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Larissa ione

romanzo

Traduzione dall’inglese di Laura Liucci

Peccato eterno

Della stessa autrice abbiamo pubblicato:

Brivido eternoDesiderio eternoPassione eternaEstasi eterna

Prima edizione: settembre 2012Titolo originale: Sin Undone© 2010 by Larissa Ione Estell© 2012 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.Il marchio Leggereditore è di proprietàdella Sergio Fanucci Communications S.r.l.via delle Fornaci, 66 – 00165 Romatel. 06.39366384 – email: [email protected] internet: www.leggereditore.itThis edition published by arrangementwith Grand Central Publishing,New York, New York, USAAll rights reserved.Proprietà letteraria e artistica riservataStampato in Italia – Printed in ItalyTutti i diritti riservatiProgetto grafico: Grafica Effe

Larissa ione

romanzo

Traduzione dall’inglese di Laura Liucci

Peccato eterno

Atutti i medici, i paramedici, gli infermieri. Siete stati voi a ispirare questi libri.

Ammiro moltissimo il vostro lavoro e vi ringrazio per i rischi che correte mettendo a repentaglio la vostra salute

e la vostra sicurezza. Ho approfittato di molti di voi per avere consigli per alcuni

dei miei scenari medici, e non potrò mai ringraziarvi abbastanza.

Dedico inoltre questo libro alle mie cognate Stephanie Rice, Andrea Etheridge e Anna Walker.

Il vostro sostegno significa così tanto per me...e sono così contenta che vi piacciano i miei libri!

E infine a Steve Gitre. So che saresti stato orgoglioso. Ci manchi tanto.

Prologo

«I warg devono morire.»Con la mente che lavorava frenetica per cercare di analizza-

re le parole di Bantazar, Sin percorse in lungo e in largo la suastanza, che le spettava di diritto come capo di quel covo di as-sassini. Vicino alla fossa in cui ardeva un fuoco gelido, il mes-saggero della Corporazione allungò il braccio e le pose il roto-lo di pergamena. Sin gliela strappò di mano. Anche senza glistivali in stile Goth che indossava, il Neethul doveva essere al-to più di due metri e dieci. Con quelli, era almeno sessanta, set-tanta centimetri più alto di lei. Nonostante ciò, il tirapiedi del-la Corporazione degli Assassini non la intimidiva affatto. Sinaveva ucciso demoni ben più grossi.

«Otto?» chiese Sin. «Otto licantropi in una volta?»Il maschio annuì, e i capelli lunghi fino alle spalle e candidi

come la neve si impigliarono alle orecchie appuntite. I Nee-thul erano, perlomeno esteriormente, una razza bellissima,dall’aspetto elfico. «Un intero branco.»

Il che includeva un cucciolo di due anni. Sin lanciò unosguardo al maschio in piedi in un angolo, saturo di ombra e si-lenzio. Lycus, l’unico assassino warg del suo covo, sarebbe po-tuto passare tranquillamente per una statua di pietra. La noti-

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zia che il contratto avrebbe posto fine alla vita di parecchi del-la sua specie non lo turbava affatto. Non che Sin si aspettassediversamente. Lycus era un professionista: freddo, efficiente esenza scrupoli.

Trattenendo un’imprecazione, si fermò: non poteva per-mettersi di mostrare nervosismo o riluttanza. La Corporazio-ne la teneva d’occhio da vicino in cerca di segni di debolezzae avrebbe approfittato di ogni scusa per schiacciarla e sottrar-le i suoi assassini. In quel momento doveva dimostrarsi piùinflessibile che mai, soprattutto dato che i contratti per cuiaveva deciso di non fare un’offerta erano già una dozzina,ed era diventata il padrone di quel covo da appena tre setti-mane.

Sin scorse velocemente le clausole del contratto scaraboc-chiate in sheoulico sulla pergamena. «Achi altro è stato offer-to questo lavoro?»

«Sai che non posso dirtelo,» le labbra color rubino di Ban-tazar si tesero in un sorriso lascivo «ma se decidessi di usarei tuoi talenti da succubo con me, in un momento di passionemagari potrei lasciarmi sfuggire qualche nome.»

Per quanto triste potesse essere, Sin fu tentata di accettare:si sarebbe scopata anche quel bastardo, se così facendo aves-se ottenuto le informazioni di cui aveva bisogno. Era costret-ta a fare un’offerta per quell’incarico, ma doveva essere certadi sparare così in alto da non avere alcuna possibilità di vin-cere l’asta, e sapere chi altro avrebbe partecipato le avrebbegarantito un vantaggio.

«Ti direi di andare all’inferno, Bantazar, ma non ho dubbiche tu ne possieda una buona parte.» I Neethul erano ricchimercanti di schiavi i cui possedimenti includevano enormizone di Sheoul, ed essendo un padroncino di assassini, Ban-tazar era di certo sulla buona strada.

«Deth avrebbe accettato al volo» miagolò il demone.«Capirai» replicò Sin studiando l’anello, appartenuto al

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suo defunto capo, che portava all’indice sinistro. «Deth si sa-rebbe scopato un ratto spinoso degli inferi, se solo fosse riu-scito a metterci le mani.»

Bantazar scoppiò a ridere e, sinuoso come un serpente, sidiresse verso Sin. «I tuoi schiavi assassini si fanno sempre piùirrequieti, mezzosangue. Non sarà che i princìpi morali uma-ni interferiscono con la tua capacità di gestirli?»

«Io non ho princìpi morali» replicò Sin sbuffando. Forse untempo, prima di scoprire di essere un demone, qualche prin-cipio l’aveva avuto; ma tutto quello che aveva fatto nella vita –in molti casi costretta da altri, altre volte di sua spontanea vo-lontà – aveva rosicchiato a poco a poco il suo cuore e la sua ani-ma, e ne era rimasto ben poco.

O perlomeno era stato così finché non aveva scatenato un’e-pidemia che stava uccidendo centinaia di licantropi in tutto ilmondo. Qualcosa in quell’evento aveva scrostato quella pati-na di insensibilità, riportando in superficie le sue emozioni edesponendo un nucleo di rimorso che si nascondeva dentro dilei come un sassolino in una scarpa.

E poi c’era stato il misterioso aumento del numero di tagliesulla testa dei licantropi – o warg, come si facevano chiamare–, e Sin stava cercando in ogni modo di non presentare offer-te in modo da non dover sguinzagliare i suoi assassini controdi loro.

Già così li stava uccidendo a branchi, senza neanche toccarli.Sin si massaggiò il braccio con aria assente e il palmo della

mano registrò la differenza di temperatura tra la pelle nuda ele linee nitide del tatuaggio che era comparso quando avevavent’anni. Il dermoire, la storia paterna della sua eredità demo-niaca, era arrivato assieme a una violenta libido e alla capacitàdi infettare chiunque toccasse con una malattia che uccidevanel giro di pochi minuti. E se la sua era una situazione di mer-da, a Lore, suo fratello gemello, era andata molto peggio. Per-lomeno Sin poteva controllarlo, il suo ‘dono’. Lore, fatta ecce-

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zione per i fratelli e per la sua compagna, non riusciva a tocca-re nessuno senza ammazzarlo all’istante.

«Be’?» chiese Bantazar facendo scrocchiare le nocche del-le dita, un rumore fastidioso che riecheggiò tra le spoglie pa-reti di pietra della stanza. «Farai un’offerta, o rischierai l’am-mutinamento dei tuoi?»

Grazie al legame che la connetteva ai suoi schiavi assassiniattraverso l’anello che portava, nessuno di loro poteva alzareun dito contro di lei – almeno non finché fosse rimasta nel co-vo o al quartier generale della Corporazione degli Assassini.O in un posto schermato contro la violenza, come per esem-pio l’Underworld General. Ma in qualsiasi altro luogo, che sitrattasse di Sheoul o del regno degli umani, allora sì che pote-vano aggredirla, ed era quello il motivo per cui i padroni diassassini lasciavano raramente il loro covo.

Per la milionesima volta da quando aveva accettato quel la-voro, Sin maledisse la sua situazione. Non l’aveva voluta, manon avrebbe mai permesso a Lore di scoprire che l’aveva ac-cettata solo per impedire che la compagna del fratello – un exangelo – venisse costretta ad accettare l’incarico guadagnatouccidendo Detharu. Idess avrebbe smarrito la sua anima die-tro a quel lavoro, e dal momento che Sin aveva già detto addioalla sua...

