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Le prime due leggi di Keplero In genere si suppone che Keplero abbia scoperto le sue prime due leggi calcolando le distanze tra un pianeta e il Sole e accorgendosi poi che le distanze si adattavano a un'ellisse. Più probabile è invece l'inverso di Curtis Wilson Ogni progresso (sulla via della scien- za) è raggiunto in un primo momento solo per retroduzione, ossia attraver- so congetture spontanee della ragione istintiva. CHARLES SANDERS PEIRCE U na teoria scientifica si forma in seguito alla paziente raccolta di fatti, da cui in un secondo mo- mento emerge un grande disegno, op- pure deriva da un'ispirazione intuitiva fondata solo su pochi fatti? La scienza avanza probabilmente in entrambi i modi. L'esempio classico del lavoro guidato da un'ispirazione è il tentativo dell'astronomo rinascimentale Johan- nes Keplero di scoprire le leggi che de- finiscono le orbite e i movimenti dei pianeti. Fu quest'impresa che Peirce, il filosofo della scienza americano del XIX secolo, definí « il più grande esem- pio di ragionamento retroduttivo ». La prima legge di Keplero dice che un pianeta si muove attorno al Sole in un'orbita ellittica di cui il Sole occupa. uno dei fuochi. La seconda legge affer- ma che un raggio tracciato dal Sole al pianeta descrive aree dell'ellisse uguali in tempi uguali, sia che il pianeta ac- celeri il suo moto avvicinandosi al So- le, sia che lo rallenti allontanandosene. Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che l'identificazione della for- ma di un'orbita planetaria con l'ellisse fosse sostanzialmente una questione geometrica. Da ripetute osservazioni della posizione del pianeta in cielo do- vrebbe esser possibile calcolare le di- stanze tra il Sole e il pianeta mediante il procedimento della triangolazione (come viene usato per esempio nella cartografia) e rendersi conto che que- ste distanze si adattano a un'ellisse col Sole in uno dei fuochi. Data l'orbita ellittica, si potrebbe procedere alla ve- rifica della legge delle aree uguali. Quali che siano stati gli errori, le con- fusioni e i ghiribizzi speculativi del viaggio di scoperta di Keplero, le fasi che abbiamo illustrato dovrebbero es- sere quelle da lui eseguite nella deter- minazione delle sue prime due leggi. U no studio del racconto che di que- ste scoperte fece Keplero stesso nel- la sua Astronomia nova del 1609, con particolare attenzione al problema de- gli errori d'osservazione, mi ha convin- to che si tratti di un'interpretazione er- ronea. Le determinazioni trigonometri- che della distanza non conducono di per sé al concetto di un'ellisse; esse so- no troppo imprecise per dare le dimen- sioni dell'ellisse e non forniscono quel- la che Keplero considerava una confer- ma adeguata della forma ellittica. Quel che emerge dal racconto di Keplero è che egli si mise in viaggio con un gran- de carico di nozioni teoriche e che riu- scí a pervenire alle due leggi solo per- ché affrontò il problema con una con- vinzione preconcetta. Fu un'idea che egli aveva già fin dal principio, un'ipo- tesi fisica, che lo guidò in tutto il suo cammino; ogni passo fu fatto delibera- tamente, non solo in un continuo con- fronto con i dati d'osservazione, ma anche sotto l'urgenza della ferma vo- lontà di perseguire l'idea iniziale. Per comprendere lo status logico delle leg- gi di Keplero è necessario ripercorrere l'itinerario logico del suo viaggio. Col vantaggio che ci viene dal fatto di considerare le cose a posteriori, pos- siamo dire che tutti i pianeti noti a Keplero hanno orbite ellittiche che si scostano poco dalla forma circolare. La più accentuatamente ellittica tra queste orbite è quella di Mercurio, ma poiché Mercurio si trova sempre molto vicino al Sole riesce assai difficile osservarlo. Tra le altre orbite planetarie la più el- littica è quella di Marte. che fu appun- to quella studiata da Keplero. L'asse minore dell'ellisse dell'orbita di Marte è più piccolo di due centesimi circa, ovvero dello 0,5 %, dell'asse maggio- re. Sarebbe difficile, guardando una fi- gura in scala di quest'orbita, accorger- si che si discosta dal cerchio. Una teoria planetaria che consideri circolari le orbite può essere perciò sor- prendentemente buona. Non è pertanto del tutto esatto parlare esclusivamente di errori che sorgono dall'assunzione di orbite circolari. In ogni teoria pla- netaria — ed è questo il punto veramen- te cruciale — un ulteriore assunto con- cerne il moto del pianeta. Si può dire nondimeno che se qualcuno avesse per Marte una teoria sbagliata solo nell'as- sunzione di un'orbita circolare, le di- screpanze tra predizione e osservazio- ne non potrebbero mai superare 10 mi- nuti d'arco: un terzo circa del diame- tro della Luna quale appare dalla Ter- ra. La scoperta dell'ellitticità dell'orbi- ta sarebbe possibile solo se gli errori d'osservazione fossero notevolmente inferiori a questo valore. Le osservazioni su cui Keplero lavo- rò furono eseguite dal suo contempo- raneo Tyge Brahe dal 1575 al 1600. Es- se furono compiute a occhio nudo, con l'ausilio di grandi strumenti — quadran- ti, sestanti, ottanti — recanti una minu- ta graduazione. Poiché molte tra le de- terminazioni di distanze angolari tra corpi celesti eseguite da Brahe erano state verificate da altri due osservato- ri, era noto che il margine d'errore delle sue osservazioni non poteva su- perare i due o tre minuti d'arco. Sia Tolomeo, l'astronomo alessandrino del II secolo, sia Copernico, ritenevano ac- cettabile un errore d'osservazione di 10 primi. Senza questa riduzione del mar- gine d'errore a opera di Brahe, Keple- ro non avrebbe mai potuto compiere le sue scoperte. 79

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Le prime due leggi di Keplero

In genere si suppone che Keplero abbia scoperto le sue prime due leggicalcolando le distanze tra un pianeta e il Sole e accorgendosi poi chele distanze si adattavano a un'ellisse. Più probabile è invece l'inverso

di Curtis Wilson

Ogni progresso (sulla via della scien-za) è raggiunto in un primo momentosolo per retroduzione, ossia attraver-so congetture spontanee della ragioneistintiva.

CHARLES SANDERS PEIRCE

U

na teoria scientifica si forma inseguito alla paziente raccolta difatti, da cui in un secondo mo-

mento emerge un grande disegno, op-pure deriva da un'ispirazione intuitivafondata solo su pochi fatti? La scienzaavanza probabilmente in entrambi imodi. L'esempio classico del lavoroguidato da un'ispirazione è il tentativodell'astronomo rinascimentale Johan-nes Keplero di scoprire le leggi che de-finiscono le orbite e i movimenti deipianeti. Fu quest'impresa che Peirce,il filosofo della scienza americano delXIX secolo, definí « il più grande esem-pio di ragionamento retroduttivo ».

La prima legge di Keplero dice cheun pianeta si muove attorno al Sole inun'orbita ellittica di cui il Sole occupa.uno dei fuochi. La seconda legge affer-ma che un raggio tracciato dal Sole alpianeta descrive aree dell'ellisse ugualiin tempi uguali, sia che il pianeta ac-celeri il suo moto avvicinandosi al So-le, sia che lo rallenti allontanandosene.

Qualcuno potrebbe essere indotto apensare che l'identificazione della for-ma di un'orbita planetaria con l'ellissefosse sostanzialmente una questionegeometrica. Da ripetute osservazionidella posizione del pianeta in cielo do-vrebbe esser possibile calcolare le di-stanze tra il Sole e il pianeta medianteil procedimento della triangolazione(come viene usato per esempio nellacartografia) e rendersi conto che que-ste distanze si adattano a un'ellisse colSole in uno dei fuochi. Data l'orbitaellittica, si potrebbe procedere alla ve-rifica della legge delle aree uguali.

Quali che siano stati gli errori, le con-fusioni e i ghiribizzi speculativi delviaggio di scoperta di Keplero, le fasiche abbiamo illustrato dovrebbero es-sere quelle da lui eseguite nella deter-minazione delle sue prime due leggi.

Uno studio del racconto che di que-ste scoperte fece Keplero stesso nel-

la sua Astronomia nova del 1609, conparticolare attenzione al problema de-gli errori d'osservazione, mi ha convin-to che si tratti di un'interpretazione er-ronea. Le determinazioni trigonometri-che della distanza non conducono diper sé al concetto di un'ellisse; esse so-no troppo imprecise per dare le dimen-sioni dell'ellisse e non forniscono quel-la che Keplero considerava una confer-ma adeguata della forma ellittica. Quelche emerge dal racconto di Keplero èche egli si mise in viaggio con un gran-de carico di nozioni teoriche e che riu-scí a pervenire alle due leggi solo per-ché affrontò il problema con una con-vinzione preconcetta. Fu un'idea cheegli aveva già fin dal principio, un'ipo-tesi fisica, che lo guidò in tutto il suocammino; ogni passo fu fatto delibera-tamente, non solo in un continuo con-fronto con i dati d'osservazione, maanche sotto l'urgenza della ferma vo-lontà di perseguire l'idea iniziale. Percomprendere lo status logico delle leg-gi di Keplero è necessario ripercorrerel'itinerario logico del suo viaggio.

