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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2005 Paper numero 49 Simona FRANZONI LE RELAZIONI CON GLI STAKEHOLDER E LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2005

Paper numero 49

Simona FRANZONI

LE RELAZIONI CON GLI STAKEHOLDERE LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA

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LE RELAZIONI CON GLI STAKEHOLDER E LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA

di Simona FRANZONI

Ricercatore in Economia Aziendale Università degli Studi di Brescia

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Indice 1. La stakeholder view nei principi aziendali............................................ 1

2. Il nuovo concetto d’impresa responsabile ............................................. 7

3. I prerequisiti per un’impresa responsabile ............................................ 9

3.1. La responsabilità degli amministratori verso la società ..................... 10

3.2. La responsabilità degli amministratori verso gli stakeholder............. 17

3.3. La responsabilità socio-ambientale..................................................... 23

4. Le relazioni tra responsabilità e cultura d’impresa ............................. 27

5. L’indagine empirica ............................................................................ 29

5.1. Il sistema industriale bresciano........................................................... 30

5.2. Le aziende analizzate........................................................................... 31

5.3. I risultati dell’indagine........................................................................ 33

Bibliografia.............................................................................................. 41

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

1. La stakeholder view nei principi aziendali

Il tema attinente alle finalità e alla concezione del ruolo dell’impresa nella società, sta assumendo crescente rilevanza a livello mondiale, anche a seguito, delle numerose situazioni di fraudolenza (Enron, WorlCom, Viventi, Cirio, Parmalat, ecc.) che si sono manifestate in questi ultimi anni. Ciò ha aperto un ampio dibattito sulle modalità di recupero di efficacia in un contesto caratterizzato da fenomeni di globalizzazione, di ricorrente eccedenza dell’offerta di beni sulla domanda, di frequente separazione della proprietà dal management aziendale e di sempre maggiore esposizione e permeabilità all’informazione da parte degli stakeholder.

Gli economisti aziendali, in effetti, hanno non di rado considerato le relazioni tra la dimensione economica e quella sociale per l’ottimizzazione delle performances nel tempo. Ad esempio, negli anni ‘30 del secolo scorso, Zappa definiva l’azienda quale “coordinazione economica in atto (…) istituita e retta per il soddisfacimento di bisogni umani”1. Negli anni ‘50, lo stesso Zappa, ne approfondiva l’oggetto e poneva in rilievo la natura durevole dell’impresa, definendola: “istituto economico atto a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, compone e svolge in continua coordinazione la produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza”2. Con riferimento agli interlocutori sociali Zappa sosteneva che: “gli interessi del soggetto economico d’impresa non sono appagati di solito in misura ragionevole nel lungo andare quando non siamo moderati e aggiustati agli interessi dei collaboratori, in questi ultimi compresi i risparmiatori che ala produzione offrono il capitale proprio e, in parte, il capitale di credito. Però gli interessi particolari di coloro che operano per l’impresa debbono essere contemperati da interessi più vasti, anche per i fini proposti alla produzione dalle esigenze del bene comune dalla collettività nella quale l’impresa si attua: una nuova economia del benessere si sostituirebbe all’antica economia del tornaconto. Solo una più salda compagine sociale, solo una più equa distribuzione dei redditi offrirebbero alla produzioni le condizioni indispensabili al suo desiderato progresso e alla invocata diffusione dei consumi. L’ordinamento dell’impresa non è mai fine a sé stesso”3.

1 Zappa G., Tendenze nuove negli istituti di ragioneria, (discorso inaugurale dell’anno

accademico 1926-27 nel R. Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali di Venezia), Milano, 1927.

2 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 37. 3 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p 309.

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Onida, qualche anno più tardi, riaffermava che “le aziende sono ordinate a fini concernenti la soddisfazione di bisogni umani, in quanto questa soddisfazione esiga consumo di beni economici e quindi anche produzione o acquisizione degli stessi”4. Ancora, “i peculiari ed essenziali problemi dell’azienda sono quindi di produzione, scambio, acquisizione e consumo di beni economici. In questo senso e soltanto in questo senso si può dire che l’azienda abbia oggetto economico. L’affermazione non significa che l’azienda in concreto abbia fini unicamente o prevalentemente economici e che la sua vita ponga soltanto problemi economici. Come istituto sociale l’azienda serve ad elevare il benessere dell’uomo, a favorire lo sviluppo della sua personalità ed a far meglio realizzare i fini della vita umana associata che sono essenzialmente di natura etica. La concreta condotta delle aziende è fondamentalmente subordinata a tali fini, e quindi all’etica; le sue scelte hanno significato strumentale e nel loro valore di mezzo a fine debbono adattarsi agli scopi cui esse tendono”5. “In realtà, lo schema dell’impresa rivolta unicamente a massimizzare il profitto, pronta – a questo effetto – a comprimere, appena possibile, ogni altra rimunerazione dei fattori produttivi, a cominciare dai salari, e tendenzialmente chiusa alla considerazione di ogni altro aspetto dell’equilibrato e durevole sviluppo dell’attività di gestione, è uno schema astratto che sempre meno vale a interpretare l’impresa del nostro tempo e specialmente, come abbiamo detto, la grande impresa, le cui sorti, a lungo andare, sono quanto mai legate alla prosperità dell’ambiente in cui essa opera. L’impresa ha bisogno di masse di lavoratori, di masse di capitali, di masse di consumatori diretti o indiretti, non può durevolmente prosperare come sistema angustamente concepito in funzione soltanto del profitto”6. Secondo Masini, “i fini dell’azienda devono essere coerenti con i fini superiori della persona umana secondo etica e religione, sia in quanto gli interessi che con essi si soddisfano sono pertinenti alle persone fisiche che direttamente o indirettamente tramite persone giuridiche sono membri del soggetto economico, sia per le interrelazioni più varie con le persone di altre aziende”7. Anche Azzini, qualche anno più tardi, sosteneva che “… ogni azienda sorge o diviene convenientemente solo se sa svolgere una “funzione” nel sistema, per concorrere in vario modo (…) al soddisfacimento dei bisogni degli uomini della comunità, per consentire loro un più elevato benessere”8.

4 Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.1. 5 Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.44. 6 Onida P., Economia d’Azienda, Utet, Torino, 1965, p.80. 7 Masini C., Lavoro e risparmio, Utet, Torino, 1972, p. 49. 8 Azzini L., Istituzioni di Economia d’Azienda, Giuffrè Editore, Milano, 1979, p.25.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

Dalle citazioni succitate, è possibile evincere: la stretta interdipendenza tra dimensione economica e ruolo sociale dell’azienda e l’importanza della sua finalità, condivisa dai diversi studiosi, rappresentata dalla “soddisfazione dei bisogni umani”. “I bisogni da appagare nelle aziende continuamente si spostano e variamente s’intrecciano: essi quasi costituiscono le tappe di un cammino che mai non sosta verso una meta sempre più lontana. Anche le aziende, infatti, per la loro stessa natura di istituti economici, non hanno in sé medesime le ragioni della loro esistenza, ma le ritrovano nei bisogni che si vogliono soddisfare. I bisogni, che sempre nuovi insorgono e che sempre variamente si compongono limitandosi a vicenda, determinano le sempre nuove strutture organiche e patrimoniali del nostro istituto e il riordinamento continuo degli accadimenti economici di gestione”9. Pertanto, “la nozione di azienda, non si esaurisce nella considerazione dei suoi fattori e dei suoi accadimenti, ma implica l’ardua investigazione e la conoscenza costante delle relazioni che sempre nuove s’intrecciano tra i fenomeni di azienda, tra i fenomeni di mercato e tra i fenomeni di azienda e di mercato, e coinvolge inoltre la percezione degli andamenti e delle tendenze future di quei fenomeni e di quelle relazioni”10.

Il cambiamento della società, e quindi dell’ambiente con cui le aziende hanno un rapporto continuo, dialettico e dinamico, non può che riverberarsi sul “modo” di operare, così come la modifica della scala di valori e, conseguentemente, dei bisogni non può non influenzare la produzione di beni e servizi.

Lo sviluppo dell’azienda è pertanto condizionato dalla capacità di porsi in sintonia con le dinamiche del sistema ambientale di appartenenza, alle cui istanze e ai cui mutamenti deve dedicare costante attenzione. Secondo Masini, “lo svolgimento dell’azienda di produzione condiziona ed è condizionato dall’ambiente. Sono fenomeni economici di ambiente dell’azienda di produzione la domanda e l’offerta dei beni (merci o servizi), del lavoro di ogni grado, del credito e dell’assicurazione; domanda e offerta che si manifestano nelle relazioni di mercati di sbocco e di settori economici della produzione e del consumo, nelle relazioni tra aziende derivanti anche dalle gestioni patrimoniali orientate variamente da alternative di investimenti. (…) Si hanno poi fenomeni di ambiente non economici con influsso sugli svolgimenti dell’impresa, per le relazioni connesse all’impresa come corpo intermedio economico-sociale, nel quale operano persone con molteplicità di relazioni e nel quale si producono

9 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 46. 10 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 41.

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accadimenti che suscitano relazioni anche condizionatrici di situazioni psicologiche, etiche, politiche”11.

Per potersi costituire, permanere e sviluppare nell’ambiente, l’azienda abbisogna costantemente di risorse che, attraverso l’impiego in attività, producono risultati. Tali risultati, a loro volta, contribuiscono a generare nuove risorse da destinare all’incremento di quelle esistenti e influiscono perciò sui processi di formazione dei consensi provenienti dall’ambiente per l’ottenimento di nuove risorse.

La funzionalità duratura dell’impresa è in effetti assicurata dalla capacità di attrazione di risorse qualitativamente e quantitativamente adeguate ai fabbisogni che si manifestano nel tempo, oltre che dalla corretta allocazione delle stesse per la continua realizzazione di combinazioni produttive, variamente estese e diversificate, in grado di soddisfare le attese dei conferenti di risorse nel pieno rispetto di tutti gli altri attori sociali.

È indubbio che un ruolo fondamentale è attribuibile ai conferenti delle risorse primarie – nelle aziende di produzione riconducibili al capitale di rischio ed al lavoro – da cui dipendono la possibilità di realizzazione dell’attività e le relative modalità di sviluppo.

I fattori produttivi primari configurano pertanto componenti indispensabili all’impresa e, per natura e modalità di apporto, assumono caratteri tali da generare le finalità economiche dominanti l’istituzione a cui pertengono.

Tuttavia, la diffusa propensione a privilegiare la creazione di ricchezza per la soddisfazione immediata e prospettica dei conferenti di capitale di rischio ha spesso determinato il prevalere delle attese degli shareholder, con una frequente predominanza di un orientamento al profitto. Inoltre, la talora esasperata ricerca del profitto ha generato fenomeni di iniquità comportamentale, degenerati a volte nella illegalità.

Solamente negli ultimi tempi, si è andata affermando una nuova concezione del ruolo dell’impresa nella società, con una significativa rivalutazione dell’equo contemperamento degli interessi di tutti gli stakeholder12

.

La soddisfazione delle attese degli interlocutori sociali dovrebbe infatti rappresentare, l’elemento propulsore di tutta l’attività dell’azienda. Perseguire tale finalità implica salvaguardare il concetto di efficacia

11 Masini C., Lavoro e risparmio, Utet, Torino, 1972, p. 188. 12 Gli anni ’80 si caratterizzano, in particolare, per la nascita della stakeholder theory

che ha trovato la sua codificazione nel noto contributo di Freeman che individua i soggetti nei confronti dei quali le imprese devono essere responsabili.E. Freeman, Strategic management. A stakeholder approach, Pitman, Boston, 1984.

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globale13, ovvero la capacità dell’azienda di ottimizzare le modalità di soddisfacimento delle attese in essa riposte.

Il perdurante perseguimento dell’efficacia globale è caratterizzato dalla realizzazione della condizione fondamentale di economicità. L’economicità consente di puntualizzare le norme di comportamento dalla cui consonante realizzazione dipendono l’incremento interno delle risorse ed il constante ottenimento dei necessari consensi sociali.