Sì, be’, non era un grosso problema.Tirando fuori un coltellino svizzero dalla tasca dei pantalo-

ni di pelle, scarabocchiò sulla pergamena una cifra assurda-mente alta e firmò. Poi girò il coltellino e s’incise il pollice conla lama affilata. Una goccia di sangue cadde sulla pagina e inun istante delle venature rosse e pulsanti si diramarono dalfluido e s’intrecciarono alla trama del documento. Nel giro diqualche secondo la pergamena, un quadrato secco e ruvidodi pelle avvizzita, era diventata morbida, calda, viva; e se l’in-dividuo che si celava dietro all’incarico avesse accettato lasomma, sarebbe diventata un contratto vincolante.

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Disgustata, la riconsegnò al Neethul; e quando il maschiosi avviò lentamente verso l’uscita, Sin fu sul punto di vomi-tare.

«È stato difficile per te» disse Lycus una volta che l’enormeporta venne chiusa. Da dietro di lei, le mani del warg si posaro-no sulle sue spalle e le dita presero a massaggiarle, ma il toccodel maschio la fece solamente irrigidire ancora di più. «Accettala mia offerta. Diventa la mia compagna. Gestiremo insieme ilcovo.»

«Sei sordo o solo molto stupido?» Da quando aveva accet-tato quell’incarico non aveva mai, mai usato violenza su nes-suno dei suoi sottoposti, ma stavolta era davvero tentata divoltarsi e piantargli un ginocchio nelle palle. «Quante volteancora dovrò dirti di no?»

Le labbra del maschio sfiorarono la punta del suo orecchiosinistro. «So dire di no anch’io, sai?»

Sin s’irrigidì. «Un ricatto, Lycus?» Il licantropo era uno deipochi, preziosi compagni di letto che le erano rimasti. Dopoessere diventata il padrone del covo, la maggior parte dei suoiassassini – che avevano condiviso per anni il suo letto – aveva-no iniziato a trattarla con i guanti, come se avessero paura dilei. E nonostante fosse nel pieno diritto di costringerli a servir-la, non l’avrebbe mai fatto. Lycus le permetteva libero accessoal suo corpo, ma non perché sapeva che, senza sesso, Sin sa-rebbe potuta morire.

Lycus voleva il suo lavoro, e la voleva come compagna inmodo da poter assumere il pieno controllo del covo. Ma perquanto fosse allettante l’idea di scaricare le decisioni difficilisu qualcun altro, Sin non poteva dargli ciò che voleva. Nonsarebbe mai potuta essere la compagna di qualcuno. Non sa-rebbe mai appartenuta a nessuno, non di nuovo.

Buffo come avesse considerato seriamente di dormire conBantazar in cambio d’informazioni, ma avesse problemi a le-garsi con un maschio così da passare a qualcun altro incom-

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benze sgradevoli ma necessarie che facevano andare avantiil covo e tenevano alto il morale degli assassini.

Problemi che avrebbe presto dovuto gestire.Così, scansando Lycus, Sin fece una cosa che non aveva più

fatto da quando aveva scoperto di essere un demone.Pregò.

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Vi sono notti in cui i lupi sono silenziosi,e soltanto la luna ulula.

GEORGE CARLIN

«Dannatissimo figlio di puttana!»All’insulto gridatogli da Luc, Conall proruppe in una risata

e colpì la neve con tale forza che a un maschio umano si sareb-bero probabilmente frantumati entrambi i femori. Ma Con eraun dhampiro, un raro incrocio tra un vampiro e un licantropo,ed era ben più forte di qualunque uomo. Luc, un warg, eraugualmente molto forte, ma non altrettanto veloce, come ave-va appena dimostrato Conall lanciandosi dall’elicottero primaancora che Luc si fosse calato sugli occhi la maschera da sci.

Il dhampiro dovette saltellare un paio di volte per liberaregli sci e tirarsi fuori dalla lastra di neve compatta che ancoraricopriva la cima delle Alpi svizzere, poi iniziò a zigzagaregiù per la montagna.

Il cielo era terso e lassù, oltre il limite della vegetazione, il si-lenzio era rotto soltanto dal debole whoop whoop del rotoredell’elicottero e dal fruscio dei suoi Rossignol che fendevanola neve fresca.

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Ma la piacevole quiete durò soltanto finché Luc non colpìla neve e riprese a rivolgergli un fiume d’insulti.

Il rumore dell’elicottero iniziò ad allontanarsi e il pilota –che li aveva apostrofati con ogni possibile sinonimo di ‘svita-ti’, ma alla fine aveva acconsentito, per il quadruplo della suatariffa ordinaria per l’heliski, a portarli sulla cima della monta-gna – se ne andò in tutta fretta. Al tipo era quasi preso un infar-to quando Con gli aveva detto di restare a dieci metri da terra,invece del solito mezzo metro a cui si teneva quando facevascendere dal velivolo gli sciatori umani.

Ma no. Conall non sceglieva mai la strada più facile, né fa-ceva mai una cosa due volte allo stesso modo. L’ultima voltache lui e Luc avevano fatto heliski, la distanza da terra era sta-ta minore.

E il rischio di valanga molto, molto inferiore. Su di un fondo compatto così instabile, lo strato superficia-

le di neve farinosa era molto spesso, e la discesa ripida. Unavolta raggiunto il Varco dei Dannati, a diversi chilometri didistanza a valle, lo sforzo necessario a dominare quella forzadella natura avrebbe visto Conall esausto e tremante.

Davanti a lui il fianco della montagna si trasformò in un ve-ro e proprio dirupo e i suoi sci si ritrovarono a fendere l’aria.Sotto i suoi piedi il terreno era incredibilmente lontano e acci-dentato... Ma aveva il vento in faccia, l’odore dei pini nei pol-moni e sentiva l’adrenalina pompargli bollente nelle vene.

Era quello il modo migliore di vivere – o di morire, a secon-da di come sarebbe atterrato.

Avolte non gliene importava niente.Conall toccò terra in un’esplosione di neve e finì quasi a fac-

cia in avanti, ma riuscì a riprendersi appena in tempo e a po-chi centimetri da alcuni massi scoperti che l’avrebbero fattovolare.

Dietro di sé udì gli sci di Luc che grattavano i tornanti... poiil suono di qualcosa di ben più minaccioso.

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Conall si voltò appena in tempo per vedere Luc che saltavaun grosso masso tondeggiante coperto dalla neve, e dietro dilui un’enorme parete bianca che iniziava a staccarsi e a scivo-lare, dando origine a una valanga che puntava verso di loro.

«Luc!» Con il cuore che gli batteva dolorosamente contro lecostole, Conall si preparò assumendo la tipica posizione a uo-vo e puntò gli sci a valle. Poi curvò verso il punto in cui si tro-vava Luc e in direzione di un gigantesco masso che spuntavafuori dal fianco della montagna. Dal punto in cui si trovava,così vicino al margine della lastra di morte bianca che incom-beva su di lui, l’amico non poteva vedere il potenziale rifugio.

Luc – già di per sé un tipo da manovre tutt’altro che dolci –mise da parte ogni tecnica e si lanciò giù per la discesa filandoa rotta di collo e facendo lo slalom tra i detriti e i massi comeuna petroliera in un punto di bassa marea, ma... Merda, non cel’avrebbe fatta. La valanga dietro di lui stava prendendo pie-de, e nonostante avesse potuto virare a sinistra ed evitarla,Con puntò dritto verso di lei.

Sentì il vento bruciargli il viso mentre acquistava velocitàavvicinandosi a Luc, alla roccia, alla parete di ghiaccio e neve.Avevano una sola possibilità di farcela, e la sua mente si spen-se portandolo in un luogo fatto di quiete assoluta. Conall in-tercettò Luc all’ultimo secondo ed entrambi vennero sbalzatisotto l’enorme masso-rifugio, mentre la mostruosa onda dineve li superava rombando.

Con atterrò sopra l’altro, lo afferrò per le spalle e girò il vi-so lontano dall’assalto dei pezzi di ghiaccio che s’infrangeva-no contro la roccia. Il rumore fu assordante, il rombo così fe-roce che riecheggiò nel corpo di Con e sembrò spingere il suocuore a un ritmo nuovo, frenetico.

Sessanta secondi dopo, il dhampiro sollevò la testa. Eccel-lente. Erano ancora vivi.

