Le prime domande da porsi nella scienza politica sono: Chi POLITICA... · La scienza politica nasce...

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Le prime domande da porsi nella scienza politica sono: Chi ? Come ? Dove ? Perché ? Indubbiamente la politica si manifesta nel modo più evidente attraverso gli attori e i loro comportamenti. Al giorno d’oggi essa è fatta da un buon numero di professionisti a tempo pieno: eletti e uomini di partito che vivono di e per la politica ma se allarghiamo il nostro sguardo ci accorgiamo che ne fanno parte altre figure provenienti da settori contigui o meno a quello strettamente politico: sono individui che hanno fatto di altre professioni il trampolino di lancio per la politica. Ciò sta a significare che la politica non è una realtà impermeabile. Il discorso fa riferimento alle peculiarità ed ai contenuti dell’agire politico supponendo che la politica si distingua da altre realtà caratterizzandosi per un modus operandi pacifico e non violento, basato sul dialogo contrapposto ad uno coercitivo e autoritario. Questi entrambi modi di agire hanno un retroterra che fa riferimento ad un’esperienza rispettivamente pluralista e democratica contrapposta ad una militare e gerarchica. Anche la guerra è da considerarsi un modus operandi di politica internazionale, estremo e volto a risolvere conflitti estesi su una vasta area. Anche il concetto di potere è fondamentale in una ricerca sul modo d’essere della politica; l’avere potere ovvero la capacità d’indirizzare i comportamenti del pubblico nella direzione voluta è una caratteristica precipua dei soggetti politici. Non è il potere a caratterizzare un determinato ambito bensì i diversi ambiti a definire forme diverse di potere. Se ci chiediamo se esista un luogo privilegiato della politica ci accorgiamo che proprio il termine rinvia alla “polis” greca ovvero un ambito circoscritto in cui l’esperienza politica si colloca e si esplicita. Ma l’esperienza politica non può essere che considerata un campo sotto assedio, nella sua attuale poliedricità: essa intrattiene complessi rapporti con la sfera economica, morale, religiosa; nella storia anche recente sono stati numerose le politiche “religiose” tanto quanto le religioni “politicizzate”. Tutto questo porta alla diminuzione della autonomia della politica. E c’è un altro elemento da considerare; la sfida che la magistratura ha rivolto alla politica conseguentemente alla quale la politica contemporanea arriva ad un grado di subordinazione che 20 anni fa non poteva nemmeno essere pensato in quanto certi aspetti che riguardano oggi i diritti civili non erano certo oggetto di dibattito politico né partitico/ideologico/movimentistico. Il carattere collettivo sembra un aspetto proprio dell’esperienza politica, negli ultimi secoli questo ha portato ad identificare la politica con lo stato tradizionalmente definito con riferimento ad una determinata popolazione ed una porzione di territorio delimitata. Gli stati come unità politiche sono fortemente differenziati: si va da macro unità di estensione quasi continentale o transcontinentale a micro unità. Poi vi sono unità considerate solo di

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Le prime domande da porsi nella scienza politica sono: Chi ? Come ? Dove ?Perché ?

Indubbiamente la politica si manifesta nel modo più evidente attraversogli attori e i loro comportamenti. Al giorno d’oggi essa è fatta da un buonnumero di professionisti a tempo pieno: eletti e uomini di partito chevivono di e per la politica ma se allarghiamo il nostro sguardo ciaccorgiamo che ne fanno parte altre figure provenienti da settoricontigui o meno a quello strettamente politico: sono individui che hannofatto di altre professioni il trampolino di lancio per la politica. Ciò sta asignificare che la politica non è una realtà impermeabile.

Il discorso fa riferimento alle peculiarità ed ai contenuti dell’agire politicosupponendo che la politica si distingua da altre realtà caratterizzandosiper un modus operandi pacifico e non violento, basato sul dialogocontrapposto ad uno coercitivo e autoritario. Questi entrambi modi diagire hanno un retroterra che fa riferimento ad un’esperienzarispettivamente pluralista e democratica contrapposta ad una militare egerarchica. Anche la guerra è da considerarsi un modus operandi dipolitica internazionale, estremo e volto a risolvere conflitti estesi su unavasta area. Anche il concetto di potere è fondamentale in una ricercasul modo d’essere della politica; l’avere potere ovvero la capacitàd’indirizzare i comportamenti del pubblico nella direzione voluta è unacaratteristica precipua dei soggetti politici. Non è il potere acaratterizzare un determinato ambito bensì i diversi ambiti a definireforme diverse di potere.

Se ci chiediamo se esista un luogo privilegiato della politica ciaccorgiamo che proprio il termine rinvia alla “polis” greca ovvero unambito circoscritto in cui l’esperienza politica si colloca e si esplicita. Mal’esperienza politica non può essere che considerata un campo sottoassedio, nella sua attuale poliedricità: essa intrattiene complessirapporti con la sfera economica, morale, religiosa; nella storia ancherecente sono stati numerose le politiche “religiose” tanto quanto lereligioni “politicizzate”. Tutto questo porta alla diminuzione dellaautonomia della politica. E c’è un altro elemento da considerare; la sfidache la magistratura ha rivolto alla politica conseguentemente alla qualela politica contemporanea arriva ad un grado di subordinazione che 20anni fa non poteva nemmeno essere pensato in quanto certi aspetti cheriguardano oggi i diritti civili non erano certo oggetto di dibattito politiconé partitico/ideologico/movimentistico. Il carattere collettivo sembra unaspetto proprio dell’esperienza politica, negli ultimi secoli questo haportato ad identificare la politica con lo stato tradizionalmente definitocon riferimento ad una determinata popolazione ed una porzione diterritorio delimitata. Gli stati come unità politiche sono fortementedifferenziati: si va da macro unità di estensione quasi continentale otranscontinentale a micro unità. Poi vi sono unità considerate solo di

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natura amministrativa e politicamente subordinate come regioni,province, distretti, ben più cospicue delle fondamentali. Grandeeterogeneità anche riguardo ai principi che definiscono l’aggregazionepolitica: le cosiddette identità nazionali di un tempo non sono più cosìovvie come in passato ed esistono unità politiche che raccolgono al lorointerno diverse etnie al punto da poter considerare l’identità come unprincipio aggregante. Inoltre per secoli un cemento importante dellostato è stata la lealtà dinastica, elemento che oggi persiste in unnumero minoritario di realtà, in altri casi lo è stato un elemento di naturareligiosa. In conclusione se la politica è sempre legata ad unacollettività in una certa misura può esistere anche una politica al di fuoridello stato, ad esempio nell’ambito di associazioni: in questo caso siparla di ubiquità della politica.

Weber osservava giustamente che non ci sono fini fissati una volta pertutte che gli uomini politici possano eternamente perseguire né che cisia un obbiettivo proprio della politica. Esiste tuttavia, come teorizzatoda Bobbio, un obbiettivo minimo; si può scorgere tale fine nellaresponsabilità di assicurare l’ordine all’interno di determinati confini edunque la convivenza pacifica. E’ la responsabilità dell’ordine che oggida o meno il carattere politico ad una collettività. E’ vero che la politicanon può essere l’unica risposta ai problemi di ordine ma questadisciplina lo fa tuttavia organizzando una collettività particolare ecostituendovi al suo interno una autorità che si assuma taleresponsabilità. L’ordine può assumere talvolta i tratti di un fineintermedio vista l’intenzione di perseguire altri obbiettivi.

Dunque riassumendo possiamo dire che la politica deve far riferimento aduna sede collettiva, essa risolve l’esigenza fondamentale del mantenimentodell’ordine garantendolo tramite strumenti coercitivi e repressivi oppurerispettando la pluralità e promuovendo il dialogo, la mediazione e gli scambi.In sostanza la definizione che possiamo dare di politica è la seguente:Politica si definisce l’insieme di attività svelte da uno o più soggetti,individuali o collettivi caratterizzate da comando, potere, conflitto maanche da partecipazione, cooperazione e consenso, inerenti alfunzionamento della collettività umana alla quale compete laresponsabilità primaria del controllo della violenza e della distribuzioneal suo interno di costi e benefici, materiali e non. In termini più sintetici: lapolitica riguarda la gestione della collettività responsabile dell’ordinepacifico.

Le tre facce della politica POLITICS : la sfera del potere e le istituzioniSi occupa di analizzare la natura del potere, la sua distribuzione etrasmissione, il problema del suo esercizio e dei limiti, idealmentearticolato su due piani fondamentali:

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- il primo è quello che analizza le architetture del potere ovvero iregimi politici (partiti, garanzie di libertà, elezioni, responsabilità degliorgani di governo..)

- il secondo è quello che studia gli attori della politica e i processi chevi si svolgono (leader, partiti, gruppi di pressione, movimenti, elettorie le loro caratteristiche culturali e organizzative)

Questa distinzione solo in parte ricalca quella tra elementi di lunga e dibreve durata in quanto spesso è capitato nel corso della storia chepartiti e comportamenti elettorali hanno presentato una continuitàtemporale tale da scavalcare trasformazioni più o meno significative deiregimi (dc, psi). Tutt’al più potremo distinguere tra un approccio distudio statico ed uno dinamico POLICY : politica e societàQuesta seconda faccia identificabile con le “politiche pubbliche”si presenta piuttosto diretta verso l’esterno e potrebbe esserecaratterizzata come il prodotto della politica stessa. POLITY : comunità politica organizzataDefinizione dell’identità (cioè del territorio e della popolazione e lerelative strutture e processi di mantenimento e cambiamento) e deiconfini della comunità politica. I cambiamenti che avvengonoall’interno di questa sfera non si verificano con la stessafrequenza degli altri tuttavia questo non deve far dimenticare chequando essi avvengono mantengono una certa dimensione ed uncerto rilievo. L’importanza dei confini che definiscono una polity è difacile comprensione ed il loro significato assume spesso un significatoquasi “sacrale” ma aldilà di questi aspetti ideologici ciò che è rilevante èil fatto che il mutamento di questi confini determina un cambiamento piùo meno profondo della polity in quanto essi decidono anche in largamisura chi è coinvolto nel gioco della politica e come questo si svolge.Ci sono polities ermeticamente chiuse verso l’esterno che minimizzanole possibilità di entrata e uscita e polities molto più aperte. L’epocacontemporanea è stata dominata da un particolare tipo di polity, lo Statonazionale. In passato tuttavia essa si è basata molto spesso su legamidi tipo verticale di dipendenza e fedeltà ad un centro di autorità anzichésu un senso di appartenenza orizzontale. Gradi e modi delcoinvolgimento possono essere estremamente diversi: si va dallapartecipazione attiva di una maggioranza più o meno ampia (dunque icomponenti della polity si qualificano come cittadini) ad uncoinvolgimento passivo in cui prevale la figura del suddito. I processi dicostruzione e distruzione di una polity occupano uno spazio che si situatra politica interna ed internazionale; sono infatti importanti alcunielementi interni, in particolare hanno in passato avuto un ruolofondamentale i meccanismi simbolici (bandiere, inni, cerimonie,monumenti, tradizioni, eventi e luoghi della memoria).

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IL CAMBIAMENTO DELLA POLITICA NEL TEMPO segue tre lineefondamentali corrispondenti alle tre facce precedentemente analizzate:

Lo Stato Nazionale sul piano della POLITYIl processo di formazione degli stati nazionali sembra proseguire ancheal giorno d’oggi tuttavia fenomeni come quello dell’integrazioneeuropea, lo sviluppo di organismi internazionali e sopranazionalisegnalano una contemporanea spinta verso la limitazione dellasovranità esterna degli stati. Il crescente emergere di spinte regionalisteed autonomiste suggerisce inoltre che la sovranità può essere sfidata ecostretta a determinati limiti. Oggi quindi si diffondono diversi assetticaratterizzati da vari livelli di governo coesistenti e diversi tra loro manon gerarchicamente ordinati. Tendenza all’affermazione della democrazia sul piano della

POLITICS e poi in particolare sulla definizione del regime politico,sebbene questo cammino incontri ostacoli e possibili involuzioni.

Il Welfare State sul piano della POLICYSebbene questo processo debba fare i conti con l’emergere di certieffetti perversi e del notevole incremento demografico. Le politiche diprivatizzazione smantellano molti dei tradizionali interventi dello Stato ineconomia. Tutto questo sembra lasciar intravedere una sorta diprocesso di “depoliticizzazione”.

Cap 3 : La disciplina. Origini, temi, approcciCHE COS’E’ SCIENZA POLITICALa scienza politica è lo studio ovvero la ricerca sui diversi aspetti della realtàpolitica al fine di spiegarla il più compiutamente possibile adottando lametodologia propria delle scienze empiriche. Come tutte le altre disciplineumanistiche e sociali la scienza politica non ha come suo obbiettivo primarioquello di rivolgersi al grande pubblico tuttavia esiste un ampio settorecontiguo a alla scienza politica che si rivolge ad un pubblico più ampiospesso con obbiettivi propriamente politici. Si tratta di un settore che utilizza illinguaggio della scienza politica e che si dedica all’analisi e spesso alcommento dei fatti politici senza una particolare metodologia e con lo scopodi renderli fruibili ad un pubblico che desidera informarsi ed orientarsi.Confondere però i due settori è errato: in realtà sarebbe opportuno chiamarepolitica la prima e politologia il settore divulgativo ma ormai è quasi divenutoimpossibile scindere i politologi nelle due categorie ed individuare quella direale appartenenza.ORIGINILa scienza politica nasce in Europa alla fine del secolo scorso,simbolicamente con la pubblicazione nel 1896 dell’opera Elementi di ScienzaPolitica di Gaetano Mosca. Ancora, come in altri paesi europei essa nascestaccandosi dal troncone del diritto costituzionale come disciplina ausiliariama al momento dell’instaurazione del fascismo essa viene immediatamente

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soffocata dall’imporsi di certi indirizzi filosofici detti “idealisti” e dal prevaleredel “formalismo giuridico”, corrente che critica la fluidità e la provvisorietà deicontenuti della scienza politica. In quegli stessi anni in altri paesi si diffondonostudi comparati che testimoniano una maggiore apertura allo studio dellarealtà (Stati Uniti, Gran Bretagna, paesi scandinavi) mentre negli Stati Uniti sidiffondono le dottrine comportamentiste; si parla di una vera e propriarivoluzione traducibile con un approccio di studio della politica che sottolineala necessità di analizzare il comportamento degli individui e dunque mirava adescrivere tutti i fenomeni di governo come frutto di comportamenti umani. Incampo storico essa invece proponeva di sostituire alla tradizionale analisistorica, metodi di analisi quantitativa e di sondaggio.Nei primi anni ’50 in Italia ed in altri paesi si pongono le basi per porre lefondamenta della nascita di una vera e propria scienza politica:

- anzitutto emerge la definizione di scienza politica come conoscenzaempirica della politica.

- Si chiariscono i criteri di fondo che devono essere ispirati a criterirazionali.

- Si precisano gli strumenti di analisi.- Si dichiarano esplicitamente gli obbiettivi di fondo: produrre una

conoscenza utile per l’uomo politico ed in questo senso sviluppare lacapacità di una previsione politica.

- Vengono anche fissate le differenze tra filosofia politica, scienzapolitica, economia politica, diritto pubblico e storia

In questi termini la disciplina continua a svilupparsi in tutta Europa fuorché inItalia sebbene esistano condizioni favorevoli al suo decollo come il ritorno allademocrazia e l’assenza del provincialismo culturale.In Italia dopo il periodo fascista la scienza politica rinasce con una diversamatrice, quella filosofica. Lo spazio per una scienza politica vera e propriaverrà a crearsi quando all’interno della filosofia si rafforzerà la convinzione dipoter individuare dei significati sostanziali nella condotta politica ma nell’Italiadel dopoguerra la cultura filosofica predominante è quella non solo anti-razionalista ma anche anti-empirica. Non esisteva l’assunto di fondo che sipotesse studiare proficuamente la politica in maniera autonoma inoltre lamentalità ideologica è ribadita come un’latra condizione ostativa in aggiuntaalle altre obiezioni e chiusure che provenivano dalle altre discipline. Anche inGermania si potevano rintracciare condizioni ostative simili a quelle italianetuttavia la forte influenza che esercitavano gli alleati ed i numerosi cervellifuggiti precedentemente dalla patria contribuì a mutare in positivo questasituazione determinando uno sviluppo più precoce della scienza politica comeconoscenza empirica.Nei primi anni ’70 si assiste in Italia alla svolta, un ruolo fondamentale loassume Norberto Bobbio con la sua teoria compiuta delle èlites e più tardicon la definizione, sempre da parte di questi, delle differenze con la filosofia,con la storia ed il diritto. Bobbio inoltre ripropone i reciproci rapporti di

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complementarità arrivando ad una posizione equilibrata. La grandeattenzione al linguaggio condivisa anche da Leoni diventerà fondamentalequando alcuni anni dopo Sartori pubblicherà un saggio in cui parlerà di“Spartiacque linguistico” Bobbio dunque considera la scienza politica comeogni analisi empirica che soddisfi tre condizioni: il principio di verificazionecome criterio di validità, l’avalutatività come presupposto etico delloscienziato e la spiegazione come scopo. Dunque l’identità in positivo della scienza politica si delinea non solo quandocomincia ad essere chiaro che storia e diritto non esauriscono tutti i modi perstudiare il fenomeno politico ma quando vengono fissati gli aspettimetodologici propri della disciplina quali l’attenzione al linguaggio, lapossibilità di sviluppare teorie empiriche ed il rapporto tra teoria e pratica: lascienza politica deve avere una funzione pratica. Non si può tuttaviaconsiderare che si sia stato il decollo della scienza politica finché non si siapercepita l’americanizzazione. Un fenomeno, quello dell’influenza americana,che testimonia come la suddetta disciplina era assai più sviluppata negli statiuniti rispetto al resto del mondo occidentale. Nel corso degli anni ’70 mentre icriteri restano gli stessi la nozione di politica cambia nel senso che non sicerca più l’essenza della politicità ma si sostiene che il comportamentopolitico rinvia ad una sede, il “sistema politico”. Sartori torna a sottolinearequesto punto nella convinzione che la comparazione sia il modo più coerentedi fare scienza politica secondo i canoni metodologici prefissati. La crescita intutti i campi (anche in quello accademico) della disciplina fa si che essasubisca una sorta di “trasfigurazione” responsabile dell’arricchimento dei temidi ricerca.I TEMII settori principali della scienza politica sono: cultura politica, analisi elettorali,partiti, gruppi di pressione, movimenti politici, èlites politiche, istituzioni digoverno, burocrazia, magistratura, politiche pubbliche, studi sull’UnioneEuropea, relazioni internazionali. Proprio all’inizio degli anni ’70 lo sviluppo ditecniche di analisi quantitativa è stato affiancato da quelle di analisiqualitativa molto sviluppate e sofisticate. Ancora nel corso degli anni ’70 e ’80si è registrato da parte degli studiosi uno spostamento dell’attenzione datematiche di “input” a tematiche di “output” riguardanti decisioni e politichepubbliche, inoltre anche l’accresciuta rilevanza dell’Unione Europea ha fattosorgere nuove tematiche di studio. Come succede in altre disciplineempiriche anche in scienza politica si obbedisce a due tipi di logica nellascelta e nel mutamento degli interessi:- una logica esterna quando sopraggiunge un urgente problema politico e losi cerca di analizzare rapidamente ed in maniera più o meno approfondita.- una logica interna quando si sviluppa un filone di ricerche nato sotto laspinta di eventi o processi politici esterni percepiti come rilevanti, la quale poigenera altri studi, repliche, dibattiti.

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LA FRAMMENTAZIONE DI APPROCCI NELLO STUDIO DELLA SCIENZAPOLITICAGli anni del decollo in Europa della scienza politica erano stati annicaratterizzati da un approccio istituzionale tradizionale in cui l’attenzioneera centrata sulle istituzioni formali e sul loro funzionamento anche in chiavestorica. A fianco di questo approccio si era sviluppato ed aveva avutorapidamente successo un filone di studi – portato avanti da Bobbio – ericerche che faceva del potere politico e delle èlites il cuore di qualsiasianalisi. Ma soprattutto a partire dalla metà degli anni ’60 si comincia apercepire l’influsso – anche in Europa – di un filone di studi statunitense giàsorto da qualche anno: l’approccio sistemico:

Nell’approccio sistemico il sistema politico è l’unità centrale di analisi,caratterizzato da una serie di iterazioni con la società e con l’ambientecircostante che effettua pressione su di esso.

Al sistema politico giungono in entrata (input) domande e richieste daparte della società

Ne escono emissioni (output) formalizzati in provvedimenti o sottoforma di discorsi e promesse.

Tali emissioni hanno un “feedback”: ogni risposta ha un determinatoeffetto sulle domande. La teoria sistemica ha la pretesa di coglierequesto effetto di retroazione sul sistema.

Tra input ed output vi è una “scatola nera” detta “black box” che è lasede nella quale si svolgono i processi decisionali essenziali. Definita intal modo a causa della scarsa trasparenza percepita da coloro che sitrovano al suo esterno.