Col vantaggio che ci viene dal fattodi considerare le cose a posteriori, pos-siamo dire che tutti i pianeti noti aKeplero hanno orbite ellittiche che siscostano poco dalla forma circolare. Lapiù accentuatamente ellittica tra questeorbite è quella di Mercurio, ma poichéMercurio si trova sempre molto vicinoal Sole riesce assai difficile osservarlo.Tra le altre orbite planetarie la più el-littica è quella di Marte. che fu appun-

to quella studiata da Keplero. L'asseminore dell'ellisse dell'orbita di Marteè più piccolo di due centesimi circa,ovvero dello 0,5 %, dell'asse maggio-re. Sarebbe difficile, guardando una fi-gura in scala di quest'orbita, accorger-si che si discosta dal cerchio.

Una teoria planetaria che considericircolari le orbite può essere perciò sor-prendentemente buona. Non è pertantodel tutto esatto parlare esclusivamentedi errori che sorgono dall'assunzionedi orbite circolari. In ogni teoria pla-netaria — ed è questo il punto veramen-te cruciale — un ulteriore assunto con-cerne il moto del pianeta. Si può direnondimeno che se qualcuno avesse perMarte una teoria sbagliata solo nell'as-sunzione di un'orbita circolare, le di-screpanze tra predizione e osservazio-ne non potrebbero mai superare 10 mi-nuti d'arco: un terzo circa del diame-tro della Luna quale appare dalla Ter-ra. La scoperta dell'ellitticità dell'orbi-ta sarebbe possibile solo se gli errorid'osservazione fossero notevolmenteinferiori a questo valore.

Le osservazioni su cui Keplero lavo-rò furono eseguite dal suo contempo-raneo Tyge Brahe dal 1575 al 1600. Es-se furono compiute a occhio nudo, conl'ausilio di grandi strumenti — quadran-ti, sestanti, ottanti — recanti una minu-ta graduazione. Poiché molte tra le de-terminazioni di distanze angolari tracorpi celesti eseguite da Brahe eranostate verificate da altri due osservato-ri, era noto che il margine d'erroredelle sue osservazioni non poteva su-perare i due o tre minuti d'arco. SiaTolomeo, l'astronomo alessandrino delII secolo, sia Copernico, ritenevano ac-cettabile un errore d'osservazione di 10primi. Senza questa riduzione del mar-gine d'errore a opera di Brahe, Keple-ro non avrebbe mai potuto compierele sue scoperte.

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„m...-EQUATORE CELESTE

La sfera celeste rappresenta l'aspetto del cielo visto dalla Terra. La Terra è sospesa alcentro della sfera; le stelle e i pianeti sono infissi nella sua superficie interna. L'equa-tore celeste (in nero) è una proiezione sulla sfera dell'equatore terrestre. Inclinato ri-spetto all'equatore celeste di 23°30' è il cerchio dell'eclittica (in grigio), il percorso ap-parente che il Sole compie in cielo nel corso di un anno. Le longitudini del Sole e deipianeti sono misurate in gradi lungo l'eclittica in direzione est a partire dall'equinoziovernale (contrassegnato dal segno dell'Ariete), uno dei due punti in cui l'eclittica in-terseca l'equatore. Marte e gli altri pianeti si discostano di poco dall'eclittica, muoven-dosi al di sopra e al di sotto di essa, oltre che su di essa. Keplero formulò l'ipotesiche il piano dell'orbita di Marte (in bianco) sia inclinato rispetto al piano dell'eclittica.

Le prime due leggi di Keplero stabiliscono che ogni pianeta si muove su un'orbita el-littica di cui il Sole occupa uno dei fuochi e che una linea retta (chiamata raggio vet-tore) tracciata dal Sole al pianeta descrive aree uguali dell'ellisse in tempi uguali.

Quando, nel 1600, Keplero si recò aPraga per lavorare alle dipendenze diBrahe, era già un ardente copernicanoe non aveva dubbi sul fatto che la Ter-ra compie una rivoluzione orbitale in-torno al Sole. Copernico aveva posto ilSole al centro del sistema planetario eaveva postulato che la rotazione diur-na apparente del cielo dovesse attri-buirsi alla rotazione della Terra sul suoasse. Il Sole risiedeva come una lam-pada al centro del sistema solare, illu-minando e riscaldando il tutto; una di-versa disposizione avrebbe diminuitola sua efficacia. I centri delle orbiteplanetarie di Copernico non giacevanonel Sole, e per render conto di quelleche noi conosciamo come variazioninella velocità orbitale Copernico nonaveva potuto fare a meno di ricorrereal meccanismo tradizionale dell'epici-clo: un piccolo cerchio che scorre lun-go un cerchio più grande. Keplero pen-sava che Copernico non avesse intesoil vero significato del suo nuovo siste-ma e vedeva nel Sole più che una lam-pada. Egli osservò che le velocità li-neari reali dei pianeti più lontani dalSole sono minori di quelle dei pianetipiù vicini: Venere si muove più lenta-mente di Mercurio, la Terra di Vene-re, Marte della Terra e cosí via. Que-sta correlazione tra distanza e velocitàsuggerí a Keplero una relazione causa-

le: egli suppose che il Sole fosse inqualche modo la causa del moto di ri-voluzione dei pianeti e che la « virtù »o forza motrice diminuisse in intensitàcon l'aumentare della distanza dal So-le. Quando cominciò a lavorare suMarte, Keplero aveva dunque già inmente, sia pure in una fase germinale,il concetto di una fisica celeste: unateoria dei moti planetari in cui i pia-neti non hanno in se stessi la fonte delloro moto (come nelle precedenti teo-rie cosmologiche) ma sono mossi dal-l'esterno per mezzo di spinte e di tra-zioni. Ciò che ci proponiamo di vedereè in che modo Keplero, posto di fron-te a una massa di dati disorientanti e auna teoria ereditata dai suoi predeces-sori, sia stato guidato dalla sua ipotesifisica alla scoperta delle sue leggi.

Tanto basti per quanto riguarda i pre-liminari. Passiamo ora a quella che

Keplero chiamò scherzosamente la suaguerra a Marte. La guerra può esseredivisa in sette fasi.

La prima fase concerne le latitudinidei pianeti. La posizione osservata diun pianeta è definita da latitudine elongitudine. Ai fini dell'osservazione sipuò immaginare che la Terra sia comesospesa al centro di una molto piùgrande sfera celeste. Le stelle sono in-fisse nella superficie della sfera e su di

essa è proiettato l'equatore della Ter-ra. Rispetto all'equatore celeste, o cer-chio equinoziale, cosí determinato, ilcerchio dell'eclittica, ossia la traiettoria,proiettata contro lo sfondo delle stelle,che il Sole percorre in cielo in un an-no presenta un'inclinazione di 23° 50'.

La posizione del Sole sull'eclittica.misurata in gradi verso est a partiredal punto chiamato equinozio vernale(uno dei due punti in cui l'eclittica in-terseca il cerchio equinoziale), si chia-ma longitudine.

I pianeti, come il Sole, si muovonoin generale verso est, approssimativa-mente lungo l'eclittica, da cui tuttaviasi discostano leggermente e in modograduale, sia verso nord sia verso sud.Questi allontanamenti dall'eclittica,misurati in gradi, sono le latitudini deipianeti. La teoria copernicana delle va-riazioni planetarie in latitudine era ter-ribilmente complicata, comprendendooscillazioni nei piani degli epicicli e deicerchi lungo cui essi si muovono, os-sia i deferenti. Keplero semplificò enor-memente il tutto supponendo che ilpiano dell'orbita di Marte sia inclinatodi un angolo costante (di circa 10 e 50')rispetto al piano dell'eclittica e chepassi per il Sole.

Si osservi che in tutte queste osser-vazioni Keplero si servi del Sole comedi un punto di riferimento fisso. Leteorie precedenti si erano sempre rife-rite non al Sole vero o visibile, ma aun punto immaginario chiamato Solemedio. A questa sostituzione si dove-vano in parte le complicazioni presentinella teoria copernicana delle latitudi-ni. La determinazione, a opera di Ke-plero, della costanza dell'inclinazione,e del passaggio del piano delle orbiteplanetarie attraverso il Sole vero, fu laprima vittoria della sua idea precon-cetta sul ruolo primario del Sole.

Nella seguente discussione delle al-tre fasi della guerra di Keplero a Mar-te, lasceremo da parte il problema del-le latitudini, occupandoci soltanto del-le longitudini, ossia delle posizioni diMarte lungo l'eclittica. Nella secondafase Keplero sviluppò per le longitudi-ni di Marte una teoria che si rivelò giu-sta per un aspetto e sbagliata per unaltro. Egli aveva a sua disposizione duegeneri di osservazioni di Marte.

