ECONOMIA AZIENDALE

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PARTE PRIMA – IL SISTEMA AZIENDALE CAPITOLO 1 - L’IMPRESA COME SISTEMA SOCIALE APERTO 1.1 Gli elementi costitutivi dell’impresa come sistema sociale aperto L’impresa è: un sistema, cioè un insieme di elementi integrati ed interdipendenti economico, cioè finalizzato a soddisfare bisogni attraverso l’impiego di risorse limitate aperto, perché in costante rapporto di scambio con l’ambiente esterno dinamico, in quanto sistematicamente in evoluzione Gli elementi costitutivi dell’impresa sono l’elemento umano e i mezzi tecnici. La rilevanza dell’elemento umano fa sì che il sistema dell’impresa venga collocato fra i cosiddetti “sistemi sociali”. Gli input del sistema aziendale sono costituiti da: fattori produttivi influssi ambientali L’acquisizione dei fattori produttivi avviene attraverso lo scambio di mercato. Gli influssi ambientali possono alternativamente rappresentare: delle opportunità fornite dall’ambiente dei vincoli posti dall’ambiente Gli output del sistema aziendale sono rappresentati da: risultati del processo di trasformazione aziendale (prodotti e servizi) altri output dell’impresa verso l’ambiente 1.2 Gli scambi tra l’azienda ed il mercato Gli scambi di mercato avvengono nelle seguenti fasi: acquisizione dei fattori di produzione (es. materie, tecnologie, ecc.)

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PARTE PRIMA – IL SISTEMA AZIENDALE

CAPITOLO 1 - L’IMPRESA COME SISTEMA SOCIALE APERTO

1.1 Gli elementi costitutivi dell’impresa come sistema sociale aperto

L’impresa è:

un sistema, cioè un insieme di elementi integrati ed interdipendenti economico, cioè finalizzato a soddisfare bisogni attraverso l’impiego di risorse limitate aperto, perché in costante rapporto di scambio con l’ambiente esterno dinamico, in quanto sistematicamente in evoluzione

Gli elementi costitutivi dell’impresa sono l’elemento umano e i mezzi tecnici.

La rilevanza dell’elemento umano fa sì che il sistema dell’impresa venga collocato fra i cosiddetti “sistemi sociali”.

Gli input del sistema aziendale sono costituiti da:

fattori produttivi influssi ambientali

L’acquisizione dei fattori produttivi avviene attraverso lo scambio di mercato.

Gli influssi ambientali possono alternativamente rappresentare:

delle opportunità fornite dall’ambiente dei vincoli posti dall’ambiente

Gli output del sistema aziendale sono rappresentati da:

risultati del processo di trasformazione aziendale (prodotti e servizi) altri output dell’impresa verso l’ambiente

1.2 Gli scambi tra l’azienda ed il mercato

Gli scambi di mercato avvengono nelle seguenti fasi:

acquisizione dei fattori di produzione (es. materie, tecnologie, ecc.) vendita nel mercato della produzione effettuata costituita da beni o servizi acquisizione o rimborso di capitale (proprio o di credito)

CAPITOLO 2 – L’IMPRESA NEL SUO AMBIENTE

2.1 L’ambiente generale dell’impresa può essere:

fisico-naturale (fattori naturali e fattori sviluppati dall’uomo: clima, territorio, grado di urbanizzazione, ecc.)

culturale (livello di conoscenze e valori presenti di una determinata società: numero annuo di laureati, di diplomati, ecc., tasso di analfabetismo, religioni prevalenti, ecc.)

tecnologico (insieme delle conoscenze tecniche, fonti di energia, materie prime alternative, automazione della produzione, ecc.)

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sociale (stratificazione sociale della popolazione, mobilità sociale tra gli strati, problemi etnici e livelli di integrazione: es. single o famiglie)

economico (tipo di sistema economico: economia di mercato o economia collettivistica oppure economia mista, che è il sistema più diffuso). Elemento di maggior importanza per le imprese è rappresentato dalla natura e dalle forme specifiche con cui lo Stato interviene nelle attività economiche. Lo Stato individua di volta in volta i settori di attività economica che, per la loro importanza politico-sociale richiedono, da parte delle istituzioni pubbliche un opportuno quadro di regole e autorità preposte al controllo (ad es. settore radiotelevisivo, telecomunicazioni, mercati finanziari e il garante per l’editoria, antistrust, ecc.)

politico-legislativo (regime politico di un determinato Paese e suo ordinamento giuridico)

La situazione economica di un dato paese è rappresentata attraverso gli indicatori tipici della contabilità nazionale: prodotto nazionale lordo, reddito pro-capite, tasso di inflazione, situazione della bilancia dei pagamenti, ecc.

L’impresa, essendo uno strumento di produzione e di distribuzione di ricchezza, contribuisce a determinare in qualche aspetto il medesimo ambiente economico.

Chi ha capito l’ambiente ha tradotto l’idea in prodotto.

2.2 I settori (importante) fa domande

L’ambiente più specifico dell’impresa è il settore di attività economica.

Il settore può essere inteso come un aggregato di più imprese assimilabili sotto uno o più dei seguenti aspetti:

nei processi di acquisizione dei fattori produttivi (acquisizione delle fonti di energia, mercato delle materie prime, dei capitali e di acquisizione del lavoro)

nei processi economici di produzione dei beni o servizi (individuazione problemi specifici posti all’impresa dal mercato delle tecnologie, e dal mercato del lavoro)

nei processi economici di distribuzione dei medesimi beni o servizi (problemi posti all’impresa dai mercati di sbocco: sistema competitivo).

Il problema dell’individuazione del settore di appartenenza varia in rapporto a specifici obiettivi.

Il concetto di settore può anche essere preso a fondamento di decisioni pubbliche concernenti gli interventi di politica industriale. In queste circostanze si fa sovente riferimento ad un criterio merceologico di formazione dei settori per cui si parla di settore tessile, siderurgico, elettronico, ecc.

Nelle attività economiche caratterizzate da crisi strutturale occorre prevedere interventi di settore che riguardino un gran numero di imprese e di conseguenza si individuano dei maxi-settori (es. acciaio, energia, ecc.).

In altre situazioni gli interventi di settore riguardano imprese con il grado di omogeneità più elevato (es. settore delle macchine utensili, settore meccanico, ecc.).

Dal punto di vista della singola impresa questi interventi di politica industriale diventano rilevanti quando essa si trova inserita in un settore oggetto di provvedimenti di vario genere (agevolazioni, aggravi fiscali, finanziamenti a tasso agevolato, restrizioni creditizie, prezzi controllati, ecc.).

All’interno del settore ci possono essere più aree strategiche su cui operare (ad es. ASA area strategica di affari: specifica area competitiva).

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2.2.2 I mercati

I mercati di acquisizione dei fattori produttivi sono i seguenti:

- mercato del lavoro- mercato delle tecnologie- mercato delle materie prime- mercato delle fonti di energie- mercato dei capitali

I mercati di sbocco possono essere considerati nei seguenti modi:

- mercato come insieme di scambi- mercato come insieme di relazioni

Nel mercato come insieme di scambi il modello di riferimento è quello “della concorrenza perfetta”

Nel mercato come insieme di relazioni si tende ad esaminare il sistema coordinato di scambi che può dare origine a forme di collaborazioni più stabili (es. accordi con i fornitori, comakership, ecc.)

2.3 I bisogni: la domanda e l’offerta

L’impresa può assumere i seguenti atteggiamenti:

orientamento alla produzione: quando c’é un eccesso di domanda sull’offerta orientamento al prodotto: ricerca di un più elevato livello qualitativo del prodotto stesso orientamento alla vendita quando c’è un eccesso di offerta sulla domanda orientamento al mercato: quando l’impresa subordina i propri comportamenti ai bisogni espressi

dal mercato. Questa è la situazione tipica delle imprese strutturate come “sistemi sociali aperti” che agiscono con un forte orientamento all’ambiente circostante.

L’analisi da parte dell’impresa dei propri mercati specifici deve sempre considerare i seguenti elementi:

domanda offerta collegamenti tra domanda e offerta

La domanda è rappresentata dall’insieme dei soggetti che, in un dato momento, esprimono un bisogno specifico da soddisfare.

L’offerta è rivolta al soddisfacimento del bisogno specifico suddetto.

I collegamenti tra domanda e offerta riguardano le modalità di incontro tra domanda ed offerta (es. canali di distribuzione).

L’analisi operativa dei mercati di sbocco deve tenere conto delle diverse modalità di soddisfacimento di un medesimo bisogno:

1. bisogno soddisfatto con beni identici. L’analisi della domanda e dell’offerta è effettuata facendo riferimento all’intero mercato specifico in regime di “concorrenza perfetta”. Il prezzo viene determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta in corrispondenza di un dato volume di produzione.

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2. bisogno soddisfatto con beni dello stesso tipo ma con caratteristiche differenti. In questo caso occorre analizzare il mercato attraverso la costruzione di un’opportuna curva di domanda stratificata in vari segmenti ed analizzare ogni segmento della curva medesima (es. domanda di acque minerali della fascia di prezzo da 1 euro a 2 euro, da 3 euro a 4 euro, da 5 euro a 6 euro e così via).Ogni segmento di mercato è costituito dall’insieme dei soggetti che richiedono beni o servizi dello stesso tipo ma di diverso livello qualitativo e di prezzo rispetto ai soggetti degli altri segmenti.(figura 2.3 pag. 23).

Il regime di mercato concorre a condizionare il comportamento dei singoli operatori e influisce direttamente sul meccanismo di formazione dei prezzi.

I regimi di mercato riguardano tutte le combinazioni possibili di incontro tra la domanda e l’offerta.

Con riferimento alla struttura dell’offerta i regimi di mercato si possono così raggruppare:

monopolio oligopolio concorrenza imperfetta

Il monopolio è caratterizzato dalla presenza di un unico venditore e può essere così suddiviso.

monopolio a domanda concorrenziale se esistono molti acquirenti monopolio a domanda oligopsonistica se esistono pochi acquirenti monopolio a domanda monopsonistica se vi è un solo acquirente

L’oligopolio è un regime di mercato in cui i venditori sono in numero ristretto ed in grado di condizionarsi a vicenda (es. le politiche dei prezzi di un’impresa influenzano le analoghe politiche delle altre imprese venditrici, ecc.)

Nel regime di concorrenza imperfetta esiste una pluralità di imprese offerenti ed i condizionamenti reciprochi sono praticamente inesistenti.

I margini di manovra di cui ogni impresa offerente dispone nell’attuazione della propria politica dei prezzi di vendita risultano più ampi nei regimi di mercato in cui ci siano:

pochi venditori e molti acquirenti ( oligopolio a domanda concorrenziale imperfetta) molti venditori e molti acquirenti (concorrenza bilaterale imperfetta).

3. bisogno soddisfatto con beni di tipo diverso. Quando un medesimo bisogno può essere soddisfatto con beni diversi (es. bisogno di bere durante i pasti soddisfatto alternativamente mediante acqua potabile, acqua minerale, bibite, birra, vino, ecc.) oltre alle considerazioni fin qui ricordate occorrono ulteriori precisazioni:

l’impresa deve costruire tante curve di domanda quanti sono i beni di tipo diverso volti a soddisfare il medesimo bisogno (dell’acqua, del vino, delle bevande analcoliche, ecc.)

le indagini devono essere riferite ad ogni segmento o fascia di mercato di ogni prodotto l’ampiezza ed i confini di ogni segmento possono essere influenzati dai segmenti degli altri prodotti

che tendono a soddisfare il medesimo bisogno è necessario esaminare gli effetti provocati da ogni variazione dei prezzi degli indicati prodotti di

tipo diverso per cogliere la cosiddetta elasticità incrociata della domanda.

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L’esame di tutte le alternative dei propri prodotti verso un target specifico di potenziali consumatori avviene attraverso l’utilizzo di strumenti di gestione specifici ( customer satisfaction, ecc.)

CAPITOLO 3 – LE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA AZIENDA

3.1 La competitività

Le imprese operano sul mercato in regime di concorrenza, le aziende possono non operare in regime di concorrenza (ad es. Aziende Pubbliche, Università).

L’impresa municipalizzata opera solo sul Comune per il quale ha l’appalto.

3.2 L’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale

La competitività dell’impresa presuppone il raggiungimento e il mantenimento di situazioni di equilibrio quali:

1. equilibrio economico2. equilibrio finanziario3. equilibrio patrimoniale

L’equilibrio economico è misurato dalla relazione esistente tra:

a) flusso di costi, derivante dall’acquisizione dei fattori di produzioneb) flusso di ricavi originato dalla vendita dei prodotti e dei servizi ottenuti attraverso il processo di

trasformazione economica attuato dall’impresa.

L’impresa si trova in una situazione di equilibrio quando il flusso dei ricavi è durevolmente in grado di fronteggiare il flusso dei costi, garantendo inoltre un’adeguata remunerazione ai fattori produttivi (gli azionisti o i soci).

Quando il flusso di ricavi è maggiore del flusso dei costi si ha un utile d’esercizio.

Quando il flusso di ricavi è minore del flusso di costi si ha una perdita d’esercizio.

L’equilibrio economico deve essere raggiunto con la normale attività aziendale (o gestione corrente).

L’equilibrio finanziario

E’ la relazione tra i crediti e i debiti generati dai ricavi e dai costi.

Riguarda la relazione esistente tra:

a) flusso di entrate monetarieb) flusso di uscite monetarie

concerne anche:

a) gli investimenti aziendali esistenti in un dato momento b) le modalità di finanziamento, cioè di copertura, degli indicati investimenti

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L’impresa si trova in equilibrio quando il flusso delle entrate è costantemente in grado di fronteggiare il flusso delle uscite.

Le entrate monetarie possono essere originate dal flusso dei ricavi e dall’assunzione di finanziamenti (capitale di credito o capitale proprio).

Le uscite monetarie sono determinate dal flusso dei costi e dal rimborso dei finanziamenti.

Le entrate monetarie se superiori alle uscite monetarie determinano l’autofinanziamento dell’impresa in senso ampio.

La situazione finanziaria risulta equilibrata quando a investimenti duraturi corrispondono fonti di finanziamento a lungo periodo.

La necessità di finanziamenti è di norma legata alla circostanza che nel tempo i flussi di costi precedono i flussi di ricavi.

Le aziende che non sono in grado di autofinanziarsi in modo completo devono attingere a finanziamenti esterni quali i finanziamenti da capitale di debito (prestiti bancari, altri debiti) ed i finanziamenti con il vincolo del pieno rischio (es. apporti dei soci, ecc.).

L’impresa che in via normale non ha un equilibrio tra entrate e uscite monetarie può trovarsi in stato di insolvenza (impossibilità a far fronte agli impegni finanziari).

L’equilibrio patrimoniale

E’ l’equilibrio tra patrimonio netto e le immobilizzazioni (investimenti per es. un mutuo).

In tal caso il capitale proprio è in grado di finanziare l’impresa (almeno per il 50%).

Quando questa situazione si verifica si dice che l’impresa è adeguatamente capitalizzata.

Nel caso in cui i debiti siano troppo elevati rispetto al totale delle fonti di finanziamento (es. 80% di debiti e solo 20% di capitale proprio) si parla di impresa sottocapitalizzata.

Lo squilibrio è massimo quando l’impresa non ha più capitale proprio, ma solo debiti o, addirittura quando ha una situazione di deficit patrimoniale o capitale proprio negativo.

La situazione patrimoniale di un’impresa in funzionamento in un dato momento è determinata dai seguenti elementi.

Situazione patrimoniale precedente (all’1/1)Flussi finanziari e flussi economici dell’esercizio.

3.3 L’economicità, la liquidità e la solidità patrimoniale

L’economicità si riferisce ad un’impresa durevolmente in situazione di equilibrio economico tale da garantire con forza propria un’adeguata remunerazione a tutti i fattori impiegati nella produzione, senza ricorrere a sovvenzioni di terzi.

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La liquidità consiste nella capacità di far fronte in modo economico alle necessità finanziarie della gestione, cioè senza far ricorso a smobilizzi eccezionali o ad altre fonti straordinarie di finanziamento (ad es. vendere gli immobili per pagare gli stipendi ai dipendenti).

La solidità patrimoniale è misurabile dal rapporto tra il capitale proprio (o patrimonio netto) dell’impresa e il capitale di credito.

3.4 La redditività (o produzione di reddito)

La redditività è la capacità di produrre in modo stabilizzato nel tempo redditi sufficienti a remunerare i portatori di capitale proprio (es. i soci), dopo aver remunerato tutti gli altri fattori produttivi (es. lavoratori, capitale di debito, ecc.).

La redditività dell’impresa si basa su alcune condizioni operative e finanziarie:

1. condizioni di attività: identificazione del proprio business e del proprio mercato ed utilizzo delle proprie competenze distintive;

2. condizioni di efficienza: può essere interna (produttività) ed esterna (azioni nei mercati di acquisizione e di sbocco);

3. condizioni di elasticità: adattamento ai mutamenti d’ambiente, di settore e di mercato.

Il risultato di questi tre aspetti è il reddito operativo (dato dai ricavi meno i costi). Il reddito operativo prescinde dalla gestione finanziaria, da eventuali gestioni atipiche e da eventi straordinari.

Se al reddito operativo si uniscono i risultati della gestione finanziaria, della gestione atipica, della gestione straordinaria e gli oneri fiscali, si ottiene il reddito globale o reddito netto che è la base per finanziare il capitale a pieno rischio (patrimonio netto).

3.5 I sistemi aziendali a vitalità economica riflessa

Quando l’azienda non realizza in modo congiunto l’equilibrio economico, l’equilibrio finanziario e quello patrimoniale, attraversa un periodo di crisi che può riguardare uno o più degli aspetti suindicati.

L’impresa è competitiva solo se mantiene tutti gli equilibri della sua gestione con forza propria.

CAPITOLO 4 – IL BILANCIO D’ESERCIZIO

4.1 Il contenuto del bilancio d’esercizio

Il bilancio d’esercizio è il documento contabile di sintesi che espone la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica delle imprese.

Il contenuto del bilancio è obbligatorio nell’Unione Europea, per le società di capitali (S.p.A, S.r.l. e S.a.p.a.).

Il privato ha un sistema contabile economico-patrimoniale.

In Italia il bilancio d’esercizio è disciplinato dal codice civile e dalle norme fiscali in tema di imposte sui redditi.