«Dannazione, togliti di dosso. Pervertito» mormorò Luc.Conall si sollevò dal corpo del warg e pulì via la neve dal-

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lo spazio tra la giacca e il collo. «Bel modo di ringraziare chiha appena salvato la tua triste vita.»

Luc scattò a sedere e si tastò il torace e le gambe come a con-trollare se ne mancasse qualche parte. «Cazzo,» ansimò «que-sto significa che sono in debito con te.»

«Puoi dirlo forte, stronzo.» Conall sollevò una gamba e no-tò che uno scarpone era uscito fuori dagli agganci. Fortunata-mente però indossava anche il laccio, e di conseguenza nonaveva perso lo sci. «Non vedo l’ora d’incassare.»

«Non t’azzardare a farmi fare qualcosa di stupido. Tipouna corsa con i tori,» Luc pescò in una delle tasche del giacco-ne e tirò fuori una fiaschetta «nudo.»

Con fece una smorfia. «Fidati, non ho nessunissima vogliadi vedere il tuo culo pallido.» Gli strappò la fiaschetta di manoe ne bevve un sorso, gustando la sensazione di bruciore delrum che scivolava in gola. «Ma non mi dispiacerebbe vederticalpestato dai tori. Sei un coglione.»

«Idem.» Luc si rimpadronì del liquore e ne buttò giù ungrosso sorso. «Pronto ad andare?»

Conall reinserì lo scarpone negli agganci. «Pronto.»«Che facciamo dopo?»Una vampata di rimorso gli chiuse la bocca dello stomaco.

Eidolon aveva spedito in isolamento tutti gli impiegati dal-l’ospedale warg per evitare che contraessero il virus che stavaattaccando la popolazione licantropica, e Luc stava impazzen-do. Sebbene lui e Con non fossero mai stati esattamente amici– si erano conosciuti facendo a cazzotti in una rissa da bar – la-voravano sulla stessa ambulanza e ogni tanto uscivano insie-me, principalmente per vedere chi dei due riusciva a batterel’altro in qualsiasi cosa facessero.

Da quando Luc era andato in isolamento, però, aveva ini-ziato a smaniare ancora di più per fare pazzie. Conall era sem-pre pronto, ma lui ce l’aveva un lavoro, e si stava facendo inquattro per compensare l’assenza di Luc.

«Devo lavorare. Ma la prossima settimana paracadutismo.»

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Luc annuì, ma sebbene la sua espressione fosse impertur-babile come sempre, Conall non poté non notare il lampo didelusione negli occhi nocciola scuro del warg.

«Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto una scopata? InEgitto? Con quella tipa dell’Aegis?» Con si alzò in piedi. «Tiserve una donna.»

Luc sbuffò. «Le donne sono una rottura di coglioni» repli-cò, e non aveva tutti i torti.

Non a caso, la femmina più rompicoglioni che avesse maiincontrato era responsabile della stessa epidemia che stavauccidendo i warg. Il dottor E aveva richiesto – be’, diciamo‘ordinato’– un incontro con Conall proprio quel pomeriggioe il dhampiro aveva la nauseante sensazione che anche larompicoglioni, alias Sin, sarebbe stata presente.

Cazzo. Strappò ancora una volta la fiaschetta dalle mani diLuc, se la portò alle labbra e la tracannò. Poi si lanciò giù per lamontagna.

Oooh, sì. Rum e adrenalina. Un mix perfetto... Molto, mol-to meglio di quanto sarebbero mai stati lui e Sin.

Sin era stata convocata.Lei, il capo di un fottutissimo covo di assassini, padrona di

oltre due dozzine di killer altamente qualificati, era stata con-vocata come un infimo folletto qualunque da suo fratello. Ilgrande demone dottore.

Gli aveva già dato di tutto: sangue, DNA, pipì, fluido spina-le... Gli aveva portato qualsiasi campione il medico avessevoluto per le sue ricerche. Dopotutto, era lei la responsabiledell’epidemia che stava spazzando via la razza warg.

Bel modo di diventare famosi, mormorò tra sé e sé attraversan-do i corridoi bui dell’Underworld General diretta verso l’uffi-cio di Eidolon. Wraith, l’unico dei fratelli ad avere occhi azzur-ri e capelli biondi, era in piedi sulla soglia come se la stesseaspettando.

«Ecco Maria la Tifoide.»

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Sin gli lanciò uno sguardo truce, lo spinse da una parte perentrare nell’ufficio e si bloccò di colpo non appena si accorseche nella stanza, oltre al fratello-dottore-Eidolon, c’era anchefiglio-di-puttana-Conall.

Fantastico. L’ultima volta che aveva visto il vampiro-lican-tropo, il mese precedente, lui e Sin non si erano lasciati nel mi-gliore dei modi. Certo, lei gli aveva fatto credere di aver scate-nato l’epidemia che stava uccidendo la sua gente di proposito,ma se Con non fosse stato così stronzo, forse Sin gli avrebbedetto la verità.

Non che la verità fosse molto meglio.«Sin,» Eidolon rimase alla sua scrivania, gli occhi scuri iniet-

tati di sangue e cerchiati di nero «siediti.»Il tono di comando del fratello le diede i nervi. Tuttavia si

sforzò di restare calma, agganciò una sedia con un piede e sipiazzò il più lontano possibile da Conall. «Che c’è adesso?Non ho più sangue, e se credi che ti darò un campione di feci,puoi anche...»

«Non mi serve un campione di feci,» la interruppe Eido-lon «mi serve il tuo aiuto.»

Sin avvertì gli occhi color argento di Con penetrarla e – consommo fastidio – sentì il suo corpo avvampare come se ricor-dasse come l’aveva penetrata... in tutt’altro modo. Non sareb-be mai più accaduto. Mai. Più. Sarebbe morta piuttosto chepermettergli di toccarla di nuovo. «Che tipo di aiuto?»

«Grazie ai Varchi dei Dannati e alla possibilità di raggiunge-re in pochi istanti qualsiasi parte del mondo, il virus si è diffu-so in tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide. Il numerodelle vittime è in continuo aumento. La malattia ha un tasso dimortalità del cento percento, un periodo d’incubazione prati-camente inesistente e nessuna vittima ha resistito più di settan-tadue ore dopo essere stata infettata. In pratica, una volta che ilpaziente arriva da noi, non abbiamo molto tempo per provarea curarlo.»

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Gesù, era molto peggio di quanto pensasse. «Non avetefatto nessun progresso?»

«Qualcuno,» rispose Eidolon appoggiandosi allo schienaledella sedia «e abbiamo scoperto una mezza dozzina di wargche non hanno contratto l’infezione pur essendo stati esposti alvirus. L’R-XRsta cercando di determinare cosa li rende immuni.»

L’unità dell’esercito americano che si occupava di paranor-male era coinvolta? E Eidolon stava collaborando con loro?Sin sapeva che sua cognata, Runa, un tempo vi aveva lavora-to, e che il fratello di lei continuava a farne parte, ma al diavo-lo, non le sembrava un bene che l’Underworld General aves-se a che fare con il governo, qualsiasi fosse la situazione.

«Ma perché sono qui?» gli chiese Sin. «Hai bisogno di am-mazzare qualcuno o cosa?» Aveva tirato fuori la questione so-lo per ottenere una qualche reazione da quel maniaco del con-trollo, rigido e formale, di suo fratello, ma con sua sorpresa fuConall a rispondere.

«Sei qui perché i licantropi stanno morendo per colpa tua»ringhiò.

Sin girò di scatto la testa, pronta a trafiggerlo con lo sguar-do... e forse ci sarebbe anche riuscita, se Con non fosse statocosì dannatamente bene in quell’uniforme da paramediconera che metteva in risalto la pelle abbronzatissima e i capellibiondi schiariti dal sole. Persa in quegli incredibili occhi colorargento, poté dire addio a ogni proposito di fulminarlo con losguardo. Ciò che restò fu pura ammirazione.

«E tu perché saresti qui?» sbottò lei, più irritata per la pro-pria reazione che per altro. «Non pensavo che la malattia aves-se colpito i dhampiri.»

«Faccio parte del Consiglio dei Warg. Li sto tenendo infor-mati.»

«Bene, buon per te.»Eidolon si schiarì la voce con fare autoritario. «In realtà

siete entrambi qui per una ragione. Sin, è arrivato il momen-

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Stamp

to di lavorare sul tuo dono. Dobbiamo trovare il modo di uti-lizzarlo per curare la malattia.»

«Il mio donouccide. Non cura.» Il suo donoera qualcosa cheavrebbe volentieri ridato indietro al loro padre Seminus. Pec-cato che fosse morto.

