LE RIVOLUZIONI ZAPPIANE - REDDITO, ECONOMIA AZIENDALE ... · di Brescia Economia Aziendale Giugno...

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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Giugno 2009 Paper numero 93 Arnaldo CANZIANI LE RIVOLUZIONI ZAPPIANE - REDDITO, ECONOMIA AZIENDALE - AGLI INIZI DEL SECOLO XXI

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Giugno 2009

Paper numero 93

Arnaldo CANZIANI

LE RIVOLUZIONI ZAPPIANE- REDDITO, ECONOMIA AZIENDALE -

AGLI INIZI DEL SECOLO XXI

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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LE RIVOLUZIONI ZAPPIANE

—Reddito, Economia Aziendale— AGLI INIZÎ DEL SECOLO XXI

di Arnaldo CANZIANI

Università degli Studi di Brescia

Il saggio che segue costituisce la versione ampliata della relazione ufficiale “Le rivoluzioni zappiane dal 1920 al XXI secolo”

al Convegno <I Maestri dell'Università Bocconi — LA RIVOLUZIONE DEL REDDITO

Seminario di studi in memoria di Gino Zappa> Milano, Università Commerciale "Luigi Bocconi", 26 novembre 2007,

ora in M. ROMANI (a cura di), Gino Zappa, Milano, EGEA, 2008, pp. 61-95

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Indice

Prefazione........................................................................................................I

1. Introduzione ............................................................................................... 1

2. Il rivoluzionario scientifico ........................................................................ 1

3. La critica della vulgata............................................................................... 4

4. Rinnovamento del metodo e dell'oggetto................................................... 7

5. Criticismo e costruzione della teoresi ...................................................... 11

6. La teoresi zappiana. Dal Reddito all'Economia Aziendale ...................... 14

7. Crisi dell'Economia Aziendale? ............................................................... 18

7.1. Crisi dei fondamenti? ....................................................................... 18

7.2. Crisi del metodo, dell'oggetto, del campo? ...................................... 19

7.3. I fattori veri della crisi ..................................................................... 21

8. Lo spirito scientifico contro il provincialismo anglomane ...................... 23

8.1. L'anglomania nelle scienze............................................................... 23

8.2. La "anglomania dovuta" nelle scienze della natura ........................ 24

8.3. L'anglomania nelle scienze sociali e le sue derive. Esiti dell'immanenza: rifiuto della storia, empirismo, matematismo,...... 25

8.4. Lo spirito critico degli studî aziendali.............................................. 30

8.5. L'internazionalità di Gino Zappa. Lo pseudo-internazionalismo contemporaneo quale competizione sociale........ 32

Appendice- Gli studi zappiani negli ultimi venticinque anni...................... 39

Nota al testo ................................................................................................. 42

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Prefazione

Anche se proprio gli studiosi italiani, al di là di tante dichiarazioni, si comportano sovente in modo indifferente o disinteressato —quando non incredulo, ironico, sprezzante—, dobbiamo in vero a Giuseppe Cerboni, Fabio Besta, Gino Zappa, e ai loro discepoli, il primato mondiale nelle discipline italiane ragioneristiche ed economico-aziendali.

Un primato certo non ignaro di tutte le componenti storicamente

complementari, giacché incombe a ogni pensatore di sapersi erede sistematico —quand'anche per opposizione, o negazione— dell'intera stratificazione disciplinare che l'ha preceduto.

Non ignaro, inoltre, della folla di apporti gnoseologici, metodologici, storiografici e tecnici i quali hanno consentito alle discipline suddette —negli ultimi centotrent'anni circa— di elevarsi —con mai intermessa solerzia, e con risultati pur alterni—, da Tecniche a Scienze.

Non ignaro, infine, degli apporti stranieri sia tematicamente vicini e consustanziali (da Nicklisch a Schmalenbach ad Ansoff ad altri) sia comunque ammaestrativi quando dovuti agli studiosi dell'epoca (o successivi) delle produzioni di ricchezza, della concorrenza, della moneta e della banca: da Say a Irving Fisher a Schumpeter a Machlup a tutti gli altri.

Un primato senz'altro tale anche quando esaminato con lume critico,

eppure finora poco conosciuto nel mondo, anzi —apparentemente— autoreferenziale: ahiloro, non son più i tempi in cui gli unici monoglotti, gli Anglosassoni, studiavano la lingua italiana per poter leggere in originale Pareto e Pantaleoni.

Un primato, infine, che anche in Italia (e nell'Europa continentale) viene,

e per motivi molteplici, sempre meno difeso. Forse perché esso richiede lunghi studî critici e sistematici, e si fa prima a circoscrivere temi speciali, a ripetere, a copiare; forse per l'odierno eccedere di pubblicazioni, ove molti quisque de populo aggiungono a temi altri l'aggettivo aziendale, e la fanno pure franca; infine, senza forse, per l'odierno diffuso congiungersi di imperialismo statunitense e di anglomania italiana.

Per questi motivi le Celebrazioni bocconiane dei <Maestri> —iniziatesi

appunto con Gino Zappa— sono state occasione inaspettata e gradita per interrogarsi ancora una volta relativamente alla natura di quelle rivoluzioni; delle loro cause, metodi e risultati; infine del loro porsi anche programmatico, nella frequente disgregazione e perdita del centro (Verlust der Mitte) della speculazione contemporanea.

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È ben per questo motivo che l'a. esprime ringraziamenti di cuore al professor Marzio Romani dell'Università Commerciale "L. Bocconi" di Milano, responsabile del progetto "I Maestri della Bocconi"; e che ringrazia inoltre i professori Luigi Guatri, Tancredi Bianchi, Mario Monti della medesima Università.

Il suggerimento di riprendere in questa Serie tale relazione è venuto dal

prof. Giuseppe Bertoli, direttore del Dipartimento: l'a. non ci aveva proprio pensato. Il tempo intercorso ha inoltre consentito di introdurre nel testo (specie nell'attuale § 8.) alcuni approfondimenti, chiarimenti e precisazioni, maturati in questo 2009 in occasione: i) della conferenza omonima per il Dottorato in Economia Aziendale dell'Università di Parma, del dibattito con i partecipanti, ma soprattutto del lungo scambio di idee successivo —uno di una serie— con il prof. Giuseppe Galassi, Coordinatore; ii) di due lunghe conversazioni su questi stessi temi con il prof. Giuseppe Provenzano del nostro Ateneo.

A questi amici e Colleghi l'a. esprime profondi sentimenti di gratitudine.

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Don't stop believing (1976-81)

in memoriam del prof. Carlo Masini dell'Università Commerciale "L. Bocconi",

con gratitudine

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1. Introduzione

Riflettendo sugli eventi del 1789 il Visconte di Tocqueville esprime —nell'Ancien Régime et la Révolution— un giudizio forse involontariamente sempiterno:

<Le grandi rivoluzioni riuscite, facendo scomparire le cause che le avevano originate, divengono successivamente incomprensibili proprio a causa dei loro successi>1.

Altrettanto vale in particolare per la rivoluzione zappiana, senza la quale non esisterebbero oggi in Italia interi corpi disciplinari, corsi di laurea, raggruppamenti, studiosi, allievi, discepoli. Rivoluzione che costituisce dunque parte tanto rilevante della storia della cultura economica italiana; inoltre di molti fra noi; e infine di questa Università.

Ma, ripensandoci, quanto precede vale nel generale campo speculativo delle scienze, ove le grandi rivoluzioni kuhniane risultano sempre indotte da fattori soggettivi e oggettivi: soggettivi, l'insoddisfazione del genio innovatore per le sistemazioni antecedenti e la sua mai intermessa ricerca; oggettivi, appunto il contrasto della vulgata —sovrapposizione eclettica e declino insterilito di concetti ereditati— con l'evoluzione della realtà socio-economica, o amplius con i fatti originali che la modificano e la arricchiscono.

2. Il rivoluzionario scientifico

Nel caso di Gino Zappa l'indagine delle motivazioni soggettive è praticamente impossibile per chi non l'abbia conosciuto e frequentato.

Eppure, in parte ardua fors'anche in questo caso, giacché l'opus è compiuto nel 1930: è dunque pensato fra il 1910 e il 1920, dallo Zappa trenta-quarantenne che come tutti sognava — ma Goethe ci ha ammonito che occorre far attenzione a cosa si sogni da giovani, giacché si dà il caso che più tardi si realizzi davvero.

Non torneremo dunque alle descrizioni, e tanto meno all'elogio retorico "una vita di studî". Diremo semplicemente che chi ha avuto una vita invece di limitarsi a passare un'esistenza è perché ha individuato il proprio Lebenswerk, appunto il compito cui dedicare la propria giornata terrena. Può darsi si tratti di interesse, di passione, perfino di mania; eppure dobbiamo a questa concentrazione e indirizzamento di forze —per restare alle scienze— le rivoluzioni che le fanno progredire.

1 A. de Tocqueville, op. cit. (1856), libro I, capitolo I: "Les grandes révolutions qui

réussissent, faisant disparaître les causes qui les avaient produites, deviennent ainsi incompréhensibles par leurs succès mêmes.".

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Vale infatti per Gino Zappa artefice dell'Economia aziendale quanto era valso per Fabio Besta suo Maestro relativamente alla Ragioneria, e che Schumpeter ci descrive parlando di Walras:

"Ciò che oggi ci colpisce quando consideriamo questa vita di studioso è la semplice grandezza riposta nell'incondizionata dedizione ad un unico compito. Vi ineriscono una logica, una inevitabilità e una potenza che ci impressionano come un fenomeno della natura. La meditazione esclusiva dei problemi dell'economia pura ne forma il contenuto. Nient'altro. Nulla disturba l'unità dell'insieme. Nessun altro elemento ha importanza: quello solo ci tocca. Lentamente ma inesorabilmente —quasi per il suo stesso peso— il contributo di una vita di lavoro si imprime su di noi."2.

Ma se non possiamo spingerci verso l'analisi personale —occorrerebbero le doti supreme di Cremerius di Curtius e delle loro biografie psicanalitiche, e potrebb'essere indiscrezione spirituale— dobbiamo però riconoscere che, palesemente, una folla di componenti biografiche dovevano aver misteriosamente congiurato a favore di quest'uomo, quando ripensiamo a una vita intera dedicata con successo al pensiero di una scienza.

Dovevano esserci stati —in Zappa come in tutti— frammenti perfino

impercettibili di DNA i quali avevano cominciato a combinarsi —chissà— centinaia di anni prima. Combinazioni tuttavia speciali in questo caso, i non trascurabili doni intellettuali che prima ne avevano fatto l'allievo più brillante di Clitofonte Bellini, poi che avevano spinto Bellini —ai primi del secolo XX— a raccomandarlo a Fabio Besta, suo indubitabile avversario ma ormai leader incontrastato della Ragioneria italiana; infine che ne avrebbero fatto l'allievo più famoso di Besta.

Ma c'erano pure elementi propriamente ambientali e sociali: famiglia abbiente, educazione severa, e forse questo mistero, gli studi contemporaneamente classici e tecnici, rarissimi, a differenza di tutti noi che disprezzeremo per sempre questi, o non comprenderemo mai più quelli. C'erano inoltre passione per gli studî, possibilità di trasformarla in compito quotidiano, risorse di tempo e di mezzi, infine desiderio programmatico di servire la scienza e l'Università in luogo di servirsene.

Così le imprese, la villa di Varallo, la villa in viale Monza, infine le case di via Turati a Milano si sarebbero trasformate nel palazzo a Venezia, nella villa di Valdobbiadene e in una vita di studî: ecco forse perché, delle migliaia di pagine delle Produzioni, dicevano increduli gli invidiosi — "sì, le Produzioni! ovvero diecimila modi per disperdere un patrimonio!".

Ci furono infine accidentate dinamiche accademiche, giacché la zappiana fu anche una <rivoluzione di casa>: dopo l'interludio genovese proprio Zappa, l'ultimo degli allievi di Fabio Besta, venne infatti chiamato a succedergli, e ne rivoluzionò le teoresi. Non dunque il rivoluzionario sorto

2 J. A. SCHUMPETER, Dieci grandi economisti, tr. it., Torino, UTET, 1953, p. 250

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dal nulla come Marconi o Kandinskij, ma appunto la storia tante volte raccontata —e tuttavia sempre diversa— del Maestro e dei suoi allievi.

Rispetto ai Maestri ci sono infatti i casi più o meno evolutivi degli assistenti di Hegel prima del degrado, di Allori rispetto a Bronzino, dei sinfonisti minori di fine Ottocento prima delle rivoluzioni di Bartok e di Stravinskij.

Ma c'è più raramente una sorte diversa, l'antìtesi interna e di scuola, quando l'allievo rivoluzionario compie e rilancia su altri piani, apparentemente tradendo il Maestro, ma in realtà rinnovando le teoresi disciplinari con la proiezione del nucleo imperibile delle rivoluzioni antecedenti nell'interpretazioni delle fenomeniche a sé contemporanee. E' questo il caso inverso e felice (ma quanto davvero felice?) di Tiziano con Giorgione, di Heidegger con Husserl, infine di Zappa con Besta.

Ci sono, alla radice della <rivoluzione di casa>, complessi motivi di natura scientifica, spirituale, interpersonale, e non di meno psicanalitica (come dimenticare la teoria freudiana dell'<uccisione del padre>?). Ma ci sono, specie nelle scienze sociali, i fenomeni proprî dell'epoca nuova, rispetto ai quali le rivoluzioni antecedenti —ormai esempio e modello, paradigma— risultano —per chi se ne accorga, e sia in grado di fare meglio— speculativamente insufficienti.

Ci sono infine le sorti più propriamente politiche, giacchè se uno fra gli allievi innova, gli altri viceversa —rinserrati nelle esteriorità ereditate, e al più nei proprî eclettici pasticcî— possono tuttavia vantare una formale fedeltà. Si tratta delle sempiterne vicende (e sorti) delle "scuole" —dalle arti plastiche alla musica alle scienze perfino naturali— ove, a seconda dei gradi di monolitismo, soggettivismo, irrealismo delle costruzioni precedenti, l'innovazione subito si propaga irresistibile e lampeggiante, o viceversa —combattuta e osteggiata— convive per qualche periodo, prima del proprio inevitabile trionfo, con gli esiti prorogati e impotenti degli eclettismi citati.

Nel caso di Zappa, infine, ci fu per più di vent'anni l'aggravante ulteriore di cui si diceva: che proprio lui, il più giovane, fosse chiamato a succedere a Fabio Besta.

Ne sortirono querelles peraltro note —le polemiche con D'Alvise, con De Gobbis, con altri, indirettamente ricordate dal Nostro in Fabio Besta il Maestro, 1935—; ne sortirono le contrapposizioni e vicende concorsuali sovente d'uso in tali casi, con affermazione relativamente tardiva degli allievi di Zappa nel sistema (ma tardiva soprattutto rispetto al nuovo di cui erano —e sapevano di essere— portatori); ne sortirono infine, a una lettura più attenta, dibattiti poi sopiti, sorpassati, superati —ma non sempre risolti— i quali in alcuni casi lucidamente già identificavano in nuce problemi sostanziali, contemporanei e successivi, dell'Economia Aziendale nei suoi statuti disciplinari (cfr. § 6.).

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3. La critica della vulgata

Ma se occorre nei limiti del possibile —a riguardo degli innovatori rivoluzionarî— rintracciare, dedurre o inferire le motivazioni soggettive, occorre d'altra parte più ampiamente riflettere sulle motivazioni oggettive che li hanno catalizzati o sospinti: oggettive sia per chi si rifiuti di ripetere passivamente, sia per chi nella vita desideri soprattutto comprendere.

Occorre dunque ricostruire nelle sue connotazioni culturali e speculative lo Spirito del Tempo (Zeitgeist) in cui essi si sono formati, giacché anche il Genio, che pur si proietta nei decenni (e talora nei secoli) al di là della propria epoca, peraltro proprio in questa e nelle precedenti è stato educato. Ricostruire dunque quell'humus con occhi per così dire ingenui e sincronici, i quali prescindano —come se fosse possibile— non solo dalle interpretazioni-ricostruzioni retrospettive, ma nondimeno da tutti gli accadimenti successivi per ricostruire "il quadro dell'epoca" appunto come all'epoca percepito.

Due grandi edificî speculativi, trasformatisi poi in religioni laiche,

dominavano in campo economicista al tempo dello Zappa studente, e assistente.

Semplificando assai si può dire dominassero —ormai tramontato lo storicismo tedesco, e ridotto a un ricordo lo studio dei classici italiani-inglesi-francesi, Sismondi, Adam Smith, Say— da un lato il marxismo nelle sue varie declinazioni, dall'altro l'economia pura e Pareto, dunque il matematismo economico e l'approccio univocamente deduttivo.

A livello alquanto inferiore —inferiore soprattutto nell'estimazione collettiva e nel rango accademico— dominavano per converso la Ragioneria quale pratica, con l'accompagnamento misto di alcune Tecniche, in particolare nelle Scuole Superiori di Commercio. La Ragioneria, peraltro, sovente svolta nelle forme sue di impianto praticista, ormai

i. come Ragioneria Pubblica adesiva alle leggi di contabilità pubblica, ii. come Ragioneria Generale e Applicata attenta soprattutto (o

univocamente) alla statica patrimoniale quale eredità dello jus romanum, del Côde Napoléon, infine della contemporanea attenzione al capitale in Böhm-Bawerk et alii.

Ciascuno di questi elementi non poteva non suscitare l'insoddisfazione dell'osservatore attento, colto, speculativamente smaliziato nonché abituato al realismo d'impresa non fosse che per consuetudine di casa: li tratteremo dunque disgiuntamente.

A) L'influsso marxiano è uno dei fatti dominanti la seconda metà del secolo XX, né ricorderemo in queste sede la rilevanza pratica dei movimenti politici socialisti, l'azione dei sindacati, l'espandersi rapido e talora divampante della speculazione marxista —variegata ma sempre

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dogmatica— in molti ambienti o ceti o nazioni (ad esempio la Russia zarista), infine il generale diffondersi —tecnico od orecchiante, e purtuttavia sempre efficace— di semantiche e concettualizzazioni marxiane e marxiste (capitalismo, capitalisti, plusvalore, sfruttamento) che si congiungevano con antiche premesse solidariste e fabiane e sboccavano poi nel quotidiano della vita sociale, e politica.

Gli aziendalisti rifiuteranno sempre, ab imis, non solo la sirena marxiana ma anche il verbo e i dogmatismi marxisti; e si lascia al Lettore di prescegliere se per conoscenza concreta dei meccanismi dell'economia a muovere dalle imprese, se per condivisione ideale dei processi dell'economia di mercato, o invece —come talora vien loro imputato— per cieca adesione, ideologica e nondimeno di convenienza, al sistema capitalistico e ai suoi processi.

B) All'epoca del giovane Zappa, peraltro, già si era affacciato nelle scienze economiche l'uso di operatori algebrici.

Questa moda —introdotta sostanzialmente da Walras— era serpeggiata per decenni nel trionfo di correnti altre, fra tutte lo storicismo; ma era poi stata (inaspettatamente?) ripresa e rivitalizzata da Pareto. Dominava quindi all'epoca l'impero della Scuola di Losanna e dell'economia pura, la pretesa di risolvere dogmaticamente i problemi dell'economia scienza sociale ricorrendo al logo algoritmico, in particolare uniformandola alla fisica classica.

A tale dominio cooperava una molteplicità di fattori multiformi. Si trattava infatti i) degli effetti ultimi del positivismo, ii) dell'ennesima incarnazione dello scientismo (la deformazione matematista risalente a Leibnitz e Cartesio), ma nondimeno iii) della reazione al marxismo, tant'è che il marginalismo è stato anche descritto come il trionfo più o meno effimero dell'ideologia liberale, il dispiegarsi, autonomo fino alla sfrenatezza, dell'individuo irrrelato (Spirito).

Ora, se già all'epoca l'attenzione critica ai fatti (il positivismo auto-critico, il neo-kantismo, il neo-tomismo), e la più acuta attenzione algoritmica, facevano considerare un'insensatezza quella pretesa —il medesimo Pareto, resosene conto, abbandona le lande dell'economia "pura" per trasformarsi nel Pareto sociologo—, conta tuttavia rammentare in questa sede il dominio —all'epoca— di forme che, pur variegate, postulavano inesistenza del tempo, mercati perfetti, informazioni simmetriche, individui razionali nel senso di matematizzati, et al.. Deduttivismo dunque assoluto, e pur elegante, ma con premesse così anti-realistiche da non poter non urtare chi, come Zappa, conoscesse sin da bambino, e poi da studioso, la realtà economica nel suo quotidiano dispiegarsi.