Per quanto molto criticato anche vista la sua assimilazione al linguaggio dellacybernetica l’approccio sistemico ha avuto notevole importanza per alcuniconcetti quali la fitta rete di iterazioni all’interno del sistema politico el’impossibilità di considerare le istituzioni nella sola prospettiva formale. Carl Schmitt in uno scritto del 1927, intitolato Il concetto politico , egli scorgenella distinzione amico-nemico la distinzione specifica: il politicorappresenta l'antagonismo più estremo, gli atti politici fondamentali sono ladesignazione di “amico” e di “nemico”, processo che dunque crea le basi perun nucleo di conflittualità. Negli stessi anni negli Stati Uniti aveva successo un altro tipo di approccio:quello della scelta razionale, basato sugli assunti di individualismo e dicomportamento a fine utilitarista da parte di tutti gli individui. Per i sostenitoridella rational choice le collettività non esistono al di fuori degli individui: lateoria della scelta razionale si concretizza nella ricerca del punto di raccordotra le preferenze individuali e quelle collettive, la razionalità degli individui stanel massimizzare esclusivamente la propria utilità. Un terzo approccio fu quello del neoistituzionalismo: alla sua base sta lariaffermazione del ruolo centrale delle istituzioni intese come insieme delleregole di gioco, della routine, delle abitudini, procedure, stili decisionali e

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norme sociali. E’ in sostanza una rinnovata attenzione al dettaglio dellestrutture politiche. In questo approccio si tenta di collegare individui ecomportamento organizzativo tentando di carpire le ragioni di fondo delmutamento e della persistenza delle istituzioni. All’interno di questo approcciosi sono distinti tre filoni:

Neoistituzionalismo storico: attenzione alla dimensione temporale dacui si ricava l’esistenza di “paths” o percorsi ben definiti a partire dallastoria delle istituzioni e quindi l’analisi di esse in chiave di “pathdependence” ovvero di dipendenza della politica da “percorsiistituzionali fissati in precedenza”.

Neoistituzionalismo sociologico: evidenzia che le istituzionimodellano la politica attraverso la costruzione della vita individuale ecollettiva, influenzando i comportamenti in termini di preferenze,strategie ed identità.

Neoistituzionalismo coniugato ai criteri della scelta razionale:mantiene gli assunti propri della teoria della rational choice ovvero latendenza da parte degli individui a massimizzare la propria utilità evede la politica come insieme di dilemmi di scelta collettiva in cuigiocano un ruolo fondamentale le iterazioni strategiche e considera leistituzioni come il risultato di un accordo volontario tra attori rilevanti.

Ogni approccio, da solo non è sufficiente a fornire un quadro completo dianalisi empirica; forse la combinazione tra le tre prospettive potrebbefornire un quadro completo della realtà.

Nei primi anni ’70 Almond ha sviluppato un IV approccio, l’approccioeclettico alla politica, in cui vi fosse ampio spazio per il trasferimento nellaricerca politica di altri tipi di analisi, a partire da quella sociologica,antropologica e psicologico-cognitiva.La disciplina nel suo complesso non è stata particolarmente influente a livellopolitico né probabilmente poteva aspirare ad esserlo: la maggioranza dei suoisettori disciplinari ha sollevato e può sollevare soltanto quesiti indirettamenterilevanti, è dunque da considerarsi puramente descrittiva.

Cap.4 Democrazia, democrazieDEMOCRAZIA, COS’E’Il significato della parola democrazia può essere espresso con l’espressione:potere dal popolo, del popolo e per il popolo nel senso che il potere derivadal popolo, appartiene ad esso e deve essere usato per il popolo. Oggi non èpiù in discussione il fatto che siano democrazie quei regimi contraddistintida garanzia reale di partecipazione politica della popolazione adultamaschile e femminile e dalla possibilità di dissenso, opposizione eanche competizione politica. La nozione di regime coincide con quella dipolitics e dunque quella di regime democratico con la politics democratica. Inquesti termini la democrazia configura quel tipo di regime in cui ai diritti dellatradizione liberale si sono aggiunte le concezioni democratiche della

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sovranità popolare ed essi sono estesi al numero più ampio di cittadini; lademocrazia liberale in poche parole; quella stessa democrazia che loscienziato giapponese Fukujiama ha definito come punto di arrivo, limiteinsuperabile, modello perfetto di ordinamento. Dunque definizioni comequella di Schumpeter, ovvero di tipo prescrittivo (normativo) che tuttavia hail limite di cadere nell’idealità (regimi marxisti=egualita-ri=democratici?):

- il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungerea decisioni politiche, in base al quale i singoli individuiottengono il potere di decidere attraverso una competizione cheha per oggetto il voto popolare.

O quella di Sartori che preferisce mettere l’accento anche sui valori,sull’esistenza di maggioranze e minoranze e sul relativo rapporto: - un sistema etico-politico nel quale l’influenza dellamaggioranza è affidata al potere di minoranze concorrenti che l’assicurano.Rimangono le più accettate.Vi è un’altra definizione empiricamente rilevante, la definizione minima cioèquella che indica quali siano sinteticamente gli aspetti più rilevanti checonsentono di stabilire una soglia al di sotto della quale un regime non possaessere definito democratico (descrittiva):

- Democratici sono tutti i regimi che presentano almeno: a)suffragio universale maschile e femminile, b) elezioni libere,competitive, ricorrenti e corrette, c) pluralità di partiti, d)eterogenee ed alternative fonti d’informazione.

Democrazie descritte dalla sola definizione di Schumpeter sono definite“procedurali” in quanto i diritti e le libertà possono essere ricondotte a unaserie di regole formalizzate o procedure che caratterizzano le democraziereali. Queste considerazioni spingono ad una ulteriore definizione empirica didemocrazia: quell’insieme di norme e procedure che risultano da un accordo-compromesso per la risoluzione pacifica dei conflitti tra gli attori socialipoliticamente rilevanti e gli altri presenti nell’arena politica.Molte sono dunque le facce della democrazia:

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RAPPRESENTATIVA(Da un’idea Rousseauiana)

Il regime democratico è rappresentativo cioè basato sulle regole e istituzioni della rappre- sentanza ovvero caratterizzato da elezioni li- bere, corrette, competitive e periodiche e poi da strutture rappresentative quali parlamento, e decisionali come il governo. Esso non com-porta la partecipazione diretta dei cittadini se non molto saltuariamente al momento del vo-to che in alcuni casi non è obbligatorio. Le de-cisioni vengono delegate ai professionisti della politica. Si è cercato di ovviare con elementi desunti dalla democrazia diretta (referendum, leggi d’iniziativa popolare) ma è difficoltoso.

DIRETTA(Coincide con la democrazia degli antichi)

Era – quello antico – un sistema che potrem- mo definire autoritario i n quanto un numero ristretto di cittadini conviveva con un numero ben più ampio di persone senza alcun diritto e dunque in posizione politica subordinata. Oggi istituti di democrazia diretta come i referen-dum si sono mantenuti nelle democrazie che restano in gran parte rappresentative.

CONSOCIATIVE(come quella olandese)

Caratterizzate da divisioni etniche, linguistiche

DEPOLITICIZZATE(come quella degli Stati Uniti)

Caratterizzate da élites aperte all’accordo e da una cultura omogenea in cui anche le divisioni di classe risultano attenuate.

CENTRIPETE(Regno Unito e paesi scandinavi)

Con cultura omogenea ed élites conflittuali.

CENTRIFUGHE(Italia e Francia)

Risultato di èlites conflittuali e profonde divisio ni sociali che hanno dato vita ad una cultura politica eterogenea.

Più promettente di una suddivisione in tipologie democratiche è quella basata sulla costruzione di modelli polari attribuibile a Lijiphart che cominciò ad osservare come le democrazie ispirassero le proprie forme istituzionali a due principi che posso essere relativamente puri o misti:

PRINCIPIO MAGGIORITARIO In base al quale la democrazia è un regime i cui la maggioranza delle preferenze debba prevalere determi-nando il risultato decisionale. Esso ha dato vita al modello maggioritario in cui Lijphart ha individuato 10 caratteristiche speculari a quelle del modello alternativo: Concentrazione dell’esecutivo in governi

monocolore Relazioni governo/parlamento che configurano il

dominio dell’esecutivo sul legislativo Sistema a due partiti Sistema elettorale maggioritario (plurality) Sistema di interessi pluralistico e competitivo(alcuni

gruppi più forti sono politicamente predominanti) Centralizzazione del governo e Stato unitario Concentrazione del legislativo in una camera sola Costituzione flessibile Sistemi nei quali il parlamento ha l’ultima parola

sulla costituzionalità o meno delle leggi Banche centrali che dipendono dall’esecutivoIl modello maggioritario, per vicinanza con quello ingleseè stato denominato “modello Westminster”.

PRINCIPIO CONSENSUALE In base al quale la democrazia è più un sistema di tolleranza reciproca che di tirannia della maggioranza, più ricerca di accordo che vittoria di una parte. Esso ha dato vita al modello consensuale, di cui sempre Lijphart ha individuato 10 caratteristiche fondamentali: Ripartizione del potere in ampie coalizioni

multipartitiche Equilibri tra i due poteri esecutivo e legislativo Sistema pluripartitico Sistema elettorale proporzionale Sistema di interessi neo-corporativo e coordinato,

orientato al compromesso e alla concertazione. Decentramento federale Ripartizione del legislativo in due camere forti ma

diversamente formate Costituzione rigida Sistemi in cui le leggi sono sottoposte a verifica da

parte di corti costituzionali o supreme Banche centrali indipendentiCorrisponde al Belgio o alla Svizzera, apparte il punto 6 è prossimo all’Italia della I Repubblica.

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Oggigiorno si è diffuso il topos della democrazia ideale dunque per giungeread una tale dicitura si sono sviluppati alcuni indicatori di democraticità, inpoche parole i referenti empirici di un concetto (tramite i quali si rendeoperativo un concetto):Una democrazia ideale è un regime contraddistinto dalla continuacapacità di risposta (responsiveness) del governo alle preferenze deisuoi cittadini, considerati politicamente eguali (Dahl). Affinché unregime sia capace di rispondere nel tempo è necessario che: a) tutti icittadini devono essere in grado di esprimere le proprie preferenze, b)esprimere tali preferenze al governo in forma individuale e collettiva, c)ottenere che esse siano “pesate” ugualmente senza discrimi nazioni(Dahl). Affinché esistano queste tre opportunità in una nazione vi devonoessere otto specifiche garanzie costituzionali:

a) libertà di associazione e di organizzazione b) libertà di pensiero ed espressionec) diritto di votod) diritto dei leader politici di competere per il sostegno (elettorale)e) fonti alternative d’informazionef) possibilità di essere eletti a pubblici ufficig) elezioni libere e corretteh) esistenza di istituzioni governative che rendano le politiche governative

dipendenti dal voto e da altre espressioni di preferenzaPassando dal piano normativo a quello empirico la ricerca sulla qualitàdemocratica condotta ha evidenziato almeno tre aspetti fondamentali, trepiani di studio su cui misurare il grado di qualità: Qualità = Rispetto delle procedure stabilite (qualità procedurale)Qualità = contenuti (dato troppo soggettivo, relativo)Qualità = risultato = soddisfazione dei cittadini per la democrazia in cui essivivono (dato troppo soggettivo)Questi criteri possono servire a verificare l’applicazione delle leggi (rule oflaw), la capacità di risposta (responsiveness) e la partecipazione(accountability= responsabilità). Tali condizioni strutturali sono affiancate dacondizioni non politiche favorevoli come, ad esempio quelle culturali al cuiprimo posto spicca la cultura civica. Tra gli elementi che favoriscono lademocrazia vi sono anche il pluralismo sociale (articolazione della società ingruppi che siano classi o ceti), il pluralismo politico che si traducenell’esistenza di numerosi partiti, la diffusa alfabetizzazione ed il grado didiffusione dei mass-media. Altro elemento che funge tuttavia solo dacoadiuvante è l’assenza di disuguaglianze economiche.PERCORSI DELLA PRIMA DEMOCRATIZZAZIONE cap.5

CENTRIPETE(Regno Unito e paesi scandinavi)

Con cultura omogenea ed élites conflittuali.

Un qualche grado di competizione tra èlites ristrette

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La competizione precede l’inclusività ovvero la partecipazione: dalleegemonie chiuse si passa alle oligarchie poi alla liberal-democrazia. L’inclusività precede l’elemento competitivo: dalle egemonie chiuse alleegemonie includenti, alla liberal-democrazia. E’ una sorta di scorciatoia, vi è una contemporanea crescita dei dueelementi e il passaggio è immediato.Un’altra teoria riguarda la progressiva concessione dei diritti, la teoria diMarshall nella quale vi sono 3 fasi di tutela dei diritti: Assicurazione dei diritti civili (in un sottofondo normativo- procedurale)ovvero le libertà personali e i diritti del singolo. Diritti politici con conseguente sviluppo delle istituzioni (acquisizione deldiritto di voto ovvero di partecipare all’esercizio del potere politico: elettoratopassivo ed attivo). Diritti sociali che riguardano “tutta la gamma che va da un minimo dibenessere e di sicurezza economica fino al diritto a partecipare pienamenteal retaggio sociale e a vivere la vita di persona civile secondo i canoni vigentinella società”. Servizi sociali e sistema scolastico sono le istituzioni che nelXX sec. Configurano il Welfare State.Si è pienamente cittadini quando questa tre categorie vengono riconosciute equando si arriva ai Diritti associativi.Una terza teoria è quella di Rokkan in cui l’individuazione di fasi è legataall’analisi comparata dei casi europei. Generalizzando Rokkan ha identificato4 momenti cruciali che si sono con regolarità presentati nello stesso modo neicasi da lui presi in esame dunque è l’analisi empirica a dar forza alla suateoria: Le 4 soglie da varcare definiscono in modo dinamico le fasi. Soglia di legittimazione = per varcarla c’è la legittimazione dei diritti deicittadini (crf.Marshall) Soglia di incorporazione = l’incorporazione di tutti i cittadini nello Statotramite l’espansione della cittadinanza politica (il voto) Soglia di rappresentanza = a causa della riduzione degli ostacoli che sifrappongono alla rappresentanza di tutti i partiti vi è l’ingresso dei partiti inParlamento

OLIGARCHIECOMPETITIVE

EGEMONIECHIUSE

POLIARCHIE(liberal-democrazie)

EGEMONIE INCLUDENTI

Partecipazione

Un qualche grado di competizione tra èlites ristrette

assenza di competizione e partecipazione, assolutismo.

SCATOLA DI DAHL

CompetizioneOpposizione

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Soglia del potere = si afferma il principio della responsabilità di governonei confronti del Parlamento (il controllo parlamentare del governo vieneistituzionalizzato)Le democrazie sono fenomeni in continuo mutamento; per capire se sonoprocessi casuali o se rispondono ad una logica interna gli scienziati hannotracciato uno schema:

La Crisi è un fenomeno che nel tempo è stato ampiamente analizzato onderiuscire a coglierne una serie di dati, fenomeni, ripetizioni, per poter tracciareun modello che in ogni caso possa mantenere elementi d’idealità. Non ognisituazione si muove in modo peregrino, c’è bisogno di costruire un modello difunzionamento empiricamente valido. Quali variabili intervenenti hanno hannoprodotto scostamenti dal modello e ne hanno fatto un caso peculiare? Ilprocesso parte da una comprovata fase d’instabilità governativa:

TRANSIZIONEFase di fluidità in cui il precedente regime non democratico entra in una acuta crisi. Una parte della coalizione dominante comincia a pensare al “dopo” ed a preparare un regime sosti tutivo. Si hanno conflitti interni con la possibilità di un colpo di Stato e pro gressiva perdita di alcuni caratteri. Cominciano a riposizionarsi le strutture

INSTAURAZIONEQuando gli accordi o i mutamenti permettono di tenere le prime elezioni libere si può dire di essere passati a questa fase in cui comincia a delinearsi l’embrione di un nuovo regime. Abbia mo subito prima un fenomeno di libera lizzazione ovvero una maggiore aper tura all’opposizione. Qui c’è bisogno di una re-istituzione delle istituzioni ed il tessuto associativo rifiorisce, si registra il moltiplicarsi degli attori politici: inter ni ed esterni. Proseguono le aperture e il dialogo diventa collaborazione. La I necessità è la creazione di una nuova leadership: una coalizione fondante il cui compito primario sia dar vita ad un accordo di compromesso. Si ha la con sacrazione di questa fase con l’appro vazione del nuovo tessuto legislativo.

X

CONSOLIDAMENTOFORTE O DEBOLE

E’ il processo di definizione (caratteri primari) e adat - tamento (secondari) delle diverse strutture e norme de-mocratiche nel tempo (freezing = congelamento delle istituzioni). Caratterizzato dalla messa in opera e dal mantenimento del compromesso democratico (un pro- cesso che si realizza al livello delle èlites). C’è poi l’im posizione del rispetto della legalità, il rientro nelle caser me dei militari e la loro neutralità. Il pragmatismo obbli ga all’accordo ed al mantenimento del consenso dei detentori del potere economico.

PERSISTENZASTABILE

DURATA come unità di misura

PERSISTENZAINSTABILE

CRISI

CROLLO CON FORMAZIONE DI UN NUOVO

REGIME

RI CONSOLIDAMENTO

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Tutto ciò comporta fenomeni insolubili ma si riescono a trovare accordi, se siraffreddano i toni possiamo sbloccare la situazione ed arrivare ad una ICONSOLIDAZIONE ovvero porre di nuovo le basi per il ri-consolidamento delquadro politico per giungere ad una persistenza meno instabile. Se la Ri-consolidazione viene a mancare si verificano tre momenti, si entra nellacosiddetta II fase di crisi:

La capacità di contenimento del conflitto a questo punto appare molto ridotta

RADICALIZZAZIONE tendenza ad arroccarsi su posizioni. La distanza può aumentare fino ad opporsi al regime democratico.

Crisi della democrazia è l’insieme di fenomeni che alterano il funzionamento dei meccanismi tipici di quel regime. Essa si verifica quando si ha limitazione della competizione politi ca e/o della potenziale partecipazione in quanto si è incrina to e/o rotto il compromesso democratico che ne è alla base Ci si riferisce alle liberal-democrazie di massa (Germania di Weimar che subisce crisi e conseguente crollo. Si ha invece crisi nella democrazia ovvero senza crollo nell’Inghilterra dell’inizio degli anni ‘30).

CROLLO

Tuttavia oggi i regimi possono anche perdere terreno in tre fronti anziché crollare:

LEGITTIMITA’ EFFICACIA(INCAPACITA’

decisionale)

EFFETTIVITA’(non si mette in

pratica)

Sono sufficienti a far perdere fiducia nella

Sarà problematico mettere in pratica le decisioni: gli attori di èlite o massa diventa no neutrali e cresco no coloro che rifiuta no il regime conoide randolo illegittimo.

INSTABILITA’ GOVERNATIVA che si traduce con assenza di maggioranze coese e situazioni di conflitto

FRAMMENTAZIONE DEI PARTITI (tendenza a moltiplicarsi dovuta all’insoddisfazione per il presen te con la creazione di nuovi partiti e la loro ascesa)

FRAZIONALIZZAZIONE (spaccatura e scissione in Parlamento).

istituzioni e mette capo ad un corto circuito. Aumenta la presenza dei cittadini in tutte le sedi partecip.

POLARIZZAZIONE politica e partitica molto elevata verso i poli estremi e INSTABILITA’GOV.

RIPOLITICIZZAZIONE DEI POTERI NEUTRALII suddetti non se la sentono più di essere organismi superpartes e decidono di scendere nell’arena (capi di Stato, Forze Armate, alti funzionari, magistra- tura) oppure si spaccano ideologicamente.

AUMENTO DEGLI EPISODI DI VIOLENZACrea perdita del controllo territoriale e contribuiscea delegittimare lo Stato nell’opinione pubblica.

destinato a una posizione residuale; non si crede più al compromesso, non c’è azione mediatoria.

PRIMA FASE DELLA CRISI DEMOCRATICA

SECONDA FASEDELLACRISI

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Si ha un crollo quando i caratteri fondamentali del regime saltano ed unadiversa democrazia o un regime non democratico vengono instaurati conmodalità discontinue che possono essere un colpo di stato, una guerra,un’invasione esterna. Se durante la prima fase della crisi le élitesdemocratiche riescono a ricomporre un accordo-compromesso sui problemi-sfida esistenti allora la crisi viene superata senza crollo mentre se i tentativi direcupero non hanno successo allora si entra in un circolo vizioso e la crisientra nella sua II fase che pone le condizioni per il crollo del regime. Questaanalisi valida in gran parte per tutti i casi di crollo democratico dell’Europadegli anni ’20 e ’30 presenta però una differenza fondamentale in Germani edItalia nei quali due paesi accanto alla politicizzazione dei poteri neu- trali ilrovesciamento si verifica a causa di una tattica ambigua d’instaurazione di unforte movimento totalitario anti regime : si forma e prende il potere (più omeno legalmente) un leader carismatico con il suo partito unico. Al giornod’oggi il sorgere di organismi sopranazionali quali la NATO e la UE fungonoda organismi di controllo e protezione, sono mutati il legami tra società civilee stato, le strutture socioeconomiche e la diffusione della cultura, si èespanso il ruolo dello Stato e la passata esperienza che funge daammonimento sono tutte condizioni che indicano come sia improbabilepensare ad un crollo democratico ma non la crisi. Rispetto alla crisi nelsistema democratico occorre individuare quali siano i conflitti sostanziali e gliattori istituzionali e politici rilevanti in un certo periodo. In secondo luogo sideve vedere lo stato del regime democratico antecedentemente al periodocritico. In terzo luogo se nel medio e nel lungo periodo vi sono state profondetrasformazioni socioeconomiche.