«Sì, be’, tecnicamente tu non dovresti esistere. Per cui direiche è il caso di non escludere nemmeno l’impossibile.»

Oh, sì, adorava che le venisse ricordato che era uno scher-zo della natura, l’unica femmina Seminus mai nata. «E qualesarebbe il tuo piano?»

«Sei in grado di usare il tuo dono per determinare che tipodi malattia sta attaccando un corpo? Se tocchi qualcuno chesta male, puoi stabilire da cosa è affetto?»

«Più o meno. Riesco ad avvertire il modo in cui il virus, ilbatterio o quant’altro si muove e si organizza nel corpo. E unavolta scoperto, posso replicare quella specifica malattia.» Ri-volse a Conall un sorriso compiaciuto. «Lo sfogo genitale deiKhileshi è una delle mie preferite.»

Wraith scoppiò a ridere. Conall impallidì. Eidolon la guar-dò come se fosse responsabile di ogni caso dell’atroce malat-tia venerea che avesse mai trattato.

«Per quanto inquietante» disse E «era esattamente quelloche volevo sapere.»

Sin sentì bussare, e Lore entrò a grandi passi superandoWraith, che stava ancora giocando a reggere lo stipite dellaporta. Il fratello aveva in mano – la mano coperta dal guanto –una cartellina, e Sin si ritrovò a pensare che non si sarebbe maiabituata a vederlo in divisa chirurgica. «Ho letto il rapportoiniziale dell’R-XRriguardo i licantropi immuni, e ho notato unacosa. Quelli che non hanno contratto l’SFdopo essere stati espo-sti al contagio erano warg di nascita. Così ho esaminato i cor-pi nel nostro obitorio. So che non tutti i licantropi infetti sonopassati dall’ospedale, ma quelli che sono stati qui da noi? Era-no tutti trasformati.»

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Sin aggrottò le sopracciglia. «SF?»«Sin Fever» intervenne Wraith con un po’ troppo entu-

siasmo.Sin Fever? Avevano chiamato quella fottutissima malattia

con il suo nome? Bastardi.Eidolon sfogliò eccitato le pagine della cartella. «Proprio

quando pensavo che non avremmo mai trovato un collega-mento tra le vittime. Chiamerò subito l’R-XR e li metterò alcorrente. Ottimo lavoro, Lore.»

«Quindi, cos’è che sarei venuta a fare?» chiese lei.Eidolon sollevò lo sguardo dalle scartoffie. Le occhiaie scu-

re sembravano leggermente migliorate. «Ecco... vedi, è ap-punto per questo che ho voluto che Con fosse presente.»

Appoggiando gli avambracci muscolosi sulle ginocchia,Con si chinò in avanti sulla sedia, e quando parlò, le sue zan-ne brillarono tanto quanto i suoi occhi. «Che cosa intendi?»

«Sai di essere stato esposto all’SF quando hai trasportato ilpaziente zero.» Quando Con annuì, Eidolon continuò. «Il vi-rus è nel tuo sangue. Il tuo corpo non lo sta attaccando, né neviene attaccato, ma in laboratorio, quando abbiamo aggiuntoalla miscela il sangue di Sin, i tuoi globuli bianchi e i suoi han-no unito le forze e hanno attaccato il virus. È una scoperta im-portantissima e stiamo lavorando per sviluppare un possibilevaccino. Ma come ti ho già detto, potrebbero volerci mesi, senon anni.»

La pelle di Sin iniziò a prudere come per un qualche presen-timento. Eidolon ci stava girando intorno. Ma a cosa? «Smetti-la di tirarla per le lunghe e arriva al punto. Cos’è che vuoi danoi?»

«Ho bisogno che Con si nutra di te,» disse piano «e ho bi-sogno che lo faccia adesso.»

Ho bisogno che Con si nutra di te.Le parole di Eidolon continuavano a risuonare nelle orec-

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chie di Con. C’era da dire che Sin non stava né ringhiando, nésbraitando furiosa. Non che ce ne fosse bisogno: il gigantescocol cazzo che bruciava nei suoi occhi neri era abbastanza elo-quente. Lore, al contrario, aveva l’aria di voler saltare addossoa Con e farlo a pezzi. Wraith invece sembrava solo divertito.

Conall si alzò in piedi. «Per quanto desideri essere d’aiuto,Doc, non posso fare quello che mi chiedi.» È vero, aveva giàassaggiato il sangue di Sin – ed era stato maledettamente bel-lo –, ma era proprio quello il motivo per cui non poteva farlodi nuovo.

«Capisco che Sin non sia tra le persone che preferisci...»«Ha detto che non può farlo» ringhiò Lore. «Lascia stare, E.»«Sfortunatamente lasciar starenon è un’opzione» disse Eido-

lon scuotendo la testa. «Questa potrebbe essere la nostra unicapossibilità di trovare una soluzione veloce.»

«Non capisco.» Aun certo punto Sin aveva tirato fuori uncoltello simile a quelli utilizzati al circo dai lanciatori, e ades-so se lo stava girando e rigirando tra le dita. Con aveva la net-ta sensazione che la velocità con cui l’arma si muoveva fossedirettamente proporzionale al suo livello di agitazione. E ilcoltello stava ruotando davvero veloce. «Cosa intendi per ‘so-luzione’?»

Eidolon batté un dito su uno dei fogli davanti a sé, sul qua-le aveva scarabocchiato una lunga colonna di numeri. «Per di-struggere il virus dentro Conall è necessaria una grossa quan-tità del tuo sangue, e se glielo iniettassi lo ammazzerei. Deveingerirlo. Essendo un dhampiro, ha uno stomaco a due cavitàin grado di mandare in circolo il sangue quasi direttamente.Quindi, se i miei calcoli sono esatti, nutrirsi di te come farebbenormalmente gli permetterebbe di assumere abbastanza san-gue da iniziare ad attaccare il virus. Una volta fatto...»

«Potrei utilizzare il mio dono e analizzare la composizio-ne del suo sangue, così da poterlo replicare in qualcuno cheha contratto la malattia» disse Sin.

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«Esattamente.» Eidolon sorrise. «Te l’ho detto, dovresti la-vorare qui invece di continuare ad ammazzare la gente.»

«Leccami il...» sbottò lei.«Niente leccate,» la interruppe Eidolon «solo morsi. E per

questo c’è lui» disse indicando Con.«No,» disse lui in tono risoluto «non lo farò. Non è che io non

voglia aiutare, ma dev’esserci un altro modo.»«Sono d’accordo.» Sin si alzò in piedi e i lunghi capelli ne-

ro-blu le frusciarono rabbiosi sui fianchi. «Non permetto anessuno di azzannarmi.»

A me l’hai permesso, piccola bugiarda. Piccola bugiarda sexy.Dio, avrebbe tanto voluto sputtanarla davanti a tutti, ma alme-no due dei fratelli presenti nella stanza sembravano un tantinoiperprotettivi, e l’altro non aveva bisogno di nessuna scusa peruccidere.

«Ascoltate,» disse Eidolon «se ci fosse un altro modo, l’avreitrovato. Ma non c’è. E poi bisogna considerare anche un’altracosa.»

Il tono di E non gli piacque. Per niente. «Cos’altro?»«Te.» Eidolon s’interruppe come se stesse cercando le paro-

le giuste per dirlo, e a Con si rivoltò lo stomaco dall’ansia. «Ilvirus è dentro di te, vivo e attivo. Si sta replicando a più nonposso, e smania per uscire.»

«Oh, Cristo,» disse Conall con voce aspra «sono un fottu-to portatore sano. Potrei aver infettato altra gente.»

«Sfortunatamente, sì. La malattia sembra trasmettersi siaper contatto diretto che indiretto, così come per via aerea. Tut-tavia, come portatore asintomatico, potresti trasmetterla inmodo diverso. Per esserne sicuri dobbiamo fare altri esami,ma visto che Luc non ha contratto il virus è improbabile chetu la stia trasmettendo per vie aeree o per contatto casuale.Ma devi assolutamente evitare il contatto intimo.»

Oh, cazzo. Di quante femmine si era nutrito nell’ultimomese? E con quante aveva dormito? La mente di Conall pre-

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se a lavorare frenetica cercando di contare ed eliminare quel-le che non erano licantropi. Aveva avuto rapporti solo conuna warg... Ma lo era di nascita, o era stata trasformata?