L’acquisizione degli opportuni consensi sulla proposta progettuale presuppone che l’azienda debba essere duratura, ossia debba svolgersi secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da consentirle di durare nel tempo in ambiente mutevole. La durabilità trova presupposti essenziali nell’autonomia, cioè la capacità dell’azienda di non ricorrere sistematicamente ad interventi di sostegno o di copertura delle perdite da parte di altre economie14.

Inoltre, affinché l’azienda sia durevole, autonoma ed in grado di perseguire i propri fini economico-sociali, occorre che le regole di condotta siano caratterizzate dal rispetto delle condizioni di equilibrio reddituale (mantenimento dell’equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito) e di equilibrio monetario-finanziario (perseguimento sistematico dell’equilibrio tra fabbisogno e situazione finanziaria) nel tempo.15

Alle condizioni individuate di tipo prevalentemente oggettivo (condizioni di equilibrio reddituale e monetario-finanziario), occorre affiancarne altre di natura soggettiva16, che sono rappresentate dal mantenimento dell’equilibrio tra le attese degli stakeholder e risultati conseguiti e, dunque, dal perseguimento di un livello accettabile di soddisfazione delle attese dei

13 “Volendo esplicitare una definizione generale di efficacia è possibile affermare che

con siffatto termine si intende rappresentare la capacità di ottenere gli effetti desiderati. Ne deriva la possibilità di evidenziazione di due componenti fondamentali:

- da una parte, l’esistenza di specifiche attese con riguardo a definiti fenomeni e/o comportamenti;

- dall’altra parte, l’attitudine ad orientare i fenomeni ed i comportamenti in modo tale da ottimizzare le modalità di raggiungimento degli effetti sperati.

Quanto sopra esposto, sottolinea l’importanza dell’efficacia quale presupposto essenziale di indirizzo dell’attività d’impresa, dato il convergere nella stessa di molteplici interessi, nonché considerata la stretta interdipendenza tra soddisfacimento delle attese interne ed esterne e comportamenti gestionali». Salvioni D. M. (1997), Il sistema di controllo della gestione, Giappichelli, Torino, p. 1.

14 Airoldi G., Brunetti G. e Coda V., Economia aziendale, Il Mulino, Bologna, p. 175. 15 Salvioni D. M., Il sistema di controllo della gestione, Giappichelli, Torino, p. 10. 16 “Le relazioni con gli stakeholder vedono dunque rivalutato il loro ruolo di condizione

essenziale per la durabilità aziendale; condizione dipendente dalle modalità di soddisfacimento delle attese nel tempo e dalle scelte interattive e di comunicazione al riguardo adottate”. Salvioni D.M., Corporate Governance e Responsabilità d’impresa in Symphonya, Istei, Milano, n. 2/2004.

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clienti, dei fornitori, dei lavoratori, ecc. di tutti cioè i portatori d’interesse dell’impresa (condizioni di equilibrio sociale e ambientale).

Le condizioni di tipo oggettivo e soggettivo, contribuiscono a definire un livello accettabile di economicità della gestione, in un contesto caratterizzato dal rispetto delle norme.

L’economicità sintetizza, dunque, la condizione necessaria per soddisfare le attese dei soggetti portatori di interessi e rappresenta il principio di riferimento in base al quale valutare e definire le modalità di sviluppo delle combinazioni economiche. L’economicità deve trovare applicazione nelle relazioni che si vengono ad instaurare tra azienda ed ambiente circostante, per mezzo di azioni volte a coniugare l’efficienza della combinazione produttiva con il soddisfacimento delle attese.

Il grado e le modalità di raggiungimento delle condizioni ottimali di economicità della gestione richiedono un orientamento comportamentale incentrato sull’integrazione tra variabili economiche e socio-ambientali. Per contro, il mancato o carente bilanciamento delle succitate variabili può determinare situazioni limitative delle potenzialità di sviluppo dell’azienda, con perdita di economicità e conseguenze spesso di non breve momento a livello di intero sistema17.

In particolare un’eccessiva enfatizzazione dell’equilibrio economico a svantaggio dell’equilibrio socio-ambientale, sebbene talora foriera di positivi risultati a breve termine, può generare situazioni d’insoddisfazione e difficoltà di conseguimento delle condizioni di equilibrio nel medio-lungo periodo. D’altra parte, una forte propensione all’equilibrio socio-ambientale, non incentrata anche sulla combinazione ottimale del rapporto tra risorse e risultati economici, può compromettere la capacità di creazione di ricchezza. Infatti, un’impresa orientata al soddisfacimento dei propri interlocutori, ma incapace di perseguire un progetto di sviluppo in grado di generare valore, è destinata a veder vanificata anche la propria valenza sociale. In mancanza di un durevole equilibrio economico la vita aziendale è infatti destinata ad estinguersi.

In sintesi, l’operare dell’azienda si fonda sul mantenimento della capacità di acquisizione di consensi e, conseguentemente di risorse, nonché sull’opportuna organizzazione e sull’oculato utilizzo delle stesse, soprattutto in considerazione della loro limitatezza. Pertanto, l’ottimizzazione delle combinazioni produttive deve rispondere a logiche connesse al

17 “Insomma, è di cruciale importanza che la dimensione umana – nel senso più lato del

termine – e la dimensione economica dell’impresa vengano a compenetrarsi. In tal modo il profitto non viene più assolutizzato, perché è in funzione del benessere e del progresso umano; ma neppure viene sottovalutato e sminuito, in quanto è elemento essenziale per il raggiungimento di quest’ultimo”. Coda V., L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, Torino, 1988, 175.

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soddisfacimento diretto o indiretto dei bisogni umani ed essere sviluppata secondo regole di condotta idonee a consentire l’adeguato bilanciamento tra equilibrio economico e socio-ambientale, nel rispetto della normativa vigente.

Le finalità aziendali, quindi, si trasferiscono nella produzione sinergica di risultati economici, competitivi e sociali, insieme volti al conseguimento del successo d’impresa. Ciò significa produrre ricchezza nel rispetto del migliore soddisfacimento di tutte le attese legittime dei diversi interlocutori sociali e con comportamenti strettamente improntati alla trasparenza ed alla legalità.18 In altri termini, l’efficacia aziendale implica l’assunzione di un concetto di responsabilità globale, incentrato sulla stretta ottemperanza delle norme, sulla realizzazione di relazioni costruttive con tutti gli interlocutori sociali, sul rispetto ambientale, nonché sul mantenimento delle condizioni ottimali di equilibrio economico.

2. Il nuovo concetto d’impresa responsabile

L’affermazione della stakeholder-view ha modificato il comportamento dei vertici aziendali le cui decisioni erano frequentemente sviluppate nell’interesse della proprietà (shareholder view) e nel perseguimento di risultati di natura economico-finanziaria di breve periodo.

Il mandato a “bene amministrare” non può prescindere dal fatto che l’impresa ha una rilevanza economica e sociale che va al di là degli interessi dei soli azionisti e si configura come un “bene” non soltanto per essi, ma anche per gli altri interlocutori e per la società. Conseguentemente, i vertici aziendali sono tenuti ad agire nell’interesse dell’impresa, ignorando qualsiasi comportamento contrario all’etica ed assumendo comportamenti diretti a tutelare tutti gli stakeholder. La responsabilità non è un mero

18 Negli studi manageriale, il principale contributo alla Corporate social responsibility

risale a Bowen nel 1953. Bowen parte dal principio che le imprese di maggiori dimensioni sono centri vitali di potere: le loro decisioni e la loro azione investono e condizionano la vita della società da molti punti di vista. L’autore fornisce una prima definizione di responsabilità sociale: “Il refers to the obligations of businessman to pursue those policies, to make those deicisions, or to follow those lines of action which are desirable in terms of the objectives and values of our society”. Bowen H.R., Social responsbilities of the businessman, Harper & Row, New York, 1953. In quell periodo, si è via via consolidata una concezione di impresa che riconosce la necessità di prestare una specifica attenzione ad altri soggetti portatori di interessi e attese nei confronti dell’impresa, in contrasto con l’impostazione di Friedman, secondo cui l’unico legittimo scopo dell’impresa è la generazione di profitto. Friedman M., Capitalism and freedom, University of Chicago Press, Chicago, 1962; Fiedman M., The social responsability of business is to increase its profits, in Chryssides G.D., Kaler J.H., An introduction to business ethics, Chapman, London, 1993.

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vincolo operativo, ma una determinante della funzione obiettivo dell’impresa che consiste nella creazione di valore per tutti19.

Inoltre, l’interiorizzazione dei valori di responsabilità globale aumenta le potenzialità di coinvolgimento degli stakeholder, con conseguente aumento delle potenzialità di consumo.

Occorre tuttavia evidenziare che anche Zappa, verso la fine del volume “Le Produzioni”, Tomo I, converge su quest’ultima accezione di responsabilità, affermando che “forse non è nemmeno corretto affermare che gli scopi economici della produzione siano talora sommessi agli scopi etici e politici; sempre, nel fatto, gli scopi economici sono coordinati agli scopi sociali; e i bisogni non economici, anche quelli di ordine più elevato, non possono in genere essere soddisfatti senza adeguati mezzi economici”20.

Perseguire il soddisfacimento delle attese economiche e non dei propri stakeholder, significa per l’impresa assumere una responsabilità che discende dalla forte integrazione tra la responsabilità legale, economica, sociale e ambientale e, pertanto, una responsabilità d’impresa orientata all’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile21.

Se, dunque, il fine del reddito si armonizza con gli obiettivi competitivi e sociali, emerge una concezione dell’interesse aziendale di più vasto respiro, più consapevole delle varie domande sociali che si rivolgono all’impresa e delle implicazioni che il loro soddisfacimento o meno potrà avere sulla redditività di lungo periodo.

Il raggiungimento dell’equilibrio a valere nel tempo si pone, dunque, quale condizione indispensabile per il perseguimento della finalità d’impresa, tesa al soddisfacimento delle attese ed alla creazione di valore per i propri stakeholder e quindi al costante perseguimento all’efficacia globale.

In tal senso, l’attività di governance trova significativi presupposti proprio nella capacità di assicurare nel tempo l’equa realizzazione di tutte le attese legittime, in modo da garantire all’azienda i consensi e le collaborazioni che le sono necessarie. Solo le imprese in grado di creare

19 Coda V., Responsabilità sociale e strategia dell’impresa, in Sacconi L. (a cura di),

Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria Editrice, Roma, 2005, p. 183.

20 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, Tomo I, Milano, 1957, p. 308. 21 Gli studiosi di strategic management, approfondendo una visione della socialità

fortemente integrata nella gestione strategica dell’azienda, elaborano il concetto di sostenibilità, quale approccio finalizzato alla creazione di valore nel lungo periodo, non solo per gli azionisti ma anche per gli altri stakeholder, fondato sulla capacità di cogliere le opportunità e di gestire i rischi derivanti dai cambiamenti del contesto. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: J. H. Spangenberg, O. Bonniot, Sustainability Indicators, A compass on the road towards Sustainability, February 1998.

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valore sono in condizioni di apportare un contributo a lungo termine allo sviluppo sostenibile; al contempo, dall’efficace interazione con tutte le classi di stakeholder dipende la capacità di ottenimento di consensi e di risorse quali-quantitative idonee a sostenere lo sviluppo aziendale e la produttività interna, con conseguenze di non breve momento sull’ottimizzazione dei risultati economici e sul valore d’impresa.

In questa sede, pare opportuno precisare che l’individuazione di diverse tipologie di responsabilità d’impresa – legale, sociale, ambientale, economica – sebbene utile ai fini della comprensione dei diversi aspetti che tale concetto coinvolge, non deve far pensare ad un sistema nel quale le diverse componenti risultano autonome ed a sé stanti.