I principali documenti che compongono il bilancio sono i seguenti:

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1. stato patrimoniale: rappresenta gli investimenti esistenti in un determinato momento ed il modo in cui tali investimenti sono stati finanziati (attraverso le passività e il patrimonio netto);

2. conto economico: contrappone i ricavi ed i costi di competenza di un determinato esercizio, misurando in tal modo l’incremento o il decremento che il patrimonio netto aziendale ha subito per effetto della gestione;

3. nota integrativa: spiega il contenuto delle voci di bilancio cioè delle voci dello stato patrimoniale e del conto economico.

4.2 Lo stato patrimoniale

Vedere figura 4.1 pag. 41.

Nell’attivo la distinzione fondamentale è tra:

1. Immobilizzazioni ovvero gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente;quei costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo amministrativo, ma manifestano i benefici economici in un arco temporale di più esercizi. Si tratta di elementi del capitale che, di norma, sono destinati a restare all’interno dell’impresa per lunghi periodi di tempo. I capitali impiegati nel loro acquisto o nella loro produzione sono destinati a rimanere investiti in essi in modo duraturo e il disinvestimento, che avviene in genere con la vendita, non può verificarsi in modo rapido ed economico. Le immobilizzazioni si distinguono in:

immobilizzazioni materiali; immobilizzazioni immateriali; immobilizzazioni finanziarie.

· Le immobilizzazioni materiali ed immateriali sono elementi del capitale che partecipano al processo tecnico-produttivo, mentre le immobilizzazioni finanziarie rappresentano una forma di investimento finanziario. Le immobilizzazioni materiali ed immateriali partecipano più volte al processo produttivo cedendo la propria utilità all’impresa in lunghi periodi di tempo (si pensi agli impianti, ai macchinari, ecc..). Per questa ragione esse prendono il nome di fattori produttivi a lungo ciclo di utilizzo. I costi sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi a lungo ciclo di utilizzo rappresentano dei costi pluriennali destinati a cedere la loro utilità all’impresa in vari esercizi. Questi costi concorrono alla formazione del reddito attraverso il procedimento contabile dell’ammortamento che consiste nella ripartizione del costo sostenuto per l’acquisizione dell’immobilizzazione, nell’arco della sua vita utile all’interno dell’impresa. La quota di costo che concorre alla formazione del reddito di ciascuno di tali periodi prende il nome di quota di ammortamento. Le immobilizzazioni si dividono in immobilizzazioni materiali e immobilizzazioni immateriali in base al requisito della materialità. Di conseguenza le immobilizzazioni materiali (ad esempio macchine, impianti, automezzi, ecc..) sono immobilizzazioni contraddistinte dal requisito della materialità, mentre le immobilizzazioni immateriali sono immobilizzi privi di consistenza fisica (ad esempio brevetti, costi di impianto ed ampliamento, avviamento, ecc..) Accanto alle immobilizzazioni materiali ed immateriali, troviamo le immobilizzazioni patrimoniali. Queste sono costituite da beni che rappresentano comunque un investimento durevole per l’impresa, ma che non sono destinati a partecipare al processo tecnico produttivo. Ad esempio sono immobilizzazioni patrimoniali i fabbricati detenuti dall’impresa per essere dati in locazione a terzi. Le immobilizzazioni patrimoniali sono beni non coinvolti nella gestione caratteristica dell’impresa, cioè

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beni che non sono coinvolti nelle operazioni che rappresentano l’attività peculiare e distintiva svolta dall’impresa. Le immobilizzazioni che partecipano al processo tecnico produttivo sono elementi del capitale che, normalmente, non sono destinati alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento di prodotti destinati ad essere collocati sul mercato. Per questa ragione, il valore che può essere attribuito loro nei bilanci d’esercizio delle imprese, non può essere realizzato, nella generalità dei casi, direttamente con la vendita futura se non in misura molto modesta. Il realizzo infatti, arriva tipicamente con i ricavi d’esercizio conseguiti durante la loro vita utile all’interno dell’impresa. Solo una parte molto modesta del loro valore è realizzata direttamente nel momento in cui l’immobilizzazione non è più utilizzata nell’impresa e viene dismessa.Poiché tali elementi del capitale sono destinati a restare all’interno dell’impresa per un lungo lasso di tempo, presumere quali potranno essere i valori realizzabili direttamente, al momento della loro dismissione, e indirettamente, attraverso il conseguimento dei ricavi d’esercizio nel corso della loro vita utile all’interno dell’azienda, risulta piuttosto difficoltoso. Infine, va osservato che l’appartenenza o meno di un bene alla categoria delle immobilizzazioni varia da azienda ad azienda e può variare, col tempo, anche all’interno della stessa azienda: essa, infatti, non dipende dalle caratteristiche oggettive del bene, bensì dalla destinazione economica del bene nell’azienda al momento esaminato.

2. attivo circolante ovvero gli elementi attivi del patrimonio che presumibilmente ritorneranno in forma liquida nel breve periodo, cioè che ritorneranno in forma monetaria in un tempo non superiore all’anno. più nello specifico le attività a breve sono costituite da liquidità immediate, liquidità differite e disponibilità (o magazzino). si tratta dunque di tutte quelle voci che entro l'esercizio potranno trasformarsi in liquidità.- la liquidità immediata comprende le voci che sono già moneta, come cassa e i saldi di conto corrente, e le altre attività in tutto assimilabili alla moneta poiché immediatamente trasformabili in moneta, come ad esempio i titoli di stato;- le liquidità differite comprendono invece i crediti di qualsiasi natura che si prevede vengano liquidati entro la fine dell'esercizio. Generalmente la maggior parte di questi crediti è costituita da crediti verso clienti;- magazzino, fra cui le rimanenze finali di esercizio e gli anticipi a fornitori.

Un’altra caratteristica delle voci dell’attivo è rappresentata dal fatto che i singoli elementi patrimoniali sono al netto delle eventuali “poste rettificative” (es. fondi di ammortamento, fondo svalutazione crediti, fondo svalutazione titoli, ecc.). Tali poste rettificative vengono iscritte in riduzione dei corrispondenti elementi dell’attivo.

Nel passivo la distinzione fondamentale è tra:

1. patrimonio netto2. fondi per rischi ed oneri3. debiti

4.3 Il conto economico

Vedere figura 4.2 pag. 42

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Il legislatore civile italiano ha scelto per il conto economico la struttura a scalare poiché è idonea a fornire una serie di risultati parziali il cui valore informativo è rilevante.

I risultati del conto economico sono i seguenti:

1. differenza tra valore e costi della produzione (reddito operativo);

2. risultato prima delle imposte, determinato dalla somma algebrica dei seguenti elementi:

differenza tra valore e costi della produzione (più o meno) proventi e oneri finanziari (più o meno) rettifiche di valore di attività finanziarie (più o meno) proventi e oneri straordinari

3. Utile (perdita) dell’esercizio, che viene anche iscritto nel patrimonio netto dello stato patrimoniale. Il calcolo dell’utile (o perdita) d’esercizio è il seguente:

risultato prima delle imposte meno: imposte sul reddito d’esercizio uguale: utile o perdita d’esercizio

4.4 La nota integrativa

La nota integrativa rappresenta ai sensi dell’art. 2423 del cod. civ. una delle componenti del bilancio d’esercizio.

Le informazioni contenute nella nota integrativa possono essere così raggruppate:

a) criteri di valutazione utilizzati nella redazione del bilancio d’esercizio;b) analisi delle voci dello stato patrimoniale;c) altre notizie integrative.

4.5 La relazione sulla gestione

L’art. 2428 del cod. civ. prevede che il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sulla situazione della società e sull’andamento della gestione con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti.

La relazione deve riguardare i vari settori in cui la società ha operato, ciò per indicare al lettore del bilancio quali settori hanno originato risultati positivi e quali hanno subito risultati negativi nel corso dell’esercizio.

Inoltre nella relazione devono essere fornite le seguenti informazioni.

1. le attività di ricerca e sviluppo 2. i rapporti con le imprese controllate, collegate e controllanti3. il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle azioni di società controllanti possedute

con l’indicazione della parte di capitale corrispondente4. il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle azioni di società controllanti acquistate o

alienate nel corso dell’esercizio con l’indicazione della parte di capitale corrispondente, e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni

5. i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio6. l’evoluzione prevedibile della gestione

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PARTE SECONDA – LE AREE FUNZIONALI DELL’AZIENDA INDUSTRIALE

CAPITOLO 1 – LE AREE FUNZIONALI DELL’AZIENDA: INTRODUZIONE

1.1 L’analisi dell’azienda per funzioni

L’analisi dell’azienda per funzioni è un modo di interpretare il funzionamento dell’azienda.

L’analisi dell’azienda per aree funzionali mostra analogie con il mondo biologico dove si distinguono la funzione respiratoria, la funzione digestiva, la funzione cardio-circolatoria e così via.

Tali attività esplicate dal corpo umano sono tanto essenziali quanto lo sono nel funzionamento dell’azienda la produzione , la commercializzazione, l’approvvigionamento dei fattori produttivi, ecc.

1.2 Tipologia delle aree funzionali

Le aree funzionali dell’azienda, con riferimento alle aziende industriali produttrici di beni, cioè quelle organizzazioni dove avviene una trasformazione fisica delle materie prime, sono le seguenti:

1. pianificazione strategica2. marketing3. produzione e logistica4. ricerca e sviluppo5. finanza6. organizzazione e personale7. amministrazione e controllo

Tali funzioni non si pongono sullo stesso piano ma esistono:

funzioni caratteristiche, cioè operative ed altre funzioni integrative o ausiliarie

Le funzioni caratteristiche sono le aree più direttamente rivolte al perseguimento degli obiettivi della gestione aziendale: tali sono il marketing, la produzione e logistica, e la ricerca e sviluppo.

Si tratta delle funzioni con cui si concretizza l’oggetto tipico dell’attività aziendale (ad es. la ricerca per l’industria farmaceutica)

Le altre funzioni hanno un carattere integrativo e di supporto , ma non per questo meno importante, e concernono attività alquanto disomogenee: come l’acquisizione dei fattori produttivi e loro corretta gestione (ad es. organizzazione e gestione del personale), produzione di informazioni sull’andamento futuro della gestione e sulla compatibilità di questo con gli obiettivi aziendali , nonché sull’andamento della gestione trascorsa a sui suoi risultati ( come nel caso della pianificazione strategica e dell’amministrazione e controllo di gestione).

La ricerca e sviluppo si occupa di innovazione, cioè di creazione di nuovi prodotti e di nuovi processi produttivi. Tale esigenza è tanto più pressante quanto più i mercati si evolvono con la richiesta di prodotti sempre nuovi e in presenza di un elevato grado di evoluzione tecnologica. E’ imprescindibile in settori come l’elettronica, nelle telecomunicazioni, nella farmaceutica, ecc.

Il marketing studia le esigenze presenti e future dei clienti, si attiva perché all’interno dell’azienda tali bisogni siano recepiti e appagati con la realizzazione di prodotti idonei e materialmente acquisisce gli ordini

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della clientela. E’ la funzione che più di ogni altra deve garantire un efficace orientamento del mercato, ma anche una puntuale soddisfazione del cliente.

La produzione e logistica riguarda l’area funzionale dove si trasformano le materie prime in prodotti finiti.Alla produzione in senso stretto spesso si associa la logistica che è la funzione che si occupa della movimentazione dei materiali dal fornitore ai magazzini aziendali, ai reparti produttivi, ai magazzini dei prodotti finiti, al cliente finale.

La finanza ha il compito di reperire i mezzi finanziari occorrenti per l’acquisto dei fattori produttivi e contribuire al corretto impiego degli stessi. Con il fattore capitale si acquistano tutte le risorse aziendali specifiche (materie prime, macchinari, personale, know-how (competenze). La finanza aziendale intrattiene quindi intensi e sistematici rapporti con il mercato dei capitali, dove operano le banche, la borsa e gli altri finanziatori potenziali dell’impresa.

La funzione di organizzazione e di gestione del personale si occupa del fattore produttivo lavoro, sia a livello direzionale che a livello esecutivo (operaio e impiegatizio).In particolare l’organizzazione dà all’azienda la sua struttura organizzativa, dividendo il lavoro tra le persone e coordinando l’operato di queste ultime.La gestione del personale provvede all’acquisizione delle risorse umane occorrenti e alla loro gestione, alla valutazione delle prestazioni, alle politiche retributive, all’incentivazione, alle relazioni sindacali.

La pianificazione strategica si materializza nella predisposizione di piani pluriennali (piani strategici) rivolti al raggiungimento di precisi obiettivi. Con la pianificazione strategica ci si propone di razionalizzare la gestione aziendale, allontanando il rischio di operare a compartimenti stagni e di vivere alla giornata senza un disegno preordinato e lungimirante.

Il controllo di gestione e l’amministrazione vengono a volte associati in quanto hanno la funzione di produrre informazioni specialmente di tipo economico-finanziario. Il controllo di gestione ha come destinatario delle proprie informazioni il management aziendale (coloro che devono prendere decisioni e rispondere dei risultati). L’amministrazione in senso stretto si occupa di contabilità e di bilancio d’esercizio.

1.3 L’analisi per funzioni: pregi, limiti e approcci alternativi

I pregi dell’impostazione funzionale sono l’omogeneità delle conoscenze e degli strumenti impiegati in ciascuna area funzionale, la chiarezza, con cui sono delineabili i relativi confini, l’efficienza che si consegue riunendo nel medesimo organo gli specialisti della stessa “famiglia” professionale.

Le critiche sono quelle per cui l’impostazione per aree funzionali di un’azienda può risolversi in una conduzione dell’impresa a compartimenti stagni e frammentata con il rischio di perdere di vista gli obiettivi globali della gestione, nel tentativo di ottimizzare i risultati strettamente funzionali. Un esempio di questo problema si ha quando il marketing, nello sforzo di aumentare il volume di affari, acquisisce ordini dalla clientela senza preoccuparsi della solvibilità della medesima perché questa è una faccenda che riguarda gli amministrativi e quelli della finanza, con il risultato di squilibri finanziari insopportabili.

Per superare i limiti di una visione e di una gestione troppo settoriale dell’azienda, molti studiosi di economia aziendale e di management, hanno proposto modelli teorici e approcci operativi diversi dalla classica impostazione per aree funzionali.

L’approccio alternativo più noto è quello per processi, si tratta di un’impostazione che pone al centro dell’attenzione degli insiemi di attività di un obiettivo comune, cioè dei sub-sistemi omogenei nel traguardo più che nelle conoscenze tecniche. Tali sub-sistemi sono, per l’appunto, i processi caratterizzati sovente dal fatto che attraversano i confini delle aree funzionali. Tra i processi più comuni e ricorrenti di

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processi vi è la gestione dei crediti commerciali, finalizzata all’incasso tempestivo dei crediti verso i clienti,. Si tratta di un processo interfunzionale perché comporta la soluzione di problemi commerciali, finanziari e amministrativi.

CAPITOLO 2 – LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA

2.1 Generalità

La pianificazione strategica è una funzione unificante. Con essa si mira a:

a) formulare in maniera esplicita e precisa gli obiettivi di lungo termine della gestione aziendale;

b) formulare le scelte strategiche (cioè le più importanti della gestione) adatte al raggiungimento di tali obiettivi;

c) formulare i piani d’azione necessari per tradurre in pratica le intenzioni strategiche.

E’ una funzione che consiste nel proiettare l’azienda nel futuro lontano per sottrarla al rischio di vivere alla giornata, di mirare a vantaggi solo immediati, di privilegiare gli obiettivi di particolari aree funzionali, a scapito dell’equilibrio complessivo.

Esiste un nesso logico ed una continuità cronologica tra la funzione di pianificazione strategica e il controllo di gestione che è la funzione con cui si accerta nel breve periodo il grado di raggiungimento attuale degli obiettivi e della possibilità di raggiungerli.

Le scelte strategiche sono una delle due grandi categorie di decisioni in cui si possono distinguere le deliberazioni prese dalla direzione. Le altre decisioni sono quelle operative o di gestione corrente, cioè servono a rendere concrete le scelte strategiche e dare loro attuazione. Ad esempio decidere quali tipi di clientela servire e con quali prodotti è una scelta strategica; stabilire il prezzo di vendita di tali prodotti su tali mercati per il prossimo anno è una decisione operativa.

La linea di confine tra le due classi di decisioni è spesso molto labile ma si può dire che per attuare le decisioni più importanti occorre di solito prenderne numerose altre via via più operative.

Normalmente nella prassi aziendale i piani strategici si estendono ad un periodo che va dai tre ai cinque anni.

La durata da tre a cinque anni è dovuta dal fatto che in questo lasso temporale la direzione può valutare l’impatto delle scelte sul profilo economico e finanziario della gestione.

Il controllo strategico, differisce dal controllo di gestione, dovrebbe svolgersi ogni qual volta un significativo mutamento di scenario lo imponga (ad es. per effetto di una nuova norma, dell’ingresso di nuovi concorrenti, ecc.). Il controllo strategico avviene spesso a cadenze più regolari rispetto al controllo di gestione.

Uno dei rischi che gravano sulla pianificazione strategica è che essa si traduca in un voluminoso documento ricco di numeri, di grafici e di buone intenzioni, ma povero di indicazioni concrete su come, quando, e con quali risorse attuare le scelte strategiche. A ridurre tale rischio provvede quella fase della pianificazione strategica che consiste nel costruire precisi piani d’azione e progetti.

Tali piani costringono a fare i conti con le risorse disponibili e con i vincoli ambientali.

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2.2 Le fasi della pianificazione strategica

La pianificazione strategica è scomponibile nelle seguenti fasi:

a) analisi della situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzioneb) determinazione degli obiettivi di fondo della gestionec) definizione delle regole di comportamento verso gli stakeholdersd) definizione dei business in cui operare e) analisi del profilo competitivo di ciascun businessf) individuazione delle alternative strategiche (missione) di ciascun business e decisioni conseguentig) formulazione della strategia complessiva di “portafoglio”h) pianificazione operativa

Vedere figura 2.1 pag. 59 – Fasi del processo di pianificazione strategica

2.3 Analisi della situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzione

Questa fase tende ad identificare le principali condizioni, economiche, politiche, sociali, tecnologiche e d’altra natura dell’ambiente generale e di quello specifico in cui agisce l’azienda.

Attraverso l’analisi della situazione nazionale e internazionale si tenta di delineare le probabili tendenze evolutive dei sistemi socio-economico-politici di riferimento.