PERCHE’ UNA CRISI SENZA CROLLO?Questi sono i seguenti fattori che rendono improbabile il crollo:

- grado di consolidamento raggiunto dalle istituzioni democratiche- controllo delle risorse pubbliche da parte delle diverse agenzie

governative e l’espansione dei gruppi sociali il cui reddito dipendedal regime democratico

- l’assenza di alternative politiche valide- un tipo di insoddisfazione che alle lunghe si trasforma in indifferenza,

passività, distacco. - La situazione internazione dell’Europa caratterizzata dai legami con

gli Stati Uniti, con la Nato e tra gli stessi paesi con accordi della CEE

ALTRI CARATTERI DELL’INSTAURAZIONE DEMOCRATICAL’elemento centrale è quello che riguarda gli attori . E’ opportuno distingueretra attori interni al precedente regime non democratico cioè sostenitori dellostesso e attori esterni tra i quali possono esservi anche attori internazionali.Gli attori istituzionali interni sono l’esercito, l’èlite di governo, l’alta

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burocrazia e più in generale le forze politiche autoritarie che per diversi motivisono indotte ad intraprendere e cercare di pilotare l’instaurazione.E’ utile poi distinguere tra transizioni e instaurazioni condotte da attoriinterni e governativi e quelle condotte da attori interni non governativiquali possono essere ad esempio i militari. Abbastanza frequente è anche il caso in cui tra gli attori moderatigovernativi o non e una parte dell’opposizione si salda un interessecomune per il cambiamento. Molto rara è invece l’ipotesi in cui le forzepolitiche all’opposizione diventano le protagoniste del mutamento, sel’opposizione è protagonista della transizione solitamente si ha un processonon democratico. Al di là di queste possibilità se ne possono costituirecombinazioni, interessante è quella tra forze dell’opposizione e attoriinternazionali. Il ruolo dei militari, sebbene essi possano essere più o menocoinvolti è fondamentale in quanto essi detengono il monopolio della forzacoercitiva ed anche al momento dell’instaurazione possono rivelarsipotenzialmente pericolosi. Un altro momento fondante conseguente e chevede impegnati gli attori è la formazione della coalizione fondante ilregime: tanto più ampia è la coalizione tanto maggiori sono le probabilità disuccesso. La coalizione può concludere patti o accordi ovvero in primoluogo il riconoscimento della legittimità di posizioni politiche diverse, questoche è – assieme ad altri processi – il cuore del compromesso democraticopuò tradursi in una Carta Costituzionale che diventa l’occasione perstipulare il compromesso istituzionale e per enunciare una serie di valori. Poila sede più formale ovvero il processo costituente può essere l’occasione perraggiungere un consenso su aspetti politici sostantivi. Si hanno poi altrielementi qualificanti riguardanti l’instaurazione:

- è necessario vedere quali forze politiche siano più o meno presentied organizzate quando inizia la transazione e di conseguenzal’instaurazione

- durante il processo in analisi le élites svolgono il ruolo fondamentale,spesso tuttavia giocano un ruolo importante le masse; lapartecipazione di massa si manifesta con scioperi, dimostrazioni otalvolta in maniera violenta con tumulti.

- L’analisi della continuità/discontinuità a livello normativo e delpersonale delle strutture burocratiche ed amministrative del nuovoregime. L’obbiettivo è quello di collocare nei ruoli chiavi del nuovoregime personale maggiormente leale per favorire la legittimazionedel regime.

ESITI DELL’INSTAURAZIONE DEMOCRATICATra gli esiti dell’instaurazione democratica è necessario prendere in esameuna serie di parametri :

- anzitutto occorre menzionare le tradizioni politiche del paese:tradizione monarchica, esperienze conflittuali e violente rimaste

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nella memoria collettiva, l’esistenza in precedenza di politichedemocratiche di massa che possano influire nella nuovaesperienza attraverso meccanismi di trasmissione della memoriastorica. Durata e tipo di una eventuale passata esperienzaautoritaria ed il grado in cui esso – tramite meccanismi totalizzanti –sia penetrato nella vita politica e pubblica dei cittadini distruggendole precedenti identificazioni, la durata e i motivi che ne hanno portatoalla caduta, il grado di opposizione e le modalità della transizione:continuità o discontinuità. Con il termine continuità si vuole indicarel’ipotesi in cui un regime autoritario cambia gradualmente seguendole stesse regole previste da quel regime per il mutamento, poi quelleregole vengono strumentalizzate o tradite ed assumono un ruolo leélites dominanti continuando a servirsi di tali norme per mantenereun aspetto di apparente legalità mentre per discontinuità siintendono repentini cambiamenti dovuti a colpi di Stato, passaggi delgoverno nelle mani dei civili o altri eventi simili.

IL CONSOLIDAMENTOE’ il processo – composito e variegato – di definizione nei suoi caratteriessenziali e di adattamento in quelli secondari delle diverse strutture e normedemocratiche innescato anche dal trascorrere del tempo. Esso può svolgersisecondo i metodi della legittimazione o dell’ancoraggio.La legittimazione ovvero l’accettazione e il sostegno delle strutture delregime da parte della società ma anche delle élites partitiche di vertice edintermedie si sviluppa a livello di élite e di massa in alcuni ambiti precisi. Ilprimo ambito riguarda la messa in opera ed il mantenimento delcompromesso democratico, il riconoscimento dell’opposizione edell’eguaglianza politica, la diffusione della cooperazione tra forze politiche enon. Il secondo ambito riguarda il rispetto della legalità come capacità delleélites di governo e dei propri apparati di porsi come garanti del rispetto dellenorme istituzionali e soprattutto come disponibilità della popolazione adaccettare la legge. Il terzo ambito riguarda la neutralità e la neutralizzazionedei militari. Un quarto eventuale ambito riguarda l’appoggio dei gruppiimprenditoriali privati a seguito di garanzie poste dal regime a sostegno deipropri interessi. La teoria dell’ancoraggio mostra l’esistenza di 4 ancore nelprocesso di consolidamento:

1) il sistema partitico lascia poco spazio per trasformazioni o mutamentisostanziali

2) il condizionamento da parte dei partiti delle associazioni di interesse epiù in generale dei gruppi di interesse

3) i rapporti clientelari che per decenni hanno tenuto gli individui legati acerti assetti partitici ed istituzionali che garantivano l’erogazione dellerisorse pubbliche su base personalistica

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4) assetti neo-corporativi che attraverso accordi triangolari (imprenditori-governo-sindacati) e il controllo degli affiliati da parte di associazioniconsentono anch’essi la stabilizzazione del regime democratico.

L’ipotesi centrale della suddetta teoria è che quanto minore è la legittimitàgoduta da un certo assetto democratico tanto più forti e sviluppate devonoessere una o più ancore e al contrario, se esiste e si sviluppa gradualmenteun’ampia legittimazione allora le ancore possono rimanere deboli e non sonoessenziali al consolidamento.

LA STABILITA’Essa è definibile come la ragionevolmente prevedibile capacità di durata delregime democratico. Essa comporta condizioni più cogenti e positive intermini istituzionalizzazione raggiunta, legittimità ed efficacia decisionale.

Come si può a questo punto definire la “qualità democratica”?Il problema riguarda la difficoltà di dar vita ad un regime democratico in cui idiversi diritti siano efficacemente garantiti.

Cosa si intende per “democrazia delegata”?Lo scienziato O’Donnell usa l’espressione “democrazia delegata” adintendere democrazie in cui la funzione reale di rappresentanza sia nellemani di élites politiche e non esista una sfera pubblica o una qualchepossibilità di controllo reale e responsabilità politica delle élites delegate a talifunzioni. Non vi è alcuna accountability elettorale dei governanti sui governati

REGIMI AUTORITARI

Regimi militari:Regimi civili-militariRegimi corporativi(Populismo)Regimi esercito-partitoRegimi civili di mobilitazionePseudo-democrazie

REGIMI TOTALITARI

La Germania nazista

L’Unione Sovietica stalinista

REGIMI TRADIZIONALI O SULTANISTICI

REGIMI IBRIDI

Democrazie semi-consolidate

Regimi di transizione

Autoritarismi semi-consolidati

REGIMI NON DEMOCRATICINella politics non democratica

Cap.6: Regimi non democraticiLE 4 TIPOLOGIE

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Queste sono le quattro macro categorie per la classificazione dei regimi nondemocratici, la categoria più ampia, quella dei regimi autoritari include alsuo interno tutte quelle forme di governo che presentano i seguenti elementi:• Pluralismo politico limitato e non responsabile all’interno del quale sipossono distinguere gli attori istituzionali (esercito, burocrazia, partito unico)ed attori sociali (Chiesa, gruppi industriali o finanziari, proprietari terrieri ed inqualche caso anche i sindacati) tutti non politicamente responsabili secondo ilmeccanismo tipico delle democrazie cioè attraverso elezioni libere, corrette,competitive. Questo punto rimanda al concetto di coalizione dominante (leélite) al di fuori delle quali vi è emarginazione politica• Assenza di elaborata ideologia guida ma con mentalità caratteristicheriguardo la giustificazione ideologica del regime• Assenza o limitata presenza di mobilitazione politica tranne che in alcunimomenti del suo sviluppo• Leader o piccolo gruppo che esercita il potere• Limiti formalmente mal definiti di esercizio del potere, ma prevedibiliQuesta categoria è comprensiva dei principali regimi di tipo militare ovveroquei regimi in cui i militari costituiscono i più importanti attori del regime; taleassetto politico in genere nasce da un colpo di Stato oppure da un piùsemplice intervento che non configura nemmeno la meccanica del golpe.Essi difficilmente sono stati giustificati ricorrendo ad articolare e complesserazionalizzazioni: solitamente fanno appello a principi quali la sicurezza,l’ordine, l’interesse nazionale e quasi mai vi è stata mobilitazione dall’alto cheportasse qualche esito. Solitamente sono la depoliticizzazione e l’apatia alivello di massa che configurano la situazione più ricorrente. Quasi mai essidanno vita a partiti unici o parlamenti aldilà della formazione di tipiche juntas.

- regimi militari veri e propri ovvero militari guardiani che controllanodirettamente il governo occupando i ruoli decisionali principali, hannoobbiettivi di ordine, conservazione e semmai di razionalizzazioneeconomica

Coalizione dominante

(quali e quanti attori)

Mentalità/Ideo logia legittimante

(quale e quanto articolata)

Mobilitazionedall’alto

(caratteristiche e grado)

Strutturazione del regime

(grado di innovatività)

REGIMI AUTORITARI(dimensioni e variazioni

rilevanti)

Uno degli aspetti che maggiormente con tribuisce alla definizione di un regime mili tare è la presenza o l’assenza di un leader militare in posizione più o meno preminente rispetto al corpo ufficiale: in caso positivo si può parlare di tirannia militare; in questo caso esso domina l’esercito e governa in maniera personalis tica, alcuni di questi regimi si possono anche definire cleptocrazie per indicare anche l’elemento di corruzione. L’esercito in questo caso resta un corpo poco coeso ed inefficiente. Se invece è un gruppo più o meno ampio al governo, con o senza il primis inter pares si parla di oligarchia militare. Nordlinger propone una triparti zione delle funzioni dei militari suddividen doli in 3 categorie:- militari moderatori: i militari sono un gruppo potente e politicizzato, il suo ob biettivo principale è il mantenimento dello status quo, hanno diritto di veto.

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- regimi con militari governanti in cui il controllo e la penetrazione deimilitari coinvolge tutte le strutture politiche, burocratiche edeconomiche in maniera profonda. In questi regimi maggiore è larepressione, maggiori sono le possibilità di persistenza; talvolta sitenta la formazione di un partito di massa e quando il tentativo hasuccesso siamo nell’ambito dei regimi esercito-partito.

QUALI SONO LE MOTIVAZIONI PIU’ FREQUENTI DELL’INTERVENTOMILITARE?Il cosiddetto pretorianesimo viene esaminato analizzando una serie dicircostanze:

a) il fragile assetto democratico di alcuni paesi del Terzo Mondo che rendepossibile l’imposizione di un regime per colmare l’assenza di istituzionipolitiche consolidate.

b) Il monopolio della forza posseduto dai militaric) Interessi corporativi in realtà caratterizzate da situazioni di disordine

civile o di crisi in cui i militari possano intervenire per prevenire tagli albilancio o per accrescere tali spese

d) Interesse di classe nei confronti delle classi medieIl Cile del 1973 configura una situazione profonda di crisi politica, con bassalegittimità del regime vigente, crisi economica, minaccia agli interessi delleclassi medie, illegalità, disordine e violenza: una situazione classicafavorevole all’intervento militare. Questo spiega la rilevanza della strutturasociale e politica e di quella economica nell’intervento militare.

REGIMI CIVILI-MILITARISi instaurano nei paesi in cui vi è stato il fenomeno della nuovaprofessionalizzazione dei militari ovvero quel fenomeno caratterizzatodall’ampliamento delle conoscenze teoriche, dalla trasformazione di essi incorpi più coesi, dalle maggiori capacità manageriali e disponibilità adacquisire il potere, maggiore sicurezza e ideologia basata sulla dottrina dellasicurezza nazionale. Tali regimi sono anzitutto fondati su un’alleanza tramilitari, più o meno professionalizzati, e civili: siano essi burocrati o politici diprofessione, tecnocrati o rappresentanti della borghesia industriale efinanziaria. L’esistenza di tale coalizione non deve far dimenticare lapresenza di diffuse tensioni oggettive che esistono tra militari e civili.REGIMI BUROCRATICI-MILITARIEssi si incontrano di frequente nel corso del XX sec. E sono caratterizzati dauna coalizione dominata da ufficiali e burocrati; solitamente le decisionipolitiche sono dettate da pragmatismo. Non vi è la creazione di un partito dimassa ma spesso possono esservi un partito unico voluto dal governo perlimitare la partecipazione dei civili o talvolta sono presenti più partiti. In moltiregimi come questi strutture precedentemente rilevanti quali la Chiesa o lamonarchia oppure proprietari terrieri possono ricoprire un ruolo importante.Solitamente vi è già in atto un processo di modernizzazione,

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industrializzazione, alfabetizzazione e progressivo allargamento del cetomedio. In stadi più avanzati si manifesta l’emergere di ruoli tecnocratici conmaggiore importanza nella vita politica ed il ricorso più frequente a misurerepressive. Regimi di questo tipo sono stati Brasile ed Argentina, la Spagnadi Primo de Rivera ed il Portogallo di Salazar.REGIMI CORPORATIVIL’espressione si riferisce più ad una ideologia rispetto che alla coalizionedominante infatti il regime corporativo è caratterizzato essenzialmente dallapartecipazione controllata e dalla mobilitazione della comunità politicaattraverso strutture organizzate. A livello ideologico rifuta la concezioneliberale basata sulla competizione quanto quella marxista basata sul conflittodi classe per aderire a una scelta corporativa fondata sull’idea dellarappresentanza sulla base delle unità economiche e/o sociali diappartenenza. I motivi della creazione di strutture tipiche della democraziaorganica vanno ricercate nella volontà dei leader di legittimare il loro potereservendosi di quella dottrina, spesso possono esservi partiti unici. Si può poidistinguere tra corporativismo “includente” ed “escludente”. Nel primo casol’obbiettivo dei governanti è mantenere un equilibri stato-società garantito dapolitiche dirette a includere gruppi importanti nel nuovo assetto politico-economico. Nel secondo invece l’obbiettivo è l’esclusione raggiunta permezzo di coercizione, smobilitazione e ristrutturazione dei gruppi operai piùimportanti.IL POPULISMOI regimi burocratici-militari ed i regimi corporativi sono stati talora definitipopulisti; più precisamente e con riferimento all’America Latina, il populismova inquadrato nell’ambito di fenomeni di profonda trasformazionesocioeconomica: essenzialmente si tratta della traduzione politica dell’enormeprocesso di mobilitazione che investe settori della popolazione prima nonpartecipanti o comunque attivi politicamente. I movimenti ed i partiti populistisono anche contraddistinti dalla presenza di un leader carismatico il cuirapporto con la popolazione risulta mediato in maniera non organizzata.L’ideologia non è precisamente articolata, spesso è vaga ed ambigua, moltospesso l’accento è posto sulla volontà popolare identificata con la giustizia ela moralità e l’importanza di questo rapporto tra popolo e leader. Regimipopulisti sono stati il Messico con il Pri alla guida, la Colombia di RojasPinella, in parte l’Argentina di Pèron e Cuba.REGIMI ESERCITO-PARTITOGli attori principali di questo regime sono queste due strutture parallele esostanzialmente in simbiosi: gli stessi leader possono occupare ruoli diversinell’una o nell’altra struttura. Solitamente l’esercito è il partner più forte dellacoalizione e svolge un ruolo di controllo sul partito. Nei casi ascrivibili aquesta tipologia, l’instaurazione è avvenuta in seguito a un colpo di statomilitare ed a profonde modificazioni costituzionali attuate tra la metà e la finedegli anni ’70. Hanno spesso un orientamento ideologico socialista-

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nazionalista o più di frequente marxista-leninista. La principale struttura civileè il partito unico, si è cioè nell’ambito del cosiddetto sistema con partitoegemonico. I regimi che configurano tale modello spesso consentono altastabilità. Regimi di questo tipo si incontrano spesso in Asia e Africa.REGIMI CIVILI O DI MOBILITAZIONEIn questi regimi la caratteristica di limitata mobilitazione propria degliautoritarismi si attenua così che essi diventano un modello limitato diautoritarismo, quello più vicino al totalitarismo. I vari regimi civili sono tutticaratterizzati dal ruolo preminente del partito unico o egemonico. Ledifferenze stanno nelle origini, nei contesti culturali e socioeconomici e nelleideologie-mentalità:REGIME NAZIONALISTA DI MOBILITAZIONEEsso nasce dalla lotta per l’indipendenza nazionale diretta da una élite locale,molto spesso da un capo carismatico che fa del partito il veicolo principale dimobilitazione dal basso. Tale mobilitazione inizia già prima dell’indipendenzae in seguito diventa la struttura portante del regime stesso. I militari hanno quiun ruolo secondario. Il partito con gli anni si può anche trasformare in unamacchina burocratico-clientelare in cui l’ideologia nazionalista, una voltaraggiunta l’indipendenza si scolora e assume la forma di un socialismo dallecaratteristiche ambigue. Questo regime ha una notevole articolazione intermini di strutture politiche locali e istituzionali. Regimi di questo tipo sonolargamente diffusi nel continente africano e si sono formati in seguito alladecolonizzazione degli anni ’60 ed alla diffu sione di ideologie nazionaliste, inparticolare nelle ex colonie portoghesi di Angola, Mozambico e Guinea-Bissau.REGIME COMUNISTA DI MOBILITAZIONEQuesto tipo di regime conduce all’Asia ed all’Europa orientale. Esso sicaratterizza per il partito unico al centro della coalizione dominante,un’articolazione strutturale assai approfondita ed una notevole capacità dicontrollo della società a proposito della quale si è parlato di stato-partito. Inquesto regime i militari mantengono un ruolo di garanti del regime esostenitori dell’egemonia del partito o, in caso di crisi, rappresentano unarisorsa su cui il partito può sempre contare. L’ideologia prevalente è ilmarxismo-leninismo oppure in alcune varianti ideologiche il titoismo o ilmaoismo. Va in questo senso sottolineata la pervasività delle strutturepolitiche-partitiche a tutti i livelli della società. Ciò differenzia questo modellodi totalitarismo è l’esistenza di qualche grado di pluralismo limitato,un’ideologia meno dominante e minore mobilitazione. Da alcuni questoregime è definito post-totalitario : la differenza non sta nella ideologia ma neldiverso esito di tale ideologia operante in contesti completamente diversi. REGIME FASCISTA DI MOBILITAZIONERiguarda l’Italia tra il 1922 ed il 1943. Questo è il primo esempio di regimenon democratico di massa. Il modello è presto delineato nei suoi trattiessenziali, l’attore principale è un leader carismatico strettamente legato ad

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un partito con tendenze totalitarie, articolato e strutturalmente differenziatoche preesiste al regime e ne è il principale protagonista del processoistaurativo. Nelle fasi successive del consolidamento strutture del regime epartito tendono ad autonomizzarsi dagli altri gruppi che ne hanno determinatoil successo durante l’istallazione. Tali gruppi sociali sono costituiti daistituzioni tradizionali presenti in precedenza come la Chiesa, la monarchia,l’esercito. Il regime viene instaurato in seguito alla mobilitazione delle classiinferiori e questo spiega sia l’ideologia sia il successo del partito. L’ideologiaè fortemente nazionalista, imperialista, antiliberale, altre caratteristiche sonol’antiparlamentarismo e l’anticomunismo. Ha anche componenti anticlericali eanticapitalistiche. Punta sull’aggressione e sulla solidarietà nazionale, sull’usodella violenza e sulla supremazia dello stato, sui principi di ordine e disciplinae certi elementi retorici romantici. Ma il regime non abbraccia tale ideologiané la traduce in politiche se non a distanza anzi la contraddice cercandoinizialmente l’appoggio dei gruppi sociali sopra menzionati , che ritengono dipoterlo strumentalizzare e di disfarsene al momento opportuno. Così finiscecol dimenticare il contenuto potenzialmente innovatore della propria ideologiacon cui aveva preso il potere. Partito totalitario e ideologia fascistaunitamente a repressione e misure di polizia restano lo strumento e ilcontenuto principale dell’alta mobilitazione ma la contraddizione resta quellatra il voler mantenere alta la mobilitazione e la mancata traduzionedell’ideologia in politiche. Si teme inoltre che la partecipazione soprattuttogiovanile, da controllata diventi spontanea e fugga dalle mani dei governanti.REGIME DI MOBILITAZIONE SU BASE RELIGIOSANegli anni ’80 emerge un nuovo tipo di regime, sostenuto e legittimato dallareligione musulmana, di cui l’Iran di Khomeini è il maggior rappresentante. E’lontano dagli altri modelli in quanto nasce esclusivamente dalla presenzacombinata di una struttura di mobilitazione molto articolata, talvolta piùefficace del partito, il clero e da una ideologia complessa, che disciplina,controlla ed ha prescrizioni molto rigorose per ogni momento della vita ovverola religione musulmana. Il risultato, in termini di regime è il regime dimobilitazione a base religiosa. Si avvicina ad un regime autoritario civile, cheperò conserva una potenzialità di alta mobilitazione.REGIMI TOTALITARI: All’interno di questa tipologia rientrano due realtà apparentemente antitetiche:la Germania nazista tra il 1933 ed il 1945 e l’Unione sovietica stalinista.Analizzando le caratteristiche comuni gli studiosi hanno rivelato che i regimitotalitari sono contraddistinti da:• Assenza di pluralismo (ovvero monismo), partito unico con ruolo assoluto ecentrale, struttura burocratica e gerarchizzata, articolata attraverso una seriecomplessa di organizzazioni che servono a integrare, politicizzare,controllare, spingere alla partecipazione tutta la società civile e inoltre latotale subordinazione di tutti gli altri possibili attori.