C) La Ragioneria, infine, aveva fatto registrare in Italia prorompenti sviluppi, che la ponevano per l'epoca all'avanguardia nel pensiero

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internazionale, nonostante le Fachhochschulen in Germania e gli studî di Gomberg in Confederazione Elvetica.

Costruita su una tradizione medievale, ispirata dopo Napoleone dai Degranges padre e figlio, rafforzata nel Lombardo-Veneto dalle contabilità camerali di tipo austro-ungarico, la Ragioneria italiana ascende con Crippa, Villa e Cerboni —nel corso del secolo XIX (grosso modo 1840-1892)— a sistemazioni che la rendono scientifica secondo qualsivoglia statuto disciplinare. Essa poi si incardina nelle nostre quattro Scuole Superiori di Commercio (Venezia, Bari, Napoli, Genova), e vi prende l'ascendente sviluppo cui è chiamata soprattutto con Fabio Besta a Ca' Foscari.

Besta sceglie di fondarla (1880) nel realismo speculativo, però costrutto su Aristotile e Vico da un lato, sulle due serie della Biblioteca dell'Economista dall'altro (e soprattutto sugli studiosi tedeschi, Schaeffle in particolare); più specificamente ne costruisce il concetto di azienda —nucleo omogeneo di beni-capitali di famiglia, d'impresa o dello Stato (1891), con tutte le proprie rifrazioni anche giuridiche—, e vi fonda la teoria delle valutazioni, appunto patrimoniali.

Ma qui pure l'evoluzione, e gli esiti comuni, tesero poi a rappresentare il modo praticista ricordato, reliquando le impostazioni organiche e sistematiche per discendere non di rado al mero meccanismo delle scritture contabili e alle sue complicatezze formali. Al diffondersi, negli studî, di tale praticismo —utile e interessante, ma dal punto di vista intellettuale una sostanziale regressione, o deriva—, si aggiunse poi un problema inaspettato ma nodale, affacciatosi proprio nei primi anni del nuovo secolo: la medesima rilevanza valoriale del patrimonio come fondamento dei sistemi contabili di misura.

Il capitale quale primum movens, nonché strumento della gestione, era assodato in Fabio Besta: reddito era soltanto la differenza intervenuta fra due valutazioni patrimoniali successive. Ma che questa fosse anche una causalità valoriale iniziò a risultare dubitabile dal punto di vista teorico grazie ad alcuni contributi stranieri di inizio-secolo (i quali culmineranno poi con Irving Fisher), dal punto di vista pratico —dopo la crisi del 1907— con le guerre balcaniche e di Libia (1911) e poi soprattutto con il primo conflitto mondiale e la rivoluzione di prezzi che esso innesca, i quali resero infine assolutamente discutibile quel fondamento.

La guerra 1914-18 comporterà infatti, per tutte le nazioni belligeranti, inflazioni medie del 300% in 4-5 anni, inoltre inaudite da più di un secolo — dai tempi di Napoleone e dei suoi fureurs belliqueux—. Con la doppia inversione del finalismo dei sistemi produttivi (verso produzioni di guerra prima, verso la riconversione poi), e la citata rivoluzioni di prezzi, parve implausibile a Zappa continuare a fondarsi su <valutazioni patrimoniali> che rischiassero l'insensatezza, continuare a

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denominare "reddito" la differenza fra due valori patrimoniali successivi: proprio dal punto di vista valoriale dovevano essere le correnti di reddito successive e ulteriori —cioè future— a dare significato al patrimonio.

Il Gruppo Ansaldo-Perrone ad esempio, che al 1920 occupava 90.000 dipendenti ed era il primo e più capitalizzato d'Italia, fallisce nel 1923, rovinato dalle proprie imprudenze, dai complotti dei suoi potenti nemici, ma soprattutto —diremmo con Zappa— dal difficoltarsi radicale delle proprie combinazioni produttive, dall'invertirsi drammatico delle coordinazioni lucrative tipiche. Piace dunque supporre che proprio tale empiria —Zappa ebbe occasione di approfondirla— abbia costituito per lui la riprova definitiva delle proprie teoresi: le correnti successive e prospettiche di reddito attribuiscono valore al patrimonio, e non viceversa.

4. Rinnovamento del metodo e dell'oggetto

Zappa si trova quindi forzato alla critica: forzato, giacché il pensatore originale si trova inizialmente sempre un po' a mal partito con ciò che non comprende, con posizioni magari diffuse ma che scopre inesatte egli solo, con sistemazioni che a lui soltanto paiono inadeguate rispetto all'ora, o addirittura ignare dei veri problemi speculativi.

Zappa è dunque naturalmente indotto alla censura da questa propensione misteriosa. Ma nel suo caso la hybris che lo conduce è forse suscitata, o catalizzata, da un principale motivo estrinseco: il dibattito filosofico internazionale della fine dell'Ottocento —ma poi fervido fino al primo conflitto mondiale, e oggi quasi dimenticato— in tema di conoscenza scientifica, di natura convenzionale delle scienze, della funzione sia del linguaggio sia delle definizioni nei processi di ricerca (in particolare dopo Boltzmann, 1891-97, e Bréal, 1897)3, infine del ruolo dell'intuizione anche nel campo filosofico. Dibattito che lo influenzò fin quasi a travolgerlo, e i cui effetti spiegherebbero da un lato "il decennio travagliato ed intenso" che Egli ricorda, dall'altro la scontentezza successiva per le Valutazioni di bilancio (1911), il comparire della Tecnica amministrativa (1919) —nuovo, ma in fondo tradizionale—, ma quasi nel contempo del primo tomo del Reddito, complesso, eterodosso, misterioso per l'epoca: parafrasando Croce, "la Ragioneria filosofata e redditualizzata".

Zappa si avvia così al rifiuto delle accepted theories (non solo quelle del proprio campo, ma anche delle altre all'epoca variamente dominanti) per

3 Ludwig BOLTZMANN (1844-1906), contribuisce al passaggio delle scienze naturali

dalla formulazione determinista alla probabilista, stabilendo fra l'altro le leggi statistiche della termodinamica (legge di distribuzione di B.; statistica di B.), cfr. Wissenschaftliche Abhandlungen (a cura di F. Hasenröhl), Lipsia, Barth, 1909, 3 vv.; Michel Julius Alfred BRÉAL (1832-1915), inventore della semantica, cfr. Essai de sémantique, Parigi, Hachette, 1897, 1915V

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costruire originalmente traendo da una folla di elementi antichi e nuovi proprî di tutte le scienze sociali, e non solo di quelle.

Egli dunque costruisce teorie —cioè getta ponti sul malnoto e l'ignoto— sia per non risolvere la pur importante funzione critica nel mero criticismo, sia perché le scienze di applicazione necessitano di quelle, e non di improvvisazioni o espedienti. Nella pratica quale banco di prova, infatti, "nulla di più pratico di una buona teoria" ci ricordava Peter Drucker, giacché, specialmente nelle scienze di applicazione, le teorie sono appunto chiamate a incorporare i principî di costruttività e di plasticità.

A quali fonti scelse dunque Zappa di ricorrere distruttivamente e costruttivamente, e come le sintetizzò?

Il tema, un tempo di assoluto disinteresse —gli Allievi di prima generazione lo possedevano naturalmente, per tutti gli altri si trattava di un Autore superfluo e ingombrante— ha cominciato negli ultimi venticinque anni a registrare contributi che, tuttora in fieri, già dipanano quel problema in indicazioni esegetiche le quali collocano eminentemente il Nostro nel cuore della riflessione scientifica —filosofico-critica, economicista, ragioneristico-tecnica— dell'Otto-Novecento4.

Procedendo per accenni possiamo dunque dire quanto segue.

1. Zappa giustamente rifiuta il metodo univocamente deduttivo. Questo era all'epoca dominante in campo economico, ma proprio in questa Università insegnava Statistica, sin dagli inizî, Rodolfo Benini, e Libero Lenti così ci ricorda:

"L'insegnamento della statistica metodologica e della demografia, allorché la Bocconi inaugurò i suoi corsi, venne subito affidato a Rodolfo Benini, il «primo statistico italiano moderno», che più tardi avrebbe insegnato a Roma statistica, e successivamente economia politica.

Questo passaggio d'insegnamenti non era del tutto casuale. Da sempre Benini aveva ritenuto che con la statistica, operante su dati reali, e cioè in termini induttivi, si potesse compiere il cammino inverso dell'economia politica, operante, invece, con il metodo deduttivo. Questa contrapposizione, sul principio del secolo, teneva desta l'attenzione degli studiosi di scienze sociali e quindi degli economisti, schierati invece con il metodo deduttivo."5.

2. Zappa rifiuta quindi il metodo deduttivo, ma altrettanto rifiuta il metodo

univocamente induttivo nel senso di Benini. Egli rifiuta in sostanza la singolarità, il monismo di ambedue, e combina viceversa l'uno e l'altro nel metodo misto.

4 Cfr. APPENDICE BIBLIOGRAFICA, Gli studî zappiani negli ultimi venticinque anni 5 Cfr. L. LENTI, Gli ottant'anni della Bocconi, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 43-44

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Le rivoluzioni zappiane —reddito, economia aziendale— agli inizî del secolo XXI

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Tale sintesi può sembrare qui ovvia, soprattutto per gli economisti aziendali. Ma essa —che non è a tutt'oggi ancor generalmente condivisa—, all'epoca risultava addirittura eterodossa e piuttosto implausibile, quando i ragionieri erano reputati modesti tecnici —si dice tutt’ora in Gran Bretagna accountants and plumbers, negli Stati Uniti d'America bean counters—, e gli "scienziati" appunto bipartiti fra l'uno e l'altro metodo, in particolare gli economisti "puri" convintamente deduttivi. Quella sintesi era del resto ardua all'epoca anche in altri campi, ad esempio il giuridico: qui si combattevano infatti il "deduttivismo logicamente concatenato" (la Begriffsjurisprudenz) e l'induttivismo positivista nelle sue varie rifrazioni. In realtà, il problema è antico quanto la gnoseologia: come se non ricordassimo sin dai pre-socratici il problema degli a-priori su cui fondare il deduttivismo, e viceversa il ruolo del soggetto nei processi a-posteriori. Ma la soluzione di combinare l'uno e l'altro —innovativa nello <Spirito del Tempo> all'epoca perennemente unilaterale e bipartito, dunque eterodossa anche se radicata nell'antico—, ci era venuta da Benedetto Croce quando nel 1905 aveva detto:

"… l'atto vero del pensiero è un a-posteriori/a-priori, «una analisi sintetica, una sintesi analitica … o, se piace meglio, una sintesi a priori», che supera le due dottrine unilaterali che gli si oppongono, il «dommatismo o astrattismo», il quale, non scorgendo altro se non l'elemento logico, stima possibile il concetto fuori o sopra dei fatti (mera analisi); e … l'empirismo, che, scorgendo solo l'elemento rappresentativo, pretende ricavare il concetto per induzione dei fatti bruti (mera sintesi)"6.

E qui pure possiamo domandarci, né retoricamente: quale aziendalista studiava —all'epoca— Benedetto Croce? E soprattutto, chi avrebbe mai pensato di poterlo funzionalizzare alla soluzione dei problemi della Ragioneria e, amplius dell'Economia Aziendale? (amplius, certo, giacché questa si svilupperà successivamente, soprattutto negli allievi e nelle Collane, ma —almeno per i primi decennî— appunto con metodo ferreamente sintetico, misto nella semantica zappiana, forgiato dal Nostro sin da prima del 1920).

3. Così risolto il problema del metodo —ma risolto soltanto nelle

premesse, nelle logiche fondanti—, si trattava di scegliere l' <oggetto di studio>.

6 Cfr. B. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza, 1947VII, pp.

140, e 140-141

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Imperava all'epoca, e dominava dalla seconda metà dell'Ottocento, il positivismo in tutte le sue declinazioni, ormai degradato fino all'empirismo insensato che sembrava quasi ritenere che qualsiasi fatto —proprio in quanto rappresentante la <realtà positiva>— potesse costituire oggetto speculativo. Zappa era troppo sottile per cadere in questa trappola, anzi era troppo avveduto per restare impastoiato in questo degrado diffuso e comune all'epoca (ma non forse in tutte le epoche gnoseologicamente degradate, dunque incapaci di distinguere?), e decise di uscirne. Fu fortunato, giacché tra la fine del secolo XIX e gli inizî del XX da un lato il positivismo stava cercando di riformare sé stesso nelle forme del positivismo critico —in Italia tipicamente con Federigo Enriques, cui Zappa resterà fedele per tutta la vita fino a suggerirlo sempre agli Allievi—, dall'altro fluttuava un pragmatismo di stampo statunitense, effimero ma rilevante, e all'epoca significativo (Vailati). Zappa trasse da quest'ultimo l'attenzione appunto al pragma, a costrutti intellettuali che non fossero come nel primo Pareto anti-realistici; da Enriques invece, quale ingresso al positivismo critico, la considerazione sì dei fatti, ma non di fatti anche qualunquissimi, quanto piuttosto —con Poincaré— di fatti adatti, prescelti, pensati, rappresentativi, simili per serie, ripetuti: fatti non qualsivoglia bensì finalmente scientifici. Inoltre, gli unici che potessero risultare strumentali all'oggetto proprio di una scienza: l'indagine di problemi. Il tema è ovviamente più complesso: formato a partire da Vailati ed Enriques, il sistema di pensiero zappiano rimonta fino a Bacone e Cartesio (e prima); combina sia gli empirismi razionalizzati sia i razionalismi realistici dall'antichità fino a Kant; supera questo con Hegel, e Hegel con Croce; e intanto tra i suoi contemporanei si arricchisce dei positivisti migliori (Bufalini, Brofferio), dei positivisti logici e critici (Jevons e Stuart Mill, Murri), degli scientisti, non per combinazione matematici o fisici (Mach, Poincaré), dei neo-criticisti (Windelband), dei pragmatisti (Royce, Vailati). Così descritta, anche questa opzione può sembrare naturale, articolata ma sostanzialmente ovvia. E' sempre così: l'ex post delle rivoluzioni appare semplice, proprio perché il genio costruisce con elementi comuni. Ma presceglierla, anzi forgiarla, ex ante non era ovvio per nulla: significava infatti i) opporsi all'empirismo e al dogmatismo all'epoca dominanti, ii) combinare sinteticamente fra loro forme conoscitive non solo svolte nel corso dei precedenti cinquecento anni, ma inoltre differenti —e talora profondamente— fra loro, iii) infine funzionalizzarle all'ideazione di una scienza nuova nonché alla contemporanea costruzione del suo metodo.

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5. Criticismo e costruzione della teoresi

Questo cammino lungo, inaspettato, difficile, impervio, da risolversi e completarsi a ogni tappa ulteriore durante l'ascesa era, tuttavia, soltanto un prodromo.

Quand'anche infatti raggiunta la vetta metodologica, occorreva ancora —si diceva— individuare un oggetto di studio che potesse risultare scientifico nel contesto, cioè concreto, economico, unitario, seriale, da indagarsi quale tipo-ideale (Idealtyp) nelle forme analitiche e sintetiche delle sue strutture e dei suoi problemi.

Zappa individuò l'azienda, e anche tale opzione ci risulta apparentemente ovvia. Sì, ovvia oggi, visto che ne parliamo da quasi un secolo; meno o per nulla all'epoca.

Le aziende esistevano certo da migliaia di anni, eppure non quale oggetto di studio di alcuna scienza, neppure della Ragioneria, che studiava infatti problemi tecnici speciali: la contabilità, la tecnica (anche minuta) delle operazioni, l'organizzazione del lavoro. E tantomeno le studiavano gli economisti, in tutt'altre faccende affaccendati, che cominceranno a studiare l'azienda ma solo con Marshall — l'azienda, o meglio i due stadî della sua caricatura.

Forse solo Besta aveva studiata l'azienda: con pragmatica lucidità definitoria, con diffuso successo conseguente; ma l'azienda di Fabio Besta era un nucleo omogeneo di beni-capitali, e per i motivi sopra ricordati, Zappa (si) era costretto a rifiutarne il concetto.

Egli individua quindi l'azienda nella sua interezza e sistematicità —anzi tutte le aziende— quale oggetto di studio. Tale ente peraltro —appa-rentemente tradizionale— andava a quel punto non meramente asserito, e neppure soltanto descritto: andava altrettanto sistematicamente definito, cioè speculativamente pre-interpretato.

Si affacciava qui pure una serie di problemi, giacché l'azienda di Besta non era un operatore economico, mentre come tale era un <oggetto comune>, analizzato —si ricordava— soltanto per parti (la contabilità, le operazioni tecniche, il lavoro, in particolare con Taylor il lavoro di stabilimento), secondo approcci oltretutto mutuamente inconciliabili.

Zappa risolve ad unum tutti questi problemi, e —diremo

sinteticamente—:

i) definisce originalmente l'azienda nella sua unitarietà; ii) ne risolve la complessità e la multi-polarità interpretandola in via

sistemica, beninteso il sistema nel senso di Celesia7: l'azienda è una coordinazione economica in atto (1927);

7 Paolo CELESIA, Opere — Serie filosofica: La teleologia concetto e valore, Roma,

Libreria di Scienze e Lettere, 1923; Problemi di biologia alla luce del finalismo, ib., id.,

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iii) la svolge per operazioni-processi-combinazioni simili per serie e articolate appunto nel sistema che le unifica;

iv) la connette a tutte le altre, grazie all'attenzione agli atti di scambio che nel contempo definiscono l'esterna gestione, la nascita di valori misurabili, la produzione di redditi e la riproduzione di capitali;

v) la costituisce dunque in ordine anche esterno: le aziende tutte costituiscono in sistema i luoghi della produzione (settori) e degli scambî (mercati), e l'ordinamento economico diverrà poi un sistema di aziende (familiari, di produzione, pubbliche composte).

Zappa abbandona così l'azienda di Fabio Besta suo Maestro (somma di fatti, relazioni ed affari relativi a un insieme dato di beni-capitali appartenenti a una persona, una famiglia o a qualsivoglia altro soggetto dalla singola società anche di capitali allo Stato), per transitare a una concezione dinamica (coordinazione economica in atto), l'unità svolta nel tempo, nella quale le funzioni e i processi di Besta (governo-gestione-controllo) prendono altra direzione, e difforme significato.

L'azienda è cioè un sistema economico unitario, che attraversa il tempo fisico producendo redditi e riproducendo capitali; e per questo è azienda di produzione anche nelle proprie realtà di impresa assicurativa, bancaria, commerciale o quant'altro.

Zappa percepisce poi —quale epitome della natura economica dell'azienda— il momento rappresentabile eminentemente nel reddito, in particolare nei flussi di reddito futuri, unici che la avvalorino.

In tal modo l'azienda zappiana —con le vicende sempiterne appunto del reddito e del capitale di funzionamento— dalla black box misteriosa dell'Economia politica diviene l'unità economica tipicamente produttrice di reddito (come diverrà, di lì a poco, anche la distributrice del medesimo).

Il reddito è infatti un sistema espresso dal sistema-azienda e conformato su di essa, e non la risultante dell'impianto contabile. Non quindi la contrapposizione meramente numerica di Walras —nota sin dalle rationes quadratae di Cicerone—, e neppure il reddito di Irving Fisher, anticipazione di flussi di valori, che viceversa l'impresa attua nel presente e nel futuro nel mutare incessante delle proprie coordinazioni lucrative.

La rivoluzione zappiana del reddito e dell'Economia aziendale si compie dunque da un lato in sintonia con l’evoluzione dell’economia-mondo nelle sue accelerate dinamiche —di prezzi, e non di meno monetarie— dopo il 1914, dall’altro in opposizione (grazie all'opposizione?) alle costruzioni allora dominanti i) della (micro)economia neo-classica, anti-realistica e

1924; Studi kantiani, ib., id., 1926. Le note biografiche, a cura di Francesco PORRO, sono alle pp. XV-LX della Teleologia, op. cit.. Alla nozione di sistema in G.Zappa concorrono in particolare i concetti celesiani di coordinazione, organizzazione (da Problemi di biologia, cit., pp. 81-83-87-103-313)

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statica, ii) dell'economia dinamica (o pseudo-tale), fondata esclusivamente sul ciclo, iii) delle ragionerie e delle tecniche, fattualmente atomistiche.