E’ possibile dare una quantificazione della situazione presente e degli scenari futuri attraverso opportuni indicatori quali:

tassi di crescita del prodotto nazionale lordo; tassi di inflazione; tassi di interesse; tassi di cambio delle valute estere di riferimento; tassi salariali; prezzi delle principali materie prime e risorse energetiche tassi di crescita della popolazione, ecc. ecc.

Nell’analisi dello scenario è importante evidenziare i vincoli e le opportunità di carattere generale che si prospettano nei confronti dell’azienda come norme anti-inquinamento, norme anti trust, esigenze di tutela dell’occupazione o di particolari categorie sociali, vincoli alla localizzazione produttiva, opportunità di ricorso al credito agevolato, di assunzione del personale a tempo determinato, ecc.,ecc.

2.4 Determinazione degli obiettivi di fondo della gestione

Una volta delineato il macro-scenario di riferimento si dovrebbero formulare gli obiettivi cui tendere nel medio-lungo periodo abbracciato dalla pianificazione.

Tali obiettivi presentano alcune caratteristiche importanti:

sono obiettivi della gestione globale dell’azienda; hanno natura economico-finanziaria; vengono perseguiti nel lungo periodo; vanno esplicitati con precisione e quantificati (occorre pertanto individuare l’indicatore con il

quale misurare la redditività: ad es. il raggiungimento entro un certo arco di anni di un tasso di redditività del capitale azionario del 10%).

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La natura economico finanziaria di tali obiettivi dipende dalla circostanza che le aziende di cui ci occupiamo sono orientate al conseguimento di risultati economici e finanziari predeterminati (profit oriented).

I principali tipi di obiettivo della gestione strategica riscontrabili nella realtà aziendale sono:

redditività (attitudine a dare remunerazione congrua e soddisfacente al fattore capitale, in particolare al capitale azionario)

creazione di valore economico (incremento del valore economico del capitale azionario. Differisce dall’obiettivo precedente perché mette l’accento sul valore economico dell’azienda più che sul suo reddito)

sviluppo (aumento del volume d’affari, valore aggiunto economico ed extra-economico, ecc.).

Si ricorda che potrebbe coesistere una pluralità di obiettivi da perseguire (redditività, equilibrio finanziario e di sviluppo). La co-presenza di tali traguardi impone un’attenta verifica della reciproca compatibilità e una chiara definizione dei collegamenti esistenti.

2.5 Definizione delle regole di comportamento verso gli stakeholders

Gli stakeholders sono le diverse categorie di soggetti che, a vario titolo, risultano interessati alle vicende aziendali (azionisti, dipendenti, fornitori, banche, fisco, clienti, istituzioni, ecc.).

Verso costoro l’azienda deve decidere in base ad un disegno consapevole e lungimirante quale comportamento tenere o a quali politiche ispirare le proprie scelte.

Tali comportamenti di fondo possono ad esempio riguardare:

la struttura finanziaria e il grado di indebitamento la politica dei dividendi le politiche occupazionali e l’atteggiamento verso i sindacati il tipo di collaborazione con i fornitori l’atteggiamento verso determinate istituzioni pubbliche

Le scelte in oggetto non si traducono in valutazioni quantitative ma costituiscono delle linee-guida su cui si fondano le decisioni di strategia vere e proprie.

2.6 Definizione dei business in cui operare

Questa è la fase che segna l’inizio della formulazione delle scelte strategiche vere e proprie, denominate business o aree strategiche d’affari (A.S.A.).

Occorre decidere innanzitutto che cosa produrre e per chi nell’ambito dei macro-oggetti di attività aziendale (es. produzione di elettrodomestici) già prescelti.La scelta può anche tradursi nella conferma dei business specifici in cui l’impresa è già impegnata, ma in ogni caso tale scelta deve essere periodicamente messa in discussione se l’azienda non vuole perdere competitività.

La definizione del business comporta delle scelte in merito a:

prodotti da realizzare in relazione alle funzioni d’uso che i beni o servizi possono soddisfare (si parte dalla conoscenza dei bisogni da soddisfare e ci si interroga sulla tipologia dei prodotti con cui è possibile appagare tali bisogni e poi si sceglie)

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mercati da servire sia in termini di classi o segmenti di clientela, sia come aree geografiche (ad es. azienda farmaceutica che vende prodotti da banco può optare per uno o più di queste classi di clienti: farmacie, ospedali, grande distribuzione)

tecnologie con cui la produzione in oggetto sarà realizzata (riguarda il “come” produrre con know how, quantità e qualità di risorse, metodologie produttive, ecc.)

grado di integrazione verticale di attuazione delle attività richieste dalla produzione aziendale (si tratta di stabilire se le produzioni prescelte saranno realizzate in tutte le loro fasi all’interno dell’azienda o se saranno “delegate” ad altre aziende specializzate).

2.7 Analisi del profilo competitivo di ciascun business

Significa che l’azienda deve valutare i propri punti di forza e di debolezza nei confronti del leader di mercato (vantaggio competitivo naturale del business), fattori critici di successo (variabili da cui dipende il successo relativamente a quel business, individuazione delle azioni idonee a consolidare i punti di forza e a correggere i punti di debolezza (studio accurato della concorrenza, analisi del proprio portafoglio fornitori, ecc.).La valutazione dei punti di forza e debolezza comporta non solo la conoscenza di se stessi, ma anche lo studio accurato della concorrenza. In questo modo si dovrebbe acquisire una chiara consapevolezza del nostro posizionamento competitivo, soprattutto nei confronti dei concorrenti più forti.Per esempio se si accerta che il numero mix dei fornitori di una certa materia prima è una variabile critica su cui siamo svantaggiati rispetto ai concorrenti perché ci rivolgiamo ad un numero limitato di fornitori, questa è la premessa per avviare una politica di riequilibrio del nostro portafoglio fornitori, estendendone il numero per evitare di trovarsi in serie difficoltà per l’esaurirsi delle nostre fonti di approvvigionamento.

2.8 nel linguaggio della pianificazione strategica per missione di un business s’intendono le fasi di un ideale ciclo evolutivo che caratterizza quel business.

Tali fasi sono contraddistinte da differenti gradi di aggressività verso il mercato e da differenti impegni finanziari. Esse possono classificarsi nel modo seguente:

ingresso sviluppo difesa o sfruttamento disinvestimento

e corrispondono alle fasi di ciclo di vita del prodotto che compongono il business considerato: un prodotto viene introdotto sul mercato, poi si sviluppano le sue vendite, poi entra in una fase di maturità, quindi diventa obsoleto ed è prossimo all’uscita dal mercato.

Vedere figura 2.2 di pag. 68

Tipici strumenti utili per identificare le alternative strategiche di business e per orientale le scelte sono le cosiddette matrici di attrattività-posizionamento che tentano di definire per ogni business aziendale la sua attrattività, in funzione del tasso di crescita del corrispondente mercato e il posizionamento dell’azienda , in base alla sua quota di mercato.

Il tasso di crescita del mercato segnala se le vendite del prodotto sono in crescita o stagnanti: nel primo caso conviene investire ulteriori mezzi finanziari nel business, nel secondo caso no.

La quota di mercato, data dalla percentuale delle vendite della nostra azienda sul totale delle vendite di mercato, indica se rispetto ai leader di mercato siamo più o meno forti. Se il business è caratterizzato da prospettive di basso sviluppo del mercato e da una quota di mercato elevata

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rispetto alla concorrenza, si rivelerà opportuno adottare strategie difensive o di sfruttamento, mentre il potenziamento del business o il disinvestimento e l’uscita dal mercato possono reputarsi alternative inadatte (la prima) e premature (la seconda).

Vedere figura 2.3 pag. 69 - Matrice di posizionamento-attrattività

In ogni quadrante compare anche il presumibile rapporto esistente tra costi e ricavi.

Le matrici di posizionamento-attrattività servono per stimolare riflessioni non sono ricettari di regole di comportamento preconfezionate.

2.9 Definizione della strategia di portafoglio del business

Per portafoglio business si intende l’insieme delle aree strategiche d’affari in cui l’azienda si è impegnata. Le scelte di portafoglio mirano a combinare i vari business in modo equilibrato e coordinato, soprattutto in senso economico-finanziario.

Un portafoglio business è equilibrato quando i vari business:

a) non si trovano tutti oggi e domani nella stessa fase del ciclo evolutivo del prodotto (cioè tutti nella fase dell’introduzione e dello sviluppo)

b) si trovano in fasi tali da consentire di finanziare con i mezzi ricavabili da taluni business i fabbisogni di capitale che altri business richiedono.

Le scelte di portafoglio implicano la necessità di studiare con largo anticipo il lancio e l’eliminazione dei prodotti evidenziando che cosa produrre, per chi, come, ma anche quando.

Vedere figura 2.4 pag. 71 Pianificazione della successione temporale delle curve evolutive del prodotto.

La definizione del portafoglio business è una fase molto importante perché si valutano le azioni che possono dare all’impresa l’equilibrio economico-finanziario di lungo periodo.

2.10 Pianificazione operativa

Con la pianificazione operativa si tenta di minimizzare il rischio che la pianificazione di lungo periodo resti priva di efficacia per mancanza di indicazioni concrete, e si concretizza quindi il disegno strategico in precisi programmi e progetti che indicano la fattibilità finanziaria, i tempi di esecuzione, quali organi dell’azienda saranno chiamati in prima persona ad attuare i piani.

La pianificazione operativa è anche il trait d’union tra pianificazione strategica in senso stretto e controllo di gestione.

Una volta stesi i piani operativi di ampiezza pluriennale, si redige il programma operativo annuale che è il budget.

Nelle aziende con struttura funzionale il piano operativo si articola in piani di funzione di questo tipo:

piano commerciale piano di produzione

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piano di ricerca e sviluppo piano del personale ecc.

La pianificazione operativa dovrebbe dividersi nelle seguenti fasi:

formulazioni di piani strategici miranti a disciplinare l’innovazione e il cambiamento (progetti riguardanti il lancio di nuovi prodotti, la riorganizzazione della rete di vendita, l’accordo con certi fornitori, ecc.)

formulazione di piani di gestione corrente miranti a disciplinare la continuità (assunzione di personale qualificato, interventi di manutenzione programmata, modificare la politica dei prezzi di vendita, ecc.)

formulazione di piani operativi in senso stretto (consolidamento dei vari progetti in un unico documento).

Il piano operativo si concretizza in un bilancio preventivo di ampiezza pluriennale, articolato nelle parti seguenti:

conto economico; stato patrimoniale; prospetto dei flussi finanziari

Questo bilancio preventivo contiene valori aggregati, cioè non così analitici come avverrà in sede della costruzione del budget.

2.11 Pianificazione di lungo periodo e strategia

I principali tipi di strategia perseguiti dalle aziende nelle scelte di lungo periodo sono le seguenti:

a) strategie fondate su prodotti e linee di prodotto esistenti. Frequentemente si adottano nelle fasi iniziali di vita aziendale e consistono nell’espandere le vendite e la capacità produttiva senza entrare in nuove produzioni. Si opera sui mercati abituali o si entra in nuovi mercati;

b) strategie fondate su prodotti nuovi nell’ambito della linea o delle linee esistenti. Si sostituiscono i prodotti vecchi con quelli più evoluti;

c) strategie fondate su nuove linee di prodotto, collegate a quelle esistenti. Si parla in questo caso di integrazione verticale (ad es. produzione di materiali che servono per ottenere i prodotti già presenti: ad esempio un’azienda che opera nel settore dell’abbigliamento che entra nella produzione anche dei tessuti) o di integrazione orizzontale (produzione di prodotti collegati: ad esempio un produttore di costumi da bagno che offre sul mercato anche occhialini da nuoto).

d) strategie fondate sull’avvio di nuove linee di prodotto, non collegate a quelle esistenti

CAPITOLO 3 – IL MARKETING

3.1 Il marketing e la sua evoluzione

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Il marketing è l’insieme di attività o di processi che servono a promuovere un prodotto, distribuirlo e consegnarlo, sostenendo idee o affermando valori nella società. Può avere o non avere come obiettivo il profitto.

Il marketing ha l’obiettivo di soddisfare le esigenze di persone o di organizzazioni: abbraccia un campo molto ampio perché comprende le esigenze di prodotti tangibili, di servizi, di idee politiche e religiose, o di combattere i pregiudizi.

Si possono distinguere quattro stadi di evoluzione del concetto di marketing:

1) L’obiettivo è produrre – si ha quando c’è un aumento della domanda. Ciò che conta in questa fase è produrre di più e consiste nella vendita e nella distribuzione fisica del prodotto. La concorrenza è modesta.

2) L’obiettivo è vendere – ciò avviene quando la domanda è limitata e per vendere è necessario sottrarre quote di mercato ai concorrenti mediante tecniche aggressive quali manovre dei prezzi, promozione e nuovi metodi di distribuzione,

3) Le esigenze del consumatore – si afferma il principio che qualsiasi programma di marketing debba partire dall’esame delle esigenze del compratore e dei modi per soddisfarle (marketing oriented). Le varie componenti di marketing devono essere tra loro integrate: analisi della domanda, sviluppo dei prodotti, prezzi, distribuzione, promozione.

4) Responsabilità sociali – qui le imprese operano in presenza di un eccesso di offerta. Non basta tenere conto delle esigenze del compratore ma occorre anche seguire quanto fa la concorrenza. Si passa così dalle imprese marketing oriented alle imprese competition oriented.

3.2 Marketing, impresa e ambiente (importante)

L’ambiente esterno ha un impatto sull’impresa che determina le decisioni di marketing.

La variabilità dell’ambiente sull’impresa può essere di vari tipi: variabili sulle quali l’impresa ha il controllo diretto, variabili sulle quali l’impresa ha un controllo parziale e variabili che sfuggono totalmente al controllo.

Le variabili controllabili sono le risorse dell’impresa: le risorse finanziarie, umane, tecniche, ecc.

Nel marketing le variabili controllabili sono designate con l’espressione di marketing mix: prodotto, prezzo, distribuzione e promozione.

Una corrente di studi designa queste variabili con il termine di micro ambiente.

Le variabili parzialmente controllabili sono le politiche degli intermediari, dei fornitori, dei concorrenti e dei compratori. Sono rappresentate con vari modelli. Il più noto è il modello delle cinque forze di Porter:

1) le forze competitive sprigionate dalla rivalità tra imprese che si affrontano per conquistare migliori posizioni nel mercato e per acquisire vantaggi sui concorrenti;

2) le forze competitive che derivano dalla minaccia di entrata nel mercato di nuovi concorrenti

3) le forze che emergono dal potere di mercato dei fornitori dei fattori produttivi

Page 20: ECONOMIA AZIENDALE

4) le forze che emergono dal potere dei compratori

5) le forze che emergono dal confronto con i produttori di prodotti e servizi alternativi a quelli dell’impresa.

Le variabili che sfuggono totalmente al controllo dell’impresa sono numerose ma possono essere ricondotte alle seguenti: andamento demografico, dinamica e struttura sociale, cultura e tradizioni, situazione economica, tecnologia, ambiente naturale, politica e potere legislativo. A queste variabili si dà il nome di macro ambiente.

Vedere fig. 3.1 pag. 81 – le variabili del macroambiente

3.3. Strategie e piani di marketing

Le strategie di marketing sono il complesso di azioni coordinate che un’impresa realizza per raggiungere i propri obiettivi di marketing.

Tali obiettivi possono riguardare una linea di prodotti, un prodotto o una marca, oppure la combinazione di due o più di questi.

La strategia di marketing comprende le decisioni riguardanti due elementi fondamentali:

1. il target market: un insieme di compratori potenziali dalle caratteristiche omogenee ai quali l’impresa intende destinare la propria attenzione. Tale insieme di compratori costituisce un segmento di mercato ed è il bersaglio (target) delle azioni di marketing;

2. il marketing mix: un insieme di variabili controllabili da parte dell’impresa: prodotto, prezzo, promozione e distribuzione con le quali si intende raggiungere il target.

Un’impresa dovrebbe avere un piano di marketing per ogni strategia di marketing. Poiché il piano è soggetto alla dinamica delle variabili esterne, la pianificazione di marketing è un processo continuo.

La premessa di ogni piano di marketing è la proiezione sul marketing degli obiettivi e delle azioni decise nell’ambito della pianificazione strategica riguardante l’intera impresa.

Il piano di marketing si articola nei seguenti stadi:

1. Analisi delle opportunità

2. Valutazione e selezione delle opportunità

3. Segmentazione e selezione del target

4. Marketing mix

5. Controllo

6. Valutazione dei risultati

Vedere fig. 3.2 – Piano di marketing di pag 83

3.3.1. Analisi delle opportunità

Page 21: ECONOMIA AZIENDALE

Occorre definire il mercato dal lato della domanda.

Per mercato si intende un gruppo di compratori che hanno attese da soddisfare, hanno risorse disponibili, hanno intenzione di acquistare e costituiscono una domanda potenziale che l’impresa può alimentare traendone un profitto nel lungo termine.

Le imprese individuano il mercato rilevante ossia il mercato effettivamente raggiungibile per l’impresa in base alle opportunità offerte. Tale mercato non deve essere troppo grande per non indebolire l’impresa di fronte alla concorrenza, ma neanche troppo piccolo rispetto alle risorse disponibili.

La distinzione dei mercati basata sui confini degli stati sta lasciando il posto a mercati “regionali” ossia i mercati che abbiano analogie sociali ed economiche tra regioni di stati diversi.

Ansoff ha proposto un modello per l’individuazione di nuove opportunità che consiste nel combinare tra loro mercati nuovi e mercati esistenti e prodotti nuovi e prodotti esistenti.

Matrice di Ansoff (importante) fig. 3.3 pag. 85

PRODOTTI PRODOTTIESISTENTI NUOVI

MERCATI ESISTENTI

MERCATI NUOVI

Per ogni quadrante l’impresa adotta strategie di marketing diverse.

1. Penetrazione di mercato. L’impresa continua ad operare negli stessi mercati con gli stessi prodotti ma con politiche di marketing più aggressive: prezzi più bassi dei concorrenti, distribuzione capillare, promozione più efficace. (punto di forza è il prodotto)

2. Sviluppo del mercato. Senza modificare il prodotto l’impresa entra in nuovi mercati (classi di età diverse di compratori o nuovi mercati dal punto di vista geografico). Il punto di forza dell’azienda è la capacità di mantenere ampie quote di mercato.

3. Sviluppo di prodotto. Partendo dalle esigenze dei consumatori attuali si cerca di aumentare le vendite offrendo prodotti innovativi (punto di forza è il prodotto).

