Leggende Sugli Ammaraggi, Sfatate (Testo e Figure)

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1 Il punto di vista di Nuccio Caristia Mi sono imbattuto in discorsi relativi alla pericolosità di volare sull’acqua sin da quando ho cominciato a volare. Ho continuato a sentirli anche quando ho iniziato a volarci sopra. Ho volato sull’acqua con la convinzione personale che “tanto il motore non lo sa che sta volando sull’acqua”, ma nel 2004 mi sono imbattuto nel sito www.equipped.com e allora ho scoperto che si può guardare a questa faccenda da un punto di vista molto diverso da quello che è lo spirito delle chiacchierate che si fanno dentro l’hangar e da quello che è lo spirito delle proprie convinzioni personali che a volte vengono brandeggiate come l’arma più efficace nella guerra di religione che spesso diventa questo argomento. Ho voluto prendermi la briga di tradurre l’articolo che leggerete di seguito perché lo ritengo un bel esempio di come debba essere fatta informazione in tema di sicurezza del volo e, come tale, renderlo accessibile a molti, in Italia. Ringraziando ancora Dough Ritter 1 per avermi autorizzato a farlo e a pubblicarlo su Volando (...grazie anche a Pietro ovviamente!), mi limiterò a dirvi cosa mi piace in questo articolo. Mi piace l’approccio sistematico di lasciar parlare i fatti, di produrre e analizzare dati ufficiali, di non tirare conclusioni laddove i dati non lo consentono e di dire chiaramente quando si sta presentando una opinione personale. Del resto l’averlo pubblicato su Aviation Safety e richiamato nella testata virtuale www.equipped.com, qualche forma di garanzia deve pure darla. Qualcuno storcerà il muso dicendo che qui si parla di Aviazione Generale e non di ultraleggeri. A questi mi limito a dire che ben venga che gli amici dell’AG ne traggano qualche utilità e per quanto riguarda gli ultraleggeri, beh! lascerei parlare la “quantità di moto” e la sua variazione in caso di impatto (vedasi il noto principio), nel senso che se quanto detto nell’articolo vale per aerei di una certa massa, mi pare che la cosa debba valere a maggior ragione per aerei di massa minore per quel semplice fatto che l’entità delle forze in gioco va a braccetto con la massa e la velocità. Incidentalmente, io e Dough pensiamo che un ultraleggero, essendo tale, abbia più possibilità di fare un ammaraggio controllato rispetto ad un aereo più pesante; ma queste sono opinioni personali ed ognuno è libero di tenersi le sue. Buona lettura. Nuccio Caristia p.s. Dimenticavo, indipendentemente dalle opinioni che ognuno si farà o che continuerà a tenersi se già le aveva e non le vuole cambiare, per me sarebbe già un gran risultato se chi leggesse questo articolo si sentisse spinto a farlo leggere ai suoi amici piloti. 1 Doug Ritter, Executive Publisher and Editor di Equipped To Survive®

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Il punto di vista di

Nuccio Caristia Mi sono imbattuto in discorsi relativi alla pericolosità di volare sull’acqua sin da quando ho cominciato a volare. Ho continuato a sentirli anche quando ho iniziato a volarci sopra. Ho volato sull’acqua con la convinzione personale che “tanto il motore non lo sa che sta volando sull’acqua”, ma nel 2004 mi sono imbattuto nel sito www.equipped.com e allora ho scoperto che si può guardare a questa faccenda da un punto di vista molto diverso da quello che è lo spirito delle chiacchierate che si fanno dentro l’hangar e da quello che è lo spirito delle proprie convinzioni personali che a volte vengono brandeggiate come l’arma più efficace nella guerra di religione che spesso diventa questo argomento. Ho voluto prendermi la briga di tradurre l’articolo che leggerete di seguito perché lo ritengo un bel esempio di come debba essere fatta informazione in tema di sicurezza del volo e, come tale, renderlo accessibile a molti, in Italia. Ringraziando ancora Dough Ritter1 per avermi autorizzato a farlo e a pubblicarlo su Volando (...grazie anche a Pietro ovviamente!), mi limiterò a dirvi cosa mi piace in questo articolo. Mi piace l’approccio sistematico di lasciar parlare i fatti, di produrre e analizzare dati ufficiali, di non tirare conclusioni laddove i dati non lo consentono e di dire chiaramente quando si sta presentando una opinione personale. Del resto l’averlo pubblicato su Aviation Safety e richiamato nella testata virtuale www.equipped.com, qualche forma di garanzia deve pure darla. Qualcuno storcerà il muso dicendo che qui si parla di Aviazione Generale e non di ultraleggeri. A questi mi limito a dire che ben venga che gli amici dell’AG ne traggano qualche utilità e per quanto riguarda gli ultraleggeri, beh! lascerei parlare la “quantità di moto” e la sua variazione in caso di impatto (vedasi il noto principio), nel senso che se quanto detto nell’articolo vale per aerei di una certa massa, mi pare che la cosa debba valere a maggior ragione per aerei di massa minore per quel semplice fatto che l’entità delle forze in gioco va a braccetto con la massa e la velocità. Incidentalmente, io e Dough pensiamo che un ultraleggero, essendo tale, abbia più possibilità di fare un ammaraggio controllato rispetto ad un aereo più pesante; ma queste sono opinioni personali ed ognuno è libero di tenersi le sue. Buona lettura. Nuccio Caristia p.s. Dimenticavo, indipendentemente dalle opinioni che ognuno si farà o che continuerà a tenersi se già le aveva e non le vuole cambiare, per me sarebbe già un gran risultato se chi leggesse questo articolo si sentisse spinto a farlo leggere ai suoi amici piloti.