D'altra parte, tutte le aziende producono redditi e riproducono capitali: la

teoresi zappiana economicizza così anche l'intepretazione delle imprese altre rispetto alle manifatturiere e industriali, e vi assiema nondimeno le commerciali, bancarie, assicurative et al.. Il punto è superfluo da citare a questo tavolo, ove i Relatori precedenti8 hanno appunto contribuito a dar vita a questi campi; ci limiteremo a ricordare che l'interpretazione delle logiche di banca ricomprende in sé infine, con Ugo Caprara, anche le coordinazioni tipiche della Banca Centrale.

Inoltre, con l'azienda e la sua esterna gestione, Zappa per via del principio di relazione estende poi le analisi ai momenti —effettivi e spaziali, ma talora soltanto ideali— che il sistema delle aziende viene a costituire, e dai quali d'altra parte esse traggono nel contempo tanto delle proprie combinazioni produttive e coordinazioni lucrative: i mercati, i settori. Anche questi, naturalmente, analizzati in <operazioni caratteristiche> di tipo realistico, che le imprese svolgono in modo intrecciato nello spazio, nel tempo, nelle controparti e nelle modalità economico-tecniche e nondimeno giuridiche: lontani quindi e.g. dal meccanicismo piuttosto perverso del tipo structure-behaviour-performance che, in tema di economia dei settori (Industrial Economics), avrebbe poi dominato per decenni nel mondo non solo anglosassone.

Infine, seppur certo più tardi, la struttura di relazioni che avvince le aziende di produzione alle familiari e territoriali estenderà obbligatoriamente —ma quasi naturalmente— l'Economia aziendale all'intera realtà sociale. La renderà così una forma modernizzata di Nationalökonomie (Sozialökonomie in altri Autori), avviandosi dunque a dire con Nicklisch: Die Betriebe als Ganze9.

Tale ideazione avrebbe poi consentito la soluzione, ancorché speciale, di due problemi fondanti sia da Karl Marx (e anzi prima, con Smith e Say), sia successivamente con Keynes (e dopo): l'aggregazione, la distribuzione.

Quella rivoluzione dunque —personale come tutte (questo sono le rivoluzioni scientifiche), e altamente interpretativa quand'anche convenzionale— attraversava almeno potenzialmente l'economia tutta, e non dal mero punto di vista definitorio; ed è ben l'incardinamento nelle aziende che manca ancora all'Economia politica, e con essa —constatazione di mero fatto— alle discipline manageriali anglosassoni.

8 Luigi GUATRI, Tancredi BIANCHI, Giordano CAPRARA 9 Cfr. H. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stoccarda, C.E. Poeschel, 1932VII, pp.

163-173 (Die Betriebe als Ganze è appunto il titolo di tale sezione, Libro II, A.I.)

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6. La teoresi zappiana. Dal Reddito all'Economia Aziendale

Gli esiti della teoresi zappiana possono venire allora sia ribaditi, sia riformulati nella sinossi seguente, rappresentata da mélanges tematici di passi tratti dal Reddito.

A) Fondazione nei fatti scientifici:

Le scienze si fondano non sull'osservazione del fatto 'volgare', ma sulla vasta conoscenza di fenomeni concreti, comuni, regolari, costanti, selezionati efficacemente sulla base della <molteplicità> e della <ripetizione>, attentamente osservati nei loro caratteri elementari, dai quali si può passare a gruppi omogenei costituiti in gerarchia, cui si possono inferire analogie, connessioni e rapporti, relazioni con cui la realtà si manifesta10.

B) Organizzazione sistemica dei fatti scientifici nell'Economia Aziendale:

Altrettanto, in Economia Aziendale il fenomeno isolato e singolo non

manifesta la vita aziendale, che è complesso, unità organica e non somma di fattori complementari. E come l'azienda è una 'coordinazione economica in atto, solidale ed autonoma, complessa', un sistema interconnesso, così occorre che i sistemi di rilevazione rappresentino la struttura solidale dei fenomeni antecedenti, coesistenti, susseguenti, interdipendenti ma distinti, proprî dell'economia aziendale11.

C) Corrispondenza fra sistema-azienda e sistemi di rilevazione:

Per costituire i sistemi di rilevazione occorre però saper scegliere tra i fatti,

giacché quelli amministrativi non sono necessariamente fatti contabili, e occorre pertanto saper cogliere le relazioni che determinano il loro valore logico per particolari problemi, e quindi il finalismo che li rende caratteristici, rappresentativi, tipici12.

D) Unitarietà di fatti monetarî e non-monetarî, ove questi ultimi

costituiscono l'intero processo fra gli scambî iniziali e finali, e l'insieme rappresenta dunque le combinazioni produttive d'impresa svolte nella dinamica spazio-temporale:

Il sistema delle variazioni di conto deve venire costruito per apprezzare il

reddito, «fenomeno predominante della vita economica», del quale deve percepire e chiarire formazione e rilevazione in funzione di tutti i fenomeni della gestione, del divenire 'organico' e complesso di questa.

10 G. ZAPPA, Il Reddito, Milano, Giuffré, 1937, pp. 3-7, 14, 33, 51-56, 358, 365 11 op. cit., pp. 8-16, 27 12 op. cit., pp. 321, 322, p. 367 n. (4)

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Occorre a tal fine fondarsi sul comportamento monetario dei fatti amministrativi, il quale consente di individuare —nella gestione aziendale— «spiccate correlazioni e palesi uniformità », permette di ridurre «vaste classi di fatti a ragionato sistema», e risulta quindi nel contempo a) «mezzo frequente di comune rilevazione», b) «notevole forma di ordinata conoscenza». Così, gli scambi in rilevazione sistematica costituiscono —nelle loro manifestazioni tipiche— processi di rilevazione simili e costanti (non solo formalmente) in ogni impresa.

Peraltro le rilevazioni esprimono solo una parte limitata della vita economica dell'azienda, e le scritture sistematiche offrono un'insufficiente sintesi delle rilevazioni aziendali: sfuggono loro tutti i fenomeni oggetto di stima. A tal fine, giacché molteplici risultano gli oggetti di rilevazione così pure occorre che molteplici siano i sistemi di rilevazione, e queste principalmente a) contabili, b) statistiche13.

E) Unificazione teoretica in una disciplina tanto unitaria quanto l'azienda è

un'unità, e non-autonomia teoretica —o autonomia meramente derivata— della Ragioneria:

Data l'inscindibilità di forma e contenuto, di metodo e sistema, di contenuto

e rappresentazione, l'impianto delle rilevazioni va fondato nella conoscenza dei fenomeni d'azienda: occorre dunque che la dottrina componga in sé «tre complementari ordini di indagine»: a) la dottrina contabile, anche nei suoi nessi con la statistica aziendale, b) la dottrina della gestione, c) la dottrina dell'organizzazione economica aziendale. Pertanto, come una è l'azienda —oggetto degli studî e centro unitario dei medesimi—, così per quello studio sistematico occorre una scienza appunto unitaria, l'Economia Aziendale.

L'Economia Aziendale, in tal senso, unifica «i fenomeni svariatissimi, ed in apparenza eterogenei, nei quali si manifesta la multiforme vita aziendale», favorisce «più salde interpretazioni di quei fatti, che troppo spesso alla mente si presentavano senza apparenti armonie», e racchiude in unità logica le tre discipline suddette, vicendevolmente completantisi seppur autonome nell'interpretazione della coordinazione aziendale14.

In quest'ultimo passo Zappa si sarà ispirato —come si diceva da sempre

nelle coulisses, soprattutto da parte degli avversarî— a preesistenti dottrine tedesche, in particolare a Nicklisch o a Schmalenbach a seconda dei gusti? In una confessione a Carlo Masini che la riferiva a chi scrive, egli asserì d'esservi giunto indipendentemente, e può ben essere: da un lato ciò nelle scienze accade —l'Economia politica di solito ricorda al riguardo la 'curva di domanda spezzata' in Sweezy e Hall&Hitch—, dall'altro il contrario è ancor da documentare dal punto di vista sistematico.

13 op. cit., pp. 12-16, 17-19, 21-24, 26-28, 27-31, 34, 37-43, 47-49, 94, 136-140, 357-

382, 398-406, 414-416, 423-426, 427-429 14 op. cit., pp. 34-37, 41-60, 196-210, 338-343, 423-426; Tendenze Nuove negli studi di

ragioneria, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1927, passim e §§ 3-5

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Ma quell'accusa —finora piuttosto improvata analiticamente— viene ripetuta anche oggi, non più dagli avversarî vicini e lontani di Zappa, ma curiosamente dai suoi pro-nipoti i quali —credendo di liberarsi modernamente da un passato che non vogliono studiare, per poter disinvoltamente transitare alla "modernità" (i.e. al mondo anglosassone)— contribuiscono soltanto a un cupio dissolvi masochistico e provinciale.

Eppure, quand'anche fosse, questi ignari pronipoti dovrebbero semmai ascrivergli a merito quell'ispirazione, giacché Egli non si limita a ispirarsi, ma sintetizza l'avvenuto scisma della Betriebswirtschaftslehre —in Nicklisch largamentre organicista e deduttivo— con la teoria avversaria e antitetica, oltretutto non poco inferenziale, del reddito di Schmalenbach.

Anzi —l'ipotesi si è da poco affacciata in dottrina— un'ulteriore e diversa sintesi compì probabilmente Gino Zappa, quasi inavvertitamente, e di stampo tutto quanto italiano: dopo averla rivoltata, incardinò l'azienda di Fabio Besta nel desiderio sistematico che l'ultimo Cerboni aveva proposto —alla fine del secolo XIX— nella Ragioneria Scientifica (1892): la Ragioneria si occupasse di tutte le aziende, dalle familiari alle imprese allo Stato.

Zappa non era quindi stato inutilmente allievo di Bellini, a propria volta discepolo di Cerboni: le teoresi che ci precedono, infatti, ci influenzano sempre, non fosse che per differenza, critica, opposizione o antitesi.

Si compiva dunque in lui il sincretismo fra i) sistematismo cerboniano —studiare tutti gli enti—, ii) realismo bestano —l'attenzione all'azienda—, iii) rinnovamento metodologico —studiare sistematicamente l'economia degli enti e delle loro relazioni per mezzo di una nuova disciplina—.

Nascevano così:

- l'Economia aziendale quale perimetro —più ristretto o più ampio, ma non certo formale— del nuovo campo di studî;

- lo studio con il metodo sintetico; - infine la soluzione in nuce dei problemi i) dell'aggregazione, una

aggregazione anti-marxiana e pre-keynesiana, che sarebbe dovuta obbligatoriamente procedere —in senso ascendente— dalle Famiglie alle Imprese alla Pubblica Amministrazione15, ii) della distribuzione, una distribuzione finalmente concreta, ove l'impresa, di durata lunga e indefinita (l'Unternehmen an sich?) ripartisce i proprî frutti positivi (e negativi) fra i suoi partecipanti secondo logiche prioritarie rispetto al diritto positivo, e tuttavia da conciliarsi con esso.

Gino Zappa riforma dunque il metodo, rifiutando sia il deduttivismo degli economisti sia l'induttivismo degli statistici suoi contemporanei; smantella come tali sia la Ragioneria ereditata da Bellini-Cerboni, sia quella

15 Cfr. le note ms. nella copia zappiana di G. CERBONI, La ragioneria scientifica,

Roma Loescher, 1892, ora presso la Biblioteca dell'Università Commerciale "L. Bocconi", Fondo ZAPPA

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di Fabio Besta suo Maestro; anzi ne inverte l'oggetto di studio, transitando dal patrimonio al reddito; sgretola la teoria delle valutazioni di bilancio; rifiuta lo storicismo tedesco (e bestano), il paretismo dominante, il keynesismo incipiente; erige infine sulla Ragioneria una scienza nuova, omnicomprensiva ed organica, alternativa all'Economia sociale e fondata sull'azienda, anzi su tutte le aziende (quali Haushalte e Unternehmen secondo la dottrina tedesca, ma seguendo i suggerimenti e di Cerboni e di Zorli), nonché sui sistemi di esse.

Ecco allora il "decennale travaglio" —sofferto nel vissuto, inizialmente osteggiato negli esiti— tipico di tutti i grandi riformatori delle scienze, come della composizione musicale, delle arti plastiche, e nondimeno delle religioni.

A questo punto può darsi che l'osservatore comune si stia interrogando: ma allora era pazzo?

Forse sì, beninteso <pazzo> nel senso dell'Enrico IV di Pirandello, secondo il quale pazzo è "uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, e attorno a voi, e la logica di tutte le vostre costruzioni"16.

Inoltre un pazzo sugli scudi da quasi ormai cento anni, e che da allora ci sprona e ci interroga. E se il successo di per sé nulla dice —nella repubblica delle scienze l'opinione della maggioranza è del tutto minusvalente—, in questo caso non è fondato sulle ideologie e neppure sulle convenienze, e dev'essere dunque oggettivo testimone di verità.

16 L. PIRANDELLO, Enrico IV, Atto II, Enrico IV a Bertoldo, Landolfo, Ordulfo:

(…) Conviene a tutti, capisci? conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare. (…) Ma lo vedi? lo vedi? Tu stesso! Lo hai anche tu, ora, lo spavento negli occhi! — Perché ti sto sembrando pazzo! (…) Ma lo vedete? Lo sentite che può diventare anche terrore, codesto sgomento, come per qualche cosa che vi faccia mancare il terreno sotto i piedi e vi tolga l'aria da respirare? Per forza, signori miei! Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! — Eh, che volete? costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! (…) Voi dite: « questo non può essere! » — e per loro può essere tutto. — Ma voi dite che non è vero. E perché? — Perché non par vero a te, a te, a te, e centomila altri. Eh, cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi …".

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7. Crisi dell'Economia Aziendale?

7.1. Crisi dei fondamenti?

La rivoluzione del Reddito è la rivoluzione dell'Economia aziendale. Dunque qualche riflessione che, come è stato richiesto, possa risultare di

utilità per orientare la tavola rotonda, in un momento in cui non v'è convegno in cui non si parli di crisi dell'Economia aziendale.

Ne ha parlato nel 2007 Pellegrino Capaldo, ne parla sovente Enrico Viganò —forse memore di Amodeo suo Maestro il quale asseriva l'Economia aziendale non poter esistere—. Ma lo stesso Carlo Masini ne parlò una volta in privato —pur soltanto allusivo, e dolente— or è trent'anni; e riandando a ritroso ne parlò Tullio Bagiotti ancor prima —quasi lo stiamo udendo, con la sua voce indagatrice e ipercritica, quando interroga nel Cinquantenario della Bocconi—: "Oggi molti si domandano se l’edificio zappiano reggerà.“.

E tuttavia, ripensandoci, ne aveva parlato in modo ineccepibile e lungimirante, e fra i primi, Alberto Ceccherelli già nel 1934 quando —relativamente alla composizione in unico sistema delle dottrine della Ragioneria, della Tecnica e dell' Organizzazione— aveva ben detto:

"Disegno e indicazione di metodo impeccabili, non immuni tuttavia da pericoli giacchè non è da escludersi che nella concreta attuazione del processo, anzichè giungere ad una più profonda connessione dei tre ordini d'indagine, che ai predetti elementi corrispondono, si vada naturalmente, non già per soggettivo proposito, ma per forza di circostanze, verso una più profonda scissione delle predette distinte indagini. Scissione che condurrebbe, o a costituire in artificiosa autonomia le discipline della orga-nizzazione, della tecnica amministrativa e della ragioneria, o a costringere definitivamente quest'ultima entro i più ristretti confini della meccanica contabile."17.

E tuttavia, prima di discutere il punto della crisi, è forse opportuno sintetizzare —semplificando assai— la sistemazione zappiana. Occorre infatti domandarsi sul punto se la crisi sia dei fondamenti —potrebb'essere, qui ci ha insegnato Giovanni Demaria a non jurare in verba magistri—, o non sia viceversa degli svolgimenti imperfetti di noi nani sulle spalle di giganti.

Gino Zappa ha infatti organicamente definito, dell'Economia Aziendale:

i) il contenuto; ii) la natura essenziale; iii) infine le <forme di conoscenza>

17 A. CECCHERELLI, La Ragioneria nel sistema delle discipline economiche e

commerciali, Firenze, Tipografia Mariano Ricci, 1934, pp. 28-29. Sul punto cfr. inoltre, successivamente, G. PIVATO, Gli indirizzi “settoriale„ e

“funzionale„ negli studi di economia delle aziende industriali, Milano, Giuffré, 1970

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che la connotano (cioè la natura analitica ma poi soprattutto sintetica, e inoltre il metodo, e le regole procedurali e la strumentazione di essa). E l'Economia aziendale zappiana pare possedere —certo con le sue difficoltà di svolgimento— i seguenti pregî sempiterni:

1. realismo nell’individuazione degli operatori economici e nel successivo momento teoretico, dunque aziende;

2. dinamismo aderente alla realtà, giacché l'azienda è una «coordinazione economica atto», cioè un sistema svolto nello spazio e nel tempo;

3. sintonia con la dinamica economica generale, rappresentata dal reddito quale espressione dell'economia dinamica nonché sintesi di prezzi e valori;

4. fondazione nella tecnica speciale di ciascuna azienda (le erogative come le produttive, e fra queste le manifatturiere, le bancarie, le assicurative), e connessione di tutte per il tramite di relazioni tipiche;

5. infine sistematicità, giacché la teoresi è svolta <per aziende> secondo un’interpretazione organica dell’<economia sociale>, inoltre risolutiva —almeno ex ante— dei problemi dell'aggregazione e della distribuzione.

Il dubbio sui fondamenti va dunque rigettato, per interrogarsi invece sulla crisi degli svolgimenti.

7.2. Crisi del metodo, dell'oggetto, del campo?

In tema di crisi sostengono alcuni Autori essa consistere nel metodo dell'Economia aziendale, o forse nell'oggetto.

Tale imputazione è qui giudicata diagnosi non solo inesatta o di comodo, ma altamente improduttiva dal punto di vista speculativo. La crisi non può essere infatti del metodo, e neppure dell'oggetto.

Nelle discipline di applicazione l'unico metodo è appunto il metodo sintetico, sintetico come dev'essere l'Economia aziendale. Esso non è dunque ciecamente o politicizzatamente inferenziale, e neppure meccanicamente, astrattamente deduttivo: combina <fatti scientifici> e spirito costruttivamente critico, metabolizzandoli nell'analisi effettiva di problemi: i problemi delle aziende di ogni ordine e grado, i problemi architettonici e strutturali dell''Economia Aziendale quale scienza unitaria.

Per quanto poi riguarda l'oggetto, nelle scienze economiche —ferma la libertà di ciascuno di studiare ciò che preferisce— però solo le aziende, pur in sintesi convenzionale, hanno il pregio realistico di risultare gli operatori economici effettivi nel sistema, i quali —nel plesso delle relazioni dirette e indirette che le avvincono, nel vario diritto positivo— originano così i settori economici (Industries) e i mercati, come i consumi, i risparmî, gli investimenti privati e pubblici, la politica economica e finanziaria, gli scambî internazionali, le variabili monetarie.

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Metodo quindi, e oggetto, e scienza sintetici. Certo, questa e quelli richiedono appunto —come amabilmente ricordava Aldo Amaduzzi in privato— cervelli sintetici.

