontentotra i musulmani per la nomina di un principe straniero ecristiano.La rivalità era molto forte a Valona tra il capo del governoprovvisorio Ismail Kemal ed il Presidente del Senato Essad

Pascià. “La torbida vigilia di un regno” intitolò Gino Berri il

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commento editoriale “dell’Illustrazione Italiana” descrivendosenza mezzi termini i precedenti sanguinosi e gli intrighi attuali

di Essad, “astuto, audace, suddito poco raccomandabile” e larisolutezza del “partito musulmano” che aveva perso la manchenella partita con le Potenze, ma che avrebbe continuato acercare a qualunque costo di guadagnare il potere “finché vorràAllah ed… Essad Pascià”.Lo scontro tra le due personalità scoppiò quando un tentativo di

colpo di stato filo – ottomano fu sventato all’ultimo momento,ma obbligò comunque il governo provvisorio a proclamare lostato d’assedio.Il fallito colpo di stato di Bakir Aga bey avrebbe dovutoribaltare le decisioni di Londra e concludersi con l’offerta dellacorona a Izzet Pascià che era stato il ministro ottomano dellaGuerra ed era albanese di origine, anche se non ne parlava la

lingua. Izzet negò prontamente, ma, accanto agli ovvi sospettidi manovre turche, il gioco delle accuse reciproche ripresesubito dalla stampa europea additò a turno come ispiratori delcomplotto sia Essad che Ismail Kemal – che naturalmentesmentirono indignati – ed alimentò le prime voci di rinuncia altrono da parte del Wied.Bekir fu subito processato a porte chiuse con i complici da untribunale presieduto dal generale De Weer – al processoemersero elementi di un complotto giovane – turco e furonosequestrati documenti compromettenti, soprattutto per Essad –e fu condannato a morte. Tuttavia, la Commissione diControllo decise di soprassedere all’esecuzione e di rimettereogni decisione all’arrivo del Principe.

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A Brindisi sbarcarono intanto molti albanesi che portavanonotizie preoccupanti, tanto che subito si scrisse che il Wied

“non avrebbe trovato sudditi” e che tutti lo avversavano per laquestione religiosa o per la scelta della capitale, perché ladecisione per Durazzo aveva “offeso” gli altri centri del paese.“Albania in fiamme? Gravi notizie da Valona e Brindisi.L’Italia si premunisce” intitolava il “Giornale di Sicilia” del13–14 gennaio e “Essad assicura fedeltà all’eletto

dell’Europa”.Il giorno dopo il “Corriere della Sera” pubblicò infattiun’intervista che Essad Pascià aveva rilasciato a Durazzo. Purnon smentendo i sentimenti che provava per la Turchia, ilpascià cercava soprattutto di far capire al Wied che in realtàdoveva il trono a lui, ma che egli stesso non disperava didiventare un giorno principe d’Albania. Un messaggio di

fedeltà piuttosto strano ed un tortuoso discorso politico che ilPrincipe forse non avrebbe capito se Essad non si fossepremurato di chiarirgliene il senso con incredibile lettera diallègiance che la stampa viennese pubblicò una settimanadopo. Il pascià assicurò al Principe che “vita sua durante o finoa che egli rinunziasse al trono, nessuna altra persona [sarebbestata] fatta re d’Albania” e concludeva “nel caso che SuaAltezza rinunziasse o morisse, sarei io solo che potreisuccedergli”.Cominciarono a percepirsi i malumori contro Wied perché ladata della partenza, più volta anticipata dai giornali, slittavasempre. Apparvero i primi articoli sulla necessità che ilPrincipe andasse al più presto a Durazzo “affinché le

popolazioni [vedessero] la volontà dell’Europa rispettata”. Il

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“Giornale di Sicilia” si disse certo che “la sua vita [sarebbestata] triste e grama”, ma assicurò di seguirne le vicende “con

ammirazione, simpatia e timore”.Alla “Zeit” di Vienna diversi potentati albanesi rilasciarono lepiù bizzarre dichiarazioni. Alcuni definirono il metodo adottatoper la scelta del Principe “una mancanza di riguardo da partedelle Potenze”, altri previdero con accenti minacciosi che lefeste per l’arrivo del Sovrano avrebbero potuto essere “turbate

da fucilate […] di gioia” e precisarono che si prevedeva lapartecipazione di cinquantamila albanesi “che portano semprele armi e non si sa mai […]”. Un intervistato deplorò che ilWied non fosse ancora andato in Albania per aspettare “imilioni promessi dall’Europa”, ma che intanto “aveva spedito500 colli e il suo medico personale per accettare le condizionisanitarie” ed un altro infine, che il Principe “avrebbe fatto

comprendere di volersi circondare solo di tedeschi e inglesi e divoler escludere dalla sua corte la vecchia aristocrazia albanese[…]”.La situazione del governo provvisorio era diventata intantoinsostenibile. Il 15 gennaio Ismail Kemal propose che laCommissione di Controllo assumesse il governo provvisorio.Le Potenze accettarono ringraziando molto calorosamentel’anziano patriota che partì per l’Europa dopo aver inviato aSan Giuliano e Berchtold un nobile messaggio in cui li pregavadi “assistere questo popolo valoroso ed infelice e difendere isuoi diritti troppo poco rispettati dai suoi nemici”.Con la partenza di Ismail Kemal e di Essad – che avevapromesso di dare le dimissioni contemporaneamente – un

periodo di relativa calma avrebbe potuto instaurarsi, ma Essad

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finse di dimettersi ( si giustificò poi dicendo che Ismail Kemalera stato in realtà destituito e che il complotto di Bekir era

ancora in atto) ed anzi fece sapere che sarebbe egli stessoandato incontro al Principe di Wied, felice di potergli offrirepersonalmente il trono d’Albania.La Commissione a sua volta si limitò a porre come condizioneche Essad desse le dimissioni prima della partenza e loincaricò di presiedere la deputazione che avrebbe offerto la

corona al Principe. Il gioco d’azzardo del pascià era riuscito.Sul terreno, gli ufficiali olandesi cominciarono ad organizzarela gendarmeria. Il maggior Thomson formò i reparti destinatiall’Albania meridionale e affidò “al loro patriottismol’indipendenza del paese”. I problemi finanziari rimasero peròinsoluti. In realtà, in febbraio non era stato ancora versata laprima rata del prestito di 75 milioni di franchi oro promesso

dalle Potenze, tanto che l’Austro - Ungheria e l’Italiaaccettarono di anticipare 5 milioni ciascuna.Il principe aveva cominciato a costituire la sua Corte ed avevaprogrammato le visite ufficiali alle Potenze che lo avevanonominato, prima a Roma ed a Vienna, poi a Londra ed a Parigicercando di mantenere equilibrati i rapporti con l’Austria –Ungheria e l’Italia, ma non trascurando quelli con l’intesa.A Durazzo iniziarono subito i lavori di restauro di unpalazzotto un po’ sconquassato destinato a diventare la reggiadel Principe d’Albania. Da Berlino arrivarono suppellettili emobili inviati dal Wied, da Vienna i restauratori.Dovettero arrivare a Durazzo anche “sedici cavalli damaneggio e i tre costumi rossi da caccia” su cui, dopo la fine

del regno, ironizzò “l’Illustrazione Italiana” che però aveva

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salutato il Principe all’arrivo a Roma come “personaggio digrande distinzione, di gusti raffinatissimi e magnifico signore”

e aveva dedicato addirittura la copertina al suo ritratto con SanGiuliano.Accolto con commenti di simpatia e con un certo trionfalismoperché “nella formazione dello nuovo Stato aveva prevalso lapolitica italiana”, Guglielmo di Wied arrivò infatti a Roma il10 febbraio a ricevere dal re d’Italia “una specie di investitura

morale”.Il Principe incontrò Vittorio Emanuele III che gli conferì ilcollare di San Maurizio e Lazzaro, visitò il Presidente delConsiglio Giolitti ed ebbe un lungo colloquio con SanGiuliano. Il “Giornale d’Italia” sottolineò che non si trattava“di semplici visite protocollari, ma di veri e propri convegnid’affari dai quali [il Wied] trarrà norma per regolarsi nell’ardua

opera di governo, attraverso mille difficoltà che deriveranno,non soltanto dalle condizioni interne dell’Albania, ma anchedalla situazione diplomatica, richiedente uno squisito senso diequilibrio” e auspicò con tono di avvertimento che il Principedi Wied avesse compreso che “la strada per Durazzo passa perRoma e per Vienna […]”.“La Tribuna”, più ottimista, scrisse invece: “L’Albania dopo leconvulsioni partigiane di Valona e Durazzo […] si ètranquillizzata in un’intesa pienamente fiduciosa del sovranoche le Potenze hanno scelto. Il Principe di Wied ha oggiintorno a sé i migliori elementi del nuovo Stato. Vi è unaconcordia che poteva sembrare perfino incredibile”. Tuttosembrava pronto per la grande avventura. Il diavolo, però,

come si dice, si nasconde sempre nei dettagli e non tarda a

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manifestarsi. In particolare quando i nervi tutt’attorno sono afior di pelle. All’indomani di questi commenti ottimisti si

apprese che, dopo le visite nelle capitali della Triplice e dopoessere tornato a Neuwied per accettare la corona, il Principesarebbe partito per Durazzo con lo yacht della marina da guerraaustriaca “Taurus”, specialmente allestito per il viaggio escortato dalla squadra navale internazionale, imbarcandosi aTrieste. Ma una tradizione “mai violata dal 1866” (l’anno della

battaglia di Lissa) voleva che nessuna nave da guerra italianavisitasse Trieste.Il capitano Castoldi – l’ufficiale italiano “comandato presso ilministero degli Esteri per missioni diplomatiche” che non ildiplomatico austriaco Buchberger formava il gabinetto politicodel Principe – si affrettò a minimizzare il caso e a sottolinearesoprattutto l’esigenza della collaborazione italo – austriaca e la

sincerità dei rapporti tra le due capitali. Tuttavia, il fermentopolitico suscitato a Trieste ed a Roma della notizia fu tale che ilministero della Marina annunciò che l’incrociatore “Quarto”,designato a scortare il Principe, sarebbe rimasto in Adriatico edavrebbe raggiunto la “Taurus” in alto mare.Il 12 febbraio Essad partì dall’Albania per la sua missionesolenne dopo aver pronunciato un discorso inneggiante alPrincipe. Il giorno successivo – tre giorni dopo la visita romanadi Wied – il pascià, senza batter ciglio, dichiarò a Roma aigiornalisti che “solo pochi turbolenti avevano potuto per unmomento far credere all’Europa che in Albania esistessero veree proprie scissioni” e professò orgoglio e gratitudine per lamissione di cui si era fatto incaricare aggiungendo: “la

delegazione che io presiedo è la prima manifestazione di

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coscienza collettiva che il popolo albanese abbia offerto daitempi di Skanderbeg”.

A Colonia la deputazione albanese fece tappa per definire ilprotocollo della cerimonia di offerta della corona. Sorse unpiccolo problema formale: Essad avrebbe letto al Principe ilsuo indirizzo in albanese e lo avrebbe chiamato  Mbret  (sire,principe, re o sovrano), ma quale titolo sarebbe stato usatonella traduzione francese che avrebbe consegnato al  Mbret,

quello di principe o di re d’Albania? Intanto, le corone che ilgioielliere Dopler aveva disegnato - “due cerchi d’orotempestati di turchesi” – non sarebbero state sormontate dallacroce né dalla mezzaluna, ma da un terzo e più neutralesimbolo della stella.Il 21 febbraio Neuwied, cittadina della Prussia renana decorataa festa con un arco di trionfo dinanzi al castello dei Wied,

accolse la deputazione albanese che si presentò in abito nero ecilindro ricevuta dal maresciallo di Corte. Il Principe salutòEssad Pascià che pronunciò il discorso con cui lo pregava diaccettare la corona dell’Albania “libera e indipendente,costretta a combattere tenacemente per la sua indipendenza, mache non aveva mai dimenticato il suo passato glorioso ed i suoiconvincimenti e aveva saputo mantenere lo spirito nazionale ela lingua dei padri”. Essad assicurò al Principe che “glialbanesi sarebbero stati senza eccezione fedeli sudditi di VostraAltezza e costantemente pronti ad aiutare i suoi sforzi percondurre l’Albania verso un avvenire prospero e glorioso” econcluse con il rituale “Viva il Mbret d’Albania”.Guglielmo di Wied rispose in tedesco accettando il trono “del

paese che dopo combattimenti e difficoltà numerose aveva

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riconquistato in fine la libertà” ed assicurò tutto il suo impegnoper il benessere del popolo albanese . il Principe non nascose le

esitazioni che aveva avuto, consapevole delle grandi difficoltàe delle responsabilità connesse, ma concluse accogliendol’assicurazione della fedeltà e dell’appoggio di tutti glialbanesi.Nello stesso tempo, sulla via del ritorno di Durazzo, EssadPascià si fermò a Vienna dove il 1° marzo, con lo stesso rituale

di Roma, fu ricevuto dal vecchio Imperatore e da Berchtold ilquale gli rimise la Croce dell’ordine di Francesco Giuseppe.Particolare curioso, ma non inutile per far capire la concorrenzaaustro – italiana, lo stesso giorno l’ambasciatore Avarna invitòEssad in Ambasciata e gli consegnò le insegne di Cavalieredella Corona d’Italia.In Albania intanto la confusione cresceva. Una dimostrazione

patriottica ortodossa a favore del Wied fu organizzata aDurazzo dove, dal canto suo, il muftì dei musulmani tenne undiscorso inneggiante all’unione degli albanesi senza distinzionedi religione. Contemporaneamente, però, Zographos telegrafòda Corfù alla Commissione di controllo che “un’assembleadegli epiroti” tenuta ad Argirocastro aveva deliberato di nonriconoscere la sovranità albanese e di considerare atto ostilel’ingresso di truppe albanesi in “Epiro”.Sulla via di Durazzo, il Principe fu accolto festosamente aTrieste il 5 marzo non solo dalle autorità austriache, ma daidignitari cattolici albanesi legati all’Austria, l’arcivescovoBianchi, il canonico della capitale ed il potente monsignorCaciorri (Kaçori). Dopo l’imbarco sulla “Taurus” che batteva

la bandiera albanese ed una visita al castello di Miramare

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salutato dalle salve di cannone di rito il Principe con laconsorte ed il seguito prese il mare con la scorta navale

internazionale alla quale poi si aggiunsero le navi italiane conalla testa l’incrociatore “Quarto”.Preceduti da un discorso di Essad, il 7 marzo 1914 i sovraniinfine sbarcarono a Durazzo imbandierata e inghirlandata,festeggiati dalle salve di cannone delle navi da guerra e dellabatteria della capitale, accompagnati da due battaglioni

d’onore, uno italiano ed uno austriaco, accolti dal prefetto dellacittà, dal generale De Weer che comandava la gendarmeria edai dignitari albanesi, mentre la banda suonava l’innonazionale composto dal maestro italiano Nardella e ledelegazioni di benvenuto offrivano fiori alla principessa.Entusiastiche manifestazioni riempirono la città dove, accantoalle delegazioni straniere, si schierarono le deputazioni di ogni

parte del paese, delle province “non ancora libere” e dellecolonie albanesi all’estero e degli arbëresh italiani permanifestare omaggio e fedeltà al Mbret d’Albania.All’arrivo, il Principe rilasciò una dichiarazione cheapparirebbe sorprendente – ed è infatti un ossimoro quasiubuesque – qualora non si collocassimo nel tempo enell’atmosfera: “Sarà un regime il mio né assoluto nécostituzionale: la mia volontà entrerà direttamentenell’organizzazione dello Stato, ma il paese vi avrà i suoiinterpreti mercé l’azione di un Senato eletto metà da me e metàdal popolo”.Come che fosse, le feste per l’arrivo del sovrano durarono unasettimana e si conclusero il 16 nella cattedrale ortodossa alla

presenza dell’arcivescovo cattolico di Scutari, monsignor

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Sereggi (Serreqi) e dell’abate dei mirditi con un solenne TeDeum in onore del Principe che indossò per l’occasione

l’uniforme azzurra di generale albanese, “Accompagnato dallaPrincipessa, in abito viola”.Forse anche per smentire le dicerie della vigilia, l’imperatoreGuglielmo II fece sapere agli albanesi in un proclama “che ciattendiamo che tutti voi accorriate attorno al vostro re elavoriate con noi per il compimento delle aspirazioni

nazionali”.Il Principe d’Albania formò subito il suo governo. TurkhanPascià Pëmeti, anziano ambasciatore ottomano, fu il primoPresidente del consiglio e ministro degli Esteri dell’Albaniaindipendente ed Essad Pascià Toptani fu nominato generale,ministro della Guerra e, dopo poco, anche dell’Interno comeresponsabile della sicurezza nazionale. Mufid bey Libohova

ricoprì l’incarico di ministro della Giustizia e degli AffariReligiosi.Anche l’organizzazione della Corte prese forma. Oltre aTrotha, ne fecero parte Castoldi e Buchberger, consiglieri delprincipe ed il segretario particolare, l’inglese D. EatonArmstrong. Tre albanesi completavano la piccola struttura, ilciambellano Sami bey Vrioni e due aiutanti di campo, Ekrembey Libohova e Selim bey Vassa.Il Wied iniziò però il regno con una decisione poco felice e ,appena formato il governo, rimandò a Valona la CommissioneInternazionale di Controllo che avrebbe dovuto assisterlosecondo le decisioni di Londra e soprintendereall’amministrazione civile ed alle finanze e, soprattutto,

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avrebbe potuto essere un buon alleato presso le capitali dellePotenze.

La vita del nuovo regno cominciò comunque con avvenimentiche, nelle immagini delle fotografie e nelle descrizioni deigiornali, ricordano vivamente la vita sociale delle colonieeuropee nel Mediterraneo ottomano: ricevimenti, caffèall’aperto, tennis, ufficiali e signore eleganti.La turbolenta realtà albanese però incalzava. Una delle prime

leggi che istituiva il servizio militare destò immediatamenteinquietudine, specie tra i montanari che ne erano esenti, mentrel’instabilità interna era già in agguato e si manifestò quasisubito.L’innesco fu l’occupazione greca nel Sud. Reparti di “volontariepiroti” attaccarono la gendarmeria che a sua volta sembròtenere bene il campo anche con l’aiuto di rinforzi inviati dal

Nord da Bib Doda, il “principe” dei mirditi. Cominciarono adarrivare profughi musulmani da Tepelena e Argirocastro.Korcia fu soccorsa dal governatore di Elbasan. Ad Argirocastrola gendarmeria intervene per circondare il quartiere degli“epiroti”, ma su trovò ad affrontare truppe regolari grechecomandate dal generale Papoulias. La violazione greca erachiara ed il Principe protestò con i governi europei. Preseanche in considerazione una spedizione armata, sembra istigatodal bellicoso Essad che dichiarò di voler marciare in Epiro conventicinquemila uomini.La Commissione Internazionale, incaricata dalle Potenze esorretta dalle intese italo – austriache di Abbazia, proseguì letrattative e concluse il 17 maggio con le autorità greche,

presenti gli “epiroti” di Zographos, le “disposizioni” di Corfù

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da sottoporre alle capitali europee che ne avrebbero dovutogarantire l’attuazione. L’approvazione intervenne in realtà solo

il 2 luglio.Le “disposizioni” confermarono la necessità della completaevacuazione greca, ma gli “epiroti” ottennero una notevolemisura di autonomia che comprendeva in anzitutto lariconversione delle loro bande armate in una gendarmerialocale da impiegare solo nei distretti di Korcia ed Argirocastro,

composta dei volontari che erano già sotto le armi, comandatiperò da ufficiali olandesi.Nei due distretti il governo albanese avrebbe nominatogovernatori cristiani che sarebbero stati affiancati da consiglieletti a suffragio universale. La completa libertà religiosavenne assicurata, la lingua greca sarebbe stata insegnata nellescuole primarie e ammessa nell’amministrazione e nella

giustizia.La crisi nell’Epiro aveva una maggiore connotazioneinternazionale e quindi mise in ombra i contemporanei gravifatti che si produssero nel Kosovo annesso dalla Serbia e neiterritori del Nord toccati a Montenegro. Serbi e montenegrinicominciarono a metà aprile, ad occupare i territori loroassegnati, ma incontrarono una forte resistenza. Gli albanesichiesero subito, come i turchi, l’istruzione nella loro lingua cheil governo di Belgrado rifiutò imponendo invece il serbo. Laconseguente sollevazione fu seguita da attacchi serbi checausarono la distruzione di mille case albanesi e l’uccisione diparecchie centinaia di donne e bambini. I montenegrinicominciarono ad occupare a loro volta i territori toccati a loro,

anche qui con movimenti di truppe, profughi albanesi e case

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bruciate, tanto che il colonnello inglese Phillips, comandantedel Presidio Militare Internazionale a Scutari, inviò 600 soldati

internazionali comandati da un maggiore tedesco allo scopo diassicurare un minimo di ordine al confine.

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L’origine degli Albanesi

Di George Fred Williams

Se diamo uno sguardo al periodo precedente a quello in cui irapsodi omerici cantavano i loro dei e i loro eroi mitologici,prima ancora che la lingua greca venisse scritta, scopriamo chea quel tempo viveva un popolo conosciuto con il nome di

Pelasgi. A loro Erodoto attribuisce vicende antecedenti laciviltà greca. Le costruzioni di pietra grezza davanti al Panteondi Atene anche oggi vengono attribuite ai Pelasgi. Essicostruirono enormi mura che vengono denominate“ciclopiche”, sulle quali il dott. Pocock si è espressoaffermando che esse furono erette molto prima dell’epoca deiGreci di Omero. I discendenti diretti di questo popolo

preistorico sono gli Albanesi. Soltanto in tempi recenti si ècapito che i Pelasgi erano da identificarsi con gli Illiri, cioè ilprimo ceppo indoeuropeo, l’impero dei quali era estesodall’Asia Minore al Mar Adriatico, fino a nord del Danubio.La loro origine è stata confermata dagli studi di professoricome Max Müller e August Friedrich Pott. Gli Illiri che

vivono ancora in Albania, conosciuti sotto il nome di Toski,sono giunti anche in Italia e sono noti come Etruschi.È inutile cercare l’etimologia dei nomi degli dei della Greciabasandosi sull’idioma attualmente parlato in quella nazione: illoro significato è molto chiaro nella lingua albanese. Peresempio, Caos è lo spazio; Erebus, il figlio di Caos, significabuio, crepuscolo; Zeus, (Za, Zee, Zoot-Zot) voce, fulmine;

Atene, colei che disse; Nemesis (senza il suffisso greco is )

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maledire, chiamata del diavolo; Musa, colei che insegna; Afrodite, vicino al giorno (all’alba), ecc.

Quando un giorno la comunità storico-letteraria approfondirà lalingua albanese, e quando avrà studiato a fondo i miti e leleggende di quella terra, allora le opere di Omero saranno vistecon un occhio diverso, e la storia avrà bisogno di esserecorretta. Erodoto non sapeva che i nomi degli eroi omericiavevano significato soltanto nella lingua pelasgica, così come

gli studiosi di oggi ancora non sono consci che quei nomi e gliechi della lingua pelasgica continuano a conservarsi nellinguaggio albanese. Anche lo stesso nome di Omero si spiegatramite la lingua albanese: I-mirë, che nella forma greca  I-mir-os potrebbe tradursi con “bella poesia”.Il lessico albanese ci spiega i nomi di Agamennone (inalbanese  Ai-që-menon) “colui che pensa”, Ajax (Gjaks)

“sanguinario”, Priamo ( Bir-i-amës) con il significato di “figliodella terra”, l’appellativo di Ulisse, Odisseo, (Udhësi) “ilviaggiatore”, “colui che viaggia”, e di tanti altri che potremmoaggiungere a questa lista. Per questo motivo non ci devesembrare strano che chi ha studiato l’albanese sia convinto chesia proprio questa la lingua originale di Omero, e che i Greciabbiano copiato dai rapsodi pelasgi la loro epopea.Dunque, affermiamo che gli Albanesi vivono nella terra deiloro antenati e ne parlano la lingua. Ancora prima che la tribùdegli Elleni facesse la sua comparsa sulle montagne dellaTessaglia, Scutari, la principale città dell’Albania del nord, erasenza ombra di dubbio la capitale del grandioso impero illirico.L’albanese fu la lingua madre di Alessandro il Grande, che

invase tutto il mondo allora conosciuto, e di Pirro, re dell'Epiro,

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uno dei più grandi generali che la storia abbia conosciuto el’ultimo baluardo contro gli eserciti romani. È una tragedia

senza precedenti che questa razza così importante e gloriosanel passato, oggi sia ridotta in uno stato che può essere definitocome il grande scandalo della civiltà europea. Non è per nientestrano che l’invasore ottomano avesse proibito qualsiasi tipo discavo nella terra albanese, perché c’era il rischio per gliOttomani che questo popolo potesse prendere coscienza della

sua gloria passata.