1 Doug Ritter, Executive Publisher and Editor di Equipped To Survive®

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Leggende sugli ammaraggi: sfatate! Di

Paul Bertorelli

Pubblicato su Equipped To SurviveTM con l’autorizzazione di Aviation Safety ©1999 Belvoir Publications, Tutti i diritti riservati2

Se volate parecchio sull’acqua – anche se solo su laghi o ampie baie – avrete dovuto senz’altro reprimere il disagio che sorge quando il motore comincia a girare “ruvido” nel momento in cui siete al di fuori del raggio di planata dalla spiaggia. Non vi preoccupate; non capita solo a voi. La prospettiva di finire in acqua con un aeroplano spaventa la maggior parte dei piloti, principalmente perché pochi di noi sono ben preparati a questo e, in generale, perché gli istruttori non ne sanno abbastanza dei rischi per fare delle valutazioni con cognizione di causa circa il volare sull’acqua. Di conseguenza, molte leggende e mezze verità circa gli ammaraggi sembrano persistere, tramandate da un pilota ad un altro che “legge qualcosa” o “conosce qualcuno che conosceva qualcun altro” che è scomparso senza lasciare tracce nel Lago Michigan in una splendida giornata di sole dopo un rabberciato ammaraggio. La verità è che, nel complesso, l’ammaraggio è una delle più sopravvivibili procedure di emergenza che un pilota può effettuare. Sebbene le percentuali di sopravvivenza varino in base al periodo dell’anno e al tipo di acqua, la percentuale globale di sopravvivenza nell’aviazione generale è del 90%, e se trascurate i trasferimenti in mare aperto, le fatalità sono in realtà abbastanza rare.

Pescando tra i dati dell’ NTSB3 Come facciamo a saperlo? Abbiamo recentemente esaminato otto anni di ammaraggi, dal 1985 al 1990 e dal 1994 al 1996. Non c’è niente di magico in questi anni; sono stati scelti arbitrariamente in concomitanza con un altro progetto; il 1996 è l’anno più recente in cui sono disponibili dati completi4. Detto ciò, ecco una liberatoria: I dati NTSB sono occasionalmente incompleti o inaccurati. E’ possibile che alcuni ammaraggi non siano stati registrati poiché gli aeroplani caduti non sono stati sempre recuperati. Non abbiamo evidenza che un grande numero di ammaraggi siano non riportati, ma abbiamo confidenza che almeno qualcuno lo sia. D’altra parte, non c’è ragione di credere che un ammaraggio non riportato non si sia concluso con successo anch’esso. Vale il solito criterio cum

granu salis. La buona notizia è che gli ammaraggi sembrano diminuire da una media di 30 per anno negli anni ’80 a 12, 15 incidenti all’anno, più recentemente. Non sappiamo perché sia così, ma potrebbe essere dovuto alle procedure di registrazione dell’NTSB o solo alla minore attività di volo o entrambi. In ogni caso pensiamo che la registrazione degli incidenti sia abbastanza accurata da poter trarre ampie conclusioni.

2 Tradotto da Nuccio Caristia e pubblicato su Volando con autorizzazione dell’Editore di Equipped To Survive, Mr. Doug Ritter. www.equipped.com 3 National Transportation Safety Board . Agenzia della Sicurezza dei Trasporti Americana. 4 L’articolo fu scritto nel 1999 (n.d.t.)