Altri sostengono la crisi derivare i) dalla vastità del campo; ii)

dall'indeterminatezza del medesimo; infine iii) dal problematicismo di ogni conclusione.

i. Certo, il campo è di vastità sconsolante, ma questa va per così dire pre-interpretata, scegliendo di abbracciarla nella sua totalità o di distinguerla per sotto-insiemi d'indagine. Nel primo caso occorrerà dotarsi —distinguendole criticamente— di tutte le categorie analitiche che, soprattutto negli ultimi duecentocinquant'anni, hanno conformato di sé il discorso economico; e poiché "chi abbraccia troppo stringe male", non dovrà trattarsi d'una passeggiata qualunquistico-descrittiva fra aziende di vario genere-dimensione-livello, bensì dell'individuazione —per ciascuna delle grandi aree aziende familiari - di produzione - pubbliche territoriali— dei problemi-cardine, dei nuclei veritativi, dei nessi fondanti, delle relazioni pragmatiche con le altre aree, infine della ricomposizione organica del sistema. Nel secondo caso occorrerà provvedere alla resezione del perimetro (resezione anche convenzionale, ma d'un convenzionalismo che ha il dovere di risultare in primo luogo realistico) in sotto-insiemi disciplinari, e poi procedere all'individuazione ut supra. I sotto-insiemi individuati (e anche questa è opera da condursi in modo non-meccanico) possono poi risultare minori o anche ampî, né ciò rileva: rilevano semmai i) la sensatezza della ripartizione, ii) l'omogeneità e la coerenza intrinseca (ed estrinseca) di essi, iii) infine l'avvertita co(no)scienza delle relazioni generali e speciali della gerarchia che li avvince in unità e in sistema unitario.

ii. Si configura e si presceglie così —per disaggregazioni omogenee

risolutive del perimetro— un campo ogni volta speciale, e ciò elimina anche il problema dell'indeterminatezza: i nuclei che lo connotano vanno risolti, ancora una volta, per il tramite di istituzioni fondanti, nessi pragmatici, leggi di comportamento (e se del caso convenzioni). Alla studiosità quale Beruf non incombe infatti —nell'uno e nell'altro caso— di descrivere o prescrivere la "teoria generale dell'universo" (o di universi particolari o di insiemi trans-finiti), quanto piuttosto di lumeggiare interpretativamente —in modo sintetico— la realtà di volta in volta prescelta quale oggetto di studio. E poco importa se le interpretazioni risultanti possano venire tacciate —da qualche economista facitore di 'modelli'— di apparente tautologia: obiettivo

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primo delle gnoseologie scientifiche è di individuare i nessi comportamentali effettivi delle realtà sociali complesse, né certo —adottato lo schema della meccanica classica (Pareto) o della termodinamica (Samuelson)— di dettare esatte conclusioni equazionali riferite a mondi soltanto immaginarî.

iii. Il problematicismo, infine, ci deriva forse non da Zappa o dall'Economia

aziendale, ma dall'odierno relativismo conoscitivo, frutto ultimo di positivismi acritici, neo-positivismi dogmatici, scetticismi, pirronismi e quant'altro, dunque frutto vero dell'odierno relativismo gnoseologico che è, prima ancora, relativismo ontologico. Eppure, da un lato la speculazione non è "pensiero di pensiero" (sarebbe solipsismo) bensì "pensiero di problemi"18, dall'altro chi davvero fosse dubbioso sugli esiti sistematici di quella dovrebbe —per coerenza— essere prioritariamente incerto sui proprî esiti, dunque in via previa ritirarsi dal campo scientifico per convenienza propria e altrui. A causa dei relativismi citati, infatti, si confonde il pensiero dubitante —doveroso, e prudente anche in questo momento— con le facoltà motivatamente conoscitive della sana ragione la quale —pur in forme differenziate da Aristotile a San Tommaso a Jacobi—, deve asseverare l'oggettivamente noto e poi inoltrarsi nell'ignoto e malnoto con coraggio, e senso critico lucido e costruttivo. Che se infine qualche professore derivasse quel problematicismo dall'aver udito parlare di <pensiero debole> —unica forma conoscitiva possibile essere la incerta e balbettante—, egli dovrebbe anche propriamente ravvisarvi una concezione in realtà dogmatica e assolutizzata, che assegna imperiosamente la debolezza agli altri mentre asserisce sé stessa con forza. Egli dovrebbe dunque ravvisarvi non la raffinata conferma dei proprî scetticismi, bensì proprio l'insipienza altrui se non il dolo.

7.3. I fattori veri della crisi

La dichiarata crisi dell'Economia Aziendale, più probabilmente, è riconducibile a due altri profili:

i. l'odierno perimetro husserliano con cui la si circoscrive (cioè il contenuto che sovente le viene attribuito), e che contribuiscono non poco a confonderci;

ii. lo Spirito del Tempo, che ci influenza nel modo sovente disgregato di condurla.

18 U. SPIRITO, Il problema della filosofia, oggi: la filosofia come teoreticità pura, in

AA.VV., I problemi della filosofia oggi, Atti del XVI Congresso Nazionale di Filosofia promosso dalla Società Filosofica Italiana, Roma Milano, Fratelli Bocca Editori, 1942, pp. 86-92

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In tema di perimetro dobbiamo brevemente domandarci se davvero l'Economia aziendale quale una fra le teorie generali dei fatti economici —generale almeno fino all'epoca dei grandi trattati che, dopo D'Ippolito, culminano con i lavori omnicomprensivi di Pietro Onida, Carlo Masini, Lino Azzini, Edoardo Ardemani, Giovanni Ferrero— non abbia successivamente circoscritto nei fatti soprattutto il sistema delle imprese.

Ma circoscritto non per volontà —sarebbe potuta essere la grande scelta altra scientificamente difendibile, un perimetro più ristretto ancorché unitario, come nelle sistemazioni di Aldo Amaduzzi e di Egidio Giannessi19 (questi dedica il Trattato di economia aziendale a tutte le imprese, iniziando da quelle di produzione originaria)—, bensì per un misto di inavvedutezza, sfiducia, rassegnazione. E tante volte ancor più circoscritto: alle sole imprese industriali-manifatturiere (forse per consuetudine, facilitas, più immediata evidenza plastica), quando non a problemi speciali di esse, variamente assiemati (anche se si sarebbe dovuto sapere che le specie non sono oggetti generali20, e talora neppure sotto-sistemi).

Ne conseguirono i diffusi problemi di perimetro, di metodo, di teoresi (si trattavano le imprese con interpretazione sezionale in luogo di risolverle nel logo sintetico), infine le frizioni —date per note in questa sede— derivanti dalla sovrapposizione con altre discipline, specialmente l'Economia delle imprese. Ne conseguì soprattutto la frequente trattazione di aggregati più o meno aziendali (o inadeguatamente macro-economici) in luogo della costruzione di totalità armoniche (Feyerabend).

E sì che avremmo dovuto viceversa sapere come procedere, giacché —si creda o non si creda all'Economia Aziendale—, Edmund Husserl già un secolo fa ci aveva insegnato come vada impostato e risolto il problema:

«Il campo di una scienza è un'unità obbiettivamente chiusa; la

localizzazione dei campi di verità e la modalità di questa delimitazione non dipendono da1 nostro arbitrio.

Il regno della verità si ripartisce obbiettivamente in campi; le indagini debbono orientarsi su queste unità oggettive e coordinarsi in scienze.

Vi è una scienza dei numeri, una scienza delle forme spaziali, (una) degli esseri animati, e così via, ma non scienze autonome dei numeri primi, dei trapezi, dei leoni o addirittura di tutte queste cose prese insieme.

(…) quando un gruppo di conoscenze e di problemi che si impone nella sua omogeneità conduce alla costituzione di una Scienza, l'inadeguatezza

19 E. GIANNESSI, Trattato di Economia Aziendale, vol. I, Le aziende agricole, Pisa,

Cursi, 1956; Aldo AMADUZZI, L'azienda nel suo sistema e nell'ordine delle sue rilevazioni, Torino, UTET, 1962; P. ONIDA, Economia d'azienda, Torino, UTET, 1965, 1971II; C. MASINI, Lavoro e Risparmio, Torino, UTET, 1978III; G. FERRERO, Istituzioni di economia d'azienda, Milano, Giuffré, 1968; L. AZZINI, Istituzioni di economia d'azienda, Milano, Giuffré, 1978

20 E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, Halle, Niemayer, vol. II, t. I, 1928, pp. 221-224

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della delimitazione può consistere … nel fatto che il concetto di campo, rispetto al dato, viene inteso in modo troppo ristretto: le concatenazioni dei nessi fondanti oltrepassano così il campo considerato…

(…) Ben più pericolosa è tuttavia un'altra deficienza nella delimitazione del

campo, specialmente ove essa si fondi sull'interpretazione integralmente erronea degli oggetti che la scienza in argomento deve indagare. Una siffatta μετάβασις είς άλλο γένος [ metàbasis eìs àllo ghénos], passando inosservata, può avere conseguenze molto gravi: fissazione di fini privi di validità; fedeltà a metodi per principio assurdi, in quanto incommensurabili con i veri oggetti della disciplina; confusione tra livelli logici, cosicché teorie e principî davvero fondamentali … si presentano come argomenti marginali, o come conseguenze provvisorie fra argomentazioni di tutt'altro genere …»21.

In tema di <Spirito del tempo>, viceversa, sappiamo questo portarci,

oltre a quanto già ricordato, anche verso l'anglomania; ma il tema è di tale rilievo ed influsso, e nel contempo così risolubile dal logo zappiano, da dovergli dedicargli l'intero paragrafo seguente.

8. Lo spirito scientifico contro il provincialismo anglomane

8.1. L'anglomania nelle scienze

Con l'avvento dopo il 1941 del <secolo americano>, con il declino delle élites e delle generazioni eurocentriche e poliglotte, e dopo gli anni '70 del secolo XX con una globalizzazione invasiva —che è soprattutto di comunicazione, stili di vita, beni materiali—, in molte aree del mondo si è nuovamente diffusa l'anglomania (nuovamente, giacché essa domina e scompare da sempre: in Italia c'era già nel 1700, torna nell'Ottocento anche nel campo dell’arredamento, e Arturo Graf le dedica un corposo volume nel 191122).

Essa — tipica un tempo della piccola borghesia indigena delle colonie inglesi, quindi, fra anni Trenta e Sessanta, degli elementi snobissimi di talune classi agiate— tende oggi a erigere in totem, modello, canone di riferimento (benchmark?) qualsivoglia oggetto, uso, mentalità d'Oltremanica — o d'Oltreatlantico.

21 E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, op. cit., vol. I, 1928, pp. 5-6 (si cita sulla

base della traduzione italiana, Milano, Il Saggiatore, 1968, con modifiche derivanti dalla sinossi con il testo tedesco)

22 A. GRAF, L’anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, Torino, Ermanno Loescher, 1911. In tema cfr. anche P. CAMPORESI, Il brodo indiano. Edonismo ed esotismo nel Settecento, Milano, Garzanti, 1990

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Il tema non è tuttavia qui riferito allo <stile>, alla mondanità, alla letteratura, alla cinematografia la pittura informale o il pop-rock, bensì ristretto al condursi delle scienze; e anche in queste risulta altrettanto interessante per le medesime ragioni: psicologiche, e più generalmente sociologiche, compresavi la sociologia del potere. Datene le conseguenze dirette e indirette, in questo paragrafo lo prenderemo sul serio, fingendo di ignorare sia "la deficienza della teoria inglese della conoscenza in generale" sia, indotta dal relativismo degli ultimi quarant'anni, "la chiusura della mente americana"23.

Al riguardo ci si può allora interrogare: nelle scienze, quella anglomania relinque correttamente lande ormai invalide, e aderisce lucidamente al discrimine veritativo (anglosassone) del mondo? o invece —frutto di insufficiente spirito critico— svela la propria ignoranza altamente sofisticata, e in trama il disprezzo (inconscio, ma forse giustificato) che essa nutre di sé? o ancora, è strumentalizzata da ristretti gruppi anche generazionali per volgari ragioni di <potere accademico>?

E giacché di gnoseologia si tratta, occorrerà allora distinguere —come fu da sempre prima degli sconvolgimenti neo-positivisti— tra Scienze della natura e Scienze sociali, riprendendo la distinzione fra Naturwissen-schaften e Sozialwissenschaften (anche Geisteswissenschaften, Scienze dello Spirito) che ci deriva negli studî moderni dalla speculazione germanica. E' infatti vero che, secondo alcuni statuti o premesse epistemologiche contem-poranee, tutte sono identicamente scienze quelle sperimentali o capaci di prevedere, ma si tratta dell'infelice (e ormai antica) reductio positivista e dei suoi dogmatismi, la cui critica è superflua in questa sede (del resto l'astrono-mia non ha l'esperimento, e la fisica sub-atomica è incapace di prevedere).

8.2. La "anglomania dovuta" nelle scienze della natura

Ora, può ben essere che, nelle scienze della natura —in particolare biologia e medicina, chimica, fisica e astrofisica— il progresso delle conoscenze ci derivi dal mondo anglosassone, specie statunitense. È questo il frutto noto dell'avanzamento dinamico di quel sistema sin dalla fine dell'Ottocento, di una cultura nazionale nel contempo ambiziosa e pragmatica, della continuità ottimista di uno Stato presidenziale continuamente espansivo e di un territorio mai invaso, di una moneta quale perno del sistema 1944-1971 (e successivamente), degli investimenti massimi nella ricerca pubblica e privata, dei programmi Apollo prima e Star Wars poi; e nel frattempo —anche grazie a questo, e del voluto potere

23 Cfr. rispettivamente E. HUSSERL, Logische Untersuchungen, op. cit., vol. II, t. I, 1928, p. 127 (ove cfr. inoltre le pp. 126-136 e 143-147, 175-178 per la critica a Locke; le pp. 178-184 per la critica a Berkeley; le pp. 184-201 nonché 207-215 per la critica a Hume), H. BLOOM, The Closing of American Mind, New York, Simon & Schuster, 1987 (tradotto in italiano da Frassinelli nel 1988, da Landau nel 2008)

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centripeto della repubblica stellata— dell'immigrazione di studiosi da ogni dove, allettati da fattori economici, professionali, socio-politici dati per noti in questa sede.

Può quindi darsi che l'avanzamento speculativo nelle scienze della natura risulti non di rado di marca anglosassone in quanto proprio di là —per i motivi ora citati—, proviene il nuovo che non solo ne riduce ogni volta l'ignoramus, ma che anzi apre campi nuovi, e tutti li rinnova dal punto di vista tanto teorico quanto pratico.

Non è allora 'anglomania' tenerne conto in via diretta e indiretta, ma anzi riferimento doveroso alla frontiera perennemente avanzante —non di rado anglosassone— delle scienze naturali, e alle sue proposte ogni volta innovative.

Certo, a patto che quel riferirvisi i) non sia aprioristico, ii) non risulti acritico, iii) e poi soprattutto e in quanto qualunque avanzamento sia passibile —si dica con Popper solo per brevità— di falsificazione, dunque riscontrabile nel proprio grado di veridicità, quindi iv) consentendo ogni e qualsivoglia metodo-oggetto-approccio complementare o alternativo, naturalmente da sottoporsi esso pure al tribunale della citata falsificazione (si può così scoprire se quella frontiera sia effettiva o meramente presunta, certo in quanto i registi anglosassoni del sistema accolgano ipotesi critiche o innovative o periferiche rispetto alla propria vulgata).

8.3. L'anglomania nelle scienze sociali e le sue derive. Esiti dell'immanenza: rifiuto della storia, empirismo, matematismo

Nelle scienze sociali il problema è di differente natura, e va dunque posto in altro modo.

Mentre infatti i) le leggi chimico-fisiche sono identiche da sempre nel tempo e nello spazio, ii) altrettanto saranno, iii) le proposte innovative pos-sono venire confermate sperimentalmente ovunque nel mondo usque ad se-cula, viceversa la realtà sociale —pur agglutinata attorno a strutture storica-mente note— è perennemente differenziata proprio nel tempo e nello spazio.

L'attività teoretica dunque, sempre frutto dell'indefettibile soggettività critica, in campo sociale dipende in modo costitutivo —contrariamente alla naturalistica, anche per l'assenza di esperimento— dalla struttura e dalla storia, dal genius loci, dalle tradizioni culturali (inclusovi lo jus), dai problemi come (inter)nazionalmente rilevanti o localmente declinati, dalle forme astrattive variamente radicate nei linguaggi (ecco perché le scienze sociali si conducono male da parte di studiosi monoglotti), infine dalla re-interpretazione di problemi anche antichi e delle loro soluzioni in un processo sia cumulativo sia ondulare.

Dunque l'attività speculativa originale, che in qualsivoglia scienza i) perimetra i campi e i problemi, ii) individua categorie interpretative-prescrittive —comprendenti—, nelle scienze sociali:

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è specialmente veicolata da fattori tòpici, anche culturali e linguistici (ogni singolo linguaggio infatti, intermediario della parlabilità e della costruzione di concetti, costruisce qui specialmente l'orizzonte di una ontologia ermeneutica)24;

si avvicina progressivamente alla verità con il metodo largamente sintetico, nel quale congiunge a più riprese un'empiria qualificata (i citati fatti scientifici) con strutture teoretiche provate e fondanti, non meramente meccaniche dal punto di vista sia deduttivo sia inferenziale (il noto esempio dei grilli reputati sordi);

nel condurlo opera con profonde e salde conoscenze storiografiche, sia delle intere catene di fatti antecedenti e concomitanti, sia delle teoresi generali e parziali proposte nel tempo dagli studiosi autentici, giacché tante volte "ciò che noi diciamo nuovo nel mondo è soltanto ciò che abbiamo dimenticato" (Varé);

elabora <forme comprendenti> veritative e senz'altro fondate anche dal punto di vista pratico, ma non di rado anche convenzionali —e.g. le <forme simboliche> di Cassirer—, dunque non sempre immediata-mente plastiche o risolutive (giacché opera non gravi in caduta o in processi di riduzione-ossidazione, bensì nel corpo sociale e nelle sue aggregazioni), forme il cui <orizzonte ermeneutico> (ancora Gadamer) discende a interpretare la realtà per il tramite di ulteriori strumentazioni complesse, queste sì finalmente pratiche.

Anzi, dal punto di vista della storiografia del pensiero ben ci correrebbe l'obbligo di sapere che in molti fra i campi principali della speculazione sociale —sociologia (a parte Spencer), psicologia, linguistica, estetica—, le grandi teorie fondative emergono e divengono formate nell'Ottocento europeo dal quale —tramite processi complessi di traslazione, osmosi, rimozione, ri-denominazione— riemergono, impoverite e falsamente originali, nel mondo anglosassone contemporaneo.

Presumere acriticamente che il meglio e l'ottimo si formino anche per le scienze sociali nel solo mondo anglosassone —e da lì ci derivino— pare dunque anglomania in senso proprio: il Vero può infatti originarsi ovunque, anche in Lusazia, Marsovia, Svanezia e Zamunda, e sta appunto al senso critico di disvelarlo, alla conoscenza storiografica di individuarlo ove travestito.

Come mai allora l'odierno frequente engouement per qualsivoglia idea che venga proposta da tribune anglosassoni, o in lingua (simil)inglese?

Operano al riguardo tre ordini di motivazioni che, per la propria rilevanza, tendono a diffonderlo rendendolo pervasivo; motivazioni tuttavia pseudo-scientifiche, dalle quali occorre pertanto sgomberare il campo prima di procedere.

24 H.-G. GADAMER, Wahrheit und Methode, Tübingen, J.C.B. Mohr, pp. 361-465

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i. Vi è in primo luogo un problema politico, la globalizzazione delle nazioni che rapidamente giungono allo sviluppo economico. Ivi "globalizzazione" (globish incluso) significa anche, almeno in prima battuta, il noto approdo micro-macro —eclettico e statunitense— sapientemente diffuso per ogni dove dalle case editrici anglosassoni e altrettanto dai media, ma soprattutto politicamente obbligato, giacché imposto dalle grandi istituzioni finanziarie e monetarie sovrannazionali, le quali condizionano (o funzionalizzano) i propri interventi all'accettazione del citato credo micro-macro.

ii. Vi è in secondo luogo lo Spirito del Tempo dell'Economia politica

occidentale contemporanea, la quale assume a referente, come la Gran Bretagna fino agli anni '60, così oggi soprattutto gli Stati Uniti. E giustamente, giacché —per stare ai classici moderni—, come avrebbe essa potuto fare a meno di Schumpeter, Gerschenkron, Leontiev, Schultz, von Mises, Morgenstern, Haberler, Machlup, A.O. Hirschman, Baumol, Modigliani? Anche se —ripensandoci— essa dovrebbe forse accorgersi che Schumpeter era transilvano, Gerschenkron, Leontiev e Schultz russi, von Mises Morgenstern Haberler e Machlup austriaci, Hirschman tedesco, Baumol polacco, Modigliani italiano, e altrettanto molti degli altri economisti statunitensi i quali —come il Maestro di Carnegie-Mellon e della Duke, Martin Bronfenbrenner — con i nomi che portavano probabilmente non erano Cheyennes.

iii. Vi è infine la <dittatura della vulgata>, e il timore dunque —di qualche

professore, o anche sede universitaria in cerca di "visibilità"— di rimanere esclusi dal mainstream, nonché dalle classifiche che esso si permette di redigere a proprio vantaggio. Si tratta dal punto di vista pratico dell'ambizione di diventarne sudditi senza neppure avvedersi dei poco commendevoli, odierni esiti speculativi di esso, significa dal punto di vista scientifico continuare a replicare in copia n-sima la "scienza comune" di T.S. Kuhn.