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Gli Hittiti sono Troiani e quindi Illiro –

Di Giuseppe Catapano 

Durante le mie26 peregrinazioni, rivolte in tuttealla ricerca di prove a sostegno della mia tesipreistorici e storici – che ho sempre consideratoFARË (stirpe) ETRUSCA-TROIANA-HITTITAfra le mani la voluminosa opera di  Marcel Cohén

Invention de l’Écriture et son evolution”, ImprimerParis 1958), che, a dispetto delle 700 pagine dei ddelle 95 tavole illustrative dei vari geroglifici, allessi e studiai in pochissimi giorni, con l’entneofita.Tra i geroglifici hittiti, uno attirò soprattutto la mi

il segno della vita immortale, il (n)ëngj, il simboloidentico a quello ricorrente nell’antichissimo EgittoLo riporto in fotocopia dalle tavole del summenzio

Planche 32HÈROLGLYPHES HITTITESCHOIX D’IDÈOGRAMMES

26 È riferito all’autore del pezzo e cioè a G. Catapano.

lbanesi

e direzioni,sugli  Illiri

della stessa- mi capitò“La Grande

ie Nationaleue volumi eabeti, ecc..,siasmo del

attenzione:

della VITA,: ZZZZato Cohén:

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Ai tempi della mia giovinezza visitando il grandmonumenti di Merenptah e di Ramsete III (seppi s

studiando  Manetone ed altri autori antichi, che qnon erano di sangue reale e neppure egiziani,troiano-hittiti: zotra (visir) stranieri, provenientimilitare), trovai i nomi:

TURSHA e TURUSHA, che evidentementcorrispondente di Etruria ; il Tusci latino, conprotesi di una e: E-trusi, Etruria (s e non sh cocorretto, poiché trush è l’ablativo di tru (in albaneed Etruschi significa appunto, gente di cervello  identico riferimento anche nello “Etrusher ” del pr“Real Encyclopädie Pauly”, Wissowa, Berlino….Questi due sovrani, che governano – sembra coLARTHES – l’Egitto (come l’antenato Seti I, fonXIX dinastia ) considerarono sempre fratelli gli Hidimostrarono in ogni occasione. Il primo era iGrande Ramsete II; l’altro il nipote, l’ultimo

grande sovrano d’Egitto – emulo del nonno igovernò saggiamente eroicamente e gloriosamenteEsisteva fra questo grande Paese e gli Hittitiamicizia, stipulato nell’anno XXII di  Ramsete II i primo patto storico di non aggressione che si connell’anno 1268 a.C. Recita così:

Egitto, suilo più tardi,

esti sovrania ertuschi-dalla casta

sono ilmetatesi e

me sarebbee cervello),. Troveretef. Körte, in

il titolo didatore dellat 

 

titi, e tali sil figlio delveramente

tutto, che’Egitto.n   patto di

l Grande: ilosca; siamo

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“Se un nemico assale il grande Sovrano d’Egitto e quindimanda a dire al Grande Capo di Khatti (= sovrano degli

Hittiti): “Vieni ad aiutarmi contro di lui”, il Grande Capo diKhatti (Khatti si legge “gjatë” e in albanese significa “esteso inlunghezza”; infatti il grande impero hittita si estendevadall’Anatolia alla Palestina e all’Assiria, N.d.R) verrà ed ucciderà il suo nemico”. E viceversa. Federico A. Arborio  Mella, ne “L’Egitto dei Faraoni”, Mursia

Editore, Milano, al riguardo ci fa sapere:“È il primo trattato di estradizione; però il profugo, una voltarimpatriato, non può essere punito”. Ciò significa che il codicedi diritto internazionale degli antichi era certamente più evolutoe umano di quello dei moderni, i quali non si preoccupanocerto della sorte dell’estradato.Lo stesso Abramo (2168 a.C.) lasciando, per fame, UR

(Caldea) - (Ur -i = fame, nella lingua illirica e nell’albanese) -emigrò ad Hebron, a sud di Gerusalemme, territorio allorastoricamente hittita. Qui morì Sara, sua moglie, all’età di 187anni secondo la Bibbia; e qui, dopo averla pianta, decise diseppellirla.E Johannes  Lebmann, nel suo prestigioso trattato “Gli Ittiti”(Garzanti, Milano 1977), fa acutamente osservare: “Masiccome la terra non era sua, bensì degli Ittiti, si dovettecontrattare. Il Patriarca si presenta umilmente a chiedere dicomprare un luogo di sepoltura; gli Ittiti, magnanimi, glielovogliono regalare, ma egli insiste per pagare con regolarecontratto”.Si comportò con la mentalità ebraica di sempre: pagare a basso

costo, ma pagare, per stabilire il regolare diritto di possesso,

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come hanno fatto i suoi discendenti, i moderni Israeliani, con leterre degli Arabi.

Insisto in queste citazioni che sono di appoggio alla mia tesi:“GLI HITTITI SONO TROIANI (e quindi Illiro - Albanesi,come si evince dallo studio attento di Livio e Virgilio, N.d.R.)e i TROIANI SONO ETRUSCHI”. L’origine di questanobilissima prosapia dei FIGLI DELL’AQUILA ossia dellaLUCE, è remotissima, riportabile, con documenti filologici,

filosofici, etnografici, almeno ad oltre 12.000 anni fa.Ed io, quindi ho ben donde quando affermo, nella relazionedella mia teoria, che l’Illiria storica è l’ultima derivazionedell’immensa corrente borea-illirica; corrente impetuosa,salutare, che, nell’età della pietra, muovendo dal Caucaso, sidiffuse oltre l’Anatolia, nella Mesopotamia, nella Palestina,nell’Assiria, deviando in Egitto e in Italia i rivi più puri.

Io ho trovato il “ polline” indistruttibile ( anche in botanica ilpolline è indistruttibile) dell’albero gigantesco e robusto illiro-ittita-troiano-etrusco, in Turchia, nell’ Iran, nell’ India, oltre chenegli altri paesi già menzionati, con i rami più progrediti nellascienza, nell’arte, nella filosofia e nell’esoterismo, soprattuttoin Italia e in Egitto, da dove Thot ha sparso in tutto il mondo laluce del sapere, immutabile perché è veramente tale.

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DeucalioneDi Giuseppe Crispi

Atlante e Deucalione furono i primi che fondarono colonie edominarono in Grecia. Cecrope fondò Atene, che da lui fu dettaCecropia. Vi furono Codio, Cotlìos e Drymas, i cui nomi sonodi origine frigia, come ampiamente riconosciuto. Ora Atlas, in

lingua albanese, significa padre decrepito: al (da cui in Omeroabbiamo αττα - atta, “padre”) e lascio – losc, “decrepito”, dacui deriva dunque atlasc, atlosc.

Atlante fu anche chiamato Henoch “lunare”, nome derivato dahën “luna”. Inoltre fu detto hanach, che in albanese vuol dire“torquato”, “collana”,  proprio  come i Latini da torques,“collana”, diedero il nome a Torquato.

I discendenti di Atlante, essendo i progenitori di Cadmo,vennero denominati Crysopelechi, voce greco-barbara27, chesignifica “aurei antichi”: pellechët  infatti vuol dire “vecchi”,“antichi” , e χρυσοί (crisoi) “aurei”.

Cecrope, recatosi nella sterile Attica, scoprì che gli abitantivivevano in caverne, per cui fu chiamato, con un termine

frigio-albanese, ghien-crop “trova-cave”, o “fosse”: crop, infatti,  vuol dire “caverna”  o “fossa”, da cui derivò il grecoκρύπτα (cripta) “grotta”, e κρύπτω (cripto) “nascondo”.

Deucalione istituì il rito di bollire in grandi pentole legumi, perdistribuirli ai poveri in onor di Bacco; e quelle pentole eranodette cutri dal greco κύτροι (kitri). In lingua albanese coth

27 Greco-barbara, cioè non greca.

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vuol dire “pignatta”; dal cui significato  Cothos prese il suonome; o semplicemente dal termine “vaso”, o perché si volle

alludere al suddetto rito delle sacre pentole di Bacco.Codros significa “pane”, giacché in albanese codr  vuol dire“pane”, o piuttosto “biscotto”. Ma, se invece di Codrosvolessimo leggere Cordos, il termine significherebbe “spada”,o “scimitarra”, poiché cord  in albanese questo vuol dire:denominazione appropriata ad un gran guerriero quale fu

Codro. Se poi si volesse sapere l'etimologia del nome diDeucalione, lo si riscontrerà ugualmente nella lingua albanese. Dè significa “terra”, pronunciata in dialetto eolico invece di γά (ga), in quanto l’originario γή (ghe), cambiando la η in α,diventa γά, e trasformandosi poi il γ in δ, si ottiene δά (dha),parola usata anche dai Dori nel loro dialetto: e câ lën vuol dire“ha lasciato”. Dunque Deucalione significa “ha lasciato la

terra”, alludendo al mito per cui Deucalione, lasciata la terra,che stava per essere sommersa dal diluvio, si salvò su un'arca,la quale poi approdò sulle montagne dell'Attica.

Drymas, o piuttosto Drymath, “grande  vite” od “albero”,potrebbe significare “grande come un albero”, o “rigogliosocome una vite”.

Il nome del frigio Pelops è composto da due termini:  pelë,“cavalla” e lops, “vacche”, per denotare le ricchezze di Pelope,che consistevano in cavalle e in vacche, poiché le maggiorisostanze degli antichi furono costituite dal bestiame, comeanche per i patriarchi.

Il nome di Priamo, molto simile a Pariamo,  proviene da  par,che vuol dire “primo”, voce analoga al παρά (para) greco

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“davanti” , a denotare un “prevosto” , od un “sovrano”:  e daquesta stessa parola i Latini fecero discendere il loro  primus,

simile a  parimus. Paride deriva da un vezzeggiativo albanese,cioè parìthi, che si potrebbe tradurre con  “il piccolo primo” , oil “piccolo principe” , per rappresentare il figliuolo d'un re,come Omero descriveva Alessandro (questo è il nomeoriginario di Paride) “dal divino aspetto”, cioè  θεοειδής (theoidis) , per grazia e per bellezza.

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Elena, Ettore ed altri: origine dei nomiDi Giuseppe Crispi

E qual è mai il significato del nome della famosa Elena? Nonsi riscontra in greco, ma in albanese esiste proprio un termineadatto ad una donna così, a cui stava bene il nome di elëna,

cioè di una  pazza, o  forsennata o, come meglio si direbbe infrancese,   fole, folâtre. La bella Elena, che supponiamo esserestata anche spiritosa, doveva essere priva di quella avvedutezzadi una saggia matrona, la quale, avendo in casa il marito, non silascia sedurre da impudenti cicisbei.

Eleno, l'indovino Eleno ha, nella etimologia del suo nome, un

significato simile, alludendo all'uscire fuori di se stesso propriodi colui che è dotato di spirito profetico; come se si dicesse furibondo, simile alla Pitonessa, la quale,   furore repleta,prediceva il futuro. La correttezza della etimologia èconfermata ancora meglio dal fatto che i nomi Elena ed Elenohanno lo 'spirito aspro' davanti alla ε   iniziale, suono che èancora presente nei termini albanesi ëlën ' pazzo - maschile' ed,

elën '  pazza - femminile' , poiché si pronunciano come se vifosse una aspirazione delle vocali: hëlën, helën. Chi sa se ivocaboli   fello, folle non siano derivati da ello, olle, a cuiveniva preposta la f che fa le veci del digamma eolico, la cuiforma era di una F, e come tale veniva pronunciata?

Per altro si sa che davanti alla ε di Elena si scriveva il

digamma, e si pronunciava F ελένα

(Felena).

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La stessa considerazione si può fare sul nome di Lino, maestrodi Orfeo che a mio giudizio, con una piccola modifica,

potrebbe derivare dal nome Eleno.Nome simile a quello di Eleno ebbe Oleno, antichissimo poetadi inni, forse anteriore ad Orfeo. Si sa che i primi poeti ofurono o vennero ritenuti pieni dello spirito di Apollo, per cuiOleno ebbe il nome di  furibondo poiché i Greci definivanol'ispirazione poetica come entusiasmo, ed anche mania.

  La poesia greca, dice uno studioso*, è stata trasmessa, inorigine, dallo spirito di Apollo sia in Femonoe che in Oleno.

Riflette Malte-Brun che nelle radici della lingua albanese sirileva chiaramente l'analogia con la lingua eolica (e) allorché si applicano ad esse il digamma o la metatesi della lettera r ogli altri cambiamenti di lettere che erano in uso fra gli Eoli. Seapplichiamo questa osservazione al nome di Ettore, notiamoche ha un significato analogo a quello che gli viene dato daOmero: uccisore d'uomini. In albanese vrectoar  vuol direuccisore. Se si antepone alla  ε  il digamma, ne risulta ve,poiché il digamma si pronunciava anche come la consonante v (la w dell’inglese, N.d.T.) raddoppiata. Se si considera la letterar, si ricaverà vrector  dal verbo vraam uccidere. Lo stesso

Malte-Brun riconosce l'uso del digamma nella parola vraam,che è il ραειν (rain), infinito di ράω (rao), corrumpo, destruo.Per cui non è arbitrario il significato  frìgio-albanese di Ettore,e soprattutto perché la ε di ‛Eκτωρ ammette lo spirito aspro.

* Patrici. “Della Poetica”.

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Giuseppe Crispi sulla lingua macedone

Di Giuseppe Crispi

Racconta Plutarco28 che Clito, una volta, in un banchetto aBabilonia, ebbe un diverbio con Alessandro il quale, adirato,percosse quel generale scagliandogli addosso una delle meleposte a tavola; poi, cercando impetuosamente la spada per

ferirlo, chiamò alle armi, col linguaggio macedonico, gli armatidi targhe. Il che era il segnale di un avvenimento pericoloso. Sitenga presente, infatti, che i Macedoni utilizzavano la proprialingua madre nel momento culminante di un eventostraordinario, allorché essi volevano l'aiuto dei più fidiguerrieri della nazione, per non essere compresi dagli stranieri.Il Curzio riporta che Alessandro interrogò Filota, il quale

doveva difendersi da un'accusa di tradimento, offrendogli lapossibilità di scagionarsi parlando nella sua lingua al cospettodell'esercito composto di Greci, di Macedoni e di Illirici. Filotarispose: “Oltre ai Macedoni qui ci sono soldati di diversenazioni i quali, credo, mi capiranno più facilmente se useròquella stessa lingua di cui tu stesso ti sei servito, avendola tu

adoperata proprio perché fosse compresa dalla maggior partedei presenti.E sebbene, come fa notare il Crofìo29,  Curzio non indichi inquale linguaggio Alessandro avesse parlato in quellaoccasione, è tuttavia verosimile che, per essere capito da tutti i

28 Vita Alex.29 Joh. Bapt. Crophii, antiqui. Maced. Lib. 2. Cap. 5 apud Jacob. Gronov.

Vol. 6.

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Greci, e non dai soli Macedoni, avesse fatto uso della linguagreca.

Stando al racconto di Plutarco, Neottolemo riferì ad Eumeneche i Macedoni desideravano fortemente Cratero come re,tanto che, al solo vederne la causia, e all'udirne la parola,sarebbero impetuosamente passati in armi dalla sua parte.Appreso ciò Eumene, comportandosi da uomo scaltro, fece sìche nel suo esercito non venisse mai pronunciato il nome del

generale contro cui si doveva combattere. Il che gli valse lalode suprema del celebre biografo greco. Vero è che la parolaτήν  φωνήν (tin fonin), che usa Plutarco, significherebbe lavoce; nondimeno, da tutto il contesto, si ricava il termine chedebba tradursi piuttosto con linguaggio, alludendo proprioall'idioma macedonico.Ma si tralasci pure questo episodio, che potrebbe prestarsi a

qualche equivoco, e si prenda in esame l'altro più chiaro, che silegge nella stessa vita di Eumene. Questo generale era statocolpito da una grave malattia. Il suo esercito, scoraggiato, nonvoleva affrontare il nemico. Saputo ciò, Eumene si fece portarein lettiga; non appena il condottiero fu visto affacciarne latesta, venne salutato in lingua macedonica dai Macedoni che,innalzando gli scudi e battendo a terra le aste, emisero grida digiubilo per la presenza del generale, e provocarono a battagliail nemico.In Ateneo, riguardo alla lingua macedonica, si legge:  Hoconosciuto, dice Cinulco,   parecchi Ateniesi, i quali, avendoconversato coi Macedoni, non rinunciano ad usare parole ed espressioni macedoniche. E  Strabone, enumerando i popoli

soggetti ai Macedoni, afferma che non pochi di loro parlavano

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due lingue, cioè la macedonica e la greca; e che i Macedoni, gliEpiroti, ed altre popolazioni di quella regione si

assomigliavano nell'uso della tosatura, nel linguaggio, nellaclamide, e per altre simili usanze.Sappiamo da Plutarco che Alessandro si serviva di Efistioneper dare ai Barbari comunicazioni ufficiali, e che Craterorispettava con estremo puntiglio la procedura nazionale sia percomunicare coi Greci sia coi Macedoni. Dal testo appare in

modo evidente la distinzione che fa Plutarco tra gli Elléni e iMacedoni: τοίς  Ελλησι  και  Μακεδόσι (tis elisi ke tismakedosi); distinzione ancor più marcata se si parla di Cratero,descritto come un uomo zelante nelle cose patrie, cioèmacedoniche, tra le quali c'è l'amore per la lingua. A ragione,perciò, il Crofio e il Wolfgangio conclusero che la lingua deiMacedoni fosse diversa dalle altre della Grecia.

Né si può dire che questa diversità consistesse soltanto in unadissociazione dialettale, come per esempio differivano tra loro idialetti attico, dorico, ionico ed eolico, che in fondo formavanola lingua greca, compresa da tutti quanti gli Elléni, per il fattoche il macedonico, come di sopra è stato dimostrato, non eracapito dalla gente ellenica; e poi i Macedoni costituivano unaetnia distinta del tutto dai Greci. Il che non è difficiledesumere da palesi argomenti.Alessandro, rivolgendosi al cardiano Seuodoco e ad Artemio diColofone, adirato disse, inveendo contro Clito: “ Non vi sembra che gli Elleni trattino con superbia i Macedoni, come se fossero semidei tra bestie?” I Greci autentici erano fieri dellapropria cultura, e consideravano barbari i Macedoni, tuttavia

non è documentato che, per esempio, gli Ateniesi abbiano

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definito barbari i Peloponnesiaci, quantunque questi fossero diorigine dorica, o i Tebani, o i Locresi, o quelli della Eubéa e

via dicendo, perché tutti costoro, sebbene avessero differentidialetti, venivano comunque denominati Greci. Al contrarioDemostene, nelle arringhe contro Filippo, e precisamente nellaIII, chiama più che barbaro quel re il quale non solo, dicel'oratore, non è affatto Greco, e con i Greci non ha nulla incomune, ma neanche è di quei barbari che hanno una certa

fama. Eppure Demostene sapeva bene che Filippo discendevadagli Eraclidi; infatti, Plutarco riferisce come dato certo chegli antenati di Alessandro fossero gli Eraclidi tramite Caranoper parte di padre, e dal lato della madre egli originasse dagliEacidi da Neottolemo; eppure, all'oratore greco bastò la solaconnotazione di Macedone per dileggiare in quel modo ilsovrano della Macedonia, dove riteneva che permanessero gli

antichi barbari con la loro arretrata cultura, mentre nell’Elladeil progresso aveva, a suo dire, allontanato i barbari ed il lorolinguaggio. Se qualche volta i Macedoni nell'antichità vengonoaccomunati con i Greci ciò accade perché, vista la loro potenzamilitare, specialmente dai tempi di Alessandro in poi, anche inMacedonia fu introdotto il culto del grecismo, e i Greci stessicominciarono a vantarsi dell'Impero macedone, guardandolocome se fosse loro, tanto che Demarato di Corinto, familiare diAlessandro, vedendolo assiso sul trono di Dario sotto ilbaldacchino dorato, pianse di tenerezza, come fanno i vecchi, edisse che quei Greci che erano morti prima si erano persi lospettacolo di vedere 'Alessandro seduto sul trono di Dario'.Non può esserci alcun dubbio, dunque, che la Macedonia sia

del tutto diversa dalla Grecia, e che abbia avuto una lingua tutta

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sua, una lingua primitiva e barbara, legata al frigio ed alpelasgico, che secondo tutte le prove da noi addotte è l’attuale

l'albanese, che ben si lega con l'antico macedone.

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La morte di SkanderbegDi Marin Barlezio 

Si narra che Skanderbeg si trovasse ad Alessio e lì fu colto dauna febbre altissima. La malattia peggiorava ogni giorno di piùe Skanderbeg, capendo che erano gli ultimi giorni della suavita, mandò a chiamare tutti gli amici, i principi che eranovenuti da lui, i rappresentanti della Repubblica di Venezia etutti i capi del suo esercito. A tutti parlò, con benevolenza, così:”La più alta virtù, o principi generosi e voi, amati compagnid’armi, credo che prima di tutto debba essere consideratal’onorare come si deve, con cuore e anima puliti, l’unico e veroDio. La seconda è, poi, non solo amare e onorare la vostrapatria, il luogo dove ognuno di voi è nato ed è stato educato,

ma il difenderla anche a costo della vita. Tutti coloro cheagiranno così, secondo i dotti,30 avranno riservato un postospeciale in Cielo. Io, personalmente, senza alcun dubbio hoavuto a cuore questi insegnamenti, e ho messo al loro serviziotutte le mie energie, cercando di realizzarli. Testimone di ciò ioho prima di tutto il Signore Iddio, e poi voi, compagnimiei[…].

Io ormai lo sento, o compagni fedeli di tante battaglie che, pervolere della Provvidenza Divina da cui tutto dipende, dopoessere liberato da questo peso 31 temporaneo, andrò in altri

30  I padri della chiesa, i Teologi.31  Il corpo. 

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luoghi32 e cambierò questa breve vita e le sue sofferenze con lavera vita. E ve lo giuro, questo pensiero o, per meglio dire,questo evento ineluttabile, non mi spaventa in alcun modo. Ionon mi sento sottomesso ad una forza crudele che ci condanna,perché è il nostro destino che ce lo impone appena veniamo almondo. Non ci deve dispiacere, non dobbiamo lamentarciperché non stiamo subendo un torto; anzi secondo la leggenaturale noi siamo nati per morire, è proprio questo il nostro

destino. Alla fine la terra deve tornare alla terra; noi dobbiamoubbidire alla natura. Quest’anima immortale e questo spiritoceleste devono tornare da Colui che ce li ha prestati[…].Però, prima del mio ultimo respiro e prima di andarmene daquesta terra, è necessario che io vi parli ancora e vi consigli: lasalvezza della Repubblica Cristiana e la fede cattolicaconservatele anche dopo la mia morte. Tenetele sempre nel

vostro cuore, sempre davanti ai vostri occhi, e date per esseanche l’ultima goccia di sangue, se è necessario, cosi comeavete fatto quando io ero ancora vitale[…]”.Dopo aver detto queste parole, continuò a parlare poi con suofiglio, chiamandolo vicino a sé e consigliandolo con paroledolci, così:

“O figlio mio, o figlio mio Giovanni, ecco, io sto morendo esto lasciando a te, ancora bambino, un regno e un potere chesaranno solidi e forti se sarai saggio ma che, se non lo sarai,non dureranno a lungo. Perciò, cerca di non anteporre nulla allabenevolenza e alla virtù, perché soltanto grazie ad esse, nonsolo potrai mantenere il tuo regno e il tuo potere sarà in mani

32  Nell’altro mondo.

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sicure, ma riuscirai a farli diventare ancora più splendenti.Tuttavia per ora tu, o figlio mio, sei ancora piccolo e debole per

tenere le redini del potere; oltre a questo tu hai ovunque deinemici che sono bestie assetate di sangue, e cercheranno didivorarti. Tuo nemico giurato è Mehmet 33 , il tiranno edavversario irriducibile di tutti i cristiani; se tu dovessiaffrontarlo, così piccolo e indifeso come sei, figlio mio, egli tidistruggerebbe. Dunque, figlio mio, appena avrai chiuso gli

occhi di tuo padre e lo avrai seppellito, prendi tua madre eparti. Vai in Daunia, nelle tue città e nei tuoi castelli,34 e resta lìfinché non sarai cresciuto e diventato capace di guidare egovernare il tuo Stato[…]. Quando sarà il momento di tornare,o figlio mio, e di governare il tuo regno, prima di tutto dovrairispettare la giustizia, la quale è la più bella virtù fra tutte.Mantieni sempre l’imparzialità, non fare mai differenza fra il

viso del povero e quello del ricco e del potente; in ogni cosausa la saggezza e la giustizia. Il tuo regno lo devi proteggeretramite l’amicizia, perché la migliore difesa del regno non sonoi tesori e nemmeno gli eserciti ma gli amici, che non potraiavere né con le armi né con l’oro; essi si guadagnano con labenevolenza e la fedeltà[…].

Questi sono, o luce dei miei occhi, o figlio mio, i consigli cheio stesso ho avuto da mio padre e dei quali sono rimastosempre soddisfatto[…]”.

33  Il sultano Mehmet II. 34

   Le città e i castelli che il re Ferdinando di Napoli avevaregalato a Skanderbeg.

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In quella stessa notte, Skanderbeg, dopo avere ricevutol’assoluzione dai suoi peccati e dopo altri riti ecclesiastici ai

quali si assoggettò con il dovuto rispetto, morì, consegnando sestesso e la sua anima al Signore onnipotente il 17 gennaio 1468d. C. Si dice che Skanderbeg lasciasse questa vita all’età di 63anni, nel venticinquesimo anno del suo regno. Skanderbeginiziò a regnare il 28 novembre 1443.Quando sentì che stavano piangendo la morte del re, Lek

(Alessandro) Dukagjini, principe epirota, uscì correndo inpiazza e con il viso scuro per il dolore e con la voce smorzata,strappandosi la barba e le vesti disse: “Venite, venite in frettatutti, o principi arbëresh!35 Oggi le porte dell’Epiro e dellaMacedonia sono a pezzi, oggi sono caduti i muri e le nostrefortificazioni, oggi si è persa tutta la nostra forza, oggi sonostati rovesciati i nostri troni e il nostro potere; oggi si è spenta,

con quest’uomo, ogni speranza nostra”.Skanderbeg fu seppellito nella città di Alessio, nella cattedraledi San Nicola. La cerimonia funebre si svolse secondo leusanze antiche. Un rito dalla maestosità senza precedenti. Lasua salma fu accompagnata con lacrime di dolore da tutti i suoisoldati, secondo le usanze del luogo, e da tutti i principi della

regione. I suoi resti rimasero in pace finché Mehmet, ilcondottiero degli Ottomani, arrivò in Arbëria e in Epiro, perattaccare la città di Scutari. Durante questo periodo i Turchi e ibarbari, diventando padroni della città di Alessio, trovarono e

35  L’Albania si chiamava Arbëria ai tempi, e i suoi abitanti si

chiamavano arbëresh.