4. Diversificazione. Se si ritiene più opportuno entrare in un mercato con prodotti nuovi piuttosto che migliorare quelli esistenti. E’ l’opportunità più difficile da sfruttare.

Sviluppo di prodotto

Penetrazione di mercato

Sviluppo del mercato

Diverisificazione

1v

3v

2v

4v

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Tanto maggiore è la quota di mercato, tanto minori sono i costi della produzione e della distribuzione.

Tanto più ampia è la quota di mercato, tanto è maggiore, a parità di condizioni è la redditività.

Nella fase di espansione i rischi sono di voler investire troppo (per esempio anticipare troppo la fase di investimento comprando in Cina un altro stabilimento). Qui la causa principale del fallimento non è il prodotto, ma di aver sbagliato investimento in fase di espansione. E’ importante che la crescita di un’azienda sia graduale. Mentre è nella fase di maturità che si può utilizzare il guadagno per investire in nuovi prodotti.

3.3.2. Valutazione e selezione delle opportunità

Esistono vari metodi quantitativi per la selezione delle opportunità, solitamente basati su indicatori economico-finanziari (ROI)

3.3.3 Segmentazione e selezione del target

La segmentazione è un processo che consiste nell’individuare gruppi di potenziali compratori (segmenti) con attese omogenee.

Selezionare il target consiste nello scegliere uno o più segmenti tenendo conto delle previsioni circa il ritmo di espansione della domanda. Si tratta del punto centrale dell’intero piano di marketing.

Occorre inoltre definire quale posizione competitiva l’impresa intende assumere rispetto alla concorrenza (posizionamento di mercato) per ogni prodotto o marca. A questo punto è possibile stabilire in modo analitico gli obiettivi in termini di vendite, profitti e quote di mercato che l’impresa intende raggiungere. Tali obiettivi saranno poi incorporati nei sistemi di controllo e confrontati con i risultati.

3.3.4. Scelta del marketing mix

Nella fase più complessa l’impresa definisce le strategie specifiche circa gli elementi del marketing mix: prodotto, prezzo, comunicazione e promozione, distribuzione.

Dopo aver definito il target occorre preparare piani distinti per ciascuno degli elementi del marketing mix. In questa fase occorre molta attenzione per evitare sovrapposizioni e per fare in modo che le varie azioni risultino tra loro coordinate nei tempi e nelle sequenze.

3.3.5. Controllo

Con il controllo la direzione del marketing verifica che quanto avviene sia conforme a quanto era stato programmato, intervenendo con azioni correttive se si presentano scostamenti tra quanto programmato e quanto è avvenuto nella realtà.

3.3.6 Valutazione dei risultati

Le tecniche più diffuse in proposito sono: analisi delle vendite, analisi dei costi di distribuzione, ricerche di mercato, marketing audit.

L’analisi delle vendite è il metodo più diffuso (fatturato o quote di mercato).

Page 23: ECONOMIA AZIENDALE

L’analisi dei costi consente di individuare le attività di marketing, i prodotti, i clienti e le aree geografiche che assorbono maggiori risorse e quelle che danno i migliori risultati. La difficoltà dell’analisi dei costi è la ripartizione dei costi comuni su più attività di marketing.

Il marketing audit è una valutazione che mira a stabilire se i targets scelti dal marketing hanno un potenziale tale da meritare l’investimento delle risorse allocate dall’impresa, se le strategie scelte sono adeguate ai targets che si intendono raggiungere e, infine se il marketing abbia le capacità (risorse umane e finanziarie) per raggiungere gli obiettivi prefissati. Seguono analisi degli scostamenti ed eventuali azioni correttive.

Se dalle analisi precedenti emergono problemi o aree che meritano approfondimenti, si ricorre a ricerche di mercato.

3.4 Il processo di decisione nell’acquisto

In pratica si articola nelle seguenti fasi: il sorgere del problema (stimoli ad acquistare), la raccolta delle informazioni (alternative d’acquisto possibili, valutazione delle alternative: minore prezzo di acquisto, qualità prestigio, ecc.), scelta tra le alternative (non sempre si tratta di una decisione razionale e su questa mancanza di razionalità contano le imprese per convincere il consumatore con messaggi pubblicitari e altre forme di promozione), valutazione post acquisto (quasi sempre il consumatore avverte di non aver fatto una scelta razionale soprattutto per gli acquisti di importo rilevante).

3.5 Le ricerche di mercato

Per ricerca di mercato si intende la raccolta, l’analisi, l’elaborazione di dati destinati a fornire informazioni per specifiche decisioni di marketing. Tali ricerche riguardano in particolare:

1) la domanda: previsioni di breve e di lungo termine2) la concorrenza: chi sono e cosa fanno i concorrenti3) il prodotto: quale è il potenziale di domanda, con quali altri prodotti il nostro entra in competizione,

previsioni di vendita4) la pubblicità: ricerche sull’efficacia della pubblicità

Le fasi della ricerca di mercato sono le seguenti:

Definizione del problema: è difficile l’individuazione. Per es. di fronte ad un grafico che mostra la tendenza alla domanda, chiedersi perché si è verificato un calo delle vendite.

Sviluppo di ipotesi: se il problema merita un investimento di risorse per essere analizzato è necessario elaborare un progetto di ricerca.

Progetto di ricerca: definire gli obiettivi che si intendono raggiungere; indicare quali informazioni raccogliere e da quali fonti; definire le ipotesi da sottoporre a verifica; indicare il metodo di raccolta, elaborazione e interpretazione dei dati.

Raccolta dei dati: ci sono due tipi di dati: 1) dati già disponibili ed elaborati (es. data base interni) oppure provenienti da fonti esterne

(censimenti periodici, rapporti delle associazioni di categoria, banche, società di consulenza, organizzazioni pubbliche);

2) dati raccolti specificatamente per la ricerca (sondaggi di opinione, metodo dell’osservazione di usi e comportamenti, metodo della simulazione, ricerca motivazionale).

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3.6 La segmentazione del mercato (importante) fa domande

La segmentazione di mercato è un processo che consiste nell’individuare gruppi di potenziali compratori (segmenti) con attese omogenee e nello sviluppare un marketing mix specifico per ciascuno di questi gruppi.

Nella segmentazione e nella definizione del target sono possibili quattro strategie:

1) selezionare un solo segmento composto da compratori con esigenze tra loro omogenee (praticato dalle imprese segmenters)

2) segmentare il mercato e scegliere due o più segmenti (segmentazione multipla) ciascuno dei quali è trattato come target marketing distinto e avente uno specifico marketing mix (praticato dalle imprese segmenters)

3) segmentare il mercato e scegliere due o più segmenti relativamente omogenei, fonderli in uno solo e trattarlo con un unico marketing mix (combiners)

4) offrire un solo prodotto o una sola linea di prodotti con un solo marketing mix (marketing di massa) mediante il quale l’impresa cerca di attrarre il maggior numero possibile di compratori.

3.6 Benefici e costi della segmentazione

L’impresa può ottenere diversi vantaggi concentrando le proprie risorse su uno o più segmenti:

1. migliora le conoscenze sul comportamento del consumatore2. può studiare i prodotti e i servizi in base alle specifiche esigenze dei compratori3. percepisce rapidamente se e perché cambia la domanda4. valuta meglio i punti di forza propri e della concorrenza5. può preparare programmi di marketing mix mirati

A fronte di questi vantaggi vi sono costi e risorse che l’impresa deve sostenere e destinare alla segmentazione:

1. per ciascun segmento è necessario tenere distinti costi di ricerca, sviluppo e di lancio prodotto. Se il prodotto fosse uno solo il costo sarebbe minore

2. i volumi di produzione richiesti da un segmento potrebbero non saturare e non essere costanti nell’utilizzo degli impianti. I costi di adattamento, arresto e avvio di una linea di produzione potrebbero rivelarsi particolarmente onerosi

3. i costi della promozione possono risultare più elevati se l’impresa opera in una pluralità di segmenti in quanto deve sviluppare più campagne promozionali

4. più sono i segmenti, più numerosi sono i prodotti e maggiori sono le scorte (necessarie per far fronte ad una possibile domanda improvvisa)

5. a ogni segmento l’impresa deve assegnare organi appositi: product manager, market manager, area manager, ecc. con conseguente proliferazione dei costi

6. le ricerche di mercato hanno costi più elevati perché occorre approfondire le conoscenze del comportamento dei potenziali consumatori in più segmenti

I fattori che hanno diffuso la strategia della segmentazione del mercato sono principalmente tre:

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1. le nuove tecnologie della produzione (impianti più piccoli) hanno consentito di presentare sul mercato prodotto diversi. Inoltre i progressi dell’automazione consentono di fabbricare prodotti differenti con lo stesso impianto senza dover quindi sostenere costi proibitivi

2. lo standard di vita ed il livello di educazione dei consumatori è più elevato e quindi le persone sono più interessate alla varietà dei prodotti (i segmenti di maggiore espansione sono quelli di età superiore a 40 – 50 anni)

3. la concorrenza più intensa ha spinto verso la segmentazione

3.6.2. Uno o più segmenti

Un solo segmento. I segmenters cercano parti omogenee del mercato che intendono trattare con marketing mix distinti. Se il potenziale compratore può far parte contemporaneamente di più segmenti, può essere confuso da una pluralità di proposte. E’ allora preferibile concentrare le risorse in un solo segmento (selezionato tra quelli presenti sul mercato). Aumenta così la customer satisfaction. Strategia focalizzata.

Segmentazione multipla. L’impresa introduce nel mercato più prodotti ciascuno dei quali è destinato a segmenti distinti e sostenuto da distinti marketing mix. Occorre un’organizzazione complessa e la capacità di coordinare simultaneamente una pluralità di programmi di marketing.

Combiners. L’impresa tratta due o più segmenti con lo stesso marketing mix. Mentre i segmenters sono alla ricerca della diversità, i combiners cercano analogie tra diversi prodotti con lo scopo di realizzare economie di scala.

Marketing di massa. Non ci sono problemi di segmentazione perché si colpiscono tutti indistintamente. L’impresa presenta sul mercato un solo prodotto o una sola linea di prodotti con un solo programma di marketing.

3.7.1 Definizione di prodotto

Per prodotto si intende qualsiasi bene o servizio scambiato sul mercato che possa rispondere alle esigenze di un compratore. E’ tutto quanto il compratore considera quando decide per l’acquisto.

Si tratta quindi di un complesso di attributi: design, styling, materiali, componenti, qualità packaging e di un complesso di attese.

Vedere fig. 3.4 – Le aree del prodotto

Per meglio definire il prodotto si possono individuare tre aree concentriche:

Core product è il beneficio che il compratore cerca nel prodotto

Caratteristiche del prodotto sono gli attributi, le prestazioni tangibili o intangibili. A seconda dei casi sono design, parti componenti, qualità, sicurezza, varietà di gamma, packaging

Servizio al cliente è un’area di “arricchimento del prodotto” generalmente rappresentata da servizi. E’ in quest’area che si sposta la competizione quando cresce la concorrenza e i prodotti sono simili.

3.7.2 Decisioni riguardanti la marca

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Per marca si intende un nome, una parola, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un servizio e di renderli differenti da quelli dei concorrenti.

In sostanza la marca è usata da chi intende costruire, mantenere e rafforzare un rapporto privilegiato con un gruppo di potenziali compratori.

3.7.3. Il ciclo di vita del prodotto (importante)

Vedere fig. 3.5 – pag. 101 Gli stadi del ciclo di vita del prodotto

Ogni prodotto in commercio segue un ciclo di vita che offre opportunità diverse ed esige strategie diverse da parte dell’impresa. In genere la storia di un prodotto può essere distinta in quattro stadi fondamentali: introduzione, sviluppo, maturità e declino.

INTRODUZIONE. Se il prodotto è nuovo in questa fase l’impresa non ha concorrenti e cerca di vendere il più possibile per conquistare quote di mercato e per costruire reti di distribuzione capaci di sostenere la successiva fase di sviluppo. L’impresa investe per promuovere il prodotto senza preoccuparsi di attirare le vendite sulla propria marca. I prezzi in genere sono alti, ma lo sono anche i costi di distribuzione e di promozione. In questa fase in genere le vendite sono basse e l’impresa subisce perdite

SVILUPPO. Se i primi compratori ripetono i lori acquisti e la conoscenza del prodotto si diffonde, le vendite cominciano a crescere. Nuove imprese entrano nel mercato attratte dalla domanda in espansione. Aumentano così le varietà di prodotti e le azioni promozionali e la distribuzione si allarga. I prezzi restano alti o diminuiscono poco perché la domanda è forte . Se l’impresa è riuscita a mantenere un controllo sui costi e a sviluppare rapidamente le vendite i profitti crescono rapidamente.In questa fase del ciclo le imprese prendono varie decisioni riguardanti il marketing mix. Entrano in nuovi segmenti, cercano nuovi compratori per i vecchi prodotti oppure modificano i prodotti per adeguarli alle nuove esigenze dei mercati. Cambiano il messaggio pubblicitario e introducono nuovi metodi di vendita per differenziarsi dalla concorrenza. La concorrenza infatti comincia a farsi sentire e molte imprese lasciano il settore. I profitti cominciano a calare perché i prezzi sono spinti verso il basso dalla competizione. La domanda si fa selettiva. Aumenta il numero degli intermediari. I margini di vendita cominciano a ridursi.

MATURITA’. L’impresa che ha originariamente lanciato il prodotto deve difendere la quota di mercato e cercare di evitare che i compratori passino alla concorrenza. In questa fase l’impresa aumenta quindi le spese di promozione e pubblicità e le spese di ricerca e sviluppo allo scopo di migliorare i prodotti. I concorrenti più deboli sono costretti ad uscire dal mercato. In pratica le principali alternative che si presentano sono le seguenti:

1. investire altre risorse dell’impresa nella promozione e nella distribuzione2. ridurre la quota di mercato gradualmente (disinvestire) mantenendo i prezzi inalterati e

diminuendo le spese di promozione e distribuzione3. migliorare la qualità del prodotto e ampliarne le prestazioni 4. riposizionare il prodotto in modo da raggiungere altri compratori5. modificare il marketing mix6. ridurre i prezzi7. fare una promozione più aggressiva8. cambiare il canale di distribuzione

DECLINO. Le vendite cominciano a diminuire gradualmente per una serie di ragioni: innovazioni tecnologiche, cambiamento dei gusti del consumatore, introduzione di nuovi prodotti sostitutivi. In questa fase l’impresa non investe più ed è in perdita perché i costi sono maggiori ai ricavi. Conviene disinvestire nel prodotto.

3.7 La politica dei prezzi (importante)

Page 27: ECONOMIA AZIENDALE

Non esiste un criterio unico per determinare il prezzo, ma tre costituiscono i punti di riferimento:1. il costo di produzione2. l’andamento della domandail comportamento della concorrenza

1. Il costo di produzione

Esistono due concezioni di costo adottate nel calcolo dei prezzi: costo pieno e costo incrementale

Costo pieno I prezzi fissati in base al costo pieno sono determinati sommando ai costi industriali di produzione, i costi di amministrazione, i costi di distribuzione e un margine di profitto (materiali, ore di lavoro, tecnologia, energia elettrica, combustibili, costi finanziari, consulenze, ricerca, amministrazione). L’azienda di solito lo calcola a forfait .Tale margine di profitto può essere fisso o variabile. Per capire il margine di profitto è utile che l’impresa guardi i prezzi che fanno i concorrenti.

Costo incrementale E dato dall’aumento dei costi totali che risulta dall’aumento dei volumi di vendita (vendere di più ad un prezzo più basso). Se un’impresa si è già assicurata un certo volume di vendita che copre i costi fissi, il costo incrementale di un volume addizionale di vendita può dare la possibilità di prezzi più bassi di quelli che si otterrebbero con il costo pieno.

Strategia di prezzo basata sulla domanda. Si possono presentare le seguenti situazioni:- la domanda è bassa, ma si presume che possa successivamente aumentare quando il consumatore

avrà conosciuto il prodotto- la domanda è elevata, ma si presume che debba diminuire per la saturazione del mercato o per la

concorrenzaIn tali casi la tecnica del costo pieno non dà buoni risultati nella determinazione del prezzo e pertanto questo deve essere fissato anche in relazione all’andamento della domanda.

Strategia di prezzo basata sulla concorrenza. Se i concorrenti sono agguerriti (grandi imprese oligopoliste) oppure se l’impresa ha dimensioni modeste rispetto al leader di mercato il problema del prezzo va impostato con molta attenzione. Fare una politica che ignori la politica dei prezzi delle imprese più grandi potrebbe determinare l’uscita dal mercato.

-ooOoo-

Per i beni di consumo (quelli che producono un’utilità diretta al consumatore finale) valgono tutte le considerazioni fatte sopra, per i beni strumentali (cioè i fattori produttivi che servono per la produzione di altri beni) a loro volta, distinti in: capitale circolante (materie prime, combustibili, ecc..) ecapitale fisso (macchinari, impianti, edifici industriali, ecc…), il costo di produzione come punto di riferimento assume importanza determinante.

Inoltre nelle imprese di produzione esistono possibilità di manovra del prezzo abbastanza ampie, mentre nelle imprese della distribuzione (che applicano margini di ricarico ai prodotti acquistati) le possibilità sono più ristrette.

3.8 I canali della distribuzione

Vedere fig. 3.6 pag 108

Page 28: ECONOMIA AZIENDALE

Il canale di distribuzione è il percorso seguito dal prodotto per passare dal produttore al consumatore o all’utilizzatore finale.

Tale percorso può riguardare uno o più dei seguenti aspetti:

1- i movimenti fisici dei prodotti (trasporto),

2- i cambiamenti del titolo di proprietà

3- la sequenza degli intermediari

Per canale di distribuzione si intende dunque:

a) l’insieme di persone o di organizzazioni che vendono, comprano o hanno il possesso dei prodotti lungo il percorso che questi fanno dal produttore al compratore finale;

b) le funzioni svolte dalle persone e dalle organizzazioni che operano all’interno del canale.

La scelta del canale di distribuzione può essere decisiva per avere successo in un mercato.

I canali della distribuzione possono essere distinti a seconda del numero di intermediari che intervengono nel passaggio dei prodotti o servizi dal produttore al compratore finale.