Qualcosa di simile accade in alcune discipline sociali o finanziarie: per il maggior avanzamento dinamico del sistema statunitense, le empirie relative vi appaiono naturaliter più <progredite>, e altrettanto le teoresi che le interpretano. Risulta pertanto facile, imitando le seconde o ispirandosi alle prime, risultare portatori di <novità>. Ma —soprattutto vistine gli esiti—, il lume critico sarebbe risultato più opportuno, anche perché dovremmo sapere —dall'antichità— che non automaticamente 'nuovo' significa migliore: è questo il perdurante convincimento positivista di fine-Ottocento, se mezzo secolo fa ricordava Bernard

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Berenson i <ricercatori di novità, di quel "mai visto" rovina di tanti begli ingegni del giorno d'oggi>25.

In molte situazioni speculative del "vecchio mondo", dunque, quella diffusa golosìa —ormai anche accademica e comune e ministeriale, Weltanschauung che si auto-reputa visione 'scientifica' del mondo— porta oggi ad abbandonare molte fondative teoresi classiche dell'Europa continentale solo in quanto non-anglosassoni, per sostituirle con il presunto universalismo della vulgata e della sua ripetizione. Tale abbandono non è dunque l'effetto del Tempo, del Nuovo, di processi più o meno hegeliani di tesi-antitesi-sintesi, bensì del rigetto sistematico e radicalizzato per ragioni meramente politche, certo forse affascinate dal connotato apparentemente realistico che esse di norma possiedono, e che agli ingenui fa apparire retorica il resto.

Non è però solo questione di abbandono, peraltro fatale nelle vicende umane: il tema è purtroppo più complesso, giacché quella sostituzione comporta alcune gravi, né sempre avvedute, conseguenze epistemologiche.

A causa di essa, infatti, non solo i) si erigono quegli studî a modello, ma ii) si deformano le reti neuronali, giacché semantica e sintassi veicolano concetti e costrutti mentali altri, in questo caso empiricisti, infine iii) se ne adotta inavvertitamente il <senso filosofico> (Croce), i.e. la generale mentalità speculativa (ottima o pessima che sia), e inoltre il metodo scientifico, la perimetrazione dei problemi, gli Autori, i temi, le abitudini, la stratificazione disciplinare, le tendenze dominanti.

Ora, a questo riguardo, il mondo speculativo anglosassone contemporaneo ha aggiunto, all'antica base empirista inglese di tipo Locke-Hume, il pragmatismo statunitense ma poi soprattutto il neo-positivismo logico e i suoi cascami.

Così, l'assenza di fondazioni ontologiche rende quel mondo preda —più o meno inconscia— dello scetticismo fino all'acrisia, alla quale esso rimedia rinserrandosi nello scientismo: soluzione alle proprie inquietudini, radicamento risolutivo del proprio procedere.

Lo scientismo, purtroppo, approda sempre più diffusamente alla dogmatizzazione:

i) del logo sperimentale delle scienze della natura (fino all'empirismo quale credulità assoluta nei <fatti>: li apriorizza fino a obbligare allo sperimentalismo omnibus),

ii) del logo astratto delle scienze matematiche (l'assoluto deduttivismo algoritmico),

e li supervaluta credendoli dotati di validità assoluta.

25 Cfr. B. BERENSON, Disegni di Maestri fiiorentin del Rinascimento in Firenzei,

Torino, ILTE per Edizioni Radio Italiana, 1954, commento alla tav. XLVII (Pontormo)

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Esso dunque si rinchiude i) o nell'<eterno presente> ove si svolgono i fatti che indaga (la pseudo-realtà empirica intesa quale unico fondamento sistematico), ii) o nei sistemi a-temporali del suo deduttivismo algoritmico inteso quale proceduralismo incontrovertibile.

L'uno e l'altro momento risultano altamente improprî nelle scienze sociali, dal punto di vista epistemologico per ragioni fondative classicamente note, dal punto di vista pratico a causa della loro inadattezza e inopportunità —dunque insensatezza— appunto procedurale. Eppure sono ben l'uno e l'altro che ci provengono dalla citata importazione-sostituzione: ecco perché si insiste oggigiorno anche nelle scienze sociali sull'empirismo (i fatti) e sul matematismo (le strutture equazionali), e li si propaganda in quest'epoca spiritualmente disgregata. In quest'epoca? ma no, in tutti i periodi intellettualmente confusi, giacché l'uno e l'altro sono deformazioni ahinoi antiche e purtroppo ben conosciute.

Relativamente al primo (empirismo) diceva infatti Benedetto Croce più di un secolo fa:

"I fatti sono da concepire nella loro infinità nel tempo e nello spazio; e

quando il filosofo speculativo dice, per es., che vuol tener conto dei fatti «morali» nel costruire la sua etica, intende di tutti i fatti morali che si sono svolti in tutte le società del passato e del presente, e che si svolgeranno nel futuro … Non è lecito mutare il concetto di fatto: bisogna accettarlo in tutta la sua pienezza, che è l'infinità.

Invece gli empiristi intendono per fatti morali quelli che essi riescono ad osservare, descrivere e classificare in Inghilterra, o magari in Europa … al tempo nostro; o anche vi aggregano in misura più o meno cospicua i fatti della storia più lontana, e soprattutto quelle che fornisce l'etnografia circa le costumanze dei popoli selvaggi. Essi vogliono costruire la filosofia raccogliendo fatti accaduti, e bene o male documentati; ed è chiaro che, di questi, non potranno mai raccogliere se non una parte infinitamente piccola.

Questa parte infinitamente piccola è da essa poi battezzata «i fatti morali», ossia come il tutto: una qualsiasi cifra, 100 o 1000 o 10000 è sostituita all'infinito e trattata come l'infinito. Domando: chi rispetta i «fatti»? gli speculativi, che non vogliono mutilarli, o gli empirici, che li riducono a quel tantino che riesce loro, più o meno accidentalmente, di afferrarne?

Segue da ciò che, mentre i filosofi speculativi sembrano nelle loro trattazioni poveri di fatti e gli empiristi invece ricchissimi (si paragoni la Critica della ragion pura o la Critica della ragion pratica di Kant coi pachidermici Principî di psicologia e Principî di sociologia dello Spencer), il rapporto vero è l'inverso.

I filosofi speculativi sono ricchissimi, infinitamente ricchi di fatti; gli empiristi sono, peggio che poveri, miserabili. Giacché i pochi fatti che i primi ricordano, sono offerti a guisa di esempî e stanno, nientemeno, come simbolo dell'infinito. I moltissimi, che gli altri passano a rassegna,

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vorrebbero esaurire la realtà stessa, e perciò fanno l'effetto di una comica adeguazione del piccolissimo all'immenso.

Gli anglosassoni sono stati per secoli, e sono ancora, cultori di questo genere di filosofia, e ne hanno divulgato l'abito tra gli spiriti affini degli altri paesi: talché ci sono ormai da per tutto, e altresì in Italia, come gente che veste all'inglese, così filosofi che anglicizzano, raccogliendo fattarelli."26.

E relativamente al secondo (matematismo) diceva Marino Gentile più di

cinquant'anni fa:

"Il sapere si distingue dalle altre forme di conoscere, in quanto imprime —all'inquietudine dispersa delle rappresentazioni non collegate né capaci di persistenza— un orientamento e una direzione comune.

Il conoscere matematico nei secoli XVII e XVIII è stato assunto come [un] sapere dal quale può venire … la persuasione che abbia[no] funzione di principio la serie illimitata dell'intuizione spaziale e temporale [nonché] i concetti che stanno alla base della fisica.

[ Con tale ] matematismo è stata elevata a principio assoluto di spiegazione universale un'attitudine tipicamente umana, … quella di scomporre analiticamente ogni conoscenza nella considerazione matematica e ogni operazione nell'azione meccanica.

Il matematismo realizza questo tipo di scienza come sapere, e dilata quindi il significato di operatività alle sue più estese e assolute dimensioni, cioè alla possibilità di far funzionare il mondo secondo gli schemi ottenuti con questo procedimento."27.

8.4. Lo spirito critico degli studî aziendali

Per l'Economia aziendale in quanto Grundsdisziplin, viceversa, il problema dovrebbe porsi in modo opposto. Anzi non si pone proprio, priva com'essa è delle citate mende dell'empirismo, del matematismo, del falso cosmopolitismo.

Quella risulta infatti —in Gino Zappa e nelle sue ascendenze Cerboni-Besta e Nicklisch-Schmalenbach— creazione tipica del sistematismo dell'Europa continentale il quale vedeva ancora il mondo —prima dell'odierna disgregazione— quale unità di senso e di significato. Anche per questo motivo essa è dunque ignota al centrifugato empiricismo

26 B. CROCE, Il sofisma della filosofia empirica (1907), poi in Cultura e vita morale,

Bari, Laterza, 1913, pp. 53-56 27 M. GENTILE, Il problema della filosofia moderna, Brescia, 1950, dalle pp. 66-70;

cfr. inoltre E. BERTI, Le origini del matematismo moderno, <Giornale Critico della Filosofia Italiana>, n. III-1972, pp. 337-365; M. DA PONTE ORVIETO, L'interpretazione matematista della filosofia moderna, in AA.VV., IAM RUDE DONATUS. Nel settantesimo compleanno di Marino Gentile, Padova, Antenore, 1978, pp. 205-223

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anglosassone; ignota, anzi propriamente dal medesimo irraggiungibile nel presente, e fors'anche nell'avvenire.

L'Economia Aziendale non è quindi un residuo di localismo folkloristico, come fa comodo di sostenere a qualche avversario, seguace della citata vulgata o timoroso che lo scisma ormai antico Nicklisch-Zappa possa in prospettiva surclassare molta odierna Economia politica nella sua impotenza sia teoretica sia pratica. L’Economia aziendale è un'interpretazione originale, storiograficamente fondata, realistica nel suo metodo sintetico, veridica nelle sue convenzioni, costruttiva nell'impostare e risolvere problemi, storicamente applicata e praticamente applicabile, e proprio per questi motivi connotata da una duplice, comprovata validità spaziale e inter-temporale:

a) descrittiva, giacché applica teorie altamente interpretative (appunto forgiate dallo spirito critico e dal ruolo ermeneutico del linguaggio suo proprio) a <fatti scientifici> (Mach-Poincaré) e non ai citati fattarelli;

b) prescrittiva, grazie b)1) al realismo, che le conferisce validità nel tempo e nello spazio (condizioni di Hempel-Oppenheim), b)2) alla plasticità, che mentre esclude qualsivoglia applicazione meccanicista (si è infatti nel corpo sociale) la rende euristicamente situazionale.

Essa dunque è inoltre:

c) sintetica, il che le impedisce di cadere da un lato nelle teorie dell'inferenza falsa (in quanto fondate su fattarelli), dall'altro del deduttivismo irrazionale (in quanto fondato su premesse anti-realistiche — ma non dovremmo dire false?);

d) quantitativa, ma secondo le proprie teorie e tecniche della misura, le Ragionerie Generali (e Applicate), fondate su valori di mercato (eventualmente indiretti), e non dunque su valori di invenzione come in Walras, né su valori ipotetici come per la macroeconomia (quelle Ragionerie, dunque, nella propria invarianza per tutte le aziende, inverano anche, finalmente, il principio della permanenza delle regole di calcolo di Bohr-Hankel); quantitativa inoltre, dandosene il caso, tramite il logo delle matematiche avanzate, e soprattutto delle statistiche inferenziali (specialmente distributive).

Ben diversa dunque da tutti gli approcci di volta in volta iper-convenzionali, deduttivi, falsamente inferenziali, falsamente sperimentali, parziali, l'Economia Aziendale non è speculativamente sconfiggibile dagli stessi, i quali certo —improntando di sé molto dell'attuale diffuso internazionalismo speculativo, mediano, ripetitivo, un cosmopolitismo di mediocrità—, tendono ad auto-rappresentarsi come teoria veritativa in quanto dominante.

Per fortuna, come si ricordava, nella repubblica delle scienze la maggioranza rappresenta solo sé stessa, anche se incombe certo ai

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rappresentanti dell'Economia Aziendale di inverarne le potenzialità speculative invece di trincerarsi dietro meri cartelli di rivendicazioni, o di vanità.

8.5. L'internazionalità di Gino Zappa. Lo pseudo-internazionalismo contemporaneo quale competizione sociale

Non per retorica d'occasione, pare allora dovuto il suggerimento di ispirarsi allo spirito scientifico di Gino Zappa (come del resto di Fabio Besta, e di tutti gli altri studiosi nel senso non-professorale del termine), spirito dunque il quale per natura propria: i) è spirito critico, cioè che soprattutto distingue; ii) il quale, per poter distinguere a modo nelle scienze e nella loro storia, è largamente poliglotta; iii) che non viene pertanto radicato (pejus ristretto) in linguaggi eminentemente empirici o in mentalità mono-disciplinari; iv) che è fondato nella metafisica se non nell'ontologia; v) che in queste si edifica combinando sinteticamente i citati fatti scientifici con strutture teoretiche settacciate, dibattute, selezionate, modificate, eventualmente originali, dunque esse sì finalmente epistemiche.

Esso inoltre —storiograficamente in Fabio Besta ed altri, empirico-giuridicamente in Cerboni, pragmaticamente in Gino Zappa— è largamente fondato sui fatti scientifici proprî appunto del mondo delle aziende, quale che sia la latitudine semantica di questo lemma (i lavori sistematici di Gino Zappa erano infatti —apparentemente— astratti, ma gli altri suoi —fra i quali la Tecnica della speculazione di Borsa—, e quelli delle Collane, erano largamente sintetici nel senso di pragmatico-teorici, dalle Negoziazioni dei vasti mercati di Ugo Caprara agli Olî di Zunino alle Valutazioni e rivalutazioni di Carlo Masini).

Proprio tale insieme di connotazioni (nonché delle altre, qui date per note) consente all'Economia aziendale di non abbandonarsi credula all'<eterno presente> effimero e fuggitivo, di non rinchiudersi nel logo meramente astratto delle matematiche insensato nelle scienze sociali, e tantomeno di farsi vittima masochista dell'auto-subordinazione europea o preda compiaciuta dell'imperialismo statunitense, anche se in Italia la libido serviendi è diffusa dopo Carlo I d’Angiò e Carlo III di Francia.

A meno che … a meno che, travestito di globalizzazione e anglocentrismo, questo pseudo-internazionalismo non sia in realtà altro che un gigantesco <gioco di potere> —la lotta sempiterna per l'egemonia dopo la caduta—, più elegantemente descrivibile come "competizione sociale in campo accademico".

L'evoluzione degli studî sociali —in particolar modo aziendali— può infatti venir letta anche da tale punto di vista "politico", il gioco sociale da Tocqueville a Guizot a Max Weber a Mosca e Pareto ad altri (tra cui il Curti e Vance Packard), infine alla sociologia contemporanea.

Vi furono infatti in Italia, negli anni '60-'70, fasi alterne ma temporaneamente pervasive, con il succedersi via via dal punto di vista

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intellettuale (ma non di meno accademico, pratico e concorsuale) delle fasi seguenti.

i) Una certa retorica patriottarda, ripetitrice —nel condurre gli studî— di vecchî concetti zappiani insteriliti o meno attenta alle problematiche dell'epoca; ii) il confronto —via via scettico, interessato, affascinato—, con l'avanzamento dinamico del sistema statunitense dal punto di vista economico-sociale, dunque lato sensu con la <modernità tecnica> dei processi sociali, delle tecniche finanziarie, dei consumi, delle commercializzazioni; iii) l'ansia empiricista delle giovani generazioni di quelle epoche, talora affascinate dagli espedienti della letteratura operativa statunitense e pronte a traslarli, imitarli, copiarli non solo nei ricettarî, ma persino nelle trattazioni istituzionali (si replicavano astrattamente i principî zappiani, così svuotandoli di significato, amalgamandoli con concettuzzi statunitensi del tipo praticista); iv) il mutamento politico-sociale, e nondimeno intellettuale, che devastava la scuola e l'Università italiane: non tanto in quanto "di massa", quanto piuttosto perché volutamente livellate da Weltanschauungen demagogico-populiste: ne derivava l'invasione di vaste plebi pseudo-professorali, sovente incapaci di pensare criticamente, e autonomamente.

Si è in tal modo infine non di rado approdati —in molte scienze sociali— al "pensiero unico", la falsa ecumene dell’impero altrui: le empirie anglosassoni sono naturaliter "più progredite", costituiscono dunque l'approdo dovuto dei processi dinamici dell'universo mondo, originano pertanto, altrettanto naturalmente, teoresi più progredite.

Ecco allora le modalità della "rivoluzione generazionale", la lotta sempiterna fra generazioni, sospinta dall'arrivismo dominante sostituitosi alla solidarietà sociale e inter-generazionale: con le nuove e più recenti ormai pervase dalla neofilia, dalla credulità, dall'anglomania citate, e nondimeno ben attente ai vantaggi che potrebbero loro derivarne. Ahinoi, c'est toujours la même histoire: per riassumere gli ultimi duecento anni, e non infliggere ancora i Classici a chi abbia pazientato sin qui, basterà dire con la Badinter intellectuels, désire de gloire, volonté de pouvoir. Intellettuali evidentemente ignari di quel che ci insegna Flaubert dall’Ottocento, Il successo non può essere un obiettivo, semmai è una conseguenza, e Benedetto Croce dal primo Novecento:

"Il superamento non può essere un fine che si persegua per se stesso;

come non è un fine la moralità in astratto, tantoché (come è ben noto) coloro che più parlano di moralità, meno moralmente operano.

(…) … quel che importa è la soluzione del problema che si ha innanzi, senza

preoccuparsi se questa sembri vecchia o nuova, senza proporsi di oltrepassare il già detto, ma proponendosi soltanto di veder chiaro in quel problema.

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A proporsi come fine quella che è una formula generale, ossia il superamento per se stesso, c'è pericolo che non si ottenga verità alcuna, né vecchia né nuova (…) il superare effettivo si compie tacitamente, senza annunci e senza proclamazioni, e, quasi direi, senza averne consapevolezza."28.

Così il diffuso provincialismo degli ultimi decenni —non di rado ormai

profuso ma elusivo di problemi, copista, italiota, e privo di sanzione anche per i motivi ricordati— viene oggi combattuto non in forme dirette e critiche —rivoluzionarie o reazionarie che siano—, bensì con un provincialismo diverso, certo sofisticato e talora iper-colto, ma in realtà ignaro, agnostico, pseudo-internazionale, e comunque —almeno in alcuni casi— non meno copista e servile del precedente.

E purtuttavia è tristemente vero: viviamo oggi sempre più diffusamente prigionieri del particolarismo anglosassone, anche se in Economia aziendale —e non solo— potremmo farne a meno: prigionieri del dispersivismo funzionalista, del falso sintetismo Coase-Williamson, del riduzionismo Nelson&Winter, e così via. Quello “Spirito del Tempo” (Zeitgeist), dunque, ci influenza in modo sottile e crescente, e comporta pertanto alcuni disastri speculativi proprio per: i) l'Economia Aziendale quale scienza teoretica (Husserl), nonché per tutte le scienze normative (id.): ii) la Ragioneria, iii) le discipline speciali, fra le quali la Finanza e il Marketing, iv) la Strategia aziendale, e più ampiamente Management.

1. Per l'Economia Aziendale, giacché l'agnosticismo speculativo e l'empirismo anglo-sassoni stentano o falliscono nella costruzione sistematica, anzi la guardano con incredulità, scetticismo, invidia, potesse mai mettere in crisi quell'imperialismo intellettuale; e qualcuno gli crede.