Poniamoci dal punto di vista di Co-pernico e immaginiamoci il Sole comeun punto fisso, attorno al quale com-piono le loro rivoluzioni orbitali la Ter-ra e gli altri pianeti. Normalmente,quando si compie un'osservazione diMarte, la Terra, il Sole e Marte sonodisposti in un triangolo; un lato di taletriangolo è la distanza tra il Sole e laTerra, il secondo lato è la distanza trala Terra e Marte e il terzo la distanza

tra Marte e il Sole. L'osservazione cidà solo la direzione di Marte visto dal-la Terra contro lo sfondo delle stellefisse. A questo punto siamo ben lonta-ni dal conoscere tutto di tale triangolo.Keplero aveva una teoria del moto del-la Terra — in realtà si trattava di unateoria del moto del Sole — che avevaereditato da Brahe. La teoria di Braheera un compromesso fra la teoria tole-maica e quella copernicana: in taleteoria tutti i pianeti esclusa la Terracompiono le loro rivoluzioni attorno alSole e l'intero sistema ruota attorno al-la Terra. Una semplice trasformazio-ne geometrica tramuta questa Leoriain una teoria del moto della Terra at-torno al Sole. Si sapeva che la teoriadi Brahe dava le longitudini eliocentri-che della Terra (ossia le posizioni del-la Terra sull'eclittica quali risultereb-bero prendendo come punto d'osserva-zione il Sole) con una notevole preci-sione; la principale verifica della teo-ria consisteva nelle predizioni, che ren-deva possibili, dell'altezza meridianadel Sole nel corso dell'intero anno. Peruna ragione che vedremo presto, Ke-plero non si fidava del tutto dei datiforniti dalla teoria di Brahe sulla di-stanza Terra-Sole, una distanza che va-ria nei diversi punti dell'orbita dellaTerra a causa del fatto che il Sole nonsi trova nel suo centro. Ma anche seavesse accettato la teoria di Brahe, perpoter risolvere il triangolo Kepleroavrebbe potuto disporre anche della di-rezione della linea che univa Marte eil Sole. In che modo poté determinarequella direzione?

Questo problema ci conduce al secon-do tipo di osservazioni di Marte.

Ogni 780 giorni circa, Marte e il Solesono in opposizione, ossia Marte, laTerra e il Sole si trovano su una stes-sa linea, con la Terra in posizione in-termedia. A quest'epoca circa Martepuò essere osservato nella sua culmina-zione al meridiano a mezzanotte. Neltempo esatto dell'opposizione, un os-servatore sulla Terra vede Marte sullosfondo delle stelle fisse nella stessaidentica posizione in cui lo vedrebbe unosservatore situato sul Sole. Kepleroaveva 12 di tali osservazioni su cui la-vorare; esse erano state compiute tra il1580 e il 1604. In realtà raramente sidispone di condizioni perfette per com-piere un'osservazione proprio al tempodell'opposizione; la posizione del pia-neta a quest'epoca dev'essere pertantocalcolata sulla base di un gruppo di os-servazioni fatte attorno a quel periodo.Keplero fu il primo a calcolare le op-posizioni non al Sole medio ma al Solevero; questo modo di procedere era inaccordo con la sua idea preconcetta sul

ruolo del Sole. Egli sperava che questomutamento lo avrebbe condotto a unateoria nuova e migliore.

Ma come elaborare una teoria? Al-l'epoca dell'opposizione si conosce lalongitudine eliocentrica di Marte, ossiala posizione sull'eclittica di Marte vi-sto dal Sole. Non si conosce però lasua distanza dal Sole. Non rimane al-tro che fare un'ipotesi. Keplero proce-dette in un primo tempo cercando diadattare ai dati una teoria di tipo tole-maico. Egli suppose che Marte si muo-vesse in un'orbita circolare con un cer-to centro; che il Sole infine si trovassein un altro punto, fuori del centro, eche infine il moto di Marte fosse uni-forme non necessariamente attorno alcentro della sua orbita ma attorno a unaltro punto chiamato equante (si veda-no le figure alle pagine 85 e 87). Tuttiquesti elementi si trovavano nella teo-ria tolemaica del sistema planetario,con la sola differenza che nella posizio-

ne da Keplero assegnata al Sole c'erala Terra. L'unica cosa che si trattavadi scoprire era la direzione della lineaformata da questi tre punti (il centrodell'orbita di Marte e la posizione delSole e dell'equante) e i rapporti tra ledistanze reciproche fra questi punti e ilraggio dell'orbita di Marte. L'unicoprocedimento di cui sia Tolomeo siaKeplero potevano disporre per trovarequesti valori era quello, terribile, delprovare e riprovare: formulare un'ipo-tesi e poi cambiarla se la teoria non siadattava ai fatti.

Tra Tolomeo e Keplero viene in lu-ce una differenza che non dobbiamolasciar passare sotto silenzio. Tolomeo,avendo scoperto che il centro dell'or-bita di Marte non poteva coinciderecon l'equante, aveva supposto che talecentro si trovasse a metà strada tra ilSole e l'equante. Keplero non ebbe bi-sogno di fare quest'ipotesi; la sua uni-ca preoccupazione era quella di collo-

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Il piano Un'orbita di Marte (in colore) è inclinato rispetto alpiano dell'orbita terrestre o piano dell'eclittica (in grigio) diun angolo (diedro) costante di 1°50'. Keplero poté verificarequest'ipotesi grazie a certe osservazioni « privilegiate ». In unadi queste osservazioni la Terra doveva trovarsi sulla linea deinodi, ossia la linea su cui il piano dell'orbita di Marte intersecail piano dell'eclittica. Nello stesso tempo Marte doveva trovarsi

su una linea che doveva essere perpendicolare alla linea deinodi e passare per il centro della Terra. A quell'epoca le di-stanze angolari di Marte dall'eclittica fornite dall'osservazionesarebbero state uguali all'angolo diedro formato dal piano del-l'orbita di Marte e dal piano dell'eclittica: 1° 50'. Sono possi•bili quattro osservazioni come questa: le linee tratteggiateindicano la linea visuale all'epoca delle altre tre osservazioni.

Le osservazioni di Marte sono di due tipi. Quando Marte è in M, e la Terra in T1,Marte, la Terra e il Sole formano il triangolo ST,M,. Quando Marte si trova in M, e laTerra in T, Marte è in opposizione al Sole ed è osservato rispetto allo sfondo dellestelle fisse nella stessa posizione in cui apparirebbe a un ipotetico osservatore sul Sole.

care il centro dell'orbita fra gli altridue punti, nella posizione più appro-priata per garantire il miglior accordotra osservazione e teoria.

Per formulare la sua teoria, Keplerousò quattro delle 12 osservazioni diMarte all'opposizione col Sole, e dopoben 70 tentativi trovò una teoria chesi accordava con queste osservazioni.Egli verificò poi la teoria sulla scortadelle altre otto osservazioni e trovò chel'accordo era molto buono; la diver-genza media tra teoria ed osservazioneera di 50 secondi d'arco, quella massi-ma di 2'12". La teoria si rivelò quindiin grado di fornire la longitudine elio-centrica di Marte (ossia la posizionedi Marte visto dal Sole) con una preci-sione pari a quella delle osservazioni.

ubito dopo Keplero scopri che la teo-ria era sbagliata! Egli prese quindi

a chiamarla ipotesi « vicaria » perché,pur essendo sbagliata, gli forniva peròle longitudini eliocentriche di Marteche gli erano necessarie per proseguireil suo lavoro. Ciò che invece non for-niva con sufficiente precisione erano ledistanze di Marte dal Sole.

In che modo Keplero poté formarsiuna nozione qualsivoglia sulle distanzedi Marte dal Sole? Supponiamo per unmomento di prendere la teoria solaredi Tyge Brahe e di trasformarla in unateoria del moto della Terra. Conside-riamo due osservazioni di Marte quan-d'esso non si trova all'opposizione. Inciascuna di queste due osservazioni laTerra, il Sole e Marte formano untriangolo. In base all'ipotesi vicaria,

conosciamo ora la posizione della li-nea che unisce il Sole e Marte; l'osser-vazione ci dà in ogni caso la posizionedella linea che unisce Marte e la Ter-ra, e la posizione della linea che uni-sce la Terra e il Sole ci è fornita dallateoria solare di Brahe. Conosciamopertanto gli angoli interni di questi duetriangoli con un margine d'errore, di-ciamo, di quattro minuti d'arco. Pos-siamo calcolare ora trigonometrica-mente. i rapporti tra i lati dei triangoli.Se la teoria di Brahe ci fornisse valo-ri fidati anche del rapporto tra le duedistanze Terra-Sole (che non sonouguali, perché il Sole non è al centrodell'orbita circolare della Terra), si po-trebbe determinare il rapporto delledue distanze Sole-Marte.