In particolare, si ritiene che i diversi aspetti inerenti alla responsabilità d’impresa siano tra loro strettamente interconnessi e che non vi siano rapporti di gerarchia tali per cui un livello di responsabilità può trovare realizzazione solo se ne è stato raggiunto uno a valenza prioritaria22. Al contrario, le diverse tipologie di responsabilità risultano così inscindibili che la realizzazione di ognuna costituisce condizione necessaria per le altre.

Tuttavia, è imprescindibile che la corretta assunzione di responsabilità da parte dell’impresa trovi presupposti essenziali nel rispetto delle norme. Si dovrebbe, però, evitare che il meccanismo formale della regola prevalga sullo scopo della stessa e di concepire la norma come vincolo; si tratta in effetti di un’opportunità per il conveniente orientamento dei comportamenti e l’ottimizzazione delle performance aziendali.

3. I prerequisiti per un’impresa responsabile

In questi ultimi anni, per impedire fenomeni che possano pregiudicare il benessere sociale, le istituzioni hanno introdotto norme volte ad orientare gli operatori ad assumere corretti comportamenti nella gestione d’impresa.

22 Caroll, invece, nel 1979 elabora la sua definizione “quadripartita” di responsabilità

sociale: “the social responsibility of business encompasses the economic, legal, ethical, and discretional expectations that society has of organizations at given point in time”, nella quale cerca di conciliare l’esistenza di obiettivi sia economici che sociali (Carroll A. B., A tree-dimensional model of corporate social performance, Academy of Management Review, 1979, n. 4) e nel 1991 chiarirà che i quattro tipi di responsabilità (economic, legal, ethical and voluntary or philanthropic) vanno intesi in senso gerarchico di importanza elaborando la nota piramide delle responsabilità sociali dell’impresa, alla cui base, in quanto di rilevo primario, di trova la responsabilità di tipo economico. A.B. Carroll, The pyramid of corporate social responsability, Business Horizons, n. 34, june-august, 1991. Tra gli autori italiani che si rifanno alla piramide delle responsabilità dell’impresa di Carroll si veda Sciarelli. S. Sciarelli, Il governo dell'impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia ed etica, Sinergie, n. 16, 1998, pp. 53-69.

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Inoltre, l’affermarsi di logiche di responsabilità sociale ed ambientale ha trovato fattori di propulsione anche in una pluralità di iniziative e di comportamenti promossi da organismi di carattere internazionale (l’Unione Europea, l’Onu, ecc.). Nel presente paragrafo si intendono menzionare le principali normative che dovrebbero aiutare l’impresa nell’assumere un comportamento responsabile verso i propri stakeholder.

Il sistema di responsabilità degli amministratori aziendali ha subito una sostanziale modifica rispetto al sistema previgente, a seguito delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato le organizzazioni imprenditoriali complesse nel corso degli ultimi decenni.

La responsabilità legale in capo agli organi di governo deve rappresentare una guida per la corretta condotta degli stessi nell’assunzione delle decisioni e conseguenti azioni per il perseguimento di risultati volti al soddisfacimento delle attese degli stakeholder.

L’analisi che segue intende presentare l’attuale assetto normativo in tema di responsabilità giuridica d’impresa, ponendo l’attenzione sugli obblighi previsti per gli amministratori sia nei confronti della società, sia nei confronti dei diversi stakeholder.

3.1. La responsabilità degli amministratori verso la società Il nuovo testo dell’art. 2392 c.c., dedicato alla responsabilità degli

amministratori nei confronti della società, conserva la formulazione originaria del codice del 1942, introducendo tuttavia alcuni importanti elementi di novità, relativi a:

1) la natura della diligenza richiesta; 2) la responsabilità solidale degli amministratori; 3) la responsabilità diretta degli organi deleganti. Con riguardo al primo elemento la norma prevede che gli amministratori

nell’adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto debbano applicare il canone di diligenza richiesto dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze, in luogo della diligenza del mandatario richiesta dalla disciplina precedente.

La “natura dell’incarico”, sembra riferirsi alla posizione assunta dall’amministratore nell’ambito del consiglio di amministrazione23, all’attività svolta dalla società e alle dimensioni di quest’ultima e dell’impresa esercitata24. La diligenza richiesta “dalle specifiche

23 Il grado di diligenza richiesto sarà diverso a seconda che l’amministratore svolga la

funzione di amministratore delegato ovvero amministratore senza deleghe. 24 La Relazione nello spiegare il significato del concetto di “diligenza richiesta dalla

natura dell’incarico” stabilisce che ciò “non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della

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competenze” degli amministratori introduce invece un elemento di valutazione che attiene al rapporto tra l’attività esercitata dalla società e le specifiche competenze professionali dell’amministratore.

Alla diligenza si associano pertanto, secondo i principi generali, la prudenza e la perizia, laddove: la prima comporta il dovere di non compiere operazioni fortemente rischiose, che nessun avveduto imprenditore porrebbe mai in essere; mentre la seconda evoca la capacità di gestire un’impresa ed il possesso di tutte le cognizioni tecniche necessarie per compiere le operazioni sociali.

Non basta, dunque, la diligenza dell’uomo medio, ma occorre la diligenza del buon amministratore ed il livello di diligenza dovuto sarà tanto più elevato quanto maggiori saranno le dimensioni e la complessità dell’impresa gestita, nonché le capacità individuali richieste all’amministratore.

Riguardo al secondo elemento indicato, il legislatore ha ritenuto opportuno circoscrivere la responsabilità degli amministratori non esecutivi, al fine di evitare che nei loro confronti si creino delle aree di responsabilità, come avveniva in passato. Sotto la vigenza della disciplina precedente, infatti, era frequente che agli amministratori deleganti (non esecutivi) fosse attribuita una responsabilità per fatti dei delegati, a titolo di “culpa in vigilando”, sia in relazione ad uno specifico evento sia con riguardo al generale andamento della gestione. Nella sostanza, veniva spesso a configurarsi una sorta di responsabilità per fatto altrui, che poneva a carico dei soggetti deleganti gran parte dei fatti imputati ai soggetti delegati.

La nuova disciplina ha dunque eliminato il riferimento al “dovere di vigilare sul generale andamento della gestione” per limitare la responsabilità dei deleganti qualora essi, pur venuti a conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società, non abbiano “fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze, fermo quanto disposto dall’art. 2381, terzo comma c.c.25”. L’amministratore delegante sarà dunque responsabile per il pregiudizio arrecato alla società soltanto nel caso in cui egli non sia intervenuto sui fatti a lui resi noti da parte del soggetto delegato in adempimento del dovere di informazione posto dall’art. 2381, terzo comma c.c.

L’articolo 2381 c.c. impone infatti agli amministratori delegati un dovere di informazione e prevede per gli amministratori deleganti l’obbligo di

gestione e dell’amministrazione dell’impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione”.

25 Il terzo comma dell’art. 2381 c.c. prevede ora, anche se per implicito, un preciso dovere di informazione al consiglio di amministrazione da parte dei soggetti deleganti sulla gestione della società.

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“agire” in modo informato, riconoscendo dunque a questi ultimi il potere-dovere di chiedere ai soggetti delegati ogni informazione sull’andamento della gestione.

La norma richiede pertanto che venga alimentato un flusso di informazioni che consenta agli amministratori di disporre di tutti i dati e le notizie necessari per un’adeguata conoscenza della gestione dell’impresa: un flusso informativo “standard” (quello previsto ai sensi dei commi terzo e quinto dell’articolo 2381 c.c.) e un flusso, per così dire, “aggiuntivo” (quello previsto ai sensi del sesto comma dell’articolo 2381 c.c., su richiesta degli amministratori non esecutivi26). Ciò configura una stretta interdipendenza fra il dovere di acquisire le informazioni e la funzione di controllo sull’andamento della gestione, rimessa agli amministratori deleganti.

In merito al terzo punto è necessario fare riferimento all’art. 2380-bis c.c., a norma del quale “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”.

Il secondo e terzo comma del medesimo articolo prevedono inoltre che l’amministrazione della società possa essere affidata anche a non soci e che nel caso in cui l’amministrazione venga affidata a più persone queste costituiscano il consiglio di amministrazione.

Il consiglio di amministrazione, se lo statuto o l’assemblea lo consentono, può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o direttamente ad un o più di essi.

Il Consiglio determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega, potendo sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Inoltre, spetta al consiglio: valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società, qualora vengano elaborati; valutare sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.

Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni centottanta giorni, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro

26 “Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore

può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione delle società”. Art. 2381, c. 6, D.Lgs. 6/03.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate (quinto comma).

La responsabilità del Consiglio nella definizione degli obiettivi strategici della società e nel raggiungimento dei medesimi era già previsto, a titolo volontario per le società quotate, nel Codice di Autodisciplina emanato nel 1999 da Borsa Italiana e rivisitato nel 2002. Con tale documento il Comitato per la Corporate Governance ha fornito un importante contributo alla precisazione del ruolo del Consiglio di Amministrazione, in particolare per ciò che attiene alla sua composizione ed al riparto di funzioni tra esso e gli amministratori delegati.

Al punto 1.1 del Codice di Autodisciplina, si attesta infatti che “le società quotate sono guidate da un Consiglio amministrazione che si riunisce con regolare cadenza e che si organizza ed opera in modo da garantire un effettivo ed efficace svolgimento delle proprie funzioni”. Al successivo punto 1.2, tra le funzioni attribuite a tale organo, si evidenziano quelle relative a:

a) l’esame e l’approvazione dei piani strategici, industriali e finanziari della società e della struttura societaria del gruppo di cui essa sia a capo;

b) (….) f) la verifica dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo ed

amministrativo generale della società e del gruppo predisposto dagli amministratori delegati.

Un ulteriore aspetto rilevante che emerge dal Codice è relativo alla responsabilità del Consiglio sul sistema di controllo interno27. Infatti, il punto 9.2 prevede che “il consiglio di amministrazione ha la responsabilità del sistema di controllo interno, del quale fissa le linee di indirizzo e verifica periodicamente l’adeguatezza e l’effettivo funzionamento, assicurandosi che i principali rischi aziendali siano identificati e gestiti in modo adeguato”28.

In tema di responsabilità degli amministratori è doveroso citare anche quanto previsto dalla nuova disciplina del conflitto di interessi contenuta

27 “Il sistema di controllo interno è l’insieme dei processi diretti a monitorare

l’efficienza delle operazioni aziendali, l’affidabilità dell’informazione finanziaria, il rispetto di leggi e regolamenti, la salvaguardia dei beni aziendali”. Codice di Autodisciplina – Edizione rivisitata luglio 2002; Punto 9.1.

28 A completamento di quanto già affermato nel Codice, si è realizzata nell’aprile 2003, una “Guida al sistema di controllo di gestione” con lo scopo di fornire uno standard di riferimento per le società in via di quotazione affinché progettino sistemi di controllo posti a diretta salvaguardia della finalità di creazione di valore economico. E’ peraltro, opportuno sottolineare che i principi richiamati nella guida posso essere interpretati anche come un utile termine di confronto e un’occasione di autodiagnosi anche per le società già quotate.

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nell’art. 2391c.c.29, che configura l’affermazione dei principi di trasparenza e di correttezza quali valori fondamentali per un efficace governo d’impresa. Tale orientamento risulta confermato nella stessa Relazione al D. Lgs. 6/0330, nella quale si afferma che gli obblighi di fedeltà, lealtà e disclosure devono essere alla base di qualsiasi incarico di amministrazione societaria: l’amministratore, in qualità di “gestore di un patrimonio altrui”, non può approfittare della sua posizione per conseguire vantaggi diretti o indiretti.