E noi stessi, che pure avremmo categorie certo da inverare, ma nel contempo altamente conoscitive e plastiche (impresa-sistema, combinazioni produttive, coordinazioni lucrative, equilibrio economico et al.), ci particolarizziamo in concettualizzazioni che, quand'anche utili, fatichiamo poi ad applicare e a ricondurre a unità, o per utilizzare le quali necessitiamo di superfetazioni ulteriori, complesse ma non particolarmente euristiche.

2. Per la Ragioneria, giacché il mondo anglosassone è ancor fermo al capitale cioè al patrimonio, dunque a un Fabio Besta imperfetto, cioè a dire a oltre cent'anni fa. Provincialista e dogmatico, esso non conosce né vuole conoscere la rivoluzione del reddito, ma vuole nel contempo estendere la propria normazione per abitudine intellettuale all'imperialismo e per la storicità dei vantaggi suoi propri. Così, se per motivi di vario genere l'Europa approdasse integralmente agli IAS-IFRS,

28 B. CROCE, Il «superamento», in Cultura, op. cit., pp. 116-119

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noi diverremo —una volta buttati duecent'anni di codicismo, e cento di conquiste speculative— non gli studiosi sapienti che comprendono come sia finalmente giunta l'ora di adeguarsi, bensì i sudditi di una modernità presunta e dannosa, gli sprovveduti portatori nubiani utili ai veri protagonisti dei relativi safari: la caccia ai bilanci, alle operazioni straordinarie, ai mergers and acquisitions dell'Europa continentale.

3. Per le discipline speciali dalla Finanza al Marketing, giacché l'effettiva

priorità dinamica del mondo anglosassone è stata trattata in modo descrittivo quando non assunta a modello, mentre si sarebbe forse dovuto procedere, almeno in parte, secondo vie complementari:

indagando quanto quelle empirie risultassero portato di contesti economici, istituzionali, sociali, legislativi altri (i propagatori di Demaria), quanto cioè dipendessero da fattori esogeni per così dire country-specific, dunque potessero-dovessero risultare replicabili (o meno) in altri contesti e continenti, con quale scansione temporale, con quali modalità di adattamento, con quali conseguenze per le imprese, le aziende familiari, le aziende territoriali;

indagando prima ancora quanto quelle empirie risultassero non commendevoli dal punto di vista tanto etico quanto tecnico, nonché patologiche nel medio-lungo termine, dunque sottoponendole ad analisi critica che le inquadrasse anche nelle loro premesse (non di rado teoricamente insensate), le criticasse, le riformasse, o ne proponesse infine l'abolizione: per molta teoria finanziaria si sarebbe forse trattato, ad esempio, non di proporne la replica bensì la censura, riconoscendo con Machlup trattarsi dei soliti perversi prestigiatori e dei loro sempiterni conigli29.

3. Infine per il Management e la Strategia Aziendale, a causa del diffondersi acritico di acronimi e concettuzzi i quali —a-sistematici ut supra— per questo offuscano la nostra capacità interpretativa, e soprattutto danneggiano il momento prescrittivo, oltretutto assolutizzandolo. Come recentemente diceva il professor Severino Salvemini di questa Università:

"La dirigenza delle imprese è ancora troppo incrostata di quella occidentalizzazione statunitense che ha sottolineato la formalizzazione, la razionalità analitica, la semplificazione, la schematizzazione, la standardizzazione. Si sa che le idee ultra-semplificate finiscono sempre con lo spodestare le più elaborate.

29 F. MACHLUP, The Magicians and their Rabbits, <Essays in Honour of GIUSEPPE

UGO PAPI>, Padova, CEDAM, 1972, vol. II, pp. 245-260

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La disciplina del management nelle ultime cinque decadi ha ridotto i concetti all'osso, ha sfrondato tutto, ha tradotto le questioni in matrici 2x2, ha powerpointerizzato i problemi complessi quasi che i decisori, oltre ad avere poco tempo, avessero anche poco cervello. E mentre si consolidava questo riduzionismo manageriale intanto si articolava la complessità, il terziario soppiantava l'industria. Con il risultato che siamo arrivati alle colonie quando il resto del mondo se ne liberava."30.

9. Conclusioni Ma allora la situazione speculativa dell'Economia aziendale lato sensu

—in questi inizî del secolo XXI, nonostante Gino Zappa e quel che gli dobbiamo— non è forse così felice, anzi: crisi asserita o effettiva all'interno, disinteresse —quando non irrisione— all'estero.

Certo, volendo potremmo raccontarla anche in modo diverso, in modo consolatorio e narcotico. Se volessimo proprio narrarci le favole —le favole che racconteremmo a un cattedratico prima di addormentarlo la sera— potremmo dunque parlare di "magnifiche sorti, e progressive"; di primato italiano; di diffusione spaziale da Lecce a Bolzano. Inoltre innalzare questo cartello di insegnamenti estesi ormai a quasi tutte le Facoltà, di corsi di laurea, di sedi universitarie che all'Economia Aziendale si richiamano.

Sarebbe questa, tuttavia, operazione illusoria, immatura, elusiva di problemi.

Infatti sarebbe proprio una favola, ahinoi, visto che come si diceva: i) questo primato è meramente autoreferenziale, e il tanto vantato contesto internazionale non sono non ce lo riconosce, ma neppur lo conosce; ii) la diffusione spaziale interna amalgama in modo eclettico, soprattutto per convenienza, i contenuti disciplinari più varî, i metodi più alternativi e talora confliggenti; iii) l'Economia aziendale in parola è permeabile da chiunque, dunque —più spesso di quanto non si immagini— un flatus vocis teso a coprire ogni e qualsivoglia appropriazione di campo, di qualsivoglia valore e provenienza, iv) i primi a non credervi nei fatti sono i suoi potenti avversarî per convenienza e ignoranza, ma poi non di rado proprio coloro che debbono a quella le propria origini, carriere, posizioni, ma che non ne studiano la storia, non ne rinnovano i contenuti, non ne stimano e rafforzano il ruolo e rilievo.

Potremmo allora scoraggiarci, ritenendoci soggiogati, invasi, sconfitti e rinchiusi in un cul-de-sac, infine impari ai nostri compiti?

In tali casi, di solito, storicamente si oscilla fra superomismo via via deluso e scetticismo irresoluto, dunque con frequente caduta nel nichilismo o nell'arrivismo disciplinare o generazionale, e si tende —in particolare in Italia— a correre in aiuto del vincitore.

Eppure, come si diceva, obiettivo degli studiosi professionali non è la soluzione dei problemi del mondo, il dominio, la réclame (visibilità), bensì

30 S. SALVEMINI, in "Sole 24ORE", Domenica 18 novembre 2007

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la conoscenza del campo e dei suoi (sotto)insiemi speculativi, l'individuazione dei problemi, l'utilizzazione di strumenti acconci e se del caso originali, la conduzione delle osservazioni-analisi-sintesi in modo sistematicamente critico. Non potremo dunque conoscerne gli esiti finché non le avremo concluse; ma già ora l'incerto procedere, l'elevata probabilità di sconfitta e il pessimismo diffuso sprigionano dal problema —come dalle battaglie perdute— un inestinguibile fascino romantico.

Infine, forse, un significato di questo convegno consiste anche nel prendere a modello Zappa nello studio mai concluso —e come potrebbe?— dei filosofi, degli economisti, dei ragionieri e tecnici antecedenti e contemporanei; di non pochi giuristi; e poi della prassi. Infine, di prenderlo a modello nel desiderio —trattando una scienza di applicazione— di fondere teorie qualificanti con fatti scientifici nel metodo sintetico, giungendo così a elaborare teorie plastico-costruttive che possano anche risultare fondata guida per l'azione.

In un orizzonte di senso sembra cioè necessario trasmettere alle generazioni successive questa eredità spirituale, formatasi originalmente nell'Europa continentale e largamente ignorata altrove. Certo, trasmetterla metabolizzata e poi adattata criticamente all'epoca e alle sue contingenze, giacché il genio è inimitabile e, se ripercorribile nelle sue vie e nei suoi metodi, incombe però a ogni ricercatore di confrontarsi in modo originale né effimero con i problemi della propria epoca. Questo dunque il suggerimento che dobbiamo derivarne per rispetto di un'eredità ricevuta, per senso del dovere e dell'avvenire, infine per scrupolo intellettuale e morale.

Per scrupolo, certo, per non doverci noi un domani interrogare come il personaggio del Vicolo Protocny di Ehrenburg il quale —nella Russia degli anni Trenta, in quell'epoca di <burro o cannoni> forse così simile a questi inverni del nostro scontento— così domandava:

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<Io non l’ho fatta, la rivoluzione. Abitavo allora a Gomel, suonavo il violino nel ristorante ‘Concordia’.

Ma anch’io ho gridato hurrà. E ho riso. Credo che allora tutti facessero la rivoluzione. Anche voi l’avete

fatta, Madame Loitier. Ma perché l’abbiamo fatta?>.

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APPENDICE GLI STUDI ZAPPIANI NEGLI ULTIMI VENTICINQUE ANNI

AA.VV. (a cura di Carlo MASINI), Gino Zappa Founder of Concern Economics -

Papers for the Hundredth Anniversary of his Birth, Bologna, Accademia Italiana di Ragioneria, 1980

Aldo AMADUZZI, La classica concezione dell'economia aziendale di Gino

Zappa, <Ricerche Economiche>, luglio-settembre 1983, pp. 511-524 Aldo AMADUZZI, Appunti manoscritti compilati alle lezioni di Gino Zappa a

Venezia nel 1923-24: Corso critico alla Dottrina prevalente, Roma, RIREA, 2007, pp. 279-287

A. BERETTA ZANONI, Lo sviluppo degli studi economico aziendali negli Stati

Uniti d'America: pensiero e opere di William Andrew Paton tra Economia e Ragioneria, Roma, RIREA, Quaderno Monografico n. 12, 2002

Y. BIONDI, Gino Zappa e la rivoluzione del reddito, Padova, CEDAM, 2002 Y. BIONDI, Equilibrio e dinamica economica nell'impresa di Maffeo Pantaleoni,

Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi, 2004, paper n. 34

Y. BIONDI, Gino Zappa lettore degli Erotemi di Maffeo Pantaleoni, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi, 2004, paper n. 35

Y. BIONDI, G. Zappa, T. Veblen, J.R. Commons: azienda e istituzioni nel formarsi dell'Economia Aziendale, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi, 2004, paper n. 39

Y. BIONDI, G. Zappa, T. Veblen, J.R. Commons e l'impresa come istituzione economica, <Storia del Pensiero Economico>, 1-2005, pp. 93-120

Y.BIONDI, The Firm as an Entity: Management, Organisation, Accounting, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi, 2005, paper n. 46

Y. BIONDI, Accounting and the economic nature of the firm as an entity, in BIONDI-CANZIANI-KYRAT, op cit., pp. 237-265

Y. BIONDI, A. CANZIANI, T. KYRAT (Eds.), The firm as an entity and its economy, London, Routledge, 2007

F. BOLDIZZONI, A. CANZIANI, Mathematics and Economics: Use, Misuse or

Abuse? From Walrasian Deductivism to Demaria, Brambilla, De Finetti, Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi , 2005, paper n. 50 (versione riscritta della comunicazione al Congresso 2005 della European Society for the History of Economic Thought, Stirling, UK)

W. BUSSE von KOLBE, Accounting and the Business Economics Tradition in

Germany, <The European Accounting Review>, n. 5-1996, pp. 413-434

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A. CANZIANI, Sulle premesse metodogiche della rivoluzione zappiana, in AA.VV., Saggi di Economia Aziendale per Lino Azzini, Milano, Giuffre', 1987, pp. 183-267

A. CANZIANI, P. RONDO BROVETTO, The Emerging of the Economics of Firms in continental Europe during the 20's: Economia Aziendale and Betriebswirtschaftslehre as methodological Revolutions, in S. TODD LOWRY (Ed.), Perspectives in the History of Economic Thought, vol. VII, London, Elgar for the History of Economics Society, 1992, pp. 168-191

A. CANZIANI, La ragioneria quale tecnica dell'economia politica, e l'autoaffermazione dell' economia aziendale, intervento in AA.VV. (a cura di M. FANNI), Atti del Convegno in onore di Ubaldo de Dominicis. L'evoluzione delle dottrine aziendali: quale itinerario, Trieste, LINT, 1992, pp. 79 - 85

A. CANZIANI, Gino Zappa, in J.R. EDWARDS (Ed.), Twentieth Century Accounting Thinkers, Andover, Routledge, 1994, cap. VIII, pp. 142-165

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Le rivoluzioni zappiane —reddito, economia aziendale— agli inizî del secolo XXI

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G. GALASSI, R.MATTESSICH, Italian Accounting Research in the First Half of the 20th Century, <Review of Accounting and Finance>, n. 2-2004, pp. 62-83

C. LIPARI, Teodoro D'Ippolito: the first Writer of Treatises on Economia

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nell'insegnamento di Gino Zappa, <Bancaria>, luglio 1982, pp. 744-750 M. PINI, Individualismo weberiano, attualizzazione arendtiana ed economia

aziendale, in G. DE LUCA, op. cit., pp. 65-83 P. RONDO BROVETTO, Gino Zappa, <Revue française de gestion>, Juin-Juillet-

Aout 1995, pp. 45-50 P. RONDO BROVETTO, Sviluppi di una teoresi nuova fra cultura e potere: le

scuole milanesi di Economia Aziendale, in G. DE LUCA, op. cit., 33-64 S. SERVALLI, Corso critico alla dottrina prevalente: alle origini della rivoluzione

zappiana, in Aldo AMADUZZI, Appunti manoscritti, op. cit., pp. 279-287 E. VIGANÒ, L'Economia aziendale e la ragioneria, Padova, CEDAM, 1996 E. VIGANÒ, Accounting and Business economics Traditions in Italy, <The

European Accounting Review>, 7-1998, pp. 381-403; E. VIGANÒ, R. MATTESSICH, Accounting Research in Italy: Second Half of the

Twentieth Century, <Review of Accounting and Finance>, n. 1-2007, pp. 24-41

ZAMBON S., Accounting and Business Economic Traditions: a missing European

Connection?, <The European Accounting Review>, 5-1996, pp. 401-411 L. ZAN, Toward a History of Accounting Histories. Perspectives from the Italian

Tradition, <The European Accounting Review>, 3-1994, pp. 255-307

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NOTA AL TESTO

Anteporta. Don't stop believin' è il titolo, in realtà, di due composi-

zioni musicali: la prima è la canzone n. 1 del lato n. 1 dell'album omonimo di Olivia NEWTON-JOHN (1976), un pop-country; la seconda una ballata molto nota della banda rock statunitense dei JOURNEY dall'album Escape (1981), poi divenuta colonna sonora di una quantità di film nonché di serials televisivi, inoltre adottata dopo il 2005 da molte squadre sportive fra cui i Chicago White Sox, i NHL's Washington Capitals, i Los Angeles Dodgers, e diffusa inoltre nell'area appunto di Detroit (cfr. Wikipedia.org/wiki/Don't_-Stop_Believing e, id., Don't_Stop_Believin'_Olivia_Newton-John_album).

Fra le parole della prima il distico: You never chase your dreams, they find you love,

(…) don't stop believing, you'll get by;

fra quelle della seconda i versi: Just a city boy, born and rased in south Detroit

(…) Some will win, some will lose

Some were born to sing the blues (…)

Don't stop believin' hold on the feelin'

questi ultimi interessanti per motivi molteplici, fra i quali non esistere stricto sensu una "South Detroit" (cfr. bibl. cit.)

§ 1. La diade evoluzione-rivoluzione, proposta originariamente al

pubblico anglosassone da T. S. KUHN in The Structure of Scientific Revolutions, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1962, 1970II, 1996III (tr. it. per i tipi di Einaudi, Torino, 1969, 1978, 1995 rispettivamente) ha dato vita a dibattiti prima e a interi filoni poi, che si danno qui per noti rinviando solo sinteticamente ai seguenti: - LAKATOS, A. MUSGRAVE (Eds.), Criticism and the Growth of

Knowledge, London, Cambridge U.P., 1970 (la traduzione italiana, Milano, Feltrinelli, 1979II, è corredata da un'Introduzione di Giulio GIORELLO, pp. 7-63);

- F. SUPPE (Ed.), The Structure of Scientific Theories, Chicago, University of Illinois Press, 1974;

- P. HORWICH (Ed.), World Changes: Thomas Kuhn and the Nature of Science, Cambridge (MA), The MIT Press, 1993;

e infine al medesimo KUHN, Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia della scienza, tr. it., Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000 (bibliografie generali e speciali alle pp. 351-400).

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Il tema delle conoscenze "normali" —cioè comuni, talora fino alla volgarità, e delle innovazioni tentate o effettive— è tuttavia classico dal punto di vista tanto etimologico quanto sociale sin dal DEUTERONOMIO, da CALLISTRATO, da OMERO, da ARISTOTILE e larga-mente da PLUTARCO, e cfr. dunque I.L. CESAREMONTANO, Novissima Polyan-thea in Libros viginti distributa (etc.), Venezia, Giovanni Guerilio, 1616 (ed. or. 1503), pp. 875 e 891-892. Fra le decine di citazioni ivi cfr. e.g., a te-stimoniare problemi sempiterni (senza dunque dire pessimisticamente con SENECA, Epistole, 106, "Meliora praetervolant, deteriora succedunt"): 1. "Saepe ex levi causa magnae mutationes", NICET. in MAN.

COMNENO, lib. 5, giacché in campo intellettuale talora le rivoluzioni si originano da spunti apparentemente minori, o incidentali;

2. "In folle offerre, pro eo quod est inexplorate, inexplicate et confuse, sicut qui syngraphas et pecuniam inclusas offert", CALLISTRATO, poiché tante volte le innovazioni sono imprecise ed eclettiche anche se tese a rimediare a un qualche decadimento della dottrina, e solo le sistematicamente nuove divengono a propria volta rivoluzioni;

3. "Cornicum oculos configere, de eo qui novo invento veterem erudi-tionem conatur obscurare", CICERO, Mur., 25 (nonché ellitticamente in Flacc., 46), poiché tante volte le novità sono mosse più dall'ambizione e dall'arrivismo che dalla sana speculazione, con quanto ne consegue;

4. "Grata novitas, quando significabimus nuperrima quaequae vulgo maxime placere", HOMERUS, per ricordare la neofilia, anche quando poco giustificabile, abbondare da sempre negli incolti.

Il tema assunse peraltro nei secoli un peculiare rilievo speculativo in filosofia come nelle scienze della natura: se ne veda la accurata trattazione in R. EISLER, Wörterbuch der Philosophischen Begriffe, Berlino, E.S. Mittler & Sohn, 4a ed., 1927, vol. I, pp. 346-356.

Con riferimento alla continuità-discontinuità nelle scienze sociali (forse sin da HERBART?) cfr. infine H. MITTEIS, Die Rechtsgeschichte und das Problem der historischem Kontinuität, Berlino, Atti dell'Accademia Tedesca delle Scienze di Berlino, 1947; E. BETTI, Il problema della continuità alla luce dell'interpretazione storico-giuridica, 1957; P.E. HÜBINGER (a cura), Kulturbruch oder Kulturkontinuität im Übergang von der Antike zum Mittelalter, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1967; H. TRÜMPY (a cura), Kontinuität Diskontinuität in den Geistes-wissenschaften, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1973; H. THIEME, Kontinuität — Diskontinuität in der Sicht der Rechtsgeschichte, in H. TRÜMPY (a cura), op. cit., pp. 150-166.

Sullo Zappa giovane, sul didatta e sullo studioso cfr., in AA.VV., Saggi di economia aziendale e sociale in memoria di Gino Zappa, Milano, Giuffré, 1961, 3 vv.: A. BODRITO, Gino Zappa: l’Uomo nei ricordi di un antico allievo (I, pp. 247-260); U. CAPRARA, Gino Zappa: l’Uomo (I, pp. 293-305); A. COSTA, Gino Zappa: l’Insegnante nei ricordi di un antico

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allievo (I, pp. 549-552); P. ONIDA, Gino Zappa, il Maestro (III, pp. 1553-1578); cfr. inoltre ivi Aldo AMADUZZI, Il pensiero scientifico di Gino Zappa (I, pp. 25-38). Di quest'ultimo Autore cfr. ora, certo con precipuo riferimento ai problemi contabili e partiduplistici, Appunti manoscritti compilati alle lezioni di Gino Zappa a Venezia nel 1923-24: Corso critico alla Dottrina prevalente, Roma, RIREA, 2007.