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Ma per prima cosa definiamo cosa è un ammaraggio: Un atterraggio intenzionale sull’acqua in

cui l’aereo tocca sotto controllo. Nell’esaminare i dati di incidente, abbiamo ignorato quelli che sembrano essere “disintegrazioni in acqua”, impatti ad alta velocità, viti o spirali. Sorprendentemente, leggendo i reports di incidente, è solitamente facile distinguere l’uno dall’altro, sebbene ci sia oggettivamente qualche sfocata sovrapposizione. Tenendo ciò presente, il registro dell’NTSB ha rivelato 179 ammaraggi degni di fede durante gli otto anni esaminati. Meditando su queste registrazioni, abbiamo fatto alcune interessanti scoperte, la maggior parte delle quali dovrebbero togliere il terrore di volare sull’acqua. Crediamo che i nostri risultati tendano a dissipare alcune delle idee sbagliate in merito all’ammaraggio, che sono indicate, senza un particolare ordine, di seguito:

Leggenda 1: Non si sopravvive alla maggior parte di

ammaraggi Se credete ciò, siete stati seriamente portati fuori strada. Dei 179 ammaraggi esaminati, solo 22, o 12% si sono conclusi con fatalità. Sebbene le percentuali di sopravvivenza varino in base al periodo dell’anno e al tipo di acqua, la percentuale globale di sopravvivenza nell’aviazione generale è dell’ 88%. Nuovamente, anche se questo dato può essere ingannevole; la percentuale di sopravvivenza potenziale è in realtà migliore.

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Per capire il perché, definiamo due termini:” percentuale di evacuazione dell’aereo” e “percentuale di sopravvivenza”. Per i nostri scopi, evacuazione con successo significa che uno o più occupanti abbandonarono l’aereo salvi dopo l’ammaraggio è si immersero in acqua relativamente non feriti. Sopravvivenza significa che tutti gli occupanti furono salvati o nuotarono verso la costa con i loro mezzi. In altre parole, l’ammaraggio si concluse senza fatalità. Secondo il nostro esame dei dati, la percentuale di evacuazione con successo è del 92%, che significa che in più di nove su 10 casi, almeno alcuni degli occupanti fuoriuscirono dall’aereo e sopravvissero all’esperienza. In pochi di questi casi – sette per essere esatti – alcuni o tutti gli occupanti uscirono e poi affogarono o soccombettero all’esposizione in acqua, E’ corretto concludere che in parecchi (anche se non in tutti) di questi incidenti, l’equipaggiamento di sopravvivenza avrebbe fatto la differenza. In uno di questi incidenti fatali nell’Atlantico vicino l’isola di Nantucket, l’aeroplano fu trovato con le porte aperte, le cinture slacciate, ma solo il corpo del pilota fu recuperato dieci giorni dopo. Il corpo del passeggero non fu mai recuperato. Ovviamente, entrambi gli occupanti fuoriuscirono dall’aereo. In tutta probabilità, un canotto o un giubbotto li avrebbero salvati ma l’aereo non era equipaggiato con nessuno dei due. Ironia della sorte, l’indagine dell’NTSB rivelò che il pilota possedeva l’equipaggiamento di sopravvivenza, ma questo fu lasciato nell’hangar. Il pilota aveva appena comprato l’aereo ma evidentemente non aveva trasferito l’equipaggiamento. Se escludete quello che consideriamo essere le operazioni sull’acqua ad alto rischio – i voli di trasferimento di lunga distanza sull’oceano, che sono solo una piccola parte del totale di voli sull’acqua – la percentuale di evacuazione dell’aereo sale a un sorprendente 95%. Abbiamo il dubbio che persino con un minimo di equipaggiamento di sopravvivenza, la percentuale di sopravvivenza totale potrebbe essere quasi alta così. Dove e quando ammarate importa di più di in cosa ammarate? Esaminando gli incidenti fatali, abbiamo trovato che due terzi dei 22 sono accaduti durante l’inverno in climi freddi o temperati e 12% sono quelli che noi chiamiamo ammaraggi da “acque blu”nell’Atlantico o Pacifico aperto, fatti da piloti di trasferimento (ferry pilots) in missioni straordinarie in mono o bimotori leggeri, o localizzatori di pesce che operano lontano dalla costa. Poiché le missioni di trasferimento o di localizzazione pesce sono realmente oltre la comune comprensione rispetto alle quotidiane operazioni di general aviation, eliminando questi dati dalle equazioni, si ottiene che la percentuale di sopravvivenza sale a un incoraggiante 90%.

Leggenda 2: Se devo ammarare, esco meglio in un aereo ad ala

bassa piuttosto che uno ad ala alta Non ci convincerete di ciò. Dei 179 ammaraggi, 87 coinvolsero aerei ad ala alta (49%), 73 erano ala bassa (41%), il resto elicotteri. Però, nel sottogruppo che riguardò le fatalità, gli aerei ad ala alta furono chiaramente sottorappresentati: sebbene furono coinvolti nel 49% di tutti gli ammaraggi, essi rappresentarono solo il 27% delle fatalità. D’altra parte, gli aerei ad ala bassa rappresentavano il 41% degli ammaraggi totali, ma valevano per il 68% delle fatalità. Non ce ne facciamo molto di questi risultati a causa dei bassi numeri coinvolti, a parte che rilevare che ciò non conferma per niente la largamente diffusa convinzione che gli aerei ad ala alta