Il primo comma dell’articolo 2391 c.c. pone a carico dell’amministratore l’obbligo di dare notizia di qualunque interesse egli abbia nell’effettuare una data operazione societaria, sia anche un interesse per conto di terzi, e senza che necessariamente debba esistere un conflitto con l’interesse della società. Deve essere data notizia, dunque, anche di interessi irrilevanti31, potenziali o potenzialmente in conflitto con quelli della società. Spetterà poi al Consiglio di amministrazione motivare adeguatamente, nella deliberazione, le ragioni e la convenienza dell’operazione per la società (art. 2391 c.c., 2 comma). In questo modo l’amministratore interessato risulta obbligato a fornire agli organi di amministrazione e di controllo tutti i dettagli che permettano di valutare la sussistenza o meno di un conflitto, anche ai fini dell’ammissione al voto dell’interessato, e in genere la convenienza economica dell’operazione per la società.

La prescrizione in oggetto risulta particolarmente innovativa e conferma l’enfatizzazione dei concetti di trasparenza e lealtà della Riforma. In precedenza, la norma semplicemente obbligava l’amministratore a dare notizia del conflitto di interessi, senza che vi fosse la necessità di dare ampia comunicazione e spiegazione dell’esistenza di ogni interesse.

29 Il nuovo articolo 2391 c.c., “Interessi degli amministratori”, prevede che:

“l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale. Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.

30 Trattasi della relazione al D.Lgs. 6/03, sulla riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.

31 Si ritiene che un conflitto sia irrilevante quando esso non sia produttivo di danno per la società (normalmente, cioè, quando l’operazione sia prevista a normali condizioni di mercato). Si veda D.U. Santossuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 143. La ratio di tale obbligo di trasparenza, anche per i casi di conflitti irrilevanti o inesistenti, risiede, infatti, nella considerazione del legislatore di non voler lasciare al soggetto portatore di un dato interesse il giudizio sulla rilevanza e/o confliggenza del suo interesse medesimo in una certa operazione.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

Il penultimo comma dell’art. 2391 c.c. stabilisce che l’amministratore risponda dei danni derivanti alla società dalla sua azione od omissione.

Un’ulteriore novità dell’attuale disciplina attiene all’oggetto del risarcimento, che non è più costituito dalle “perdite”, bensì, più correttamente, dall’intero danno derivato alla società dall’azione o dall’omissione dell’Amministratore. Quest’ultimo sarà, quindi, obbligato a risarcire la società sia sotto il profilo del danno emergente, sia sotto quello del lucro cessante, secondo il principio generale vigente nel nostro ordinamento.

L’ultimo comma dell’art. 2391 c.c., estende la responsabilità dell’amministratore anche ai casi nei quali egli, venendo meno ad un obbligo di lealtà verso la società, abbia utilizzato a vantaggio proprio, o di terzi, dati notizie od opportunità di affari che la società avrebbe potuto sfruttare a proprio beneficio. In questo caso, sarà onere della società provare che i dati, le notizie e le opportunità di affari sono stati appresi dall’amministratore nell’esercizio del proprio incarico32.

I sindaci sono inoltre responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

I sindaci, secondo la nuova disciplina prevista dal D.Lgs. 6/2003, devono adempiere ai loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. Sono inoltre, secondo l’art. 2407 c.c., responsabili della verità dello loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.

Tra i diversi doveri posti in capo al collegio sindacale, in base all’art. 2403 c.c. vi sono, oltre la vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, la vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

Inoltre, il collegio sindacale, purché ciò sia disciplinato nello statuto, può esercitare il controllo contabile per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato. In tal caso il collegio sindacale è costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia33.

32 Tale disciplina si applicherà anche ai sistemi di amministrazione e controllo di tipo

dualistico e monistico. Infatti, per quanto attiene il sistema dualistico, l’articolo 2409 undecies c.c. richiama espressamente l’applicazione dell’articolo 2391 c.c. per le deliberazioni del consiglio di gestione, mentre per il sistema monistico l’articolo 2391 è richiamato dall’articolo 2409-noviesdecies.

33 In base infatti all’art. 2409-bis c.c., il controllo contabile sulla società è esercitato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il

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Le medesime funzioni attribuite al collegio sindacale dall’art. 2403 nel sistema ordinario, sono in capo al consiglio di sorveglianza con il sistema dualistico. Diverso è invece il ruolo del Comitato per il controllo sulla gestione previsto per il sistema monistico, laddove si prevede che tale organo vigili, non solo sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società e del sistema amministrativo e contabile ma anche sull’adeguatezza del sistema di controllo interno, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione.

Per le società quotate il ruolo del Comitato per il controllo sulla gestione viene riconosciuto al collegio sindacale e al consiglio di sorveglianza34, secondo quanto previsto dall’149 del Decreto Draghi (D.Lgs. 58/98).

Infatti, tra i doveri del collegio sindacale è prevista la vigilanza: - sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo; - sul rispetto dei principi di corretta amministrazione; - sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli

aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione.

La medesima disciplina vale per il consiglio di sorveglianza, secondo quanto previsto dall’art. 149, comma 4-bis, introdotto con il D.Lgs. 37/2004 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 58 del 1998) e non si applica al comitato per il controllo sulla gestione secondo il comma 4-ter35, probabilmente perché già previsto con la disciplina ordinaria.

controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, la quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell'attività di revisione prevista per le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati ed alla vigilanza della Commissione nazionale per le società e la borsa. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato può prevedere che il controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale. In tal caso il collegio sindacale è costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia.

34 A seguito della modifica introdotta con il Decreto Legislativo 37 del 6 febbraio 2004 “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo unico dell'intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998”.

35 Art.9.78 (Modifiche all’articolo 149 del decreto legislativo numero 58 del 1998). – 1. All’articolo 149 del decreto legislativo numero 58 del 1998 sono apportate le seguenti modificazioni: a) (…); b) dopo il comma 4 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “4-bis. Al consiglio di

sorveglianza si applicano i commi 1, 3 e 4. Almeno un componente del consiglio di sorveglianza partecipa alle riunioni del consiglio di gestione. 4-ter. Al comitato per il controllo sulla gestione si applicano i commi 1, limitatamente alla lettera d), 3 e 4”.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

Inoltre, in base all’articolo 150, del D.Lgs. 58/98, parzialmente rivisto secondo il disposto dell’art. 9, comma 79, del D.Lgs. 37/2004, gli amministratori riferiscono tempestivamente al collegio sindacale, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale, sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale effettuate dalla società o dalle società controllate. In particolare essi sono tenuti a riferire in merito ad operazioni nelle quali abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento. Tale obbligo è adempiuto, nel sistema dualistico, dal consiglio di gestione nei confronti del consiglio di sorveglianza, mentre in quello monistico dagli organi delegati nei confronti del comitato per il controllo sulla gestione.

Il collegio sindacale è dunque chiamato, per le società quotate, oltre alla vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, all’accertamento dell’esistenza di procedure orientate al conseguimento degli obiettivi aziendali. A tal fine il D.Lgs. 58/98 introduce per la prima volta nella legislazione italiana, l’espressione “sistema di controllo interno”36, al quale il legislatore attribuisce un’importanza particolare, riconoscendolo come attività autonoma, essenziale per assicurare la qualità del funzionamento del sistema gestionale e pertanto oggetto di specifica attenzione da parte dell’organo di vigilanza.

3.2. La responsabilità degli amministratori verso gli stakeholder Prima di analizzare gli aspetti di responsabilità giuridica degli

amministratori nei confronti delle specifiche tipologie di stakeholder, si ritiene opportuno indicare, quale comportamento responsabile dell’impresa nei confronti di qualsiasi interlocutore, il rispetto del principio di trasparenza previsto dalla norma per la redazione del bilancio.

Secondo quanto previsto dall’art. 2423 c.c. “gli amministratori devono redigere il bilancio d’esercizio, costituito dalla stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione

36 La legge Draghi non definisce in alcun modo questa espressione limitandosi all’uso

della terminologia corrente che a sua volta genera, nel gergo comune, interpretazioni diverse e conflittuali. L’esigenza, dunque, di dare un indirizzo possibilmente univoco all’interpretazione dell’espressione “sistema di controllo interno” al fine di porre il Collegio Sindacale nella possibilità di svolgere compiutamente la propria attività, ha consentito l’organismo – Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri, di elaborare due guide a supporto del collegio sindacale, emanate la prima nel 1998 “Principi ci comportamento del collegio sindacale nelle società di capitali con azioni quotate nei mercati regolamentati” e la seconda nel 2001 “ Guida operativa sulla vigilanza del sistema di controllo interno”.

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patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”. Ai fini della rappresentazione veritiera e corretta delle informazioni economico-finanziarie la medesima norma prevede che “se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo”. Ancora, nel caso in cui l’applicazione di una disposizione relativa alla redazione del bilancio risulti “incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata”.

Emerge molto chiaramente come la norma abbia disposto l’assunzione di valori di trasparenza al fine di modificare possibili atteggiamenti delle imprese orientati, da un lato ad adottare politiche comunicazionali rispondenti ad esigenze di fittizio sostenimento della crescita di valore dell’impresa emittente, dall’altro alla legittimazione di risultati idonei a garantire il minor prelievo fiscale possibile.

Tuttavia, il fatto che la norma imponga una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società, non garantisce l’efficacia della comunicazione economico-finanziaria, che tende a riflettere le caratteristiche culturali dominanti nell’impresa37.

Nonostante aumentino le attese conoscitive provenienti dall’ambiente, nell’impresa, in particolare in quella medio-piccola, tende a prevalere una cultura di reticenza, che determina atteggiamenti di sfiducia e di scarso interesse per i messaggi quantitativo-monetari che la stessa produce e diffonde.

37 A seguito di una ricerca, svolta dall’Università di Brescia, che si è proposta di

verificare il grado di maturità esistente in termini di comunicazione economica ricorrendo ad un correlato empirico di una settantina di aziende di medio-piccole dimensioni, è emerso che: “ancora oggi, la maggior parte delle imprese analizzate non ha recepito il bilancio come uno strumento di comunicazione, bensì come un mero adempimento normativo. Infatti, documenti come la nota integrativa e la relazione sulla gestione, non contengono tutte quelle informazioni quantitative e qualitative utili per consentire il pieno apprezzamento della situazione economica globale. Allo stato attuale, in relazione ai risultati emersi dal gruppo di imprese analizzato, si evince che il bilancio è dunque poco significativo per l’operatore che intende avere una visione di sintesi globale della situazione aziendale, dato lo scarso valore informativo del messaggio veicolato(….). Purtroppo, in Italia sono ancora pochi i bilanci che soddisfano tutti i punti menzionati, infatti, il ritardo nell’informativa societaria è imputabile, in particolare, alla prevalenza di aziende di piccola e media dimensione, alla scarsa sensibilità all'informativa di bilancio, al ritardo nel recepimento del ruolo comunicazionale del bilancio e ad una frequente interferenza di carattere fiscale dell'informativa”. S. Franzoni, Integrazione tra valori di bilancio, informazioni quantitative e qualitative, in D. M. Salvioni (a cura di), L’efficacia della comunicazione economico-finanziaria e l’analisi della concorrenza, Giappichelli Editore, Torino, 2002, p. 144.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

Ad oggi il bilancio non è ancora pienamente concepito come uno strumento di comunicazione. Documenti quali la nota integrativa e la relazione sulla gestione non contengono tutte quelle informazioni quantitative e qualitative utili per consentire il pieno apprezzamento della situazione economica globale.

Affinché la comunicazione economico-finanziaria recuperi efficacia è necessario invece che il concetto della trasparenza trovi sempre maggior diffusione. La diffusione dei valori di trasparenza favorirebbe, infatti, la creazione di un insieme di comportamenti responsabili, orientati alla divulgazione di messaggi tra loro coerenti, incentrati sulla costante rappresentazione dei fenomeni caratterizzanti la dinamica aziendale. Del resto, un’informazione trasparente, neutra, chiara, trasmessa all’esterno agevola la qualificazione dell’immagine dell’impresa, creando potenzialità di acquisizione dei consensi.