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trafugarono dalla tomba, con propositi sacrileghi, i resti diSkanderbeg. Così, colui che da vivo era temuto più della morte

e faceva fuggire i nemici al solo suono del suo nome, ora, forseper volere di Dio, veniva contemplato con sgomento edincredulità da morto, ed i suoi stessi nemici quasi lo onoravano.Si riunirono in moltissimi attorno alla sua tomba, dove sitrovavano le sue spoglie, perché si credeva che sarebbe statofortunato colui che avesse guardato e toccato le sue ossa, e

ancora più fortunato chi si fosse assicurato un frammento deiresti mortali di Skanderbeg. I fortunati che ebbero questomacabro cimelio lo ornarono chi con argento e chi con oro e selo misero al collo come una reliquia, sacra e determinante per illoro destino, onorandolo con grande rispetto e con timorereverenziale, credendo che tutti coloro che possedevano queiframmenti avrebbero ricevuto nella vita lo stesso riguardo e la

medesima benevolenza che aveva avuto dagli dei immortaliSkanderbeg stesso, l’unico fra gli uomini di cui si ha memoria.

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Le lingue armena e albaneseDi Mathieu Aref 

Nella lingua armena esistono alcune tracce di quella pelasgicache possiamo capire soltanto tramite la lingua albanese. GliArmeni chiamano se stessi  H`aï. Risulta, da iscrizioni risalenti

ai tempi di Dario, che essi si chiamassero  Arminiya; i Grecitrasformarono tale nome in Armenioi. L’alfabeto armeno risaleal V secolo d. C. È stato ideato da Mesrop Mashtots e contienetrentasei lettere che sono una parziale imitazione delle letteregreche. La lingua armena antica si chiamava grabar; era lalingua classica con la quale è stato tradotto il Vangelo ed è lastessa usata anche nelle opere del vescovo Eznik de Kolb.

Inoltre, la lingua armena è stata influenzata dalla linguairaniana. Dal Medio Evo, la letteratura armena inizia adarricchirsi con opere di diverso genere, soprattutto di teologia.Le somiglianze con la lingua albanese sono soprattutto sulpiano della sintassi; il plurale, nella lingua armena, si formacon i suffissi er, eri, che ritroviamo nel dialetto tosconell’Albania del sud.

  Armeno Albanese Ital

A-dam Dham (ghego), dhëmbi(tosco)

Dente

Cikh Çikë Poco

Dzà-kou`m Zakon Usanza

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Erthal, yer-tal Erdha Sono venutoGess Gjysmë Metà

Gtanem Gjetëm Abbiamo trovatoGou`r-dz`k Gjoks Torace

H`atz Haze, bukë e bardhë -hasëll

Pane bianco - fresco

Hi-mar I marrë PazzoJar Zjarr Fuoco

Kè-ch Keq MaleLat-tz’i Lot (i zi) LacrimaYem Iam (jam) (io) SonoY’én (Ianë) janë (essi) SonoLi-tsh Liqen LagoMe-dz Madh GrandeBo-tsh Bisht Coda

Tz-aï-n Za, zani (ghego) VoceTze-mer Dimër InvernoU-kh-da Udha Via, strada

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Oasi

Di Mathieu Aref 

Il significato di questa parola è il seguente: qualsiasi regione (o posto), isolata, in un deserto o in territorio arido dove la presenzadell’acqua rende possibile la vita, la vegetazione, l’allevamentodegli animali ecc.Dunque, l’esistenza di un'oasi è strettamente legata alla presenzadell’acqua. I manuali etimologici o le enciclopedie ci dicono chequesta parola fu adoperata per la prima volta in Francia intornoall’anno 1561 d. C. ma che già nel 1766 non si usava quasi più. I testicitati aggiungono che questa parola deriva dal tardo latino.Comunque, come molte altre parole antiche, il termine eraconosciuto dagli autori classici e anche dai Pelasgi. È possibile chesia stato diffuso maggiormente nel periodo di Alessandro Magno. In

verità, a questo personaggio era stato dedicato un posto sacroall’interno dell’Oracolo di  Ammon (un famoso Oracolo consideratocome il “doppione” di quello eretto dai Pelasgi a Dodona, cit.Erodoto II, 54 57), in un'oasi del deserto libico a ovest dell’Egitto eche, ai nostri giorni, si chiama Sivah. Alessandro Magno, che parlavala lingua pelasgica (infatti egli era un Pelasgo autentico da parte disua madre, epirota e pelasga, e si ellenizzò grazie a suo padre, il

macedone Filippo), è molto probabile che conoscesse la parola oasi. Si dice che questa parola sia originaria della lingua egizia! Se derivadalla lingua egiziana moderna, e cioè dalla lingua araba, allora non èun vocabolo che ha avuto origine dalla lingua dei faraoni. Io* possoparlarne con piena competenza, perché quella araba è una delle trelingue che ho imparato dalla nascita, insieme con il francese el’albanese. Dopo svariate ricerche, ho scoperto che la parola egizia

uaha oppure oaha è una creazione tipicamente egiziana. In verità, i

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manuali linguistici arabi affermano che il nome oaha (singolare)oppure oahat  (plurale) è stato introdotto nella lingua araba dagli

Egiziani dei tempi moderni. Comunque, il termine arabo per indicareun posto ricoperto da una fitta vegetazione e ricco di acque è rauda(singolare) e riad (plurale). Il nome egizio uaha è forse una pesantestorpiatura del nostro oasi? Comunque sia, l’origine di questa parolapuò essere spiegata in maniera esaustiva, anche nella trascrizionefonetica, ricorrendo alla lingua pelasgo – albanese: oujësi. Questovocabolo, nella lingua pelasgo – albanese, significa   posto pieno di

acqua. Non è forse grazie all’acqua che esiste l’oasi? Purtroppo,quando gli Albanesi uscirono dal loro torpore secolare ecominciarono a scrivere la lingua dei loro antenati, presero in prestitodal greco e dal latino (che nel frattempo erano diventate lingueuniversali) un insieme di parole, modificate in parte o del tuttocambiate, ma che comunque appartenevano al patrimonio culturale elinguistico dei Pelasgi, che erano gli antenati degli Albanesi. Oggi gli

Albanesi chiamano l'oasi oazë, ma possono anche denominarla ujësi, parola ancestrale che comunque esiste ancora nella loro lingua.

(*) Io è riferito all’autore del pezzo e cioè a M. Aref.

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La besa nel Kanun di Lekë DukagjiniDi Matteò Mandalà

Università di Palermo

L’antichità del termine besa e la sua diffusione in altre linguesono indizi sicuri per comprendere l’importanza. In entrambi icasi emerge un valore semantico che trova spiegazione soltantonell’alto ed autorevole significato sociale e storico che la besa

ha assunto nel corso dei secoli nell’ambito delle popolazionidei Balcani e, naturalmente, all’interno della società albanese.Su di essa, del resto, esiste una vasta documentazione, sia oraleche scritta, che ne conferma non solo l’esistenza – perlomeno apartire dal medioevo – ma anche la rigorosa osservanza daparte del popolo schipetaro.

Trovandosi nelle condizioni di non poter disporre diun’organizzazione statale centrale e ridotto ad unafrantumazione fra varie “bandiere”, il popolo albanese ricercòuna codificazione giuridica delle relazioni fra individui, e fraquesti le diverse comunità tribali, al fine di supplire all’assenzadi norme e di leggi. In particolare si pervenne ad una sorta diimpalcatura nomotetica che avendo alla base una

regolamentazione di principi morali e sociali già esistenti,riuscì ad acquisire valore giuridico nei diversi campi in cui siapplicava, dal diritto pubblico e privato a quello penale, daldiritto di famiglia a quello individuale. Benché trasmessooralmente per molti secoli, fino a quando non furono raccoltinella citata opera di Gjeçov, questo complesso di norme e diprincipi guidò e regolò la società albanese per lunghi secoli,

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variando a seconda delle aree geografiche interne dell’Albania.Diversi sono infatti i Kanun di cui si ha notizia. Il più famoso è

certamente quello di  Lekë Dukagjini, che porta il nome di unodei membri della celebre famiglia albanese, ma non meno notisono Kanuni i Arbërisë, conosciuto come Kanun diScanderbeg, Kanuni i Maleve, e soprattutto Kanun i Labërisë(Kanuni i Papa Xhulit ), che a differenza dei primi, diffusinell’Albania settentrionale e particolarmente nelle zone di

montagna, abbraccia l’area meridionale tosca.Le differenze fra questi corpus dottrinari sono notevoli, anchese alla base di essi vi sono tratti comuni, quali le principaliistruzioni giuridiche, fra cui proprio la besa. Il che conferma ilfatto che in origine il Kanun regolava soltanto alcunefondamentali norme, mentre altre erano di volta in voltamodificate ed adattate alle necessità delle varie realtà locali.

Prendendo in esame il testo pubblicato da Gjeçov, che codificòil Kanun attraverso la sola documentazione orale, osserviamorelativamente alle norme riguardanti la besa, che questa èarticolata in diversi generi e in diverse forme. L’art. 163 delcapitolo III del Kanun definisce l’importanza (rëndësia) dellabesa come “un comportamento fedele (besimtare) attraverso ilquale chiunque voglia liberarsi da un debito, deve dare unsegno di fede, chiamando il Signore a testimonianza dellaverità”36. La besa può essere dichiarata soltanto dinanzi allaautorità conosciuta della comunità (art. 165), cioè dinanzi al“tribunale degli anziani” (gjyqi i pleqve), pronunciando unsolenne giuramento. Tre sono i rituali principali (Cap. IV, art.

36 Kanuni i Lekë Dukagjinit, cit., p. 152.

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169-172) per mezzo dei quali viene espressa la parola data:sulla pietra, sulla croce e sul Vangelo, sulla testa dei giovani

maschi. La dichiarazione (Cap. V, art. 173) avviene secondoun ordine prestabilito: innanzitutto, si stabilisce il giorno diconvocazione del tribunale degli anziani al cui cospetto dovràcomparire chi chiede di manifestare la besa, seguendo ledichiarazioni di questi e dei parenti.L’obbligo della besa ricade su coloro i quali hanno subito

un’offesa, ma non tutti possono dichiararla perché spetta aglianziani scegliere chi possiede i requisiti necessari, cioè l’onoree il rispetto (Cap. VI, art. 175), per poterla far valere. Inoltrenon viene concesso di giurare a quanti hanno assistito al reatoper cui si intende manifestare la besa e sono tassativamenteesclusi sia i sacerdoti che le donne (Cap.VII. art. 181-182).Vi sono tuttavia alcuni tipi di offese per i quali non è richiesto

che il giuramento venga dinnanzi all’autorità del tribunale deglianziani secondo le modalità fin qui descritte. In particolare,quando si tratta di riparare l’onore ferito per l’uccisione di unparente, la besa scatta automaticamente quale dovere moraledella famiglia offesa. In questo caso, eseguire la vendetta(hakmarrja o gjakmarrja) è un obbligo naturale da parte deifamigliari della vittima, e anzi, qualora quest’obbligo nonvenisse esercitato secondo le aspettative previste dallacomunità (cioè con l’uccisione dell’omicida), non solo lafamiglia della vittima perde il proprio prestigio e il proprioonore (nderja), ma vengono indirettamente riconoscitiall’omicida un prestigio ed un onore superiori a quelli propri.La vendetta, che è considerata come una delle più antiche e

“barbare” istituzioni del diritto consuetudinario albanese, è

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strettamente collegata alla besa, anche quando l’omicidacercava una tregua alla famiglia della vittima. Se quest’ultima

concedeva la propria besa, l’omicida poteva circolareliberamente, occupandosi delle proprie attività economiche. Ècelebre l’episodio narrato in una delle relazioni della missionevolante in Albania: “Pochi anni fa nella Sadrima in non soquale occasione, trovandosi raccolta molta gente a tirare albersaglio, per puro accidente restò colpito con una palla un

giovane. L’infelice tiratore appena s’accorse del fallo fuggi eentrò nella prima casa che si parò dinanzi dicendo: “Sono inmano vostra, perché ho ucciso un uomo”. Fu subito accolto. Dopo mezz’ora si portava in quella casa un cadavere: era il figlio del padrone di casa ucciso nel tiro a bersaglio. A quellavisita il povero rifugiato si tenne perduto; ma il padredell’ucciso, riavutosi da un primo sbalordimento, lo confortò e

gli disse che per tre giorni restasse pure perché gli dava labesa o tregua, e nessuno l’avrebbe molestato, il terzo giorno loavvisò di fuggire e di procurare di non lasciarsi trovare, perché sarebbe stato costretto ad ucciderlo”.37  Questa speciale estensione della besa, peraltro contemplatanello stesso Kanun, è segno della nobiltà (burrëni) della

famiglia della vittima, e si collega ad altre istituzioni di naturaetico - sociale, quella relativa all’amicizia e all’ospitalità(mikpritja). La prima prevede che il patto fra due “amici” sifondi sul rispetto reciproco dei ruoli delineati dalle normespecifiche del Kanun. Spicca in particolare quella norma che

37 La legge delle montagne albanesi nelle relazioni della missione volante(1880-1932), a cura di Giuseppe Valentini, Firenze, 1969, p.7.

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contempla il dovere di esaudire la richiesta dell’amico di essereaccompagnato nei luoghi dove egli intende recarsi,

specialmente se si tratta di luoghi che cadono all’interno delproprio bajrak: “  Miku përcillet edhe dorë më dorë. Në besëteme unë e përcolla mije ku desht vetë miku”. 38   Anche lamikpritja prevede il rispetto dell’ospite, il quale va accolto incasa come se fosse un familiare, anche se – come abbiamovisto – dovesse risultare l’omicida del proprio figlio.

La sacralità dell’amicizia e del ospitalità, cosi come il doverealtrettanto sacro di riparare all’offesa subita, presso gli albanesisi giustifica con la sacralità della besa , sulla cui base appuntosi fondano sia le une che l’altra istituzionale. Naturalmente ilmancato rispetto di questi giuramenti compromette gravementel’onore e il prestigio, attirandosi la condanna inappellabile daparte della comunità. E ciò spiega le ragioni per le quali la besa

costituisca la caratteristica morale e sociale più rilevantedell’albanese, una virtù che storicamente ha avuto modo diesprimersi in momenti assai importanti della storia civile epolitica dell’Albania.

38 “L’amico si accompagna anche mano nella mano. Nella besa io hoaccompagnato sin dove volle il mio amico”. Sh. Gjeçov, Rrnesa ekombit shqyptar ndër Malcina, in E drejta zakonore shqiptare, cit.,p.478.

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Alcuni santi di origine albanese

Di Moikom Zeqo

All’interno di una tomba monumentale rinvenuta a Durazzo èstato ritrovato un affresco con il simbolo del crisma usato daiprimi cristiani che vivevano in quella città. È noto che nel Isecolo d. C. l’apostolo Paolo in persona sia passato attraverso

l’Albania (Lettera ai Romani 15,19) ed abbia evangelizzato ilpopolo illirico. Invece uno dei suoi seguaci, Tito, ha predicatoin Dalmazia.Il 4 giugno dell'anno 110 a Durazzo venne ucciso, diventandomartire, San Astio, una figura importante del primocristianesimo. Egli è citato nel Martirologio Romano e lotroviamo raffigurato negli affreschi del XII secolo nella chiesa

di Rubik. San Astio è una figura così importante per ilcristianesimo albanese che, quando studiavo a DumbartonOaks, nei dintorni di Washington D.C., ho scoperto un libropubblicato nel XVIII secolo contenente versi ed epigrammi inlingua greca dedicato a San Astio. Un archeologo inglese,scrivendomi, ha avanzato l’ipotesi che la piccola cappellabizantina che si trova nell’anfiteatro di Durazzo possa esserededicata al culto di San Astio.Posso dire che il catalogo dei santi albanesi è moltointeressante, ed io rendo nota una lista di nomi che si trovanella chiesa di San Giorgio (Shën Gjergji) a Boston. Questalista è arrivata fino a noi grazie agli studi storici e scientifici dimonsignor Fan S. Noli.

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1 – San Donato martire, è vissuto ed è stato martirizzato nel IIsecolo a Valona; la sua festa è il 16 gennaio.

2 – San Nikoni e i suoi 199 compagni, martiri d’Illiriamassacrati nel IV secolo; la loro festa è il 23 marzo.3 – San Eleuterio, vescovo di Illiria, sua madre era statadiscepola di San Paolo in persona; la festa è il 15 dicembre.4 – SS Flori e Lauri, lavoratori della pietra e martiri del IIIsecolo; la loro festa coincide con il 18 agosto.

5 – Costantino il Grande, l’imperatore che ufficializzò ilcristianesimo; la sua festa cade il 21 maggio.6 – San Nikodini di Pojan, martire iconodulo dell’Albania nelmedioevo; la sua festa è il 4 aprile.7 – San Urbano Papa, un illirico martirizzato nel 230; la suafesta coincide con il 25 maggio.8 – San Eusebio Girolamo, colui che tradusse la Bibbia per la

prima volta in latino, testo conosciuto con il nome di Vulgata,nel IV secolo; la festa il cade il 15 giugno.9 – San Giovanni (Jan) Kukuzeli, nato a Durazzo e morto sulmonte Athos, cantante e musicista geniale del XII secolo, vienericordato il 1 ottobre.10 – San Pietro di Korça, sant’uomo e frate del medioevo; lasua festa il 5 giugno.11 – Santa Angelina (Angjelina) d’Albania, suora del XVsecolo. Discendente della casa di Giorgio CastriotaScanderbeg. La sua festa è il 10 dicembre.12 – San Kristo il Giardiniere, martirizzato nel 1572; la suafesta viene fatta coincidere con il 12 febbraio.13 – San Nikor Argirota, frate albanese morto sul monte Athos

nel XVII secolo.

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14 – San Giovanni (Gjon) il Sarto, martire albanese morto nel1572; la sua festa è il 18 aprile.

Un'icona raffigurante Santa Angelina d’Albania, delledimensioni 70x43 cm, si trova oggi in Kosovo. Il culto diAngelina d’Albania dura da ben cinque secoli ed è penetratoanche nella popolazione serba. I serbi chiamano questa santa Albanskaja nella loro lingua.Devo far notare che, nella chiesa dedicata ad Alessandro

Nevskij a Sofia (Bulgaria), ho visto con i miei occhi l’affrescoraffigurante il santo albanese San Nikodini, come specificaval’iscrizione in lingua greca sul dipinto. Nel monastero diArdenica, in Albania, i fratelli Zografi nel XVIII secolo hannodipinto affreschi nei quali è ritratto il musicista del XII secoloGiovanni (Jan) Kukuzeli da Durazzo. Negli anni ’70 delloscorso secolo, durante le mie ricerche nella città di Scutari, ho

trovato presso la famiglia Suma un ritratto in abiti civili diGonxhe Bojaxhiu (Madre Teresa di Calcutta), prima chediventasse la missionaria nota in tutto il mondo e la vincitricedel premio Nobel per la pace. Questo ritratto io l'ho pubblicatonel giornale “ Bashkimi” nel 1978, quando ancora in Albaniaera una vera eresia pubblicare notizie su Madre Teresa. Inmolti mosaici e affreschi, ma soprattutto in diversi codiciancora non conosciuti e non pubblicati che si trovano inVaticano, e ancora nei centri di studio bizantini di Londra eWashington, troviamo molti ritratti che raffigurano i santialbanesi che hanno dato il loro fondamentale contributo in piùdi 2000 anni di cristianesimo.

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Il Codice Purpureo di BeratDi Moikom Zeqo

L’Archivio di Stato albanese è l’unico, in tutta l’Europa, chevanti il possesso di un codice così antico. È pur vero che laBiblioteca Nazionale di Parigi ha acquisito un gran numero dipapiri egiziani molto antichi, ma nessun’altra bibliotecaeuropea dispone di un libro sotto forma di codice che, secondo

molti specialisti, viene fatto risalire all’inizio del VI secolo d.C! Ma di cosa si tratta?Il Codice Purpureo di Berat contiene 100 pagine in pergamenascritte su due colone di dimensioni 31.4 x 26,8 centimetri. IlCodice è scritto in lingua greco bizantina, e contiene due deiVangeli più antichi: il Vangelo di S. Matteo e il Vangelo di S.

Marco. Il suo testo ha una struttura insolita: le lettere non sonoscritte con inchiostro ma sono in oro ed argento. L’alternanzadell’oro e dell’argento è stata fatta intenzionalmente sia perragioni estetiche e sia per ragioni legate alla strutturaorganizzativa del testo dei Vangeli, e ciò comporta unaoriginalità unica in questo tipo di codici antichissimi.L’intuizione di usare lettere in oro e argento è stata

provvidenziale per la conservazione del testo. Se lo stesso testofosse stato scritto con il normale inchiostro di quei tempi lepossibilità che esso potesse arrivare ai giorni nostri sarebberostate minime. Per fortuna, il codice è stato compilato concaratteri metallici, e ciò ci ha dato la possibilità di avere oggi iltesto integro e completo. Le lettere in argento e oro sono statecomposte utilizzando una tecnica eccellente e con una

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calligrafia bellissima. L’aspetto interessante è che, oltre lelettere semplici dell’alfabeto bizantino, troviamo anche

monogrammi comprensibili secondo il codice alfabetico dellatarda antichità ma non usati in tempi più recenti. È stataproprio questa particolarità che ha spinto uno dei più famosistudiosi di testi del greco bizantino, P. Battifol, a classificare ilcodice come appartenente al VI secolo d.C. Questo tipo discrittura (greco - bizantina) è molto simile a quella utilizzata in

alcune iscrizioni presenti nei mosaici del VI secolo d.C.rinvenuti in Albania. Riporto come esempio l’iscrizione dellacappella dell’anfiteatro di Durazzo, e soprattutto l’iscrizione diun salmo biblico rinvenuto a Ohrid; iscrizioni, queste, che,come abbiamo detto, sono del VI secolo d. C. Nel codice inquestione troviamo come motivo decorativo un cuore rosapurpureo. Fino ad oggi non è stato spiegato il significato del

cuore purpureo. È stata suggerita l’ipotesi che l’ideogrammasia collegato con il cuore dello stesso Cristo, ma questa èsoprattutto una spiegazione metaforica e letteraria più cheteologica, perché si sa che i principali simboli ricollegabili alCristo sono due: il pesce e la croce. Se reputiamo che ilsimbolo del cuore abbia un significato profano e laico, allora ciallontaniamo dalla spiegazione teologica. È probabile che ilcuore si colleghi con lo stemma araldico dei possessori diquesto codice, che si pensa siano stati dei principi, o addiritturaa qualche simbolismo diffuso nel VI secolo ma oggi del tuttodimenticato. Questo codice è stato portato in Cina per unrestauro generale negli anni ’70 del secolo scorso. Il restauro siera reso necessario perché le condizioni del codice erano ormai

critiche. Gli specialisti cinesi hanno fornito informazioni

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preziose sul codice. Inoltre hanno dimostrato che la pergamenaè stata fatta con pelle di capretto. È stato calcolato che, per

realizzare le pagine del codice, siano stati uccisi circa centocapretti. Fino ad oggi si è fatto riferimento al parere autorevoledello studioso P. Battifol il quale, basandosi soprattutto sullacalligrafia, data il Codice al VI secolo d. C. Tuttavia vorrei fareuna supposizione personale. La questione della cronologia nonè mai assoluta e semplice. Credo che se dovessimo sottoporre

il Codice agli esami resi possibili dalle tecnologie più moderne,si potrebbe scoprire, come pensano molti studiosi , che ilCodice in questione risalga al V secolo d.C. Sempre secondo ilmio parere, il documento potrebbe essere stato composto nelperiodo compreso fra il regno dell’imperatore Anastasio I diBisanzio (nato a Durazzo) e quello dell’imperatore Giustiniano(di origine illirica). Questa ipotesi diventa più credibile quando,

analizzando il testo dei Vangeli di S. Matteo e S. Marco, ciaccorgiamo che il Codice è stato redatto quando ancora nonesisteva la canonizzazione definitiva dei Vangeli. Ci sonodiscrepanze nelle frasi e nelle idee espresse nel testo dei dueantichi Vangeli. Tali discrepanze costituiscono un importantearricchimento per la scienza. La loro importanza non è solofilologica ma soprattutto teologica. Si sa che fra il V e il VIsecolo i Vangeli non sono ancora canonici e sono influenzatidai Vangeli apocrifi. Si pensa che i Vangeli del Codice diBerat possano aver subito gli influssi degli antichi Vangelisiriaci, ma anche dei Vangeli occidentali. Il mio parere è che ilcodice di Berat sia uno dei tre codici di questo tipo più antichidel mondo. Il primo è un codice del IV secolo che si trova nel

Sinai; il secondo risale al VI secolo ed è conservato

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nell’archivio di Mosca. Il codice del Sinai è in lingua aramaica.Di rilevante importanza è il testo del Vangelo di S. Marco

perché, secondo i biblisti tedeschi, S. Marco si è basato su unaltro documento molto più antico, convenzionalmentechiamato Documento Q oppure Ur Marcus. Nel XIX secolo, ilvescovo di Berat, Anthin, è stato uno degli uomini più dotti delsuo tempo. Anthin ci ha lasciato un libro meraviglioso con datiinestimabili non solo per la cultura ecclesiastica medievale

dell’Albania, ma anche per l’intera cultura antica. Il vescovoAnthin ha consultato il Codice ed è stato il primo in assolutoche si sia convinto che esso sia stato composto da GiovanniCrisostomo.Giovanni Crisostomo è una delle figure più geniali della chiesacattolica di tutti i tempi. Una leggenda dice che GiovanniCrisostomo sia vissuto per un po’ di tempo nell’area

dell’Albania del Sud. Un illustre studioso di documentiecclesiastici come Zef Valentini, in una sua pubblicazioneenciclopedica intitolata “Kronologjia Shqiptare” (Lacronologia Albanese), ha documentato che GiovanniCrisostomo nella sua gioventù è vissuto in un monasterodell’Epiro del Nord, e cioè in terra albanese. GiovanniCrisostomo è morto nel 407 d.C. ossia nel V secolo. Se (laleggenda o) l’informazione che ci ha dato il vescovo Anthimfosse esatta, questo avvalorerebbe la mia ipotesi che il CodicePurpureo di Berat sia del V secolo e non del VI. Penso ancheche non possa essere una coincidenza la leggenda che vuoleGiovanni Crisostomo per un periodo in Albania e, in ogni caso,non è stata fatta nessuna analisi scientifica con i mezzi

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attualmente a nostra disposizione per determinare con esattezzaassoluta se il Codice sia del V o del VI secolo.