Canale senza intermediari, corto o diretto. Il produttore vende direttamente al compratore finale (per corrispondenza, punti di vendita propri o attraverso personale che prende contatti direttamente con i compratori;

Canale con un solo intermediario. Si tratta in genere di un dettagliante che è fornito direttamente dal produttore;

Due intermediari. Sono in genere il grossista e i dettagliante oppure un agente che opera per conto di un produttore) e il dettagliante;

Tre intermediari. Due sono il grossista e dettagliante e il terzo intermediario un agente che si inserisce tra il produttore e il grossista oppure tra quest’ultimo e il dettagliante

Più passaggi ci sono e più il prezzo è alto perché il consumatore finale non riesce a pagare tutti gli attori del processo.

3.9.1. Come si sceglie il canale della distribuzione

a) Ogni impresa ha proprie strategie.

b) La disponibilità di risorse finanziarie e umane agisce in genere in modo molto profondo nella scelta tra i canali di distribuzione alternativi.

c) Le caratteristiche del potenziale compratore sono molto importanti nella scelta del canale. Riguardano principalmente il numero dei potenziali clienti la loro distribuzione geografica e il loro comportamento all’acquisto.

Page 29: ECONOMIA AZIENDALE

Se i clienti potenziali di un’impresa che produce beni industriali sono pochi e acquistano in genere molto, può essere consigliabile una distribuzione di tipo diretto, o comunque un contatto con pochi dettaglianti o pochi grossisti.

Se i potenziali compratori sono numerosissimi non è pensabile di poterli raggiungere con una propria forza di vendita.

Se i compratori di un bene sono concentrati in una certa area, è preferibile usare un canale diretto di distribuzione. Al contrario se i clienti potenziali sono molto dispersi è opportuno ricorrere a uno o più intermediari.

d) Le caratteristiche fisiche dei prodotti (prodotti deperibili o ingombranti) e di marketing del prodotto influiscono sulla scelta del canale di distribuzione. Per quanto riguarda le caratteristiche di marketing gli aspetti che incidono maggiormente sono:

1. La frequenza di acquisto che agisce sulla rotazione delle scorte

2. I prezzi e quindi i margini disponibili per gli intermediari

3. La durata utile del prodotto

4. Il tempo medio di ricerca del prodotto da parte del cliente

5. Il comportamento della concorrenza

6. La disponibilità o meno di buoni intermediari (in città è più facile). E’ importante anche la disponibilità di grossisti che facciano credito

7. La legislazione (contratti con gli agenti, norme sulla sicurezza dei prodotti, concessione di licenze, ecc.)

3.10. Comunicazione e promozione (importante)

Comunicare significa trasferire un messaggio, un’informazione, da una parte denominata fonte, ad un’altra parte, detta ricevente. Tutto è comunicazione: il prodotto, il packaging, il prezzo, la marca e in particolare le attività mediante le quali l’impresa cerca di convincere il potenziale compratore ad acquistare.

Promozione è un’attività del marketing che ha lo scopo di informare, ricordare e persuadere le persone ad acquistare, rivendere (se sono intermediari), consigliare l’utilizzo di un prodotto o di un servizio.

La promozione è uno strumento di marketing utile sia per le organizzazioni che hanno come obiettivo il profitto, sia per quelle che non hanno come obiettivo il profitto.

3.10.1 Le principali forme di promozione

Sono:

1. La vendita mediante personale (porta a porta, call center, ecc.). E’ particolarmente adatta per prodotti complessi, ad alto costo, che richiedono prestazioni di carattere tecnico.

Page 30: ECONOMIA AZIENDALE

2. La pubblicità (uso dei media come radio, televisione e giornali). Consente di raggiungere un ampio numero di potenziali compratori con una comunicazione uguale per tutti.

3. La vendita promozionale. Frequente soprattutto nei periodi corrispondenti alle festività. <in genere rappresenta una forma di sostegno da parte del produttore a vantaggio del distributore per i buoni margini di utile a rotazione elevata che garantisce.

4. Le relazioni pubbliche. Hanno due obiettivi: presentazione favorevole sui media e creare un atteggiamento favorevole all’impresa e ai suoi prodotti da parte di persone influenti, organizzazioni e dell’opinione pubblica in generale . Mira a valorizzare il marchio globale (quindi Ferrero e non Nutella).

La promozione non è solo la pubblicità: riguarda la scontistica, il tre per due, le dilazioni di pagamento.

Nel marketing raramente la promozione è fatta con una sola forma, ma combinando tra di loro le varie forme

Quanto più il prodotto è mirato, tanto più è necessaria una campagna mirata, riviste specializzate, ecc.

Una concessionaria può vendere prodotti di case automobilistiche diverse.

3.11 Metodi di pianificazione strategica di marketing (importante) fa domande

Alta Bassa

Alto Alto

Basso

Simile a matrice di posizionamento e attrattività di pag. 69

L’impresa con più prodotti, più linee di prodotti, più marche, presenta differenti targets e marketing mix. La pianificazione strategica di marketing ricompone tutti i piani di marketing in un solo grande

WILDCATS

CASH COWS DOGS

STARS

Page 31: ECONOMIA AZIENDALE

piano che confluisce, con gli altri piani che riguardano le altre aree funzionali, nella pianificazione strategica dell’impresa.

Tra i più conosciuti metodi della pianificazione strategica di marketing vi è il modello Boston Counsulting Group.

Confrontando da un lato la quota di mercato e dall’altro il tasso di sviluppo del mercato, si possono collocare le famiglie di prodotti dell’impresa in uno dei quattro quadranti.

I quattro quadranti sono indicati con termini tratti dal linguaggio dei businessmen americani: cash cows, dogs, stars e wildcats.Il principio che sta alla base del modello è quello di garantire un flusso continuo di redditività tra i vari stadi del ciclo di vita dei prodotti.

La linea continua indica il percorso desiderato per il prodotto: da wildcats a stars, da stars a cash cows.

La linea tratteggiata indica il percorso delle risorse finanziarie. Da cash cows a wildcats, da cash cows a stars.

Stars. L’impresa controlla una quota di mercato alta in un mercato con alto tasso di sviluppo. E’ quanto di meglio un’impresa possa attendersi. Per finanziare il rapido sviluppo delle stars occorrono adeguati mezzi finanziari, poiché per sviluppare le vendite occorre aumentare la capacita produttiva, sostenere spese di pubblicità, alimentare il capitale circolante. I flussi di redditività provenienti dai prodotti maturi (cash cows) consentono di finanziare lo sviluppo delle stars.Le strategie di marketing relative a questi prodotti sono:1. difendere le proprie quote di mercato2. reinvestire i profitti in forme diverse quali: riduzione di prezzo, miglioramento dei prodotti,

copertura di mercato3. conquistare un’ampia quota di mercato di nuovi consumatori.

Cash cows. I prodotti che si trovano in questo quadrante sono in grado di generare risorse finanziarie (cash flow) attraverso gli utili conseguiti poiché dispongono di una larga quota di mercato in un mercato a lento sviluppo. Ciò avviene per due effetti congiunti:

1. le curve di esperienza fanno diminuire i costi di produzione2. il lento sviluppo del mercato non impone nuovi investimenti a differenza di quanto avviene nel

quadrante stars. Le strategie di marketing caratteristiche di questi prodotti sono: 1. mantenere la leadership di prezzo2. mantenere la quota di mercato3. investire nel miglioramento della leadership tecnologica e di processo4. impiegare l’eccesso di cassa per finanziare la ricerca e lo sviluppo di altri prodotti.

Dogs. I prodotti che si trovano in questo quadrante hanno una basso potenziale di sviluppo e una modesta quota di mercato. I bassi volumi di produzione generano modesti profitti e scarso cash flow (risorse finanziarie), quindi non conviene fare nuovi investimenti. Le strategie di marketing relative ai prodotti dogs si possono così riassumere:

1. specializzarsi su un determinato segmento di mercato che può essere protetto dall’azione dei concorrenti

2. mietere: tagliare tutte le spese ad una soglia minima in attesa di abbandonare il prodotto 3. eliminare subito il prodotto

Page 32: ECONOMIA AZIENDALE

Wildcats. La quota bassa di un mercato ad alto tasso di sviluppo genera modesti volumi di produzione. I prodotti che si collocano in questo quadrante possono diventare stars se l’impresa investe le risorse finanziarie che occorrono per aumentare le quote di mercato. In caso contrario, i prodotti passerebbero al quadrante dogs. Le strategie di marketing per i prodotti wildcat sono le seguenti:

1. investire fortemente per conquistare ampie quote di mercato 2. acquisire imprese concorrenti per assicurarsi quote di mercato già esistenti3. focalizzarsi su una nicchia di mercato in cui il prodotto può dominare 4. disinvestire 5. mietere (vedi dogs)6. abbandonare il prodotto (vedi dogs)

3.12 Il marketing dei servizi

Il marketing dei servizi è profondamente diverso dal marketing dei prodotti tangibili:

1. i servizi sono intangibili (sono prestazioni)

2. i servizi non possono essere separati da chi li produce. I servizi sono in genere dapprima acquistati (es. acquisto del biglietto allo stadio), poi prodotti (partita di calcio) e consumati simultaneamente. Il cliente deve essere presente nel corso della produzione del servizio e per questo si parla di non separabilità tra chi produce e chi consuma

3. lo standard di qualità è difficile da mantenere (la qualità di un servizio può variare da un produttore all’altro, da un cliente ad un altro e da un giorno all’altro)

4. non si può mettere in scorta un servizio come invece è possibile fare per i prodotti.

3.13 il marketing dei beni industriali

Chi fa marketing industriale tratta macchinari, attrezzature, impienti, terreni, parti accessorie, componenti, materiali di consumo, materie prime. Tratta anche servizi come manutenzioni e riparazioni.

I compratori sono in genere pochi, la domanda è derivata nel senso che è originata da una domanda diretta che va dall’utilizzatore di un prodotto o di un servizio verso un’impresa che a sua volta acquista.

Altre differenze riguardano i livelli della domanda (meno fluttuante rispetto a quella dei beni di consumo), l’elasticità (la domanda dei beni industriali è meno sensibile al prezzo), il mercato (più ampio rispetto a quello dei beni di consumo) e le dimensioni (in genere rilevanti).

Anche la segmentazione è basata su criteri diversi da quelli in uso per i beni di consumo. Nel marketing industriale i criteri sono basati sulle caratteristiche del settore, il mercato finale, il livello di tecnologia, le dimensioni del potenziale acquirente.Il marketing dei beni industriali abbraccia inoltre aree geografiche molto ampie. Chi vende macchine per il packaging di prodotti alimentari può vendere in tutto il mondo ed ha concorrenti che possono provenire da tutto il mondo.

L’innovazione dei beni di consumo è trinata dalla domanda (demand pull), nei beni industriali è invece spinta dalla tecnologia (technological push).

Page 33: ECONOMIA AZIENDALE

1. Prodotto. Il ciclo di vita è in genere più breve in quanto l’innovazione tecnologica è rapida; i tempi di consegna sono lunghi; i servizi post vendita sono molto importanti.

2. Prezzo. La negoziazione tra le parti è la regola. Il leasing è un’alternativa alla proprietà.

3. Distribuzione. I canali sono più corti rispetto a quelli dei beni di consumo; sono più complessi; gli intermediari devono avere elevata professionalità e forte conoscenza del prodotto che vendono; i tempi di consegna sono un fattore di successo.

4. Promozione. Ha un contenuto prevalentemente tecnico , meno emotivo (cataloghi, direct mail, presentazione in fiere, mostre).

CAPITOLO 4 – PRODUZIONE E LOGISTICA

La produzione ha la responsabilità della realizzazione del prodotto utilizzando risorse stabilmente collegate all’azienda (personale, impianti, attrezzature, conoscenza) e approvvigionando materiali, energia, e servizi di terzi.

La funzione produttiva deve assicurare la predisposizione della capacità produttiva, sulla base delle previsioni di sviluppo commerciale nel quadro delle scelte di pianificazione aziendale.

La logistica è tutto ciò che è movimentazione del prodotto: dall’approvvigionamento dei materiali necessari per la produzione ai prodotti finiti che transitano tra diverse locazioni /stabilimenti, reparti, magazzini) prima della consegna finale al cliente.

Non esiste il manager logistico come figura manageriale, però è possibile che nelle aziende ci sia una figura, che già ricopre un altro ruolo, alla quale viene affidato questo incarico.

La logistica deve assicurare un buon livello di servizio al cliente, con bassi livelli di giacenza nei magazzini e con bassi costi di trasporto e deve contribuire al conseguimento degli obiettivi aziendali.

A questo fine le prestazioni dei processi produttivi e logistici sono valutabili rispetto a:

1. costo del prodotto (inteso come tutti i costi che concorrono alla realizzazione del prodotto: commerciale, amministrativo, trasferimento del bene, ecc.)

2. qualità del prodotto (strettamente connessa alla produzione)3. servizio al cliente

Per realizzare un vantaggio competitivo è necessario offrire una gamma di prodotti più ampia e differenziata. Il ciclo di vita di quasi tutti i prodotti è accorciato rispetto al passato soprattutto di quelli che impiegano tecnologie in forte sviluppo e devono essere continuamente rinnovati.

Il contenimento dei prezzi è certamente una leva di competizione, ma ancora più importante è l’innalzamento del valore del prodotto per il cliente. Questo valore è dato dal rapporto tra le funzioni offerte dal prodotto e il costo che il cliente deve sostenere nel corso dell’intero periodo di possesso.

A questi fattori critici di successo la funzione produzione e logistica può dare un contributo molto rilevante operando in modo da:

1. essere flessibile rispetto all’innovazione dei prodotti2. fornire un buon livello di servizio logistico3. essere flessibile alle variazioni del mix4. essere flessibile rispetto alle variazioni temporanee o stagionali di volume

Page 34: ECONOMIA AZIENDALE

5. produrre con eccellente qualità (realizzare prodotti conformi alle specifiche di progetto e privi di difetti dovuti ai materiali impiegati o alle diverse operazioni di fabbricazione, movimentazione e immagazzinamento

6. mantenere bassi i costi unitari di produzione (adozione di tecnologie, riduzione costi forniture di materiali, servizi, lavorazioni esterne, efficienza di impiego delle risorse, elevato utilizzo degli impianti, eliminazioni squilibri di carico di lavoro e dissaturazioni, disponibilità tempestiva di tutti i materiali nelle quantità necessarie, bassa incidenza dei costi di attrezzaggio, di trasporto e di movimentazione, riduzione dei fermi macchina , degli interventi riparativi e dei costi di manutenzione, contenimento dei costi della non qualità, riduzione delle scorte di materiali, dei semilavorati e del corso lavorazione, contenimento dei costi indiretti, eliminazione di ogni forma di spreco).

4.3 I processi dell’area funzionale produzione e logistica

Il processo è un insieme di attività interconnesse, destinate all’ottenimento di un determinato obiettivo comune o output del processo.

Ogni attività opera su input provenienti da altre attività o da latri processi.

L’organizzazione del sistema produttivo e le attività dei processi potranno risultare fortemente differenziati a seconda che l’azienda:

produca prodotti di propria progettazione in serie (piccola, media o grande serie) produca prodotti di propria progettazione in esemplari unici o fortemente personalizzati sulle

esigenze del cliente o per piccole commesse ripetitive produca su progetto del cliente (in grandi, medie o piccole commesse) esegua lavorazioni per conto terzi.

In altre parole incidono fortemente sul tipo e sulle caratteristiche del sistema produttivo e sui suoi processi:

la proprietà e la responsabilità del progetto l’entità dei volumi di produzione di ciascun prodotto il livello di personalizzazione rispetto alle esigenze del cliente

Ridurre le movimentazioni, i controlli, le soste e le giacenze di ogni tipo costituisce un criterio fondamentale per migliorare il valore dei processi produttivi.

4.5 Il sistema logistico aziendale e la gestione del flusso produttivo

4.5.1. Il processo logistico aziendale

La necessità di orientare al mercato tutte le politiche aziendali e in particolare anche quelle di produzione, ha reso inadeguato il vecchio modello di logistica e di programmazione della produzione (basato su previsioni, indipendente dagli ordini effettivi).

Oggi la logistica ha il compito di mettere in sintonia la produzione con le vendite, in modo da assicurare la consegna dei prodotti richiesti nei tempi e nei quantitativi richiesti, mantenendo al più basso livello possibile i costi logistici ossia i costi delle scorte, dei trasporti e della gestione informativa dei flussi di produzione.

Il problema di fondo è che le strategie competitive richiedono di offrire una gamma di prodotti diversificati e frequentemente rinnovati.

Page 35: ECONOMIA AZIENDALE

Succede così che di mese in mese, cambi il mix di quanto occorre consegnare . Ciò avviene in modo poco prevedibile ed è influenzato da cause poco controllabili da parte della singola azienda.

Al contrario, per ottenere la massima efficienza di produzione, occorrerebbero programmi stabili nel tempo per fabbricare grandi quantità di prodotti poco differenziati.

Il sistema logistico aziendale deve consentire di realizzare il coordinamento dinamico tra vendite e produzione, facendo in modo di fornire un elevato livello di servizio al cliente a bassi costi logistici.

Ciò può avvenire attraverso la capacità di gestire i flussi fisici di materiali, semilavorati, e prodotti finiti, in modo da renderli coerenti con la domanda del mercato .

Questa gestione si realizza attraverso un sistema informativo logistico che, a partire dalla domanda del mercato, provvede a determinare:

1. i piani di produzione 2. i programmi di approvvigionamento3. la programmazione di dettaglio delle linee e dei reparti produttivi4. i programmi di movimentazione e trasporto dei materiali e dei semilavorati, sino alla

programmazione dei trasporti di prodotto finito alla rete distributiva.

Questo modello prevede che il ciclo di fabbricazione (tempo impiegato dal sistema produttivo per eseguire gli ordini) sia pari o inferiore al tempo che il mercato è disposto ad attendere tra il momento dell’emissione degli ordini e quello di ricevimento dei prodotti (tempo di attesa del mercato).

Un’ulteriore difficoltà può sorgere in relazione al fatto che la capacità produttiva delle aziende nel breve e nel medio termine è tendenzialmente rigida, mentre la domanda può presentare elevate oscillazioni. Il rischio è quello di produrre in eccesso in certi periodi e in periodi successivi di non riuscire a produrre abbastanza.

Il piano principale di produzione è lo strumento che definisce sul medio termine i programmi produttivi dell’azienda. Di solito viene aggiornato mensilmente. I quantitativi di previsione per i mesi più prossimi sono basati prevalentemente su ordini mentre quelli più lontani su previsioni.

Questo piano può essere utilizzato per effettuare il bilanciamento tra capacità produttiva e carico di lavoro e per impostare gli approvvigionamenti.

4.5.4. Produzione just in time

Un particolare modello di gestione logistica è quello basto sulla produzione just in time.