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• Presenza di una ideologia articolata e definita finalizzata alla legittimazioneed al mantenimento del regime e a dare contenuto alle politiche dimobilitazione• Presenza di una mobilitazione alta e continua, sostenuta dall’ideologia edalle organizzazioni partitiche e sindacali anch’esse subordinate al partito. • Piccolo gruppo o leader al vertice del partito unico• Limiti non prevedibili al potere del leader A questi elementi di base se ne possono aggiungere altri di precisazione:- l’ideologia totalitaria è un nucleo progettuale di trasformazione totaledella realtà sociale- il terrore totalitario si esprime anche nei riguardi di nemici potenziali, nemicioggettivi, autori di delitti potenziali e perfino di seguaci che possono costituireun intralcio alle politiche del regime. Tale terrore si sostanzia in una sorta diuniverso concentrazionista che si caratterizza per il suo essere una strutturapolitica di sradicamento del tessuto sociale. - nel regime totalitario l’imprevedibilità è completa. - il regime totalitario presenta un alto grado di mobilitazione insieme agli altricaratteri già detti, ma tali processi sono contraddistinti dall’obbiettivo diprofonda trasformazione rispetto alla situazione precedente e in questo sensosi può parlare di istituzionalizzazione del disordine rivoluzionario. Le differenze ideologiche tra i due regimi totalitari sono: nazionalista quellanazista ed internazionalista quella sovietica, con un contenuto ditrasformazione profonda la seconda, in misura assai superiore alla prima.Pronta a sottolineare il ruolo del leader e dell’élite la prima rispetto allaseconda che invece si presenta come più “democratica”; infinel’accentuazione del razzismo nella ideologia nazista, assente invece in quellastalinista. Le strutture centrali differiscono in: i partiti unici rispetto alle diverseorigini sociali dei gruppi dirigenti, la possibilità di istituzionalizzareorganizzazioni paramilitari nel caso nazista e non in quello sovietico. REGIMI TRADIZIONALI O SULTANISTICIIn certe aree quali il Medioriente rimangono alcune realtà come l’ArabiaSaudita, gli Emirati Arabi Uniti per i quali si utilizza l’espressione: regimesultanistico ovvero un tipo di regime basato sul potere personale del sovranoche tiene legati i suoi collaboratori da rapporti fatti di paura e ricompense.Sono regimi in cui le decisioni arbitrari e del sovrano non sono limitate danorme né hanno bisogno di una giustificazione ideologica. L’uso del potere èin forme particolaristiche e per fini esclusivamente privati. Esercito e poliziasvolgono ruoli centrali, è assente qualsiasi forma di ideologia o dimobilitazione di massa. La religione fa da background culturale.REGIMI IBRIDI O DI TRANSIZIONE Essi sono presenti in tutti i continenti. Essi non presentano i tratti tipici di unademocrazia, mancano al tempo stesso i seguenti elementi: suffragiouniversale maschile e femminile, elezioni libere, competitive e corrette, più diun partito, diverse ed alternative fonti d’informazione ma sono quei regimi che

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col tempo hanno acquisito alcune istituzioni e procedure proprie dellademocrazia ma non altre e al tempo stesso presentano aspetti autoritari otradizionali. Se guardiamo al contesto di formazione di tali regimi vediamocome quelli ibridi siano regimi preceduti da un’esperienza autoritaria otradizionale cui faccia seguito un inizio di apertura, liberalizzazione e parzialerottura della limitazione del pluralismo ovvero tutti quei regimi che dopo unperiodo di democrazia minima nel senso sopra indicato vedono interventi dipersonale non eletto – i militari soprattutto – che pongono restrizioni alpluralismo competitivo senza creare un regime autoritario più o meno stabile.Il regime proviene da un qualche tipo di autoritarismo precedente oppureproviene da un tradizionalismo precedente oppure dalla crisi di unaprecedente democrazia oppure è il risultato di una decolonizzazione a cuinon ha mai fatto seguito una stabilizzazione in senso né autoritario nédemocratico. Se si articolano ulteriormente le ipotesi possiamo vedere comeaccanto ai vecchi attori siano emerse opposizioni grazie a un parziale,relativo rispetto dei diritti civili. Tali opposizioni sono ammesse a partecipareal processo pilitico ma sostanzialmente escluse dal governo. Esistonodunque più partiti di cui uno resta quello dominante ed egemonico in elezionisemi-competitive. Sono assenti anche forme evidenti di repressionepoliziesca, si ha complessivamente una scarsa istituzionalizzazione e unascarsa organizzazione nello stato, se non un processo di “de-istituzionalizzazione”. I regimi ibridi spesso scaturiscono dal tentativo messoin atto dalla parte moderata degli attori governanti nel precedente regime diresistere alle pressioni interne ed esterne della coalizione dominante, dicontinuare a mantenere l’ordine e di soddisfare in parte la domandacrescente di acquisizione di un aspetto democratico. Un elemento centraledei regimi ibridi è la rottura del pluralismo limitato e della coalizionedominante propri dei regimi precedenti ovvero l’introduzione di una qualchelimitazione del pluralismo precedente. In tutte queste ipotesi vi sono dei vetoplayers cioè degli attori individuali o collettivi che svolgono un ruoloimportante nel tenere il regime nella condizione di ambigua incertezza che locaratterizza. Tali attori possono essere un potere straniero esterno cheinterferisce nella politica del paese, un monarca o governante autoritariovenuto al potere con mezzi più o meno violenti, i militari, un partito egemonicogestito da un piccolo gruppo o da un leader, gerarchie religiose, oligarchieeconomiche o ancora un mix di questi attori. Si possono classificare i regimisulla base delle origini e dunque sulla “legacy” del regime precedente,focalizzare la classificazione sui processi di cambiamento attraversati dalpaese e sulle loro conseguenze o considerare più semplicemente il risultatocioè come si caratterizzano in determinati paesi i regimi che si fanno rientrarenel genus dei regimi ibridi. La classificazione più semplice risulta la terza,avremo quindi: democrazie semi-consolidate, regimi ibridi o ditransizione in senso stretto e autoritarismi semi-consolidati. Morfina hainvece formulato una diversa distinzione:

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- per Morlino si può parlare di democrazia protetta intendendo che ilregime è controllato da apparati militari o anche da forze esterne alpaese che condizionino il regime oppure vi possono essere leggi chelimitano la competizione.

- Se invece vi è suffragio maschile, un procedimento elettoraleformalmente corretto, cariche elettiva ricoperte sulla bese delleelezioni, multipartitismo ma i diritti civili non sono garantiti esoprattutto la stessa democrazia è inficiata da situazioni dimonopolio di potrà parlare di democrazia limitata.

- A questi due tipi se ne aggiunge un terzo, la democrazia senzalegge. In esso si ipotizza che non vi sia alcuna eredità di sorta o fortiattori contrari o veto players ma solo una situazione di diffusaillegalità in cui lo Stato non è in grado di sostenere un processoelettorale proprio di una democrazia compiuta o liberale né diproteggere adeguatamente i diritti civili per carenza di istituzionilegali funzionanti.

Nei regimi ibridi più della legaci o dell’esistenza di veto players conta lacarenza più o meno accentuata dello Stato. Mancano le leggi o non vengonoapplicate perché molto spesso non vi è una reale indipendenza del settoregiudiziario perché il processo elettorale non avviene correttamente in quantola corruzione è diffusa e la burocrazia non funziona o è inadeguata. Un puntoimportante è anche la presunta instabilità costitutiva; se di transizione sitratta, incerta è la sua durata, che può prolungarsi anche diversi anni. Lepossibili conseguenze di un regime ibrido sono:

a) la stabilizzazione del regime ibrido quale che sia il tipob) la successiva stabilizzazione di un regime democratico che consente di

rivedere il regime precedente in una transizione verso la democraziac) la successiva stabilizzazione di un regime autoritario che consente di

rivedere il regime precedente come una transizione versol’autoritarismo.

d) Assenza di stabilizzazione e incertezza caratterizzata da anni in cui ilregime era autoritario

e) Assenza di stabilizzazione e incertezza caratterizzata da anni in cui ilregime era democratico

Se l’ultima ipotesi sembra quella meno probabile, la categoria di ibridistabilizzati è la più numerosa.LA CRISI AUTORITARIAA proposito della dinamica autoritaria, i processi che si susseguono sonoinstaurazione, consolidamento e crisi. Il consolidamento autoritario puòconsiderarsi concluso nel momento in cui, completata la costruzione delleistituzioni, la coalizione dominante si è data un assetto. Poiché nel processodi consolidamento vi possono essere pause, involuzioni, fallimenti, gli esiti delconsolidamento possono essere tre: crisi, persistenza stabile, persistenzainstabile. La crisi autoritaria può giungere, dopo il processo instaurativo, a

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mostrare il fallimento del consolidamento ovvero può avvenire a distanza dimolti anni. L’ipotesi centrale da cui si può partire è che si hanno le condizioniper la crisi autoritaria quando la coalizione dominante alla base del regime siincrina e, successivamente, si rompe; in altre parole, quando viene meno ilpatto, più o meno esplicito e sempre su problemi sostantivi, che è alla basedel regime autoritario. Questa possibilità non è però frequente, è piùfrequente che le coalizioni siano poco coese, fluide e deboli sul piano dellerisorse; che si creino situazioni di contrasti oggettivi di interesse all’interno diesse che indeboliscono ulteriormente e rendono ambigui i patti sostantivi allabase di quelle coalizioni, che soprattutto, tra gli stessi attori istituzionali – imilitari in particolare – vi siano divisioni e potenziali contrasti anche circa lepolitiche sostantive. In tali casi per ricercare i fattori di una crisi autoritariasarà bene guardare ai fattori di lungo periodoe, in un momento secondario,ad aspetti di breve e medio periodo. Se intervengono trasformazioni nellastruttura, nella consistenza e poi nelle scelte e preferenze dei gruppi socialied economici che formano la coalizione dominante, allora essi tenderanno aa modificare tale coalizione. In seconda ipotesi tali modificazioni possonoportare all’uscita dalla coalizione di alcuni attori che diventano quindioppositori più o meno attivi del regime e/o a tensioni, domande, conflittiall’interno del regime stesso. In terza ipotesi trasformazioni socioeconomichepossono dare maggiori risorse di influenza e coercitive a nuovi attori che, unavolta fuori dal regime, possono mobilitarsi contro di esso. Nel quadro diqueste tre ipotesi la rottura ovvero la graduale erosione della coalizionedominante può essere dovuta ad almeno tre fenomeni:a) il primo fenomeno riguarda l’emergere di divisioni all’interno delle forzearmate, semplicemente a causa di lotte personalistiche di potere.b) il secondo fenomeno riguarda le divisioni tra forze armate nel lorocomplesso ed attori civili della coalizione. Può avvenire questo fenomenoquando le politiche imposte dai civili diventano inaccettabili dai militari inquanto non riescono a raggiungere i fini di ordine e stabilità voluti dalle stesseforze armate. c) il terzo fenomeno riguarda il distacco delle élite civili dalla coalizionedominante in quanto risultano fallimentari le politiche varate dal regime,soprattutto le politiche economiche, oppure in quanto sembra maturato ilmomento per altre politiche che prescindano dal condizionamento, talora ditipo troppo nazionalistico, dei militari stessi. Una causa prominente puòessere la perdita di una guerra o anche più limitate sconfitte militari chepossono rinfocolare le divisioni all’interno delle forze armate, ovvero portareal distacco delle élite civili dai militari, che resterebbero così isolati anche alivello di massa, dove il sostegno, l’opposizione passiva o ancora l’apatiapotrebbero trasformarsi in opposizione aperta e intensa. Importante fattore è la variabile esterna internazionale. Più probabile ètuttavia l’ipotesi in cui diverse ragioni di crisi si combinano tra loro. Nonappena inizia la crisi si hanno alcune manifestazioni-reazioni ricorrenti a cui la

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coalizione dominante può rispondere o con misure di repressione dei civili ocon aperture democratiche che tuttavia risultano solo apparenti e di facciata.A questo punto occorre distinguere tra il caso in cui la crisi continua malgradotutto per un tempo lungo e il caso in cui la crisi porti al crollo del regime edalla sua trasformazione. Ricordando la definizione di autoritarismo, lemanifestazioni della crisi si sostanziano in una rottura del pluralismo non piùlimitato, in momenti diversi, in una crescita della mobilitazione che il regimenon è più in grado di controllare e talora anche nell’affermazione di ideologieantiautoritarie. Innanzi tutto vi è la possibilità che settori della coalizionedominante si distacchino dal regime assumendo posizioni di disimpegno epoi, eventualmente, di opposizione attiva. In secondo luogo alcuni gruppiprima indecisi o indifferenti passano all’opposizione attiva al regime,ingrossando e rinforzando attori di opposizione più o meno contrari al regime,già esistenti, che il regime non è mai riuscito ad eliminare completamenteoppure dando vita a nuovi e diversi movimenti organizzati, anch’essiparzialmente o totalmente contrari al regime. In terzo ed ultimo luogoriprendono vigore e diventano capaci di maggiore attività le opposizioni più omeno clandestine, più o meno estremiste, che sono riuscite a resistere allarepressione autoritaria. E’ importante che questa opposizione cresca eprefiguri la possibilità di un’alternativa politica senza la quale la crisi potrebbedurare indefinitamente. In molti casi si ha uno specifico evento acceleratore diordine interno o internazionale, perché vi sia crisi è quasi sempreindispensabile che un attore prima appartenente alla coalizione autoritariaprende l’iniziativa ai fini di un mutamento del regime. Diversi autori si sonoconcentrati sulle differenze di crollo tra i regimi autoritari e quelli totalitaririlevando che i secondi crollano quasi sempre a seguito di un intervento daparte di attori esterni, internazionali ma questa tesi è stata largamentesmentita alla fine degli anni ’80 con il crollo dell’URSS. La stabilizzazioneautoritaria della Russia con Putin e le trasformazioni della Cina hanno portatoalla luce una novità politica importante: la possibilità di un regimeautoritario civile ma non di mobilitazione, fondato su ordine, stabilità,crescita economica come elementi centrali che assicurano sostegno alregime da parte di una quote consistente di popolazione. Nelle formeingannevoli ed accattivanti della pseudo democrazia, questi regimi hannoelezioni, in qualche caso perfino competitive a livello locale e, nel caso dellaRussia, con più di un partito.

Fu Linz ad iniziare a rilevare differenze ed a compiere la prima scrematuracirca cosa risponde o meno a criteri democratici suddividendo i vari regiminelle 4 tipologie basilari.Cap.7 : Partecipazione politica e Movimenti socialiLA PARTECIPAZIONE POLITICAIl tema della partecipazione è centrale per le democrazie rappresentative dioggi, dove le decisioni vengono prese da agenti, eletti dal popolo e da esso

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delegati a governare. La stessa sovranità popolare prevede la partecipazioneche in Europa si è sviluppata alla metà del XVIII sec. Partecipazione è ancheespressione di sostegno e delega al popolo nella forma del referendum cioèdella consultazione diretta degli elettori su specifiche e singole tematiche. Lapartecipazione politica è stata definita come il coinvolgimento del singolonel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteresse totale allatitolarità di una carica politica. Essa comprende quei comportamenti deicittadini orientati ad influenzare il sistema politico. Alcune ricerche sullapartecipazione ne hanno mostrato il carattere di selettività, in particolare apartire dagli anni ’60 è stato rilevato che la democrazia convive con tassimolto bassi di partecipazione, altre ricerche effettuate nello stesso periodo inUSA, Germania, UK, Italia e Messico hanno mostrato come l’interesse per lapolitica sia limitato e che la quantità di persone coinvolte si riduce man manoche si sale nel grado di impegno. Il problema della selettività è che lapercentuale di coloro che partecipano tende a non essere rappresentativadella popolazione nel suo complesso. Ci sono spesso forti disuguaglianzedovute al livello d’istruzione, al ceto, al sesso, allo stato civile, al luogo diresidenza, all’appartenenza o meno ad una maggioranza etnica, all’impegnoin associazioni. Tutto questo a confermare l’ipotesi che tanto più alto è lostatus sociale, tanto maggiore sarà la partecipazione; le disuguaglianzesociali si riflettono infatti anche in politica. Inoltre chi ha prestigio ha anchemaggiore influenza, chi ha un alto status ha maggiori occasioni dipartecipazione attiva, maggiori conoscenze e sa come e cosa fare. Nelledemocrazie le uguali opportunità di accesso sono disegualmente utilizzatedai vari gruppi sociali, dunque l’ipotesi dell’uguaglianza politica è e resta, inparte, un’utopia. A partire dagli anni ’70 è stata rilevata la crescita di nuoveforme di partecipazione, non convenzionali che per essere efficaci siuniscono a quelle convenzionali in modo da formare una sorta di repertoriodi azione collettiva. Successivamente ci si accorse dell’esistenza di certi“stili” di partecipazione, cosicché alcuni gruppi tendevano a privilegiare alcunistili, altri gruppi altri. Incrociando la partecipazione ad attività convenzionali equella ad attività non convenzionali si possono distinguere cinque categorie dicittadini:

Inattivi: coloro che al massimo leggono di politica e firmano unapetizione

Conformisti: coloro che si impegnano un po’ di più nelle attivitàconvenzionali

Riformisti: coloro che partecipano ma ampliano anche il propriorepertorio abbracciando forme legali di protesta, dimostrazioni oboicottaggi

Attivisti: coloro che ampliano al massimo il proprio repertorioarrivando ad abbracciare forme non convenzionali

Protestatari: coloro che adoperano tutte le forme non convenzionalima si rifiutano di fare ricorso a quelle convenzionali