Nel 1964 la Biblioteca di Vienna offrì allo Stato albanese unmilione di dollari per avere il Codice. Oggi esso ha un valore didieci milioni di dollari. Ovviamente questa è soltanto una stimaconvenzionale, perché il prezioso documento ha, in realtà, unvalore inestimabile. Durante la Prima Guerra Mondiale ilCodice Purpureo è stato cercato dagli Austriaci senza successo.

Nel 1944 i nazisti misero davanti al plotone d’esecuzione isacerdoti della cattedrale di Santa Maria a Berat, per saperedove fosse nascosto non solo questo codice ma anche altripreziosi reperti, ma i sacerdoti albanesi si rivelarono deigrandissimi patrioti e pagarono con la vita il loro silenzio. Laconservazione del Codice Purpureo, ma anche di altri codici,ha avuto una strana metodologia. Un segreto e ristretto gruppo

di persone, tre, per la precisione, che ovviamente era legato allachiesa, affidava ad un solo membro il segreto sul posto doveera nascosto il Codice. Gli altri membri del consiglioconoscevano soltanto il nome della persona che eraresponsabile davanti a Dio e alla nazione dell’integrità deldocumento. Prima di morire il depositario del segreto avvisavail consiglio che era giunta l’ora in cui un'altro avrebbe dovutooccuparsi dell’incombenza. L’ultima persona che fece parte diquesto consiglio fu Nasi Papapavli. È interessante dire chequando Nasi Papapavli capì che stava per morire, decise diderogare dalla legge secolare del consiglio segreto. È pur veroche l’accademico albanese Aleks Buda andò per molti anni daNasi Papapavli in nome della nazione e dello stato albanese

con la speranza di sapere dove fosse nascosto il codice ma

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Papapavli non si lasciò mai convincere a rivelare il segreto.Negli anni ’60, dopo la sua improvvisa malattia, esisteva solo

un’opportunità: quella di seppellire, con la sua morte, anche lesperanze di sapere dove fosse nascosto il prezioso codice. MaPapapavli scelse una seconda alternativa: visto che gli altrimembri del consiglio segreto erano già morti e il codicerischiava di non vedere mai più la luce del sole, egli “tradì” lasua consegna, rivelando il posto dove era nascosto il Codice

Purpureo ed altri antichissimi reperti. Questo posto esisteancora oggi ed è tuttora individuabile vicino all’abside nellacattedrale della Santa Maria a Berat. I codici furono recuperatiin un momento critico: a causa dell’umidità, erano a rischio difrantumarsi. Fino al 1944 i documenti, incluso il codice del VIsecolo, erano in condizioni relativamente buone. Con il CodicePurpureo si celebravano le messe solenni; la sua buona

conservazione è da ascriversi a merito dello stato albanese chese ne prese cura, salvandolo. Ma lo stato totalitario nonriconobbe il valore del grande patriota Nasi Papapavli, che erauna persona semplice. Egli merita sicuramente il rispetto e lariconoscenza di tutto il mondo della cultura perché, senza dilui, oggi non avremmo questo tesoro inestimabile la cuirilevanza supera i confini dell’Albania essendo patrimonio ditutta l’umanità. Il Codice Purpureo di Berat del VI secolo d.C.rappresenta un enorme vanto per il patrimonio culturaledell’Albania, il cui popolo sarà per sempre riconoscente a queisacerdoti di Berat che, con il loro silenzio, preservarono questameraviglia.

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La lingua usata negli oracoliDi Robert d’Angely

Un chiaro indizio sul carattere barbarico della lingua usatanegli antichissimi oracoli della Grecia viene fornito da Erodotonel suo libro Urania, VIII 133-136.Dopo la battaglia di Salamina, in cui i Persiani furono sconfitti,il loro generale Mardonio si fermò, per passare l’inverno, in

Tessaglia, da dove in seguito avrebbe ripreso l'offensiva controi Greci. Mardonio aveva intenzione di consultare gli oracolidella Grecia, per sapere se i suoi piani e le sue aspettativesarebbero andate a buon fine; di ciò incaricò un uomo che sichiamava M υς (Mys), originario della Caria (Asia Minore).M υς, insieme ad altre profezie, consultò anche l’oracolo di

Apollo, che era situato sul monte Ptoon in Beozia, vicino allago di Kopais, nel territorio dei Tebani. Si fece accompagnareda tre cittadini tebani che avrebbero dovuto trascrivere sulleapposite tavole il testo dell’oracolo. Però, secondo Erodoto,quando entrarono nel luogo sacro, la grande profetessacominciò ad esprimere le sue previsioni in una lingua barbara,cioè  pelasgica. I tre Tebani rimasero sorpresi, perché si

aspettavano di sentir parlare la lingua greca; invece M υς, ilquale capiva perfettamente l’idioma che stava parlando Pitia*, prese dalle mani dei Tebani le tavole e iniziò lui stesso atrascrivere il discorso della sacerdotessa, precisando che ellastava adoperando il gergo pelasgico della Caria.Erodoto, che riferisce questo episodio, si mostra sorpreso perl’accaduto. Ma noi** no. Anche se analizziamo i fatti ad una

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distanza di più di duemila anni, crediamo di conoscere bene lostato sociale dell’epoca della quale parla Erodoto, e non siamo

per niente sorpresi. Si sa che l’arte degli oracoli viene attribuitaai Pelasgi della Grecia, dell’Asia Minore, dell’Italia ecc. Oltrea questo, non ci sarebbe niente di straordinario se lesacerdotesse e tutti gli addetti a quei templi, avendo originipelasgiche, avessero parlato la propria lingua nativa; inoltre, illinguaggio pelasgico era in uso presso tutta la popolazione

locale, ad eccezione di una piccola élite. Ma la cosa curiosa einteressante, dal nostro punto di vista, è che l’aneddoto quisopra riportato ci dà la prova che le cosiddette lingue barbarecome il cariano, la lingua licia, il frigio ecc, erano dialetti dellalingua pelasgica, che si discostavano poco da essa.Un'altra considerazione importante che noi possiamo fare è cheErodoto considera i Pelasgi un popolo diverso dagli Elleni, in

quanto i primi non hanno avuto mai contatti con i secondi:ormai è provato che questi ultimi evitavano ogni tipo diinterazione con le altre popolazioni. Dionigi d'Alicarnasso, unostorico più recente di Erodoto, ci descrive però i Pelasgi senzaombra di dubbio come i “bisnonni” dei Greci che abitavano nelPeloponneso, e degli stessi Romani.Sia la razza e che la lingua dei Greci sono di origini pelasgiche;ad esempio, la parola βαρβαρ-ος (Bar-Bar-os) e il verbo che daessa trae origine, Βαρβαριζειν (Barbarizein), derivano dallalingua pelasgica. Infatti, riferendoci all’idioma pelasgicoattuale, e cioè l’albanese, possiamo dare due spiegazionietimologicamente perfette di questi vocaboli che hanno lastessa radice. La prima deriva dal termine logorrea, che in

albanese si traduce con  flet  bërbër  , si bythë e turtullit; la

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seconda spiegazione, invece, è legata alla distorsione delleparole, al non darne l’esatto significato, pronunciandole in

maniera sbagliata come un balbuziente o un bambino piccolo.In albanese abbiamo la frase: flet  belbër si foshnjat (parla male,come un bimbo). In tutti e due i casi ( flet  bërbër e flet  belbër) ,la lingua diventa incomprensibile anche per un Albanese. Lastessa cosa è successa con gli antichi Greci, i quali parlavanotutti il pelasgico, ma per comunicare con gli stranieri (non

pelasgi) crearono la lingua liturgica greca; così, dalla parolapelasgica  onomatopeica bër bër, crearono il termine βαρβαρ-ος (Bar-Bar-os). Questa parola era usata dagli antichi peridentificare sia coloro che adoperavano una parlata diversa dalgreco (gli stranieri), sia coloro che erano Elleni ma chestorpiavano e parlavano male la loro stessa lingua, oppureparlavano velocemente, rendendo così incomprensibile il senso

dei loro discorsi. In conclusione, la parola βαρβαρος (Barbaros)veniva usata dagli Elleni solo per identificare la lingua e non larazza di qualcuno, cosicché i Pelasgi erano considerati, adeccezione di coloro che parlavano e scrivevano in greco,barbari, allo stesso modo degli altri stranieri che non capivanola lingua greca. Invece, coloro che sapevano leggere e scrivere

il greco, erano considerati Elleni.* La Pizia , o Pitia , era la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nomedi Apollo. ** Con noi è sottinteso l’autore di questo testo. Nel testo originale si fa usodel plurale maiestatis. 

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Rivendicazioni del popolo serbo sui territorialbanesi

Di Robert d’Angely 

Quando, dopo la morte di Teodosio il Grande, l’impero romanosi divise nell’impero d’Oriente e quello d’Occidente, l’Illiriarimase nell’impero d’Oriente. Dopo la caduta del imperod’Occidente a causa delle invasioni barbariche, arrivaronoanche i serbi. La storia dei serbi, prima del loro arrivo nei Balcani, èmescolata con quella degli altri slavi in generale. In principio,vivevano tutti con nomi diversi nel nord-ovest dei Carpazi. Alnord c’erano gli antenati dei popoli baltici come i lituani, ilettoni ecc; in Oriente, c’erano i popoli che non erano slavi e,

nel sud-est, diversi popoli che vivevano nelle ampie steppedella Skitia.Solo nel VI secolo i serbi apparvero nel lato sud del Danubio.Naturalmente il loro afflusso spinse la popolazione illirica oalbanese autoctona verso sud; ma una piccola parte tuttavia fucostretta a fuggire verso le montagne, e soltanto dopo tempoarrivò alle vallate, dove si trovava l’invasore dal quale sarebbe

stata assimilata.Secondo Costantino VII di Bisanzio, detto il Porfirogenito, laconversione in cristianesimo dei serbo-croati è avvenuta in dueperiodi: la prima nell’epoca di Eraclio I di Bisanzio, chedomandò al Papa di mandare dei sacerdoti per battezzare lepopolazioni serbe (gli slavi della Dalmazia ancora nel VII

secolo, periodo del Papa Giovanni IV (640-642) erano popoli

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pagani; la seconda nel periodo di Basilio I, intorno all’anno879, periodo nel quale abbracciarono il cristianesimo tutti i

serbi, croati e altri popoli che non erano battezzati (sembra chegli ultimi a essere battezzati furono coloro che fanno parte dellaChiesa Ortodossa Orientale, invece i primi a ricevere ilsacramento del battesimo, per lo più croati e sloveni, sono oggicattolici). In tutte le chiese cattoliche serbe e anche in Vaticano, la lingua

serba si chiama lingua illirica e si scrive   Illyrica Lingua.L’espressione è utilizzata impropriamente perché la loro lingua  Illyrica Lingua non è affatto illirica, bensì slava. I serbi sigiustificano col fatto che all’inizio si sottomettevano, facendosichiamare Σερβοι che significa servi (cosa che non hanno maiapprezzato) dall’autorità bizantina. Loro desideravanomescolarsi con gli albanesi autoctoni. Per questo motivo, anche

l’alfabeto che avevano preso in prestito per i loro libri liturgici,prima dell’attuazione delle lettere cirilliche intorno all’anno885, invece di essere latino, come sarebbe stato gradito dalVaticano, era l’alfabeto glagolitico albanese.Si deve annotare che i bulgari chiamarono la loro lingua parlatain Macedonia, lingua macedone. Ma in Macedonia il bulgaronon è affatto l’unica lingua parlata, si parla anche il greco, ilserbo e soprattutto l’albanese. Per quanto riguarda AlessandroMagno, visto che era macedone, si potrebbe pensare cheparlasse bulgaro, ma qui si dimentica il fatto che AlessandroMagno era elleno di istruzione e albanese di origine. Bastaleggere i testi antichi per sapere che Alessandro Magno quandoparlava con i suoi generali e con i soldati, tutti macedoni,

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parlava nella lingua della madre. Sua madre era Olimpiadeepirota e parlava albanese.

L’invasione della Macedonia, dell’Albania, dell’Epiro e dellaTessaglia durante il dominio di Stefan Dushan non fuun’impresa difficile, perché in quel periodo l’impero Bizantinoera in piena decadenza ed era rimasto indebolita a causa dinumerose guerre civili. Non si ricorda nessuna battaglia epica.Ormai le regioni occidentali erano sotto il dominio serbo.

Secondo un altro punto di vista, la facilità con la quale sonostati conquistati i territori da Stefan Dushan solleva un altroproblema, - se ancora si pensa alla questione come unproblema - oramai risolto negativamente.Queste invasioni creano un diritto senza dare agli albanesi, chein buona parte ancora vivono in queste regioni occupate, lapossibilità di replica?

Dopo tutto, queste invasioni potevano essere legittimate se sifossero svolte pacificamente e in maniera tale da portare unapossibile riconciliazione fra i due popoli, così che il popolosconfitto avrebbe accettato il potere dei vincitori. Ma quisiamo un po’ volati troppo in là con la fantasia. Al contrarioStefan Dushan e i suoi seguaci non sono riusciti a mantenere iterritori ancestrali degli albanesi. Tutti questi territori eranoabitati dagli albanesi, e nella maggior parte anche oggi le stessepopolazioni vivono negli stessi posti. Ma per quanto tempoancora?Di conseguenza è troppo audace e esagerata la rivendicazionedei delegati serbi in diverse conferenze internazionali esoprattutto nella Conferenza di Pace che si è svolta a Parigi nel

1920 sulla questione che loro chiamano “La vecchia Serbia”, e

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per un impero così effimero come quello di Dushan, perché inpassato è esistito un imperatore che si chiamava Stefan

Dushan.Infatti possiamo leggere che: “nell’inverno dello stesso anno –cioè nel 1345, dieci anni prima della morte di Stefan Dushan –l’assemblea serba  permise la sua proclamazione comeimperatore con il titolo di Imperatore dei serbi e dei greci, (inlatino)   IMPERATOR SERVIAE ET ROMAINIAE. (in greco)

Αυτοκρατορες Σερβιασ (Ρακας) και Ρωµανιας.Durante l’occupazione turca nei territori serbi, gli albanesi, siamusulmani che cattolici e ortodossi, poterono manteneretranquillamente il loro carattere nazionale. È un caso unico nelmondo che la maggioranza convertita all’Islam non hacambiato né la nazionalità, né la lingua e neanche usi ecostumi. Ma dopo l’anno 1830, e soprattutto dopo il 1878 e

1920, quando si sono liberati e hanno ricostruito il loro regno, iserbi avanzarono pretese ingiustificate su quei territori che maihanno abitato definitivamente. Queste assurde pretese si basanosoltanto su un singolo fatto storico, durato meno di venticinqueanni (1930-1955): il regno di Stefan Dushan. Per di più,nonostante queste pretese siano una ingiustizia, i serbi sonostati accontentati grazie ai diplomatici zelanti, soprattutto nel1920, e sono stato la causa di tanti drammi subiti dagli albanesidel nord. Quest’ultimi scapparono dalla loro patria, dove eranoperseguitati sistematicamente, e nonostante tutto erano l’unicapopolazione autoctona. Sono stati costretti a chiedere asilodove hanno potuto, soprattutto in Turchia, dove le autorità sisono mostrate benevole nei loro confronti.

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Inoltre, non contenti di avere costretto gli albanesi adabbandonare le loro case e la patria nella quale vivevano fin

dalla preistoria più remota, i serbi che sognano di diventare“illiri” ma che mai ci sono riusciti, hanno usurpato gli usi e icostumi, la maniera di vestirsi e di vivere degli albanesi deiquali hanno preso il posto.

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Nazione e religione nell'identità albanese

Di Roberto Morozzo della Rocca

Università di Roma

Dopo le recenti vicende politiche e sociali 39 , l’opinionepubblica italiana ed europea ha dell’Albania un’immagine dipaese alla deriva, deprivato della sua identità dopo quasi mezzosecolo di regime comunista balcanico-staliniano. È l’immagine

di un paese abbruttito e distrutto, da cui gli abitanti vorrebberofuggire così come si abbandona una nave durante un naufragio.Televisione e stampa – nell’impeto della caduta degli dèi del1989 e del conseguente clima politico – tendono ad operare unazzeramento della realtà albanese, quasi che il periodo delcomunismo, nello specifico caso dell’Albania, avesse ridotto alnulla l’intera storia e cultura del popolo albanese. Bismarck,

nell’età degli imperialismi, riteneva che l’Albania fosse nientepiù che “un’astrazione geografica” destinata a scomparire. Lapubblicistica odierna naturalmente non cita il cancelliereprussiano, ma in fondo non suggerisce, per l’Albania, destinimigliori.Sono semplificazioni dei media? Sono le loro iperboliche

rappresentazioni ad uso di lettori e spettatori che poco sanno dicose albanesi? Personalmente sono convinto che l’Albania,malgrado il suo avvenire sia al momento incerto, non siaaffatto un paese senza identità, escluso dalla storia comuneeuropea, abitato da genti retrocesse a comportamenti e pensierisolo primitivi. Esistono correntemente varie interpretazioni

39 L’autore si riferisce agli anni novanta del secolo scorso. “ndr”.

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sull’identità e sul presente albanese, che smentisconol’immagine della tabula rasa.

I realisti dell’economia - vi accenno brevemente – ricordanocome l’Albania sia il secondo produttore mondiale di cromo,come esporti energia nei paesi vicini e non manchi di risorse divario genere per reimpostare vantaggiosamente un corsoeconomico. È un modo, anche questo, per legittimare di nuovola capacità d’autonomia di uno Stato albanese e per ridare

fiducia alla sua popolazione.D’altra parte, l’obiezione maggiore che si fa all’immagine diun’Albania deprivata di identità e di futuro viene da unavisione tradizionale, al limite della retorica, che la culturaeuropea ha dell’Albania.Sugli Albanesi e la loro terra la cultura europea ha prodotto, traOtto e Novecento, stereotipi di ogni sorta: un paese selvaggio e

puro; una popolazione indomita e sanguinaria; una religione euna civiltà tra oriente e occidente, tra bazar e monumenti delclassicismo; sotto l’influenza di mille culture male assimilate ein realtà con l’unica cultura della natura e della forza; insommaun paese da choc. E molti intellettuali hanno visto il piccolopaese adriatico come un prisma attraverso cui proiettare i lorosogni o i loro incubi. Solo nel nostro secolo, l’Albania è stata laterra dell’uomo libero o del “buon selvaggio”, dell’uomonuovo o dell’uomo primitivo, della libertà o della tirannia, delcomunismo realizzato, come mai altrove, oppure del gulagsotto casa, paradiso incontaminato o invece residuo di mondoantico.L’Albania come mito perdura a dispetto delle trasformazioni

storiche e del crollo di uno stereotipo dopo l’altro. Non c’è più,

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in Albania, il più temerario e originale tra i comunismi, ma sipuò sempre attingere alle topiche tradizionali: l’albanese fiero e

guerriero, l’albanese uomo d’onore e di istinti primordiali puri.Si veda quanto scriveva nel giugno 1990 la tanto antica quantoprestigiosa   Revue des deux Mondes sotto il titolo Shqiprija  pays des aigles (Albania paese delle aquile). La premessa èconseguente a una certa cultura francese: la geografia spiegamolto, se non tutto, della storia. Ma, poi la cultura francese, a

prescindere dal consueto esprit  lessicale, non suggerisceinterpretazioni particolarmente nuove:

“  Le milieu géographique suffirait presque à expliquer 

l’historie de l’Albanie…entre de rudes montagne… Ce paysaged’escarpements a façonné l’âme sans partage de l’Albanais…  A nature ingrate, homme extrême, tanné au dehors et au-dedans, indiffèrent à la mort, nourri de la duvet du climat et dela peine à survivre. Code de l’honneur trace à la courbe mêmedes reliefs. Nulle équivoque. La vérité est dans la mort, plusqu’aucun ne le sera jamais”40 Le conclusioni, pur nel medesimo genere letterario, devonotener conto della crisi odierna:“Du sang dans les veines duquel coulait hier la conscience

nationale d’un peuple irréductible et fier qui découvre

40 Cfr. Revue des deux Mondes, juin 1990, pp. 42-53, p. 43. Trad.“L'ambiente geografico è sufficiente a spiegare la storia dell’Albania...tra le rudi montagne... Questo paesaggio di scarpate ha dato formaall’anima indivisa degli albanesi ... Una natura ingrata, uomo estremo,abbronzato dentro e fuori, indifferente alla morte, alimentato dal clima edalla pena a sopravvivere. Un codice d'onore traccia la curva stessa deirilievi. Nessun equivoco. La verità è nella morte, più che in qualsiasialtra cosa.” 

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aujourd’hui, dans sa caricature stalinienne, la fragilité de samémoire…”41 

Più vicini al vero degli antichi e nuovi cantori del mitoalbanese sono stati - a mio avviso – coloro che, senza negareall’Albania un’identità e una originalità, l’hanno intravista neltravaglio storico del popolo albanese, descrivendo l’Albaniacome un paese esposto agli invasori, sempre costretto adifendersi, arretrato perché ai margini sia della civiltà

occidentale che di quelle orientale, e non da entrambearricchito e premiato. Le parole di Carlo Levi su Eboli –“nessuno ha toccato questa terra se non come conquistatore oun nemico o un visitatore comprensivo” 42  hanno una lorosuggestiva validità per l’Albania.Ma non vorrei proseguire nel presentare e nel discutere questatendenza della nostra cultura che – per dirla sommariamente –

vorrebbe definire un’identità dell’Albania attraverso itradizionali miti e stereotipi della fierezza e dell’eroicitàdell’albanese. Piuttosto vorrei, in quanto storico, contribuire arispondere al quesito sull’identità albanese fornendo qualcheelemento sul nazionalismo e sulle religioni tra otto enovecento. Ad essere schematici, credo che l’identitàdell’Albania contemporanea sia debitrice, sotto un profiloideologico, soprattutto delle correnti e del pensieronazionalista. Il nazionalismo è stato per gli albanesi una sorta

41 Ibidem, p.44. Trad. « dal sangue delle vene dal quale scorreva ieri lacoscienza nazionale di un popolo irriducibile e fiero che scopre oggi,nella sua caricatura staliniana, la fragilità della sua memoria »

42 Cosi in Cristo si è fermato ad Eboli, Torino 1945.

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di religione, pur senza sostituire le religioni intese in sensoproprio, con le quali ha avuto un rapporto complesso.

Il poeta albanese del secolo scorso, Vaso Pasha, esponenteromantico del Risorgimento nazionale, ha particolarmenteinsistito sulla vera “fede” degli albanesi, che sarebbe poil’essere albanesi. “La vera religione degli albanesi èl’albanismo” – è l’espressione di Vaso Pasha che gli albanesiben conoscono. Enver Hoxha amava ripetere queste parole.

Ramiz Alia le ha ribadite nel momento in cui rendeva di nuovolegali le religioni in Albania. Ma non è un concetto caro solo aileader comunisti. Anche re Zog e il suo grande avversario, ilvescovo ortodosso Fan Noli, professavano ammirazione per iversi di Vaso Pasha.In effetti, se in Albania, dalla rinascita albanese ottocentesca aoggi, si cerca il motivo dominante della vita pubblica e della

cultura, questo è il senso della nazione, l’esaltazione dell’amordi patria. Il valore supremo, per l’albanese, è la nazione.La divinizzazione dell’identità albanese operata da Vaso Pashasi fonda su elementi, se si vuole, piuttosto semplici: è lasottolineatura delle bellezze della terra albanese che è “nostra”e di nessun altro, è la fede del sangue versato dagli antenati perdifendere la patria. Ma Federico Chabod insegnava da par suoquale potente forza evocativa hanno i termini “terra” e“sangue” per formare l’dea di nazione e soprattutto ilnazionalismo43.

43 Si vedano a questo proposito le classiche pagine dello storico valdostanoin F. CHABOD,  L’idea di nazione, a cura di A. Saitta e E. Sestan, Bari1961.

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Altri popoli europei hanno conosciuto la fase romanticadell’idea di nazione e da questa sono passati al nazionalismo ed

ai naufragi delle due guerre mondiali. Ma sembra essersitrattato, per l’appunto, di fasi transitorie di vicende nazionalicomplesse. In Albania la storia è stata diversa. L’epoca delRisorgimento albanese sembra essere eterna. L’identitànazionale albanese è stata a lungo soffocata, e poi ha talmentefaticato per affermarsi, che l’atmosfera di esasperato

patriottismo in cui scriveva Vaso Pasha si è prolungataindefinitamente. Occorre immaginare quale quantitè nègligeable (quantitàtrascurabile) rappresentasse una popolazione albanese di pochecentinaia di migliaia di abitanti nell’Ottocento, o di poco piùsettecentomila alla fine della prima guerra mondiale, per gliappetiti dei popoli vicini, i quali vivevano anch’essi in un clima

di focoso nazionalismo. La storia è stata ingrata con glialbanesi, giunti per ultimi, nel 1912, alla formazione di unoStato indipendente tra i popoli balcanici soggetti al dominioottomano44. La lunga repressione delle aspirazioni nazionali, isacrifici occorsi per ottenere l’indipendenza, e, una voltaacquisita, l’umiliante tutoraggio del neonato Stato albaneseprescritto dalle grandi potenze, tutto questo ha prodotto unnazionalismo radicale.