Nel just in time ogni fase rifornisce o produce quanto richiesto dalla fase successiva.

Una particolare tecnica di programmazione della produzione e dei rifornimenti utilizzata nei modelli di produzione just in time è la tecnica del kenban (scheda). Il kenban consente di gestire la catena di relazioni di rifornimento tra fornitori – lavorazioni di base – montaggi di gruppi – montaggi finali – magazzino prodotto finito – rete distributiva facendo sì che ogni stadio della catena richieda al proprio fornitore “a monte”, il rifornimento di unità di carico (contenitori, cassoni, pallet, semirimorchi, ecc), disponendo ancora di una scorta costituita da qualche unità di carico che deve bastare sino all’arrivo del rifornimento richiesto. E’ chiaro che tanto più questo arrivo è tempestivo tanto minore potrà essere la scorta.

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4.6 La Qualità Totale, la fabbrica integrata e le nuove metodologie per migliorare le prestazioni produttive.

4.6.1 Qualità Totale e produzione snella

Per qualità totale possiamo intendere un modello organizzativo in cui tutto il personale di una azienda opera con elevato grado di interazione ed integrazione per corrispondere alle aspettative dei propri clienti, esterni o interni che siano.

In un modello di qualità totale non è dunque sufficiente che ciascuno faccia il proprio dovere rispetto a norme o procedure predeterminate. Occorre che tutto il personale, in qualsiasi posizione operi, riesca a soddisfare le attese dei propri clienti, anche partecipando, assieme ad altri colleghi (in team), a iniziative per il miglioramento continuo dei processi, per la prevenzione delle criticità e per sviluppare la capacità di gestire in modo efficace le varianze (guasti, difettosità, mancanza di materiale, insufficienza delle risorse, cambiamenti di programma).

Nell’area funzionale della produzione si è affermato in questi ultimi anni un modello organizzativo di fabbrica integrata che recepisce per molti aspetti il modello di produzione just in time.

Il nuovo modello, definito anche “produzione snella” si basa sui seguenti principi:

1. riduzione dei livelli gerarchici nelle catene di comando interne alla funzione2. cooptazione dell’operaio nel sistema di decisione/gestione del processo3. aumento delle responsabilità e del lavoro in team rispetto a quello individuale4. polifunzionalità delle risorse umane e arricchimento delle mansioni5. riduzione dei tempi di attraversamento dei flussi fisici (da materia prima a prodotto finito)6. riduzione dei livelli di giacenza dei materiali, semilavorati e prodotti finiti7. coinvolgimento dei livelli operativi nei progetti di miglioramento e trasformazione (questi non

competono più soltanto agli specialisti) finalizzati alla qualità, alla produttività, alla riduzione dei costi e al servizio logistico

8. miglioramento dei processi di comunicazione interna e di scambio di informazioni9. sviluppo delle competenze professionali in tutti i ruoli di produzione

Nella fabbrica integrata si assegnano ai livelli esecutivi le principali decisioni di regolazione dei processi operativi e si accresce la capacità del sistema di reagire agli stimoli esterni (variazione della domanda, innovazione, dei prodotti) e ai problemi interni (deterioramento qualitativo, indisponibilità delle risorse, ritardi della produzione).

CAPITOLO 5 – LA RICERCA E SVILUPPO

5.1 La funzione ricerca e sviluppo e le sue relazioni con le strategie d’impresa

L’attività d’impresa nel campo della ricerca e sviluppo è finalizzata alla produzione del fattore produttivo “conoscenza”.

La presenza di una ben individuata funzione di ricerca e sviluppo non è tipico di ogni impresa.

La ricerca e sviluppo è strettamente collegata al tipo di strategia che l’impresa indende assumere nei confronti dei mutamenti dell’ambiente in cui opera.Tale atteggiamento può assumere le seguenti caratteristiche:

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1. atteggiamento passivo o di adattamento2. atteggiamento anticipativo se l’impresa mira a prevenire i mutamenti nell’ambiente, anticipandoli e

ponendo in essere i necessari provvedimenti correttivi3. atteggiamento attivo o innovativo. L’impresa adotta una strategia di comportamento con la quale

mira non solo a prevenire i mutamenti, ma pone in atto delle scelte anticipate capaci di modificare esse stesse l’ambiente e di indirizzarlo nella direzione più opportuna.

5.2 Innovazione d’impresa e funzione di ricerca e sviluppo

L’atteggiamento attivo o innovativo determina innovazioni sia nell’ambito del proprio sistema che in quello più ampio relativo all’ambiente.

Le teorie dell’innovazione trovano un ambito comune di riferimento negli studi sullo sviluppo e sul progresso dei sistemi economici fra i quali spiccano quelli di J. Schumpeter che scinde l’innovazione in due elementi costitutivi:

1. l’invenzione che è la prima forma di realizzazione di un’idea;2. l’attuazione che è la traduzione dell’invenzione in nuovi prodotti/processi

Negli ultimi decenni il ricercatore individuale ed autonomo è sostituito da gruppi di ricerca che sono organizzati all’interno delle stesse imprese da cui dipendono.

L’oggetto dell’innovazione dell’impresa può comprendere:

a) l’innovazione in senso lato (o amministrativa) che consiste nel raggiungimento di maggiore efficienza e migliore efficacia nelle attività svolte

b) l’innovazione in senso stretto (o tecnologica) che riguarda l’introduzione di nuovi prodotti e/o processi.

L’innovazione amministrativa appare comune a tutte le varie funzioni aziendali per razionalizzare la gestione dell’impresa medesima (sistema informativo, razionalizzazione magazzini, ecc.).

L’innovazione di impresa per la fabbricazione di nuovi prodotti e per l’utilizzo di nuovi processi produttivi è prerogativa tipica della funzione ricerca e sviluppo.

Tale innovazione detta anche tecnologica, richiede studi, analisi, ricerche che proiettano l’impresa in un processo continuo di apprendimento e di mutamento.

L’oggetto di un’innovazione d’impresa, intesa in senso stretto, può riguardare:

1. i processi produttivi2. i prodotti3. le combinazioni innovative “processi-prodotti”

Se l’innovazione ha per oggetto i processi produttivi, si distinguono:

Page 38: ECONOMIA AZIENDALE

1. processi produttivi che comportano un salto nella tecnologia (perché i nuovi processi richiedono conoscenza e capacità tecnologiche diverse da quelle esistenti),

2. processi produttivi adattati e/o migliorati che non comportano un salto tecnologico rispetto a quelli precedenti che richiedono conoscenze e capacità tecnologiche simili a quelle dei processi esistenti

Se l’innovazione ha per oggetto il prodotto, essa può riguardare:

1. prodotti nuovi che richiedono conoscenze diverse 2. prodotti adattati e migliorati per consentire un loro nuovo utilizzo.

La combinazione innovativa processo-prodotto è così schematizzata (importante la chiede) Processi Processi nuovi Processi adattati e migliorati Processi esistenti

Prodotti nuovi 1.1 Combinazione innovativa di nuovo processo con innovazioni di prodotto

1.2 combinazione innovativa di adattamento e miglioramento di processo con innovazioni di prodotto

Innovazione di prodotto nuovo con processo esistente

Prodotti adattati e migliorati

2.1 combinazione innovativa di nuovo processo con adattamento e miglioramento di prodotto esistente

2.2. Combinazione innovativa di adattamento e miglioramento di processo con prodotto adattato e migliorato

Innovazione di prodotto adattato e migliorato con processo esistente

Prodotti esistenti 3.1 Innovazioni di processo con prodotto esistente

3.2 innovazioni di processo adattato e migliorato con prodotti esistente

3.3. Combinazione innovativa di prodotti e processi esistenti

La vera innovazione è l’effetto combinato di prodotti nuovi con processi nuovi di cui alla combinazione 1.1.

La combinazione 3.3 rappresenta la situazione di assenza di innovazione.

Tutte le altre combinazioni individuano l’esistenza di una grado più o meno elevato di innovazione.

L’innovazione che ha per oggetto i processi viene realizzata:

1. quando un prodotto esistente è fabbricato con un processo nuovo (3.1)2. quando un prodotto esistente è fabbricato con un processo adattato e migliorato (3.2.)

L’innovazione che ha per oggetto i prodotti viene realizzata:

1. quando un processo esistente permette la fabbricazione di un nuovo prodotto (1.3).2. quando un processo esistente viene utilizzato per fabbricare un prodotto adattato e migliorato (2.3)Solo la combinazione 1.1 è caratterizzata da un elevato grado di innovazione. In questo caso il bene è manufatto con metodi mai prima usati dall’industria e basato su una recente invenzione o su modifiche originali di precedenti invenzioni (ad es. calcolatori tascabili, orologi a cristalli liquidi, apparecchi per la traduzione simultanea in più lingue, ecc.).

5.3 Articolazione della funzione ricerca e sviluppo

Prodotti

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L’attività di ricerca concerne l’insieme degli studi, delle analisi, delle elaborazioni, ecc., volti ad incrementare le risorse di conoscenza sia scientifiche che tecniche in possesso dell’impresa.

I risultati concreti cui perviene l’attività di ricerca sono rappresentati dall’invenzione o dalla conoscenza di processo.

L’attività di sviluppo rappresenta la prosecuzione logica dell’attività di ricerca e consente di selezionare in modo crescente le idee innovative attraverso una continua verifica sperimentale e la realizzazione dei prototipi.

Tale sperimentazione deve essere finalizzata a fornire gli elementi utili ad indirizzare gli organi responsabili nella scelta tra la sospensione o la continuazione dei progetti in corso.

Le attività di ricerca e sviluppo sono caratterizzate da un rischio economico particolare: si sostengono anticipatamente dei costi per ottenere dei risultati che non sempre si è sicuri di poter sfruttare economicamente nell’ambito dell’impresa.

5.3 L’attività di ricerca: ricerca base e ricerca applicata

La funzione di ricerca può riguardare:

1. attività di ricerca di base2. attività di ricerca applicata

La ricerca di base non ha obiettivi specifici di immediata applicazione. Essa comprende tutte le attività svolte unicamente al fine di acquisire nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Riveste un carattere essenzialmente esplorativo. L’obiettivo generale attribuibile alla ricerca di base consiste nella formazione di nuova conoscenza d’impresa.

Dal punto di vista economico i costi della ricerca di base risultano convenienti solo se consentono di influenzare in modo positivo i costi delle successive attività (per esempio sotto forma di risparmi di costi e di tempo nell’attività della ricerca applicata).

La ricerca applicata può perseguire i seguenti obiettivi:

1. mantenimento della capacità competitiva dell’impresa (ricerca applicata difensiva)consente di razionalizzare l’attività aziendale (riduzione costi di produzione, miglioramento qualitativo dei prodotti, ampliamento gamma delle utilizzazioni dei processi e dei prodotti, ecc.)

2. accrescimento di conoscenza per adeguarla al livello già raggiunto da altre imprese. L’obiettivo è di riuscire ad imitare i beni di più elevato contenuto tecnologico (ricerca applicata di inseguimento).L’imitazione dei concorrenti presenta alcune difficoltà perché di norma le conoscenze da inseguire sono tutelate da brevetti o segreto industriale. Se affrontata in modo illecito, l’imitazione trasforma la ricerca applicata in spionaggio industriale.

3. accrescimento di conoscenza relativa a beni o processi aventi il carattere della novità assoluta (ricerca applicata d’avanguardia). E’ la ricerca che richiede maggior investimento sia in termini di personale qualificato che di mezzi strumentali a disposizione del personale.

I rischi che la ricerca d’avanguardia presenta sono i seguenti:

1) rischi di intempestività del risultato rispetto alle imprese concorrenti2) rischi di non riuscire a consolidare i risultati ottenuti anche se tempestivi perché le imprese

concorrenti hanno successivamente saputo meglio utilizzare le opportunità di mercato.

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Ad ogni modo l’assenza di risultati concreti non deve essere sempre interpretata in maniera negativa. In ogni caso l’attività di ricerca contribuisce a creare un’esperienza conoscitiva suscettibile di un proficuo utilizzo futuro.

I tipici risultati dell’attività di ricerca sono i seguenti.

1) invenzione (soluzioni nuove di problemi tecnici connessi all’attività produttiva)2) conoscenza di processo (know-how, capacità tecnica di eseguire particolari

combinazioni produttive)

L’invenzione e la conoscenza di processo devono essere adeguatamente “difesi” attraverso:

il deposito di brevetti che assicurano un periodo di sfruttamento in esclusiva il segreto industriale.

Si ricorre di norma al brevetto quando la soglia di novità è elevata, al segreto industriale quando l’innovazione introdotta è di lieve entità e tale da non essere facilmente difendibile attraverso il deposito di un brevetto.

CAPITOLO 6 – LA FINANZA

6.1 La funzione finanza: oggetto, obiettivi e compiti operativi

La funzione finanza ha tipicamente per oggetto la gestione del fattore capitale:

acquisizione di capitale impiego di capitale

L’obiettivo della finanza è quello di conferire economica liquidità alla gestione dell’impresa.

La funzione finanza deve permettere all’impresa di fronteggiare in ogni momento qualunque esigenza di esborso finanziario in modo economico e tempestivo.

I compiti della finanza sono.

1- equilibrata gestione di cassa (entrate e uscite monetarie).Le principale entrate monetarie possono derivare da:

incasso dei ricavi di vendita dei beni o servizi apporti dei soci con il vincolo del capitale “a pieno rischio”assunzione di prestiti realizza di attività (es. disinvestimenti di fabbricati, macchinari)Le principali uscite monetarie della gestione, invece, possono derivare da:pagamento dei costi della gestione d’impresa (acquisizione di fattori produttivi, costi di trasformazione)investimenti effettuati dall’impresa (es. acquisto di impianti, macchinari, ecc.)rimborsi di debitirimborsi di capitale ai soci (es. pagamento dei dividendi)

2. perseguimento di una equilibrata struttura tra le fonti di acquisizione di capitale e gli impieghi di risorse finanziarie.

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Riguarda la globalità delle fonti di acquisizione di capitale e degli impieghi di risorse finanziarie e non solo le entrate e le uscite di cassa.

La struttura finanziaria può essere osservata:

1. in modo statico se si fa riferimento ad un dato istante della vita aziendalela rappresentazione statica della struttura finanziaria è contenuta nel bilancio d’esercizio dell’impresa (stato patrimoniale).

Nello stato patrimoniale, riferito ad una specifica data, sono compresi:

- impieghi: denaro in cassa e investimenti in corso- fonti: debiti e capitale “a pieno rischio”

2. in modo dinamico se si considerano i flussi evolutivi nel tempo degli impieghi e delle fonti di risorse finanziarieGli impieghi di capitale sono:

- investimenti (es. in crediti, magazzino, macchinari, impianti)- rimborsi di debiti- rimborsi di capitale a pieno rischio- eventuale copertura del deficit della gestione reddituale

Le fonti di finanziamento sono :

- capitale a pieno rischio- capitale di debito- disinvestimenti di elementi patrimoniali- eventuale autofinanziamento originato dalla gestione reddituale

L’attività specifica della funzione finanza è la gestione di tesoreria e la gestione dei crediti

Ulteriori compiti sono collegati con le altre aree funzionali dell’impresa, in particolare l’analisi e la gestione degli investimenti in beni strumentali del magazzino e dei crediti presuppongono un costante collegamento:

con la pianificazione e la programmazionecon le aree funzionali del management dove gli accennati elementi vengono realizzati (es. area della produzione per gli investimenti in beni strumentali, area della produzione ed area marketing per il magazzino, area del marketing per i crediti della “gestione caratteristica” dell’impresa.

6.2 La struttura finanziaria dell’impresa

Occorre operare un confronto tra

- La struttura delle fonti di finanziamento- La struttura degli impieghi di capitale

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L’analisi viene riferita ad un determinato istante della gestione aziendale e pone in rilievo gli stati di equilibrio o di squilibrio esistenti tra i fabbisogni di capitale (impieghi) e le relative coperture (fonti)

Gli aspetti di osservazione più significativi sono:

1. per le fonti, la provenienza e la durata del ciclo di utilizzo2. per gli impieghi la durata del ciclo di realizzo

Sotto il profilo della provenienza, le fonti si differenziano per il tipo di vincolo che ne caratterizza l’acquisizione. Da questo punto di vista è possibile distinguere:

1. capitale acquisito “a pieno rischio” o capitale proprio che può provenire dall’esterno dell’impresa (es. capitale versato dai soci) o dall’interno della medesima (es. autofinanziamento)

2. capitale acquisito con il vincolo del debito o capitale di terzi

Se il capitale di terzi fosse troppo elevato rispetto al capitale proprio, l’impresa avrebbe difficoltà a reperire nuovi finanziamenti a condizioni convenienti, ecc. – manca equilibrio.

Sotto il profilo della durata le medesime fonti di finanziamento si possono distinguere in:

1. capitale a pieno rischio2. indebitamento a medio e lungo termine (es. mutui, obbligazioni, ecc.)3. finanziamento corrente: indebitamento a breve termine come i debiti verso fornitori, debiti per

imposte, ecc. e indebitamento a breve ciclo di utilizzo come le aperture di credito per elasticità di cassa.

Il capitale a pieno rischio e l’indebitamento a medio e lungo termine costituiscono il cosiddetto capitale permanente dell’impresa.

Gli impieghi di capitale sotto il profilo della durata possono essere così suddivisi:

1. immobilizzazioni considerate al netto delle corrispondenti poste correttive (es. fondi di ammortamento, fondi di svalutazione, ecc.)

2. capitale circolante lordo che comprende: disponibilità non liquide (es. magazzino), liquidità differite (es. crediti esigibili) e liquidità immediate (es. cassa e banche).

Sono da considerarsi immobilizzazioni o debiti a medio e lungo termine quegli elementi degli impieghi o delle fonti che non daranno origine ad entrate od uscite di cassa nel corso del successivo esercizio.

Per esclusione rientrano nel capitale circolante lordo e nel finanziamento corrente quegli impieghi e quelle fonti che daranno origine a movimenti monetari nel corso del successivo periodo amministrativo.

Vedere fig. 6.1 pag. 207 Struttura patrimoniale-finanziaria dell’impresa.

Le fonti servono per garantirsi gli impieghi.