Keplero sapeva di potersi fidare, siapure entro certi limiti, della teoria diBrahe per la predizione delle distanzeTerra-Sole. La fiducia di Keplero di-pendeva in parte dalle sue misurazionidel diametro apparente del disco delSole, diametro che diventa più grandeo più piccolo a seconda che la Terra,nella sua orbita, si avvicini al Sole ose ne allontani. Queste misurazioni,pur essendo molto approssimative, di-mostravano che la distanza tra la Ter-ra e il Sole non presenta variazionimolto grandi; in realtà essa varia an-cor meno di quanto prevedesse la teo-ria di Brahe. L'orbita doveva essereperciò grosso modo circolare. Il mar-gine d'errore era abbastanza piccolo daconsentire a Keplero l'applicazione del-la teoria di Brahe per apprendere qual-cosa sulle distanze Sole-Marte. Egli era

particolarmente interessato a sottopor-re a verifica la posizione del centro del-l'orbita di Marte. L'ipotesi vicarial'aveva collocato in un punto, sulla li-nea congiungente il Sole e l'equante,posto a circa sei decimi di tale interval-lo dal Sole. Keplero calcolò le distanzeSole-Marte in prossimità della linea de-gli absidi, ossia vicino alla linea checongiunge il perielio dell'orbita di Mar-te (il punto dell'orbita più vicino alSole) con l'afelio (il punto dell'orbitapiù lontano dal Sole). I calcoli mostra-rono che il centro dell'orbita di Martedoveva essere molto più vicino al pun-to di mezzo della distanza tra il Solee l'equante. Se Keplero avesse modifi-cato l'ipotesi vicaria in base a questirisultati, la nuova versione non avreb-be più predetto con precisione le lon-gitudini eliocentriche, ma avrebbe for-nito valori sbagliati fino a otto minutid'arco, mentre il margine d'errore del-le osservazioni di Brahe non superavai due minuti circa. Quell'errore di ottominuti fu l'elemento che costrinse Ke-plero a procedere fino a pervenire auna riforma totale dell'astronomia.

La situazione di Keplero a questopunto può essere compendiata co-

me segue. Egli aveva due teorie: lateoria solare di Brahe per la Terra e lapropria ipotesi vicaria per Marte. En-trambe erano teorie di tipo tolemaico,lavorando con orbite circolari e con unmoto angolare uniforme attorno a unpunto interno al cerchio. Ciascuna del-le due teorie, secondo Keplero, predi-ceva la longitudine eliocentrica del pia-

neta relativo con un margine d'erroreche non superava mai i due minutid'arco circa, come veniva confermatoin modo abbastanza diretto dall'osser-vazione. Ma se si doveva considerareesatta la teoria di Brahe per le distan-ze Terra-Sole, allora l'ipotesi vicariasarebbe stata erronea per quanto con-cerne le distanze Sole-Marte. Di fattol'ipotesi vicaria era decisamente sba-gliata perché gli errori possibili nelledistanze secondo la teoria di Braheerano relativamente piccoli rispetto aquelli risultanti dall'applicazione del-l'ipotesi vicaria. Dei due assunti su cuil'ipotesi vicaria si fondava, la circola-rità dell'orbita e l'uniformità del motoattorno a un punto equante, o l'uno ol'altro, o entrambi, dovevano essereerronei. L'ipotesi vicaria rimaneva uti-le, anzi di fatto indispensabile, per tro-vare le longitudini eliocentriche diMarte, ma era una teoria sbagliata.

Quale dei due principi tolemaici,l'orbita circolare o il punto equante,doveva essere abbandonato? Kepleronon aveva dubbi in proposito. Quandosi ha in mente la possibilità di una fisi-ca celeste, il principio dell'equante nonpuò non apparire artificiale; nel puntoequante non c'è alcun corpo, né esisteun meccanismo credibile di cui il prin-cipio dell'equante possa essere espres-sione. Lavorando sull'ipotesi vicaria,Keplero trovò inoltre l'indizio di unpossibile sostituto del principio del-l'equante, e nella terza fase della suaguerra a Marte egli escogitò questasostituzione.

Keplero trovò che il punto medio ocentro della linea degli absidi, corri-spondente al centro dell'orbita di Mar-te, non poteva trovarsi là dove lo col-locava l'ipotesi vicaria ma più vicinoalla metà della distanza tra il Sole e ilpunto equante. Ora un fatto strano, sucui Keplero meditò, è l'adozione daparte di Tolomeo, nelle sue teorie diVenere, di Marte, di Giove e di Satur-no, di quella che viene chiamata la« bisezione dell'eccentricità ». Se con-vertiamo la teoria tolemaica, geocen-trica, nella forma copernicana, elio-centrica, la « bisezione dell'eccentrici-tà » significa che il centro dell'orbita diun pianeta si trova nel punto di mezzodella linea' che unisce il Sole e il pun-to equante. Keplero aveva ottenutouna conferma, sia pure approssimati-va, per la sua ipotesi su Marte. Tra ipianeti principali, l'unica eccezione,cui non si poteva applicare quest'ipo-tesi, era il Sole nel suo moto attornoalla Terra o, — nella trasformazionedella teoria tolemaica in quella coper-nicana — la Terra nel suo moto orbi-tale attorno al Sole. La teoria solaredi Brahe, come quella di Tolomeo, era

una semplice teoria « eccentrica »: laTerra si trova fuori dal centro, ma ilSole si muove uniformemente attornoal centro del suo cerchio, cosicché ilpunto equante e il centro del cerchiocoincidono. Trasformando questa teo-ria in una teoria del moto della Terra,otteniamo di nuovo una semplice teoriaeccentrica, in cui il punto equante eil centro dell'orbita coincidono.

Che cosa sarebbe successo se l'ec-centricità fosse stata bisecata nel casodi tutti i pianeti? La supposizione erache ogni pianeta si muovesse con unavelocità angolare uniforme attorno alsuo punto equante. In un tempo datoil pianeta avrebbe percorso un piccoloangolo; in un altro tempo uguale, suc-cessivo al primo, avrebbe percorso unaltro angolo uguale. L'uguaglianza de-gli angoli significa che, per piccoli ar-chi in prossimità della linea degliabsidi, il rapporto tra le lunghezzedi due archi sarebbe uguale al rappor-to delle distanze tra il pianeta e il pun-to equante. In altri termini, in prossi-mità degli absidi la lunghezza degli ar-chi percorsi dal pianeta in tempi ugua-li era inversamente proporzionale allesue distanze dal Sole. Questa scopertasignificava che la velocità del pianetavaria in proporzione inversa al variaredella sua distanza dal Sole.

Keplero credette che questa nuova

ipotesi potesse essere universalmenteapplicabile a tutti i pianeti in qualsiasipunto della loro orbita. Essa non eraesattamente equivalente al principiodell'equante, tranne sulla linea degliabsidi, dove l'eccentricità veniva bise-cata. Ma quest'ipotesi era in accordocon l'idea preconcetta di Keplero, l'ipo-tesi fisica che egli portò con sé a Pra-ga: la nozione che il Sole, per mezzodi una misteriosa « virtù » immateria-le, spinge in giro i pianeti, e che la suavirtù perde d'intensità con l'aumenta-re della distanza dal Sole. Keplero pen-sò che l'introduzione di questa nuovaipotesi sarebbe stata giustificata se egliavesse potuto stabilire che si aveva unabisezione dell'eccentricità per la Terra,cosí come Tolomeo aveva supposto pergli altri pianeti. Egli considerò tre os-servazioni di Marte compiute da TygeBrahe a 687 giorni di distanza l'unadall'altra, ossia separate dello stesso in-tervallo di tempo che Marte impiegaper compiere una rivoluzione orbitale.All'epoca di ciascuna delle tre osserva-zioni, Marte avrebbe dovuto trovarsinella stessa posizione. La Terra inveceavrebbe dovuto trovarsi in tre diverseparti della sua orbita, poiché 687 nonè un multiplo di 365, di tanti giorni es-sendo la durata della rivoluzione orbi-tale della Terra. Brahe aveva pertantoosservato Marte da tre diverse posizio-

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Keplero trasformò la teoria di Brahe del moto del Sole in una teoria equivalente delmoto della Terra intercambiando le posizioni della Terra e del Sole. Se si fa ruotareil diagramma della teoria di Brahe sinistra) di 1800, mantenendo fissa la posizionedello zodiaco, la teoria eliocentrica cosí ottenuta (a destra) è equivalente, dal punto divista dell'osservazione, alla teoria geocentrica di Brahe; essa risulta infatti pre.dire le stesse posizioni del Sole e dei pianeti rispetto alla sfera delle stelle fisse.

VENERE

MERCURIO

MARTE

GIOSATURNO

La teoria solare di Tyge Brahe, che Keplero ereditò quando cominciò a lavorare suMarte, stabiliva che tutti i pianeti, esclusa la Terra, ruotano attorno al Sole muovendo-si su epicicli di tipo tolemaico, mentre l'intero sistema percorre con moto uniformeun'orbita circolare attorno alla Terra, che però non ne occupa esattamente il centro.

ni. La direzione della linea Terra-Mar-te fu determinata mediante l'osserva-zione; la direzione della linea Sole--Terra fu determinata in ogni caso me-diante la teoria solare di Brahe, men-tre la linea Sole-Marte (trovandosiMarte nello stesso punto della sua or-bita all'epoca di ciascuna osservazione)occupava una posizione definita dal-l'ipotesi vicaria di Marte. Le osserva-zioni fornirono perciò tre triangoli contutti gli angoli noti, e un lato — la li-nea Sole-Marte — in comune. Kepleroera ora in grado di trovare il rapportotra la lunghezza di ciascuna delle tredistanze Sole-Terra e quella della di-stanza Sole-Marte, e quindi i rapportidelle tre distanze Sole-Terra tra loro,cosa che gli permetteva di determina-re la posizione della Terra nella sua or-bita in corrispondenza con ciascunadelle tre osservazioni. Tre punti defi-niscono un cerchio; Keplero poté per-

tanto determinare la posizione del cen-tro di questo cerchio, e quindi il rap-porto tra la distanza del Sole dal cen-tro del cerchio e il raggio del cerchiostesso.