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affondano con la loro struttura intrappolando gli occupanti. Se gli aerei ad ala alta creano maggiori difficoltà ad uscire nell’acqua – e noi pensiamo che ciò sia discutibile – certamente non impediscono alle persone di uscirne fuori. Ciò conduce direttamente alla leggenda numero 3…

Leggenda 3: Durante gli ammaraggi, molti aeroplani buttano

il muso giù e affondano come sottomarini Pure stupidaggini. Questo non per dire che non può accadere o che non sia accaduto. Tuttavia, sembra accadere solo in estreme circostanze. Per esempio, in un incidente in mare aperto, un pilota in trasferimento dal Canada all’Europa in un Cessa 210 aveva pianificato un rifornimento in Groenlandia ma fu costretto a proseguire per l’Islanda a causa delle cattive condizioni del tempo. Rimase senza carburante e finì nell’Atlantico di notte con 35 nodi di vento e mare alto. Nonostante fosse stato localizzato da un C-130 del SAR che illuminò il mare con delle torce, il Centurion scomparve senza lasciare tracce portando con se entrambi pilota e copilota. Una coppia di altri voli di trasferimento scomparvero sull’orizzonte parecchio fuori sul mare, dopo avere comunicato problemi al motore. Ma, queste non sono le condizioni che vi aspetterete di trovare in un volo pomeridiano alle Bahamas o Santa Catalina. In tali circostanze, semplicemente non c’è evidenza che l’aeroplano punterà diritto verso il fondo durante un ammaraggio che venga gestito ragionevolmente bene. Le registrazioni sugli incidenti mostrano che il touchdown può essere violento e bagnato, ma probabilmente non simile ad una scena di “Run Silent, Run Deep”5 Andiamo alla leggenda numero 4….

Leggenda 4: E’ improbabile sopravvivere ad un ammaraggio

in mare aperto No davvero. Durante il periodo di esame di sei anni, abbiamo trovato 22 ammaraggi in mare aperto. Si tratta di voli di trasferimento a lungo raggio sull’Atlantico o sul Pacifico o localizzatori di pesce che operano molto lontano dalla costa.

5 Film di guerra su sommergibili “Mare Caldo” con G. Gable e B.Lancaster

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Secondo una analisi dei dati, ci furono quattro fatalità in un gruppo di 22 eventi con una percentuale di sopravvivenza dell’82%, non molto peggiore degli ammaraggi sotto costa. Dobbiamo ammettere che è abbastanza possibile che la nostra ricerca abbia fallito nel considerare aerei perduti che non hanno una relazione di incidente. Succede. Semplicemente non sappiamo quanto spesso accada ciò. Anche se avessimo mancato una dozzina di tali incidenti, il punto chiave rimane immutato: La Guardia Costiera, la Marina e le navi mercantili ripescano piloti dall’oceano regolarmente. Nessun dubbio che i voli in mare aperto siano ad alto rischio,ma certamente neanche creano una prospettiva di sopravvivenza impossibile.

Leggenda 5: In un aereo a carrello retrattile è meglio

ammarare con il carrello chiuso Ciò ha sollevato più questioni negli hangar che discutere di passo e potenza. Ecco come la vediamo noi: probabilmente non c’è molta differenza. O, mettiamola in un altro modo, se pensate che faccia differenza, mostrateci dei dati. Sfortunatamente, le registrazioni degli incidenti non fanno nessuna luce utile su questa controversia. I piloti spesso non ricordano se hanno esteso il carrello e/o i flaps; non ricordano se hanno ammarato sulle onde o controvento o col vento al traverso. Anche se lo ricordano, questo dettaglio spesso non viene riportato nella sintesi dell’incidente. Noi pensiamo che la migliore cosa da fare sia esaminare il quadro complessivo: indipendentemente dalla configurazione dell’aereo, sono riusciti i piloti e l’equipaggio ad uscire dall’aereo dopo l’impatto? Si, decisamente. Quanto spesso l’aereo si ribalta a causa dell’impatto del carrello nell’acqua? Realmente non lo sappiamo. Ma anche se in tutti i casi tutti gli aerei si fossero ribaltati – cosa altamente improbabile – gli occupanti riuscirono sempre ad uscire in sicurezza. Conclusione: potrebbe non importare molto. Da filmati di ammaraggi dal vivo e da interviste ai sopravvissuti, la nostra impressione è che molti aeroplani non si ribaltano, ma affondano un’ala, si girano e si stabilizzano dritti con un po’ di muso sotto. Ma, semplicemente, non abbiamo affidabili informazioni per tirare un giudizio definitivo su questo. Il nostro miglior consiglio è di fare la vostra migliore valutazione e configurare l’aeroplano di conseguenza.