Doveva fare una chiamata. «Aspetta un secondo, Doc.» Ti-rò fuori il telefono dalla tasca, digitò il numero e cercò di man-tenere i battiti a un livello accettabile. Yasashiku, uno dei mem-bri del Consiglio dei Warg, rispose al secondo squillo.

«Con, ti stai perdendo la riunione. Valko è a un passo daldare di matto. Dove sei?»

«A lavoro. Arrivo appena posso.» Poi, spostandosi versoun angolo della stanza, abbassò la voce. «Hai sentito Latishaultimamente?»

All’improvviso silenzio, il battito nelle orecchie di Con di-venne assordante. «Non hai saputo?»

«Saputo cosa?» Non dirlo. Non dirlo, cazzo. No.«Ha contratto il virus» disse Yas, l’accento giapponese so-

litamente lieve accentuato dalla commozione. «Lei... è mortala notte scorsa.»

Tramortito, Con chiuse il telefono senza dire una parola. Inmille anni di vita ne aveva ammazzata, di gente: in alcuni ca-si aveva avuto tutte le ragioni per farlo, in altri no. Ma c’eraqualcosa di davvero disgustoso nell’uccidere qualcuno peravergli procurato piacere.

Certo, non c’erano prove che avesse trasmesso lui il virusalla warg dai capelli rossi – nessuna prova –, ma l’intervallotra l’insorgenza della malattia e la morte era ormai noto, e latempistica era giusta.

Sulla vista di Conall calò come un velo cremisi, e la nauseaper aver ucciso una femmina innocente si scontrò con la rab-bia che provava nel sapere che la responsabile di tutto era lìcon lui in quella stanza. Tutto questo doveva finire.

Soprattutto visto che a rischiare sarebbe stata Sin.«Con?» La voce profonda di Wraith era un mero brusio tra

i mille rumori nella sua testa. «Amico, stai bene? Sembri sulpunto di finire faccia a terra.»

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«Allora immagino sia il caso che mi nutra.» Quando Co-nall si voltò verso Sin, la sua voce rifletté il freddo che senti-va al centro del petto. «E a quanto pare il mio pranzo saraitu.»

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2

Che razza di stronzata.Sin sapeva che quella poteva essere la soluzione all’epide-

mia, ma non c’era bisogno che Con la guardasse come se fos-se una grossa bistecca. Poteva almeno far finta di essere di-sgustato quanto lo era lei.

«Siediti.» La voce di Con era diventata un graffio roco eammaliante, e Sin sentì l’impulso di obbedire come un caneben addestrato.

«Lo facciamo qui?»Conall sollevò un sopracciglio color sabbia. «Preferisci una

stanza per i pazienti? O magari uno stanzino è più di tuo gra-dimento?»

Che bastardo. Sin non aveva alcuna intenzione di farlo inuna stanza – dove la presenza di un letto avrebbe reso troppofacile andare ben oltre la questione del sangue –, e l’accenno al-la storia dello stanzino era una frecciatina in merito alla prima,e ultima, volta che erano stati insieme.

Si sedette su una sedia. «Okay, ma finiamola in fretta.»«Che dolci,» disse Wraith «sembrate una vecchia coppia spo-

sata.»Mentre Sin gli mostrava il dito medio, Con si rivolse agli

altri suoi fratelli. «Potremmo avere un po’di privacy?»

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«No» intervenne Sin, poi puntò il dito verso Eidolon. «Tu.Resta.» Okay, voleva soprattutto fare la stronza; ma il lievesfarfallio nello stomaco al pensiero di restare sola con Conallera un pericoloso segno del fatto che non avrebbe assolutamen-te dovuto farlo.

Lore fece un passo avanti. «Resto io.»«Va tutto bene, fratello» disse lei. L’ultima cosa di cui ave-

va bisogno era la supervisione di Lore. Erano trent’anni che lofaceva, e sembrava non riuscisse a perdere l’abitudine. «Sitratterà esclusivamente di una procedura clinica. Può assiste-re Eidolon.» Clinica? Ma chi voleva prendere in giro? Sapevabenissimo che, per quanto volesse negarlo, sentire le zanne diConall penetrarle nel collo sarebbe stato piacevole.

Per un lungo istante Sin fu certa che Lore avrebbe ribattuto.In piedi davanti a lei, aveva serrato i pugni e la guardava fisso,il dermoire che si contorceva rabbioso. Come pure quello di lei,era un’imitazione sbiadita di quello dei loro fratelli purosan-gue, ma il comportamento era lo stesso, e in caso di emozioniforti i simboli sembravano muoversi. Alla fine annuì, e dopoaver lanciato a Conall uno sguardo feroce di avvertimento fra-terno, Lore uscì dalla stanza.

Sin si rivolse a Wraith e gli fece un eloquente cenno con lamano. «Anche tu. Smammare.»

«Agli ordini, Puffetta.» E Wraith se ne andò fischiettando lasigla dei Puffi.

«Non abbiamo bisogno di Eidolon,» disse Con «lo faccioda un migliaio di anni. So quando fermarmi.»

Sin non era preoccupata del drenaggio che avrebbe subìto;solo non voleva ammettere che la sua vera paura era che, sen-za un sorvegliante, avrebbe finito per fare molto più che gio-care all’Happy Meal. Fortunatamente non dovette dire nien-te, poiché Eidolon – con la sua solita espressione severa – chiusela porta, vi appoggiò una spalla contro e incrociò le gambecon noncuranza all’altezza delle caviglie. Non sembrava vo-lersi muovere. Così Con, che doveva essere arrivato alla stes-

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sa conclusione, borbottò qualcosa sottovoce e s’inginocchiòdi fianco a lei.

In quella posizione i loro occhi erano alla stessa altezza, equando lo sguardo di Conall incontrò il suo, Sin deglutì a fa-tica.

«Dammi il polso» le disse, e quando lei esitò, il sorriso fred-do del maschio si contrappose all’intenso calore che emanavail suo corpo. «Preferisci la gola? O l’inguine? Certo, sarebbepiù veloce, ma non credo che tu desideri tale intimità.» La sta-va prendendo in giro, e gli occhi di Con brillarono divertiti.

Sin gli schiaffò il braccio sinistro sotto il naso. «Ci puoi giu-rare, che non la desidero.»

Con le afferrò il polso con circospezione, come se il solo pen-siero di toccarla lo disgustasse. E forse in un certo senso era co-sì. Ma non aveva mai incontrato un vampiro che non avrebbeammesso di andare almeno un po’ su di giri quando si nu-triva.

Il sussurro di dolore provocato dalle zanne che penetrava-no nel polso fu seguito da scintille di piacere così intense cheSin dovette reprimere un gemito.

«Sin,» disse piano Eidolon «ogni tanto dovrai monitorare illivello virale nel sangue di Con. Dovresti avere un riferimen-to, adesso.»

Sì, un riferimento. Qualsiasi cosa pur di distogliere l’atten-zione da quanto fosse fantastico avere le labbra di Conall su dilei, le zanne dentro di lei. Concentrandosi, attivò il suo donofinché il dermoire sul braccio destro iniziò a brillare. Poi afferròla spalla di Con. Sotto le sue dita, i muscoli del maschio si con-trassero come in protesta, ma i suoi sensi da succubo colsero isegni di una crescente eccitazione: il battito del cuore che acce-lerava, il rapido alzarsi e abbassarsi del petto, l’aumento dellatemperatura della pelle.

Il suo corpo reagì con un fiume di calore, ma Sin strinse identi e si concentrò sull’analizzare il sangue. Il suo potere entrò

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in Conall come un fascio ionico, diffondendosi attraverso venee arterie. Quando utilizzava il suo dono per ‘creare’una malat-tia, la vittima non si accorgeva di nulla, ma non aveva mai son-dato un organismo in quel modo prima d’allora.

«Stai bene?» gli chiese, e quando gli occhi brillanti di Consi alzarono verso di lei, Sin si pentì di averlo chiesto. Chi se nefregava se stava bene? Era lei quella a cui stavano succhian-do il sangue. Quella a cui stava iniziando ad appannarsi lavista.

Il dhampiro annuì brevemente e tornò a succhiare con for-za dal suo polso. Chiudendo gli occhi – in parte perché la stan-za aveva iniziato a girare – si concentrò sulle sensazioni cheavvertiva all’interno delle vene di Con, e nella sua mente si for-marono delle immagini sfocate, in bianco e nero. Riusciva avedere a uno a uno i globuli rossi scorrere attraverso i vasi an-gusti, e con loro il virus. Nuove cellule si unirono al flusso san-guigno: le sue, ne era certa. Quasi come se la presenza dei nuo-vi corpuscoli spronasse quelli di Con, i suoi globuli bianchiattaccarono il virus come un branco di lupi che abbattono uncervo ferito.