44 Sulla formazione dello Stato indipendente con il relativo processorisorgimentale si vedano, per un inquadramento, S. SKENDI, the

 Albanian National Awakening (1878-1912), Princeton Un. Press, 967;G. CASTELLAN, l’Albanie, Paris, 1980; e   Histoire de l’Albanie desorigines â nos hours, a cura di S. POLLO e A. PUTO, Lyon, 1974. Unabibliografia a questo proposito in Albanie, une bibliographie historique,a cura di Odile DANIEL, Paris, 1985.

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Può dirsi che non vi sia espressione delle vita pubblica e dellacultura, nell’Albania del Novecento (prima dell’avvento al

potere dei comunisti), la quale non si richiami ai valori delnazionalismo ed all’epopea letteraria della Rilindja, la rinascitapatriottica dopo il letargo ottomano.Dopo il 1944, il comunismo ha cambiato l’orchestra ma non lamusica. Gli indirizzi politici del comunismo albanesedimostrano ampiamente la centralità della questione nazionale

dell’indipendenza e della sovranità. Si pensi all’autarchiaeconomica, alla politica estera che per maggior sicurezzasceglieva interlocutori agli antipodi del pianeta (l’alleanza conla Cina), alla fierezza dell’unicità albanese, alla politica diincremento demografico accelerato (ogni albanese in più, unfucile in più per difendere la patria).Nel 1976 Mehmet Shehu, il compagno di Enver Hoxha, poi

tragicamente scomparso, proclamava: “Certo, l’Albaniasocialista è piccola, accerchiata, e sottoposta ad un blocco, masi erge come un’isola di granito nel grande e perfido oceanoimperialista e revisionista”.È l’orgoglio della particolarità albanese. È il medesimo sensodi nazione in lotta, la medesima concezione eroicadell’esistenza nazionale, che da Skanderbeg giunge a VasoPasha ed infine al regime marxista di Hoxha. Del resto imonumenti a Stalin e ai padri del marxismo costruiti inAlbania, se posti a fianco ai monumenti equestri di

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Skanderbeg, non sfiorava neppure la sella su cui montaval’eroe nazionale45.

Nel volgere dell’ultimo secolo, non c’è paese vicinoall’Albania che non ne abbia conculcato o minacciatol’indipendenza, per tacere della vicenda ancora aperta delKosovo. Gli albanesi hanno dovuto lottare, armi alla mano,contro soldati e milizie ottomane, serbe e montenegrine,  jugoslave, greche, italiane, bulgare, tedesche. Nell’ultimo

dopoguerra, Tito voleva fare dell’Albania una provincia jugoslava, e poco dopo, nel 1949-51, americani e inglesi hannofatto dell’Albania il banco di prova del rovesciamento di unregime filosovietico dell’Europa orientale, tentando invano diavviare una guerriglia all’interno del paese, in vista diun’invasione dall’esterno46.La storia sofferta della nazione albanese spiega perché nella

cultura schipetara, anche nel periodo socialista, il nazionalismonon sia considerato un termine inequivocabilmente negativo.Quello che per un europeo occidentale è un termine che evocaepoche infauste, guerre, fanatismo razziale, imperialismo, perun albanese può essere un valore positivo. Cos’altro hannopotuto fare gli albanesi di questo secolo, se non difendere laloro patria dalle tante e ripetute aggressioni?L’assolutizzazione del discorso nazionalista non stupisce, e del

45 Due recenti descrizioni critiche dell’Albania degli anni Ottanta, in cui sirileva il particolare carattere “nazionale”del marxismo albanese: E. e j-p.champseix, 57, boulevard Staline. Croniques albanaises, Paris 1990, eF. TOZZOLI, Il caso Albania, Milano 1990.

46Su questo aspetto poco noto della recente storia albanese,cfr. N. Betel, Lamissione tradita. Come Kim Philby sabotò l’invasionedell’Albania,Milano 1986. 

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resto si pensi al consenso che riscuote il nazionalismo in altreregioni europee dove i problemi nazionali non sono risolti, da

una serie di regioni e repubbliche comprese in quella che era lafederazione socialista sovietica, ai paesi baschi, o all’Irlandadel nord. O si pensi a quanto sta accadendo proprio accantoall’Albania, nella federazione jugoslava preda della guerracivile.La scelta per l’ateismo di Stato, o, come qualcuno ha scritto,

per “l’ateocrazia”, nel 1967, non è stata una scelta per una sortadi confessionalismo nazionalista. È esistita nell’Albania diHoxha una religione di Stato, quella della nazione, provvistadelle tendenze inquisitoriali e intolleranti di una religione diStato che ha a sua totale disposizione il braccio secolare. E,poiché l’Albania ha una sua tradizione islamica, non è neppuremancato il Profeta: in questo senso potrebbe intendersi il culto

della personalità di Enver Hoxha.Il marxismo è stato la teologia di questa religione, necessarioforse per accordarla con la modernità. In verità, il marxismo inAlbania non nasce da un’ispirazione del Profeta, si chiamopure Enver Hoxha. È stato invece un fenomeno storico: è statala risposta rabbiosa e disperata ad una società che era rimasta allivello feudale, la più arretrata d’Europa, con tassi altissimi dimiseria ed analfabetismo47. E tuttavia, il marxismo ha servitoegregiamente la religione albanese della nazione, fornendole

47 Cfr. a questo proposito B. BARDOSHI e T. KAREGO,  Ledèveloppementèconomique et social de la R.P. d’Albanie (1944-1974),Tirana, 1974 e, in altro senso, S. SKENDI, Albania, New York 1956; masoprattutto il quadro dell’economia albanese tracciato in A. ROSSELLI,

  Italia e Albania: relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna1986.

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parole d’ordine, obbiettivi, riti e dogmi. Tutte le asseriteconquiste del marxismo albanese, l’uomo nuovo, la società

degli eguali, sono state considerate esclusive non tanto delmarxismo, quanto della nazione albanese.In Albania, d’altra parte, la fede della nazione non ha avutoconcorrenti temibili. Le religioni albanesi non ne hannominacciato il primato nella cultura e nella vita pubblicaalbanese. L’egemonia ideologica del nazionalismo ha anzi

influenzato profondamente le comunità religiose albanesi.L’Albania è un paese mediterraneo molto particolare: è l’unicodella riva Nord ad essere a maggioranza musulmana. Ora,l’Islam albanese è tutt’altro che integralista, ha tendenzesintetiche, ha un concetto debole dell’Umma dei credenti nelCorano, ha tradizioni ancora povere 48. Non è un islam cheforgia un’identità nazionale, pur contando formalmente sul

70% della popolazione. Del resto, il passaggio dalcristianesimo all’Islam di parecchi albanesi, lungo l’etàmoderna, sotto il dominio ottomano, è stato definito da taluno,non senza ironia “un atto di politica alimentare”: era un mododi sopravvivere49.

48 Sull’Islam albanese cfr. A. POPOVIC,   Les musulmans du Sud-Est europèen dans la pèriode post-Ottomane. Problèmes d’approche.,(Journal Asiatique”, 26 (1975), pp. 317-360;  P. BARTL  , Diealbanischen Muslime zur Zeit der nationale Unabhängigkeitbewegung1878-1912, Wiesbaden 1986; oltre al mio,   Nazione e religion in

 Albania(1920-1944), Bologna 1990. 49 Cfr. il citato articolo sulla”Revue des deux Mondes”. La definizione in

questione è del figlio del re Zog e aspirante al trono d’Albania, Leka I.su un piano più scientifico si vedano, a proposito dell’islamizzazionedegli albanesi: BARTL, op. cit.; T. W. ARNOLD, The Preaching of 

 Islam. A History of the Propagation of the Muslim Faith, London 1986;

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Le comunità religiose albanesi, com’è noto, sonofondamentalmente quattro: la musulmana sunnita, la

musulmana bektashi (questa setta di dervisci, con elementodottrinali ad un tempo sciiti e cristiani, misterica ma ancheaperta alle ideologie della modernità, coinvolgeva prima delcomunismo intorno al 15% della popolazione), ortodossa(circa il 20%), la cattolica (circa il 10%)50. Ebbene, nelle miericerche sull’Albania contemporanea ho riscontrato come

queste comunità religiose si siano strettamente legate allapassione nazionalista, assumendola come tratto privilegiatodella loro azione51.Le riviste cristiane e musulmane, i discorsi dei capi religiosi, ledottrine sociali e politiche delle diverse religioni, tendevano inAlbania sempre a sottolineare la centralità della questionenazionale. Qualora una comunità religiosa aveva contrasti con

un'altra, era tutto un vantare, da una parte e dall’altra, le piùalte benemerenze patriottiche. Lo stesso accadeva se unacomunità religiosa era in urto con il potere civile: per prevalerenella querelle, entrambe le parti rincaravano il nazionalismo.Quasi che il dogma della nazione fosse al di sopra dei dogmiconfessionali o della ragion di Stato.

G. Stradmüller,   Die Islamisierung bei den Albanern, “Jahrbücher für Geschischte Osteuropas”, 3 (1955), pp. 404-429; H. KALESHI,  DasTürkische Vordringen auf dem Balkan und albanischen Volkes, inSüdosteuropa unter dem Halbmond, hrsg. Von Peter Bartl und Horst Glassl, München 1975, pp. 125-138.

50 Per un approccio complessivo alle religioni in Albania rimando al mio, Nazione e religione in Albania.

51 Cfr. ibidem. 

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Qualche minoranza religiosa – è vero – non valorizzava troppoil discorso nazionalista, ma il fenomeno è secondario. Penso

alle poche migliaia di ortodossi grecofoni della Bassa Albania,che però costituivano più un problema etnico checonfessionale, oppure ad alcuni gesuiti di Scutari, peraltrocittadini italiani, i quali comunque avevano un loro peculiareattaccamento alla terra albanese.Anche il luogo comune che vuole gli albanesi di diverse fedi

sempre uniti quando la patria è in pericolo non è un’astrattaidealizzazione. In effetti, in virtù della professione di fedepatriottica a tutti comune, si guardava agli albanesi di diversareligione come a dei fratelli non appena si aveva dacondividere una qualche emergenza per la nazione. È vero che,poi, si riprendeva a vederli come diversi o inferiori in fatto diciviltà una volta tornati alla normalità. Ma di fronte ad

ingerenze, minacce, invasioni straniere, le religioni albanesi sisono di regola scoperte solidali nella difesa della patria. Inquesto senso può essere in buona sostanza respinta l’accusatradizionalmente rivolta alle religioni albanesi, di essere statefattore di divisione e pertanto di debolezza nazionale52.

52 Un tentativo di mettere a fuoco il rapporto tra religione e nazione, ovverodi appurare come fattore religioso incida sul nazionalismo, se in sensofavorevole o contrario, in un recente studio di Eric J. HOBSBAWM(  Nazioni e nazionalismo dal 1870. Programma, mito, realtà, ed. it.Torino 1991), il quale dopo una casistica che presenta situazioni moltocontraddittorie non azzarda una conclusione univoca: “In definitiva: irapporti tra religione e identificazione proto nazionale o nazionalerestano complessi e assai poco chiari e, in ogni caso, non sonosuscettibili di generalizzazione(p.80). a proposito dell’Albania,Hobsbawm rileva come gli albanesi avessero nell’Ottocento unacoscienza nazionale piuttosto sviluppata “nonostante fossero divisi al

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Quando Hoxha, nel 1967, metteva al bando le religioni inquanto antinazionali, quali che fossero i veri moventi della sua

azione, la fondava particolarmente su questa accusa 53 . MaHoxha sapeva probabilmente di semplificare la questione, invista dell’uso politico che ne doveva fare.Indubbiamente le religioni sono state considerate dai nemiciesterni dell’Albania come strumenti di penetrazione nel paese,ma questo non significa che le comunità religiose albanesi

intendessero essere loro complici. In realtà esse erano permeatedella cultura nazionalista egemone e condividevano l’ideanazionalista, vissuta come destino sacro e fatale. Così era, trale due guerre, per gli ortodossi impegnati a fondare esostanziare l’autocefalia e a rigettare la cultura greca: per talunidei francescani che inclinavano – loro religiosi cattolici – allaxenofobia; per i bektashi che vantavano per sé i maggiori

patrioti albanesi e identificavano nella patria “il massimo ditutti i beni” 54 ; per i musulmani sunniti che, dopo qualcheincertezza iniziale, sentivano l’Albania indipendente ed ipalazzi di potere, a Tirana, come loro creature esclusive.

loro interno da una quantità di fedi religiose molto maggiore di quellache normalmente si ritrova nell’ambito di un territorio dalle dimensioniall’incirca corrispondenti a quelle del Galles” (p. 79).

53 Sulla lotta antireligiosa del 1967 e degli anni successivi cft. Lemotivazioni e le ricostruzioni su cui si sofferma no poco, e conchiarezza, l’ufficiale Storia del Partito del Lavoro d’Albania, edita acura dell’Istituto di studi marxisti – leninisti presso il Comitato centraledel Partito del Lavoro d’Albania, Tirana, 1971, pp. 652-258.

54 L’espressione è del bektashi Naim Frashëri, considerato il maggiorpatriota albanese de secolo scorso (cft. N. Frashëri,   Die Bektaschis,herausgageben und übersetz von Norbert Jokl, “Balkanarchiv”, 2(1962), pp. 226-240).

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Non intendo affatto, con queste osservazioni, ridurre lereligioni dell’Albania a entità irrilevanti, la cui unica funzione

era o è di sostenere l’idea di nazione. Lo storico non puòindagare l’assenza del fenomeno religioso, ma solo proporreuna storia positiva dei comportamenti umani socialmenterilevanti, indipendentemente dal giudizio del sentimentoreligioso e della “fede” degli individui e dei popoli. Lo storiconon può dire se gli albanesi siano o no un popolo religioso,

benché ciò sia stato oggetto di infinite controversie politiche eletterarie. La “fede” è per sua natura realtà interiore, invisibile,incontrollabile. Lo studioso può invece ricostruire il ruolo dicomunità, che ad una fede si richiamano, negli avvenimenti diuna società e di un paese. In questo senso, si può rivelare laforte influenza che l’idea di nazione ha esercitato sulla culturae sugli uomini di religione e sui credenti albanesi per un lungo

periodo, stante che nessun credente vive al di fuori dellapropria determinata temperie culturale e sociale.In conclusione, se gli albanesi non sono, dopo il crollo delcomunismo, un popolo senza identità, questo è dovuto alsedimentarsi, ininterrotto, di una cultura in cui patria e nazionesono elementi tutt’altro che secondari. Le religioni hanno purecontribuito a questa cultura, inserendosi in tal modopienamente nella corrente e nello spirito della vita albanesecontemporanea. D’altra parte, è pur vero che una civiltàcristiana e una civiltà islamica dell’Albania sono realtà di fatto,che hanno plasmato l’identità di questa nazione, ma forsesarebbe meglio dire che ne hanno plasmato l’anima, che èqualcosa di cui lo studioso di cose storiche non riesce

facilmente a parlare.

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Gli Albanesi

Di Sami Frashëri

Gli Albanesi sono un popolo che abita il lato occidentale dellapenisola balcanica. La parola arnaut (albanese in turco) derivadal termine greco arvanit (albanese). Questa popolazione abitala penisola balcanica da tempi remotissimi. Anche se sono stati

a lungo in contatto con l’antica Grecia e con Roma, gliAlbanesi hanno vissuto autonomamente rispetto a queste duegrandi civiltà. Sovente accomunato con altre popolazioni,perché non considerato autonomo (malgrado l’esistenza di unalingua nazionale), fino ad oggi55 quello albanese è rimasto unpopolo pressoché sconosciuto alla cultura convenzionaleeuropea. Alcuni studiosi e storici europei pensano che gli

Albanesi siano provenuti dall’Albania del Caucaso, e cioèl’odierno Daghestan; altri ritengono che siano Slavi, altriancora credono che siano un popolo rimasto allo statoprimitivo e un’altra parte ancora che siano Greci. L’autoreritiene che ognuno di loro sia lontano dalla verità. Moltifilologi sanno che la lingua albanese ha affinità con il grecoantico, il latino, la lingua slava, e che addirittura ha delle parolein comune con essi, ma si è sempre pensato sia la linguaalbanese ad essere stata contaminata dalle suddette lingue.Ultimamente56 , quando alcuni filologi europei iniziarono astudiare seriamente la lingua albanese, capirono in che rapporti

55 Cioè nel 1898, N.d.T.56 Sempre nel 1800, N.d.T.

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essa fosse con il greco antico, il latino, le lingue slave, la linguapersiana sanscrita, ecc. Esaminando attentamente l’essenza

della lingua albanese e studiando minuziosamente la storia diquel popolo, finalmente capirono quali fossero le sue radici, dadove fosse venuto, ecc. Tale questione, che è rimasta unaspecie di enigma per tanti secoli, oramai è totalmente risolta, edabbiamo la certezza che il popolo albanese appartenga ad unodei ceppi più antichi delle popolazioni dell’Asia e dell’Europa:

gli “Arii”.Se dovessimo soffermarci attentamente sul tema delle parolealbanesi che sono affini a termini del greco antico, del latino,dello slavo, delle lingue germaniche e delle altre lingue anticheeuropee che da esse derivano, e poi ancora della linguapersiana, della lingua zend e del sanscrito, saremmo costretti adilungarci ed annoiare il paziente lettore. Possiamo dire che, se

facessimo un dizionario etimologico della lingua albanese,resterebbero escluse pochissime parole prive di affinità con gliidiomi da noi qui sopra elencati. Perciò non si ha la certezzaassoluta che sia la lingua albanese ad essere stata originata dailinguaggi di matrice europea, perché moltissime parolealbanesi hanno radici diverse da quelle delle medesime parolein latino e greco antico. Questo è un ulteriore argomento atestimonianza del fatto che la lingua albanese abbia origini piùremote del greco antico e del latino, e di conseguenza che ilpopolo albanese sia quello più antico. L’affinità che hannoalcune parole albanesi con la lingua persiana, la lingua zend edil sanscrito, più di qualsiasi altra lingua ariana dell’Europa,prova che l’albanese non deriva dalla lingua latina, greca e

dalle lingue slave, ma ha un collegamento diretto con le antiche

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lingue ariane e ci dimostra anche che gli Albanesi giunserodall’Asia Centrale in Europa, come gli altri antichi popoli

ariani. I popoli europei, secondo le tesi più accreditate,lasciarono in tempi antichissimi l’Asia Centrale per emigrare inmassa verso ovest. Una parte di essi s’insediò in Russia, unaparte in Iran e Anatolia, altri in Caucaso e sulle rive del MarNero; infine, si sparsero ovunque in Europa. Queste migrazioninon avvennero in tempi brevi, ma in lunghi archi temporali. È

risaputo che la popolazione celta sia stata una delle prime adarrivare in Europa. Ė probabile che gli Albanesi sianosopraggiunti più o meno nello stesso periodo dei Celti. Leaffinità idiomatiche e di altro tipo dimostrano chiaramente chequeste due popolazioni (Albanesi e Celti) siano arrivate inEuropa quasi nello stesso periodo. I Celti s’insediarononell’Ovest dell’Europa, invece gli Albanesi nell’Europa

Orientale. Gli Slavi arrivarono molto più tardi. In quei tempigli Albanesi si chiamavano Pelasgi. Secondo una corrente dipensiero, questo nome deriva dalla parola albanese  plak (vecchio). Comunque sia, questo popolo in quel tempo erasparso in tutta la penisola balcanica, e fino all’Ovestdell’Anatolia. Gli Elleni, che arrivarono in un secondomomento, spinsero i Pelasgi fuori dal Peloponneso, tanto cheuna gran parte di essi migrarono in Italia ed è possibile che,mischiandosi con la popolazione autoctona, abbianocontribuito alla nascita del popolo latino. Ma non tutti i Pelasgiandarono via dalla Grecia. Molti rimasero in Etolia e in altrezone dell’Ellade, e molti di loro si fusero con gli Elleni.I Pelasgi, cioè gli antichi Albanesi, come spiegheremo meglio

nel seguito, erano divisi in quattro gruppi:

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1- Gli Illiri, erano sparsi dal confine settentrionale dell’anticaGrecia fino al Nord dell’Adriatico, e cioè nel territorio che

attualmente comprende l’Albania odierna, la Bosnia e laDalmazia.2- Gli antichi Macedoni, si stanziavano dalla montagna diPindo fino ai monti Rodopi, al fiume Karasu ed al mar Egeo ecioè nella zona di Salonicco, fino a Monastir, Scopie, ecc.3- I Traci, dimoravano in Bulgaria e forse fino al lato destro del

fiume Danubio.4- I Frigi, spaziavano dalla costa dell’Anatolia fino ad Ankarae Sivas.Per tutti e quattro i popoli che abbiamo nominato esistonoprove attendibili della loro origine pelasgica. Gli Illiri e iMacedoni erano molto simili nella lingua, nelle usanze e neicostumi. La stessa cosa possiamo dire anche per i Frigi e i

Traci. In particolar modo, il gergo degli Illiri e dei Macedoniera lo stesso. L’affinità fra questi quattro popoli era così forteche quando i Greci si mobilitarono nella guerra contro il retroiano, che era considerato frigio, eserciti dalla Macedonia edalla Tracia accorsero in difesa dei Troiani contro i Greci. Seanalizzassimo alcuni vocaboli che ci sono stati tramandati dallastoria degli antichi idiomi di Macedonia, Frigia e Tracia, sinoterebbe che sono molto simili a parole del lessico albanese.Erodoto ci dà un indizio significativo, quando scrive che nellalingua frigia il pane era chiamato buks. Così, eliminando ilsuffisso greco s, che è stato aggiunto dallo stesso Erodoto,appare chiaro il nesso con la parola albanese buk-ë, che si usatutt’oggi in Albania e che significa proprio  pane. Anche

Strabone, che è vissuto nel I secolo d. C., testimonia che gli

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antichi Macedoni e gli Illiri erano un unico popolo e parlavanola stessa lingua. Infatti scrive:

“Gli abitanti dell’Epiro, della Macedonia e dell’Illiria parlanola stessa lingua, tagliano i capelli nella stessa maniera e hannoidentici usi e costumi.”(traduzione libera).Ed inoltre:“Essi si fanno guidare dal consiglio degli anziani, che vienedetto“plagonija”; l’anziano è chiamato “plajis”, l’anziana

“plaje.” (traduzione libera).Osserviamo che le parole plakonja e plak si usano ancora ogginella lingua albanese con lo stesso significato. Nei paesimontani dell’Albania è conservata l’usanza che le discordie fragli abitanti vengano risolte dai consigli degli anziani, chiamati plakonja.Con la stessa certezza che i quattro popoli sopracitati derivino

dei Pelasgi, possiamo affermare che gli Illiri sono gli antenatidegli Albanesi. Si conoscono con relativa precisione glispostamenti di molti popoli da quasi duemila anni, ma nonrisulta che un popolo straniero si sia insediato nei territori doveoggi abitano gli Albanesi. Inoltre, in generale è ormai accettatoil fatto che gli antichi Pelasgi e gli Albanesi appartengano allastessa etnia. Questa convinzione viene rafforzata soprattuttodalla lettura degli antichi storici greci, che affermano chereligione e credenze dei Greci e dei Romani sono stateassimilate entrando in contatto con gli antichi Pelasgi, per cuianche i nomi degli dèi greci e romani sono di origine pelasgica.Assumendomi la responsabilità delle mie tesi e rivendicandol’orgoglio di essere albanese, posso confermare che il nostro

popolo, nei tempi passati, si è esteso da Trieste fino a Sivas, e

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cioè in due continenti: Europa e Asia. Ma, essendo circondatida stati potenti come la Grecia e l’antica Roma, e dovendo

perennemente combattere contro gli invasori, i Pelasgi sonostati assimilati e sono quasi scomparsi in Anatolia, e più tardianche in Tracia e nella parte Sud-Est della Macedonia edell’Illiria, e cioè in Bosnia. Oggi gli Albanesi risiedono nellaparte Sud-Occidentale della Macedonia per via degli attacchicontinui dei Bulgari e degli Slavi.