§ 2. Il riferimento a Johann Wolfgang v. GOETHE (1749-1832) è

una traslazione del motto di Dicthung und Warheit: "Was man in der Jugend wünscht, hat man im Alter in Fülle".

Il contrasto fra "vivere una vita e passare un'esistenza" è di Bob KRIEGER in conversazione con chi scrive, forse coniato su "Unser Erdenleben ist nur eine kleine Strecke auf der ganzen Bahn unserer Existenz" di Matthias CLAUDIUS (1740-1815) in Ernst und Kurzweil.

Di Johannes CREMERIUS, a riguardo del punto citato, cfr. in traduzione italiana, Biografie psicanalitiche, Torino, Boringhieri, 1967; Freud e gli scrittori, Torino, UTET, 2000; cr. inoltre M. CURTIUS (a cura di), Theorien der künstlerischen Produktivität, Frankfürt, 1976.

Dice Clitofonte BELLINI, Il pensiero e l'opera di Giuseppe Cerboni, Conferenza del 29 novembre 1913, poi in Trattato elementare teorico-pratico di Ragioneria Generale, Milano, Hoepli, 1918VIII, pp. XI-XXIX, a p. XXVII:

"La nostra disciplina dopo l'opera geniale compiuta da Giuseppe

Cerboni, ha abbandonato quello stadio di disgregazione che è proprio di qualunque ordine di cognizioni umane nei primordi, ed è entrata in quella fase ulteriore che si potrebbe chiamare di elaborazione scientifica, nella quale domina sovrana la critica. E infatti dopo la comparsa delle teoriche cerboniane e sovratutto della logismografia, si è manifestato in Italia un risveglio combattivo più che singolare, meraviglioso, nel campo degli studi computistici, tale un risveglio di cui non si ricordano precedenti né in Italia né fuori.

Poiché l'opera del Cerboni non è stata accolta da tutti con pari favore, e la scuola di Venezia, più tenacemente degli altri, l'ha combattutta di fronte e le contende tuttora il primato. Ben venga questa critica illuminata e severa, purchè spoglia di preconcetti e di pregiudizi, alta negli intendimenti, profonda e serena nei giudizi; noi la accoglieremo come un nobile araldo che spiani ed allarghi la via al più facile raggiungimento di quella che nel campo del pensiero dev'essere una comune idealità: il trionfo del vero!".

Sull'epoché ragioneristica fino appunto a Bellini, oltre ai lavori di

storiografia delle scuole toscane specialmente dopo C. ANTONI, cfr. ora F.

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DONI, La teoria personalistica del conto. Aspetti evolutivi ed approfondimenti critici, Milano, Giuffré, 2007.

L'evoluzione delle scuole pittoriche toscane —in particolare fiorentine— con e dopo Bronzino è data per nota, soprattutto dopo lo studio della BECHERUCCI, Manieristi toscani, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1944 (2a ed. 1949), e ora C.B. STREHLKE, Pontormo, Bronzino, and the Medici, Philadelphia, Philadelphia Museum of Art, 2004.

Le relazioni —nei fatti drammatiche— fra Heidegger, Rettore nel 1934, e il suo Maestro Husserl, sono date all'ingrosso per note, anche perché l'analitica delle medesime pare sovente privilegiarne il momento estrinseco, semmai politicizzandolo. Sulle relazioni viceversa filosofiche fra i due pen-satori nel senso di Maestro-allievo cfr. viceversa: A. de WAELHENS, Phé-noménologie husserlienne et phénoménologie hégélienne, <Revue Philoso-phique de Louvain>, 1954, pp. 234-249; P. CHIODI, Husserl e Heidegger, <Rivista di Filosofia>, 1961, pp. 192-211; E. PRZYWARA, Husserl et Hei-degger, <Études philosophiques>, 1961, 55-62; E. TUNGENDHAT, Der Wahrheits-begriff bei Husserl und Heidegger, Berlino, de Gruyter, 1967; F.-W. v. HERRMANN, Der Begriff der Phänomenologie bei Heidegger und Husserl, Francoforte sul Meno, Klostermann, 1981; B. MERKER, Selbsttäuschung und Selbserkenntnis. Zu Heideggers Transformation der Phänomenologie Husserls, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, 1988; B.C. HOPKINS, Intentionality in Husserl and Heidegger. The Problem of the original Method and Phenomenon of Phenomenology, Dordrecht, Kluwer, 1993; H. SCHMITZ, Husserl und Heidegger, Bonn, Bouvier, 1996.

Per quanto concerne l'evoluzione degli studî economico-aziendali italiani cfr.: a) per i dibattiti dell'epoca (anni '20-'30) i contributi di CECCHERELLI,

D'ALVISE, DE GOBBIS, DELLA PENNA, MASI et al., sovente in <Rivista Italiana di Ragioneria>, e in particolare ancora V. MASI, La ragioneria come scienza del patrimonio, Padova, CEDAM, 1943II;

b) per la temperie generale del periodo cfr. recentemente R. FAUCCI, Materiali e ipotesi sulla cultura economica italiana fra le due guerre mondiali, in G. BECATTINI, Il pensiero economico: temi, problemi e scuole, Torino, UTET, 1990, pp. 183-232; G. DE LUCA (a cura di), Pensare l'Italia nuova. La cultura economica milanese tra corporativismo e ricostruzione, Milano, F. Angeli-CIRIEC, 1995; AA.VV. (a cura di Massimo M. Augello e M.E.L. Guidi), La manualistica delle scienze economiche e sociali nell'Italia liberale, Milano, Franco Angeli, 2007;

c) per le ricostruzioni successive, le due storiografie antitetiche di P. ONIDA, Le discipline economico-aziendali. Oggetto e metodo, Milano, Giuffré, 1951, e di E. GIANNESSI, Attuali tendenze delle dottrine economico-tecniche italiane, Pisa, Cursi, 1954, la prima tesa a originalizzarla in ZAPPA primum movens, rendendola semmai

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lombardo-veneta (e.g. VILLA), la seconda a radicarla storiograficamente, con particolare riferimento alle scuole toscane (soprattutto ma non solo cerboniane); di GIANNESSI cfr. inoltre Corso di Economia Aziendale, vol. V, I precursori, Pisa, Cursi, 1964;

d) per i contributi diretti di Gino ZAPPA e della sua Scuola le collane cafoscarine e bocconiane da lui fondate;

e) per l'esegesi degli ultimi decennî l'Appendice bibliografica. § 3. I rinvìi in tema di evoluzione del pensiero filosofico fine XIX -

inizî XX secolo sono dati per noti, nelle trattazioni sia generali (da LAMANNA a DE RUGGERO a M.F. SCIACCA ad ABBAGNANO a GEYMONAT) sia speciali; sul punto cfr. semmai, anche per la sua sempre vigile attenzione alla svolta XIX-XX e agli autori italiani, G. GENTILE, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, 1969, 2 volumi.

Altrettanto per quanto riguarda la storia del pensiero economico e la metodologia delle scienze economiche ove, dati per noti gli studî generali e particolari da L. ROBBINS (1932) a M. FRIEDMAN (1953), e soprattutto dopo Blaug, cfr. semmai specialmente —per l'impostazione anti-vulgata e il profondo valore euristico— i lavori di T.W. HUTCHISON or ora scomparso: The Significance and Basic Postulates of Economic Theory, London, Macmillan, 1938 (seconda edizione 1960); A Review of Economic Doctrines, 1870-1929, London, Oxford University Press, 1953; Knowledge and ignorance in economics, Chicago, Chicago U.P., 1977; On revolutions and progress in economic knowledge, Cambridge, Cambridge U.P., 1978. Cfr. inoltre B. CALDWELL, Beyond Positivism: Economic Methodology in the Twentieth Century, London, Allen & Unwin, 1982; I.M. KIRZNER (Ed.), Method, Process, and Austrian Economics: Essays in Honor of Ludwig von Mises, Lexington (Mass.), Lexington Books, 1982

In tema di metodo, scienze sociali e così via cfr., a parte M. HEIDEGGER, L'essenza della verità, Milano, Adelphi, 1997 (tr. it. di Vom Wesen der Währheit, sviluppo della conferenza del 1930, inedita fino al 1943), rilevanti in generale anche i seguenti: M. FARBER (Ed.), L'activité philosophique contemporaine en France et aux Etats-Unis, Paris, Presses Universitaires de France, 1950, 2 vv.; E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza, 1959; Filosofia e scienze nel novecento, Bari, Laterza, 1978; AA.VV., Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia, Firenze, Sansoni, 1960, vol. V, Logica, Gnoseologia, filosofia della Scienza, Filosofia del Linguaggio; H.U. HOCHE, Nichtempirische Erkenntnis. Analytische und syntetische Urteile a priori bei Kant und bei Husserl, Meisenheim a. Gl., Hain, 1964; il TUNGENDHAT cit.; Ph. FRANK, La scienza moderna e la sua filosofia, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1973; W.M. SIMON, Il positivismo europeo nel XIX secolo, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1980; A. SANTUCCI (a cura di ), Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Milano, Feltrinelli, 1982; H.L. DREYFUS (Ed.), Husserl,

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Intentionality and Cognitive Science, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1982; G. FREGE, Alle origini della nuova logica. Carteggio scientifico con Hilbert, Husserl, Peano, Russel, Vailati e altri, ed. it. a c. di C. MANGIONE, Torino, Boringhieri, 1983; R.S. TRAGESSER, Husserl and Realism in Logic and Mathematics, Cambridge, Cambridge U.P., 1984; P. ROSSI, Max Weber, Dilthey e le «Logische Untersuchungen» di Husserl, <Rivista di Filosofia>, 1993, 201-230; C. GLYMOUR, Dimostrare, credere, pensare, tr. it., Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999.

Ancora in tema di metodologia generale cfr. infine gli studî sempre eterodossi, stimolanti, ben costruttivi di P. K. FEYERABEND; di lui, in traduzione italiana: Contro il metodo, Milano, Lampugnani-Nigri, 1973; Il realismo scientifico e l'autorità della scienza, Milano, Il Saggiatore, 1983; infine per i tipi di Laterza, Bari: Scienza come arte (1984), Dialoghi sulla conoscenza (1991), Ammazzando il tempo. Un'auto-biografia (1994), Dialogo sul metodo (1998III), Ambiguità e armonia (1999III).

Sempre sul tema, con particolare riferimento agli studi economici, da ricordare infine i lavori molteplici —tutti fondamentali, e forse per questo oggi dimenticati—, di Fritz MACHLUP, riguardo al quale cfr. J.S. CHIPMAN, in <International Encyclopedia of the Social Sciences>, New York, The Free Press, vol. XVIII, 1979, pp. 486-491; J.S.DREYER, Breadth and Depth in Economics: Fritz Machlup. The Man and His Ideas, Lexington (Mass.), D.C. Heath, 1978; G. HABERLER, Fritz Machlup: in Memoriam, <Cato Journal>, Spring 1983, pp. 11-14; dell'a., Per la pubblicazione dei «Selected Economic Writings» di Fritz Machlup e di William J. Baumol, <Giornale degli Economisti e Annali di Economia>, novembre-dicembre 1978, pp. 795-802: 1. Schumpeter's Economic Methodology, in S.E. HARRIS, Schumpeter,

Social Scientist, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1951, pp. 95-101;

2. The Problem of Verification in Economics, <Southern Economic Journal>, n. 1-1955, pp. 1-21;

3. The Inferiority Complex of the Social Sciences, in M. SENNHOLZ (Ed.), On Freedom and Free Enterprise: Essays in Honor of Ludwig von Mises, Princeton (N.J.), D. Van Nostrand, 1956, pp. 161-172;

4. Rejoinder to a Reluctant Ultra-Empiricist, <Southern Economic Journal>, 1956, pp. 483-493;

5. Operational Concepts and Mental Constructs in Model and Theory Formation, <Giornale degli Economisti e Annali di Economia>, 1960, pp. 553-582, poi id. in AA.VV. (a cura di Giovanni DEMARIA), Studi di Economia, Finanza e Statistica in Onore di Gustavo Del Vecchio, Padova, CEDAM, 1963;

6. Are the Social Sciences Really Inferior?, <Southern Economic Journal>, 1961, pp. 173-184;

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7. Idealtypus, Wirklichkeit und Konstruction, <Ordo>, n. 1-1961, pp. 21-57, poi id. in R. JOCHIMSEN, H. KNOBEL (Eds.), Gegenstand und Methoden der Nationalökonomie, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1971, pp. 226-254;

8. Essays on Economic Semantics, Englewood Cliffs (N.J.), Prentice-Hall, 1963 (che raccoglie, oltre ad altri qui citati, anche anche l'importante Micro- and Macro-economics, originariamente Der Wettstreit zwischen Mikro- und Makrotheorien in der Nationalökonomie, Tübingen, Mohr-Siebeck, 1955);

9. Professor samuelson on Theory and Realism, <American Economic Review>, September 1964, pp. 733-736;

10. Operationalism and Pure Theory in Economics, in Sh.R. KRUPP (Ed.), The Structure of Economic Science, Englewood Cliffs (N.J.), Prentice-Hall, 1966, pp. 53-67;

11. L'homo oeconomicus et ses collègues, in J. RUEFF, Les Fondements Philosophiques des Systèmes Economiques, Paris, Payot, 1967, pp. 117-130;

12. If Matter Could Talk, in S. MORGENBESSER, P. SUPPES, M. WHITE (Eds.), Philosophy, Science, and Method, New York, St. Martin's Press, 1969, pp. 286-305;

13. Homo Oeconomicus and his class Mates, in M. NATANSON (Ed.), Phenomenology and Social Reality: Essays in Memory of Alfred Schutz, The Hague, M. Nijhoff, pp. 122-139;

14. Situational Determinism in Economics, <British Journal for the Philosophy of Science", September 1974, pp. 139-161.

Di B. CROCE cfr., oltre alla Logica, op. cit. alla n. (5), anche Il carattere della filosofia moderna, Bari, Laterza, 1941; sempre rilevante per motivi molteplici anche G. GENTILE, Sistema di logica come teoria del conoscere, Firenze, Sansoni, 2 vv., 1943.

Rilevanti infine, per il pensiero zappiano, Vailati ed Enriques, il primo solo ondularmente ricordato, il secondo specialmente debitore a Poincaré, e comunque discusso. a) Giovanni VAILATI (Crema, 24 aprile 1863 - 14 maggio 1909); laureato

a Torino in matematica (1884) e in ingegneria (1888); assistente di Giuseppe Peano (1892-96), di Vito Volterra (1896-98), docente di Storia della meccanica (1896-1899); di G. Vailati cfr. ut supra: Scritti, Firenze, Successori di B. Seeber - Lipsia, J.A.Barth, 1911; Il metodo della filosofia, saggi scelti (a cura di F. ROSSI-LANDI), Bari, Laterza, 1957; Epistolario 1891-1909, Torino, Einaudi, 1971;

b) Federigo ENRIQUES (Livorno, 5 gennaio 1871 - Roma, 14 giugno 1946); laureato in Matematica, professore all'Università di Bologna (1896) e poi a Roma (1922); fonda la Società filosofica italiana (1906) e la presiede 1907-13; direttore della sezione matematica dell'Enciclopedia Italiana (1925-37); di F. ENRIQUES cfr., per i temi di cui al presente

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lavoro: Problemi della scienza, Bologna, Zanichelli, 1906, 2a ed. 1910; Per la storia della logica. I principii e l'ordine della scienza nel concetto dei pensatori matematici, Bologna, Zanichelli, 1922; Compendio di storia del pensiero scientifico. Dall'antichità fino ai tempi nostri, Bologna, Zanichelli, 1937 (con F. DE SANTILLANA); Causalità e determinismo nella filosofia e nella storia della scienza, Roma, Atlantica, s.d. (1941?); cfr. infine il volume Per la scienza. Scritti editi e inediti (a cura di R. SIMILI), Napoli, Bibliopolis, 2000 (ove anche il carteggio con NEURATH). Sul primo —per la rilevanza dei temi già allora individuati con

acume critico attento ed equilibrato, temi fra i quali la filosofia del linguaggio—, a parte A. SANTUCCI (a cura di), Il pragmatismo, Torino, UTET, 1970, pp. 721-726, e E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza, 1955, pp. 26-34, 95-99, 172-182, cfr. poi specialmente: P. BOZZI, Il pragmatismo italiano: Giovanni Vailati, "Rivista Critica di

Storia della Filosofia", 1956, pp. 149-173, poi più ampiamente Firenze, La Nuova Italia, 1957;

F. ROSSI LANDI, Materiale per lo studio di Vailati, Rivista Critica di Storia della Filosofia", n. 4-1957, pp. 468-485, n. 1-1958, pp. 82-108;

S. MARCUCCI, Il pensiero di Giovanni Vailati, Torino, Edizioni di filosofia, 1958;

G VILLA, Sul pragmatismo logico di Vailati e Calderoni: la questione delle verità del pragmatismo, "Memorie dell'Accademia delle Scienze di Bologna", Classe di Scienze Morali, s. V, vol. IX, 1962, pp. 187-213;

AA.VV., Atti del Convegno di Studi sul pensiero di Giovanni Vailati, "Rivista Critica di Storia della Filosofia", n. 3-1963 (ove gli Atti del Convegno organizzato dall'Istituto di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, e tenutosi a Milano e Crema);

M. QUARANTA (a cura di), Giovanni Vailati nella cultura del '900, Sala Bolognese, Forni, 1989;

S. MARINI, Socrate nel Novecento: Vailati, Schlick, Wittgenstein, Milano, Vita e Pensiero, 1994;

N. SICILIANI DE CUMIS, Filosofia e università: da Labriola a Vailati 1882-1902, Torino, UTET, 2005II. Sul secondo, dopo AA.VV., Atti del Convegno Internazionale sul

tema Storia, Pedagogia e Filosofia della Scienza a celebrazione del Centenario della Nascita di Federigo Enriques, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1973, cfr. —sempre per tipi della Casa Editrice Belforte, Livorno: O. POMPEO FARACOVI (a cura di), Federigo Enriques. Approssimazione e verità, 1982; O. POMPEO FARACOVI, Il caso Enriques. Tradizione nazionale e cultura scientifica, 1984; O. POMPEO FARACOVI, F. SPERANZA (a cura di), Filosofia e storia del pensiero scientifico, 1998; O. POMPEO FARACOVI, L.M. SCARANTINO

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(a cura di), Federigo Enriques. Matematiche e filosofia. Lettere inedite e bibliografia degli scritti, 2001.

Infine, il tema di deduzione-induzione in campo giuridico —senza trattenersi qui su JHERING, H.U. KANTOROWICZ, v. KIRCHMANN, E. WOLF, quindi su BETTI, CAPOGRASSI, CROCE, Giorgio del VECCHIO, Alessandro LEVI, e successivamente Luigi BAGOLINI e Nicola JAEGER e tutti gli altri—, è lucidamente delineato, con riferimento a quello stesso periodo, da N. BOBBIO, Scienza e tecnica del diritto, Torino, presso l'Istituto Giuridico della R. Università, 1934-XIII, particolarmente alle pp. 22-27 dalle quali, unificando testo e note:

"Sul modo della formazione e dell'ordinamento si è aperta e non si è

ancora chiusa la questione centrale della metodologia giuridica. Vi sono le due teorie estreme: quella che parla di metodo deduttivo e quella che parla di metodo induttivo. La prima bada all'elemento logico intrinseco … poste alcune proposizioni primitive, le secondarie si ricavano attraverso una concatenazione necessaria di concatenazioni logiche —si tratta del «metodo matematico» nel diritto, un diritto perfettamente razionale; Leibnitz ne fu sostenitore validissimo—; la seconda ha di mira i dati storici senza i quali nessun concetto giuridico è possibile, e tende quindi a elaborare i … concetti con la comparazione [degli] istituti. …. Le critiche sono state mosse alla teoria del metodo deduttivo per l'astrattezza dei suoi concetti che non comprendono la realtà, sono fuori della storia; e d'altra parte … alla teoria del metodo induttivo per la generalità dei concetti che non sono rigorosi, non hanno carattere di stabilità…. Son da mettere in rilievo gli equivoci che sorgono da queste posizioni, evidentemente unilaterali: da un lato … dar valore di concretezza storica ad una astratta deduzione, dall'altro … di attribuire cattere di universalità e necessarietà a concetti generali empirici." (pp. 22-24);

"Sfugge invero alla deduzione e all'induzione l'atto teoretico per eccellenza, quell'atto che fonda la serie deduttiva e conclude la serie induttiva —procedimenti essenziali del nostro conoscere, che di volta in volta si implicano e correggono reciprocamente—, cioè l'intuizione intellettuale propria di qualunque scienza che non si arresti al fatto empirico contingente …, apprensione (Erfassung) dell'essenza dei dati, … intuizione essenziale o eidetica — è manifesto qui il richiamo alla Wesensschau di Husserl." (pp. 25-26).