«Sta funzionando» mormorò Sin, sperando che i due nonnotassero la sua difficoltà ad articolare le parole.

Il morso di Con iniziò ad allentarsi.«Continua. C’è bisogno di altro mio sangue per combatte-

re il virus.»Conall ringhiò – un verso di rifiuto – e le zanne iniziarono a

ritrarsi dalla carne di Sin, ma lei gli afferrò la testa e lo costrin-se a restare lì. E ci volle molta più forza di quanto si sarebbeaspettata. «Ci siamo quasi, Con. Possiamo debellarlo.»

«Sin!» Le dita di Eidolon afferrarono le sue e le staccaronodalla nuca di Conall. E forse non avrebbe dovuto notare quan-to fossero morbidi i capelli biondi del maschio, ma per qual-che ragione non poté farne a meno. «Si deve fermare!»

«Ancora un altro po’...»

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Con un ruggito, Conall si staccò da lei. Gli occhi del maschioerano due pozze turbinanti di metallo fuso, e la fame carnaleche riflettevano era sintomo sia della paura di essere andatotroppo in là che del desiderio di spingersi ancora oltre. Eidolonpremette un palmo sul polso sanguinante di Sin, mentre lei re-stava china su Con nel disperato tentativo di fargli prendere al-tro sangue. Le serviva più tempo per studiare il modo in cui ilvirus sopravviveva, il modo in cui moriva...

«Non si può fermare adesso!»Conall imprecò, le afferrò la mano e per un istante Sin pen-

sò che avrebbe continuato. Al contrario, scostò la mano delfratello che aveva già azionato il suo dono per guarirla e pas-sò la lingua sulla ferita. Mentre le punture si cicatrizzavanodavanti ai suoi occhi, una rabbia irrazionale si impossessò dilei.

«Idioti!» Le macchie nere le invasero la vista e, alzandosi inpiedi di scatto, ebbe un giramento di testa. «Il virus riprende-rà il sopravvento. Finirà per...»

«Merda!» La voce e le braccia di Con si chiusero attorno alei, e il pavimento sprofondò sotto i suoi piedi.

«Dicevi che sono mille anni che ti nutri, eh?» Mentre Conalltrasportava Sin nella sala esami più vicina e l’adagiava delica-tamente sul lettino, il ringhio sarcastico di Eidolon sembrò ra-schiargli ogni singola terminazione nervosa.

Il punto era che non aveva attenuanti. Certo, Sin continua-va a incoraggiarlo, a dirgli che c’erano quasi, ma la cosa peg-giore, quella che lo terrorizzava davvero era che la fame di leiaveva preso il sopravvento sul suo buonsenso, e si era nutritopiù di quanto avrebbe dovuto.

Era solo grato di non averla sbattuta a terra per cercare diprenderle molto più che il sangue.

«Guariscila» sbottò Conall. Arrabbiato con sé stesso, si erarivolto a Eidolon con un tono caustico che davvero non me-

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ritava. Nonostante ciò, mentre recuperava il necessario peruna flebo dall’armadietto vicino al letto, il medico si limitò ascrollare le spalle.

«Il mio potere può far sanare ossa e tessuti. Non posso mi-ca creare sangue.» Eidolon allineò l’attrezzatura per la flebo suun vassoio e lo spinse verso Sin. «Per questo serve Shade. Luipuò costringere il midollo a produrne più velocemente.»

Conall si scostò i capelli lucidi dal viso decisamente trop-po pallido.

«E allora chiama Shade» lo pressò. Sin non era in pericolo,ma il modo in cui la vibrante vitalità della femmina sembravaessere stata succhiata via da lei non gli piaceva affatto. In com-penso era la prima volta che stava zitta. Avrebbe dovuto rin-graziare il cielo.

«È in ferie per qualche giorno» disse. «Passami una Rin-ger» continuò indicando gli armadietti dietro di lui.

Conall afferrò una sacca di soluzione di Ringer e la lanciòal medico. «E allora richiamalo.»

«Runa è malata, e lui non può lasciare la tripletta.»Il respiro gli morì in gola. La compagna di Shade era un li-

cantropo trasformato. «Non è SF, vero?»Eidolon inserì un ago in una vena della mano sinistra di Sin.

«Grazie agli dèi, no. È solo un virus gastrointestinale.»«Bene.» Conall non avrebbe sopportato che succedesse qual-

cosa alla femmina che aveva reso più piacevole lavorare perShade. E a proposito di lavoro... «Richiamerai Bastien adessoche sai che il virus non attacca i pricolici?» Bastien, un licantropodi nascita che decine di anni prima era stato allontanato dal suobranco per essere nato con un piede equino, aveva dedicato lasua vita all’UG, e Conall era sicuro che la ‘vacanza’forzata lo stes-se uccidendo proprio come stava facendo con Luc.

«Al diavolo, sì» disse E indicando gli involucri delle garzesparsi sul pavimento. «Senza di lui gli addetti alle pulizie nonstanno facendo niente.»

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Quando Eidolon appese la sacca di soluzione salina a un’a-sta, Sin gemette e aprì gli occhi. «Che... che stai facendo?»

«Resisti,» disse Eidolon «il nostro ragazzo qui si è fatto unpo’trasportare.»

Sin sorrise debolmente. «È che sono così dolce e irresisti-bile...»

Con sbuffò. «Non sono le parole che avrei usato io.» Be’, ir-resistibile forse, ma c’erano un sacco di altre definizioni menolusinghiere che le si addicevano.

«Stronzo» mormorò, poi sollevò una mano e aggrottò lesopracciglia alla vista della flebo che vi era collegata. «Ehi, to-glila. Non mi serve...»

Con le afferrò il polso e lo spinse di nuovo sul materasso.«Sì che ti serve. Ti ho preso troppo sangue.»

Eidolon le lanciò uno sguardo severo. «Se mi avessi lascia-to immagazzinare qualche sacca del tuo sangue come ti ave-vo chiesto di fare, adesso avrei potuto trasfonderti quello, in-vece della soluzione salina.»

«Sì, sì. Chi se ne frega. Guarisco in fretta.»«Uno dei benefici di essere un demone Seminus» disse Ei-

dolon sollevando la testata del letto in modo che Sin potessemettersi seduta.

«Ce ne sono altri?» replicò lei con voce sarcastica, ma E laignorò e controllò il suo cercapersone.

«Ho un trauma in arrivo. Con, resta con lei finché la saccanon è finita. Quando hai fatto, vieni in laboratorio. Mi serve uncampione del tuo sangue. Voglio vedere se hai sviluppato omeno anticorpi. E tu» disse indicando Sin «fa’la brava.»

Sin roteò gli occhi, ma almeno non gli abbaiò contro. Aspet-tò anzi che il medico fosse uscito e poi si voltò verso Con, unfascio minuto di rabbia e occhi neri. «Sei un idiota!»

Era sexy quando si arrabbiava. «Ti ho già detto che mi dispia-ce averti preso troppo sangue.» In realtà non lo aveva detto, masi sentiva lievemente in colpa, e immaginò che fosse lo stesso.

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«Avresti dovuto prenderne di più. Potresti ancora esserecontagioso.»

«Non valeva la pena di ucciderti per questo.» Non chel’idea di ucciderla non fosse allettante.

«Non sarai troppo sveglio!? Un altro paio di sorsi non miavrebbero ucciso!»

«Sì, invece.» Conall rovistò in uno dei cassetti in cerca diun kit per prelievi. «Perché non hai fatto mettere in banca unpo’del tuo sangue come ti aveva chiesto E?»

«E tu chi saresti? Mio padre? Non sono affari tuoi.» Sin si si-stemò a sedere sul letto, e al fruscio dei pantaloni di pelle controle lenzuola il cazzo di Con rispose all’istante: Sin poteva anchenon piacergli, ma il suo amichetto non sembrava farsi grossiproblemi.

«Se l’avessi fatto avrei potuto continuare a bere, invece diaspettare che tu produca altro sangue.» Con un gesto di fru-strazione, avvicinò una sedia, si sedette e arrotolò la manicadella camicia.