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Più critico della configurazione, secondo noi, è toccare paralleli alle onde, o se non è un problema in mare calmo, ammarare contro vento o lungo la corrente del fiume per tenere la più bassa velocità di toccata. È significativo notare che 9 di 22 ammaraggi fatali hanno coinvolto aerei a carrello retrattile. Per quanto riguarda la controversia ala alta contro ala bassa, questi numeri sono troppo pochi per tirare significative conclusioni.

Leggenda 6: Gli aerei ad ala alta quasi sempre si ribaltano

durante gli ammaraggi Basta rileggere la Leggenda N. 5. Semplicemente, i dati sugli incidenti non supportano questa impressione. Nei 179 casi che abbiamo esaminato, solo uno ha riportato di un ribaltamento con l’impatto. Era una ala alta a carrello fisso, monomotore (un Cessna 172). Ma almeno altri 60 aerei ad ala alta ammararono e nessuno dei piloti riportò di ribaltamenti. E’ possibile che molti degli aerei ad ala alta si fossero ribaltati ed i piloti erano così presi ad uscire dall’aereo in fretta per non notarlo? Certo, è possibile. Dopo tutto, i racconti degli incidenti sono troppo spesso frammentari per tirare conclusioni definitive. Ma di nuovo, anche se ogni ala alta si fosse ribaltato o fatto al ruota attraverso l’acqua –cosa altamente improbabile questa – gli occupanti sono sempre riusciti ad evacuare l’aereo con successo. Non è in discussione il tentativo di cercare la più bassa velocità di toccata e la traiettoria più liscia ma ciò ci suggerisce fortemente che quella di preoccuparsi del ribaltamento è una preoccupazione fuori luogo.

Leggenda 7: Gli aerei non galleggiano a lungo per consentire a

tutti di uscire Ancora un’altra cosa di cui si preoccupano i piloti, ma non dovrebbero. A meno che si voglia perdere tempo a raccogliere gli effetti personali intorno, c’è solitamente parecchio tempo per evacuare un aereo che affonda. In alcuni casi c’è tempo a sufficienza per uscire e tornare indietro e recuperare l’equipaggiamento di sopravvivenza ed altra roba. Ancora, le registrazioni non mostrano per quanto tempo un aereo tipico galleggia dopo l’ammaraggio. Davvero, ci sono troppe variabili per azzardare una previsione di cosa sia “tipico”, ammesso che esista. Alcuni aeroplani galleggiano per uno o due minuti, altri sono ancora alla deriva due giorni dopo. La cosa importante da ricordare è che l’equipaggio ed i passeggeri non si aggrappano per osservare il potenziale di galleggiamento, essi evacuano l’aereo e lo fanno con un gran successo. Una paura largamente infondata è quella di andare a fondo con la nave. Vero, come detto prima, ci sono casi di ciò in condizioni estreme, ma sono casi veramente rari. Soprattutto, di 179 casi ne abbiamo trovati sette in cui gli occupanti non riuscirono a fuggire e tre di questi si trovarono in condizioni di onde alte in mare aperto. In uno dei incidenti più strani, i corpi di due persone vennero trovati uniti in un Piper Aztec che ammarò di notte al largo della costa della Florida. Gli investigatori furono abbastanza certi che le

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balle di marijuana, che scivolarono in avanti dai sedili posteriori, ebbero qualcosa a che fare con questo ritrovamento. In un altro caso, un istruttore ed il suo studente ammararono con un cessa 152 fuori da Long Bech, California dopo lo spegnimento del motore. Lo studente non riuscì ad aprire la porta o rilasciare la cintura, ma l’istruttore riuscì a farlo districare ed uscire dalla porta. Rimasero in acqua per 15 minuti prima di essere recuperati da una barca.

Leggenda 8: Ammarare con successo richiede parecchia

abilità Probabilmente non è così. Piloti di tutti i livelli di abilità sembrano mettere gli aerei in acqua e sopravvivere all’esperienza senza logorarsi. Cinque degli ammaraggi che esaminammo coinvolsero piloti studenti in voli da soli i quali presumibilmente non avevano addestramento all’ammaraggio e con molta poca esperienza di volo. A tale proposito, persino piloti stagionati generalmente non hanno un così grande orientamento sull’ammaraggio. Dubitiamo anche che molti abbiano persino letto la sezione 6-3-3 delle AIM (Manuale di Informazione Aeronautica) che descrive le procedure di ammaraggio in sicurezza.