. .E importante osservare che questi cal-

coli trigonometrici sono molto me-no soddisfacenti di quanto vorrebberofarci credere i testi in cui Keplero ciparla di solito del suo lavoro; nella de-terminazione dei tre triangoli entravanosette dati d'osservazione, ciascuno deiquali poteva contenere degli errori. Ilcalcolo trigonometrico poteva moltipli-care in misura anche notevole gli er-rori iniziali, particolarmente dove sitrattava di piccoli angoli. Keplero sot-topose a procedimenti di questo gene-re sette insiemi di dati d'osservazione,ottenendone risultati discordanti; il va-lore massimo da lui ottenuto per la di-stanza del Sole dal centro dell'orbita

circolare era maggiore di due terzi ri-spetto al valore minimo.

Tutti i risultati mostrarono però chel'eccentricità dell'orbita era minore delvalore che le aveva assegnato Brahe.L'eccentricità determinata da Braheera essenzialmente l'eccentricità del-l'equante, la cui posizione (come si puòdimostrare) poteva sempre essere de-terminata con una precisione maggioreche non il centro dell'orbita. I risultatidi Keplero, pur essendo notevolmentedivergenti tra loro, mostravano che ilcentro dell'orbita terrestre non coinci-de col punto equante, come avevanosupposto Tolomeo, Copernico e Brahe.Il centro doveva trovarsi invece inqualche punto a metà strada tra il pun-to equante e il Sole. Keplero supposeallora che l'eccentricità fosse esatta-mente bisecata, in modo da poter pro-cedere a verificare la sua nuova ipote-si (che la velocità del pianeta nella suaorbita varia in proporzione inversa al-la sua distanza dal Sole).

La nuova ipotesi aveva un grandesvantaggio: era di difficile applicazio-ne. Essa stabiliva in che modo la velo-cità del pianeta varia in funzione dellasua distanza dal Sole, ma ciò che inte-ressava sapere era il rapporto tra untempo dato e la distanza che in taletempo il pianeta avrebbe percorso nel-la sua orbita. Per risolvere questo pro-blema era necessario il ricorso al cal-colo integrale, che non era ancora sta-to inventato. Keplero tentò una solu-zione approssimata: i tempi richiestidal pianeta per percorrere piccoli ar-chi uguali erano approssimativamenteproporzionali alle distanze di quegli ar-chi dal Sole; quanto maggiore era ladistanza, tanto maggiore il tempo ri-chiesto. Nell'applicazione di questa no-zione, Keplero dovette affrontare cal-coli molto noiosi, dividendo il semicer-chio in 180 archi di un grado ciascu-no, calcolando le distanze di ciascunodi questi archi dal Sole, addizionandosomme successive di queste distanze estabilendo una proporzionalità tra lesomme e i tempi. Il risultato, nel casodella Terra, fu incoraggiante: le pre-dizioni basate sul nuovo principio dif-ferivano dalle predizioni fondate sullateoria di Brahe di un valore massimodi nove secondi d'arco, scarto che altempo di Keplero non poteva invocareuna conferma dall'osservazione. Lanuova teoria era soddisfacente nel pre-dire le longitudini eliocentriche dellaTerra perché era in accordo con la teo-ria solare di Brahe. A sua volta la teo-ria solare di Brahe, una semplice teo-ria eccentrica in cui il punto equantecoincideva col centro dell'orbita, erasoddisfacente nella predizione delle lon-gitudini eliocentriche perché l'eccentri-

cità dell'orbita terrestre è piccola, me-no di un quinto dell'eccentricità del-l'orbita di Marte. Quel che importavaera perciò solo la posizione del puntoequante, che Brahe aveva determinatocon discreta precisione. Keplero lo sa-peva e si basò su questo fatto.

Keplero ebbe allora un'altra idea perabbreviare i calcoli. Le distanze

tra il Sole e i punti compresi in uno diquesti archi uguali sono contenute tut-te nell'area del settore circolare defini-to dall'arco. L'area di questo settoresi presentava come una misura di tuttele distanze contenute nel settore stesso.Come in precedenza si era stabilita unarelazione di proporzionalità tra archiuguali e i tempi necessari a percorrer-li, così ora si poteva supporre che learee fossero proporzionali ai tempi ne-cessari a percorrere gli archi uguali dacui erano definite. È questa l'originedella seconda legge di Keplero: la leg-ge delle aree. Oggi è espressa solita-mente nella forma seguente: le areedescritte dal raggio vettore (la lineache congiunge il Sole al pianeta) sonoproporzionali ai tempi. Quest'ipotesiera in realtà un nuovo principio, nonequivalente al precedente. Di nuovonel caso della Terra si accordava sod-disfacentemente con la teoria di Bra-he: lo scarto massimo era di 34 secon-di d'arco. Nel caso di Marte le discor-danze si sarebbero rivelate maggiori.

Nella quarta fase della sua guerra aMarte, Keplero rinnovò il suo attaccousando alternativamente l'uno o l'altrodei suoi nuovi principi, ossia che i tem-pi richiesti per percorrere archi ugualidell'orbita variano come le distanzedegli archi dal Sole, oppure che learee descritte sono proporzionali aitempi.

Nel suo nuovo attacco, Keplero sup-pose dapprima che Marte avesse un'or-bita circolare col Sole fuori del suocentro. Presumibilmente il Sole spin-geva attorno il pianeta per mezzo del-la sua « virtù » immateriale e l'inten-sità della spinta diminuiva col cresceredella distanza.

A questo punto Keplero si pose unproblema. Per quale motivo la distan-za del pianeta dal Sole dovrebbe va-riare? Perché esso non si muove sem-plicemente in un'orbita circolare colcentro nel Sole? L'unica spiegazioneche Keplero potesse immaginare era unadattamento della teoria epiciclica ela-borata da Tolomeo per il Sole. In taleteoria il piccolo cerchio dell'epicicloaveva un raggio uguale all'eccentricità(la distanza tra il centro dell'orbita cir-colare e il Sole). Il centro dell'epiciclosi muoveva in senso antiorario lungoun cerchio avente al suo centro la Ter-

ra, mentre il Sole si muoveva in sen-so orario, con la stessa velocità ango-lare, sull'epiciclo. In ogni momentol'angolo formato dal raggio vettore edalla linea degli absidi era uguale al-l'angolo che il Sole descriveva sull'epi-ciclo rispetto al raggio vettore. Ciòequivaleva ad asserire che il Sole simuove semplicemente su un cerchioeccentrico alla Terra (si veda la figu-ra a pag. 88). Ora, questo stesso mec-canismo poteva essere adattato per farmuovere Marte in un cerchio eccen-trico rispetto al Sole. Oltre a esseremosso attorno al Sole, Marte avevaquindi anche un « motore » proprio,un'anima dotata di facoltà sensitive,motive e forse intellettive, che muove-va il pianeta nel suo piccolo cerchioepiciclico. Keplero si tormentò alla ri-cerca del modo in cui il motore pla-netario potesse assolvere il suo compi-to. Egli sapeva che, come avevano in-dicato le osservazioni di Brahe sulleparallassi di alcune comete, questi cor-pi celesti attraversano la regione pla-netaria. I cieli non erano dunque soli-di; non c'erano sfere cristalline chesostenessero i pianeti, come suppone-va la maggior parte dei seguaci di Ari-stotele. Inoltre il motore planetarionon aveva né piedi né ali. Ma c'era an-che un'altra difficoltà. L'angolo forma-to dal raggio vettore con la linea degliabsidi non aumentava uniformementenel tempo, ma seguiva i comandi del-la legge delle aree. Perché Marte po-tesse muoversi circolarmente era tut-tavia necessario che in ogni istantequest'angolo fosse uguale all'angolo de-scritto sull'epiciclo da Marte rispetto alraggio vettore. Il pianeta doveva muo-versi perciò di moto non uniforme lun-

go l'epiciclo. Il motore planetario do-veva allora studiarsi le tavole planeta-rie, cercando di scoprire dove dovevatrovarsi? Keplero era scettico in pro-posito, ma procedette in ogni modo al-l'applicazione della legge delle aree al-l'orbita circolare eccentrica.