Gli Albanesi non hanno cambiato gli usi e costumi che hannoereditato dai Pelasgi e dagli Illiri. Hanno sempre vissuto indisparte dagli altri popoli. Anche al loro interno vivevano divisie in inimicizia in piccole tribù. Se analizziamo i dati storici checi riporta Strabone, noteremo che lo stile di vita checaratterizzava gli Albanesi nei tempi antichi continua ancheoggigiorno ad essere lo stesso nelle montagne di Dibra e

Scutari. Essendo in continua lotta anche fra di loro, gliAlbanesi non hanno mai potuto essere uniti, codificare la lorolingua o creare una loro letteratura. Anche gli studiosi, che purnon mancavano loro, erano costretti a imparare lingue straniereper questioni politiche ed in questa maniera non hannocontribuito al progresso culturale del loro paese natio. Perquesto loro modo di vivere così isolato, gli Albanesi non hannomai cercato di cambiare il loro arcaico idioma, che è rimastopressoché intatto, così come gli usi e i costumi.Gli Albanesi, fin da tempi remoti, hanno vissuto divisiraggruppamenti tribali, e sono stati da sempre guidati dai lorocapi tribù o dal consiglio degli anziani; è proprio per questomotivo cha la loro storia non è stata mai documentata. Come è

noto, essi avevano formato tre stati; uno era collocato a Scutari,

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l’altro in Epiro e cioè nei territori di Ioannina, e il terzo avevacome capitale una città chiamata Pella, che si trovava vicino a

Vardar. Questo terzo stato è meglio conosciuto comeMacedonia, e la sua storia è ben nota. Esso ebbe la suanotorietà quando conquistò molti paesi del mondo fino a queitempi conosciuto. I suoi eserciti, sotto la guida di AlessandroMagno, figlio di Filippo II, arrivarono fino in India. Per i notimotivi che abbiamo già descritto, anche Alessandro Magno

imparò la lingua greca. Come i suoi soldati, lui stesso eraMacedone per lingua e cultura. È nota la sua avversione verso iGreci, malgrado li considerasse un grande popolo. Il re piùfamoso del regno d’Epiro fu Pirro, che per ben due voltetrionfò contro i Romani. Nonostante avesse ampliato il suodominio fino in Grecia ed in Egitto e la sua ambizione fosseenorme Pirro, quando morì, lasciò un regno appena un po’ più

grande di quello che suo padre gli aveva consegnato. Tra i red’Illiria che raggiunsero la notorietà possiamo nominare GentI, e la regina Teuta. Gli Albanesi, che sotto la guida diAlessandro Magno avevano conquistato il mondo, nonaccettarono la dominazione dei Romani, e si opposero ad essicon una strenua resistenza. Così, quando il generale romanoPaolo Emilio riuscì a sconfiggerli, per vendicarsi della lororibellione rase al suolo 85 città, e mandò a Roma, legati incatene, centinaia di migliaia di prigionieri. Fu proprio in quelperiodo che iniziò la sventura del popolo albanese. Oppressidai Romani, e poi per non subire le invasioni di popoli barbaricome gli Avari, gli Unni, ecc, gli Albanesi si ritirarono nellesicure montagne, lasciando così le pianure fertili. Una parte di

essi, quasi la metà della popolazione, lasciò per sempre la

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propria patria, emigrando in Grecia, nel Peloponneso; coloroche rimasero invece in Albania, si ripararono in posti sicuri.

Gli Ottomani trovarono gli Albanesi divisi. Anche se alcuni deiprincipi albanesi opposero una debole resistenza, molti altri,capendo che non potevano competere con la forza bellica degliOttomani, si arresero senza combattere, e così facendomantennero le loro posizioni di predominio. Questi principiottennero alcuni privilegi e diritti nell’Impero ottomano ma

Skanderbeg riuscì ad unirne una buona parte per combatterecontro l’Impero Ottomano. Essendo Skanderbeg un abile edesperto condottiero, ottenne dal Papa e dagli altri re cristianid’Europa la promessa di aiuti di ogni genere, promessa che nonfu mai mantenuta. Skanderbeg combatté per molti anni controgli Ottomani senza mai perdere. Dopo la morte di Skanderbeg,tutto il paese passò nelle mani dei Turchi. Durante questo

periodo centinaia di migliaia di Albanesi emigrarono inCalabria, in Sicilia, in parte a Venezia, a Marsiglia e addiritturain Spagna. Soltanto coloro che s’insediarono in Calabria e inSicilia formarono comunità albanesi che hanno conservato finoai giorni nostri la lingua e la religione d’origine. Questecomunità contano in totale duecentocinquantamila persone.Nel periodo in cui gli Albanesi dipesero dalla amministrazioneottomana, la maggior parte dei ricchi (i bey) abbracciò la fedeIslamica. Dopo di ciò, gradualmente anche una parte dellapopolazione accettò la conversione all’Islam e così, in pocotempo, due terzi della popolazione albanese diventò islamica; ilrestante terzo si divise fra cattolici e ortodossi. In tal modo, glistessi Albanesi che non avevano voluto sottomettersi ai

Romani e a Bisanzio, contribuirono ad aumentare la fama e il

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potere dell’Impero Ottomano. Fino a quando vi fu un esercitoregolare ed organizzato, gli Albanesi fecero parte di esso.

Questi soldati combatterono finanche nel deserto del Sudan.L’Impero Ottomano, apprezzando la loro fedeltà, conferì loroposizioni sociali molto alte. I  pashà albanesi che diventaronoprimi ministri furono 25; addirittura alcuni fra loro, nel periododel Sultano Selim I e del Sultano Suleiman, arrivarono aricevere cinque mandati consecutivi da primo ministro.

Anche gli Albanesi cristiani della Grecia e dell’Italiadimostrarono il loro valore. I condottieri della rivoluzionegreca come Boçari, Xhavella, Kanari, Bolligasi, Bubulina edaltri ancora erano Albanesi. Molti Albanesi furono seguaci diGaribaldi nella sua missione di unificazione dell’Italia. Lamaggior parte di coloro che oggi57 guidano la Grecia e la suaflotta sono Albanesi. Anche fra gli Italiani ci sono tante

personalità, poeti, scrittori, che hanno origine albanese; dellastessa origine è anche il Papa Clemente XI, senza dimenticareche Giuseppe Crispi, colui che guida la diplomazia italiana ainostri giorni58, è originario del Paese delle Aquile.Gli Albanesi dai loro avi hanno ereditato usi e costumi, l’onoree l’orgoglio. Hanno ereditato la considerazione per la parola

data, che chiamano besa. Essi sono disposti a dare la loro vitaper difendere la loro patria, la loro tribù, la loro famiglia, eaddirittura per mantenere le promesse.

57 1898, N.d.T.58

 Ved. nota precedente.

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Anche se per via della lingua si dividono in Gheghi e in Toschi,gli Albanesi non si sentono diversi fra loro ma fieri della loro

appartenenza nazionale.I Gheghi sono insediati nel Nord Albania, invece i Toschi risiedono a sud. Il fiume Shkumbin, che scorre vicino alla cittàdi Elbasan, funge da confine naturale fra di loro. I dialetti deiGheghi e dei Toschi si differenziano solo nella pronuncia, negliaccenti e in alcune frasi. In sostanza la lingua è la stessa: per

questo si capiscono benissimo fra di loro. Esistono alcuni libridi prosa e di poesia in lingua albanese. La tematica prevalente èreligiosa, e sono stati scritti 400-500 anni fa. Esistono anchealcune canzoni popolari del XV secolo. Gli Albanesimusulmani oggigiorno usano alcune parole e frasi arabe;invece quelli cristiani usano alcune parole e frasi greche.Anche dopo la conversione all’Islam degli Albanesi, sono

apparsi scrittori e poeti che hanno composto opere di caratterereligioso, che possiamo considerare letteratura; ma poiché gliautori di religione musulmana hanno scritto in lingua araba egli autori di religione cristiana in lingua greca (e le loro operesono piene di parole e frasi straniere), la letteratura nazionalealbanese non ha avuto che un ruolo da comprimaria.Fra i primi che hanno scritto sugli Albanesi, sulla loro originestorica e sulla lingua, e li hanno fatti conoscere in Europa, sonostati Georg von Hahn (il quale ha vissuto per un lungo periodoa Ioannina e Scutari come console dell’Austria), il famosofilologo Franz Bopp e Dora d’Istria, che è albanese e discendedai Gjikaj, i principi di Romania. Fra gli Albanesi d’Italiavanno, infine, citati Vincenzo Dorsa, Giuseppe Crispi,

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Demetrio Cammarda, Girolamo de Rada che, insieme ad altri,hanno scritto opere in lingua tedesca e italiana.

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Le più diffuse impressioni dei viaggiatori inglesidel XIX secolo sulla lingua albanese

Di Shpëtim Mema 

La lingua albanese con la sua particolarità ha da sempresuscitato l’interesse non solo di storici come Leake, Hobhouse,ecc, e di poeti, come Lord Byron, ma anche di sempliciviaggiatori.L’idea generale dei viaggiatori inglesi della seconda metà delXIX secolo è che la lingua albanese (Albaninan, Albanese,Skype, Skipetaric) è una lingua non scritta. Ma, in realtà, glistessi viaggiatori ci informano che gli albanesi di quel secolo,

in alcuni casi, scrivevano questa lingua. Così Leake ci dice chegià nel 1804, quando Ali Pascià Tepeleni doveva comunicarequalcosa, i suoi messaggi venivano scritti in lingua albanese,usando le lettere greche 59 . Ci informa inoltre che, nel Suddell’Albania, le parole scritte in lingua albanese venivanorappresentate con le lettere greche, eppure questa cosa nonsuccedeva spesso perché la classi ricche, che erano anche le piùistruite, ogni volta che avevano bisogno di scrivere preferivanoutilizzare la lingua greca60.

59 Leake, W. M. Travels… v.1, p. 38.60 Leake, W. M. Researches… p. 260.

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Un’informazione simile la dà anche Bowen quando dichiarache gli albanesi per scrivere la loro lingua usavano le lettere

greche, questo perché non possedevano un loro alfabeto61.Hobhouse, da parte sua, dichiarava che la lingua albanese è unalingua non scritta, anche perché non conosceva gli antichiautori albanesi come Budi, Bardhi ecc. Dopo un’analisi attentadell’opera di De Lecce, giunge alla conclusione che la linguaalbanese si attesta in forma scritta anche prima dell’anno 1716,

anno nel quale è stato pubblicata la grammatica del sacerdoteitaliano.“Perché il padre parla” - scrive lui – “di un alfabeto albanesegià formato che esisteva nel suo tempo, ad eccezione di cinquelettere che erano latine”62.Per quanto riguarda invece i suoni della lingua albanese, iviaggiatori in questione esprimono pareri diversi.

Alcuni di loro li confrontano con i suoni delle altre lingueparlate nelle zone limitrofe dell’Albania. Così si esprimeLeake: “  L’alfabeto greco non è in grado di esprimere tutti isuoni della lingua albanese, anche se la lingua albanesecontiene in sé tutti i suoni dell’alfabeto greco odierno” 63 , considerando questo fatto come una delle difficoltà maggiori

che incontravano gli albanesi quando dovevano scrivere la lorolingua usando le lettere greche.La ricchezza dei suoni della lingua albanese la mette in risaltoindirettamente anche Spencer quando scrive: “  Mai hoincontrato uomini che pronunciano con tanta facilità la nostra

61 Bowen, F. G. Mount Athos… p. 195.62 Hobhouse, J. C. A Journey… p. 1124.63 Leake, W. M. Researches… p. 260.

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th (/ θ  / come thing inglese) difficilissima da pronunciare”. Egliinoltre sostiene che nella lingua albanese si trovano tutti i suoni

gutturali della lingua celtica64. Per il viaggiatore Bowen “ Lalingua albanese è una lingua gutturale e monosillabica”.65 Anche se egli non argomenta con i fatti questa sua infondatadichiarazione.Per quanto riguarda i dialetti dell’albanese, i viaggiatori inglesiammettono l’esistenza dei due dialetti principali, quello del

nord e quello del sud. Di grande interesse è l’informazione checi dà Spencer quando scrive che sia la grammatica, sia ildizionario di Ksylander gli sono tornati utili quando visitò laÇamuria, ma non tanto quanto sperava quando visitò  Mirdizi eToschi, sebbene quest’ultimi parlassero la lingua albanese intutta la sua purezza66.Da quello che abbiamo letto sulla lingua albanese possiamo

trarre alcune conclusioni.Secondo il parere generale dei viaggiatori inglesi la linguaalbanese è una lingua antichissima che gli albanesi hannoereditato dai loro bisnonni e che trasmettono ai loro figli dasecoli.Le loro osservazioni sull’origine illirica della lingua albanese e

soprattutto sull’autoctonicità degli albanesi nei territori dovevivono, è molto importante sia per il periodo storico in cui sicolloca il loro viaggio, sia per gli studi più recenti fatti suquesto argomento.

64 Spencer, E. Travels… v.2, pp. 133- 134.65 Bowen, F. G. Mount Athos… p. 194.66Spencer, E. Travels… v.2,p. 134.

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Le testimonianze di questi viaggiatori sullo stato della linguaalbanese nel periodo storico che vede la nascita delle loro

opere, ci dimostrano che la lingua albanese, anche se usatapochissimo nei libri e non studiata nelle scuole, si trasmettevaoralmente ai bambini ed era il fattore principale dellaconservazione e del rafforzamento dello sentimento nazionale.Dal confronto che hanno fatto con le altre lingue, i viaggiatoriinglesi concludono che la lingua albanese è una lingua molto

ricca sia per la fonetica sia per il lessico, avendo nello stessotempo una sua struttura grammaticale.La lingua albanese, anche se ha due principali dialetti, è unalingua unica e comune a tutti gli albanesi, i quali si riconosconocome un popolo fra gli altri popoli.

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Vestigia greche e pelasgiche in ItaliaDi Stanislao Marchianò

Pasquale Borrelli, uomo di tendenze politiche liberali, per cuifu costretto all’esilio, fu tra i massimi autori di filologiamoderna; egli, nella sua opera “Principi della scienzaetimologica”, parlando delle prime migrazioni pelasgo-albanesiin Italia, ritenendo di essere in buona fede, sostiene che quelle

migrazioni abbiano riguardato coloni greci. Così egli riporta lesue convinzioni alle pagine 19 e 20 dell’opera citata:“Il primo arrivo dei Greci in Italia risale ad un periodo tantoremoto che sarebbe impossibile precisarne esattamentel’epoca. Certamente molti luoghi, che ora appartengono al Regno delle Due Sicilie, sono indicati da Omero con una tale

accuratezza che, sebbene egli non li abbia mai visitati,verosimilmente devono essergli stati descritti da uomini a cuierano familiari. È stato ormai accertato che la prima dellecolonie greche nel sud Italia fosse Cuma e Strabone assicurache fino ai suoi tempi essa conservava monumenti, giuochi,sacrifici ed altre istituzioni che rendevano evidente la suaorigine”.

Nel seguito lo scrittore dice:“La presenza di vestigia attestanti la pregressa stanzialità deiGreci non fu certo limitata alla sola Cuma, poiché   precedentemente all’edificazione di Roma, ocontemporaneamente, o poco dopo, essi fondarono Squillace,Sibari, Crotone, Locri, Metaponto, Elea, Reggio, Posidonia,Siponto, Taranto, Megara, Nasso, Gela, Enna, Agrigento,

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Siracusa, Catania ed altre città che poi acquisirono grande fama, ed i cui popoli parlarono greco.”

E più avanti, lo stesso Borrelli, ritenendo sempre di originegreca tutte le colonie che si insediarono in Italia, dice:“È molto verosimile che un gran numero di Greci si sianorecati in Italia. Ma si dispersero ovunque, quando videroassalite, occupate e devastate le loro infelici contrade dalleorde barbariche”.

Noi non comprendiamo di quali barbari il sig. Borrelli intendaparlare. Se vuole alludere all’invasione turca nell’Epiro ed inaltre regioni della penisola ellenica avvenuta 4 o 5 secoli fa,allora coloro che ne furono oggetto in Italia  erano popolialbanesi e non greci. Se poi coi termini orde barbariche egliintende riferirsi agli invasori Cadmei, in tal caso i popoli che lesubirono in Italia erano pelasgo-albanesi e fondarono nelle

estreme regioni meridionali paesi che, con differenzelinguistiche minime, portano nomi albanesi. Perseverando nellostesso errore, il Borrelli più oltre conclude:“Anzi, quando le vessazioni dei loro oppressori per circostanze  particolari divennero più forti, piccoli raggruppamenti diElleni abbandonarono la loro patria e, seguendo l’esempio deiloro antenati, decisero di trasferirsi nel Regno di Napoli.Citiamo quel gruppo che nel 1534 lasciò Corone, città della  Morea e, giunto in Basilicata, si stanziò nel territoriodell’attuale Barile. L’insediamento si accrebbe ulteriormentenel 1647 per l’arrivo di altri Greci provenuti da Maina. Ma giàda tempo si riteneva che questo paese (Barile), fosse stato fondato in epoca sconosciuta da altri coloni, anch’essi Greci”.

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Ci dispiace moltissimo dover confutare le asserzioni del sig.Borrelli, il cui valore di studioso è giustamente riconosciuto dai

suoi colleghi italiani ma, ritenendo di poter dimostrarechiaramente le nostre tesi, replichiamo senza remore alle sueargomentazioni.Con le parole   Il primo arrivo dei Greci in Italia risale a un  periodo tanto remoto che sarebbe impossibile precisarneesattamente l’epoca egli  chiaramente dimostra di ignorare sia

l’esatta origine dei Greci sia l’epoca in cui i popoli cheabitavano l’Ellade assunsero tale nome. I coloni che vennero astabilirsi in Italia in tempi così remoti da non essererigorosamente databili erano Pelasgi e non Greci. Ed affinché illettore si convinca della bontà della nostra tesi, citeremo quiappresso l’autorevole affermazione di Erodoto il quale, nellibro VIII della sua Storia, a pagina 108 dice:

“Gli Ateniesi, nel tempo in cui i Pelasgi occupavano l’odiernaGrecia, erano Pelasgi, e venivano detti Cranai (forseCaranai). Sotto il re Cécrope si chiamarono Cecropidi; sotto ilsuo successore Eretteo cambiarono nome e furono detti Ateniesi”.Se la prima migrazione in Italia, della quale intende parlareBorrelli, non fu effettuata da popoli greci, dal momento chel’appellativo di Grecia esisteva allora forse soltanto in mente Dei, come afferma Erodoto, molto meno popoli bisognaritenere che non siano stati Greci quelli che vennero a fondarela nostra Cuma, perché stando alle tradizioni locali e a ciò cheriportano gli studi storici degli italiani G. Antonini e C.Pellegrino e dei greci Alessarco ed Aristonico, l’esodo di quei

Pelasgi che fondarono Cuma e si stabilirono nell’attuale

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Campania viene collocato contemporaneamente alla primamigrazione nella penisola ellenica, e non si può neppure

congetturare quanti secoli prima della guerra di Troia ciò siaavvenuto: e meno che mai si possono considerare coloni greciquei gruppi che, nel 1534, partiti da Corone, città della Morea(Peloponneso), giunsero in Basilicata e, tra gli altri paesi,fondarono Barile, perché gli abitanti di questo paese sono intutto e per tutto Albanesi, e parlano la lingua albanese; quindi, i

loro antenati non potevano essere Greci, ma Albanesi; né eranoGreci quelli che giunsero a Barile nel 1647 partiti da Maina,seguiti da altri. È tradizione assai nota presso tutti gli Albanesiresidenti in Italia che i paesi nei dintorni di Corone nella Moreasiano stati culla dei loro proavi, i quali vennero a stanziarsinelle province di Potenza, Campobasso, Cosenza, Catanzaro,Reggio ed in Sicilia, ove edificarono castelli, paesi e città;

inoltre, molte famiglie albanesi, ancora oggi, aggiungono alcognome l’appellativo di Coroneo, come Jeno de’Coronei,Elmo de’Coronei ecc., ed esiste anche il paese chiamato S.Demetrio Corone. Oltre a ciò, tra i canti popolari tradizionalidegli Albanesi, ve ne è uno che incomincia coi seguenti versi:

  Albanese antico Che in italiano vengono

 tradotti così

 Mori ebùkura Morèe,Cië kùur të glièe nëng të pèe, Attiè kàm ù szottin tàt, Attiè kàm ù mëmën timme, Mori ebùkura Morèe,

Cië kùur tëglièe nëng të pèe.

  Ahimè! Bella, avvenente Morea,  Da quando ho dovutoabbandonarti, io non ti vidi più,

 Ho là il mio Signor Padre,

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 Ho là la Signora mia Madre,  Ahimè! Bella, avvenente

 Morea,  Da quando ho dovutoabbandonarti, io non più tividi.

Basandoci sull’autorevolezza di questo documentotradizionale, possiamo concludere che sia completamente falsoche tutti quei gruppi i quali, sia prima che dopo il 1534,vennero a stabilirsi nelle provincie sopracitate siano greci,perché tutti i membri di quegli insediamenti parlano l’idiomaalbanese, ed è legittima conseguenza dedurre che Corone,Maina ed altri centri della Morea fossero stati abitati e fondati

da Albanesi. Sicché, da un verso gli storici moderni con la lorosuperficialità, anche se in buona fede, dall’altro gli antichi, conla loro premeditata malizia, tutti insieme contribuirono adoscurare e mistificare la reale origine albanese di quellecolonizzazioni , sostenendo l’illogica tesi di insediamenti diGreci.

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La tradizione serba non possiede canti epici

di Veis Sejko

Estratto dal libro “Sugli elementi in comune nell’epicaalbanese - arbëreshë e quella serbo-croata” Ringraziamo la signora Esmeralda Tyli – nipote dell’autore – per aver autorizzato la traduzione e la pubblicazione di questo

materiale. (traduzione di Brunilda Ternova)La tradizione serba non possiede canti popolari di eroipropriamente detti. Lo strumento musicale Liuto (alb. Lahuta)è noto in Serbia grazie ai cantori erranti stranieri ciechi e non,che vagavano su e giù per guadagnarsi da vivere, e i serbiconsapevoli di non avere esattamente una propria Epica,ronzarono intorno ad essi. Le canzoni epiche dei cantori ciechi

non erano apprezzate dalla gente e nemmeno dagli autoriserbo-croati che nei loro confronti si esprimevano con parole didisprezzo. Questi cantori ciechi non erano realmente dei verirapsodi di professione, ma si sono occupati di questo lavorosolo per necessità. Tra di essi avevano una certa abilità FilipVisnjić e un uomo cieco di nome Qorr Hysa, il primo

proveniva dall’Erzegovina e il secondo dalla Bosnia. (N.d.T.‘Qorr’ in lingua albanese vuol dire ‘cieco’)Tuttavia, il distretto della città serba di Uzhice e in parte laregione di Jadri nella Serbia occidentale sono popolati daemigrati della Erzegovina, Bosnia e Montenegro, i quali hannocanti epici con il Liuto, il che dimostra ancora meglio che laSerbia propriamente detta non è una zona di cultura Epica.

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L’aspetto strano è che, nonostante la Serbia non possieda ilfolk epico con il Liuto, nessuno degli autori serbo-croati riesce

ad ammettere che non ne sono i possessori. Anche VukKaradzic, a questo punto balbetta e non riesce a pronunciare laparola “non abbiamo un folk epico”, ma gira intorno allaquestione senza nemmeno affermare come stanno le cose. Inuna conversazione con A. Dozen nel 1857, Vuk gli confermaquesto: “Oggi solo in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro e

nelle regioni montane della Serbia meridionale esiste unaspecie di preferenza per il canto eroico ...” [August Dozen: Lapoesie populaire serbe, Paris, 1859, p. 3.]. Quindi, come sivede, la Serbia viene “inclusa” nella dichiarazione di Karadzictanto per dire che le regioni montuose del sud - Kosovoodierno - hanno tendenze epiche. Vale a dire che la Serbiapropriamente detta non l’adopera e questo aspetto non viene

dichiarato in modo esplicito.Osservando i tre volumi dei canti di Vuk Karadzic non esistenemmeno un singolo canto che provenga dai villaggi e daicontadini serbi, il che significa che la Serbia non è mai statal’area del Liuto e quindi nemmeno l’area dei canti eroici.Abbiamo poi due asserzioni chiare: quella di M. Ibrovaci chedice “Questa poesia così ricca e così diversificata è comparsaimprovvisamente nel 1814”, e quella di Vuk Karadzic cheafferma “le canzoni epiche ci sono oggi solo in Bosnia,Erzegovina e Montenegro”. Considerando ad literam leaffermazioni di questi due autori, si evince che questa poesiaapparve nel 1814 in quei stessi luoghi dove rimasero anche nel1857, ma dove la Serbia stessa non risultava. Dal 1814 fino al

1857 sono solo 43 anni, un periodo troppo breve per la nascita,

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lo sviluppo e la morte di una poesia popolare. Tanta fretta nondimostrarono nemmeno i bugarstice (influenza musicale

bulgara sulla musica popolare serba), che malgrado tuttolasciarono alcune canzoni, mentre i deseterci non lasciarononessuna influenza in Serbia. Vuk Karadzic, avendo deiproblemi fisici camminava con le stampelle e difficilmentepoteva viaggiare recandosi personalmente nei luoghi serbocroati per raccogliere le canzoni popolari, ad eccezione di

Karlovac, Serm e la Croazia - ovviamente sempre seduto su untrono a chiamare davanti a sé quei rapsodi che gli segnalavano.Questo difetto fisico costrinse Vuk Karadzic a creare una retedi corrispondenti in tutta la Croazia, Bosnia, Montenegro, ecc,per raccogliere e gestire i canti che gli venivano recapitati aVienna, dove aveva stabilito la sua famiglia. La rete dicorrispondenti era composta da capi dei villaggi, vescovi,

sacerdoti, commercianti, insegnanti, generali, ecc, persone percosì dire ‘istruite’ per quell’epoca.Nella Serbia del 1822, Vuk raccolse quattro canti da unvecchio errante di Kolashin, e altri quattro da un certoAngelico Vukovici dal Kosova, il quale cantò a Vuk trecanzoni piccole con contenuti della provincia croata e unacanzone autobiografica; vale a dire nessun canto autenticoserbo. Milivoje V. Knezevic nella sua relazione che riguardavail Liuto d’Acero, tenutasi nel VII congresso del folclore aOhrid del 1960, ex- Jugoslavia, disse: “La Serbia nel sensostretto della parola, fuoriuscì dalla zona epica insieme con altreregioni del territorio serbo-croato, e con il declino della culturapatriarcale, l’estensione geografica del liuto vene concentrata

in Montenegro, in Bosnia-Erzegovina e nella Zagora della

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Dalmazia”. [Mil. V. Knezevic: "Gusle javorove" VIICongresso di folklore Jugoslavo a Ohrid 1960, p. 348 .]