Leggenda 9: A meno di avere un canotto, una tuta di

sopravvivenza ed altri equipaggiamenti, non è probabile che sopravviva. Di nuovo, nel leggere le sintesi degli ammaraggi, è difficile se non impossibile dire quanto siano bene equipaggiati i piloti ed equipaggi per i voli sull’acqua. La nostra stima, comunque, è che molti piloti sono male equipaggiati. Alcuni portano dei dispositivi di galleggiamento personale (PFDs), pochissimi portano canotti o altro. Nell’esaminare 179 incidenti, trovammo i PFD citati cinque volte ed i canotti quattro volte. Quindi ancora, come mostrano i dati globali, i piloti se la cavano alla meno peggio comunque. Ciò è certamente dovuto in parte al fatto che la maggioranza degli ammaraggi - 86%, per essere esatti - accadono in quello che noi chiamiamo “acque costiere”, lungo una spiaggia, in una baia riparata non lontano dalla terra o persino in un lago, un fiume, una palude o un canale. Molti di questi posti di ammaraggio sono a vista d’occhio dalla terra o barche e i piloti fuoriusciti sono in grado di nuotare o vengono recuperati rapidamente da prestanti marinai. È veramente una buona idea nuotare? Saremmo propensi a dire no, ma i dati indicano che l’opposto qualche volta può essere vero. In 13 dei 179 ammaraggi, i piloti ed equipaggio si sono salvati nuotando verso la costa o –in due casi – verso piattaforme petrolifere. In cinque casi, gli occupanti che tentarono di nuotare affogarono o soccombettero all’esposizione in acqua, sebbene altri occupanti dello stesso aereo sopravvissero. Se c’è un modello per ciascuno di questi ammaraggi, esso diventa evidente in questo frangente: Otto di 179 ammaraggi coinvolsero piloti trainatori di striscioni che entrarono in acqua al largo dalla spiaggia, si districarono e nuotarono a riva. Ciascuno di questi piloti sopravvisse, e ciò ci porta alla conclusione che anche se l’impatto può essere violento e spiacevole, sopravvivergli abbastanza bene per nuotare è altamente probabile. Fare così diventa, tuttavia, materia di valutazione che dipende dalle circostanze. In questi casi, molto vicini alla costa, sembra funzionare.

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Tutto ciò conferma il fatto che realmente non avete bisogno di equipaggiamento di sopravvivenza? Noi pensiamo di no. Come minimo, un sistema di galleggiamento personale per ciascun occupante – più uno o due extra – è una assicurazione economica in tutti gli aeroplani, anche per quelli basati nel deserto. Nonostante voi potreste non volare in nessuna “seria” tratta di mare, rimane sempre una breve esposizione su fiumi, baie, laghi e coste sul mare. I PFD aumentano le già buone probabilità di sopravvivenza. Ovviamente, non avete bisogno di una tuta di sopravvivenza per attraversare Long Island Sound, ma c’è poco da dubitare che un canotto di qualche tipo, aumenti notevolmente le probabilità di sopravvivenza. Un canotto fa due importanti cose: tiene gli occupanti fuori dall’acqua, cosa che riduce il rischio di ipotermia, e aumenta notevolmente la probabilità di rilevamento quando il Salvataggio (SAR) vi cerca. Sfortunatamente, non possiamo dirvi quale sia il tempo medio in acqua, i dati dell’NTSB non sono chiari su questo punto. A volte sono pochi minuti, altre volte ore o persino tutta la notte. Un pilota andò alla deriva con il suo giubbotto per 25 ore vicino alle Hawaii dopo essere ammarato con un Grumman. Fortuna per lui, i suoi amici avvertirono le autorità poiché lui non aveva inoltrato un piano di volo e non era nemmeno in contatto con il centro di controllo quando il motore si spense. Abbiamo trovato almeno cinque casi in cui il canotto o i PFD avrebbero fatto la differenza tra il sopravvivere e no. Un esempio accadde l’11 Settembre 1987 quando uno Cherokee in volo IFR finì il carburante e ammarò a Long Island Sound. Entrambi il pilota e il passeggero uscirono illesi e dopo un certo tempo in acqua, il pilota decise di nuotare verso la costa mentre il passeggero si aggrappò ad una struttura offshore. Il pilota affogò mentre il passeggero venne recuperato tre ore dopo. C’è il piccolo dubbio che un canotto avrebbe favorevolmente alterato questo risultato. C’è anche un sottile campanello di allarme qui: anche con un aereo con piano di volo IFR, il SAR potrebbe tardare a venire. Questo non sembra accadere spesso, ma accade. Ciò, di nuovo, dimostra che bisogna essere preparati per badare a se stessi, includendo gli equipaggiamenti per rimanere a galla e per segnalare al SAR quando arriva. Quando siete alla deriva nell’acqua, siete soli con voi stessi ed è meglio avere molti equipaggiamenti di sopravvivenza che niente. Un ultimo commento sui dispositivi di sopravvivenza: non è sufficiente stivare la roba nell’aereo e dimenticarla fino a quando serve. Un minimo di briefing di sicurezza – così come fanno le compagnie aeree – è un obbligo. Un esempio del perché ciò è così importante è illustrato in un bizzarro incidente accaduto nel Novembre del 1990 quando il pilota di un Cessa 172 perse l’orientamento al largo della costa della Florida e finì il carburante. Trovò una nave, gli girò intorno e gli ammarò vicino. Il Cessna era lodevolmente equipaggiato con PFD ed un canotto per quattro persone. Sfortunatamente, uno dei passeggeri gonfiò il canotto dentro la carlinga, una calamità peggiore che l’ammaraggio stesso. Il passeggero bucò il canotto prima di lasciare l’aereo rendendolo così inutile. Inoltre, sebbene il volo fosse in condizioni difficili, il pilota non informò gli occupanti sull’uso dei PFD e quindi questi non furono capaci di trovare ed indossare i giubbotti. Due passeggeri sopravvissero, il pilota ed un altro passeggero perirono sebbene non sia chiaro se affogarono dopo l’evacuazione o affondarono con l’aereo.