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La crescente partecipazione, anche non istituzionale, è segno del duraturoampliamento delle potenzialità d’intervento dei cittadini ma se lapartecipazione tradizionale è rimasta stabile, invece è cresciuta quella nonistituzionale. In generale si è ridotta col tempo la diffe- renza nei tassi dipartecipazione, i cittadini sono divenuti più distanti dai partiti politici e dalleèlites, più critici del sistema politico e si sono diffuse forme non convenzionalicome la firma di petizioni o boicottaggi.I MOVIMENTI SOCIALIAlla fine degli anni ’80 si parlerà di una esplosione di scritti sui movimentisociali che sono definibili con un concetto che fa riferimento a: reti diinterazioni prevalentemente informali basate su credenze condivise esolidarietà che si mobilitano su tematiche conflittuali attraverso un usofrequente di varie forme di protesta. A differenza dei partiti e dei gruppi imovimenti sociali sono invece composti da reticoli dispersi e debolmenteconnessi di individui che si sentono parte di uno sforzo collettivo, senza lanecessità di aderire ad una specifica organizzazione. Queste reti di relazioniassolvono la funzione di permettere la circolazione delle risorse necessarieper l’azione fornendo nuove interpretazioni della realtà. Infatti esse vengonoconsiderate come costituenti un movimento sociale nella misura in cui i loromembri condividono un proprio sistema di credenze, dando vita a nuoveidentità collettive. Per questo i movimenti sono stati considerati come iprotagonisti del mutamento sociale. I valori emergenti sono poi alla base delladefinizione dei conflitti. Le società contemporanee, altamente differenziatenuovi movimenti sociali tenterebbero di opporsi alla penetrazione dello stato edel mercato nella vita, rivendicando la ri-appropriazione della propria identitàcontro questa manipolazione onnicomprensiva del sistema. Infine essi sicaratterizzano per l’adozione di forme “inusuali” di comportamento politico; inprimo luogo della protesta come modo per fare pressione politica ovvero unaforma non convenzionale di azione che rompe la routine quotidiana.Alcune forme di protesta si avvicinano al modus operandi di una battaglia, loscopo è quello del danno materiale. Nella sua forma più estrema essa siincarna nella violenza politica. La protesta è un’azione dirompente che sfidale èèlite politiche ed ha un valore simbolico con lo scopo di delegittimazionedello stato. Un’altra tipologia frequente di protesta è quella basata sullalogica dei numeri: quanto maggiore sarà il numero dei partecipanti tantomaggiore sarà non solo il disturbo prodotto nell’immediato ma anche ilpotenziale di perdita del consenso da parte dei governanti. La protesta inquesto senso serve a richiamare l’attenzione dei rappresentanti eletti facendoloro intuire che esiste una maggioranza diversa nel paese che non concordacon le decisioni prese o in procinto di prendere dalla maggioran za politica. Apartire dagli anni ’70 invece si è diffusa un’altra forma di protesta basata sullalogica della testimonianza: azioni che mirano a dimostrare un forte impegnoper un fine considerato di vitale importanza; gli attivisti si pongono l’obbiettivo

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di dimostrare collettivamente la possibilità di agire per il raggiungimento diuno scopo. Questa logica permea, ad esempio, le tecniche di disobbedien-zacivile basata sull’infrazione consapevole e sulla disobbedienza a leggicomuni.Mentre studi precedenti si limitavano a guardare con sufficienza la psicologiadei movimenti sociali e delle forme di protesta attribuendone gli sviluppi allasostanziale irrazionalità delle masse, studi più recenti hanno sottolineatocome i movimenti abbiano oggigiorno raggiunto livelli di complessità e diorganizzazione ben definiti, con una sociologia ben strutturata alla base di talistudi si è stati portati a considerare essi sempre più come single issueovvero come movimenti con forme d’azione sempre più convenzionali ed intaluni casi, burocratizzate. Al giorno d’oggi le contestazioni politiche hannoraggiunto livelli transnazionali, non promosse da coalizioni occasionali esse siinquadrano nell’ambito di un percorso, avviatosi negli anni ’90, di crescita diquella che alcuni studiosi hanno definito “società civile globale”. Le nuovetecnologie della comunicazione hanno anche facilitato iterazioni trasversalitra differenti aree e movimenti. Le dimostrazioni di Seattle hanno ancheavviato una nuova ondata di “politica in piazza” che si realizza spessodurante i controvertici definiti come arene di iniziative di livellointernazionale organizzate durante i summit ufficiali ed in cui siaffrontano gli stessi temi da un punto di vista critico. Bersaglio di questeazioni sono le politiche finanziarie internazionali ma anche le scelte politichedei governi nazionali considerati responsabili di crescenti ingiustizie sociali.Soprattutto a partire dagli anni ’70 si è sviluppata una corrente di studi che haconsiderato i movimenti sociali come parte del normale processo politico,centrando l’analisi sul tema della mobilitazione delle risorse necessarieall’azione collettiva. In questa ottica i movimenti sociali agiscono in modorazionale, propositivo ed organizzato, le azioni di protesta derivano da uncalcolo di costi e benefici influenzato dalla presenza non solo di conflitti maanche di risorse necessarie ad attivare questi conflitti. La ricerca ha inparticolare sottolineato il ruolo degli imprenditori politici o, più spessoorganizzazioni, nel mobilitare lo scontento, ridurre i costi dell’azione, utilizzaree creare reti di solidarietà, acquisire consensi, distribuire incentivi ai membri.Nell’analisi delle risorse interne a un gruppo l’attenzione si è soffermatasoprattutto sulle forme di organizzazione. Per questo è bene distinguere trarisorse e motivazioni individuali e di gruppo infatti a livello di gruppo più unacategoria sociale è organizzata più è capace a prendere parte effettiva allavita politica: l’organizzazione può quindi compensare l’assenza di altrerisorse. La partecipazione è facilitata dall’appartenenza ad organizzazioniformali che spesso operano come canali di reclutamento oppure dalla rete diconoscenze ed amicizie. Queste reti contribuiscono al formarsi, nell’individuo,del proprio punto di vista sul mondo inoltre contribuiscono a cementare leamicizie e quindi a fare da collante per il gruppo nella sua interezza.D’altronde la presenza di reticoli di relazioni sociali intense e socialmente

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omogenee avrebbe favorito la scelta di cooperare facendo crescere quelloche Karl Marx aveva definito “coscienza di classe”. Organizzazione e reticolisociali favoriscono la partecipazione nella misura in cui essi produconoidentità collettive e cioè senso di appartenenza ad un gruppo: l’identità comesenso di appartenenza ad un “noi” collettivo facilita la partecipazione e seessa è una precondizione dell’azione politica, al contempo ne è un prodotto.Lo sviluppo di nuove forme di partecipazione è stato legato anche allecaratteristiche della cultura politica: un profondo mutamento nel sistema divalori che aveva caratterizzato la modernizzazione avrebbe favorito ildiffonderi soprattutto delle forme più innovative di partecipazione. La tesidello scienziato Inglehart ha poi sottolineato una sorta di “gerarchia dibisogni” sicchè i bisogni di ordine elevato come la crescita intellettuale edartistica siano concepibili soltanto dopo che sono stati soddisfatti bisogni dilivello più basso come la sopravvivenza fisica, la salute ma col passare deltempo, paragonando i nati dopo la seconda guerra mondiale in condizioni dibenessere economico rispetto ai loro predecessori ci si è accorti che oggisono emersi valori del tutto conseguenti a quei valori che Inglehart definivabassi o materialistici. I valori cui oggi si fa riferimento nelle rivendicazionisono valori definiti “post-ma terialistici”: temi riguardanti l’autorealizzazionedi sé, la propria maturazione e crescita, lo stile di vita. Lo sviluppo di nuoveforme di partecipazione è stato anche spiegato a partire da variabilisocioeconomiche e politiche ovvero in termini di crescita del benessere edella istruzione. Anche la progressiva apertura dei canali di accesso alleistituzioni come il decentramento territoriale, la separazione funzionale delpotere, le strategie messe in atto dai membri di un sistema sono state levariabili che nell’ambito della organizzazione politica hanno favoritol’ampliamento della partecipazione. Tuttavia la non partecipazione spesso può essere un indice del consenso allademocrazia in quanto la crescita della partecipazione molto spesso è indicedi scontento nei confronti di chi è al governo. Uno dei rischi dellapartecipazione è la sua tendenza all’accumulo di domande creando rischi di“sovraccarico”. Secondo uno studio molto discusso l’elevato tasso dipartecipazione può portare anche alla crisi di una democrazia ovvero afenomeni di disordine civile, crollo della disciplina, indebolimento dei leader,scarsa fiducia nella legittimità del regime e alienazione dei cittadini. Se la protesta è stata vista come negativa per la democrazia, alcuni studi nehanno analizzato gli effetti positivi: paragonando le reazioni di un cittadino diun sistema politico a quelle del consumatore di mercato sono state distintedue strategie per esprimere scontento:

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Entrambe, in dosi eccessive possono danneggiare l’impresa dunque ènecessaria anche una certa dose di lealtà ovvero di attaccamento affettivo inquanto esso porta ad accettare i comportamenti di un determinato sistema odi una organizzazione. Permettendo ai cittadini di protestare i sistemi stessipotranno migliorarsi riconquistandone la fiducia, sotto questo profilo è benefavorire la voce rispetto all’uscita. La partecipazione è stata vista in generalefavorevole allo sviluppo di una democrazia in quanto favorisce il pluralismorispetto all’autoritarismo. Inoltre come già anticipato da Tocqueville lapresenza di capitale sociale (composto da tutte quelle risorse sociali cheaiutano a “fare le cose” cioè quegli aspetti dell’organizzazione che facilitanol’azione) favorisce il buon governo. Le associazioni svolgono un ruolofondamentale nello sviluppo di virtù civiche ma non sono l’unico fattore disviluppo di capitale sociale: vi concorrono anche la famiglia, le scuole, leChiese, i movimenti, i partiti e le istituzioni-Cap.8 : I gruppi di pressioneI GRUPPI DI INTERESSE Già durante la Repubblica e poi l’Impero Romano erano presenticorporazioni ovvero organizzazioni che raccoglievano individui eserci-tanti lostesso mestiere; durante il Medioevo le cosiddette “gilde” assunseroimportanti funzioni di governo e si tramandarono fino alla RivoluzioneFrancese che tuttavia puntò a screditare questi corpi intermedi tra il cittadinoe lo Stato poiché possibili fonti di “fazionismo” dannoso per il bene comune. Illiberalismo, dottrina dominante del XIX sec. propugnò valori quali la libertà dilavoro e di associazione ed assieme alle rivendicazione della classe operaiacominciarono a diffondersi le prime Società di mutuo soccorso divenute inun secondo momento gli antenati degli odierni Sindacati. Alla fine del 1800emersero i primi sindacati di mestiere e successivamente quelli industriali,fu con la prima guerra mondiale che si ebbe un momento di grandeespansione di rappresentanza di specifici interessi, che giocarono un ruolofondamentale nella mobilitazione dello sforzo bellico. In generale possiamodire che i processi di modernizzazione, gli sviluppi tecnologici, la diffusionedell’’istruzione e la crescita dei ceti medi sono state le variabili maggiormentesignificative per la propensione ad associarsi. Tutt’ora la definizione di gruppodi interesse e quella di gruppo di pressione risultano differenti e controversesebbene spesso questi due concetti vengano associati:

EXITStrategia di uscita

L’uscita si riferisce all’abbandono di un prodotto per un altro ed è tipica del sistema economico. In questo caso l’uscita da una opzione che appare negativa viene utilizzata come strategia per salvaguardare il proprio benessere.

VOICEStrategia di protesta

Reazione politica tipica, essa consiste nel tentativo di cambiare invece che eludere uno stato di cose riprovevole sollecitando individualmente o collettivamente il management direttamente responsabile sia appellandosi ad una autorità superiore sia mediante vari tipi di azioni e proteste volte a sollevare l’opinione pubblica.

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- Secondo Bentley il significato del termine “gruppo” non è univoco:un gruppo coincide con ogni sezione della società con interessipropri che agisca o tenti di agire. Non c’è gruppo senza interesse

- Secondo Truman un gruppo di interesse è qualsiasi gruppo chesulla base di uno o più atteggiamenti condivisi, presenta domandead altri gruppi della società

- Per Almond e Powell un gruppo di interesse è un gruppo diindividui legati da comuni preoccupazioni o interessi e consapevoli diquesto legame.

Il concetto di gruppo di pressione sottolinea in maniera più specifical’azione di un gruppo in politica; non tutti i gruppi fanno pressione ovverosono attivi in politica. All’azione di pressione si riferisce anche il termineinglese “lobbying” (derivante da lobby = ingresso), usato per indicarel’azione dei delegati dei gruppi di interesse in contatto diretto conparlamentari, membri del governo, burocrati, al fine di influenzare lescelte politiche per condurle a proprio vantaggio. Il concetto di gruppo sottolinea la volontarietà dell’appartenenza: un gruppodi interesse può essere definito come un insieme di persone, organizzatesu basi volontarie, che mobilita risorse per influenzare decisioni econseguenti politiche pubbliche. La sostanziale differenza con i partiti stanel fatto che i gruppi cercano di influenzare le politiche pubbliche, non dieleggere i propri rappresentanti in parlamenti e governi.La funzione principale dei gruppi è l’articolazione degli interessi ovvero laformulazione di una domanda politica in forme e modalità molto diverse. Aquesto punto è utile osservare il particolare caso italiano dove l’articolazioneparticolaristica di tipo clientelare è largamente diffusa: il tentativo diottenere vantaggi spinge gli individui a creare un rapporto di scambio di favoricon esponenti politici con posizioni elettive o solo interne ad un partito digoverno. Per quanto invece riguarda la modalità organizzata di articolazione, i gruppipossono essere distinti in quattro tipi:

Gruppi di interesse anomici: folle e rivolte disorganizzate,espressione di una protesta o lamentela sporadica che cresconovelocemente ed altrettanto si estinguono.

Gruppi di interesse non associativi: basati su identità condivisequali razza, etnia, religione, lingua; interessi comuni in quanto allabase di una identità collettiva.

Gruppi di interesse istituzionali: corpi legislativi, forze armate,burocrazie e chiese si trovano all’interno di istituzioni, con unastruttura di ruoli altamente organizzata.

Gruppi associativi: strutture specializzate per l’articolazione degliinteressi che sono specificamente designate a rappresentare gliobbiettivi di un gruppo in particolare. Esempi ne sono i sindacati, leorganizzazioni imprenditoriali e settoriali o religiose o etniche.

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Le modalità d’azione dei gruppi possono essere le più diverse. In relazioneai contenuti, alle risorse ed ai canali a disposizione si può far ricorso a formed’azione convenzionali (anche semplici comunicazioni e contatti) o forme dipressione più forti come campagne verso l’opinione pubblica, ricorso ingiudizio, finanziamento altrui, corruzione. Se tutte queste forme hannosuccesso – di qualunque natura esse siano – l’articolazione degli interessi èdivenuta domanda politica. Per quanto riguarda gli obbiettivi dei gruppi si èdistinto tra gruppi di difesa di interessi “oggettivi” come i gruppi formati apartire da differenze occupazionali e gruppi fondati sull’espres-sione dipreferenze morali come i gruppi filantropici, quelli umanitari o altri. Inoltre èutile distinguere tra gruppi di difesa di interesse pubblico e gruppi di interessespeciale: i primi difendono l’interesse comune condiviso da tutti i membri diuna comunità nazionale, i secondi interessi parziali che avvantaggiano alcunigruppi a differenza di altri. Modalità d’azione e obbiettivi sono condizionati econdizionano le risorse. Le risorse a disposizione dei gruppi sono statedistinte in sei possibilità, combinabili al fine di rendere l’azione più efficace:

- Risorse economico-finanziarie = possedute in abbondanza dagruppi associativi imprenditoriali o comunque i cui membripossiedono un alto status economico.

- Risorse numeriche = proprie dei gruppi che possono mobilitaresettori sociali molto ampi ad esempio i lavoratori organizzati inassociazioni sindacali operaie.

- Risorse d’influenza = in cui valgono le conoscenze personali, lafacilità di accesso alle sedi decisionali, a canali di pressione rilevanti.

- Risorse conoscitive = cioè dovute al monopolio o quasi-monopoliodelle conoscenze tecniche relative al settore in cui si esprimono.

- Risorse organizzative = derivanti dall’esistenza di strutture efficientidel gruppo nell’esprimere ed articolare le proprie domande.

- Risorse simboliche = le risorse che permettono di convogliareconsenso facendo appello a valori simbolici o simboli.

I gruppi con elevate risorse economiche possono fare appello a sanzionimateriali o togliere i finanziamenti per ottenere i propri obbiettivi, anche lerisorse numeriche sono rilevanti; inoltre i gruppi con risorse simboliche sonopiù avvantaggiati nell’acquisizione di consenso mediante la propaganda.RAPPORTI TRA GRUPPI E PARTITINel considerare questo rapporto bisogna analizzare come ed in che modo ipartiti diventino e rimangano dei gatekeepers cioè “controllori di accesso”rispetto agli interessi sostenuti dai gruppi. I partiti possono essere consideratitali se con tutto il loro apparato elettivo, con i propri interessi autonomiriescono ad essere presenti in ogni arena decisionale, centrale o anchelocale e a determinare sia l’accesso vero e proprio sia l’agenda e i risultatidecisionali che toccano gli interessi sostenuti dai gruppi. L’aspetto centrale èche i gruppi non possono portare avanti o vedere realizzati i propri interessise non passano attraverso i partiti o le élite partitiche ovvero non hanno un

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accesso diretto alle sedi decisionali, specie in sede governativa eparlamentare. Dal punto di vista dei gruppi l’intervento sul partito puòavvenire a livello elettorale, interno al partito, a livello delle decisioniprogrammatiche (magari attraverso posizioni e proposte suggerite dai gruppia membri di un partito) e a livello decisionale (parlamentare, in aula ocommissione o con interventi diret-ti di esponenti del gruppo su parlamentario membri del governo). Gruppi e partiti scambiano influenze e risorse; i partitipossono necessitare delle competenze tecniche di un gruppo circa undeterminato ambito o spesso della semplice approvazione dei soggettiinteressati. Circa i rapporti partito/gruppo sono 4 le situazioni da analizzare:

INFLUENZA SINDACATO SUL PARTITO -+

Il caso italiano è stato invece caratterizzato da un modello di sindacato diclasse: l’operaismo sindacale ha creato l’illusione della rappresentanzasindacale; il rifiuto dell’idea che gli interessi della classe operaia potesseroopporsi non solo a quelli dei capitalisti ma anche a quelli “ non antagonistici”comportò il rischio che “l’interesse di parte venisse scambiato per quellogenerale.” Inoltre i sindacati gestirono completamente l’ondata di proteste apartire dall’autunno caldo come un movimento politico più che sociale. LA TEORIA PLURALISTA DEI GRUPPIIn questa teoria l’esistenza dei gruppi è vista come fonte di equilibrio,socializzazione, autonomia della società dallo Stato. La pluralità garantisce equilibrio, la competizione porta alla mediazione, tuttoquesto è beneficio per la democrazia. La mobilitazione inoltre produce contro-

PART ITO

SU

SINDACATO

OCCUPAZIONE: uno o più partiti prevalgono su gruppi.Situazione in cui il reclutamento e la nomina di attività decisionali vedono la preminenza assoluta degli esponenti del partito, gli interessi del gruppo sono subordinati a quelli del partito. I gruppo non può nemmeno scavalcareil partito e fare ricorso alla burocrazia senza che questo richieda appoggio elettorale o di altro tipo.

NEUTRALITA’: partiti gatekeepers e gruppi autonomiI partiti mantendono il loro ruolo di controllori dell’acces so ed i gruppi preferiscono non stabilire alcun contatto privilegiato con un partito. Questo modello comporta l’autonomia dei gruppi che possono realizzare un appellomultipartitico. Esiste poi la possibilità in cui il gruppo nonabbia nemmeno bisogno di interagire con un partito poi chè possiede da solo l’accesso diretto alle sedi decisiona li. In tale caso il partito è visto come secondario.

EGEMONIZZAZIONE: il gruppo egemonizza il partitoUn gruppo che condiziona completamente il partito a livellodi nomina e reclutamento. In sostanza il partito è espres-sione del gruppo, offrendo ad esso un accesso indiretto alle decisioni pubbliche.

SIMBIOSI: partito e gruppo si rafforzano a vicenda nelle rispettive sfere d’attività. Sono in una posizione paritaria. Visono situazioni in cui il sindacato è costretto ad appoggiarsial partito ma può sostentarsi in completa autonomia. Non vi è una relazione simmetrica. Si è parlato di due tipi di rapporti: di clientela (1 o più gruppi riescono ad ottenere un accesso privilegiato alla pubblica amministrazione) o paren tela (rapporti privileg.con un partito): in queste situazioni i rapporti tra partiti e sindacati sono influenzati dalle caratte ristiche che hanno assunto gli ultimi; alcuni si sono limitati a rappresentare, altri hanno assunto un ruolo politico.