Quindi, nemmeno questo autore ci dice se in Serbia sia maiesistita oppure no una cultura del canto Epico con il Liuto.L’Autore si aggrappa al filo dell’ambiguità per lasciar recepireche un tempo in Serbia esisteva il canto epico degli eroi, maora non c’è più poiché lo ha fatto sparire la scomparsa dellavita patriarcale. (?) Ma una tale pretesa sarebbe stata

appropriata nel caso in cui nel passato in Serbia ci fossero stateeffettuate raccolti di canti epici. Dichiarare che si è persa lacultura epica dal momento che è scomparsa la vita patriarcalenon è una giustificazione valida, poiché se osservassimo laCroazia e la Bosnia vedremmo che i canti epici hanno avutouna loro continuità.Gli sforzi di questi autori per convincerci che in Serbia siano

esistiti un tempo i canti epici e che adesso non esistano più nonsi presentano come un lavoro serio e responsabile. Voglionoforzatamente far apparire la Serbia come una zona epica, comefosse una montagna che nel passato ha avuto una forestamentre adesso non ce l’ha più perché è stata disboscata. Senzadarci esempi di canti serbi raccolti nei villaggi serbi e dacantori propriamente serbi in una certa data e anno, con qualecoraggio si dice che la Serbia fu una zona epica mentre adessonon lo sarebbe più?In allegato riportiamo un elenco di opere e di cantori rapsodi diVuk Karadzic, per dare la possibilità al nostro lettore di capireche nella Serbia propriamente detta non ci sono e non ci sonomai stati cantori serbi di canti accompagnati dal Liuto.

L’Ordine dei cantanti e delle canzoni di Vuk Karadzic.

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Nome e Cognome / Di dove è / Dove si incontrò con VukKaradzic / Quanti canzoni ha dato / 

Teshan Podrugoviq / Erzegovina / Karlovac / Errante / 22Filip Visnjić / Bosnia / Serm / Mendicante cieco / 13Starac Milija / Erzegovina / Serbia / Errante / 4Starac Rashko / Erzegovina / Serbia / Errante / 10Stojai (ladro) / Erzegovina / Serbia / Prigioniero/ 3Gjuro Cernagorac / Montenegro / Belgrado / Mendicante

anziana / 6Gaj Balaqi / Lika / Serbia / Soldato / 7L’anziana Zhivana /? / Zemun / Mendicante cieca / 6Angelico Vukovici / Kosova / Serbia / Emigrante / 4Commerciante anonimo / Bosnia / Karlovac / Emigrante/ 3donna Mehanxhiq / Croazia / Zemun / Guardia / 3Due montenegrini / Montenegro/ Serbia /Viaggiatori di

passaggio/ 2AnonimiUn contadino anonimo / Serbia / Serbia / Agricoltore / 3Stefania Plaka /? / Serbia / Mendicante cieca / 4Un certo Rov / Serbia / Serbia / Proprietario / 3Pavlo Iriq / Uzhica / Serbia / Proprietario / 6Vaso Popovic /Croazia / tramite corrispondenza / Proprietario / 16Commerciante anonimo / Bosnia / Serbia / Commerciante / 8Anziana anonima/? / Serbia /? / 1Ivan Beriq /? / materiale inviato tramite corrispondenza /? / 1Urosh Voliq /? /? /?Montenegrino anonimo / Montenegro / Serbia /? / 1 *

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Primo – Come si può vedere nell’area serba non ci risultanessun cantore rapsodo, ma ci sono solo degli individui erranti.

Secondo – I canti sono stati raccolti da persone eterogenee: 29canzoni da mendicanti ciechi; 36 da erranti senza un indirizzo;6 canzoni da pellegrini diversi; 9 canzoni da servi che non si sadi dove siano; 4 canzoni che provengono da un kosovaro e chenon hanno alcun collegamento né con il Kosova e nemmenocon la Serbia. Lo stesso vale anche per i canti bosniaci di Kosta

Hermani, che sono stati raccolti lontano dal luogo di origine, -come l’acqua che viene raccolta lontano dalla fonte delruscello, direttamente dal fango.In questo lavoro scientifico ci basiamo su un principiofondamentale: là dove suona il liuto è presente anche ildecasillabo (ma là dove è presente il decasillabo non deveessere presente anche il liuto). L’etnografico russo P. Rovinski

che è stato in Serbia, in Montenegro e Kosovo nel 1860, scrivenella sua opera ”Cernagorije” II pagina 23: “da su gusle uSerbiji malo ponzate” che in italiano vorrebbe dire “Il liuto inSerbia è poco conosciuto” [Murko: Gjurmët, 19].Gli autori serbo-croati dichiarano che il Sandzak di Novi Pazarcostituisce un ‘insieme epico’, (ibidem) e questo onore lo fannoa loro stessi e non agli altri - visto che il Novi Pazar è statol’epicentro dello stato prima del 1280, cioè prima chel’epicentro monarchico, religioso e politico serbo convogliasseda Rascia in Kosova; e per non catalogare questo centro anticodicono che oggi esso forma un ‘insieme epico’. Anche se diquesto “insieme epico” non si conosce nessun canto, tanto nellaraccolta di Vuk quanto in quelle di M. Parry e di A. B. Lord.

Facciamo riferimento agli ortodossi serbi o ai musulmani del

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Novi Pazar - vale a dire alla popolazione che parla slavo comelingua madre -, poiché anche gli albanesi parlano il serbo come

seconda lingua, cantano molti canti con liuto dando vita cosìad un “insieme epico”, e questo viene dimostrato in particolarenei due volumi del canto epico dei due autori americani.Se fosse vero che i serbi avevano nella loro tradizione i cantiepici, allora gli emigranti serbi dell’ Ungheria lo avrebberodimostrato prendendo queste canzoni con sé in terra straniera,

così come fece la popolazione albanese che emigrò in Italia - inCalabria, in Sicilia e altrove. In questo modo, anche seavessero perso queste canzoni in Serbia, le avrebberomantenute in vita in emigrazione in Ungheria.Sia per quanto riguarda gli altri slavi del sud che per i serbi, siimpone una domanda fondamentale: come mai questepopolazioni non formarono un epica popolare durante le guerre

sanguinose combattute contro i Franchi, i Bizantini e gli altrinemici? Comprendiamo i croati che furono quasi sempre sottoil giogo ungherese, ma non i serbi che riuscirono a vincerenelle loro guerre raggiungendo una certa indipendenza daBisanzio dal 1196 fino al 1398, - anno in cui dopo la guerra delKosova la persero nuovamente a causa dell’Impero Ottomano.Come è possibile che i serbi abbiano fatto una lunga lottacontro Bisanzio per molti secoli, senza aver creato nessuncanto epico per ricordare le loro gesta? Noi pensiamo che cisiano, ma non sussistono in nessun caso. I serbi, tuttavia, sonoun caso atipico.Il primo ostacolo è stato il clero ortodosso che era sia serbo cheBizantino. In pratica Bisanzio non fu solo una scelta politica

per i serbi, ma fu anche la loro metropoli religiosa. Per il

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rapsodo serbo sarebbe stato difficile cantare contro Bisanzio,poiché i sacerdoti lo avrebbero ucciso subito.

Il secondo ostacolo fu la mancanza di una linea epica, perchégli slavi in generale non furono capaci di assimilarla.Addirittura quando non potevano essere costituiti in liberiversi, i canti non furono registrati e conseguentemente persi.L’esistenza di canti in liberi versi nella popolazione ceca è unacasualità, poiché qualcuno si impegnò a registrarle, ma questo

succede raramente e non si verificò con i serbi. Supponendoche fosse stata presente nei serbi ma che la collezione fu persae mai trovata, ciò dimostrerebbe solo l’esistenza della prosaritmica. Ma l’Epica popolare non rimane in piedi solamentecon la prosa ritmica, essa necessita di una metrica regolare. Ilcantore serbo ha avuto la possibilità di prendere in prestitoquesta metrica dal popolo albanese, con il quale viveva in

simbiosi e/o come vicino di frontiera, ma con una grandedifferenza: il popolo albanese cantava contro i re e i nemiciserbi, dunque la sua canzone era, per i serbi, da evitare a tutti icosti. Anzi doveva essere maledetta due volte: la prima volta,perché la chiesa ortodossa serba non l’avrebbe mai accettatadata la lesa maestatis contro i re serbi; la seconda perché glialbanesi erano oppressi e venivano disprezzati per la loroarcaica eredità culturale.Sono molte le ragioni oggettive che non diedero agli albanesi lapossibilità di formare il loro Stato durante i secoli VIII, IX, X,XI mentre gli slavi, in particolar modo i serbi, diligentementetramite guerre sanguinose riuscirono a creare il loro. Le causeprincipali sono state esattamente la doppia oppressione e la

penetrazione nelle fila degli albanesi dell’elemento serbo. In

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merito alla situazione degli albanesi, i quali si trovavano tral’'incudine e il martello, tra l’oppressione bizantina e quella

serba, sono state spese parole anche dagli stessi autori slavi.L’autore croato Milan Shuflai dice: “Oppressi dai greci a sud, emoltissimo dai serbi a nord, gli aristocratici albanesi si sonorivolti agli Angiò a Durazzo e Napoli” [Dr.Milan Shuflai: Serbie Albanesi (prospetto medievale), con l’introduzione diSt.Stanojeviq, professore presso Università di Belgrado.

Tradotto da Zef Fekeçi e Karl Gurakuqi, Tirana 1926, p.59.]Questi due occupanti, che erano in conflitto tra di loro masolidali contro gli albanesi, non davano a quest’ultimi tempo espazio neanche per respirare. Questa ostilità diventava ancorapiù aggressiva vedendo che gli albanesi si coalizzavano conl’occidente, sorreggendo le loro speranze principali nellerivolte. Forse alla fine di una di esse arrivavano a creare un

nucleo militare stabile all’origine dello Stato. Ma leinsurrezioni albanesi, come dalla narrazione di Ataliati (1043)o come accennato dai fratelli Dhimitër e Bogoje Suma (1331)contro Stefan Dusan, causavano grandi stragi senza creare unnucleo statale, rimandando più in là le speranze in uno Stato.Un popolo che ha uno Stato è un popolo che ha una capitale,una amministrazione nazionale e locale, un capo, un esercito,l’organizzazione della propria cultura, delle leggi e tribunali,ecc. Condizioni necessarie per vivere collettivamente con dirittie doveri equi e dignitosi. Un popolo senza uno Stato è comeuna carrozzeria senza motore buttata per terra che chiunquepuò squartare e saccheggiare. In una nazione senza Statoregnano gli interessi, vincono i più forti, la violenza, la

vendetta, ecc. aspetti questi che diventando principi fanno sì

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che il nemico esterno penetri facilmente. In aggiunta, unanazione senza Stato è disprezzata ed è calpestata dagli altri,

sentendosi essa stessa debole e umile.Il popolo albanese seppe creare una comunità militare sotto laguida di Scanderbeg, tale da sfidare un intero impero potente,come quello ottomano, resistendo molto meglio e più a lungorispetto ai vicini balcanici - che fruivano di una organizzazionestatale. Questa nazione, la popolazione albanese, non si e

incamminata durante la storia come una folla sparpagliata, maha esercitato una efficiente organizzazione tribale interna, conin testa i suoi nobili e le casate - che non era altro che uno statoin miniatura che aveva le sue leggi, i suoi tribunali, il suomondo culturale, i suoi confini politici, i suoi alleati e l’esercitoper affrontare il comune nemico esterno per il bene di tutta lanazione.

Anche nei suoi momenti più critici la popolazione albanese nonè mai stata una massa amorfa, si presentava piuttosto come unaunità pronta a raccogliere un esercito come quello del re illiricoBato, Skanderbeg o della Lega Albanese di Prizren, ecc. Per leloro qualità virili e pagane gli albanesi sono stati temuti dailoro nemici, così come ci spiega anche Vincenzo Dorsa: “DiceByron: Non vi è un Popolo più odiato e temuto dai suoi vicinicome gli Albanesi … i greci a malapena li consideranocristiani, e lo stesso i turchi a malapena li consideranomusulmani. Per quanto io ho potuto constatare altro non devoloro che degli elogi…” [Vincenzo Dorsa: Su gli Albanesi,ricerche e pensieri, Napoli, 1847, fq. 138-139.]Durante lo Stato medievale serbo, il Liuto - essendo uno

strumento senza rilevanza, primitivo e appartenente ad un

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popolo snobbato che lo utilizzava contro gli stessi re serbi –non fu trasmesso ai serbi e non fu adottato da quest’ultimi.

Inoltre i serbi stessi in quel momento particolare della storianon avevano di cosa cantare con questo strumento musicale -visto che loro stessi erano degli aggressori e antagonisti.Durante il dominio turco il Liuto ai serbi non serviva poichéessendo dei raja (schiavi liberi) a loro servivano piuttostostrumenti lavorativi come il piccone e le pale per lavorare la

terra. I serbi presero già pronto il Liuto da terzi, dai cantoripresi a prestito, in ugual modo di come i bosniaci oggi sitrovano ad avere al loro interno il bilinguismo del Novipazar. Icantori prestati non sono proprio stranieri, ma sono popolazionibosniache, montenegrine e hercegovine.Se gli autori serbi dicono che “Il valore morale del Liuto siosserva quando si dice che il Liuto liberò la Serbia dai turchi,

…” [MURKO, Tragom, pagina 196 ], si deve tener presente ilcantore cieco Filippo Vishnjiq; Quest’ultimo si incamminòdalla Bosnia verso la Serbia nel 1809 e cantò il primo cantodella liberazione serba “L’inizio della rivolta contro i dahis”(N.d.T, i dahis erano leader dei giannizzeri), così come moltealtre canzoni che furono le prime conosciute dai serbi sul lorosuolo. Come è ben noto le rivolte serbe iniziarono nel 1804 conl’aiuto della Russia, raggiungendo l’autonomia nel 1817.L’aiuto del Liuto in questo caso è a dir poco eccessivo.

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Albanesi in Sicilia. Loro vicende. Collegio Grecodi Palermo. Uomini illustri

Di Vincenzo Dorsa

Quando la compagine delle soldatesche albanesi, capitanata daGiorgio e Basilio, figli di Demetrio Reres, venuta in soccorsodi Alfonso I d’Aragona per aiutarlo ad assoggettare la Calabria,da questa provincia passò in Sicilia, si fermò in Bisiri, terra delMazarese che teneva a presidio.Intenti all’adempimento del servizio militare governativo, nonpotevano accettare l’dea di stabilirsi definitivamente lontanodall’amata patria la quale, sebbene a quei tempi sottoposta allapressione militare del Musulmano, aveva in Skanderbeg lasperanza di un futuro migliore.

Si racconta però che nel 1450, da Bisiri quei militari sitrasferirono nel feudo di Contessa, ed ivi fondarono il paeseomonimo. Lo abbandonarono dopo qualche anno per recarsi inAlbania a combattere sotto la bandiera della patria: matornarono a ripopolarlo appena che, morto il valoroso Castriota,si prospettava per quella terra un’epoca terribile e funesta. Siunirono ad essi una buona quantità di famiglie distinte per

cariche e nobiltà, e da quelle ebbero origine le colonie siculo -albanesi. Inizialmente queste colonie furono sette: Contessa,Piana de’Greci, Palazzo Adriano, Mezzoiuso, Bronte, S.Angelo e S. Michele. Attualmente, però, solo le prime quattrovengono riconosciute come insediamenti di cultura albanese,avendo le ultime tre mutato linguaggio e costumi.

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Contessa dunque riconduce la data della sua fondazione al1450, e la ripopolazione intorno al 1480, ad opera dei valorosi

militari venuti al seguito di Reres in Calabria fin dal 1448. Aquell’epoca, il feudo apparteneva ad Alfonso di Cardona; leconvenzioni con gli Albanesi furono stipulate il 14 dicembre1517.Piana de’Greci67 fu fondata nel 1488, epoca in cui ottenne lasovrana approvazione delle convenzioni fatte il 13 Gennaio

1487 tra molte famiglie albanesi e il Cardinal Borgia,arcivescovo di Monreale, con le quali quest’ultimo concedevaa quelle famiglie il permesso di abitare e coltivare i due feudidi Merco e Aydingli, appartenenti a quell’arcivescovado. In unprimo tempo, esse si erano stabilite alle falde dell’erto montePizzuta , sotto tabernacoli e padiglioni secondo l’uso militare.Dopo un qualche anno discesero alla pianura vicina, dal

momento che l’aria rigida del monte era per loro nociva.Il primo riferimento documentato a Palazzo Adriano risaleall’anno 1482, con le capitolazioni stese da Giorgio Mirspi,mediatore tra tredici famiglie albanesi e Giovanni Villaraut,signore del feudo, che aveva concesso ad esse di abitarlo ecoltivarlo. Nel 1507 il feudo passò al Cardinal Galcotti, e

costui, con nuove capitolazioni, confermò pienamente gliaccordi sanciti nelle prime.

67 In realtà, il paese è noto come Piana degli Albanesi. L’autore si riferisceerroneamente alla località con il nome di Piana de’ Greci perché il ritoortodosso, in voga in questa località, utilizza come unica linguaveicolare la lingua greca. A partire dagli anni sessanta del XX secolo, ilpaese è ufficialmente noto come Piana degli Albanesi (N.d.R.).

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Il nome Mezzoiuso è legato alla commenda dell’anno 1501. Isuoi fondatori avevano vagato per più feudi prima di fermarsi

in questo, già pertinente al Monastero Benedettino di S.Giovanni degli Eremiti. Monsignor Alfonso d’Aragona,commendatario di quel Monastero, aveva, fin dal 1490,concesso agli Albanesi di abitarlo; ma non concesse loro iprivilegi e non stipulò le capitolazioni che nel 1501.Queste colonie stabilite in Sicilia attiravano l’attenzione

generale per l’ingegnosità degli abitanti e per i loro modigentili, ed accrescevano di giorno in giorno la loro popolazionegrazie all’afflusso dei residenti della zona di fede cattolica.Essendo stati gli Albanesi i fondatori delle colonie, essiritenevano di dover avere il primato sia morale e civile quantoecclesiastico nelle colonie stesse. In fatti essi soli eranoammessi alle cariche pubbliche che erano considerate di loro

diritto esclusivo. Questo privilegio però, col decorso degli anni,venne meno quasi ovunque; rimase in vigore in Piana sino al1819, anno in cui le nuove leggi distrussero ognidisuguaglianza fra i cittadini. Gli Albanesi mantennero intattoil primato morale ecclesiastico dal momento che i Latinivengono considerati stranieri in quelle comunità, in cuipredominano il linguaggio e i costumi epiroti, e le Chiese sirifanno al rito greco: salvo che a Mezzoiuso, dove vi sono dueculti, l’uno greco e l’altro latino, grazie ad una transazione acui convennero i due cleri di quel paese nel 1681. Non misoffermerò sulle scissioni e sulle discordie continue che permoltissimo tempo turbarono i due cleri nelle colonie albanesidi Sicilia.

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Durante i primi secoli del loro insediamento, senza una stabilitàpolitica e senza un vescovo di rito ortodosso, i giovani greci68 

che intendevano dedicarsi al sacerdozio erano costretti astudiare nei seminari cattolici e, per essere ordinati sacerdoti,dovevano recarsi a Roma. Da ciò derivarono due graviproblemi: primo, essi non potevano approfondire mai leconoscenze liturgiche e la disciplina della loro Chiesa;secondo, i loro viaggi nella capitale del mondo ortodosso

risultavano molto dispendiosi. Per cui, divenendo esiguo ilnumero dei sacerdoti e divenendo il clero ortodosso sempre piùignorante, c’era il palese pericolo della completa estinzione delrito, nonché del linguaggio e dei costumi patri.Questo stato penoso perdurò fino a circa la metà del secoloscorso 69 . Viveva a quei tempi P. Giorgio Guzzetta, dellaCongregazione dei Padri Olivetani di Palermo e questi, mosso

da quello zelo potente che contraddistingue i grandi uominiquando si pongono lo scopo di procurare un bene generale auna nazione, con i suoi modi risoluti e con cure infaticabiligiunse ad ottenere da Carlo III, allora regnante sulle DueSicilie, il permesso di fondare un collegio Greco in Palermo, edinoltre una dotazione in denaro molto rilevante, detratta dalle

mense dei vescovi cattolici, sotto la cui giurisdizione sitrovavano le colonie.

68 Ogni volta che l’autore si riferisce alla popolazione del luogo parlando diGreci, in realtà il solo criterio utilizzato è quello del rito ortodosso. Èchiaro, dunque, che i Greci sono in realtà gli Albanesi trasferitisi nelluogo (N.d.R.).

69 Con “scorso” l’autore si riferisce al secolo XVIII (N.d.R.).

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Fatto questo primo passo, si cercò di ottenerne un secondo, ecioè la designazione di un vescovo greco per le sacre

ordinazioni. Pochi anni dopo aver ottenuto il primo risultato lecolonie, unanimemente, si rivolsero al re per raggiungere ancheil secondo obiettivo. Dovettero, però, subire le proteste deivescovi latini, che ritenevano tale novità superflua einammissibile perché avrebbe offeso in profondità i dirittiantichi della loro giurisdizione. Per dirimere la vertenza sorta

tra le opposte fazioni, il re Ferdinando IV ne affidò l’esame allasuprema Giunta di Sicilia, ed è famosa l’arringa dell’illustreSaverio Mattei che, in questa occasione, scrisse a difesa deiGreci. La causa fu risolta a loro favore sul finire dell’anno1782. Ottenute in seguito le approvazioni di Roma e ladestinazione della mensa per il mantenimento del nuovoPrelato, col decreto del 10 Gennaio 1784 fu nominato il primo

vescovo italo - greco in Palermo: monsignor Giorgio Stasi, giàrettore in quel Collegio. Il Decreto Regio fu approvato dallaBolla di Pio VI del 6 febbraio dello stesso anno, e fu destinatacome congrua l’Abbazia commendata di S. Maria di Eula nelladiocesi di Messina.Allo Stasi successero due altri vescovi, ed il quarto, cheattualmente 70 governa, è Monsignor Giuseppe Crispi, uomodottissimo nella cultura e nella lingua greca, nonché espertonella conoscenza di altre lingue orientali e delle antichitàpatrie. È autore di molte opere, tra le quali spicca il suo Corsodi Grammatica Greca, tanto considerata dai giornali più

70 Con “attualmente” l’autore si riferisce all’anno 1847, anno dipubblicazione del libro dal quale è tratto il brano (n.d.r).

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accreditati d'Italia e di Francia e da Le Sage, che lo colloca nelsuo Atlante tra i libri che meritano di essere consultati in fatto

di lingua greca.Le colonie siculo - albanesi non mancano certo di altri uominiillustri, ed è un vanto di quest’opera onorarne qui la memoria.Il P. Giorgio Guzzetta, già fondatore del Collegio Greco diPalermo, può meritare degnamente dalla sua nazione il titolo dipadre della patria: infatti egli non rivolse ad altro le cure di una

intera vita che al bene dei suoi connazionali. Oltre al Collegio,fondò in Piana una Congregazione dell'Oratorio di San FilippoNeri per i sacerdoti celibi di rito greco - bizantino, e unCollegio di fanciulle albanesi, ove le quali fossero educatenella pietà, nelle pratiche del rito e nelle industrie femminili,vestendo l'abito delle monache Basiliane. Si distinse per laerudizione e per la conoscenza delle lettere greche e latine, ed

esistono di lui una Cronica della Macedonia fino ai tempi diSkanderbeg, un Etimologico, una erudita   Apologia delle  Monache del Salvatore in Palermo e molti diplomi greciinterpretati.Il P. Antonio Brancato, cooperatore principale di P. Giorgionella edificazione del Collegio di Maria di rito greco nellaPiana, fu anch’egli un uomo meritevole del ricordo dei posteri.È autore di varie poesie sacre albanesi. Paolo M. Parrinonacque a Palazzo Adriano e morì a Palermo nel 1765. Scrissevarie opere redatte in puro latino, e fra le altre una  Dissertazione sul Rito Greco in Sicilia, e una Storia deiSacramenti. Questi manoscritti si conservano a Palermo nellabiblioteca del Collegio Greco. 

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Girolamo Matranca, chierico regolare del secolo XVII, èricordato come degno di lode da vari scrittori ed è menzionato

in vari dizionari biografici di uomini illustri. Fu cittadino dellaPiana e morì nel 1679. Monsignor Catalano, monaco Basiliano e poi arcivescovo diDurazzo, nacque a Mezzoiuso. Nella biblioteca del CollegioGreco di Palermo si conserva un suo Dizionario Italiano-Albanese e Albanese-Italiano in forma manoscritta con allegato

un saggio di grammatica e varie canzoni albanesi.Niccolò Chetta, nativo di Contessa, fu rettore del SeminarioGreco, e la comunità albanese lo ricorda come uno dei suoi piùgrandi benefattori. Lasciò vari scritti sulla lingua albanese, unvasto dizionario ed un Etimologico dello stesso idioma, nonchéuna Storia dell'Epiro e della Macedonia.Il Conte Alessandro Manzoni della Piana visse agli inizi del

secolo corrente 71 . La sua dottrina e la sua eloquenza, cheesercitava nel Foro, lo resero talmente autorevole presso iSiciliani, che la sua figura influì moltissimo nell'andamentodegli affari dell'isola in quell'epoca difficile e tempestosa, e nelParlamento Siculo del 1812, fu una delle personalità piùluminose.

Sono anche degni di nota Costantino M. Costantini per i suoiCommentari ai decreti ed atti ministeriali, per il poemadidascalico il Colombaio, e per l'altro poema incompiuto suiVespri Siciliani; P. Serafino Guzzetta, Carmelitano Scalzo e,per come si siano distinti per le missioni nella Chimera in

71 Trattasi del 1847 (N.d.R.).

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Albania, Monsignor Skirò, Arcivescovo di Durazzo eMonsignor Basilio Matranca.