Si analizzano di seguito, gli aspetti di responsabilità giuridica degli amministratori nei confronti di specifiche tipologie di stakeholder: i creditori sociali, i singoli soci ed i terzi, i concorrenti, i clienti/consumatori, i lavoratori, la Pubblica amministrazione e la collettività. La responsabilità verso i creditori sociali

La disciplina degli amministratori verso i creditori della società per azioni è rimasta sostanzialmente immutata con l’introduzione del D.Lgs. 6/2003.

I presupposti dell’azione di responsabilità dei creditori sociali sono: da un lato “l’inosservanza (da parte degli amministratori) degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”, dall’altro il fatto che “il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”.

La responsabilità verso i singoli soci ed i terzi

L’art. 2395 c.c. è stato modificato nel 2003 (D.Lgs. 6/2003) soltanto per quanto attiene al termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione individuale di responsabilità, non essendo stato modificato il presupposto dell’azione stessa, consistente nel compimento da parte degli amministratori di un atto illecito che abbia direttamente danneggiato il singolo socio o il terzo.

La responsabilità nei confronti dei concorrenti

Il rapporto di concorrenza prevede, secondo la definizione più accreditata, la presenza di due soggetti che offrono sullo stesso mercato beni o servizi idonei a soddisfare, anche in via succedanea, gli stessi bisogni o bisogni simili. Ciò equivale a dire che vi è rapporto di concorrenza qualora

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due imprenditori si rivolgano alla stessa clientela e gli atti dell’uno influenzino il comportamento dell’altro.

La violazione dei principi di correttezza professionale fra due soggetti in rapporto di concorrenza genera gli “atti di concorrenza sleale” idonei, secondo quanto previsto dall’art. 2598 c.c., a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente o a determinare il discredito ed a danneggiare l’altrui azienda.

La norma prevede pertanto che la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisca la continuazione e dia gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti (art.2599 c.c.). In caso di atti concorrenza compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto anche al risarcimento dei danni.

La responsabilità nei confronti dei clienti/consumatori

La responsabilità nei confronti dei clienti significa far sì che questi ultimi trovino soddisfazione nell’acquisto del bene prodotto dall’impresa, che, a sua volta per essere competitiva, deve realizzare le soluzioni più confacenti alle esigenze del cliente. In tal senso, risultano essenziali: una comunicazione commerciale aderente alla realtà, chiara e comprensibile; lo sviluppo di consistenti capacità di innovazione e di adattamento ai mutevoli bisogni espressi dal mercato; l’assunzione di comportamenti onesti ed equi, ecc.38

Per la tutela dei diritti, le Istituzioni hanno contribuito al miglioramento e al rafforzamento della posizione dei clienti/consumatori, anche per il positivo concorso di molte norme emanate dall'Unione Europea, mediante l’approvazione e l'entrata in vigore della legge 281 del 30 luglio 1998 che ha istituito il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) e ha legittimato le associazioni dei consumatori ad agire a tutela degli interessi collettivi.

La responsabilità nei confronti dei lavoratori

La responsabilità degli amministratori si estende anche nei confronti dei prestatori di lavoro. Agli stessi deve essere garantita una retribuzione idonea, tale da consentire “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36, Costituzione). Inoltre, la legge impone al datore di lavoro l’obbligo di individuare e di valutare i rischi connessi ai luoghi di lavoro e alle mansioni svolte, al fine di creare le condizioni per garantire la sicurezza e la salubrità dei lavoratori. L’amministratore, secondo la Legge 626 del 1994 (e successive modifiche), è tenuto, infatti, all’osservanza delle misure generali

38 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: Salvioni D.M., Corporate Governance e

Responsabilità d’impresa in Symphonya, Istei, Milano, n. 2/2004.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

di tutela previste dalla natura dell’attività aziendale ovvero alla prevenzione e al contenimento sistematico dei rischi.

La responsabilità amministrativa verso la Pubblica Amministrazione

Il D.Lgs. n. 231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento una specifica forma di responsabilità a carico di società, con riferimento ad alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione, primi fra tutti la corruzione e la truffa ai danni dello Stato39.

Le figure di reato per le quali si prevede la responsabilità della Società per illecito amministrativo, sono:

• corruzione di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio (compresa l’istigazione alla corruzione);

• concussione (adesione alla richiesta illegale avanzata da pubblico ufficiale o da incaricato di un pubblico servizio);

• malversazione a danno dello Stato o di altro Ente pubblico (ad es. finanziamenti pubblici destinati dall’impresa a finalità diverse rispetto a quelle per le quali i finanziamenti sono stati erogati);

• truffa a danno dello Stato o di altro Ente pubblico (compresa la truffa aggravata per il conseguimento, da parte dell’impresa, di finanziamenti pubblici);

• frode informatica a danno dello Stato o di un Ente pubblico (ad es. alterazione del funzionamento di un sistema informatico o telematico dello Stato o di un Ente pubblico per procurarsi un ingiusto profitto).

Con riguardo alle responsabilità citate è da ricordare che: • la responsabilità per la Società si manifesta quando il reato sia

commesso nell’interesse o a vantaggio della Società stessa da: 1. “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di

amministrazione o di direzione” della Società o “di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”, nonché “persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo” della Società;

2. “persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti” indicati al punto precedente;

• la responsabilità della Società è esclusa se quest’ultima può provare che:

39 È rilevante sottolineare che il D.L.vo 231/2001 affronta solo una parte delle

fattispecie di reato previste dalla legge delega 300/2000, in attuazione delle direttive internazionali di riferimento. Nell’iter legislativo alcuni importanti ambiti (ad es. il reato ambientale) sono stati stralciati ed, in pratica, rinviati a successiva normazione. È però opinione comune che le previsioni introdotte dal Decreto qui interpretato possano essere successivamente riprese anche in relazione alle sopracitate fattispecie di reato.

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1. “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi” 40;

2. “il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli” è stato affidato ad un “organismo” della Società “dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo”;

3. “le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione”;

4. “non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza” da parte del citato organismo.

La responsabilità della società nei confronti della Pubblica Amministrazione pare assumere natura amministrativa solo in via formale, poiché di fatto si sostanzia in una vera e propria responsabilità penale, tenuto conto che l’accertamento degli illeciti amministrativi della società è rimesso allo stesso giudice penale (chiamato a conoscere i reati dai quali gli illeciti dipendono) e si svolge secondo le regole proprie del processo penale.

Il fatto che determinate forme di condotta legate alla “gestione aziendale” riguardino il diritto penale, comporta che gli effetti prodotti da comportamenti illeciti dei propri dipendenti si riversino sull’azienda (applicazione alla società di sanzioni pecuniarie o addirittura interdittive, con la revoca di licenze ed autorizzazioni). Per evitare tali effetti la società dovrebbe essere in grado di evidenziare e documentare sia che sono state adottate tutte le misure utili per prevenire ogni forma di reato, sia che il proprio dipendente è stato abile nell’eludere, con la sua condotta intenzionale, i modelli organizzativi e gestionali adottati dall’azienda medesima.

La responsabilità nei confronti della collettività

Considerato che l’agire delle aziende si sviluppa in interazione continua e imprescindibile con l’ecosistema, attraverso l’impiego di risorse destinate a qualsiasi processo di produzione, è necessario che si generi una relazione tra impresa ed ambiente e che essa venga gestita consapevolmente e con responsabilità.

L’impresa è chiamata quindi ad assumere comportamenti responsabili nei confronti della collettività mediante il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia dei territori ove le imprese stesse sono inserite.

40 Allo scopo di meglio definire le caratteristiche dei modelli organizzativi, di gestione e

controllo da poter ritenere idonei alla prevenzione dei reati, Confindustria ha emanato il 16 aprile 2002, le linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. n. 231/2001.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

3.3. La responsabilità socio-ambientale Accanto all’evoluzione normativa in materia di responsabilità giuridica

d’impresa, la Commissione Europea è intervenuta con comunicazioni e raccomandazioni volte a sensibilizzare le imprese all’assunzione di responsabilità in materia ambientale e sociale.

La responsabilità ambientale L’esigenza di imporre ai soggetti che svolgono un’attività comportante il

rischio di causare danni all’ambiente l’assunzione di un comportamento maggiormente informato alla prudenza e responsabilità, ha portato la Commissione della Comunità Europea a pubblicare nel febbraio 2000 il Libro Bianco avente ad oggetto “la responsabilità per danni all’ambiente”.

Il Libro Bianco delinea la struttura di un futuro sistema di responsabilità comunitario per i danni all’ambiente mirato ad affermare il principio “chi inquina paga”: “ciò significa che quando un’attività effettivamente dà luogo a danni, il soggetto che ha il controllo dell’attività (l’operatore) che inquina deve pagare i costi per riparare il danno”.

Il Libro esamina infatti le diverse possibilità per definire un regime di responsabilità per danni all’ambiente che possa essere applicato a livello comunitario al fine di migliorare l’applicazione dei principi sanciti con il trattato CE41 e l’attuazione del diritto ambientale comunitario, garantendo un adeguato ripristino dell’ambiente.

Al Libro Bianco si è affiancata la Raccomandazione della Commissione Europea del 30 maggio 2001 con la quale gli Stati membri sono stati esortati ad attivarsi affinché le imprese nazionali, soggette alla IV e VII direttiva CE, adottino le disposizioni contenute nella Raccomandazione relative alla rilevazione, valutazione e divulgazione delle spese ambientali42, nonché agli oneri ed ai rischi ambientali. Tali disposizioni dovrebbero incentivare le imprese ad un comportamento più responsabile ed esercitare quindi un effetto preventivo di tutela ambientale. Affinché si possa realizzare il rispetto ecologico mediante l’assunzione da parte delle imprese di precipue responsabilità ambientali è infatti necessario che l’ambiente entri nel sistema delle decisioni, nella strategia e nelle misurazioni d’azienda.

41 Art.174, paragrafo 2 del trattato CE: “la politica della Comunità in materia

ambientale (…) è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga».”

42 Si rinvia a C. Mio, A. Giornetti, Bilancio e ambiente, Egea, Milano, 2002.

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La responsabilità sociale Parallelamente al tema ambientale, ha assunto notevole rilievo la politica

sviluppata dall’Unione Europea a sostegno della responsabilità sociale delle imprese, definita nel Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” della Commissione Europea del luglio 2001, come “l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nello loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”, posto che un comportamento responsabile è la premessa di un successo durevole.

Adottando comportamenti socialmente responsabili, le imprese intendono gestire il cambiamento in modo consapevole sul piano sociale, cercando di trovare un compromesso equilibrato tra le esigenze e i bisogni delle parti interessate secondo modalità che siano accettabili da tutti.

La Commissione Europea ha affermato che “se le mutazioni saranno gestite con responsabilità e consapevolezza, l’impatto a livello macroeconomico sarà sicuramente positivo. La responsabilità sociale delle imprese può contribuire, così, entro il 2010, al raggiungimento dell'obiettivo strategico fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, vale a dire “diventare l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale” e potrà inoltre servire a rafforzare la strategia europea di sviluppo sostenibile”.

Il Libro verde si propone di lanciare un ampio dibattito sugli strumenti attraverso i quali promuovere la responsabilità sociale delle imprese a livello sia europeo che internazionale, e in particolare sulle modalità utili per sfruttare al meglio le esperienze esistenti, incoraggiando lo sviluppo di prassi innovative, migliorando la trasparenza e rafforzando l’affidabilità della valutazione e della convalida delle varie iniziative realizzate in Europa.

Nel 2002, la Commissione europea ha presentato la Comunicazione relativa alla Responsabilità sociale delle imprese: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile. Tale Comunicazione si rivolge alle Istituzioni europee, agli Stati membri, alle parti sociali, alle associazioni d’impresa e dei consumatori, nonché alle singole imprese e ad altre parti interessate, in quanto soltanto grazie ad un impegno congiunto sarà possibile sviluppare e applicare la strategia europea di promozione della Responsabilità sociale d’impresa.