Nella struttura patrimoniale-finanziaria vengono effettuati dei raffronti tra impieghi e fonti per cogliere gli stati di equilibrio finanziario esistenti. Essi riguardano:

1. il capitale circolante netto che può essere determinato in due modi:

a) differenza tra capitale circolante lordo meno debiti correnti

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b) differenza tra il capitale permanente (capitale “a pieno rischio” e debiti a media e lunga scadenza) meno le immobilizzazioni nette

Il capitale circolante netto è un indicatore molto utilizzato della potenzialità di sviluppo finanziario in quanto segnala:

la capacità o l’incapacità dell’impresa di far fronte agli impegni finanziari di breve periodo con forza propria

l’esistente situazione di equilibrio o di squilibrio tra investimenti in immobilizzazioni e capitale consolidato

2. il margine di struttura è la differenza tra il “capitale a pieno rischio” meno le immobilizzazioni nette. Serve per indicare la capacità di copertura delle immobilizzazioni con mezzi propri

3. il margine di tesoreria è la differenza tra le liquidità immediate e differite meno i debiti correnti

6.3 Le fonti del finanziamento aziendale

Le fonti del finanziamento dell’impresa rappresentano le modalità con cui può essere fronteggiato il fabbisogno di capitale originato dalla gestione dell’impresa medesima.

Tali fonti di finanziamento sono:

1. Capitale “a pieno rischio” (o capitale proprio)2. Debiti a media e lunga scadenza3. Debiti correnti4. Particolari forme di finanziamento: leasing, factoring

6.4 Il capitale a pieno rischio

Il capitale a pieno rischio può derivare da: 1. apporti di soci2. riserve di utili3. altre riserve

Per le S.p.A. gli apporti dei soci sono le azioni. Le principali sono:

1. azioni ordinarie (tipica forma di suddivisione del capitale sociale; devono essere di eguale valore e conferire eguali diritti, non possono essere emesse per un valore inferiore al valore nominale

2. azioni privilegiate (attribuiscono un duplice diritto di priorità: nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale in caso di liquidazione della società). Il valore totale delle azioni privilegiate non può superare la metà del capitale sociale.

3. Azioni di risparmio sono simili alle azioni privilegiate ma possono essere emesse solo dalle società quotate in borsa. Inoltre possono essere emesse al portatore anziché essere nominative come le altre azioni.

L’emissione delle azioni può avvenire sia in fase di costituzione della società che in occasione di aumenti di capitale.

Le riserve di utili rappresentano le quote di utili che l’impresa nei vari esercizi ha accantonato (es. riserva legale, riserva statutaria, riserva facoltativa, riserva stabilizzazione dividendi, avanzo utili, ecc.)

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L’obiettivo dell’impresa deve essere da un lato quello di trattenere presso di sé il capitale già acquisito con il vincolo del pieno rischio e dall’altro quello di operare in condizioni tali da attrarre all’impresa nuovo capitale.

6.5. I debiti a media e lunga scadenza

I debiti a media e lunga scadenza sono i mezzi finanziari il cui rimborso risulta differito per periodi superiori ad un esercizio.I tipici debiti a media e lunga scadenza sono:

1. i prestiti obbligazionari2. i mutui3. i debiti verso i dipendenti per trattamento di fine rapporto

6.6. Prestiti obbligazionari

I prestiti obbligazionari sono una forma di finanziamento propria delle società per azioni.

Non possono essere emesse obbligazioni per un importo eccedente il capitale sociale versato ed esistente all’atto dell’emissione del prestito e indicato nell’ultimo bilancio approvato dalla società emittente.

Possono superare detto limite se le obbligazioni sono garantite da ipoteca su immobili di proprietà sociale, sino a due terzi del valore di questi, oppure quando l’eccedenza è garantita da titoli nominativi emessi dallo Stato.

I principali tipi di obbligazione sono:

le obbligazioni ordinariele obbligazioni indicizzatele obbligazioni convertibili

Le obbligazioni ordinarie comportano un interesse fisso semestrale ed il rimborso in contanti al momento dell’estrazione.

Le obbligazioni indicizzate tengono conto del problema dell’inflazione e l’interesse che viene corrisposto è ancorato a determinati parametri (es. rendimento dei buoni ordinari del tesoro).

Le obbligazioni convertibili possono, su scelta dell’obbligazionista essere rimborsate in contanti come le obbligazioni ordinarie o sostituite parzialmente o totalmente con azioni della società emittente o con azioni di altra società.

6.7 Mutui

Il mutuo è una forma di finanziamento a medio e lungo termine che le imprese negoziano con istituti di credito specializzati. Le caratteristiche del mutuo sono:

i fondi hanno generalmente una destinazione vincolata ad un determinato piano di investimenti; il prestito viene supportato da garanzie personali (fidejussioni).

Il pagamento degli interessi ed il rimborso del capitale avvengono di solito contemporaneamente in rapporto ad un determinato piano di ammortamento poliennale attraverso rate periodiche es. semestrali che comprendono:

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gli interessi relativi al periodo trascorso dall’ottenimento del mutuo o dal pagamento della rata precedente

una quota di rimborso del capitale ottenuto in prestito.

Il rimborso può essere:

- a quote decrescenti (si rimborsano quote sempre uguali di capitali e si pagano interessi via via decrescenti sul debito residuo

- a quote costanti (con ogni rata si rimborsano quote crescenti di capitale e si pagano interessi a mano a mano decrescenti sul debito residuo. In questo caso però la somma dei due elementi che compongono la rata (capitale ed interessi) risulta costante per ogni periodo.

6.8 Debiti verso i dipendenti per trattamento di fine rapporto

Il trattamento di fine rapporto è una particolare forma di indebitamento a medio-lungo termine dell’impresa che matura durante il periodo in cui è in essere il rapporto di lavoro e che viene pagato al momento della cessazione del rapporto medesimo.

L’entità del debito è commisurata ai seguenti elementi:

valore medio retributivo mensile che si ottiene, anno per anno, sommando tutte le retribuzioni corrisposte al lavoratore e dividendo questo totale per 13,5

rivalutazione al 31 dicembre di ciascun anno del trattamento di fine rapporto precedente sulla base di un “coefficiente di rivalutazione” che si ottiene sommando due tassi percentuali:

il primo è il 75% dell’aumento dell’indice ISTAT del costo della vita per operai e impiegatiil secondo è un tasso fisso pari al 1,5%.

6.9 I debiti correnti

I debiti correnti dell’impresa sono rappresentati da:

- debiti a breve termine- debiti a “breve ciclo di utilizzo”

I debiti a breve termine sono quelli che dovranno essere rimborsati nell’arco del prossimo esercizio.I debiti a breve ciclo di utilizzo hanno scadenza indeterminata ma fluttuano a breve periodo.

6.10 Finanziamenti ottenuti da istituti di credito

- aperture di credito di conto corrente per elasticità di cassacontratto con cui l’istituto di credito mette a disposizione dell’impresa una somma di denari per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato. Consiste nella massima elasticità di utilizzazione attraverso lo strumento dell’assegno bancario. Costi: interesse per scoperto di conto, commissione di massimo scoperto, altre competenze bancarie

- sconto di cambiali commercialicessione alla banca di crediti non ancora scaduti, aventi forma cambiaria. Le cambiali devono avere scadenza non superiore a un dato periodo di tempo e la firma di persone o imprese solvibili. E’ una

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forma di finanziamento autonoma. I costi: sconto applicato dalla banca commisurato all’importo dell’effetto scontato e al tempo intercorrente tra la data dell’operazione di sconto e la scadenza dell’effetto, commissioni di incasso, provvigioni ed altre competenze bancarie

- prestito cambiarioconsiste nello sconto di cambiali (sotto forma di pagherò) emesse dall’impresa direttamente a favore della banca finanziatrice. E’ un finanziamento diretto. I costi: sconto commisurato all’importo nominale del titolo e al tempo intercorrente dalla data in cui si ottiene il finanziamento alla scadenza dell’effetto, altre competenze bancarie, bollo della cambiale.

- anticipazione a scadenza fissapuò essere un’anticipazione in conto corrente o un’anticipazione a scadenza fissa. L’anticipazione in conto corrente è assimilabile all’apertura di credito in conto corrente per elasticità di cassa. La differenza sta nel fatto che l’apertura di credito in conto corrente per elasticità di cassa può essere assistita da garanzie personali (es. fidejussioni), mentre l’anticipazione in conto corrente è di norma accompagnata da garanzie reali (es. pegno). I costi: interessi commisurati all’entità del finanziamento ed alla durata del medesimo, altre competenze bancarie.

- riporto di bancaé un contratto mediante il quale l’impresa cede dei titoli ad una banca e si impegna a riacquistarli ad una determinata scadenza e ad un prezzo maggiorato degli interessi. E’ simile all’anticipazione a scadenza fissa sotto il profilo giuridico e presuppone i seguenti elementi:un fabbisogno finanziario a breve termine, la disponibilità di titoli in portafoglio, la volontà di non privarsi definitivamente dei titoli stessi. I costi: interesse calcolato sulla base dell’entità del finanziamento ed alla durata del medesimo, imposta di bollo sul documento che attesta i passaggi di proprietà dei titoli, altre competenze bancarie

- prestiti di firmanon riguardano erogazioni di denaro ma rappresentano forme di finanziamento volte a garantire gli impegni dell’impresa nei confronti di terzi, attuate da gli istituti di credito. Sonola fidejussione, l’avallo e l’accettazione.La fidejussione è l’impegno verso il creditore, assunto da un terzo di soddisfare un’obbligazione pecuniaria.L’avallo è l’apposizione da parte di un terzo della propria firma di garanzia su una cambiale.L’accettazione consiste nella firma di accettazione che la banca appone su di una tratta.

6.11 Finanziamenti ottenuti da fornitori di fattori produttivi specifici

L’oggetto della negoziazione non è il credito stesso, ma lo scambio di beni o servizi.I debiti di fornitura infatti si concretizzano attraverso una dilazione di pagamento concessa all’impresa dal fornitore.Il costo del credito di fornitura è conglobato nel prezzo di acquisto delle merci e potrebbe essere calcolato tenendo conto dei seguenti elementi:

- sconti da applicarsi al prezzo nel caso di pagamento effettuato prima del termine previsto- periodo di dilazione di cui si può usufruire rinunciando agli sconti suddetti

6.12 Il leasing

L’oggetto dell’operazione di leasing può essere costituito sia da beni mobili che da beni immobili

Le forme tecniche di leasing sono due:

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- leasing operativo. L’oggetto del contratto è rappresentato prevalentemente dalla locazione del bene e la fornitura da parte della società locatrice di una serie di servizi accessori (es. assistenza tecnica)Il canone è determinato con criteri non legati al costo del bene locato e non prevede la possibilità di riscatto finale da parte dell’impresa locataria.

- leasing finanziario. Di norma intervengono tre soggetti: l’impresa locataria, l’impresa costruttrice o venditrice del bene, la società di leasing.Nel leasing finanziario la società di leasing agisce come intermediario finanziario in quanto acquista il bene dalla società costruttrice e affitta il bene all’impresa locataria (o costruttrice).Il leasing finanziario prevede il diritto di riscatto del bene da parte dell’impresa locataria al termine del contratto (es. dopo 5 anni, ecc.), pagando una somma convenuta all’atto di stipulazione del contratto (es. 9% del valore medesimo)Il costo dell’operazione di leasing è rappresentato dal canone che comprende i seguenti elementi:

1. ammortamento del bene locato2. interesse sul capitale investito3. spese di gestione e margine di utile della società di leasing

- leas-back: l’impresa vende alla società di leasing un bene e successivamente lo prende in locazione- lease-purchase: l’impresa prende in locazione un bene dall’impresa proprietaria del bene

medesimo ed al termine del contratto ne diviene proprietaria automaticamente a titolo non oneroso.

6.20 Gli equilibri di struttura finanziaria perseguiti direttamente dalla funzione finanza

I tipici equilibri di struttura finanziaria che vengono perseguiti dall’area della finanza sono i seguenti:

- equilibrio all’interno delle fonti di finanziamento acquisite con vincoli differenti (es. capitale “a pieno rischio” e “capitale di credito”. Se il capitale di debito è troppo elevato nei confronti del capitale “a pieno rischio” si possono innescare meccanismi per cui poi è difficile reperire nuovi finanziamenti. Per evitare tali conseguenze l’area finanziaria dell’impresa deve in ogni momento tenere sotto controllo un particolare quoziente finanziario che assume la denominazione di quoziente di indipendenza finanziaria e può essere così espresso:

capitale “a pieno rischio”quoziente di indipendenza finanziaria= capitale investito

Tale quoziente non dovrebbe mai scendere sotto un determinato livello prefissato, in base a certi parametri (es. obiettivi di sviluppo dell’impresa, situazione economica generale)

- equilibrio tra le varie categorie di investimenti (es, capitale circolante ed investimenti in immobilizzazioni). E’ necessario per mantenere una certa liquidità. Tale equilibrio può essere mantenuto con un’ accurata gestione di tesoreria

- equilibrio tra fabbisogni e mezzi di copertura ovvero scelta del fabbisogno finanziario (investimenti) e delle possibili fonti di finanziamento. Vi sono vari modi in cui l’area della finanza può realizzare questo equilibrio tra investimenti e finanziamenti:

caso a): l’impresa tende a far coincidere nel tempo l’ammontare globale degli investimenti e dei finanziamenti a breve terminee, di conseguenza, degli investimenti e dei finanziamenti a medio e lungo termine;

caso b): l’impresa tende a finanziare mediante fonti di finanziamento a medio e lungo termine anche la “parte immobilizzata” sempre presente negli investimenti in capitale circolante lordo (es. scorta minima di magazzino sotto la quale l’impresa non può scendere);

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caso c): l’impresa tende a finanziare mediante fonti a medio e lungo termine anche una parte di capitale circolante lordo eccedente la “parte immobilizzata” compresa nel medesimo.

Questi casi evidenziano la tendenza dell’impresa a realizzare l’equilibrio tra investimenti e finanziamenti attraverso la copertura di fabbisogni “rigidi” (es. immobilizzazioni, parte immobilizzata del circolante lordo) con finanziamenti a medio e lungo termine, per lasciare spazio ai finanziamenti correnti nella copertura dei fabbisogni non rigidi (o elastici).

Un caso di squilibrio sarebbe originato dalla tendenza di fronteggiare i fabbisogni rigidi con mezzi di finanziamento elastici. Ciò determina degli scompensi nella gestione finanziaria (necessità di reperire nuovi finanziamenti, alla scadenza dei precedenti, per non dover smobilizzare una parte degli investimenti).

Vedere 6.2

CAPITOLO 7 – ORGANIZZAZIONE E PERSONALE

7.1 Generalità

L’organizzazione e personale svolge all’interno dell’azienda un ruolo strumentale.

Attraverso le scelte di organizzazione e personale si fa sì che le decisioni funzionali (marketing, produzione e logistica, ecc.) siano prese al momento giusto, siano affidate alle persone o ai team adatti, sianno coordinate tra di loro, vengano tradotte in pratica e non restino sulla carta.

7.2 L’organizzazione: concetti generali

L’organizzazione è un insieme di variabili, dette appunto variabili organizzative, così classificabili:

1. Struttura organizzativa2. Meccanismi operativi3. Stile di direzione4. Cultura aziendale

Decidere quale deve essere la struttura organizzativa di un’azienda significa stabilire:

- come dividere i compiti tra i vari soggetti che operano in azienda- come coordinare i loro sforzi per raggiungere gli obiettivi aziendali

I meccanismi operativi che chiariscono meglio ai soggetti ciò che è loro richiesto, qual’è la funzione del loro lavoro ai fini del raggiungimento degli obiettivi aziendali sono i seguenti:

- il sistema di pianificazione e controllo di gestione- il sistema informativo- il sistema di gestione del personale

Esistono altre variabili organizzative assai meno codificabili: una di queste e lo stile di direzione, vale a dire il modello di comportamento che l’azienda si aspetta dai suoi manager nei confronti dei loro dipendenti e collaboratori (rapporti più o meno partecipativi con i dipendenti al momento della formulazione delle decisioni). Questo non può essere regolamentato più di tanto perché dipende in buona misura dai tratti personali dei manager.

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Un’altra variabile organizzativa poco codificabile è la cultura aziendale: si tratta di un insieme di idee, Valori, principi di comportamento aziendale che dovrebbe accomunare tutti coloro che lavorano in azienda.

7.3 L’organizzazione: come si è evoluta nel tempo (importante fa domande)

Le correnti di pensiero organizzativo più significative sono:

1. Il Taylorismo2. La scuola Comportamentale3. L’indirizzo delle “Scienze del Management”4. L’approccio Sistemico5. Il modello “Organizzazione e Mercato”

Il Taylorismo prende il nome dal suo esponente più famoso, l’ingegnere americano F. Taylor, che tentò tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo di rendere l’organizzazione del lavoro scientifica (Scientific Management), cioè basata su principi rigorosi.

L’obiettivo dichiarato dello “Scientific Management” era il miglioramento dell’efficienza.

I punti essenziali del Taylorismo sono i seguenti:

1. il lavoro esecutivo va suddiviso tra gli individui “parcellizzando” i compiti, cioè affidando ai lavoratori compiti semplici e ripetitivi;

2. il lavoro direzionale va specializzato per funzioni, ossia secondo le principali aree funzionali

3. la divisione del lavoro va definita nettamente, non solo in senso orizzontale, ma anche in senso verticale, cioè tra livelli gerarchici differenti (alta direzione, direzione intermedia, organi operativi ai vari livelli

4. il coordinamento deve basarsi sull’ordinamento gerarchico in base ai seguenti principi:

- principio scalare: l’autorità deve scendere dall’alto verso il basso secondo una linea chiara e continua

- principio dell’ampiezza limitata del controllo: ogni manager dovrebbe avere alle proprie dipendenze un numero limitato di subordinati

- principio dell’unità di comando: ogni subordinato dovrebbe ricevere direttive da un solo capo

- principio dell’eccezione (i capi delegano poteri decisionali ai subordinati ad eccezione delle decisioni di una certa rilevanza)

- principio del bilanciamento tra autorità e responsabilità: tanto è maggiore l’autorità di cui si gode, tanto maggiori sono le responsabilità (carico di responsabilità adeguato alla propria posizione).

La Scuola Comportamentale, a partire dal 1930 circa, introduce i concetti delle Scienze del Comportamento (psicologia, e sociologia in primo luogo), trascurati dallo Scientific Management.

Il filone più conosciuto della Scuola Comportamentale è quello delle Relazioni Umane in cui si sostiene che l’uomo è un essere solo in parte razionale, animato da forti componenti emotive.