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Leggenda 10: Volo con bimotori; non ho da preoccuparmi dell’ammaraggio Ditelo ai piloti dei 29 plurimotori che finirono in acqua durante gli otto anni del periodo che abbiamo esaminato. Questi casi rappresentano il 16% di tutti gli ammaraggi. Naturalmente non abbiamo idea di quanti piloti di bimotore abbiano avuto lo spegnimento di un motore sull’acqua e abbiano raggiunto salvi la costa evitando di riportare l’incidente. Di nuovo, sappiamo che succede ma non abbiamo idea di quanto spesso accada. Un modo grezzo per misurare il rischio di ammaraggio di un plurimotore è esaminare i numeri totali della flotta rispetto agli incidenti riportati. Secondo la FAA. La flotta di Aviazione Generale era composta da circa 169,200 aerei a motore nel 1997. Ciò include aerei a pistoni, turboprop e jet, ma no alianti, mongolfiere o aerei sperimentali. La stragrande maggioranza – 85%– sono monorotori, il rimanente 15% sono plurimotori. Ad occhio apparirebbe che i plurimotore ammarano con una percentuale eguale a quella del loro numero nella popolazione globale di aeroplani. Il difetto di questo ragionamento è che i piloti dei plurimotore possono – e probabilmente lo fanno – volare sull’acqua molto più facilmente di quanto facciano i loro fratelli monomotore, pensando che più motori danno un maggiore margine di sicurezza. Questo significa che la loro esposizione al rischio di volare sull’acqua è maggiore, come gruppo, di quanto lo sia per i piloti di monomotore. Questa è pura supposizione, naturalmente, e le vostre supposizioni sono buone come le nostre. La cosa importante da sapere è che i plurimotore non sono immuni dallo scenari dell’ammaraggio. Questi piloti devono portare gli stessi equipaggiamenti di sicurezza che dovrebbero portare i piloti di monomotore. E utile notare inoltre perché i bimotore finiscono nell’acqua: di 29 che ammararono, 13 sembrarono avere problemi meccanici in cui i motori si spensero per effetto di rotture di qualche tipo. Di nuovo, la folla dei viaggiatori in mare aperto è a più alto rischio. Otto di questi incidenti riguardarono voli di lungo raggio ed in cinque di questi ammaraggi il pilota non fu capace di mantenere la quota dopo lo spegnimento del motore perché l’aereo era legalmente soprappeso con l’eccesso di carburante per il lungo raggio. In questo senso, il pilota di lungo raggio corre un rischio unico: fino a quando non brucia la maggior parte del carburante, avere un secondo motore non è una cosa così buona per lui. In generale, l’ammaraggio per esaurimento del carburante è di competenza dei piloti di monomotore, ma i conducenti di bimotore difficilmente ne sono immuni. Cinque dei 29 ammaraggi

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di plurimotore furono la conseguenza di esaurimento di carburante comparati ai 45 casi di esaurimento o cattiva gestione del carburante dei monomotore. (In quasi un terzo di tutti gli ammaraggi di monomotore, l’esaurimento, la cattiva gestione o la contaminazione del carburante è la causa che più si sospetta – un terribile dato.)

Leggenda 11: Un elicottero ammarato affonda come una

pietra Se ciò è vero, non sembra avere influenza sulla percentuale di sopravvivenza. Durante il periodo di otto anni esaminato, ci furono 19 ammaraggi di elicotteri., alcuni dei quali in condizioni proibitive nel Golfo del Messico. Questi produssero solo una fatalità ed in quel caso il pilota annegò mentre nuotava verso la costa. Due interessanti osservazioni circa gli elicotteri: Non tendono ad esaurire il carburante. Metà degli ammaraggi furono dovuti a rotture meccaniche, quattro riguardarono contaminazione del carburante, ma nessuno fu dovuto ad esaurimento del carburante. Secondo, anche se gli elicotteri utilizzati in operazioni marine sono frequentemente dotati di pattini galleggianti, in almeno tre casi questi galleggianti fallirono a gonfiarsi poiché i piloti flappeggiarono verso l’acqua in autorotazione. Ciò nondimeno, piloti ed equipaggio sopravvissero all’ammaraggio che senza galleggianti tipicamente comporta ribaltamento o beccheggio non appena il rotore tocca l’acqua e dissipa l’energia in modo incontrollato. E’ significativo notare che in molti casi riguardanti l’industria del petrolio, sia gli equipaggi degli elicotteri che i passeggeri hanno ricevuto l’addestramento per meglio prepararsi al ribaltamento nell’impatto con l’acqua.