Infine il Governo italiano, in occasione del semestre di Presidenza Italiana dell’Unione Europea, ha voluto offrire un contributo allo sviluppo del dibattito sulla Responsabilità sociale d’impresa.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

Il Progetto CSR-SC promosso dal Ministero Italiano del Lavoro e delle Politiche Sociali sul tema della Corporate Social Responsibility (CSR) si propone di fornire un contributo al dibattito per la definizione di un “framework europeo per la CSR”, come auspicato dalla Commissione Europea.

La proposta italiana si fonda su un approccio volontario alla CSR ed ha come obiettivo principale quello di promuovere una cultura della responsabilità all’interno del sistema industriale e di accrescere il grado di consapevolezza delle imprese sulle tematiche sociali, ambientali e della sostenibilità.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il Progetto CSR-SC ha voluto anche fornire una risposta efficace e concreta alle crescenti istanze informative che provengono da diverse categorie di stakeholder sulla CSR. In questo senso, il Governo punta a garantire maggiore chiarezza e trasparenza nella comunicazione aziendale sulle iniziative realizzate in ambito di CSR, a tutela e vantaggio dei consumatori e dei cittadini.

Caratteristica distintiva del Progetto CSR-SC è l’attenzione dedicata alle piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono, come è noto, una componente fondamentale del tessuto industriale nazionale. La sfida che il Governo si propone, in linea con gli obiettivi fissati a livello Europeo, è quella di coinvolgere tali aziende nelle pratiche di CSR, promuovendo la diffusione di adeguati strumenti gestionali ed accrescendo la consapevolezza circa i potenziali vantaggi competitivi derivanti da comportamenti attivi in ambito di CSR43.

Al fine di favorire l’adesione al Progetto CSR-SC, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha predisposto delle Linee Guida dirette a facilitare forme di autovalutazione interna da parte delle imprese e la compilazione del Social Statement44. L’intento perseguito è quello di supportare il management aziendale nell’implementazione di social

43 Inoltre, al fine di sensibilizzare le piccole-imprese alla cultura della responsabilità, è

stato diffuso nel luglio 2005 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, un volume che porta il titolo “Responsabilità Sociale delle Imprese – Esempi di buone pratiche italiane” dove sono descritti 30 casi di buone pratiche: “esempi di una imprenditorialità che ha deciso di intraprendere il percorso della sostenibilità con l’adozione di comportamenti socialmente responsabili”.

44 Il Social Statement è un documento attraverso cui l’impresa comunica agli stakeholder le proprie performance sociali, ambientali e di sostenibilità. Si basa su un set modulare e flessibile di CSR performance indicator, la cui struttura si articola, in particolare, in funzione della classe dimensionale di appartenenza dell’azienda che adotta, ossia decide di redigere, il Social Statement. Il documento è frutto dell’analisi dei principali standard e iniziative nazionali, europee e internazionali (GRI, SA8000, AA1000, QRES, SEAN, GBS, SIGMA Project, London Benchmarking Group, The Copenhagen Centre, Wertemanagment System ZFW, SERS, Finetica).

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performance indicator45, utili per orientare i processi strategici e decisionali e per omogeneizzare le modalità di rendicontazione e comunicazione verso terzi46.

Nello scenario attuale, la responsabilità sociale d’impresa si manifesta attraverso l’assunzione di due comportamenti differenti. Il primo prevede l’attuazione di politiche e di interventi mirati su determinate problematiche sociali avvertite come rilevanti. L’impresa destina, ad esempio, una percentuale del proprio fatturato alla lotta contro talune malattie, alla salvaguardia del patrimonio storico ambientale, ecc.. Nella fattispecie l’impresa assume volontariamente un’obbligazione sociale nei confronti della collettività di cui si sente compartecipe: trattasi di un’obbligazione sociale che si aggiunge alle logiche strutturali e strategiche dell’impresa stessa senza porle necessariamente in discussione.

La seconda linea di comportamento vede nella responsabilità sociale una componente strutturale del modo di essere e di fare impresa. A partire da tale presupposto, la relazione tra l’impresa e l’ambiente di riferimento risulta talmente profonda che la responsabilità viene considerata parte integrante ed essenziale nei processi di governo della gestione dell’impresa medesima. Pertanto, secondo quest’ultima accezione, l’assunzione di responsabilità sociale non è elemento che si aggiunge, ma è dimensione strutturale della vita dell’impresa, istituto economico-sociale che, nel realizzare la sua tipica missione produttiva, inevitabilmente esercita un influsso su una molteplicità di soggetti, creando valore per ciascuno di essi47.

45 Si rinvia per un maggior dettaglio circa la descrizione degli indicatori all’appendice –

Social Statement e Set di Indicatori – del Progetto CSR-CS elaborato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel 2004.

46 Si precisa tuttavia a riguardo che il Social Statement non prevede indicatori utili alla valutazione dei comportamenti aziendali per ciò che attiene alla responsabilità legale d’impresa.

47 “Il termine sociale, sovente associato alla responsabilità aziendale, può, in tal senso, risultare da un lato ridondante in quanto è presumibile aspettarsi che l’impresa risponda delle proprie azioni in primo luogo alla società, e dall’altro fuorviante perché richiama alla mente un’idea di assistenzialismo, ossia di attività prestata al fine di aiutare materialmente o moralmente qualcuno, che in realtà non riguarda l’agire di impresa”. Arrigo E., Responsabilità aziendale in economia di scarsità. Il caso Olivetti, in Symphonya, Istei, Milano, n. 2/2004.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

4. Le relazioni tra responsabilità e cultura d’impresa

L’attenzione alle norme non deve costituire un mero adempimento formale per l’azienda, ma deve rappresentare un’opportunità per migliorare e perfezionare i propri comportamenti secondo correttezza.

Dal corretto contemperamento delle attese legittime di tutti gli attori sociali, dalla capacità di traduzione delle stesse in adeguate decisioni ed azioni, dall’attivazione di idonei processi di comunicazione, dipendono le possibilità di crescita equilibrata dell’impresa per tempi non brevi. Il convergere su principi di equo soddisfacimento delle attese degli stakeholder identifica il grado di responsabilità globale che l’impresa ha assunto.

La realizzazione di comportamenti responsabili e l’ottenimento di risultati coerenti con le attese, implicano un orientamento diffuso ai valori di equità, correttezza, trasparenza; ciò presuppone una cultura aziendale forte e condivisa, fondata su principi etici. In effetti, l’orientamento all’efficacia globale, al soddisfacimento delle attese economiche e non, e dunque l’assunzione di precipue responsabilità, si realizza tanto più efficacemente quanto più tutti coloro che lavorano nell’impresa sono consapevoli di tale finalità, la condividono e collaborano attivamente fra loro affinché essa possa trovare piena attuazione, in un clima organizzativo che li responsabilizza e li valorizza48.

La cultura d’impresa rappresenta a tutti gli effetti un elemento di coesione, una variabile idonea ad agevolare omogeneità di comportamenti responsabili anche a fronte di dispersione nello spazio delle unità operative e di separazione tra organi e funzioni. Ne deriva che l’efficace realizzazione di una gestione finalizzata e responsabile può risultare significativamente orientata da una cultura improntata a corretti principi economici, socio-ambientali e di legalità, che sottendono alla responsabilità globale d’impresa.

È dunque indispensabile che i soggetti che compongono il gruppo di controllo di un’impresa esercitino responsabilmente il proprio ruolo, facendosi, prima di tutto, portatori di attese di sviluppo duraturo dell’impresa e subordinando al soddisfacimento pieno di tali attese il conseguimento di ogni altro obiettivo.

Lo stesso coordinamento tra organi di governance ed organizzazione e l’efficacia dei messaggi trasmessi risultano agevolati se innestati in una

48 Per le condizioni di efficacia del sistema aziendale si rinvia a: D.M. Salvioni,

Efficacia aziendale, processi di governo e risorse immateriali, in D.M. Salvioni (a cura di), Corporate Governance, controllo di gestione e risorse immateriali, Franco Angeli, Milano, 2004.

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realtà con valori forti e condivisi, improntati all’equo contemperamento di tutte le attese, nel pieno rispetto dell’ambiente. In tale ambito assumono precipuo rilievo i presupposti di correttezza, di trasparenza del management e dei gruppi di controllo, di rigore amministrativo, di capacità del management di coinvolgere i vari interlocutori da cui dipende il dispiegarsi del disegno strategico perseguito. Dal corretto combinarsi nel tempo di tali elementi dipende l’evoluzione culturale e la connessa responsabilità dell’impresa rispetto alle dinamiche esterne ed interne.

La diffusione dei valori fondamentali di uno specifico contesto culturale aziendale risulta essere un elemento cruciale dal punto di vista organizzativo e strategico e rappresenta un’importante competenza propria degli organi di governo.

In tale ambito, può assumere rilevanza la definizione e la diffusione di: codici etici, carta dei valori, cioè di “strumenti organizzativi appositamente concepiti per consolidare una cultura d’impresa eticamente ispirata o per cambiare una cultura aziendale dimenticata dei principi di correttezza e trasparenza”49.

Con il codice etico l’impresa enuncia i valori sui quali si fonda la sua cultura, dichiara la sua responsabilità verso ciascuna categoria di stakeholder e dunque orienta i comportamenti di ogni membro dell’organizzazione ad assumere atteggiamenti conformi ai principi etici d’impresa.

La carta dei valori è diretta ad esplicitare i valori condivisi e ad unire le varie componenti organizzative sotto un’unica identità aziendale.

Inoltre, nelle realtà complesse può assumere rilievo la presenza di organi, quali il Comitato etico o l’Ethics officer, con funzioni di promozione e attivazione di iniziative orientate ad accrescere la consapevolezza e l’importanza dell’etica in tutti i dipendenti. Naturalmente, affinché i codici di comportamento producano reali effetti, è auspicabile che tali organi operino in stretta collaborazione con gli organi di controllo interno.

Gli organi di controllo interno potrebbero, ad esempio, verificare che il corretto sviluppo delle decisioni di gestione e l’adeguato orientamento al raggiungimento degli obiettivi siano compatibili con la condotta etica d’impresa.

In effetti, i valori d’impresa – rappresentativi della cultura – sono riconducibili a: le politiche, le pratiche manageriali, le decisioni organizzative, la scelta dei prodotti e dei servizi, ecc. Pertanto, i valori d’impresa trovano riscontro negli obiettivi aziendali e nelle modalità assunte

49 V. Coda, Codici etici e liberazione dell’economia, in AA.VV., Codici etici e cultura

di mercato, atti del Workshop ISVI, Milano, 1993.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

per il loro perseguimento50. In tale contesto, un ruolo del tutto particolare è assunto dal sistema di controllo della gestione, quale strumento riconducibile al governo dei comportamenti responsabili aziendali per il migliore raggiungimento delle condizioni di efficacia.

In sintesi, la cultura d’impresa produce effetti profondi ed estremamente pervasivi sull’organizzazione, che hanno un impatto rilevante sulla stessa responsabilità aziendale ed il suo orientamento di fondo. Ciò implica che l’impresa che intenda attuare comportamenti responsabili si interroghi ed intervenga sul proprio disegno strategico, per porre in essere strumenti (codici di comportamento), individuare attori (Comitato etico, Ethics officer, ecc.), attivare processi di controllo interno e dunque adottare soluzioni coerenti da monitorare nel tempo, perché solo nel tempo si potranno cogliere i risultati di una condotta responsabile, sia dal punto di vista dell’impresa, che da quello degli stakeholder.

Del resto, il concetto di responsabilità globale d’impresa, individuato in una condotta aziendale che discende da una forte e coesa cultura d’impresa, ricerca un’armonizzazione con le aspettative di tutti i diversi soggetti che a vario titolo sono interessati dal comportamento dell’impresa, per porre in essere un modello di crescita e di sviluppo che “risponda alle necessità del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie”51.

5. L’indagine empirica

Il presente paragrafo introduce i risultati di una ricerca che la scrivente ha effettuato tra gennaio-marzo 200552, su un ampio campione di imprese presenti sul territorio della provincia di Brescia, al fine di comprendere il reale grado di sensibilità e di interesse delle tematiche inerenti alla responsabilità, alla cultura ed al sistema di controllo d’impresa.