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I Pelasgi secondo Dorsa

Di Vincenzo Dorsa

È riconosciuto universalmente che i Pelasgi furono il popolopiù antico che sia apparso nella storia dei popoli gentilipostdiluviani. Viene accertata la loro presenza nella penisolagreca verso il 2000 a. C. 72 , cioè pressappoco ai tempi di

Abramo. È ormai acclarato che siano originari dell'oriente eabbiano vagato a lungo, come avessero avuto l'alta missione dipopolare la terra. Non v'è dubbio, in ultimo, che essi furono isoli, tra i popoli gentili, a conservare delle credenze ortodosse.Alla luce dell'insieme della attuale documentazione e deglistudi effettuati, sono giunto alle seguenti conclusioni:mancando altre attendibili fonti storiche in relazione al passato

più remoto, la sola che vive e soddisfa è la mosaica.Accettando a priori quanto racconta, ne consegue che le originidei popoli siano tutte da ricercare nella terra che si estende frail Tigri e l'Eufrate, come è altresì confermato dalle tradizionidell'Europa e dell'Asia Orientale 73 . È certo, inoltre, che leantiche credenze si mantennero più pure nei popoli che, nella

dispersione dei tre rami noachidi, si stanziarono lungo le duevalli del Tigri e dell'Eufrate, come gli Assiri della discendenzadi Sem. La Bibbia riporta anche che le genti semitiche di Aram

72Clavier , Hist. des premiers temps de la Grece , V. j. Laicher , Cronolog. diErodoto T. VII. Petit.-Radei , Tav. comparativa dei sincronismi dell'ist. deitempi eroici della Grecia Marsh. Home Pelasgicae. C. Balbo , Med. Stor.73 Balbo, Meditaz. Sloriche, Med. VI. J. 4.

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si spinsero a popolare il Ponto e l'Asia minore74; ed è indubbioche quest’ultima regione fu il primo stanziamento dei Pelasgi,

nonché il luogo da cui partirono per invadere l'occidente.Dedurremo quindi, in termini generali, che i Pelasgi non furonoaltro che i discendenti noachidi i quali, cresciuti in grannumero nel luogo del loro primo stanziamento, si spostaronoper colonizzare quelle contrade che ritrovarono quasidisabitate. Passarono perciò in Grecia e nelle regioni vicine,

quindi si diramarono per l'Italia.Chiarito ciò, resterebbe da determinare il corso di quellafamosa emigrazione. Un certo numero di autori, capitanati dalClavier, sostengono che essa abbia, in un primo momento,toccato l'Argolide, e da lì sia avanzata nell'Arcadia, poi adAtene attraverso la Tessaglia, per poi proseguire ad occidentenell'Epiro e in Italia, e ad oriente nella Tracia fino

all'Ellesponto e al Bosforo. Lo Jannelli, il Marsh ed altrisostengono, d'altronde, che la migrazione avvennedall'Ellesponto al Peloponneso, da settentrione a mezzogiorno,e che perciò la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, l'Epirofurono occupate prima della Grecia stessa. La ragione addottada questi ultimi è che dall'Asia all'Europa si perviene piùfacilmente per l'Ellesponto che dal mare. Non siamo interessatia questo problema che sembra ad altri tanto importante, mafacciamo presente che il popolo pelasgo si stabilì, dominò eimpose il proprio culto nella Tessaglia, nell'Epiro e nellaMacedonia, mentre nel mezzogiorno della Grecia si fuse e sidisperse tra le genti primitive di quella contrada. Le regioni

74 Id. op. cit, Meditaz. VI. J. 9.

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intorno al Pindo erano anch'esse abitate dal ramo giapetico, ilquale si diresse per primo in occidente dopo la dispersione; ma

il popolo pelasgico, più forte e forse più numeroso, lo vinse e,avendolo assoggettato alle sue leggi, al suo culto, alle suetradizioni, si fuse completamente con esso, e lo stampo dellanazione divenne unicamente pelasgico, da cui i Pelasgi nonmisti che Erodoto ritrova e ravvisa in quei luoghi. Questeregioni settentrionali furono meno soggette all'ambizione e alle

mire di popolazioni nomadi, e continuarono a conservare nellasua originalità lo stampo nazionale. La Grecia stessa, dominatadagli Elleni che ripresero il comando sui Pelasgi, ed influenzatada colonizzatori provenienti dalla Fenicia e dall'Egitto, hadovuto ondeggiare tra cento governi, cento tradizioni, centolinguaggi, tanto che non ha potuto conservare che una confusasintesi di tutti questi elementi che concorsero a formare la sua

nazionalità e la sua civilizzazione. E ciò è così vero cheTucidide, Erodoto ed altri autori distinguono senza alcundubbio gli Epiroti dai Greci75, e se vogliamo profittare deglistudi di Nicbuhr, diremo con lui che: il seme primo della Macedonia fu un popolo particolare da non considerarsi comegreco o come illirico, ma, piuttosto, pelasgi76 .Vorrei ora aggiungere una riflessione: Omero chiama barbarigli abitanti dei dintorni di Dodona, e si sa che Platone stimavaed ammirava la dottrina e la lingua dei barbari, dal momentoche questo filosofo collocava in gran parte la meta dei suoidesideri nel passato, e considerava il vero progresso come un

75 V. Nicbuhr , Stor. Roiu. V. I. ediz. napol. 1846. dove definisce gli Epirotie i Pelasgi come lo stesso popolo.

76 Idem , op. cit.

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savio ritorno all'antichità 77 . Si deduce da ciò che questotermine, in origine, anziché significare popoli rozzi e incivili,

indicasse piuttosto i civili ed antichi, ai tempi di Erodotodivenuti barbari, cioè non intelligibili agli Elleni 78 . M.Ballanche l'ha osservato con avvedutezza, e sostiene che laparola barbaro sia un'espressione vaga, indeterminata perindicare la sorgente oscura delle dottrine, il punto di partenzasconosciuto delle tradizioni. Tanto che, secondo lui, quando

Plauto definisce il latino una lingua barbara, intende ciò inmodo assoluto e non nel paragone con altre lingue79. A questaosservazione del dotto francese unisco 1'altra dell'illustreitaliano Cesare Balbo, il quale afferma le stesse cose anche sein modi diversi: “A voler ben riflettere” dice “ci si accorgeràche la parola barbari non fu usata dai Greci in senso contrarioa civili: infatti in origine non ebbe altro significato che quello

della parola hostis presso i Latini, cioè un qualcosa di simile aitre concetti con cui noi definiamo ospite, straniero e nemico,quell'ostile non noi che tutte le genti, tutte le nazioni, tutte lereligioni espressero in qualche maniera, che gli Ebrei chiamanoancora oggi col termine goim, i Maomettani con gìaour, i Cristiani con gentili80”. Inoltre Omero81 ed altri antichi scrittorigreci denominano divini i Pelasgi, cioè a dire nobilissimi. Pertutte queste ragioni, riteniamo fermamente che barbari ePelasgi, presso i Greci antichi, erano la stessa cosa, cioè quei

77 Gioberti , Avvertenza del Buono.78 Id. Primato c. Brusselles 1844 T. II. p. 153.79 Orphèe , 1. Addit. Aux. Prolegoinenes.80Meditaz. Stor. , Med. VII. J. 1.81 V. Iliad: Lib. 10. v. 429. Odiss. L. 19 v. 117

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popoli conservatori della cultura, delle dottrine e delle linguearcaiche, e che i barbari di Dodona furono i veri Pelasgi

provenienti dall'Asia. Abbiamo fin qui parlato dei Pelasgi edella loro presenza a Dodona. Diremo ora che il popoloalbanese discende direttamente da essi. E potrebbe esseredefinito indigeno di quel paese, se questo termine, che fino apoco tempo fa indicava una popolazione totalmente originariadel luogo da esso abitato, si potesse usare in senso più ampio,

per indicare anche quella che, dopo antichissime migrazioni,rimase costantemente su quella terra, poiché è provato dallalingua degli Albanesi che essi abitano l'Europacontemporaneamente ai Greci e ai Celti82, ed è noto che inAlbania non vi furono invasioni di barbari tali da distruggerecompletamente la razza antica e sostituirla con una di popoliconquistatori, con altra lingua, altra religione e costumi

diversi. Questo sarebbe stato un avvenimento epocale cheavrebbe destato l'attenzione della storia, considerando che sisarebbe trattato della distruzione totale di un popolo numeroso,esteso e radicato da secoli sul suolo che abita. Ma la storia nonne parla; è strana quindi la supposizione che considera gliAlbanesi discendenti dagli Albani asiatici venuti dalla terra chesepara il Caspio dal Mar Nero.

82 V. Malte-Brun, Geograph. Univers. Liv. 118

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Altre meraviglie dell’Etruria

Di Nermin Vlora Falaschi

È ormai accertato che i Pelasgi erano abili navigatori, tanto dameritarsi, l’appellativo di “Popoli del Mare”. Anche i lorodiscendenti Iliri, Traci, Etruschi, Dori etc. erano popolimarinari e diventarono grandi con una conquistata supremazia

sul mare e con il conseguente dominio del traffico marittimo.Esistono diverse epigrafi etrusche che parlano di mare e dinavi. Per qualche strana ragione queste iscrizioni si trovano aFirenze,Siena, Chiusi, Cortona, tutte le località distanti dalmare.Abbiamo già commentato la bellissima iscrizione di Cortonache ci dice con grande fierezza: la nave è per noi simbolo di

coraggio e di libertà.Ma non tutti i messaggi sono cosi belli e baldanzosi. Di benaltro tono è questa iscrizione incisa su un’urna al Museo diFirenze, in cui ogni sicurezza appare distrutta dalla fatalità diun declino già accettato con rassegnazione.Infatti, secondo Seneca gli Etruschi si erano stabiliti in Italia

intorno al 1200 a.C., persuasi che la loro nazione sarebbedurata dieci secoli, ed ora il termine fatidico era prossimo.

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  Pelasgo-Etrusco Albanese t

 OANIA Ania LFEOU theu si è

ME mëSCIRIA shkriu ha c

FAT fat i

La parola Fat  si ritrova oggi, con lo stesso sialbanese, italiano, francese, inglese.A Siena, sul coperchio di un’urna particolarmentequesta iscrizione:

liano

naveinfrantamensumatofato

nificato, in

bella, figura

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  Pelasgo-Etrusco Albanese It 

OANIA Ania LTUT tut spNEI në

LUFNA luftnaTETI deti dNA naSA za h

Sempre a Siena, su un’altra urna, con un leone in bche sembra far la guardia a una donna adagiata sulvi è questa iscrizione dolorosa:

liano

a naveaventoin

uerremarenoipreso

ssorilievooperchio,

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  Pelasgo-Etrusco Albanese t

 

OANIA Ania LSFIANTI sfilinti aFILIANIA bijania la fi

MARC marrë prendNAI nai

Per terminare con i messaggi che narrano disarcofago a Chiusi leggiamo questo triste raccontomettere fine alla gloriosa storia di quella popolazio 

  Pelasgo-Etrusco Albanese I  

OANIA Ania LTHELI thelli a

CUMNISA Kumniza i

liano

naveflisseliolanzaendo (lei)

noi

avi, su unche sembrae:

 aliano

a naveffondòhiusini

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Dal bassorilievo, dove figurano scene di guerra, siche la fine è dovuta a sventure belliche. La personacoperchio simboleggia probabilmente l’affondamechiusini.A Siena sono conservate molte urne che cimessaggi tristi, ma non perciò meno interessanti.I nostri antenati hanno voluto che sapessimo di

doloro e noi vogliamo conoscerli per meglio comloro, per sentirci vicini a loro, per meritare didiscendenti di un popolo che ha illuminato il mondEcco la commemorazione di un personaggio trapsofferenze, il cui destino terreno ha avuto termine n 

comprendeadagiata sulto di tutti i

trasmettono

questi loro

unicare conssere degli.ssato senza

ell’urna:

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  Pelasgo-Etrusco Albanese Ital 

 

FASTITI Fashtini Si è spenE SPEI e shpejt e rapidCUME Kumtime CommeRESA të Rezave degli

PE Pe Il filo (d O NAL u nal si è f SHEC shek nell’

 

Ancora a Siena, una piccola urna reca incisa unagiovane, strappata via in tenera età ai suoi cari:

  Pelasgo-Etrusco Albanese t 

FL FleFILIA bija l

FL fleMAR marrë presa

PURO puro

iano

to in paceamenteorazionetruschiella vita)rmatourna

edica a una

 aliano

ormefigliaorme(= portatavia)

pura

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Sempre nel museo di Siena, si trova una bell

decorata da un bassorilievo al cui centro appare lVend accompagnata da un gruppo di personaggi.Sul coperchio sta sdraiata una donna, appoggiatain tenera contemplazione di un bambino, mentredestra sostiene probabilmente una fiaccola.Tutta la contemplazione mette in evidenza

espressione di affetto per il bambino.Questa donna e questo bambino, gli Etruschi (Rvoluto commemorare affidandoli alla protezionvenerata Dea Vend:

issima urna

a Dea alata

u un fiancoon la mano

una palese

SA) hannodella loro

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  Pelasgo-Etrusco Albanese Ital 

 

CUME Kumtime CommeRESA të Rezave degli

Nel Museo Archeologico Guarnacci di Volterraquesta stele originale nella forma e nella iscrisemplice quanto significativa:

 ano

orazionetruschi

conservataione, tanto

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  Pelasgo-Etrusco Albanese It

 

MI MuMA FELUSH ma falsh tu vogRUTLNISH rysnin l’esA FLESLA a flatera anch

Evidentemente, si fa esprimere alla persona che riquella stele l’anelito di spiccare il volo verso gli sun desiderio condiviso da tutta l’umanità!La parola pelasgo-etrusca FLESLA si ènell’albanese in  flatera, connessa a  fluturuar  (richiama l’italiano  fluttuare, l’inglese to float, tofrancese flotter, il tedesco flug, lo spagnolo fluctuar Su un’urna a Cortona si può leggere questo pen

qualche modo ci fa visualizzate il nostro concetto Il caro defunto ci ha lasciati, però ora si trova ne Arno (il Creatore), circondato dalle mitiche lisa (le

  Pelasgo-Etrusco Albanese I  

LA ROI La roi LasciCUPSLINA kopshna nei

ARNO Arno delA â ch

LISA lisa

liano

melia donareerienzadelle ali

posa pressoazi infiniti:

trasformataolare), che

 f 

 

luctuate, il.iero che in

di paradiso:i giardini diquerci).

 aliano

ò di viveregiardiniCreatoree hannouerci

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Nel Museo Archeologico di Firenze è esposta lacomposizione mostruosa costituita da un leone rug

coda a forma di serpente, ripiegata sulla groppauna capra che emerge dal dorso della stessa bemostro in bronzo, di splendida fattura, f rappresentare il male e il bene.La statua reca incisa questa brevissima scrittadello spirito del male che cova occulto, pronto

all’improvviso:

  Pelasgo-Etrusco Albanese It

 TINSH Tinësh Di n

C kap accFIL fill subi

 

himera, unagente con la

er morderelva. Questoorse vuole

mblematicad aggredire

liano

ascostohiappaamente

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Nello stesso museo di Firenze si trova questa magnifica statuadi bronzo, che nell’isieme, per l’atteggiamento e la veste, fa

pensare a un magistrato romano. L’iscrizione sul bordo dellatoga è però scritta in etrusco e con autentiche lettere etrusche.Questo importante personaggio, che viene chiamatol’Arringatore, sta declamando un’esortazione al coraggio:

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  Pelasgo-Etrusco Albanese It 

A AVAESHI veshi

ME meTELISH telish ar

FE feFE SIAL fe ziar fedeCIENSHI kienshi

CEN cenë sFLERESH vlerësh di

TEC tekSANSHL Zanash dalTPNINE të prinë g

TUOI t’uroi auNESH neshKHIS qisi cac

FLICSH frikësh le

liano

Eestiticon

atura

fedein fuokoianollecitivalorinicie Museuidati

urandoa noiciar viapaure

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Frammenti di iscrizioniDi Nermin Vlora Falaschi

Non molto distante dalla tomba Vend-Kahrun si trbellissimo sepolcro con pitture murali e qualche isfigurano due porte dipinte, con ai lati due personagLa figura sinistra della porta laterale è facilmente rcome Kahrun, non solo dall’aspetto e dalla bipennemano, ma anche dalla iscrizione ben leggibile victesta.Invece non è individuabile la persona raffigurata aporta, essendo l’iscrizione quasi interamente de

sarebbe inopportuno azzardare una qualunque iPerò non vi è dubbio che si tratti di una figudall’aspetto gentile, contrariamente a quello“Caronte”, pur vestendo abiti simili.

Il messaggio epigrafico leggibile si presenta cosi:

ova un altrocrizione. Vii.iconoscibileche tiene inino alla sua

destra dellaeriorata e

otesi seria.ra maschileburbero di

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  Pelasgo-Etrusco Albanese Italiano

KHA Kah VersoRUN run la conservazione

KHUN kund luogoKHU ku dove èLIS lis la fiera casata

La parola  Lis, in questa iscrizione, non è al plurale: qui ha il

significato etnografico di discendenza dalla stessa casata.Come aggettivo, Lis assume il valore attribuito personale, cosiper esempio: Ësht lis, letteralmente è una quercia, significauomo solido, onesto, fiero. Ha inoltre un significato compostoper esprimere la fierezza della stirpe, come nelle locuzioni: Lisii gjinisë = la quercia della genesi, Lisi i gjakut = la quercia delsangue.

La porta (Dera) in albanese è simbolo di casata, oppure  Jumbyll dera = gli si è estinta la casata. Perciò le porteraffigurate in questa tomba possono voler simboleggiare lacasata. D’altra parte non si può scartare l’ipotesi che le porterappresentino il passaggio da una vita all’altra.Di fronte all’ingresso della tomba, in fondo alla scala, appareun ‘altra porta uguale alla prima, ornata con una cornice dipitture floreali. Ai due lati è dipinto “Caronte”. Al di sopradella figura di destra si distingue bene la scritta KHARUN,mentre l’altra purtroppo è illeggibile:

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Un po’ più lontano si trova una tomba spaziosa, adornata condipinti murali di soggetti vari, ingiustamente e

inspiegabilmente chiamata “La Tomba dell’Orco”. Si tratta diun’opera scavata con un lavoro di notevole impegno eaffrescata con rara maestria.Ogni parete raffigura un soggetto diverso, accompagnato dabrevi iscrizioni, la maggior parte delle quali appare rovinata daltempo e forse dall’imperizia e negligenza dei primi scopritori.Per fortuna, qualche scritta si è conservata, tanto da poterla

leggere e interpretare il suo significato.È una magra consolazione poterne comprendere solo tre, fratante iscrizioni, ma il tempo consuma la bellezza e rendeinafferrabili i messaggi di coloro che intendevano far conoscereai posteri le loro vicende umane. In compenso imprime lorouna patina di vetustà, velata di mistero.Leggiamo dunque questa lapidaria iscrizione:

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  Pelasgo-Etrusco Albanese It 

NE NëITHNIA idhnia af 

 Questo messaggio murale si trova esattamente sdella figura a destra, probabilmente una donna.

l’iscrizione di fronte al suo volto è illeggibile.Alla destra della donna è dipinto un personaggio mfattezze robuste. Al suo lato si vede un iscrizionetesta al gomito, ma neanche questa è leggibile.Sarebbe stato interessante conoscere il dialogo trpersonaggi, separati da un albero sui cui rami si mpiccolissimi uomini, che forse rappresentano ledefunti di quella casata.Su un ‘altra parete appare un grande dipintframmentato nel suo concetto come per deviare il siidee frantumate nella descrizione di un evento imdoveva essere raccontato ai posteri, ma il temoccultato, salvando appena poche lettere:

liano

ell’lizione

pra la testaPurtroppo,

schile dalleche va dalla

questi dueuovono dueanime dei

scrostato,mbolo delleortante cheo ha tutto

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  Pelasgo-Etrusco Albanese It 

U UTHUSTE thashtë rac

 

Cosi non sappiamo che cosa avremmo dovuto sapcosa che, purtroppo, ci è stato negato… ed è un verIl tempo ha voluto che questo dipinto superbo arrivuna dimensione metapsichica, dove una bella testaè conservata intatta tra le altre nascoste dalle nebulper narrarci una frase saggia per loro, che diventi g

liano

Siacontato

re: qualchepeccato!sse a noi indi donna si

ose, proprioida per noi:

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  Pelasgo-Etrusco Albanese Italiano

APN Apun ApertoC.. kah al (verso)

FEL fal perdonoKHE ke ottieniFEL fal perdono

La parola Fal ha in albanese il significato di  preghiera,

 perdono, dono. Per esempio, con l’espressione Shumë të fala =  Molte (somma di) preghiere, perdoni, doni per te, si terminauna lettera o si formula un saluto.In questa iscrizione la parola Fel ha certamente valore di perdono. Però nella sua laconicità epigrafica è probabile chequesto messaggio di  fede avesse un triplice significato, comeper esempio:   Apriti alla preghiera, al perdono, al dono, e

riceverai preghiera, perdono, dono.

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L’antica iscrizione di Durazzo

Di Nermin Vlora Falaschi

Nel Museo di Viterbo, si può osservare questscolpita su una stele, particolarmente interessinvece di avere il consueto concetto funerariopreghiera di un agricoltore che invoca la pioggi

conseguenza desidera un grande (mathi) granaioriempire:

  Pelasgo - Illirico Albanese I  

THMI TimiARATHIA aratia

FELA faleVESHNA vreshtnaSHI shi pA a

MATHI madhiMASH mash g

 L’espressione Fela,  fale in albanese, è l’imperatida Fal, cioè preghiera, perdono, dono.Altra parola che merita di essere messa in evidenzcioè grande o anche il Grande. Si tratta di un’antiPelasgi, la cui radice, attraverso gli Etruschi, si è alatino (magnus, magnitudo) e sopravvive praticalingue europee moderne (magnifico, magnificent,

etc.).

a iscrizionente perché

, riporta la(shi) e di

(mash) da

 aliano

l mioampo

donaigne,ioggia

eranderanaio

o derivante

è MATHI,a parola deiffermata nelmente nellemagnifique,

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Al superlativo assoluto, questa stessa parola siesempio su una delle tavolette murate

dell’Università di Perugia:

  Pelasgo - Illirico Albanese It 

AVLE Avlli  NelSCELI shkeli s

MADNOIA Madhnia il GrLEYE leje pe

DA dha

Considerando la parola MATHI, è interessantun’antica iscrizione illirica scoperta a Durazzvocabolo è presentato solo con le consonanti.Vediamo quindi questo profondo concetto filosoche, assomiglia di quasi tutte le iscrizioni dell’Ilsoltanto funerarie ma anche di semplice saluto o

termina con la parola HAIRE , “ per il bene” :

ritrova perell’androne

liano

l’avellocese,ndissimomessoiede

e osservareo, dove il

ico tombaleliria, e nonbenvenuto,

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  Pelasgo - Illirico Albanese It

 TEI TeiTOC toc, lTEI tei,MH (abbr. di) madhe laNOC nat:

HAIRE Hair per

La caratteristica più interessante di queste iscriziondai caratteri, che sono straordinariamente simetruschi e che inconfondibilmente rivelano un ceppMerita notare che la parola HAIRE si ritrova nel g

nel tedesco (heil), nell’iglese (hail), nel turcosempre con un significato di benevolenza.In Albania, oggi, questa parola sussiste anchefemminile:  Hairìe, come pure  Lirì cioè Libertà, dicorrispondente maschile.

liano

Oltreterra

oltregrandeotte:il Bene

i è costituitali a quellicomune.

eco (χαιρε),

hayir ), etc.

ome nomecui Iliri è i

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Tracce di lingua Pelasgo – VenetDi Nermin Vlora Falaschi 

È opportuno citare una iscrizione venetica rinvenEuganei, recante una spietata condanna alla decapalto tradimento.Si tratta di una pietra quadrata con un bassorilievouna biga con due cavalli rampanti, incitati alla cpersonaggi, uno presumibilmente incaricato dicompimento una spedizione punitiva contro un tquanto si rileva dalla severa sentenza che per tre lail bassorilievo:

  Pelasgo-Venetico Albanese It

 

ATE Ate Co

a

ta sui Colliitazione per

raffiguranteorsa da due

portare araditore, dati incornicia

liano

lui che

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XE qe era (I FE i fe d

IKHNOI idhnoi aKROAN Kryen: ilMNIIOIE mënjanoie, is

KAPE kape, acchTHERI there, dec

SE se pKHO e do. lo

[…] Ora osserviamo due anfore che, con concaffini, offrivano gioia e gratificazione agli umaniloro contenuto costituito da vino.Prendiamo in esame per prima un’anfora vinaria da.C. conservata nel Museo Vaticano e captia

trasmessaci attraverso “lo spirito” di quella bevandadesso, anche allora creava distensione e comcommensali:

godeva)fede

flisseCapo:olalo,iappalo,àpitalo,rché

vuole.

tti tra loromediante il

l IV secoloo l’euforia

a che, comenione tra i

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  Pelasgo-Etrusco Albanese t

 

MIIA MijaRISA risìa gi

A KHS ta kesh tu

Questa massima potrebbe definire un brindisiantenati, ai quali il vino dell’anfora trasferiva il prfacendoli sentire giovani.

Ora esaminiamo l’altra anfora vinaria, di epoca pranteriore, esposta nel Museo Nazionale di Chiusi:

  Pelasgo-Etrusco Albanese It 

ARNO Arno CSE së

ORE ore t

 

liano

a miaoventùabbia.

dei nostriprio vigore

babilmente

liano

eatoredel

empo

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“Tu, vino sei un creatore del tempo, e poiché ci fai vivere iltempo e lo rinnovi, tu meriti questo appellativo” questa

potrebbe essere l’interpretazione del concetto espresso conquelle parole.Però potrebbe rappresentare anche una dedica ad ARNO, checon il contenuto dell’anfora rende felici le persone.Comunque sia, le anfore sono belle e i concetti autenticamenteumani, concetti che allora come ora, per sempre, si ripeteranno

sempre e per sempre.

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