Con l'aiuto della legge delle aree,Keplero stabili in che punto della suaorbita si trovasse Marte in tempi datilungo l'intero periodo di 687 giorni incui compie la sua rivoluzione. Egli mi-se poi a confronto i risultati con lepredizioni ottenute in base all'ipotesivicaria; la conclusione fu che le dueteorie erano in accordo per posizionivicine alla linea degli absidi e ai qua-dranti (il quadrante è una linea per-pendicolare alla linea degli absidi),mentre si aveva una discordanza dicirca otto minuti negli ottanti (ossia auna distanza di 45 gradi dagli absidi).La nuova teoria collocava il pianetapiù avanti di dove avrebbe dovuto tro-varsi in due degli ottanti, e più indie-tro negli altri due. Supponendo un'or-bita circolare e la legge delle aree, ve-niva dunque fatto muovere troppo ra-pidamente in prossimità degli absidi etroppo lentamente vicino ai quadranti.Perciò o era sbagliata la teoria dellacircolarità dell'orbita, o la legge dellearee, o lo erano entrambe. Se solo ilcerchio era sbagliato, l'orbita avrebbedovuto essere fatta rientrare all'inter-no del cerchio in prossimità dei qua-dranti, in modo che in quella posizio-ne l'area si riducesse e quindi si accor-ciassero i tempi corrispondenti ad ar-chi dati. L'orbita era dunque ovale.

Keplero compi un gran numero dicalcoli con triangoli formati dalla Ter-ra, dal Sole e da Marte al fine di de-

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L'« ipotesi vicaria », il primo tentativo compiuto da Keplero perdefinire l'orbita di Marte, asseriva che Marte si muove in un'or-bita circolare con centro in C, che il Sole si trova fuori dal cen.Ero in un qualche altro punto S e che il moto di Marte è uni.forme attorno al punto equante E. Keplero stabili col calcoloche il centro C, che era anche il punto di mezzo della linea de.gli absidi AP, doveva trovarsi a oltre la metà, e precisamenteal punto corrispondente allo 0,61, della distanza tra il Sole S el'equante E. Per verificare i risultati da lui ottenuti, Keplerosi servi della teoria solare di Brahe e di osservazioni eseguitequando Marte era in prossimità del perielio P e dell'afelio A;egli calcolò la distanza di Marte dal Sole a ciascuna di questeepoche e trovò che SC doveva essere più vicino alla metà cheallo 0,61 della distanza SE, ossia che l'eccentricità SE dell'orbitadi Marte era bisecata. Ciò dimostrava che l'ipotesi vicaria era er-ronea. Poiché l'eccentricità era bisecata, la distanza Sole-centroSC era uguale alla distanza centro-equante CE. Poiché si sup-

poneva che il pianeta si muovesse a una velocità angolare co-stante attorno al suo punto equante E, in intervalli di tempouguali il pianeta avrebbe percorso piccoli angoli uguali. L'ugua-glianza degli angoli significa che, per piccoli archi in »rossi-mità della linea degli absidi AP, il rapporto tra le lunghezzedegli archi AB e RP (seconda figura) è uguale al rapporto trala distanza AE e la distanza EP. Essendo l'eccentricità bisecata,ed essendo E e S collocati simmetricamente attorno a C, ne se-guiva che la distanza afelio-equante AE era uguale alla distar,.za Sole-perielio SP, e che la distanza Sole-afelio SA era ugualealla distanza equante-perielio EP. Sostituendo queste nuove di-stanze nel rapporto degli archi, Keplero scopri che il rapportotra gli archi AB e RP era uguale al rapporto tra le distanze SPe SA. In altri termini, la lunghezza degli archi percorsi in tem-pi uguali all'afelio e al perielio risultava essere inversamenteproporzionale alle distanze di tali archi dal Sole. Questa sco-perta, che Keplero chiamò la sua « regola del raggio », signifi.

cava che la velocità di un pianeta è inversamente proporziona.le alla sua distanza dal Sole. Keplero ritenne che la sua regoladel raggio avrebbe trovato una giustificazione se egli avessepotuto stabilire che nel caso della Terra l'eccentricità era bi.secata. Egli scelse tre osservazioni di Marte separate fra lorodi un intervallo di 687 giorni. Poiché quest'intervallo corrispon.de al periodo della rivoluzione orbitale di Marte, a ciascuna diqueste epoche la longitudine eliocentrica di Marte e la sua di-stanza dal Sole sarebbero state uguali (terza figura). La direzio-ne della linea SM era fornita dall'ipotesi vicaria. Le direzionidelle linee T,M, T2M e 71 3M erano date dalle osservazioni diMarte. Le direzioni delle linee ST,, 5T2, ST; erano tratte dallateoria solare di Brahe. Nei triangoli ST,M, ST 2M e ST3M tuttigli angoli erano noti con un margine d'incertezza che non su-perava i quattro minuti d'arco circa, e il lato SM era in comu.ne. Era cosi possibile calcolare i rapporti reciproci di ST„ ST2 e5T3 e attribuire quindi una posizione ai punti T i, T2 e T3. Tre

punti definiscono un cerchio, e ciò consentiva di trovarne ilcentro. Keplero trovò che questo centro non coincideva conl'equante tolemaico, ma si trovava spostato più a mezza via traquesto punto e il Sole. Keplero ritenne allora di aver dimostra.to che l'eccentricità dell'orbita terrestre era bisecata e proce.dette ad applicare la regola del raggio all'orbita di Marte. Eglidivise il cerchio dell'orbita in 360 archi di un grado ciascuno(quarta figura), calcolò la distanza di ciascuno di questi archidal Sole, addizionò somme successive di queste distanze par.tendo dall'afelio A e stabili una proporzione tra queste sommee i tempi. Le distanze — i raggi vettori — dal Sole ai punti com.presi in uno di questi archi uguali erano contenute tutte nel-l'area dei settori ASB, BSD, e cosí via, definiti dall'arco. L'areadi questo settore si proponeva come misura di tutte le distanzein essa contenute. Keplero concluse che le aree descritte pote-vano esser supposte proporzionali ai tempi necessari a percor.rere questi archi uguali. Questa teoria è la « legge delle aree ».

terminare la distanza di Marte dal So-le nei quadranti. Come abbiamo visto,questo tipo di calcolo può comportareerrori considerevoli. La modifica aopera di Keplero della teoria solare diBrahe con l'introduzione della bisezio-ne dell'eccentricità consenti una mi-gliore predizione delle distanze Terra--Sole, ma l'errore era ancora fastidio-so. I risultati di Keplero mostraronoche Marte veniva a trovarsi all'internodel cerchio ai quadranti: in altri ter-mini, che l'orbita era una specie diovale. La legge delle aree poteva an-cora esser giusta; essa prediceva chel'orbita era ovale, e le determinazionidelle distanze, pur essendo approssima-tive, confermavano questa predizione.

Keplero affrontò ora la quinta fasedella sua guerra. All'inizio del capi-

tolo 45 dell'Astronomia nova egli scriveche, avendo scoperto che l'orbita nonè circolare, pensò di conoscere la cau-sa di quell'allontanamento dalla circo-larità. Ricordiamo che, nella fase pre-cedente della guerra, il motore plane-tario che faceva muovere Marte sulsuo epiciclo aveva qualche difficoltànel sincronizzare il movimento. Non

solo tale motore era privo di piedi e diali, ma per mantenere l'orbita circola-re eccentrica doveva muovere il piane-ta di moto non uniforme sul suo epici-clo. Il suo compito sarebbe stato piúfacile (benché ancora impossibile) solose esso avesse dovuto impartire al pia-neta un moto epiciclico uniforme. Intal caso però l'orbita risultante sareb-be stata ovale. L'orbita reale risultòora aver forma ovata, con la cuspidepiù appuntita al perielio, ossia nel pun-to di massimo avvicinamento al Sole.

Keplero procedette al calcolo delleconseguenze di questa nuova ipotesiapplicando come in precedenza o lalegge delle aree o la legge secondo cuila velocità varia in modo inversamen-te proporzionale alla distanza del pia-neta dal Sole. I calcoli erano terribili.Per semplificare il suo compito Keple-ro sostituí all'ovale un'ellisse (che chia-mò « ellisse ausiliaria »); la differenzadi forma tra le due figure è piccola.Ma' anche in questo caso il problemarimaneva di difficile soluzione e Keple-ro tentò, per risolverlo, molte vie di-verse. I risultati di cui finalmente potéfidarsi mostravano di nuovo un accor-do con l'ipotesi vicaria agli absidi e ai

quadranti, mentre rivelavano divergen-ze agli ottanti. Gli errori che emerse-ro nell'ipotesi dell'ovale, applicando lalegge delle aree, furono quasi esatta-mente opposti a quelli trovati nell'ipo-tesi dell'orbita circolare: il pianeta ve-niva fatto muovere troppo lentamentein prossimità degli absidi e troppo ve-locemente vicino ai quadranti. Se lalegge delle aree era esatta, la formadell'orbita doveva essere meno stretta;essendo le aree proporzionali ai tempi,perché il pianeta rallentasse in prossi-mità dei quadranti l'orbita in quei pun-ti doveva essere più rigonfia e avvici-narsi di più alla figura circolare.