«Vedrò di accelerare un po’ il processo, giusto perché seitu» replicò lei sarcastica. «E nel frattempo, cerca di non anda-re in giro a diffondere la malattia.»

«Ironico che sia proprio tu a dirlo, non credi?» ribatté seccoCon. «Penso che riuscirò a non mordere o scoparmi nessunawarg per qualche giorno. E comunque, t’interessa davvero?»

Le guance di Sin si colorarono di cremisi, e Conall avvertìl’odore della rabbia provenire da lei. «Certo, hai ragione. So-no al settimo cielo all’idea che il virus stia uccidendo dellagente. Un urrà per Sin.»

«Ma allora perché hai dato il via all’epidemia?»«Mi annoiavo. Sai, era passata una vita dall’ultima bella pan-

demia. Mi pare fosse l’influenza spagnola, nel... Quand’era? Nel1918, o sbaglio?»

«Figlia di...» Conall si passò un laccio emostatico attornoal bicipite. «Almeno una volta potresti darmi una risposta

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diretta?» Armeggiando con gesti rabbiosi e spasmodici, s’in-filò l’estremità del tubicino tra i denti e strinse il laccio.

Sin chiuse forte gli occhi e per un istante un’ombra di vulne-rabilità oscurò la sua espressione. Poi, così velocemente cheConall dubitò ci fosse mai stata, la femmina li riaprì e lo guar-dò dritto negli occhi con due raggi letali. «Uccidere è quelloche faccio. Credi davvero che abbia bisogno di un motivo perdare il via a un’epidemia?»

Cristo santissimo. In vita sua non aveva mai incontrato unafemmina – né un maschio, per quanto potesse valere – cheavesse costruito un tale muro attorno a sé.

Imprecando, infilò l’ago nella vena cubitale mediana nel-l’incavo del braccio. «Sì, credo davvero che tu abbia bisognodi un motivo. Potrai anche essere un assassino, ma saresti ilprimo che incontro a non pianificare attentamente ogni ucci-sione.»

A quell’affermazione, un guizzo di sorpresa brillò negliocchi neri di Sin. «La maggior parte della gente crede che cene andiamo in giro a uccidere a caso.»

«La maggior parte della gente è idiota.» Con allungò unamano e prese una Vacutainer, una provetta sterilizzata sotto-vuoto per i campioni di sangue. «Gran parte dei cacciatori, sia-no essi animali, umani o demoni, sono estremamente selettivie attenti alle loro prede. Se si viene catturati o feriti, si muore.La caccia è questione di vita o di morte se ci si deve nutrire.»

«Come per te.»«Come per me.» Conall la guardò desiderando che smet-

tesse di dimenarsi e di fare rumori osceni sulle coperte. «An-che in forma warg, sto molto attento a cosa catturo.»

«Credevo che i licantropi uccidessero davvero a caso.» Ilmodo in cui un angolo della sua bocca si curvò in un sorrisosbarazzino gli suggerì che Sin era seria solo per metà.

«I pricolici e i dhampiri mantengono il controllo. Sono i li-cantropi trasformati quelli da cui ti devi guardare, ma di soli-

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to solo dai novellini. Più un warg è vecchio, più riesce a con-trollarsi durante le fasi lunari. Quelli più giovani tendono in-vece a uccidere senza alcuna tecnica, né accortezza.»

I giovani warg erano anche quelli che tendevano a venir uc-cisi dall’Aegis, e i veri responsabili della reputazione di mostriaffibbiata a tutti i licantropi. D’altro canto più un warg invec-chiava, meno ‘umano’diventava. Era una sorta di rovescio del-la medaglia, una contropartita: il controllo in forma bestiale incambio della perdita di connessione con gli umani in formaumana.

Conall premette la provetta sterilizzata nella camicia e ilsangue iniziò a fluirvi all’interno. Sin lo guardò perplessa.«Ehm... ti serve aiuto?»

«Nah, sono bravo con le mani, anche con una sola.»«Non ne dubito.»Divertito dall’allusione della demone, fece un sorrisetto

compiaciuto. «Non ho bisogno di esserlo. Le femmine cadonoai miei piedi.» Be’, Sin non era esattamente caduta ai suoi pie-di. No, la prima volta che si erano visti aveva cercato di pren-derlo a calci in culo, ma alla fine aveva ceduto. Certo, essendoun succubo poteva benissimo cedere a ogni maschio che le pas-sava davanti. E non aveva idea del perché, ma quel pensiero lorese improvvisamente irritabile.

«Il giorno in cui cadrò ai tuoi piedi» biascicò Sin «sarà il gior-no in cui smetterò con la pizza.»

«Pizza?»«Mmm, l’adoro. Tutti i tipi. Sottile e croccante, alta e soffice,

bianca, rossa, con la mozzarella, senza... deliziosa!» Si massag-giò la pancia, e Con dovette serrare i pugni per evitare di al-lungare una mano e unirsi alla sua. «Lo stomaco borbotta. Ur-ge pizza.»

«Senti che facciamo: tu mi spieghi perché hai dato il via al-l’epidemia e io ti porto una pizza quando ritorno dalla riunio-ne del Consiglio.» Inoltre si appuntò mentalmente di chiama-

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re Luc per aggiornarlo novità sull’SF. Conall gli aveva pro-messo di tenerlo al corrente delle ultime sull’epidemia.

Sin esitò, poi scrollò le spalle. «Si è trattato di un incarico fi-nito male. C’era questo licantropo che dovevo ammazzare;così gli ho incanalato il mio dono dentro. Di solito uccide ve-locemente, ma Idess mi ha interrotto.»

«La compagna di Lore? Perché avrebbe dovuto interrom-perti?» Con ripensò alla prima volta che aveva visto il bellis-simo angelo: emanava un bagliore di pura bontà, ma adessosi vociferava fosse diventata umana. Idess era stata portata al-l’ospedale da Lore dopo uno scontro in cui avevano cercato diuccidersi a vicenda.

Adesso erano compagni, felici e praticamente inseparabili.«È una lunga storia» disse Sin con un gesto di noncuran-

za. «Ma in poche parole a quel tempo lei era tutta angelica, eproteggeva quel tipo.» La femmina gli rivolse uno sguardosghembo. «Sto parlando della prima vittima che hai portatoin ospedale. Ti ricordi? Mi aggiravo per il pronto soccorso inattesa di sapere qualcosa.»

Dannazione, certo che se lo ricordava. Aveva portato Cha-se all’UG, e Sin non aveva fatto altro che gironzolare lì attorno.Con aveva lasciato il warg moribondo in sala trauma, si erafermato fuori dalla porta per riempire dei moduli e Sin gli siera avvicinata.

Sin si era schiarita la gola. «Ehi, come sta il warg?»Con aveva alzato lo sguardo e si era stupito nel vedere la femmina

incredibilmente sexy in piedi di fronte a lui. «Moribondo. Perché?»«Così» aveva risposto lei, e si era massaggiata il braccio attraver-

so la manica del giacchetto di jeans. «Cos’ha che non va? Un inci-dente? È malato o cosa?»

«Non sei un po’ troppo ficcanaso?»Sin aveva scrollato le spalle. «Sono solo una cittadina preoccu-

pata.»Lui l’aveva osservata per qualche istante, lasciando ai suoi sensi

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di vampiro il compito di scoprire di che specie era. L’alta temperatu-ra corporea e il battito cardiaco rallentato indicavano sangue demo-niaco, ma aveva anche un vago sentore umano. Quindi demone eumana allo stesso tempo, ma che tipo di demone? In ogni caso, san-guinava come chiunque altro. L’odore del sangue l’aveva raggiun-to assieme a un soffio d’aria, facendogli venire l’acquolina in boccae allungare le zanne. Da paramedico, era addestrato a ignorare la vi-sta e l’allettante profumo del sangue – il dottor E disapprovava cheil personale medico si nutrisse dei pazienti –, ma per qualche ragio-ne non era riuscito a non reagire alla presenza di quella creatura se-xy. «Dovresti farti vedere la gamba.»

Aggrottando le sopracciglia, Sin aveva abbassato lo sguardo sul-la macchia di sangue che era comparsa sui jeans. «Non è nientedi...»

Con non aveva neanche aspettato che finisse di parlare. La fame siera impossessata del suo corpo, e se non si fosse allontanato alla svel-ta da quella piccola tentatrice, le sarebbe saltato addosso e se la sareb-be dovuta vedere con le conseguenze dell’incantesimo di Protezione.Così aveva allungato frettolosamente la cartellina a un’infermiera esi era diretto verso il parcheggio.