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mobilitazione, due fenomeni che concorrono nella realizzazione di equilibriotra pressioni contrastanti.In secondo luogo gli effetti della partecipazione sono visti comeparticolarmente socializzanti: la vita nelle associazioni educa, la tolleranza èfacilitata dalle appartenenze multiple e l’affiliazione ai diversi gruppi checontribuisce a creare una rete di appartenenze trasversali aumental’integrazione tra individui.In terzo luogo gli individui che si organizzano in gruppi sono menodipendenti dalle istituzioni pubbliche infatti da una parte i gruppi, essendoattori centrali nella democrazia esprimono la capacità di organizzarsi dalbasso.Dalla teoria pluralista consegue una visione della politica comemediazione piuttosto che esercizio di autorità. Tuttavia sono state mossenumerose critiche alla teoria pluralista: in primo luogo si è osservato che lamobilitazione dei gruppi era limitata e che era fonte di ineguaglianza (bastiosservare le diseguali risorse a disposizione dei vari gruppi). La presenza diun interesse collettivo inoltre non è condizione sufficiente alla formazione diun gruppo e per di più l’esistenza di questo interesse comune non portaautomaticamente all’azione collettiva: perché l’azione sia collettiva occorronoincentivi materiali o simbolici ai membri o - più raramente - metodi coercitivi.Inoltre l’organizzazione stessa è più facile per quei gruppi che dispongono dielevate risorse economiche in quanto sono disposti a dedicare parte di esseall’articolazione degli interessi.IL MODELLO PLURALISTA E QUELLO NEOCORPORATIVO ACONFRONTO

Culla del neocorporativismo sono state le democrazie scandinave, l’Austria,la Svizzera, poi Belgio ed Olanda; dotati di associazioni di classe e settorialiben organizzate e con economie fortemente integrate su scala internazionalema caratterizzati anche dalla presenza di partiti socialdemocratici forti estabili nell’ambito di politiche neutrali nel settore estero e relativamenteomogenei in campo culturale. Il neocorporativismo si è diffuso dove isindacati erano maggiormente vicini al governo. Una più effettiva libertà di

MODELLO PLURALISTA

Le associazioni sono multiple, volontarie, non gerarchiche, concorrenti e non necessariamente differenziate secondo criteri funzionali. Esse non hanno licenze, non sono riconosciu te né sovvenzionate, né create dallo Stato e né da esso controllate. Sono più frequenti i contatti con partiti diversi, lobbying parlamentare e campagne per mobilitare l’opinione pubblica e le azioni di protesta. Il sistema pluralista è carat-terizzato per una struttura organizzativa frammentata e po-vera di risorse che deve fare forte affidamento sulla sua base ed ha quindi difficoltà a sviluppare programmi di lungo perio-do. Riguardo alla logica di influenza i gruppi la esercitano attraverso varie forme di pressione, non ci sono rapporti strutturati. Tipiche sono le alleanze mutevoli.

MODELLO NEOCORPORATIVOLe associazioni sono singole, obbligatorie, non in concorren- za, gerarchiche e differenziate secondo criteri funzionali. Esse detengono una licenza, sono riconosciute, sovvenzionate e qualche volta sponsorizzate dallo Stato e controllate. I contat ti istituzionali tra gruppi e governo sono frequenti ed efficaci: i gruppi hanno spesso responsabilità anche nella realizzazione delle politiche mentre sono più rari contatti con partiti. Un sis tema tale ha associazioni forti, integrate e ricche di risorse, relativamente indipendenti dai membri e capaci di sviluppare prospettive di lungo termine. Un sistema istituzionalizzato di iterazioni attribuisce alle associazioni ruoli particolari nella realizzazione delle politiche. Tipico del sistema neocorporativo è la concertazione ovvero l’accordo tra più attori governativi e non, sulle politiche da realizzare; i compromessi sono stabili.

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associazione, maggiore capacità di azione collettiva, un più profondoimpegno nel perseguire politiche di pieno impiego, partecipazione diffusa edorganizzata e una conseguente accettazione collettiva delle decisionipolitiche inoltre l’informazione specializzata, la necessità di pianificazione, dimaggiore sicurezza negli investimenti e gli imperativi fondamentali diassicurarsi la pace sociale, di flessibilità della manodopera, di contenimentodei salari allo scopo di accrescere la competitività internazionale sono tuttifattori che hanno favorito il neocorporativismo. Lo sviluppo di un sistemaneocorporativo è stato tuttavia ostacolato in gran parte dalla frammentazionedelle organizzazioni di rappresentanza degli interessi. Studi recenti hannoanalizzato come la diffusione delle dottrine monetariste così comel’indebolimento dei sindacati in termini di iscritti e sostegno politico sarebberostate alcune delle cause della crisi recente in cui si sta imbattendo il modelloneocorporativo. A questo si aggiunga che esso mal si adatta alla gestionedelle relazioni tra gruppi di interesse e poteri pubblici a livello sopranazionale;ad esempio nell’Unione Europea il modello di rappresentanza funzionale èstato in gran parte quello di tipo pluralista costituito da una molteplicità diorganizzazioni non monopolistiche ed una limitata partecipazione di essi alledecisioni pubbliche. Cap.9: I partiti politiciIL CONCETTO DI PARTITOA lungo considerati gli attori fondamentali delle democrazie rappresentative, ipartiti politici hanno visto susseguirsi numerosi studi e numerosi definizioniche cercassero di essere comprensive di tutti i loro aspetti. Una delledefinizioni più note è stata fornita da Max Weber: associazioni fondate suuna adesione formalmente libera, costituite al fine di attribuire ai propricapi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale (oggi unoStato) ed ai propri militanti attivi possibilità ideali e materiali per ilperseguimento dei fini oggettivi o vantaggi personali o entrambi. InoltreWeber distingue tra partiti orientati a proporre una nuova visione del mondo equelli orientati ad attribuire potere ai leader. Un’altra definizione nota è quelladi Downs: una compagine di persone che cercano di ottenere il controllodell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni. Lo scopo di tutti ipartiti politici è quello di influenzare l’ordinamento e l’apparato di persone cheguidano un qualsiasi tipo di comunità sociale; la strategia dei partiti consistenella conquista di cariche elettive. Si possono analizzare i partiti in base allefunzioni che essi esercitano:

Strutturazione delle domande: i partiti danno forma alle domande, nesono recettori:

Strutturazione del voto: (è monopolistica) consiste nel presentare listecon propri simboli e candidati in modo da fornire una scelta ristretta aglielettori.

Socializzazione politica: essi inculcano valori, insegnano ad occuparcidella collettività

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Reclutamento dei governanti: i partiti sono i principali canali diselezione del governo

Controllo dei governati sui governanti: in quanto i partiti sonostrumenti di collegamento governo/cittadini

Formazione delle politiche pubbliche o policies: elaborandoprogrammi i partiti sono fondamentali nel network decisionale.

Il rapporto tra partito ed elettore si basa sull’analogia“produttore/consumatore” (non sempre all’insegna della qualità e del prezzo)e si è parallelamente parlato, col tempo, dell’elettore come “homooeconomicus” nel cosiddetto “approccio della scelta pubblica” : in questoapproccio la dipendenza degli eletti dagli elettori avrebbe una conseguenzanegativa producendo debito pubblico ed inflazione. Volendo soddisfare ilmaggior numero degli elettori, gli eletti utilizzerebbero a piene mani lapossibilità di distribuire beni e servizi, non preoccupandosi della crescita deldebito nel lungo periodo. IDENTITA’ COLLETTIVE E PARTITIQuanto della costruzione della identità collettiva è oggi affidato ai partiti? Inpassato erano le ideologie a fare da collante, oggi queste hanno persoterreno poiché nella massa si è persa la capacità di azione di stimoliideologici. Oggi il partito come “luogo che accoglie dalla culla alla bara” non èpiù specchio della realtà. Si sono dunque perse le strutture ingessate ma c’èancora enfasi nella partecipazione politica, sono più diffusi i movimentitemporanei e molte scelte di voto sono motivate da identità partitiche. Si èparlato dunque di un “approccio identitario alla politica” per il qualel’essenza stessa della politica sarebbe la capacità di costruire identitàcollettive attraverso un uso sofisticato dell’ideologia. Ancora oggi si svolgonodue attività parallele:

Il partito si da una struttura commisurata allo scopo che si è prefisso. MaxWeber ha proposto un’analisi dell’evoluzione dei partiti nel tempo,raggruppandoli in modelli benché si possa utilizzare – in qualità di criteriosuddivisore – anche la filiazione ideologica.Weber ha distinto inizialmente due tipi fondamentali:

IDENTITA’ IDENTIFICANTE

Consiste nel costruire, preservare, rafforzare le identità politiche. Nel produrre simboli in cui la collettività si riconosce, comunicare solidarietà e concordare l’azione collettiva.

Sebbene oggi esista in forma più frammentata, è un’atti-vità più efficiente per i movimenti.

IDENTITA’ EFFICIENTE

I politici prendono decisioni direttamente intese a migliorare la posizione relativa dell’entità collettiva che essi rappresentano nel sistema in cui essa agisce.

Le decisioni finali efficienti spettano esclusivamente ad un personale partitico o governativo.

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Guardando ai partiti socialisti europei Neumann ha individuato una tipologiadi partiti definita PARTITI DI INTEGRAZIONE, i cui membri vengono integratiin una serie di associazioni vicine o appartenenti al partito stesso per ottenereun’adesione ideologica totale. Per questi partiti è stato scritto che “la suaorganizzazione si estende dalla culla alla tomba ovvero da associazioniassistenziali per l’infanzia a lavoratori per i forni crematori. Il partito ha presol’esistenza degli affiliati su di se.”Duverger ha invece distinto diversi tipi di partito facendo riferimento allastruttura organizzativa ovvero analizzandone la unità di base:

Otto Kirkheimer ha guardato alle trasformazioni dei partiti di massa neltempo, elaborando il concetto di CATCH-ALL PARTY – definito da Sartori inuna traduzione come PARTITO PIGLIATUTTO - per descrivere il nuovo tipodi partito che cominciava ad affermarsi nel secondo dopoguerra. Questo tipo

IL PARTITO IDEOLOGICO DI MASSA il cui motore di creazione è l’allargamento del suffragioCostituiti da politici di professione ovvero da individui che vivono di e per la politica, essi si sostentano tramite l’elargizione di stipendi o emolumenti. La presenza del partito nel territorio è capillare, la sua cellula base è la sezione e la sua attività è perma- nente. I finanziamenti sono forniti dagli iscritti. Alla base del partito c’è una vera e propria ideologia strutturata, sulla quale è costruita una fitta rete di adesioni volontarie e funzionariato stipendiato. La risorsa dei politici qui non è più la deferenza ma la delega.

IL PARTITO DI NOTABILI (da “notevoli”= persone insigni in ambito sociale ed in virtù di una buona condizione economica sonoin grado di agire continuativamente all’interno di un gruppo dirigendolo o amministrandolo)Costoro potevano occuparsi di politica avendo alle spalle una solida struttura di sostegno. Si formavano attorno ad un singolo individuo cui, in seguito si univano i nobili. La risorsa principale dei politici era allora la deferenza cioè il rispetto tradizionalmente legato alla loro classe di origine. Sono composti da un piccolo comitato e si riuniscono principalmente in periodi antecedenti alle elezioni, possiedono strutture non permanenti. (Duverger parlerà di “partiti di origine parlamentare” in quanto essi creano la loro rete di appoggi prevalentemente in Parlamento)

COMITATO(partito di notabili)

- Partiti liberali o repubblicano italiano -Formato da 12 persone o giù di lì, prevalente-mente appartenenti alle élite, con una adesione di cooptazione e la risorsa di prestigio sociale. I luoghi di adesione sono i circoli borghesi con unastruttura informale.

CELLULA(partiti di fabbrica)- Partiti comunisti -

Tipico delle fabbriche, conta un numero ristretto di persone e mira ad organizzare gli operai colle-gando le loro rivendicazioni ad un progetto poli-tico. La risorsa è l’attivismo collettivo, l’azione è totalizzante e l’adesione permanente

MILIZIA(corpi militari o para-militari)

- Partiti fascisti -Organo di tipo militare in cui vige una ferrea gerarchia. L’adesione è il reclutamento. Ha comerisorsa la fedeltà, sono richieste obbedienza assoluta e dedizione.

SEZIONE(partiti ideologici di massa)

- Partito socialista -Ha una adesione formale che si può sottoscrive re nel territorio vista la diffusione capillare, la risorsa fondamentale è l’attivismo, il tipo di strutture burocratica ed organizzata.

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di partito al fine di ottenere il massimo dei consensi attiva una serie dimodifiche nel suo assetto. Esso è caratterizzato da: Drastica riduzione del bagaglio ideologico Rafforzamento della classe dirigente al vertice Diminuzione del ruolo del singolo membro Minore accentuazione del ruolo di riferimento di una specifica classesociale o di una clientela confessionale (classe gardé) per reclutare inveceelettori tra la popolazione in genere. Facilitazione dell’accesso ai diversi gruppi d’interesseCol tempo la trasformazione dei metodi di propaganda ha determinato uncambiamento in quelli che da partiti di massa si erano evoluti in partitipigliatutto. Allora erano strutturati su un modello di propaganda esterna edinterna (ad esempio comizi seguiti da una serie di altre attività qualiproduzione di manifesti, volantini e la Stampa di partito). I documentiprogrammatici fornivano una linea. Con i cambiamenti dovuti all’avvento dellatelevisione anche i partiti dovettero adeguarsi. I partiti cercarono di costruirsiuno spazio nel canale televisivo in ragione di questo nuovo sviluppo mass-mediatico. Inoltre in Italia si assistette ad uno sviluppo quasi “missionario” delruolo dei capi di partito nelle elezioni. Calò il peso della ideologia e – per unalogica di vasi comunicanti – aumentò quello della burocrazia di partito che èin mano agli eletti. Cambiarono le forme di finanziamento in quanto le speseerano sempre maggiori; si ricorse ai gruppi di interesse con elevate risorseeconomiche, al finanziamento pubblico ed in qualche caso alle tangentiillegali. L’evoluzione portò dunque ad un nuovo tipo di partito, così comedescritto da Panebianco, che ne analizzò le trasformazioni organizzative, ilpartito PROFESSIONALE-ELETTORALE dove per “professionale” si intendenon più una adesione su base ideologica ma l’introduzione di personaleesperto che potesse migliorare la logistica configurandone l’impressione piùpragmatica. Questo tipo di partito è una evoluzione del partito burocratico dimassa e va oltre il catch-all party: Prevalgono competenze specialistiche Ha l’obbiettivo di vincere le elezioni dunque fa molta propaganda (i legamiorganizzativi verticali sono deboli, fa appello agli elettori) Preminenza dei dirigenti che “stanno sopra” Diverso finanziamento (tesseramento ed attività collegiali) Pone l’accento su “issues” (temi, problemi) e sulla leadershipSe prima prevalevano i “credenti” adesso vi si sono sostituiti i “carrieristi”,persone che non avanzano per ortodossia ma per meriti, capacità dicoinvolgimento ed “experties” ovvero esperti.Gli studiosi Katz e Mair hanno analizzato una tipologia di partito di cui moltosi è parlato di recente e nella quale si è vista l’evoluzione di molti elementi deipartiti, il CARTEL PARTY ovvero partito di “cartello” in quanto si fariferimento all’”oligopolio”, al “fare cartello” di u tempo; il concetto di cartelparty sottolinea la crescente collisione tra partiti che stipulano alleanze

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(cartelli appunto) per ottenere risorse pubbliche. Il punto di partenza degliautori è che i partiti avrebbero perso il contatto con la base sociale, cosìrendendo superflua la presenza di quadri intermedi, viene accentuato ilpotere della leadership e assume un ruolo importante il finanziamentopubblico. Questi partiti sono organizzati diversamente inoltre non detengono ilmonopolio in quanto altri partiti entrano all’interno del sistema politico. Essisono caratterizzati da una tripartizione dei sistemi organizzativi:- PARTY ON THE GROUND la base sociale che ha un rapporto più direttocon il #3- PARTY IN CENTRAL OFFICE composto dai manovratori della “macchina dipartito”- PARTY IN PUBLIC OFFICE composto da parlamentari, sindaci,rappresentantiFORMARSI DEI SISTEMI DI PARTITOPossiamo elaborare un approccio genetico alla costruzione dei sistemi dipartito: Rokkan ha elaborato una quasi-teoria sulla costruzione di essi e sullefamiglie di partiti ricollegandone la nascita al sorgere di fratture nei sisteminazionali all’interno dell’opinione pubblica ovvero tra chi auspica una cosa echi ne auspica una opposta. Le fratture attorno 4 grandi temi hanno dato vitaa CLEAVAGES (linee divisorie, spartiacque). Sono fratture socioculturalidovute a conflitti di volontà, le 4 cleavages hanno finito per allinearsi sustesse posizioni dando vita a famiglie:CENTRO PERIFERIA ¹STATO CHIESA ²CITTA’ CAMPAGNA ³CAPITALE LAVORO Legato a processi di formazione di Stati nazionali, contrasto tra centropropulsore di accentramento e zone periferiche “soggiogate” con costumi,tradizioni, usi differenti. Qual è la ricaduta sul sistema dei partiti? I contrastiinterni hanno portato alla formazione di partiti centralismi (in genere liberali)ed autonomisti (regionalisti, eteroregionalisti). Nasce con la riforma protestante, è un contrasto tra posizioneconfessionale e laica. Ha dato origine a partiti religiosi e liberali. Contrappone interessi dei ceti rurali a quelli dei ceti industriali cittadiniovvero posizioni protezionistiche contro posizioni di politica liberista (inparticolare hanno avuto grandi sviluppi in Europa centrale e settentrionaleche hanno visto la città maggiormente come sede di processi industriali). Ricalca la divisione tra imprenditori industriali e classe operaia ed è proprioquesto quarto punto ad aver maggiormente improntato la divisione tra destrae sinistra attorno al tema dell’intervento dello Stato per ridurre le fortidisuguaglianze sociali ed economiche cresciute dopo la rivoluzioneindustriale. E’ con questa frattura che nacquero partiti conservatori esocialisti.

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Vi è anche una quinta cleavage, più spesso definita come una sotto-cleavage, responsabile della spaccatura tra comunisti e socialisti riformisti.Sovranazionalmente tale classificazione delle cleavages portaall’inquadramento dei partiti in famiglie a cui appartengono quelli con radicicomuni. Ne ricaviamo ancora una volta l’idea che la politica segua una certaidealità:- Partiti liberali e radicali (borghesia vs. proprietari terrieri)- Partiti conservatori (privilegi dei proprietari terrieri e del clero vs.allargamento suffragio e altri diritti)- Partiti socialisti e socialdemocratici (classe operaia)- Partiti democristiani (Chiesa cattolica vs. crescente emergere democrazieliberali)- Partiti comunisti (scissione ideologica con socialisti, revisione al fine diaccettare in taluni casi elementi democratici e capitalistici)- Partiti etnico-regionalisti (difesa minoranze etnico-linguistiche)- Partiti agrari (difesa interessi campagne vs. rivoluzione industriale)- Partiti della destra radicale (antiliberali ed antidemocratici, xenofobi epopulisti)A seguito delle cleavages si è verificato il “congelamento” ovvero una bassafluttuazione del voto (volatilità) tra destra e sinistra. Il congelamento non solodelle strutture ma anche dei conflitti nel lungo periodo, avrebbe avutol’effetto positivo di incapsulare gli scontri sociali nel senso di una limitazionedelle divisioni sociopolitiche. Secondo ricerche recenti si assisterebbe adessoinvece all’inversione di tendenza ovvero ad uno “scongelamento” nelsistema dei partiti a seguito del cambiamento del peso relativo delle diversefamiglie spirituali ad alla nascita di alcuni nuovi partiti. Il declino dei partitireligiosi e dei partiti comunisti insieme all’emergere dei partiti ecologistisarebbero i maggiori responsabili di questo fenomeno.I partiti socialisti saranno, nella storia, i primi a darsi un ordinamento edun’organizzazione. Sebbene il cerchio delle cleavages si sia chiuso, dopo diesse c’è stata la nascita di alcuni partiti ecologisti quali i verdi per la quale èbalenata l’idea di una cleavage ecologista ma tale teoria non si è rivelataefficace e la nascita di tali partiti è stata piuttosto reputata un fenomenoanomalo poiché non vi è una posizione opposta che si è sviluppataall’ecologismo. Le posizioni pacifiste ed interventiste invece sono da definirecome posizioni monotematiche (ONE SHOT MOVEMENT) le quali dannovita a contrapposizioni ideologiche che non si coagulano. IL NUMERO DEI PARTITIUn’analisi classica dei sistemi li distingueva in tre tipologie: monopartitici,bipartitici, multipartitici. Mentre il sistema monopartitico, proprio dei regimiautoritari, vieta la formazione di altri partiti il sistema bipartitico come quellobritannico o statunitense vedono un’alternanza di potere abbastanzaequilibrata; qui l’elettorato elegge direttamente il governo, non si perde tempoin negoziati per creare coalizioni ed il governo è stabile. Nei sistemi

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multipartitici, vigenti nella maggior parte delle democrazie, generalmente visono coalizioni eterogenee ed instabili, radicalismo ideologico. Il numero deipartiti non è comunque sufficiente a definire la variabile che interessa gliscienziati politici ovvero le iterazioni reciproche tra essi, questo sistema diiterazioni sarebbe in gran parte influenzato dalla ideologia dei partiti ed inparticolare dal livello di polarizzazione ideologica (la collocazione deglielettori sull’asse destra/sinistra). Sulla base di questa precisazione vengonodistinte tra tipologie di regime monopartitico:

Partito singolo quando solo un partito è legale Partito egemonico quando esistono altri partiti in vece di satelliti del

partito principale Partito predominante quando esistono più partiti che competono con il

partito dominante in caso di elezioni ma non riescono effettivamente avincere.

Vi è poi un sistema con due partiti significativi ed una moderazione ideologicache permette un certo tipo di competizione. Si può dunque parlare di:

Sistema bipartitico quando i due partiti sono in grado di competere perla maggioranza assoluta dei seggi, almeno uno riesce ad ottenerla evuole governare da solo, l’alternanza o rotazione al potere sonoalternative credibili.