Nella sesta fase della sua guerra aMarte, Keplero vide che, supponendoesatta la legge delle aree, avrebbe ot-tenuto una teoria in accordo con l'ipo-tesi vicaria nella sua predizione dellelongitudini eliocentriche se avesse scel-to un'orbita esattamente intermediatra il cerchio della quarta fase e l'ellis-se ausiliaria della quinta. L'orbita el-littica risultante ridusse gli errori sim-metrici a zero. In effetti la legge dellearee controlla la forma dell'orbita. Learee descritte attorno al Sole sono sup-poste proporzionali ai tempi. Orbite di

varia forma distribuiscono in modi di-versi la superficie totale dell'orbita;una sola forma d'orbita collocherà ilpianeta nel luogo giusto al tempo giu-sto. Assumendo la legge delle aree, lavera orbita può differire solo in modotrascurabile dall'ellisse intermedia.

Due osservazioni sono opportune. Inprimo luogo, l'ellisse corretta è quelladi cui il Sole occupa uno dei due fuo-chi. Il termine « fuoco » — introdottoper la prima volta nella letteraturamatematica europea da Keplero stessonella sua Astronomiae pars optica del1604 — non compare nell'Astronomianova. Nella fase che abbiamo appenadescritto (la sesta) Keplero non sem-bra rendersi conto che il Sole si trovain uno dei due fuochi. Le proprietà fo-cali non entravano nella scoperta del-la giusta ellisse.

In secondo luogo, qual era la possibi-le funzione delle distanze Sole-Mar-

te, determinate trigonometricamente,nella scoperta della giusta ellisse? Datre lettere di Keplero, scritte nel di-cembre 1604 e nel gennaio 1605, appa-re che le determinazioni delle distanzefurono per lui fuorvianti. Esse gli die-

dero un valore errato della rientranzadell'orbita rispetto al cerchio. Ponia-mo che la distanza media Terra-Solesia 100 000; la distanza media Sole--Marte risulta allora approssimativa-mente pari a 152 350. L'ellisse interme-dia corretta rientra nel cerchio di unintervallo pari a 660 di queste parti.Keplero ottenne valori di 800 o 900parti. In una lettera scritta nel mag-gio 1605, quando la guerra a Marteera agli ultimi colpi, Keplero affermòche le determinazioni delle distanze lolasciavano in genere in dubbio di 100o 200 parti. In contrasto, l'assunzionedella legge delle aree insieme con l'el-lisse intermedia portava a predizioniche si accordavano « ad unguem», perusare le parole di Keplero, con l'ipote-si vicaria. Le determinazioni delle di-stanze svolsero un ruolo essenziale, maquesto ruolo fu principalmente negati-vo e ammonitorio. Esse dimostraronoche l'ipotesi vicaria era erronea nellapredizione delle distanze Sole-Marte, eche la teoria solare di Brahe era sba-gliata nella predizione delle distanzeTerra-Sole. In entrambi i casi le deter-minazioni delle distanze indicavano chel'eccentricità era pressoché bisecata. E

nel caso di Marte mostravano che l'or-bita non era un cerchio ma una speciedi ovale. Dopo aver scoperto l'esattaorbita ellittica di Marte e dopo avermodificato, ragionando per analogia,la sua teoria della Terra per far si chela sua orbita assumesse una forma ova-le, Keplero usò le distanze nelle dueorbite per predire le posizioni di Mar-te viste dalla Terra. Egli confrontòqueste predizioni con le osservazioni;in 28 confronti lo scarto medio fu in-feriore ai 3 minuti d'arco e quello mas-simo fu inferiore ai 6 minuti. Keplerosi rese conto che i risultati conferma-vano le sue teorie di Marte e della Ter-ra considerate congiuntamente, non di-mostrando però la teoria di Marte pre-sa a sé.

Keplero disponeva ora dell'ellissecorretta e della legge delle aree: in al-tri termini era pervenuto alla prima ealla seconda delle leggi planetarie chevanno sotto il suo nome. Più precisa-mente, egli sapeva che se la legge dellearee era esatta, l'orbita differiva poco,se pure differiva, da un'ellisse, quellache più tardi avrebbe trovato espres-sione nella prima legge di Keplero. Egliera nondimeno disperato; sentiva che

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La teoria solare epiciclica di Tolomeo fu la successiva teoriache Keplero tentò di adattare al fine di dare una descrizionedell'orbita eccentrica di Marte. In questa teoria il piccolo cer-chio (in grigio) dell'epiciclo (figura a sinistra in alto) si muo-ve uniformemente di moto antiorario attorno a un cerchio (innero), il deferente, con centro nel Sole (S), mentre Marte (M)si muove di moto uniforme, in senso orario, sull'epiciclo. Lavelocità angolare del pianeta attorno al centro dell'epiciclo èuguale a quella del centro dell'epiciclo attorno a S, cosicchél'angolo L è sempre uguale all'angolo X. Sulla base di questiassunti l'orbita di Marte sarà il cerchio bianco con centro in C.Quest'adattamento di tipo tolemaico non si accordò con la leg-ge delle aree che Keplero aveva precedentemente stabilito. Perottenere tale accordo e continuare a muoversi su un cerchio.,Marte avrebbe dovuto percorrere l'epiciclo di moto non unifor-me. Keplero era scettico a questo riguardo e calcolò le longitu.dini eliocentriche di Marte per diverse epoche nel periodo or-bitale del pianeta (figura in alto a destra). I risultati si accor-darono con l'ipotesi vicaria agli absidi (A, P) e ai quadranti(Q, Q), ma presentarono una discordanza di otto minuti circaagli ottanti (0., 02, 03, 04). Dai segni piú o meno degli errori,

risulta evidente che il pianeta veniva fatto muovere troppo ve-locemente in prossimità degli absidi (afelio e perielio) e trop-po lentamente in vicinanza dei quadranti. Keplero ne concluseche l'orbita circolare era erronea; egli fece rientrare l'orbitaall'interno del cerchio ai quadranti in modo che quivi venisseridotta l'estensione dell'area e fossero perciò accorciati i tempinecessari per percorrere archi dati. La nuova orbita risultò es-sere ovale ( figura in basso a sinistra). Keplero calcolò le con-seguenze di quest'ipotesi semplificando gli ardui calcoli neces-sari mediante la sostituzione all'ovale di un'e ellisse ausiliaria »•I risultati si rivelarono nuovamente in accordo con l'ipotesi vi-caria agli absidi e ai quadranti, presentando discordanze agliottanti. Gli errori erano però questa volta di ugual grandezzama di diverso segno rispetto a quelli dell'ipotesi dell'orbita cir-colare: Marte veniva fatto muovere troppo lentamente agli absi-di e troppo velocemente ai quadranti. Se la legge delle aree eragiusta, l'orbita avrebbe dovuto essere meno stretta (figura inbasso a destra). Keplero scelse un'orbita (in bianco) intermediatra il cerchio (in nero) della quarta fase della sua guerra a Mar-te e l'ellisse ausiliaria (in grigio) della quinta fase. L'orbita el-littica che cosi ne risultava ridusse a zero gli errori simmetrici.

La regola corretta per la determinazione delle distanze Sole-pianeta può essere illustra-ta inscrivendo l'orbita ellittica corretta di Marte nell'orbita circolare adottata in pre-cedenza da Keplero. Se si pone il raggio del cerchio pari a 100 000 parti, l'ellisse rien-tra nel cerchio ai quadranti Q, Q di 429 parti. Nel calcolo delle aree di Keplero haavuto una funzione importante un determinato triangolo: ossia il triangolo CQS, doveC è il centro del cerchio, Q il quadrante e S il Sole. Come Keplero sapeva, l'angoloCQS era di 5°18'. Del tutto fortuitamente Keplero s'imbatté nella secante di quest'an-golo, ossia nel rapporto tra QS e QC. Egli pervenne immediatamente alla nozione chequando l'angolo che la linea CP forma con la linea degli absidi al centro del cerchioè x, la distanza Sole-pianeta non è SP (come era stato supposto nella teoria dell'orbitacircolare) ma PR. Keplero chiamò PR la distanza diametrale »• PR può essere calco-lata moltiplicando il coseno dell'angolo x per l'eccentricità CS e aggiungendo 1.

al suo trionfo su Marte mancava unelemento essenziale: non era in gradodi spiegare perché il pianeta dovessemuoversi in tale orbita particolare.

Nella settima e ultima fase della suaguerra a Marte, Keplero considerò undiagramma del cerchio eccentrico: nonl'orbita corretta di Marte ma l'orbitadella quarta fase, quand'egli non ave-va ancora scoperto la forma ova-le. Questo cerchio circoscriveva l'or-bita ellittica corretta. Se assegniamo100 000 parti al raggio del cerchio,l'ellisse ai quadranti viene a trovarsiall'interno del cerchio di 429 parti, unnumero che Keplero ottenne attraver-so il calcolo. Nei suoi calcoli delle areeKeplero aveva usato costantementequesto cerchio, e negli stessi calcoliaveva avuto parte un certo triangolo.Un lato di questo triangolo andava dalpunto dei quadranti al Sole, in posizio-ne eccentrica, il secondo andava dalSole al centro dell'orbita circolare, e ilterzo dal centro al quadrante. L'ango-lo al quadrante era, come Keplero sa-peva, di 5° 18'. D'improvviso, quasi ac-cidentalmente, egli si imbatté nella se-cante di quest'angolo, ossia nel rappor-to tra i lati quadrante-Sole e quadran-te-centro dell'orbita. Questo rapportoera di 100 429 a 100 000. « Fu come semi fossi svegliato da un lungo sonno eavessi visto una nuova luce. » Ai qua-dranti la differenza tra l'orbita ellitti-ca e quella circolare è massima, e difatto la larghezza della lunula, 429, eraesattamente uguale all'eccesso di unodei due lati del triangolo sull'altro.