«Quindi,» riprese Con «hai provato a uccidere quel wargcon il tuo dono, ma lui è vissuto a sufficienza per infettare glialtri.»

Sin si portò le ginocchia al petto e vi passò attorno il brac-cio coperto dal dermoire, regalandogli un allettante profilo delsuo sedere sodo e rotondo. Non che glielo stesse guardando.«Eh, sì.»

«Perché non tagliargli la gola, o sparargli? Perché usare lastoria della malattia?»

«Perché no?»Di nuovo una non-risposta. Che femmina impossibile. «La

vuoi la pizza o no?»«Che c’è, hanno razionato le pizze e solo tu me ne puoi pro-

curare una? Me ne vado.» Sin si strappò il catetere venoso dal-

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la mano e saltò giù dal letto con un movimento aggraziato eun lieve tonfo degli stivali sul pavimento. «Ho delle cose da fa-re, gente da uccidere, e posso comprarmela da sola, una piz-za.» Il sangue le colava dalla mano, e sebbene Con fosse sazio,sentì ugualmente di avere l’acquolina in bocca.

«Vieni qui.» La sua voce era bassa e ruvida, e quando Sinsi voltò di scatto, Con sentì lo sguardo furioso della femminapenetrarlo.

«Fottiti.»«Già fatto,» ringhiò lui «adesso però vieni qui.»Sin gli lanciò uno sguardo torvo e si diresse verso la porta.

«Non rispondo bene agli ordini.»Con il tubicino del prelievo che gli penzolava dal braccio, il

dhampiro scattò in piedi in un lampo e spinse Sin schiena almuro. «E allora a cos’è che rispondi bene, piccolo demone? Per-ché in questo preciso istante ho voglia di girarti, prendere aschiaffi quel tuo dannato culetto fino a farti implorare di smet-tere e vedere come rispondi a quello.» Il rantolo oltraggiato diSin fu un raggio di sole in una giornata di merda. «Oh, sì,» mor-morò lui insinuando una coscia tra le gambe della femmina «ame rispondi. E hai risposto molto bene anche a quello che ti hoschizzato dentro.»

Quando lei gli aveva detto che non riusciva ad avere un or-gasmo finché il partner non fosse venuto, Conall era rimastosorpreso. Poi l’aveva fatta venire. A lungo. Riusciva ancora asentire i respiri ansanti di Sin, i muscoli delle sue cosce strettiattorno a lui...

Poi lei fece partire un colpo. Un istante prima che il pugnopotesse fargli saltare due o tre denti, però, Sin gridò e si affer-rò la testa con entrambe le mani, cercando di contrastare il do-lore provocatole dall’incantesimo antiviolenza che protegge-va l’ospedale. Lei e gli altri fratelli ne erano immuni, ma solose combattevano gli uni contro gli altri.

«Avevi dimenticato l’incantesimo di Protezione, eh?»

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«Ti odio» gracidò lei, e per qualche strano motivo quelleparole lo fecero sorridere.

Con più delicatezza di quanta ne meritasse, Conall le stac-cò la mano sanguinante dalla testa e passò la lingua sulla pun-tura lasciata dall’ago. Dio, aveva un sapore voluttuoso, con unretrogusto di brandy di qualità, e Con non poté fare a meno diindugiare con la lingua sulla sua pelle. Lei s’irrigidì, poi staccòlentamente l’altra mano dalla testa.

Sotto le dita, Con avvertì il battito impazzito del polso diSin unirsi al suo. L’aria tra di loro vibrò di un calore improv-viso, e quando Conall premette il palmo della mano sul collodi Sin, desideroso di assorbire la sensazione della linfa vitaledella femmina scorrere sotto entrambe le sue mani, i suoi fian-chi si spinsero in avanti come a cercare quelli di lei.

Ah... maledizione. Una scossa elettrica lo travolse come allafine di un circuito. Era vita. Era morte. Era la femmina piùpericolosa che avesse mai incontrato. E se fosse stato davve-ro furbo, sarebbe scappato a gambe levate.

Leccandosi le labbra, Sin fece un respiro profondo e irre-golare che si concluse con un: «Lasciami andare.»

In quel momento era l’ultima cosa che Conall avrebbe vo-luto fare, ma il messaggio che gli aveva mandato era stato re-cepito: poteva anche odiarlo, ma lo desiderava. Con la menteannebbiata e la sensazione del sangue di lei ancora nelle ve-ne, il dhampiro fece un passo indietro, ma Sin lo sorprese af-ferrandogli un polso.

Il dermoire della femmina s’illuminò e uno strano calore sidiffuse lungo il braccio di Conall. «Sto solo controllando il li-vello del virus nel tuo sangue» disse lei, la voce resa roca dallostesso desiderio che scorreva in lui come sciroppo. «Avrestidavvero dovuto bere di più.»

«Potrei ancora farlo» mormorò lui con lo sguardo fissosulla gola di Sin, serio solo per metà.

Con gli occhi che le brillavano maliziosi, Sin gli andò più

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vicino e premette il corpo lungo e sinuoso contro il suo. Lemorbide curve della femmina combaciavano alla perfezionecon quelle di Conall, dure dall’eccitazione. Ma questo lo sape-va già. «Serviti pure» disse lei esponendo la gola e scoprendoil suo bluff.

Sin sapeva dannatamente bene che non poteva rischiare diprenderle altro sangue, soprattutto visto come aveva perso ilcontrollo poco prima. E comunque Conall non aveva alcunaintenzione di bere dalla sua gola: sarebbe stato un gesto trop-po intimo, con troppo contatto. Troppo... peccaminoso.

Che buffo, prima di allora peccare non era mai stato unproblema. Con aveva trascorso la maggior parte della sua vi-ta a collezionare peccati e a inventarne di nuovi.

Ma quel piccolo demone succubo stava uccidendo la suagente, aveva fatto di lui un portatore sano della malattia, e i suoifratelli erano dei figli di demone iperprotettivi che gli avrebbe-ro infilzato le palle in uno spiedo se l’avesse morsa di nuovo ese la fosse scopata proprio lì, in quel preciso istante.

Te la sei fatta in uno stanzino del cazzo.Sì, e a proposito di errori, quello era uno che non aveva in-

tenzione di ripetere. Certo, okay, la detestava. Ma non avreb-be solo reso tutto più interessante a letto?

La sua mente venne inondata dalle immagini di Sin che gligraffiava la schiena, che gli mordeva il collo, che lottava con-tro di lui e al contempo allargava le gambe per lui. Il suo sestosenso gli suggeriva che sarebbe stata fantastica, e che non a-vrebbe avuto problemi a tenergli testa neanche all’apice del-l’eccitazione dovuta alle fasi lunari, quando la violenza del-l’accoppiamento poteva uccidere.

Sta’ calmo... sta’ calmo... Il dhampiro fece un respiro profondoe cercò disperatamente di mantenere il controllo. Nonostantealla luna piena mancassero ancora due settimane, il sangue diSin aveva provocato una sorta di alta marea nelle sue vene, e isuoi istinti primari stavano iniziando a imperversare.

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Senza contare che al mondo non esisteva razza di succubiche non rubasse qualcosa. Che si trattasse del seme, dell’ani-ma, della forza vitale o del cuore, quei demoni succhiavanosempre una parte dell’altro, e raramente la restituivano.

E Sin gli sembrava tutto fuorché un tipo altruista.La porta si aprì con un tonfo. Ancora in preda ai suoi istin-

ti ferali, Conall si voltò di scatto e scoprì le zanne, pronto afronteggiare la minaccia.

Wraith entrò nella stanza con andatura sciolta e apparente-mente rilassata. Apparentemente, poiché lo sguardo era quel-lo di un predatore. Il Seminus era pienamente consapevoledella situazione in cui era piombato entrando nella stanza, eCon conosceva quell’astuto bastardo abbastanza da sapereche avrebbe archiviato l’informazione in modo da poterla uti-lizzare a proprio vantaggio.

«Puffetta» biascicò Wraith, lo sguardo fisso su Conall. «Ei-dolon ha bisogno di te al pronto soccorso. È arrivato un wargche sta stirando le zampe.»

Sin aggrottò le sopracciglia. «‘Stirando’cosa?»«Morendo» sbottò Con a denti stretti. «Sta morendo.»Wraith annuì. «Vediamo se riesci anche a salvare qualcuno,

invece di uccidere e basta.»

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