Grazie al supporto di Apindustria, associazione che dal 1962 riunisce le piccole e medie imprese presenti nel territorio bresciano, è stato possibile raggiungere circa mille aziende, alle quali è stato somministrato a mezzo fax un questionario composto da circa quindici domande a risposta chiusa. Il

50 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: S. Franzoni, La cultura d’impresa nei

processi di governo, in D.M. Salvioni, (a cura di), Corporate Governance, controllo di gestione e risorse immateriali, Franco Angeli, Milano, 2004.

51 Si tratta della più nota e largamente accettata definizione di sviluppo sostenibile diffusa nel 1987, con l’emanazione del Rapporto Bruntland dalla World Commission on Environment and Development (WCED). Tale definizione verrà poi ribadita con forza dalla Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro e di Kyoto.

52 Si desidera ringraziare per la collaborazione nella ricerca e nella raccolta dei dati la Dott.ssa Francesca Mangerini.

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tasso di risposta è stato pari a circa il 10%, per un totale di centouno imprese53.

5.1. Il sistema industriale bresciano La provincia di Brescia risulta essere un’area connotata da

un’elevatissima concentrazione di attività produttive: con 99.688 imprese presenti sul territorio, riveste infatti, la sesta posizione nella graduatoria a livello nazionale54. Il 25,3% delle aziende bresciane opera nel settore del commercio, il 18,1% in quello industriale, il 14,7% in quello delle costruzioni, il 12,8% in quello agricolo e il 29,1% in altro55.

I principali elementi sui quali si sviluppa la struttura industriale bresciana sono essenzialmente riconducibili a quelli che hanno caratterizzato lo sviluppo industriale italiano. Si fa riferimento in particolare a: • la dimensione prevalentemente medio-piccola delle aziende; • la forte connotazione territoriale delle attività produttive; • la capacità di soddisfare le esigenze di varietà che caratterizzano la

domanda; • il modello dominante di proprietà, controllo e gestione delle iniziative

imprenditoriali, prevalentemente di carattere familiare. Lo sviluppo del tessuto industriale bresciano si è manifestato a partire dal

1980. La struttura industriale della provincia di Brescia è costituita quasi esclusivamente da imprese di piccole, se non addirittura piccolissime dimensioni. La maggioranza di queste opera con impianto unico e con un numero medio di dipendenti inferiore alle nove unità per impianto. Il modello prevalente della proprietà delle imprese bresciane è quello di tipo familiare.

In generale si tratta di imprese che operano in settori che possono definirsi “frammentati”, nei quali cioè le singole imprese possiedono una quota di mercato relativamente modesta e non hanno pertanto grandi possibilità di influenzare il comportamento della concorrenza.

Nonostante l’imponente sviluppo che ha caratterizzato l’industria bresciana, la distribuzione territoriale delle attività non è stata tale da alterare la struttura sociale ed urbanistica della provincia.

Le aziende hanno infatti mantenuto forti connotazioni territoriali ed esistono zone nella Provincia “specializzate” in alcune produzioni: si tratta di agglomerati costituiti da nuclei di imprese che svolgono la medesima attività produttiva o produzioni tra loro collegate (a monte o a valle), ovvero

53 Si ringrazia tutte le aziende che hanno contributo a dare valore alla ricerca grazie alle

risposte dei questionari pervenuti. 54 Camera di Commercio di Brescia, 2002. 55 Camera di Commercio di Brescia, 2002.

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attività di supporto, prive di legami diretti di tipo tecnico-produttivo.È questo il caso dell’area Camuno-Sebina caratterizzata da una preminenza di aziende che si occupano di lavorazioni metallurgiche; dell’area della Val Trompia e della Val Sabbia, nelle quali prevalgono produzioni meccaniche e lavorazione dei metalli; della zona della Bassa Bresciana e di Palazzolo sull’Oglio, il cui settore prevalente è quello delle produzioni tessili e dell’abbigliamento.

Il settore connesso alla filiera della trasformazione e lavorazione dei metalli costituisce tuttora, in termini di addetti, il più rilevante sbocco occupazionale della provincia, seguito da quello della trasformazione del tessile. In merito a tali attività l’industria bresciana ha intrapreso, nel corso degli anni, un significativo processo di diversificazione: sul territorio provinciale è possibile infatti rinvenire tutte le fasi della lavorazione dei metalli, da quelle di trasformazione negli impianti siderurgici e metallurgici, a quelle di trasformazione nelle fonderie e negli stampaggi, a quelle di realizzazione di una grande varietà di prodotti merceologicamente legati alla filiera.

In merito ai risultati economici raggiunti dalla provincia nel 2002, si sottolinea come il 2,3% del valore aggiunto prodotto dall’economia nazionale derivi dalle attività del sistema imprenditoriale bresciano. Si tratta di un risultato importante che colloca Brescia al quinto posto nella produzione di valore aggiunto a livello nazionale, dopo Milano, Roma, Torino e Napoli.

Per quanto attiene invece al valore pro-capite, la provincia di Brescia, pur facendo registrare un dato nettamente superiore alla media nazionale (24.000 Euro contro 20.000 Euro), si colloca piuttosto al di sotto della media lombarda.

5.2. Le aziende analizzate L’indagine condotta si basa sulle informazioni fornite da centouno

aziende che hanno risposto al questionario inviato a tutte le imprese iscritte all’Associazione Piccole e Medie Industrie di Brescia (circa mille unità). Le imprese che hanno aderito alla ricerca presentano la seguente composizione56:

56 Tale classificazione è mutuata con riferimento alle quattro “definizioni” di impresa

fornite dall’Unione Europea a seconda della loro dimensione: - microimprese: aziende che occupano meno di dieci dipendenti; - piccole imprese: aziende indipendenti con meno di cinquanta dipendenti ed un fatturato

annuo non superiore a sette milioni di Euro o uno stato patrimoniale annuo che non supera i cinque milioni di Euro;

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- 26% è costituito da micro-imprese; - 55% è costituito da piccole imprese; - 19% è costituito da organizzazioni di medie dimensioni. La governance dell’impresa è affidata per il 53% alla prima generazione

di imprenditori, i cosiddetti fondatori. Le organizzazioni oggetto d’indagine, sono in prevalenza imprese metalmeccaniche, seguite da quelle tessili e da quelle che si occupano delle lavorazioni di plastica e gomma. La distribuzione percentuale dei settori di appartenenza è rappresentata nella Figura 1.

Figura 1 – Settori in cui operano le imprese analizzate

Plastica Gomma 4%

Pelli 1%

Nonclassif icabili

4%

Lapidei 1%

Informatica 2%

Alimentare 2%

Cartotecnico 1%

Calzaturiero 1%

Grafica 1%

Legno 2%

Tessile4%

Chimico 2%

Metalmeccanica 75%

- medie imprese: aziende indipendenti che hanno un numero di dipendenti compreso tra i

cinquantuno e i duecentocinquanta e un fatturato annuo non superiore i quaranta milioni di Euro o un totale di bilancio non superiore ai ventisette milioni di Euro;

- grandi imprese: aziende con più di duecentocinquanta dipendenti, con fatturato annuo superiore ai quaranta milioni di Euro o un totale di bilancio superiore ai ventisette milioni di Euro.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

5.3. I risultati dell’indagine L’indagine si propone di verificare il grado di diffusione e la sensibilità

alla responsabilità sociale. Come si evince dalla Tabella 1, le risposte pervenute evidenziano che il

57,73% delle imprese affrontano la tematica attinente alla “responsabilità sociale d’impresa” come mero adempimento normativo e il 63,92% in termini di soddisfacimento delle attese economiche, sociali e ambientali dei diversi portatori d’interesse (si precisa che 20 imprese, pari al 20,62%, hanno contrassegnato sia la prima che la seconda risposta). Il 7,22% delle imprese rispondenti interviene in tema di responsabilità sociale attraverso politiche mirate su determinate problematiche sociali (ad esempio, destinando una percentuale del fatturato alla lotta contro talune malattie oppure alla salvaguardia del patrimonio storico ambientale, ecc.) e l’8,25% ricorre alla certificazione ambientale.

Tabella 1 – Come le imprese affrontano la tematica della responsabilità

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 97* Adempiere agli obblighi di legge 56 57,73 Soddisfare le attese economiche, sociali ed ambientali dei diversi portatori d’interesse (clienti, fornitori, dipendenti,…)

62 63,92

Realizzare politiche ed interventi mirati su determinate problematiche sociali (beneficenza) 7 7,22

Ricorrere alla certificazione ambientale ISO14000 8 8,25 Altro 1 1,03

(*) Quattro imprese non hanno fornito risposte a questa domanda. I risultati non sono particolarmente soddisfacenti, in particolare se si

considera che il 30% delle imprese (29 su 97) ha fornito come unica risposta al significato della responsabilità sociale il mero adempimento all’obbligo di legge e soltanto il 35% (34 su 97) la soddisfazione delle attese economiche, sociali ed ambientali dei diversi portatori di interesse.

Si è poi indagato sulle valenze attribuite alla comunicazione interna ed esterna dei propri risultati aziendali: la mancata divulgazione di informazioni da parte delle imprese non consente, infatti, agli stakeholder di apprezzare le modalità di assunzione delle responsabilità, non agevolando in tal modo l’ottenimento di consensi e dunque di risorse.

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Il risultato emerso è soddisfacente: si è rilevato che il 90% (90 su 101) delle imprese ha attribuito alla comunicazione esterna un peso alto e medio-alto (90 su 101); il restante 10% un peso medio-basso e basso (11 su 101). È altrettanto significativo il dato relativo all’importanza che viene data alla comunicazione interna: circa l’88% delle imprese (89 su 101) ha attribuito alla medesima un peso alto e medio-alto.

Alle imprese è stato dunque chiesto se effettivamente comunicano i propri risultati aziendali e in caso affermativo, con quali modalità, oltre alla pubblicazione obbligatoria del bilancio d’esercizio. I risultati non sono positivi: solo il 50% delle imprese indagate ha fornito una risposta affermativa (50 su 101).

Come si evince dalla Tabella 2, tra le 50 imprese che affermano di comunicare i propri risultati aziendali, il 12% ricorre ad assemblee aperte al pubblico, il 70% utilizza strumenti di rendicontazione sociale (non si fa riferimento alla pubblicazione del bilancio sociale, ma al bilancio ambientale, obbligatorio per la certificazione ambientale ISO14000), l’8% ricorre al sito web e il 28% prevede altre modalità, rivolte specificamente all’interno: assemblee o riunioni.

Tabella 2 – In che modo le imprese comunicano i risultati aziendali

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 50 Assemblee aperte al pubblico 6 12 Rendicontazione sociale (bilancio sociale, bilancio ambientale, ecc.) 35 70

Sito web 4 8 Altro 14 28

L’analisi dei dati non è positiva, in specie se si confrontano i dati della Tabella 2 con le precedenti analisi:

- delle 90 imprese che hanno dichiarato l’importanza della comunicazione aziendale, solo il 56% (50 su 90) utilizza specifici strumenti di comunicazione per la diffusione dei risultati aziendali;

- delle 62 imprese che affrontano la tematica della responsabilità sociale come la “soddisfazione delle attese dei propri stakeholder”, il 35% (22 su 62) non comunica i propri risultati aziendali né all’esterno né all’interno.

Emerge con tutta evidenza come le informazioni ottenute dall’indagine non siano tra loro coerenti. La convinzione delle imprese che la comunicazione sia un processo aziendale rilevante, dovrebbe infatti trovare

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un reale riscontro nei comportamenti delle medesime, orientati alla diffusione dei risultati ottenuti. La traduzione di tale affermazione nei comportamenti richiede la presenza di una cultura aziendale fondata su principi etici e sui valori di trasparenza.

L’indagine è dunque proseguita chiedendo alle imprese di esprimersi sul concetto di cultura di impresa, sui valori diffusi nella propria organizzazione e sulle modalità di diffusione dei medesimi.