Keplero pervenne immediatamente al-la nozione che per qualsiasi altro

punto sul cerchio la distanza di Martedal Sole sarebbe stata ottenuta non mi-surando la linea compresa tra Marte eil Sole nell'orbita circolare della quar-ta fase della guerra ma in base allaproiezione perpendicolare di questa li-nea sul diametro corrispondente delcerchio.

Da dove gli venne quest'illuminazio-ne? L'itinerario del suo pensiero è quimolto intricato, ma i fattori-chiavepossono essere indicati come segue. So-stituendo alla distanza Sole-Marte (una(< distanza circonferenziale ») la proie-zione perpendicolare (una « distanzadiametrale ») Keplero credette di esse-re avviato a risolvere due problemi.

Il primo problema aveva a che farecol perché l'orbita del pianeta non eraun cerchio col Sole nel suo centro. Sesi sostituivano le « distanze circonfe-renziali » con le « distanze diametra-li », la lunghezza del raggio vettoreche si estendeva dal Sole al pianeta va-riava in un modo che si accordava conl'osservazione. Questa variazione pote-

va essere calcolata moltiplicando l'ec-centricità per il coseno dell'angolo cheil vettore diametrale formava con lalinea degli absidi all'epoca dell'osser-vazione, e aggiungendo 1 (il raggio delcerchio) al prodotto. Questo modo diindicare le distanze Sole-pianeta piace-va a Keplero perché egli credeva chela variazione sinusoidale fosse « queltipo di cose che la Natura fa » e chequindi potesse essere spiegata per mez-zo di una causa meramente fisica, unaforza magnetica o quasi-magnetica ri-siedente nel Sole che alternativamenteattraesse e respingesse il pianeta. Biso-gna ammettere che l'ipotesi magneticadi Keplero, benché in definitiva riuscis-se a eliminare gli epicicli e i motoriplanetari, rimaneva un artificio cheaveva come unica conseguenza verifi-cabile il risultato che Keplero le chie-deva, ossia un'orbita ellittica con ilSole in uno dei fuochi.

Il secondo problema che Kepleropensò di poter risolvere sostituendo ledistanze diametrali a quelle circonfe-renziali ha a che fare con la relazionetra la legge delle aree e la precedenteipotesi kepleriana che i tempi impiega-

ti a percorrere archi uguali dell'orbitasono inversamente proporzionali alladistanza di questi archi dal Sole. Quila via seguita da Keplero è particolar-mente confusa, ma infine egri perven-ne a capire che ciò che è inversamen-te proporzionale alla distanza del pia-neta dal Sole non è la velocità orbita-le del pianeta ma la componente dellavelocità planetaria perpendicolare alraggio vettore.

La sostituzione delle distanze diame-trali a quelle circonferenziali condussea un nuovo problema che esigeva unasoluzione: ossia la conciliazione diquesta nuova ipotesi con l'ellisse cuiKeplero era pervenuto nella sesta fasedella sua guerra a Marte. Keplero ave-va ora una regola per calcolare le di-stanze di Marte dal Sole, ma questa re-gola era incompleta. In ogni momentodato, la distanza corretta è non la « di-stanza circonferenziale » ma la « di-stanza diametrale »; ma in che modola si poteva determinare? Un estremodi questa distanza doveva essere nelSole; ma in che punto doveva trovarsil'altro estremo?

Keplero verificò in un primo tempo

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la sua formula non del tutto definitatracciando la distanza diametrale lun-go il raggio vettore dal Sole al pianetanella vecchia teoria circolare, ormaiabbandonata, della quarta fase. Que-sta teoria dava errori nelle longitudinieliocentriche che raggiungevano gli ot-to minuti d'arco agli ottanti. L'orbitache risultò da questo modo di traccia-re le distanze non era un'ellisse. Comeperò Keplero sottolineò, ciò non avevaalcuna importanza: le posizioni ango-lari delle nuove distanze non erano deltutto esatte, ma il loro errore non su-perava mai gli otto minuti d'arco. Da-to per esempio uno spostamento di 8'agli ottanti superiori, si aveva una va-riazione in lunghezza del raggio vetto-re di circa 25 parti. Le distanze deter-minate mediante l'osservazione e cal-coli trigonometrici avevano un margi-ne d'incertezza di 100 o 200 parti. Inaltri termini, le distanze determinatecon l'osservazione si adattavano a or-bite che differivano in forma solo leg-germente dall'ellisse.

Keplero lo sapeva. Ma quel che siproponeva era l'adattamento delle

distanze fornite dalla nuova formula.all'ellisse. L'orbita doveva essere ellit-tica, come Keplero si era convinto inbase alla legge delle aree. Dopo un er-rore che gli fece perdere del tempo,Keplero scopri la via giusta. Le nuo-ve distanze, tracciate a partire dal So-le, dovevano essere spostate, dalla po-sizione che avevano sul raggio vettorenella vecchia teoria circolare, a unaposizione tale che il punto estremo del-la distanza giacesse su una linea per-pendicolare alla linea degli absidi (siveda la figura nella pagina precedente).In questo caso i punti estremi venivanoa trovarsi su un'ellisse. Keplero scopricosí una proprietà geometrica fino al-lora ignota.

Finalmente la « guerra » era finita.Ciò che la precedente interpretazioneha cercato di dimostrare può esserecompendiato come segue. La rivoluzio-ne compiuta da Keplero nel campodell'astronomia — e la rivoluzione ke-pleriana è quella decisiva perché quipiù che in Copernico si può tracciarela linea di demarcazione tra l'astrono-mia antica e quella moderna — nonconsiste semplicemente nella scopertadi leggi empiriche, descrittive. Se leprime due leggi di Keplero fossero sta-te semplicemente descrittive, l'ellittici-tà dell'orbita avrebbe dovuto essere ve-rificata indipendentemente dalla leggedelle aree, e la legge delle aree avreb-be dovuto essere verificata nell'ambitodell'ellisse cosí trovata. Il procedimen-to reale fu diverso. Quel che Kepleroverificò col grado di precisione che gli

stava a cuore fu la proposizione: « Sela legge delle aree è corretta, alloral'orbita è ellittica ». È vero che egli siera convinto dell'ovalità - dell'orbita sul-la base delle determinazioni delle di-stanze, ossia in modo indipendente dal-la legge delle aree, ma le determina-zioni delle distanze lasciavano un mar-gine d'incertezza insoddisfacente.

Newton scrisse più tardi: « Keplerosi accorse che l'orbita non era circola-re ma ovale, e suppose che fosse ellit-tica ». Quest'osservazione è giusta, mabisogna aggiungere che quella di Ke-plero non fu una supposizione gratui-ta; essa venne fuori da un'idea precon-cetta attivamente perseguita e posta aconfronto con tutte le teorie preceden-ti e con i nuovi dati di Brahe.

Se ci si chiedesse a che cosa si devo-no le scoperte di Keplero, si dovrebbeindubbiamente ammettere il ruolo delcaso o della fortuna, o, come avrebbedetto Keplero, della Provvidenza. A luierano state affidate le osservazioni diBrahe, le uniche che avrebbero potutoportarlo alla meta. Il primo compitoche gli fu assegnato fu l'elaborazionedi una teoria di Marte, l'unico pianetadi cui, dato il livello delle osservazionidi allora, si sarebbe potuto scoprirel'ellitticità dell'orbita. Le teorie dellaquarta e della quinta fase della guerrasi trovarono a essere u gualmente erro-nee in due direzioni opposte. Keplerosi imbatté accidentalmente nella secan-te di un certo angolo, e riuscí cosí avenir fuori dalle sue ultime perplessità.

Altrettanto importante del caso e del-la buona sorte fu però la fede di

Keplero nella possibilità di capire, ladedizione al suo compito, che lo sor-ressero per quattro anni di ragionamen-ti e di calcoli e, infine, la giustezza del-la sua idea iniziale e la sua capacità disbrogliare, alla luce di essa, la confu-sione delle cose che gli stavano di fron-te. Egli procedette di fatto con unasorta di logica paragonabile a quella diSherlock Holmes, nella presunzioneche eliminando tutto ciò che è impos-sibile e meno plausibile si finisce conl'arrivare alla verità. La maggior parte delle ipotesi fisiche di Keplero sareb-

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bero state abbandonate più tardi comeincompatibili con la teoria newtoniana.Alla base di tutto il lavoro teorico diKeplero era nondimeno la percezioneiniziale dell'importanza della relazioneinversa tra velocità e distanza: unbarlume di quella che sarebbe diven-tata la legge della conservazione delmomento angolare. Alla luce di que-st'idea egli fu guidato, attraverso 900pagine di calcoli, fino alla scoperta diuna teoria planetaria migliore di qual-siasi altra mai proposta prima.

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