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La Scuola delle Relazioni Umane in termini di progettazione organizzativa fa discendere la conseguenza che non sono solo gli uomini che devono adattarsi alle esigenze dell’organizzazione, ma è pure l’organizzazione che deve essere modellata sulle esigenze delle persone.

La Scuola delle Relazioni Umane si è evoluta nelle cosiddette Teorie Motivazionali che spingono in profondità nella ricerca di motivazioni che animano gli individui sul lavoro e sulle tecniche idonee per “arricchirlo”.

L’indirizzo delle Scienze del Management, sviluppatosi negli anni 50 e 60 ha un orientamento di tipo economico-tecnico senza comunque ignorare le teorie motivazionali. Grande risalto viene dato al processo decisionale che si svolge in azienda.

L’Autore più rappresentativo è H. Simon che ha elaborato la seguente teoria:

- i processi decisionali aziendali sono condizionati da una serie di meccanismi d’influenza tra cui spiccano l’autorità e la comunicazione (come l’addestramento e la formazione del personale)

- il comportamento umano delle organizzazioni non è mai pienamente razionale (teoria della razionalità limitata) per incompletezza delle conoscenze, difficoltà di previsione, impossibilità di considerare tutte le alternative, tuttavia è possibile rendere più razionali le decisioni, proprio intervenendo sui meccanismi di influenza, in primis sul sistema di autorità.

L’Approccio Sistemico o Contingency, tipico degli anni 70-80 è un approccio molto eclettico che afferma l’impossibilità di una standardizzazione organizzativa in quanto la stessa dipende dal contesto. Non esiste un approccio unico. Per cui la scelta delle variabili organizzative:

- deve concretizzarsi in un mix omogeneo di caratteri organizzativi dotato di elevata flessibilità , nel senso che l’organizzazione non è immutabile, ma cambia quando le circostanza lo richiedono

- dipende dal configurarsi di variabili extra-organizzative quali l’ambiente di riferimento, le strategie prescelte, le variabili tecnologiche e quelle umane: al cambiare di tali variabili dovrebbe riprogettarsi l’organizzazione.

Il modello Organizzazione e Mercati ha una matrice decisamente economica (anni 80) si propone in primo luogo di spiegare se conviene eseguire all’interno dell’azienda certi processi o se ricorrere al mercato esterno. Vale adire se è meglio liberarsi di situazioni a basso profilo che comportano troppi costi (ad es. mensa). E’ molto diverso dall’approccio Sistemico o Contingency in quanto lo stesso non opera misurazioni economiche mentre il modello Organizzazione e mercati sì.

7.4 La struttura organizzativa

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La struttura organizzativa considera i seguenti aspetti:

- gli organi tra cui è diviso il lavoro (cioè i gruppi di persone che condividono un processo di lavoro)- le funzioni assegnate a tali organi- le relazioni tra gli organi stessi (interdipendenza tra gli organi: risolvere i problemi, non crearli)

La struttura organizzativa può essere formale o informale.

La struttura formale è solitamente esplicitata dalla direzione in organigrammi ed altri documenti, tuttavia i gruppi informali spesso sono assai importanti nel rendere più pronta la risposta aziendale alle sollecitazioni dell’ambiente, laddove invece la struttura fortemente formalizzata può rallentare i processi di reazione.

D’altro canto gli stessi gruppi informali possono elaborare norme di comportamento non coerenti con gli obiettivi che l’impresa si propone di raggiungere.

Con riferimento alla struttura organizzativa formale sono opportune le seguenti osservazioni:

1. Riguardo agli organi un criterio particolarmente diffuso è la distinzione tra:

- organi di line. Gli organi di line si trovano sulla linea dell’organigramma e rappresentano la struttura portante dell’impresa, le aree caratteristiche, ovvero quelle più direttamente coinvolte nel perseguimento degli obiettivi aziendali

- organi di staff . Sono organi di supporto agli organi di line.

Di solito non esistono organi con funzioni puramente consultive ed ausiliarie, senza contenuto decisionale perché le conoscenze e le informazioni possedute consentono loro di sostituirsi a volte alla line nelle decisioni o di restringerne comunque il campo di scelta.

In pratica, si classificano nella line l’area della produzione e l’area commerciale che sono le più direttamente rivolte al perseguimento degli obiettivi aziendali, mentre tutte le altre aree sono definite di staff (personale, amministrazione, finanza, ecc.)

2. riguardo ai criteri di divisione del lavoro tra i vari organi si parla innanzitutto di divisione orizzontale, cioè di suddivisione dei compiti tra unità poste allo stesso livello organizzativo. Al riguardo possono essere adottate suddivisioni:

- per funzione ( marketing, produzione, finanza, ricerca e sviluppo, ecc.)- per prodotto ( ad es. filati, tessuti, abbigliamento, arredamento in un’impresa tessile, ecc.)- per zona geografica (ad es. filiale di Torino, di Milano, ecc.)- per tipo di cliente (ad es. clienti pubblici e clienti privati)- per processo produttivo (a seconda della tecnologia usata per fabbricare lo stesso prodotto)- per progetto (ad es. nelle produzioni su commessa).

Tali criteri danno origine ad organi specializzati in determinate funzioni o nelle gestione di certi prodotti o su certi mercati e così via.Non si tratta però di criteri che si escludono a vicenda, ma che coesistono nella stessa azienda, sia pure a livelli gerarchici differenti.

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- Quando si parla di divisione verticale invece si fa riferimento alla suddivisione dei compiti tra livelli superiori e livelli subordinati della gerarchia, che si differenziano per il contenuto di autorità decisionale (decrescente man mano che si passa dal “vertice” alla “base” della piramide organizzativa).

Si definiscono accentrate le organizzazioni in cui buona parte delle decisioni, anche di modesto rilievo, sono prese dall’alta direzione, e decentrate quelle in cui si fa uso sistematico della delega, cioè vi è una significativa diffusione dei poteri decisionali anche ai livelli inferiori.

Il grado di decentramento non necessariamente è legato allo sviluppo dell’organizzazione in senso orizzontale o verticale.

3. Dalla divisione orizzontale del lavoro deriva la necessità del coordinamento per assicurare ai vari organi la necessaria integrazione. Gli strumenti di coordinamento sono molteplici:- le regole e le procedure formali- la fissazione di obiettivi comuni a più organi- la gerarchia (cioè il ricorso ad un comune superiore gerarchico)- i comitati- i gruppi di lavoro temporanei (task forces)- i gruppi permanenti- certe figure organizzative come il product o il project manager (struttura a matrice).

Pertanto la gerarchia non è l’unico mezzo di coordinamento soprattutto quando l’incertezza dei compiti da svolgere renda eccessivo il numero di eccezioni da sottoporre ai capi gerarchici per risolvere problemi di integrazione.

4. Il principale mezzo di raffigurazione della struttura è l’organigramma. Si tratta di un grafico, fatto di caselle e di linee che permette di individuare:

- gli organi tra cui è diviso il lavoro, di solito con distinzione tra quelli di line e quelli di staff- le relazioni tra gli organi, spesso limitatamente a quelle di tipo verticale o gerarchico- lo sviluppo verticale ed orizzontale della struttura organizzativa

Vedere fig. 7.1 pag. 262

7.5 I principali modelli di struttura organizzativa

I principali modelli strutturali sono :

1. La struttura plurifunzionale. E’ particolarmente adeguata nei casi in cui l’impresa persegue strategie di sviluppo mono-prodotto o nei casi di integrazione verticale. Questa struttura si basa sulla divisione del lavoro direttivo per funzione omogenea (marketing, produzione, personale, amministrazione e controllo, finanza, ricerca e sviluppo, ecc.). Nella struttura plurifunzionale esistono tre livelli fondamentali chiaramente distinti.Alla Direzione Generale è affidato il compito di amministrare l’azienda come sistema unitario.Le Direzioni dei Dipartimenti Funzionali sono specializzate nelle singole aree funzionali per cui nessuna di esse è in grado, normalmente, di occuparsi di problemi generali aziendali, ma solo dei problemi peculiari di quella funzione.Le Unità Operative hanno compiti prevalentemente esecutivi all’interno di una precisa area funzionale. Per esse il criterio di divisione del lavoro può essere ancora una volta funzionale (ad es. la direzione amministrativa si divide negli uffici di contabilità generale, contabilità industriale e budget). Vedere fig. 7.2 pag. 264.Pregi: efficienza (attitudine a minimizzare le risorse, specie umane, da impiegare). Infatti essa concentra nello stesso dipartimento tutte le persone specializzate in una certa funzione

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evitando duplicazioni di risorse non sempre impiegate a tempo pieno come avviene con altri modelli strutturali.

Difetti: in caso di strategia di diversificazione (nei prodotti e/o mercati) per le seguenti ragioni:

- difficoltà da parte di ciascun direttore responsabile a gestire una molteplicità di prodotti con caratteristiche di produzione, di marketing ecc. differenti e difficoltà di coordinamento dei vari aspetti funzionali di ciascun prodotto da parte della direzione generale;

- difficoltà nell’elaborare strategie aventi orizzonti non limitati, per carenze manageriali, sia quantitative che qualitative. La Direzione Generale è abituata ad occuparsi di pochi prodotti e mercati, mentre i direttori delle aree funzionali conoscono solo il proprio settore;

- difficoltà nel processo di controllo della gestione poiché la determinazione della redditività dei singoli prodotti è ripartita tra una pluralità di dipartimenti funzionali e di dirigenti

2. La struttura multi divisionale. Presuppone una divisione del lavoro direttivo per tipo di prodotto (o mercato, o zona geografica). All’interno di ciascuna divisione si ritroverà poi nuovamente la struttura di tipo plurifunzionale. All’interno della struttura multi divisionale operano i seguenti tipi di organo:

- Direzione generale - Staff della direzione generale (staff centrali)- Divisioni operative (per prodotto, area geografica, mercato)- Dipartimenti funzionali (all’interno di ciascuna divisione)- Unità operative di base (all’interno di ciascun dipartimento)

La Direzione generale non si occupa della conduzione delle singole Divisioni, che è stata decentrata, ma della formulazione delle strategie globali d’impresa.

Gli Staff centrali assistono la Direzione Generale nella formulazione delle strategie e aiutano le stesse divisioni. Tali staff di solito sono specializzati in aree funzionali (finanza, marketing, personale, ecc.)

Le Divisioni sono caratterizzate dal fatto che i rispettivi responsabili ricevono una delega a gestire l’unità come se fosse un’azienda, cioè in tutti i settori funzionali.

I Dipartimenti funzionali e le Unità Operative operano a livelli differenti all’interno delle divisioni e presentano caratteri analoghi a quelli della struttura plurifunzionale.

Vedere fig. 7.3 pag 268

Caratteristiche: notevole grado di decentramento a favore delle divisioni le quali sono considerate centri di profitto perché le decisioni prese dai responsabili di divisione sono in grado di influenzare direttamente i costi ed i ricavi di un prodotto o di una linea di prodotti; presenza degli staff centrali.

Le principali condizioni affinchè la struttura multi divisionale funzioni efficacemente sono:

- sufficiente indipendenza di ciascuna divisione dalle altre (limitare al massimo i trasferimenti interni di merci, servizi, ecc.)

- i rapporti tra le varie divisioni devono essere regolati in modo che il reddito addizionale di una divisione superi l’eventuale perdita di un’altra (il reddito globale dell’impresa deve risultare incrementato)

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- sufficiente autonomia decisionale delle divisioni nei confronti della direzione generale centrale (decentramento effettivo)

Pregi: efficace coordinamento. Infatti è più efficace affidare il coordinamento dei vari prodotti alla Direzione Generale ed il coordinamento della varie funzioni di ciascun prodotto al responsabile divisionale.

Difetti: sul piano dell’efficienza (i vari esperti funzionali sono disseminati tra le divisioni ma non sempre vengono impiegati a tempo pieno)

3. La struttura a matrice. E’ caratterizzata dall’esistenza di un duplice criterio di divisione orizzontale del lavoro al livello dipendente dall’alta direzione. I due criteri simultanei sono costituiti da:

- tipo di funzione- tipo di progetto

riguarda le imprese che basano la propria gestione su progetti complessi tipici delle attività su commessa del cliente (costruzioni navali, aerospaziali, edili, ingegneria civile, ecc.). vedere fig. 7.4 pag 270.

E’ necessario il coordinamento delle attività necessarie per realizzare ciascun progetto nei tempi, alle condizioni tecnico-qualitative e ai costi prestabiliti in sede di prograamazione.

Per assicurare nello stesso tempo:

- il coordinamento delle attività necessarie alla realizzazione del progetto alle condizioni prestabilite

- l’efficienza propria della concentrazione di risorse nel medesimo dipartimento funzionale

si può ricorrere alla forma organizzativa a matrice.

Nella struttura a matrice esistono due gruppi di manager posti entrambi alle dipendenze della Direzione Generale:

- i responsabili funzionali che curano l’esplicazione efficace ed efficiente di una certa funzione, indipendentemente dai progetti

- i responsabili di progetto o project manager che coordinano lo specifico progetto del cui buon esito sono responsabili.

Le risorse necessarie alla realizzazione dei progetti, a cominciare dal personale, sono assegnate ai responsabili dei dipartimenti funzionali, a cui i project manager debbono rivolgersi per condurre a termine il progetto loro affidato.

Il personale dei vari dipartimenti funzionali è il punto di incrocio di due autorità, il che fa venir meno l’unità di comando.

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Pregi: elevata flessibilità perché le unità di progetto cambiano la loro composizione a seconda delle esigenze e il project manager dura tanto quanto il singolo progetto.Difetti: possibilità di conflitti tra la dimensione funzionale e quella per progetti anche se ciò non necessariamente risulterà controproducente per l’azienda.

7.9 L’organizzazione del lavoro esecutivo (operaio e impiegatizio)

L’organizzazione del lavoro esecutivo si ispirava fino a non molto tempo fa al modello tayloristico, il quale pura vendo prodotto dei risultati positivi dal punto di vista della razionalizzazione e dell’efficienza ha anche prodotto risultati negativi quali:

- dequalificazione dei lavoratori- insoddisfazione psicologica dei medesimi- irrigidimento delle strutture aziendali

Per tali motivi si è avvertita la necessità di organizzare secondo nuovi criteri il lavoro esecutivo. I nuovi modelli del lavoro esecutivo sono:

1. rotazione dei compiti: rotazione del lavoratore su diversi posti di lavoro (ridurre la monotonia derivante dalla ripetitività

2. allargamento dei compiti: assegnazione di più mansioni al medesimo lavoratore

3. arricchimento dei compiti: al lavoro esecutivo vengono aggregate funzioni di programmazione, preparazione, manutenzione, controllo, ecc. che rendono anche superflua la presenza di alcuni organi (capi di primo livello, manutentori, attrezzatori, ecc.)

4. gruppi autonomi di lavoro che si occupano di una determinata fase del processo produttivo: distribuzione dei compiti definita autonomamente all’interno del gruppo che programma il lavoro e ne controlla lo svolgimento. Le funzioni del capo vanno convertite in funzioni di prevalente coordinamento e consulenza

Esempi di tale modo di organizzare il lavoro sono rappresentati dalle UTE (Unità tecnologici Elementari) introdotte nella Fiat di Melfi. Nella Ute convivono oltre al responsabile, i vari operatori, l’addetto alla manutenzione, l’addetto all’addestramento e il tecnologo.

7.10 Le variabili organizzative non strutturali (importante fa domande)

Le variabili organizzative non strutturali sono:

1. i meccanismi operativi2. lo stile di leadership3. la cultura aziendale

1. i meccanismi operativi sono i sistemi direzionali di pianificazione e controllo, di gestione del personale e di informazione.

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Il sistema di pianificazione e controllo ha il compito di esplicitare gli obiettivi dell’azienda e dei singoli organi di cui questa si compone, nonché di consentire la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi stessi (orienta il comportamento e descrive come si valutano gli obiettivi).I componenti organizzativi del sistema di pianificazione e controllo di gestione sono:

- i centri di responsabilità in cui viene divisa l’azienda, coincidenti con gli organi della struttura, e i corrispondenti parametri-obiettivo, cioè gli indicatori con cui vengono misurati i loro obiettivi (a preventivo) e i loro risultati (a consuntivo). Esempio di indicatore di profitto per la misurazione di un obiettivo = ricavi meno costi di una divisione (centro di responsabilità)

- le modalità secondo cui gli obiettivi, i piani e i programmi vengono formulati e i risultati vengono valutati: chi stabilisce gli obiettivi e come, quando e come vengono misurati i risultati, come si procede agli interventi correttivi (processo della pianificazione e del controllo)

Le tecniche di gestione del personale costituiscono in alcuni casi altrettanti meccanismi operativi.Esercitano tale ruolo:

1. la selezione del personale2. la formazione l’addestramento3. la valutazione del personale4. il sistema premiante

Un altro meccanismo operativo dell’organizzazione è il sistema informativo che consente la circolazione dei dati e delle informazioni ai soggetti che in azienda ne hanno bisogno.E’ un meccanismo operativo perché:rende possibile lo svolgimento delle attività previste dal disegno strutturale concretizza e rafforza lo schema delle relazioni delineate dalla struttura organizzativa

2. lo stile di leadership o di direzione, cioè il comportamento dei capi verso i subordinati può essere:

- autoritario (a decidere è sempre il capo che si limita a comunicare le sue scelte ai collaboratori affinché le eseguano)

- paternalistico (non si discosta molto dallo stile autoritario, differisce nella forma, perché il capo coinvolge il subordinato in un rapporto simile a quello tra padre e figlio)

- partecipativo o democratico (comporta un coinvolgimento attivo e incisivo dei subordinati nelle decisioni)

- permissivo (il capo lascia fare, estraniandosi dal gruppo che dirige – poco possibile nelle realtà profit oriented)

- burocratico (rapporto spersonalizzato tra capi e subordinati, fondato prevalentemente sul rispetto delle norme e delle regole che disciplinano lo svolgimento dei compiti dei vari organi

3. la cultura aziendale è il sistema di valori e di idee che distingue un’azienda da tutte le altre. La cultura aziendale diventa una variabile dominante quando si crea un forte spirito di corpo, con profonda e diffusa consapevolezza di una sorta di “missione” da compiere, associata alla presenza di una leadership carismatica (H. Mintzberg). Essa lega fortemente il singolo dipendente all’azienda, integrando fini individuali e collettivi. In queste circostanza l’organizzazione per funzionare efficacemente e in modo coordinato ha solo limitatamente bisogno di regole formali di tipo gerarchico e di complessi meccanismi operativi (es. Toyota, aziende giapponesi in generale)

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