Le risposte più diffuse indicano la cultura d’impresa come “la preparazione professionale dei collaboratori” e “il risultato di un processo congiunto di apprendimento” (Tabella 3). Si vuole, tuttavia, sottolineare che sono ancora poche le aziende, circa il 34%, che hanno attribuito al concetto di cultura il significato “i nostri valori” e ancora meno, pari al 18,37% le imprese che l’hanno definita “come facciamo le cose in azienda”. È ancora debole dunque la convinzione che sono gli individui coinvolti nella vita dell’impresa e guidati nelle scelte e nelle azioni da determinati valori, variamente radicati nell’esperienza, nelle tradizioni e nelle modalità di operare dell’organizzazione che creano ed esprimono la cultura d’impresa.

Tabella 3 – Come le imprese definiscono la cultura d’impresa

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 98* Come facciamo le “cose” in azienda 18 18,37

Riti e rituali 3 3,06

Il clima dell’impresa 8 8,16 Il sistema di premi 2 2,04 La preparazione professionale dei collaboratori 40 40,82 Il risultato di un processo congiunto di apprendimento 36 36,73 I nostri valori 33 33,67 Altro 2 2,04

(*) Tre imprese non hanno fornito risposte a questa domanda. Si è in seguito approfondito il concetto di cultura, intesa come l’insieme

dei valori, nonché degli atteggiamenti e degli schemi interpretativi che permeano l’organizzazione, condizionandone i comportamenti, la coesione e le potenzialità di crescita.

I valori considerati come maggiormente presenti dal gruppo di imprese oggetto di indagine sono rappresentati, come si evince dalla Tabella 4, dalla qualità e dal servizio al cliente. Non vengono invece considerati di pari importanza i valori di “competitività”, “innovazione” ed “eccellenza”

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fortemente integrati ai primi. Seguono poi, l’onestà, la flessibilità e la tempestività. È da evidenziare che nella tabella dei valori non è stato contemplato quello relativo alla trasparenza e che nessuna delle imprese indagate ha indicato tale valore nella voce “altro”.

Tabella 4 – Quali sono i valori diffusi nelle imprese censite

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 100* Cordialità 40 40 Informalità 14 14 Formalità 3 3 Onestà 53 53 Competitività 37 37 Innovazione 38 38 Formazione 35 35 Servizio al cliente 75 75 Tempestività 44 44 Eccellenza 5 5 Qualità 75 75 Flessibilità 50 50 Comunicazione 30 30 Altro 4 4

(*) Un’impresa non ha fornito risposta a questa domanda. In considerazione della prevalente accezione di cultura d’impresa e

coerentemente ai valori affermati, la formazione dovrebbe rivestire un ruolo rilevante all’interno delle imprese analizzate. Si è pertanto indagato in merito all’esistenza di piani formativi rivolti al personale, e i risultati non sembrano confermare le affermazioni suesposte.

Il 70% delle imprese (71 su 101) ha fornito risposta affermativa, indicando le giornate di formazione rivolte al personale. I destinatari della formazione sono soprattutto i dirigenti, con 3,05 giornate all’anno contro le 2,21 degli impiegati e le 0,28 degli operai. Occorre tuttavia evidenziare che sono 34 le imprese in cui il personale non ha fruito di alcuna giornata di formazione nell’ultimo anno ed 11 le imprese il cui personale ha avuto a disposizione un monte ore di formazione annuo inferiore ad otto. Inoltre, delle 71 imprese che sostengono di predisporre piani di formazione, 8 non hanno realizzato, nell’ultimo anno, alcuna giornata di formazione.

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Un ulteriore dato che indebolisce la coerenza tra le affermazioni espresse dalle imprese sull’importanza della comunicazione aziendale ed il reale processo comunicazionale attivato dalle medesime nelle gestioni operative, è rappresentato dal fatto che solo il 30% delle imprese (30 su 100) ha indicato la comunicazione come valore aziendale.

L’indagine è proseguita analizzando le modalità adottate dalle imprese oggetto di indagine per trasferire i valori e la cultura d’impresa.

L’87% utilizza lo strumento dalle assemblee/riunioni per la trasmissione dei propri valori. In particolare, sono 68 le imprese che adottano tale soluzione in via esclusiva, le altre 20 utilizzano al contempo altri strumenti quali: l’assemblea, il comunicato-stampa, la carta dei valori e/o il codice etico ed il sito web (Tabella 5).

Tabella 5 – Con quali strumenti sono trasferiti i valori d’impresa

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 101 Comunicati stampa e affissioni 26 25,74 Assemblee/riunioni 88 87,13 Sito web 3 2,97 Carta dei valori/codice etico 4 3,96 Altro 15 14,85

I dati che emergono dalla Tabella 5 non risultano positivi: vi è uno scarso

utilizzo della carta dei valori e/o di codici etici, predisposti solo dal 4% delle imprese analizzato, ed un ricorso ancor più limitato al Web, potenziale strumento per la diffusione delle informazioni.

L’utilizzo dell’assemblea e/o riunione rappresenta lo strumento che meglio risponde alle esigenze per la trasmissione dei valori tra i membri dell’organizzazione. Come si evince dalla Tabella 6, il 47,52% delle imprese ricorre a tale strumento per facilitare l’incontro tra dirigenti e collaboratori e il 45,45% per sensibilizzare i collaboratori nell’impiego di determinate modalità operative.

Risulta significativa anche un’ulteriore modalità utilizzata dalle imprese per trasferire i valori nella propria realtà, ossia l’assunzione di decisioni strategiche coerenti con i valori aziendali e la traduzione delle stesse in obiettivi operativi.

In tale ambito il controllo di gestione, in quanto processo con funzioni di apprendimento ed orientato a guidare il cambiamento culturale, può rivestire uno specifico rilievo.

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Il controllo di gestione rappresenta cioè il veicolo per eccellenza per consolidare la cultura esistente e/o per trasfondere una nuova cultura in un’organizzazione, conferendo all’impresa omogeneità di valori, simbologia, linguaggio e supportando il processo di definizione, monitoraggio e valutazione delle strategie in linea con i valori aziendali e la traduzione delle stesse in obiettivi operativi. I comportamenti responsabili degli individui risulterebbero in tal modo orientati verso obiettivi condivisi, espressivi dei valori aziendali, opportunamente strutturati e diffusi, diretti anche a ridurre eventuali tensioni interne.

Tabella 6 – Come vengono trasmessi i valori all’interno dell’organizzazione

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 101 Incontri tra dirigenti e collaboratori 48 47,52 Sensibilizzazione dei collaboratori mediante la spiegazione di precise modalità operative 46 45,54

Assunzione delle decisioni strategiche in linea con i valori aziendali e traduzione delle stesse in obiettivi operativi 45 43,55

Altro 3 2,97 L’indagine ha pertanto considerato il significato attribuito dalle imprese

al sistema di controllo della gestione e le valenze attribuite a tale meccanismo per veicolare la cultura d’impresa.

Le imprese che ritengono che il sistema di controllo della gestione rappresenti un meccanismo in grado di influenzare la cultura d’impresa sono pari al 77% (circa 77 su 101); 11 imprese hanno espresso invece un parere contrario e 13 non hanno fornito risposta.

Tabella 7 – Il controllo di gestione rappresenta un meccanismo in grado di veicolare la cultura d’impresa

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 88* SI 77 87,5

NO 11 12,5

(*) Tredici imprese non hanno fornito risposte a questa domanda.

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È opportuno sottolineare che, nonostante sussista una percentuale rilevante di imprese convinta che il sistema di controllo possa veicolare la cultura d’impresa, non così rilevante è il significato che le medesime imprese attribuiscono a tale sistema, quale meccanismo in grado di “orientare i comportamenti”. Tale definizione è stata espressa infatti solo da circa il 25% delle imprese (25 imprese su 101), delle quali solo 8 hanno risposto in via esclusiva; altre 8, pur affermando che il controllo della gestione rappresenta uno strumento volto ad orientare i comportamenti, hanno dichiarato che non è idoneo a veicolare la cultura d’impresa.

La lettura di tali dati permette di affermare che sono molto poche le imprese che dimostrano di aver maturato una consapevolezza in merito alla valenza del sistema, quale meccanismo idoneo al governo dei comportamenti ed alla trasmissione dei valori aziendali tra i membri dell’organizzazione. La maggior parte delle imprese concepisce invece il controllo della gestione come “l’analisi dei costi” o “l’elaborazione di rapporti di gestione” (Tabella 8).

Tabella 8 – Il significato di controllo della gestione

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 101 Analisi dei costi 72 71,29

Orientamento dei comportamenti 25 24,75

Elaborazioni di rapporti di gestion 38 37,62 Altro 12 11,88

Le imprese sono state inoltre chiamate ad esprimersi in merito agli

elementi che caratterizzano l’efficacia dei sistemi di controllo della gestione (Tabella 9). Tra le risposte suggerite, quelle che hanno trovato maggior riscontro sono state: il “monitoraggio costante degli obiettivi” (scelta da 72 imprese), “la tempestività delle azioni correttive”, (scelta da 61 imprese) e “la definizione di precise responsabilità gestionali” (scelta da 49 imprese).

Dall’analisi emerge inoltre che solo 7 imprese su 101, quindi circa il 7% del campione considerato, ha contrassegnato contemporaneamente la risposta “definizione di precise responsabilità gestionali”, “flusso di informazioni qualitative e quantitative” e “monitoraggio costante degli obiettivi”, quali elementi rilevanti per l’efficacia del sistema di controllo.

I risultati ottenuti paiono evidenziare quanto il sistema di controllo sia ancora incentrato su logiche di verifica dell’attività operativa, con enfasi sulle componenti di analisi dei costi, dei risultati di breve periodo e dei

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connessi aspetti di rilevazione e di misurazione dei valori. D’altra parte, occorre ricordare che le aziende considerate sono per lo più di dimensioni medio-piccole e che si trovano in una fase iniziale di un percorso di sviluppo.

Tabella 9 – Gli elementi che caratterizzano l’efficacia di un sistema di controllo della gestione

RISPOSTE SELEZIONABILI (risposte multiple) N. IMPRESE % su 101 La definizione di precise responsabilità gestionali 49 48,51 Un flusso di informazioni qualitative e quantitative monetarie adeguate e tempestive 15 14,85

Il monitoraggio costante degli obiettivi 72 71,29 La tempestività nell’intraprendere azioni correttive 61 60,40 Altro 1 0,99

Dallo studio realizzato emerge un contesto aziendale ancora molto

distante dal “nuovo” concetto di impresa responsabile delineato nel paragrafo 2. Infatti, anche se, i dati raccolti confermano una nuova sensibilità al tema della responsabilità, tale concetto stenta a trovare riscontro nei comportamenti aziendali. Probabilmente, le norme o le linee guida di condotta richieste dalle Istituzioni pubbliche rappresentano ancora oggi un mero adempimento formale, e non sono considerate un’opportunità per migliorare e perfezionare i comportamenti aziendali.

Nelle realtà indagate si percepisce una cultura d’impresa debole, illustrata con affermazioni spesso non coerenti, a volte contraddittorie. Deboli sono inoltre gli strumenti utilizzati dall’impresa per diffondere i propri valori affinché gli stakeholder possano apprezzare le modalità di assunzione della responsabilità d’impresa.

È dunque necessario, che l’impresa che intende attuare comportamenti responsabili, si interroghi ed intervenga sul proprio disegno strategico, per porre in essere strumenti, individuare attori, attivare processi di controllo interno. Ciò nella consapevolezza della reale essenza di una condotta di responsabilità orientata allo sviluppo sostenibile e, nell’ulteriore consapevolezza, che tale condotta abbisogna di una cultura d’impresa efficace, in quanto volta a trasferire nei comportamenti le modalità ottimali di soddisfazione delle attese degli stakeholder.

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Le relazioni con gli stakeholder e la responsabilità d’impresa

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Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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