§ 4. Della Ragioneria di Fabio BESTA, in molteplici edizioni

litografate dopo la Prolusione del 1880, l'edizione migliore è la postuma, a cura di ALFIERI-GHIDIGLIA-RIGOBON, Milano, Vallardi, 1922, 3 vv.; cfr. anche la Ragioneria pubblica (1891).

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Le rivoluzioni zappiane —reddito, economia aziendale— agli inizî del secolo XXI

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Manca —curiosamente?— nel Reddito una nozione d'azienda, e quella —riportata nel testo e comunemente— è tratta dalle Tendenze Nuove.

Nell'ampia bibliografia del Reddito, inoltre, le citazioni dei tecnici (DEGRANGE, CRIPPA, VILLA, CERBONI, BESTA, ROSSI oltre aicontemporanei), dei giuristi (BiIANCHI FADDA e BENSA, NAVARRINI, POLACCO, VANNI, WINDSCHEID e altri), i filosofi classici (BACONE, CARTESIO, GALILEO, HEGEL, KANT, SPENCER, VICO), dei filosofi contemporanei e studiosi di logica (BROFFERIO, A. COURNOT, CROCE, DELBET, ENRIQUES, JEVONS, LE ROY, LE BON, MACH, MERCIER, NAVILLE, POINCARÉ, ROYCE, RÜGE, VAILATI), dei cultori di matematiche e della teoria della misura anche in senso fisico o statistico (BETTAZZI, Paul BOUTROUX, COLARDEAU, HOUEL), dei medici e biologi (BUFALINI, CELESIA, MURRI) studiati per le concezioni teorico-pratiche e biologico-sistemiche.

Ivi anche la galassia degli economisti, dai classici del '700 di tipo qualitativo alla «Biblioteca dell'Economista», dal marginalismo di MENGER e PARETO a STUART MILL e LEROY-BEAULIEU, fino ai problemi che all'epoca travagliavano gli studiosi, e con quelli i loro metodi, che iniziavano a variegarsi: TUGAN-BARANOVSKY sulle Crisi, Marco FANNO già suo collega a Genova (Fanno anche quale teorico dei cambi e della finanza, e non di meno delle oscillazioni cicliche), Irving FISHER, il WICKSELL del saggio dell’interesse ma anche precursore, con i suoi <processi cumulativi>, di una macroeconomia per così dire alternativa alla keynesiana, lo SCHUMPETER dell'innovazione e del processo monetario, il primo KEYNES, egli pure in tema di circolazione e di credito (Indian Currency).

§ 5. Per quanto concerne il fenomeno del reddito, cfr. G. ZAPPA,

La determinazione del reddito nelle imprese commerciali - I valori di conto in relazione alla formazione dei bilanci, Roma, Anonima Libraria Italiana, 1920-1929, poi trasfusi in Il reddito di impresa - Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Milano, Giuffré, 1937. Sul punto, oltre alla letteratura italiana, cfr. specificamente E. ZIGIOTTI, Sulla natura dei valori del capitale di bilancio nel sistema del reddito, in AA.VV. (a cura di M. FANNI), Studi in onore di Ubaldo De Dominicis, Trieste, LINT, 1991, t. I, pp. 347-370.

Di NICKLISCH cfr. Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, C.E. Poeschel Verlag, 1929-32VII, 3 tomi; di E SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, G.A. Gloekner, Leipzig, 1933VI.

Relativamente a Cerboni cfr., oltre a C. BELLINI, op. cit.; a F. DONI, op. cit., specialmente le pp. 431-617; G. CATTURI, op. cit. nell'APPENDICE che precede.

Il riferimento a Ugo CAPRARA è La banca, Milano, Giuffré, 1948.

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§ 6. Il riferimento a credere al pensiero dei Maestri ma senza giurarvi

è a G. DEMARIA, Del «Iurare in verba magistri» come categoria di critica economica, <Giornale degli Economisti e Annali di Economia>, Luglio-Agosto 1950, pp. 404-408

Sui problemi di metodo in Economia aziendale cfr. R. MATTESSICH, Neue erkenntnistheoretische Probleme der Betriebswirtschaftslehre, in H. KLOIDT (Ed.), Betriebswirtschaftliche Forschung in internationaler Sicht, Berlin, Duncker & Humblot, 1969, pp. 17-32; G. MAZZA, Problemi di assiologia aziendale, Milano, Giuffré, 1978; R. FERRARIS FRANCESCHI, L'indagine metodologica in Economia Aziendale, Milano, Giuffré, 1978; Il percorso scientifico dell'Economia aziendale, Torino, Giappichelli, 1994; G. CATTURI, Teorie contabili e scenari economico-aziendali, Padova, CEDAM, 2a ed. 1997; E. PERRONE, La ragioneria e i paradigmi contabili, ib., id., 1997.

§ 7. La teoresi husserliana è di rilievo —per restare appunto a HUSSERL, cioè già ad un secolo fa— anche relativamente ad alcuni altri fra i temi qui accennati: a) logica in senso generale, oltre alle Ricerche Logiche cit. alla n. (20), con i

due volumi a cura di M. BIEMEL, Die Phänomenologie und die Fundamente der Wissenschaften, L'Aja, M. Nijhoff, 1952 (Husserliana, vol. V); Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzen-dentale Phänomenologie, ib., 1954 (Husserliana, vol. VI, con una parte III inedita rispetto all'edizione del 1936; la tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1961, omette le pp. 517-559 dell'originale), e i due a cura di U. PAN-ZER, Vorlesungen über Bedeutungslehre, Dordrecht-Boston-London, Kluwer Academic Publishers, 1987 (Husserliana, vol. XXVI), Logik und allgemeine Wissenschaftstheorie, ib., 1996 (Husserliana, vol. XXX);

b) di rinnovamento, cfr. Erneureung als individuelletisch Problem, <Kaizo>, fascicolo speciale aprile 1924, pp. 2-31.

§§ 8.1. In tema di usi e mentalità snob I. BRIN, Usi e costumi 1920-

1940, Palermo, Sellerio, 1981 (ma già in terza edizione nel 2001). In generale poi, per i temi di cui al presente paragrafo (senza fare

sfoggio giacché la letteratura sul punto è sesquipedale e nondimeno —più spesso di quanto non paia— propagandistica e ripetitiva), cfr. ancora, fra gli Autori italiani, F. ALBÉRGAMO, Storia della logica delle scienze esat-te, Bari, Laterza, 1947; Storia della logica delle scienze empiriche, Bari, Laterza, 1952 (anche se —si potrebbe osservare—, esatte possono risultare soltanto le matematiche nel loro perfetto logo deduttivo, mentre le scienze sono in realtà tutte empiriche, non fosse che indirettamente).

Per la differenziazione ab antiquo fra Scienze della Natura e Scienze Sociali cfr. poi il cit. EISLER, Worterbuch. La distinzione è corrente in

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francese, ove sciences morales. Sulla tradizionalità della stessa cfr. e.g. S. baron de PUFENDORF, LE DROIT DE LA NATURE et DES GENS ou SYSTEME GENERAL des principes les plus importans e la morale, de la jurisprudence, et de la politique), Londra, Jean Nours, 1740, t. I, l. I, cap. II, De la Certitude des Sciences Morales, pp. 24-44.

Per quanto riguarda in generale il neo-positivismo:

1. il momento costitutivo è sostanzialmente dovuto a fisici sub-atomici contemporanei i quali, non contenti di trastullarsi (date le interazioni forti di protoni, neutroni e altri adroni) con particelle a interazione debole quali fotoni, leptoni, bosoni Z, bosoni W±, bosoni ipotetici, barioni (la formula di COLEMAN-GLASHOW), quark di GELL-MANN, ZWEIG, GLASHOW-MAIANI-ILIOPOULOS, KOBAYASHI -MASKAWA, gluoni orgoni e pioni, si impancano anche a teoreti della gnoseologia (<epistemologia> dicono loro, ed è una doppia aggravante), forse a originarsi da Ph. FRANK, Was bedeuten die gegenwärtigen physikalischen Theorien für die allgemeine Erkenntnislehre?, originalmente in <Die Naturwissenschaften>, nn. 50 e 51, dicembre 1929, poi in <Erkenntnis>, n. 1-1930, pp. 126-157;

2. sul tema cfr. EISLER, Worterbuch, op. cit., vol. cit., pp. 371-395; 3. cfr. infine più recentemente —per brevità, dati anche i settant'anni di

contributi—, AA.VV. (sous la direction de Christian BONNET et Pierre WAGNER), L'age d'or de l'empirisme logique. Vienne-Berlin-Prague 1929-1936, Paris, Gallimard, 2006, ove copiose introduzioni generali e speciali, e una bibliografia alfabetica alle pp. 603-648.

Secondo un'ipotesi, infine, problemi agli anglosassoni sarebbero derivati dalla mancata recezione del kantismo: sul punto cfr. e.g. E. CHINOL, Coleridge on reason and understanding, V. GABRIELI (Ed.), FRIENDSHIP'S GARLAND, Roma, edizioni di Storia e Letteratura, 1966, vol. II, pp. 50-65.

§§ 8.2. Il riferimento a Popper è naturalmente, per iniziare, alla

Logica della scoperta scientifica: si danno per noti e il tema e i dibattiti relativi, e inoltre il problema di quanto la falsificabilità —sulla quale tanto si è pontificato— possa risultare applicabile nelle scienze sociali. Cfr. dunque brevemente Karl POPPER, The logic of Scientific Discovery, London, Hutchinson, 1934; Objective Knowledge: an Evolutionary Approach, Oxford, Clarendon Press, 1972, 1979II; Postscript to the Logic of Scientific Discovery, Totowa (N.J.), Rowman and Littlefield, 1983; cfr. inoltre sul tema P.A. SCHILPP (Ed.), The Philosophy of Karl Popper, La Salle (Ill.), The Library of Living Philosophers, 1974.

§§ 8.3. Per quanto riguarda Ernst CASSIRER (Breslavia, 1874 -

New York, 1945), professore ad Amburgo, Göteborg, Harvard, la Filosofia

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delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1961, 4 vv., è la traduzione di Philosophie der Symbolischen Formen, Oxford, Bruno Cassirer, 1923, 3 vv., tutte dedicate alla teoria della conoscenza (radicate in Substanzbegriff und Funktionsbegriff, Berlino, 1910, poi approfondite in Zur Einsteinschen Relativitätsheorie, Erkenntnistheoretische Betrachtun-gen, Berlin, 1921); rivelativo del resto il fatto che anche la Storia della filosofia moderna, Torino, Einaudi, 4 vv., 1954-58, sia in realtà Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neuren Zeit, Berlino, B. Cassirer, 1906, 1910II, la cui realtà viene ripresa, nell'edizione italiana, nei sotto-titoli dei volumi.

Le Forme simboliche sono di rilievo per motivi noti; ma per i temi di cui al presente saggio cfr. di volata i punti seguenti (si cita per brevità dalla traduzione italiana, con lievi modifiche):

" [nella] concezione pura del mondo, … tutte le particolarità risultanti

dalla considerazione del soggetto che coglie vengono eliminate. Una volta affermata e riconosciuta consapevolmente nella sua necessità questa esigenza, le Colonne d'Ercole poste dal linguaggio devono venire obbligatoriamente esaminate. Solo con questo passaggio si dischiude per la prima volta il campo della vera e rigorosa "scienza". Nei suoi segni simbolici e nei suoi concetti è cancellato tutto ciò che possiede un semplice valore espressivo. Qui deve "pervenire al linguaggio" non più un singolo soggetto, ma la cosa in sé.". Si perde così in significato individuale e in aderenza alla vita, ma si guadagna in vastità, validità, universalità, e quest'ultima supera le differenze "non solo individuali, ma anvche nazionali". La pluralità di "lingue" viene sostituita dalla characteristica universalis, "che viene vagheggiata quale lingua universalis. "In tal modo ci troviamo per la prima volta all'origine della conoscenza matematica e fisico-matematica." (vol. III, t. 2, p. 80);

"Le [mie] ricerche prendevano le mosse dal fatto che la struttura fondamentale della conoscenza e la sua legge costitutiva possono venire indicate nel modo più chiaro e più preciso là ove essa abbia raggiunto il più alto grado di "necessità" e di "universalità". Perciò questa legge venne cercata nel campo della matematica e della scienza matematica della natura, nei fondamenti dll'<oggettività> fisico-matematica. (…). La Filosofia delle Forme Simboliche ha oltrepassato questa problematica … riguardo sia al contenuto sia al metodo. Essa ha allargato lo stesso concetto-base di <teoria>, cercando di dimostrare che vi sono elementi e motivi formali di carattere puamente teoretico che dominano non solo nell'elaborazione della <visione scientifica del mondo>, ma già della <visione naturale del mondo>, cioè della visione del mondo propria della percezione e dell'intuizione." (vol. III, t. 1, Prefazione, p. XI);

"per la fondazione metodica delle Scienze dello Spirito, anziché indagare semplicemente i presupposti generali della conoscenza scientifica del

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mondo, occorreva passare a definire —e a delimitare reciprocamente— le varie forme fondamentali dell'<intelligenza del mondo>, cogliendo più precisamente possibile ciascuna di esse nel suo intento peculiare e nella sua forma spirituale specifica. Solo quando una tale <morfologia dello Spirito> fosse stata ben salda … si poteva sperare di trovare, anche per le singole scienze dello Spirito, una chiara prospettiva metodologica e un principio sicuro per la loro fondazione." (vol. I, Prefazione, p. XI).

La cit. di Varé è da D. VARÉ, Il diplomatico sorridente, Milano, Mondadori, 1941.

Nella linea HUSSERL-HEIDEGGER assai rilevante il cit. H.G. GADAMER, Wahrheit and Methode, in particolare appunto le pp. 361-465, culminanti nel tema di "linguaggio quale orizzonte ermeneutico". Il successivo riferimento berensoniano allude ai "ricercatori di novità, di quel mai visto o Nichtdagewesen rovina di tanti begli ingegni al giorno d'oggi".

In tema di linguistica nel senso del testo, dati per noti i classici tedeschi dell'Ottocento, e i francesi del Novecento da de SAUSSURE, BENVENISTE, FOUCAULT, cfr. in particoare gli importanti (e dimenticati) J.H. TOOKE, The Diversions of Purley, Philadelphia, Duane, 1807, 2 vv.; G. CRABB, English Synonims, Londra, Baldwin, Cradock and Joy, 1826; H.L. MENCKEN, The american Language. An Inquiry into Development of English in the United States, N.Y., Knopf, 1923.

I temi del paragrafo riportano in fondo alla <controversia metodolo-gica> (Methodenstreit) fra Carl MENGER (1840-1921) e Gustav SCHMOLLER (1838-1917)(e successori) sul ruolo fra l'altro degli a-priori, delle inferenze, delle empirie nell'eventuale passaggio alla applicazione delle deduzioni dagli a-priori; sul punto sembra la trattazione migliore sia ancora G. RITZEL, Schmoller versus Menger, Offenbach, Bollwerk-Verlag, 1951.

In tema di metodo nelle scienze economiche —oltre a quanto già ricordato ai §§ 3. e 6., all'Epistemologia di v. MISES, ai lavori noti di L. ROBBINS (1932), M. FRIEDMAN (1953), D. McCLOSKEY, The Rethoric of Economics, "The Journal of Economic Literature", n. 2-1983, pp. 481-517, e in fondo nell'inutilità di rinvìi analitici in questa sede—, cfr. oggi, pur con contributi variamente differenziati, <The Journal of Economic Methodology>, e per taluni aspetti gli Atti della Schumpeter Society.

§§. 8.4. Per quanto riguarda MACH, POINCARÉ (La science et

l'hypothèse), le condizioni di HEMPEL-OPPENHEIM, il principio di permannza delle regole di calcolo di BOHR-HANKEL, il rinvìo oggi più immediato e pratico è a Wikipedia.

§§ 8.5. I lavori di TOCQUEVILLE, GUIZOT, Max WEBER,

Gaetano MOSCA, V. PARETO (in particolare il Trattato di sociologia)

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sono qui dati per noti, e altrettanto per Vance PACKARD, sempre tradotto in italiano, sin dagli anni '50, per i tipi di Einaudi, Torino. Di M. CURTI cfr. The Growth of American Thought, New York, Harpers and Brothers, 1951II.

In tema di Impero, ed ecumene, cfr. AA.VV. (a cura di L. ALZATI), Cristianità ed Europa. Miscxellanea di Studi in Onore di Luigi Prosdocimi, Roma-Freiburg-Wien, Herder, 1994-2000, 3 vv., in particolare vol. II, pp. 13-51, ove anche P. CATALANO, Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico, pp. 29-51.

Infine il lavoro di E. BADINTER, Les passions intellectuelles, Parigi, Fayard : vol. I, Désires de gloire (1735-1751), 1999; vol. II, L’exigence de dignité (1751-1762), 2002 ; vol. III, Volonté de pouvoir (1762-1778), 2007.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2006 AL 2009:

52- Cinzia DABRASSI PRANDI, Relationship e Transactional Banking models, marzo 2006.

53- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Federica LEVATO, Brand Extension & Brand Loyalty, aprile 2006.

54- Mario MAZZOLENI, Marco BERTOCCHI, La rendicontazione sociale negli enti locali quale strumento a supporto delle relazioni con gli Stakeholder: una riflessione critica, aprile 2006

55- Marco PAIOLA, Eventi culturali e marketing territoriale: un modello relazionale applicato al caso di Brescia, luglio 2006

56- Maria MARTELLINI, Intervento pubblico ed economia delle imprese, agosto 2006 57- Arnaldo CANZIANI, Between Politics and Double Entry, dicembre 2006 58- Marco BERGAMASCHI, Note sul principio di indeterminazione nelle scienze sociali,

dicembre 2006 59- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il debito pubblico italiano 1971-2005 nel-

l'apprezzamento economico-aziendale, dicembre 2006 60- Giuseppina GANDINI, L’evoluzione della Governance nel processo di trasformazione

delle IPAB, dicembre 2006 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Extension:

l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007

62- Francesca GENNARI, Responsabilità globale d’impresa e bilancio integrato, marzo 2007

63- Arnaldo CANZIANI, La ragioneria italiana 1841-1922 da tecnica a scienza, luglio 2007

64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la rendicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007

65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valutazione di un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007

66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria, dicembre 2007.

67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007.

68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007.

69- Anna CODINI, Governo della concorrenza e ruolo delle Authorities nell’Unione Europea, dicembre 2007.

70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al cliente nel settore della meccanica varia, dicembre 2007.

71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I principi contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007.

72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007.

73- Marta Maria PEDRINOLA, La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007.

74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi giuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008.

Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it

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75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza della marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008.

76- Alberto MARCHESE, Il ricambio generazionale nell’impresa: il patto di famiglia, maggio 2008.

77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, factoring e credito al consumo: business maturi e in declino o “cash cow”?, giugno 2008.

78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione dei mercati e sviluppo dell’economia cinese, giugno 2008.

79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008.

80- Guido ABATE, I fondi comuni e l’approccio multimanager: modelli a confronto, novembre 2008.

81- Paolo BOGARELLI, Unità e controllo economico nel governo dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008.

82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, imprese e sociologia dell’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008.

83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008.

84- Federico MANFRIN, La natura economico-aziendale dell’istituto societario, dicembre 2008.

85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT nei sistemi produttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008.

86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di compliance e responsabilità di governance, dicembre 2008.

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension, cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio 2009.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Giugno 2009

Paper numero 93

Arnaldo CANZIANI

LE RIVOLUZIONI ZAPPIANE- REDDITO, ECONOMIA AZIENDALE -

AGLI INIZI DEL SECOLO XXI

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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