Conclusioni Poiché i dettagli degli ammaraggi mancano, tirare delle incontrovertibili conclusioni da un esame dei dati può trarre in inganno. Una cosa è certa: ammarare sotto controllo un aeroplano nell’acqua è una esperienza altamente “sopravvivibile” che sembra richiedere non molta capacità, esperienza o preparazione. Nove di dieci piloti che lo provano ci riescono anche quando l’ammaraggio avviene nell’oceano vicino alla costa. Data questa alta probabilità di successo, è sensato portare almeno un equipaggiamento basico di galleggiamento in tutti gli aeroplani,e non solo in quelli che si avventurano sull’acqua o litoranei. Se mai vi trovaste a galleggiare in un fiume o persino in uno stagno – e molti piloti lo fanno – un dispositivo tanto semplice quanto economico come un giubbotto gonfiabile aumenterà notevolmente le vostre già buone probabilità di sopravvivere. La necessità di un canotto è meno convincente per aeroplani che operano in zone con isole. Tuttavia noi lo riteniamo un equipaggiamento obbligatorio per incursioni sui Grandi Laghi, alle Isole dei Carabi e lungo litoranei e aree costiere. Ciò è particolarmente vero in climi freddi o temperati dove piloti ed equipaggi potrebbe abbandonare in sicurezza l’aereo che affonda per poi morire di ipotermia aspettano l’aereo di salvataggio. Ovviamente, i voli di trasferimento sull’oceano necessitano equipaggiamenti più sofisticati e chiunque pensi a tali voli dovrebbe affidarsi ad una assistenza professionale. Avere il servizio di ricerca e salvataggio vicino aumenta le probabilità di sopravvivenza. La maniera migliore di farlo è quello di inviare un piano di volo IFR. Niente attira l’attenzione degli apparati SAR in modo più veloce di una chiamata di soccorso (mayday) seguita da una perdita di

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contatto radar. I piani di volo VFR e le segnalazioni dai parenti o amici sono anche utili ma, poiché la vostra posizione non sarà nota, la ricerca potrà prendere parecchio più tempo. Come evitare di finire in acqua nel primo posto? Non esaurite il carburante o assicuratevi che il carburante che avete non sia contaminato con acqua o altri detriti. Almeno un terzo di tutti gli

ammaraggi sono causati da esaurimento, cattiva gestione o contaminazione del carburante. Ciò può essere assolutamente evitato. Le rotture meccaniche sono riportate come la causa più vicina a quella dell’esaurimento del carburante – circa il 25% -, ma siamo scettici di farcene molto di questa informazione. Molti aeroplani ammarati non sono recuperati, così gli investigatori devono basarsi su quanto riportato dai piloti per ciò che è accaduto. Non è che non crediamo ai piloti ma senza un esame del serbatoio vuoto, pochi sono disposti ad ammettere che hanno finito il carburante. Secondo, se si vola con un motore a carburatori, applicate l’aria calda immediatamente se si sospetta ghiaccio. A volte gli aerei sono ripescati senza apparenti problemi meccanici, cosa che suggerisce fortemente che il ghiaccio ai carburatori possa essere stato il colpevole. Infine, se non traete del buon senso dall’esame di questi ammaraggi, sappiate questo: tutto considerato, quando affrontate un atterraggio sull’acqua o un impatto con gli alberi, rocce o altre superfici ruvide, l’acqua è quella in cui sopravvivere è più probabile. Dove ciò potrebbe essere messo in gioco è durante un atterraggio di emergenza dove la scelta potrebbe essere tra una affollata spiaggia o una zona selvaggia alberata e una distesa di acqua. Non ci dovrebbe essere storia; l’acqua vince. Il pilota di un Mustang in volo dalla Florida al Texas nel gennaio del 1990 affrontò questo dilemma. In prossimità della zona di Galverston, in condizioni di deterioramento del tempo e con carburante al minimo, egli tentò due atterraggi strumentali ma non ci riuscì. Capito che non avrebbe avuto carburante per un altro tentativo, decise di ammarare l’aereo nel Golfo del Messico. E’ vero, l’NTSB lo sculacciò per non avere pianificato il volo correttamente e avere sciupato un perfetto – e raro – aereo da guerra. Ma, alla fine, egli sopravvisse per volare ancora e se c’è un finale in questa storia, è questo. L’ammaraggio e una esperienza molto “sopravvivibile”.

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