Numero di partiti e polarizzazione ideologica permettono di distinguere varisistemi multipartitici:

Multipartitismo (pluralismo) moderato quando il numero dei partitiche possiede un certo peso non supera i cinque, vi sono governi dicoalizione, la struttura del sistema è bipolare, con coalizioni checompetono l’una con l’altra spostandosi al centro per conquistarel’elettorato fluttuante.

Pluralismo polarizzato quando i partiti sono superiori a cinque tra cuivi sono partiti antisistema, due opposizioni bilaterali che non sialleerebbero mai, lo spettro delle opinioni politiche è ampio e vi è unatendenza centrifuga in quanto – essendo il centro occupato – se i partitisi spostassero al centro perderebbero elettori alle ali estreme. Lapolitica è qui estremista, c’è la tendenza a fare promesse che nonpotranno mai essere mantenute.

IL CASO ITALIANO è stato inizialmente considerato un caso dipluralismo polarizzato con numero di partiti rilevanti superiori a cinque,partiti antisistema (msi-pci), centro occupato dalla democrazia cristianaed una elevata polarizzazione dei cittadini nell’asse destra-sinistra.Questa teoria ha sollevato numerose critiche in quanto alcuni autori nonconsideravano il PCI come partito antisistema. A partire dagli anni ’60 siè vista in Italia una evoluzione del sistema pluralistico polarizzato inpluralismo centripeto: un sistema caratterizzato rafforzamento delcentro che progressivamente ha visto colmarsi con la nascita dei DS edi AN, partiti che progressivamente si sono avvicinati al centro.

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Cap. 10: La comunicazione politicaLa politica è ragionamento, capacità di argomentazione, uso del linguaggio,tutto questo, in una sola parola, comunicazione. Il ruolo di alcuni elementipropri della comunicazione quali l’uso della retorica e dei simboli è spessostato fondamentale nella costruzione di identità collettive ma molto spessoanche nella stigmatizzazione della manipolazione delle masse. Lacomunicazione politica dunque è stata così definita: lo scambio e il confrontodei contenuti di interesse pubblico-politico prodotti dal sistema politico, dalsistema dei media e dal cittadino-elettore. Le istituzioni democratiche, chesono arene di discussione, rappresentano comunità costruite su dibattiti,opinioni, critiche, giustificazioni ed opinioni pubbliche. In democrazia igovernanti sono sensibili nella loro discussione alle opinioni del pubblico, lequali – sottolinea Sartori – sono del pubblico nel senso che il pubblico ne è ilsoggetto. La presenza di una opinione pubblica libera è elementoindispensabile in una democrazia rappresentativa. La letiggitamzione deirappresentanti passa qui attraverso il ruolo della libera discussione sulledecisioni dei governanti. Nel parlamentarismo i candidati sono eletti sullabase di una fiducia personale, sulla base di relazioni locali, notorietà e sulladeferenza che suscitano. Il rappresentante è fiduciario dei suoi elettori. Conl’allargamento del suffragio il parlamentarismo viene sostituito dallademocrazia dei partiti: qui gli elettori tendono a riporre la propria fiducia sulpartito. Quella verso cui ci si muove oggi è invece una democrazia delpubblico: in questa nuova situazione i legami con i partiti si indebolisconomentre aumenta parallelamente per i candidati l’attenzione alle tecniche dicomunicazione. L’informazione diviene cioè più neutra, il dibattito emerge e siespande all’esterno dei partiti mentre manifestazioni pubbliche e sondaggiacquistano sempre maggiore importanza. Pur non essendo parte dello Stato,l’opinione pubblica è tale almeno in tre sensi:

a) l’oggetto di cui ci si occupa è la cosa pubblicab) lo strumento è il dibattito pubblico cioè visibile dall’esternoc) lo spazio dove cisi confronta è pubblico cioè aperto a tutti

L’opinione pubblica ha una fondamentale funzione in democrazia, essa silegittima tramite la sovranità popolare; per essere sovrano il popolo devedunque possedere ed esprimere un contenuto e l’opinione è appunto ilcontenuto che da sostanza ed operatività alla sovranità popolare: per questosi dice che la democrazia è governo di opinione. L’esistenza di una siffattaopinione è un fenomeno moderno che presuppone una società civileseparata dallo Stato, libera e pluralista. Già negli anni ’60, lo studiosoHabermas aveva analizzato l’emergere e l’affermarsi della sfera pubblica cioèdi un ambito di società civile – non statale ma pubblicamente rilevante – dovesi hanno discussioni pubbliche, visibili dall’esterno su temi di pubblicointeresse. Con l’estensione del commercio su larga scala internazionalecrebbe la necessità di avere informazioni provenienti da ovunque ed ilcapitalismo commerciale creò una classe sociale interessata al controllo

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sull’azione del governo. La sfera pubblica dunque si affermò assieme allaborghesia commerciale ed assunse, a poco a poco una posizione egemonicanella società. Nel corso del XVIIIsec. Si afferma la nozione di opinionepubblica connessa a quella di pubblicità: peculiare alla sfera pubblica è lostrumento usato per il confronto politico: l’argomentazione pubblica erazionale. Caffè, salotti, logge massoniche diventano i luoghi privilegiati per ladiscussione e lo scambio di opinioni che restano comunque appannaggioesclusivo di una élite. Dopo le rivoluzioni si afferma con forza il giornalismo,sganciatosi dalle pressioni assolutistiche dei governi e sarà proprio esso adiventare il maggior strumento per ampi, liberi dibattiti. MEDIA E VOTOGli studi contemporanei si sono soffermati in particolare sull’influenza deimedia sulla partecipazione politica, in particolare sul comportamentoelettorale. Dopo la prima guerra mondiale si aprì la prima polemica sullefalsità diffuse dai mezzi di comunicazione interventisti ed emerse il primogiudizio negativo di strumentalizzazione di questi; emerse l’immagine deimezzi di comunicazione onnipotenti, capaci di esercitare direttamente ovverosenza alcun filtro un effetto costante di influenza su un pubblico consideratoomogeneo ed amorfo. Le ricerche odierne hanno ridimensionato il ruolo deimedia sull’influenza individuando alcuni fattori molto più rilevanti chetenterebbero di fornire ragioni al comportamento elettorale:

- caratteristiche socio-economiche (pensare politicamente come si èsocialmente)

- tendenza a mantenere nel tempo la decisione di voto - scarsa influenza delle campagne elettorali anche mediatiche a causa

del radicamento di alcune scelte nel pubblico- relazioni con famiglia, amici, colleghi di lavoro in quanto la

comunicazione interpersonale tende ad essere uno dei maggioriveicoli per la formazione ed il mantenimento di una opinione politica.

L’attenzione si è quindi concentrata sull’individuo: se l’elettore tende ad agirein modo razionale e le informazioni a sua disposizione sono limate ecco che ilruolo dei giornalisti e dei media sarà accresciuto ed essi diverranno semprepiù dei gatekeepers nel controllo dell’accesso all’informazione. Diversi studihanno delineato una progressiva professionalizzazione delle campagneelettorali: dal cam biamento nella gestione che ha visto accrescere lapresenza di personale esperto, all’attenzione sia per le caratteristiche fisichedel candidato sia la capacità di comunicare. Tuttavia è rimasta limitata lareale efficacia delle campagne, esse si sono dimostrate efficienti soltanto nelcaso di elettori con scarsa attenzione per la politica. Se l’opinione pubblica è stata presentata come istanza intermedia traelettorato ed istituzioni pubbliche, sono stati individuati anche i potenzialirischi della comunicazione di massa:

- Anzitutto l’elaborazione di simboli è stata considerata un subdolostrumento di potere politico.

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- La comunicazione politica una tecnica di manipolazione ovverocome l’insieme delle tecniche sfruttate dai politici per sedurre,gestire, circuire l’opinione pubblica.

- I rischi di conformismo della massa e di dispotismo dellamaggioranza soprattutto a causa degli stessi mass-media, vistisempre più come manipolatori. L’immagine dei mass-medie si èandata trasformandosi ad essere sempre di più uno strumento diinganno piuttosto che di informazione.

L’espressione “mediatizzazione della politica” è stata sempre più usata perindicare un processo di progressiva autonomizzazione dei media da ognicontrollo politico ed addirittura di crescita della loro capacità di controllare lapolitica. Nelle ipotesi più pessimiste l’indebolimento dei partiti avrebbefavorito la trasformazione delle democrazie contemporanee in videocrazierafforzando il potere dei mezzi di comunicazione di massa. I principali effettinegativi della televisione in particolare sono stati:

- la televisione come incoraggiatore della politica “spettacolarizzata” oentertaining (per rispondere le esigenze dei media i politicitenderebbero ad inscenare la politica in modo da renderla piùappetibile al pubblico).

- la personalizzazione della politica, tendenza che rafforzaun’immagine monocratica del singolo candidato, votato più perl’immagine che per i contenuti del programma che intendesostenere.

- La superficialità dell’informazione: per concentrare gli avvenimentinei ridotti tempi televisivi si tende a fornirne un’immaginedrammatizzata ed incompleta, l’immagine viene frammentata insound bites, più adatta al coverage televisivo.

- La selezione arbitraria delle notizie.- L’aumento del costo delle campagne elettorali in quanto essa ha un

costo maggiore rispetto agli altri metodi propagandistici.- La manipolazione dell’elettorato, specie con l’utilizzo di appositi

sondaggi e con la strumentalizzazione dei relativi risultatiAlla videocomunicazione politica tuttavia si è cercato di guardare anche conun certo ottimismo, in particolare la televisione è apparsa come forum nelquale rappresentanti di interessi emergenti potessero trasmettere il propriomessaggio in modo da raccogliere consensi; inoltre se ne è tenuto conto inmaniera positiva per il ruolo che essa ha nelle azioni di propaganda: ilbisogno dei gruppi di contare sui media come “amplificatori” del propriomessaggio. Più in generale i media hanno assunto un particolare ruolo diadvocacy ovvero di patrocinio dell’interesse collettivo.Lo sviluppo tecnologico che oggigiorno sembra permettere un maggiorepluralismo nelle fonti di informazione ed una maggiore qualità e trasparenzaha fatto parlare di una “terza era della comunicazione politica”, dominata dallarivoluzione digitale (i nuovi mezzi avrebbero un effetto di riequilibrio) e dal

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predominio incontrastato di internet. Tra i suoi innumerevoli vantaggi Internetinfluenza il comportamento di singoli ed organizzazioni intervenendosoprattutto sulle modalità di iterazione tra individui e gruppi fino a promuovereuna e-democracy ovvero una crescita delle opportunità di partecipazionepolitica. L’uso di nuove tecnologie è positivo per la democraziarappresentativa in quanto può concorrere nel migliorare il rapporto tra cittadinied eletti., può garantire l’ampliamento del bacino di utenza in materia diproduttori d’informazione e dunque di riflesso incrementare la partecipazione:il pluralismo dunque e l’eterogeneità dei contenuti sono stati i suoi maggiorivantaggi e meriti.ATTORI E REGOLE DELLA COMUNICAZIONE POLITICATutti sappiamo bene che le opinioni non sono innate ma frutto di talvoltacomplessi processi di formazione. Lo studioso Karl Deutsch si è occupato diindividuarne i principali attori e le principali condizioni che influenzano lecaratteristiche della comunicazione politica elaborando una “approcciocibernetico” orientato cioè allo studio dei flussi di comunicazione sall’internodi un sistema. Ne ha ricavato che la comunicazione politica segue un modello“a cascata”:

Idee ed informazioni scendono, come attraverso una cascata, da una vascaall’altra ed in ognuna di queste si rimescolano prima di scorrere nel livellosuccessivo. In ognuno di questi livelli vi è un conflitto di opinioni che “muovele acque”: voci molteplici vengono espresse in varie istituzioni con unaiterazione orizzontale tra i sostenitori delle diverse posizioni. Tuttavia sonostate mosse delle critiche ferree a questa teoria in quanto essa enfatizza

I° LIVELLO ELITE SOCIALI ED ECONOMICHE

II° LIVELLO ELITE POLITICHE E DI GOVERNO

III° LIVELLO ISTITUZIONI DELLE COMUNICAZIONI DI MASSAIV° LIVELLO LEADER D’OPINIONE LOCALE

V° LIVELLO PUBBLICO DI MASSA

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troppo la dimensione gerarchica della comunicazione; alla domanda “chi fal’opinione pubblica?” si potrebbe rispondere “tutti e nessuno”, intendendo per“tutti” quella gran parte di cittadini che s’interessano di politica, dunque “molti”. Inoltre numerose variabili tuttavia sono state citate come capacid’influenzare queste caratteristiche: tra di esse: in primo luogo leggi diregolamentazione sull’utilizzo dei mass-media, in particolare su conflittid’interessi ed utilizzo di questi durante i periodi prossimi alle elezioni, insecondo luogo la concezione professionale prevalente tra i giornalisti, lacultura politica e le fasi del processo decisionale (i media sembrano più abilinel condizionare il pubblico su cosa pensare piuttosto che su come pensare).Cap.11: Elezioni e sistemi elettoraliLe elezioni, nella vita dei paesi democratici sono certo uno dei momenti dimaggiore visibilità ed effervescenza del processo politico oltre ad esserel’occasione nella quale avviene il più largo coinvolgimento attivo dellapopolazione. Esse sono un meccanismo per eleggere i componenti di organimonocratici o collegiali, oltre alle quali possiamo ricordare la trasmissione pereredità, la cooptazione, l’acquisto mediante denaro, la nomina, il sorteggio, laconquista con la forza, la selezione su base di merito.

Si parla di nomina quando un capo di stato sceglie un capo del governo oanche quando un governo sceglie i titolari di qualche carica. Le elezioni (inspecie per i parlamentari ma non solo) sono gli strumenti principali dellarappresentanza e del controllo popolare sui governanti. Attraverso di esse glieletti diventano i rappresentanti degli elettori; inoltre sono uno dei principalistrumenti di ritualizzazione e di “addomesticamento” del conflitto politico.

Oggi in tutte le democrazie esistono una molteplicità di elezioni, un postoimportante meritano quelle dei parlamentari nazionali, chiamate ancheelezioni politiche. Le elezioni parlamentari sono il momento centrale della vitapolitica nazionale. I caratteri fondamentali delle elezioni democratiche sono:competizione (carattere pluralistico della scelta), libertà (per gli elettori) erilevanza politica (il peso di queste è significativo sui processi politici delpaese). Ciò che invece caratterizza le elezioni dei paesi non democratici èche una di queste condizioni (o tutte) è assente. Esse si caratterizzano peressere elezioni “senza scelta” e di facciata in quanto esse vengono utilizzateper simulare a scopo puramente fittizio un principio di sovranità popolare.

Un complesso insieme di norme mira a regolarizzare lo svolgimento delleelezioni democratiche, a salvaguardarne le funzioni, a consentire ilconseguimento degli scopi ad esse assegnati. I principali aspetti del processoelettorale oggetto di regolamentazione sono:

* tempi e convocazione (uno dei caratteri fondamentali è di essere ricorrenti)

Se le elezioni hanno scadenza fissa la loro convocazione è un atto formale; laquestione è più politicamente rilevante laddove si tratti di elezioni anticipate.

* l’elettorato attivo

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* l’elettorato passivo e le candidature

* la campagna elettorale

* le modalità del voto

* il sistema elettorale e la valutazione dei voti

Il diritto di voto è legato al principio dell’appartenenza alla comunità politica,sono i cittadini di uno stato ad essere qualificati come elettori. L’esperienzaelettorale delle democrazie occidentali ha preso generalmente le mosse dasituazioni di esclusione. Il suffragio era prerogativa di una parte minoritariadella popolazione. Il processo di estensione del suffragio attraverso unprogressivo smantellamento dei criteri di esclusione si è svolto per lo più dallaseconda metà del XIX sec e nei primi anni del XX sec. Il problema delsuffragio femminile si è posto all’incirca nello stesso periodo ma la suarisoluzione è stata più tarda rispetto a quella del suffragio maschile. I fattoriche spingono all’allargamento del suffragio sono diversi: anzitutto vi è la forzaespansiva del principio di uguaglianza che dopo essersi affermato nella sferacivile tende a traslarsi in quella politica, poi vi è la nuova concezione politicanazionale ed infine l’importanza della competizione tra élite politiche chespinge a cercare nuovi sostenitori nelle classi antecedentemente escluse.

ELETTORATO PASSIVO

Le elezioni suppongono che ci siano dei candidati. Chi possano essere icandidati (elettorato passivo) e come vengano selezionati è anch’essomateria di specifiche regolamentazioni. L’altro aspetto riguarda la modalitàdelle candidature; la scelta può anche essere delegata direttamente aglielettori mediante un processo elettorale apposito: le elezioni primarie.

LA CAMPAGNA ELETTORALE

La presentazione delle candidature segna l’apertura ufficiale della fasepreparatoria alle elezioni: la campagna elettorale; in cui candidati e partiticoncentrano i loro sforzi in informazione e propaganda. Può essereprevalentemente nazionale oppure avere forte specificità locale; può esserecondotta soprattutto attraverso mezzi di comunicazione di massa oppureutilizzare anche forme più tradizionali di contatto diretto con gli elettori. Losviluppo dello strumento televisivo ha accentuato il carattere centralizzato emediatico delle campagne elettorali riducendo probabilmente l’importanzadelle attività di contatto locale diretto ma questo non esclude che unacampagna elettorale informale posso cominciare molto prima delle elezioni.

LE MODALITA’ DI VOTO

L’espressione del voto è certamente il momento culminante del processoelettorale ma anche un momento molto delicato. La regolarità delleoperazioni di voto e poi di scrutinio è assicurata dai componenti del seggio.La tutela della effettiva segretezza del voto è oggi uno dei requisiti essenziali.

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Nella gran parte dei casi oggi il voto avviene tramite una scheda ufficiale,predisposta dalle autorità pubbliche, che contiene i nomi dei candidati ed isimboli partitici. Ricevuta la scheda l’elettore non ha che da compiere lascelta apponendo un semplice segno in una cabina elettorale che assicura lasegretezza. L’elettore non può aggiungere segni ulteriori o considerazioni,pena l’annullamento del voto. C’è infine la questione dell’obbligatorietà omeno del voto: il voto è concepito come un diritto e come tale è statoconquistato con aspre lotte politiche, talvolta esso viene considerato ancheun dovere civico; perché la democrazia funzioni è necessario che gli elettorivotino.

IL SISTEMA ELETTORALE: LE CIRCOSCRIZIONI

Uno dei primi punti che il sistema elettorale deve affrontare è quello traelettori-eletti-territorio. La scelta fondamentale è se questo rapporto debbasvolgersi all’interno di un unico ambito nazionale oppure entro circoscrizioniterritoriali limitate: la stragrande maggioranza dei paesi adottanocircoscrizioni di dimensioni sub-nazionali.

Il prevalere di circoscrizioni sub-nazionali per l’elezione dei parlamentidipende in primo luogo da motivazioni storiche ma soprattutto da motivipratici: le circoscrizioni locali consentono una vicinanza maggiore ai cittadini equindi una conoscenza e contatti più diretti. Le circoscrizioni elettoralipossono variare notevolmente in termini di magnitudine cioè del numero diseggi assegnati all’interno di ciascuna di esse: si va dalla dimensione minimadel collegio uninominale (un solo eletto), ai collegi plurinominali (gli elettipossono essere da più di uno alla totalità). Le due diverse scelte configuranoconseguenze importanti. Per quel che riguarda le formule elettorali,generalmente il collegio uninominale è associato ad una formulamaggioritaria mentre il plurinominale si adatta ad entrambe. Si deveprocedere, a scadenze regolari al ridisegno dei confini dei collegi(redistricting) oppure ad una redistribuzione dei seggi da attribuire ai diversicollegi in modo da mantenere costante il rapporto numerico tra numero deiseggi e popolazione votante. L’ampiezza dei collegi elettorali ha importanticonseguenze anche sul rapporto voti/seggi, si può anticipare che più piccoloè il collegio, più alta sarà la soglia di esclusione della rappresentanza.

LE FORMULE ELETTORALI: formule maggioritarie

Sono le formule che nell’assegnazione dei seggi privilegiano l’orientamento dimaggioranza. Al loro interno si può procedere un’ulteriore distinzione: lamaggioranza assoluta (50% dei voti + 1) o di quella relativa o “plurality”(pacchetto di voti che supera

tutti gli altri, anche se inferiore al 50%). La prima delle due formule assegnal’unico seggio in gioco all’unico candidato che supera tutti gli altri (first pastthe post), indipendentemente dalla percentuale di voti raggiunta. Se tuttaviasi richiede che gli eletti debbano contare sulla maggioranza assoluta tutte le

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volte che i candidati sono più di due, è possibile che nessuno raggiunga lasoglia e quindi che nessuno risulti eletto. A questo problema si è ovviato conl’introduzione del “doppio turno”: nei collegi dove il primo turno di elezioni nonha prodotto l’assegnazione del seggio a maggioranza assoluta si procede(dopo un certo periodo di tempo, generalmente una o due settimane), ad unsecondo turno in cui si dovrà necessariamente assegnare il seggio. Se sivuole ottenere il risultato si dovrà ridurre il numero dei candidati a due,utilizzando lo strumento del “ballottaggio” cioè ammettendo, al secondo turnosolo i due candidati piazzati meglio al primo. Questo sistema è adottato perelezioni presidenziali francesi e per quelle dei sindaci italiane.

L’altra formula maggioritaria da citare è quella del sistema australiano delpreferential votino (voto alternativo). In questo sistema, basato anch’esso sucollegi uninominali, agli elettori è richiesto di attribuire un ordine di preferenzaai candidati. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta sullabase delle prime preferenze si procede eliminando il candidato ultimo arrivatoe ridistribuendo le rispettive preferenze che si è aggiudicato l’eliminato. E cosìvia fino ad arrivare al candidato maggioritario. Come si vede questo sistemaintroduce un criterio nuovo: il carattere ordinale invece che categorico delvoto.

Formule proporzionali

Sono volte a consentire una rappresentanza in parlamento di tutti gliorientamenti politici, in proporzione alla loro forza. Le formule proporzionalinecessitano di collegi plurinominali che consentono di attribuire i seggidisponibili ad una pluralità di forze politiche. La maggior parte dei sistemiproporzionali adottano il voto di lista: candidati raggruppati su liste di partitosulle quali gli elettori devono esprimere il proprio voto. Stabilito il principio peril quale i seggi devono essere assegnati in proporzione ai voti, resta dastabilire come effettuare il riparto. Poiché non ci si può aspettare che i votiottenuti ad un partito possano essere multipli esatti del quoziente elettorale(numero dei voti totali espressi in un collegio/numero dei seggi daassegnare), occorre trovare delle formule matematiche, le più comuni sonoquella dei resti più alti (formula di Hare) o quella delle medie più alte (formulad’Hondt o Sainte League).

Sistemi misti

Essi combinano elementi derivati da sistemi elettorali ispirati a principi diversi.Per esempio possono essere accostati elementi di sistemi maggioritari e disistemi proporzionali, collegi uninominali o plurinominali. Un esempio classicoè la Germania. Un esempio ulteriore è l’Italia a partire dalla riforma del 1993,nelle due varianti della Camera e del Senato. Questo sistema prevedeva chetre quarti dei seggi venissero assegnati in collegi uninominali con sistemamaggioritario ad un turno mentre il restante quarto con sistema

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proporzionale. Alla Camera l’elettore disponeva di due voti separati, alSenato il voto era unico.

Soglie di rappresentanza e premi di maggioranza

Uno dei quesiti ricorrenti nel dibattito sulla rappresentanza è se sia giusto omeno che anche i partiti più piccoli siano rappresentati in parlamento. Certo èche un eccesso di frammentazione nella rappresentanza nazionale potrebberisultare controproducente tanto per le forze di governo che per quelle diopposizione. Per ovviare a questo inconveniente sono state introdotte dellesoglie minime di rappre sentanza: solo le forze politiche che superano talisoglie sono ammesse al riparto dei seggi e dunque solo ad esse si applica ilprincipio proporzionale. Uno è quello di stabilire una percentuale minima divoti (tra gli esempi, quello italiano con una soglia del 4%). Le soglie possonoanche essere implicite, derivare cioè non da una norma specifica ma dalmodo stesso in cui è organizzato il processo elettorale. Il numero dei soggettida eleggere è la variabile implicita cruciale, questa variabile dipende in primoluogo dall’ampiezza dell’organo da eleggere, in secondo luogo dall’ampiezzadella circoscrizione elettorale.

IL VOTO, ALTRI ELEMENTI

Si deve distinguere tra voto categorico e voto ordinale. Nel caso del votocategorico l’elettore deve esprimere una preferenza secca. Nel caso del votoordinale invece l’elettore ha la possibilità di esprimere un ordine di preferenzatra i candidati. Un esempio classico è il già citato voto singolo trasferibile. Unaltro aspetto importante riguarda il destinatario del voto: si tratta delcandidato individuale oppure di una lista di partito con una pluralità di nomi?La fase iniziale dei sistemi elettorali democratici ha visto nettamenteprevalere il voto per il candidato. Con il tempo invece i candidati sono andatiassumendo in misura sempre più netta il carattere di esponenti di partito ed èprevalentemente in questa veste che sono conosciuti e votati. Nei sistemiproporzionali in collegi elettorali plurinominali con voto di lista la preminenzadel voto per il partito risulta più evidente: è in forza del voto dato dall’elettoread una lista, generalmente definita da una sigla e da un simbolo di partito chei singoli candidati saranno eletti. La lista presentata dal partito, è per lo più“bloccata” ed agli elettori non è consentito in alcun modo intervenire suicandidati.

EFFETTI DEI SISTEMI ELETTORALI

Gli effetti dei sistemi elettorali si riscontrano prevalentemente sul sistema deipartiti: quanto più deboli sono i partiti, tanto meno chiari e precisi saranno glieffetti su di essi. La prima è quella tra effetti diretti ed indiretti cioè tra glieffetti che, data una certa distribuzione dei voti, si hanno immediatamentesull’assegnazione dei seggi, e gli effetti che la presenza di un certo sistemaelettorale ha sui comportamenti di elettori e candidati e quindi, indirettamente,attraverso questi sui risultati. I primi effetti si manifestano dopo il voto, i

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secondi, a monte di esso. La seconda distinzione è tra effetti locali enazionali: a livello delle singole circoscrizioni o quelle che operano a livellonazionale. Gli effetti diretti a livello circoscrizionale caratterizzano il sistemamaggioritario ad un turno nel senso che tutte le minoranze sono tagliate fuoridalla rappresentanza. Passando ai sistemi proporzionali, la conseguenzadiretta è che essi accrescono la frammentazione del sistema partitico a dettadi alcuni studiosi. Tuttavia i sistemi proporzionali al limite “fotografano” larealtà esistente, magari possono anche essi essere responsabili di un’azioneriduttiva sul sistema dei partiti. Per concludere potremmo dire che sul pianodegli effetti diretti a livello locale i sistemi elettorali si collocano su uncontinuum di capacità riduttiva che vede, ad un estremo (massimo), il sistemamaggioritario uninominale e all’altro estremo (minimo) un sistemaproporzionale senza soglie esplicite di rappresentanza applicato ad un unicocollegio nazionale. Per quanto riguarda gli effetti a livello nazionale vi è dadire che, in primo luogo, sono il risultato della sommatoria degli effetti a livellolocale. Restando agli effetti diretti si può formulare in questi termini una leggesugli effetti nazionali del sistema maggioritario: i partiti minoritari a livellonazionale sono tanto più penalizzati quanto più sono distribuiti in manieraomogenea sul territorio, e sono invece relativamente avvantaggiati quanto piùsono concentrati territorialmente; l’opposto vale per i partiti maggioritari.Quanto si è detto per i sistemi maggioritari può essere ripetuto per iproporzionali: in presenza di un effetto riduttivo locale (dovuto o alladimensione della circoscrizione o alla formula proporzionale impiegata), glieffetti riduttivi a livello nazionale sui partiti minori saranno tanto più fortiquanto più questi avranno un elettorato omogeneamente disperso sulterritorio.

Per quanto riguarda gli effetti indiretti l’incidenza dei sistemi elettorali puòcondizionare i comportamenti degli attori in gioco. Osservando le cose dalpunto di vista dell’elettore, il punto principale da mettere in rilievo è laquestione dell’utilità del voto. Il dilemma che l’elettore si trova davanti – dare ilvoto ad un candidato che non rappresenta la sua “prima preferenza” ma habuone possibilità di essere eletto (voto utile o strategico), oppure al candidatopreferito ma con scarse possibilità di successo (voto espressivo) – è moltopiù serio nel caso di sistema maggioritario. Nei sistemi proporzionali, il votoutile e quello espressivo tendono a

coincidere; il dilemma si proporrà solo marginalmente nella misura in cui ilproporzionale è attenuato ad esempio da soglie di esclusione o dicircoscrizioni di piccole dimensioni. Per optare per il voto utile devonoesistere seconde scelte tali da risultare preferibili rispetto alla sconfitta dellaprima scelta. Saranno conseguentemente penalizzati candidati e partiti cheoccupano posizioni estreme e che quindi rischiano di essere in minoranza nelpanorama politico. Accanto agli effetti sugli elettori bisogna considerare glieffetti sui candidati ed i partiti. In un sistema ad alto livello di proporzionalità

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l’unica strategia ottimale per un partito è quella di massimizzare i propri voti:da questi dipendono infatti i seggi che potrà ottenere. Coalizioni, unioni trapartiti presentano quindi rischi cospicui e pochi vantaggi. Nel caso invece diun sistema maggioritario, si accresce significativamente per i partiti il rischiodi un totale insuccesso cioè che i voti ottenuti vadano sprecati. Si rafforzanogli incentivi a coalizzarsi per aumentare le probabilità di superare la soglia diassegnazione dei seggi. Quanto minore è la distanza ideologica tra i partiti,quanto più elevata è la sicurezza di non perdere i propri elettori e quanto piùgrande è il rischio di una sconfitta elettorale, tanto maggiori saranno gliincentivi a coalizzarsi. Gli effetti peculiari sono prodotti dai sistemi elettorali adoppio turno: essi consentono infatti agli elettori di dare un voto diverso adogni turno; in particolare di optare per un voto espressivo al primo e diriservare un voto utile al secondo turno. L’elettore ha quindi margini dimanovra maggiori ed è in grado di manifestare apertamente il suo ordine dipreferenza.

Gli effetti complessivi dei sistemi elettorali sono dunque la somma degli effettidiretti locali e nazionali e degli effetti indiretti sugli elettori e sui partiti.Duverger ne ha dato una prima formulazione affermando che il sistemamaggioritario si associa al dualismo partitico mentre il proporzionale e ilmaggioritario a doppio turno al multipartitismo. Sartori a sua volta ha propostouna formulazione più articolata sostenendo che: a) il sistema maggioritarioproduce un sistema bipartitico in presenza di un sistema partitico strutturato edi un elettorato omogeneo distribuito, b) nel caso di un elettorato nonomogeneamente distribuito, tale sistema mantiene un potere riduttivo suipartiti minoritari distribuiti omogeneamente sul territorio ma non può eliminaretutti quei partiti che possono contare su “sacche elettorali” maggioritarie; c) isistemi proporzionali, se sono perfetti, non hanno effetti sul sistema partitico(si limitano a fotografarlo) ma quanto meno sono proporzionali, tanto piùhanno effetti riduttivi.

IL COMPORTAMENTO DI VOTO E LE SUE DETERMINANTI

Nelle elezioni l’aspetto cruciale è la scelta degli elettori. L’osservazioneempirica sui comportamenti di voto ha rilevato l’importanza dell’influenzadella classe sociale di appartenenza, della confessione, dell’appartenenzaetnico-linguistica. La notevole continuità del comportamento di voto ha postougualmente l’attenzione su alcuni fattori politici: il concetto di identificazionepartitica ovvero i vincoli psicologici di fedeltà che si stabiliscono nel tempo traelettore e partito, carattere che si rivela molto durevole nella vita degliindividui e che tende a rafforzarsi con l’età. Tuttavia a partire dagli anni ’70questo quadro è sembrato incrinarsi: sono apparse nuove linee di fratturacome quella tra orientamenti materialisti e post-materialisti, sono nati nuovipartiti ed i legami tra partiti tradizionali e comportamenti di voto sono diventatimeno stabili. Queste variazioni avvengono sia a causa di elettori che“tradiscono” il partito per il quale avevano sempre votato, sia per effetto di

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passaggi dal voto all’astensione. Come suggerivano studiosi italiani, accantoal voto di appartenenza occorre considerare l’importanza crescente del votodi opinione ed un raro ma presente voto di scambio. Questo quadroattribuisce rilevanza anche al fattore economico.

Cap. 12: Parlamenti e rappresentanza

Cos’e’ un parlamento

Il culmine di queste istituzioni, che si sono sviluppati principalmente inEuropa, si è avuto nelle liberal-democrazie occidentali, a partire grosso mododalla seconda metà del secolo scorso. Le proprietà essenziali dei parlamentidemocratici sono:

* Natura assembleare: un organismo non gerarchico a forma collegialeparitaria e composto da un numero di membri superiore a quello di qualsiasialtro organismo collegiale.

* Carattere permanente dell’istituzione caratterizzati da un flusso decisionalecontinuo e ampio.

* Mandato temporalmente definito dei componenti, che argina il caratterepermanente del collegio e costringe i componenti al rinnovo a scadenzeregolari.

* Pluralità di orientamenti politici al suo interno che significa anche assicurarein maniera continuativa l’espressione dell’opposizione.

* Collegamento organico con i processi istituzionali della rappresentanzapolitica. Si tratta dunque di assemplee non autolegittimantisi che si fondanosu un legame istituzionalizzato con la cittadinanza politica tramite forme dielezione popolare.

Una definizione minima di parlamento, visti i caratteri strutturali è la seguente:assemblea rappresentativa a competenza generale, pluralistica epermanente ma rinnovata nella sua composizione tramite elezioni ascadenze regolari.

LA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA

L’attributo politicamente più significativo dei parlamenti è il loro carattererappresentativo ma c’è di più in quanto questo attributo non qualifica soltantouna istituzione politica (il parlamento) ma addirittura un regime nel suocomplesso (democrazia rappresentativa), ed è proprio questo carattere dirappresentatività che fa del parlamento una istituzione essenziale dellademocrazia moderna. Il concetto di rappresentanza fa sempre riferimento aduna situazione duale e relazionale, suppone cioè un rappresentante ed unrappresentato e che tra questi sussista un certo rapporto. Nella sfera politica idue poli si identificano con i governanti e i governati: interpretare e modellareil rapporto tra questi due poli è l’asse della politica stessa. La rappresentanzapuò essere vista come:

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1) Conferimento di autorità: proviene dall’elezione avuta dai cittadini e daquesta trae titolo di agire legalmente e legittimamente in nome delrappresentato.

2) Azione nell’interesse di qualcuno che non può o non vuole agire in manieraautonoma. E’ un concetto traslato dalla sfera privata: vige il mandatoimperativo ma in realtà lo stabilire gli interessi del rappresentato avviene nellaclasse politica, in maniera orizzontale.

3) Responsabilità

4) Rappresentatività come specchio di una determinata realtà

5) Raffigurazione di tipo simbolico (valida per diplomatici e presidenti dellaRepubblica)

Un organo politico sarà dunque tanto più rappresentativo quanto piùfedelmente riprodurrà in concreto tali caratteristiche. Essa può dunque esseredefinita come una relazione di carattere stabile tra cittadini e governanti,intesi entrambi come soggetti pluralistici, per effetto della quale i secondisono investiti dell’autorità di governare in nome e nell’interesse dei primi esono soggetti a responsabilità politica per i propri comportamenti dinanzi aicittadini stessi; autorità e responsabilità politica dei governanti sono realizzateattraverso meccanismi istituzionali elettorali. Dunque centrale diventa ilbinomio Elezioni/Parlamento.

I PARLAMENTI

La struttura assembleare dei parlamenti è la condizione necessaria perassicurare carattere pluralistico alla rappresentanza: nella democraziamoderna, il disegno istituzionale fa si che il Parlamento abbia un ruolobifronte, da un lato strumento di espressione della società civile e delle suedomande (presente dunque sul versante di input del sistema politico),dall’altro luogo del potere decisionale (collocato sul versante di output).L’articolazione del parlamento in una o più camere ha fatto si che siprocedesse ad una classificazione

* Mentre il modello unicamerale corrisponde all’affermarsi di un criterio unicodi organizzazione del rapporto rappresentativo, il modello bicamerale riflettegeneralmente l’esistenza di accomodare e bilanciare criteri diversi a ciascunodei quali non è possibile rinunciare completamente. Un primo gruppo dimodelli bicamerali è sorto per l’esigenza di riportare in vita forme pre-democratiche in modo da bilanciare l’ingresso del “nuovo” con un certomargine di conservatorismo. Un secondo gruppo di modelli bicamerali èlegato alla necessità di un compromesso tra una concezione unitaria ed unapolicentrica della comunità politica (USA,Germania, Svizzera).

* Caso abbastanza eccezionale è il bicameralismo italiano odierno concepitoall’interno del processo costituente per fornire entrambe le risposte alprincipio nazionale e a quello del decentramento regionale.

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Per definire il tipo di bicameralismo occorre effettuare un’analisi dei poteriattribuiti alle due camere. Si parlerà di bicameralismo paritario, o simmetricoquando i poteri si equivalgono, di bicameralismo asimmetrico quando unadelle due ha poteri attenuati.

Il primo modello è quello che – riconoscendo poteri uguali alle due camere –esprime meglio la logica del compromesso tra due interpretazioni ugualmenteforti della rappresentanza. Il secondo modello (debole) è chiaramenteindicativo della forza minore di una

delle due camere (caso inglese o italiano pre-fascista). Nel terzo modello laseconda camera si configura quasi come un doppione che sussiste più perinerzia istituzionale che per una vera ragione mentre il quarto modelloconfigura una situazione ispirata ad una logica di divisione del lavoro per laquale ad una camera spetteranno alcuni compiti, all’altra compiti differenti.

Un’altra dimensione importante all’interno delle varie tipologie di parlamento èl’articolazione interna in commissioni e sotto-commissioni tra le quali la piùimportante è quella legislativa.

Un tempo i partiti si sono affermati come principali intermediari dellarappresentanza. I gruppi parlamentari, con la loro leadership el’organizzazione diventano i soggetti principali della vita parlamentare. E’dunque l’autorità dei partiti a pesare oggi sul Parlamento.

Accanto all’articolazione del parlamento lungo linee partitiche, il parlamentotende a articolarsi lungo la linea di divisione tra le forze che sostengono ilgoverno e quelle che invece si oppongono ad esso. Il governo infatti non siesaurisce mai nella maggioranza parlamentare né la maggioranza è tutta nelgoverno. Finchè il sistema partitico consente governi a maggioranzaparlamentare monopartitica (caso del bipartititsmo), la variabile determinanteper definire i rapporti governo/maggioranza parlamentare è il grado dicoesione del partito di governo. Quando invece il sistema partitico imponegoverni di coalizione pluripartitici il problema della coesionegoverno/maggioranza si collega essenzialmente ai processi diaccomodamento tra identità e programmi politici dei diversi soggetti partiticiche compongono la coalizione. La variabile sarà qui l’estensione dello spettropolitico della coalizione. Utilizzando queste diverse dimensioni di variazionedelle assemblee parlamentari si possono delineare due tipi opposti distruttura parlamentare di particolare rilievo:

* Parlamento policentrico:

* bicameralismo forte

* partiti poco coesi e/o in numero elevato

* limitata salienza della linea di demarcazione governo/opposizione

* debole nesso governo/maggioranza

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* - sistema di commissioni forte

* Parlamento avversariale (monocameralismo o bicameralismo debole)

* sistema bipartitico con partiti coesi

* stretta identificazione tra governo e maggioranza parlamentare

* sistema debole di commissioni

* linea di demarcazione governo/opposizione sarà il fondamento per lastrutturazione ed il funzionamento dell’istituzione

Lo scienziato Bagehot ha individuato una serie di funzioni esercitate dalParlamento, volendo sintetizzare il suo elenco queste si possonoulteriormente suddividere in tre categorie:

Ü Funzioni rappresentative: i parlamentari ed il Parlamento rappresentano lanazione (il popolo).

In primo luogo c’è il fatto che il parlamento realizza il contesto dicomunicazione e di controllo istituzionalizzato tra la cittadinanza e la classepolitica più articolato e sistematico. In secondo luogo le istituzioniparlamentari, per la loro struttura consentono alla rappresentanza un assettopluralistico e contemporaneamente offrono meccanismi formali ed informali diriduzione e moderazione del pluralismo. Inoltre il contributo delle assembleeparlamentari al contenimento del conflitto politico si realizza da un latoattraverso una sofisticata ritualizzazione del conflitto stesso, che attribuiscealle parti opposte ruoli, poteri e forme di espressione specifiche, dall’altroincentivando in una certa misura la collaborazione e la cooperazione tra leforze opposte coinvolte.

Ü Funzioni di controllo sul governo (controllo parlamentare sull’esecutivo).Come il parlamento è legittimato a controllare l’esecutivo utilizzando i propripoteri legislativi e di inchiesta, così la presidenza democraticamente eletta èautorizzata a controllare il parlamento ricorrendo al suo potere di influenza edi veto. Inoltre dovendo, il governo, contare sulla fiducia esplicita o implicitadel parlamento, tra la maggioranza di questo e il governo stesso si stabilisceun nesso strettissimo, ne deriva che la funzione di controllo è delagataessenzialmente alle forze di opposizione tramite lo strumento del voto oquello della pubblicità.

Ü Funzioni di “policy making” (funzione legislativa).

I provvedimenti normativi, per acquisire il rango di leggi devono passareattraverso un iter decisionale prefissato, che si svolge all’interno del contestoistituzionale parlamentare. Per mettere meglio a fuoco il ruolo dei parlamentiè utile suddividere i momenti della creazione di una legge in un primomemento di iniziativa legislativa (che può essere governativa e non) ed unsecondo momento della deliberazione. Così possiamo distinguere iparlamenti sulla distanza o meno dal polo di accentramento del processo

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legislativo: ovviamente risulteranno più prossimi al polo quei parlamenti in cuisia il primo che il secondo momento hanno appannaggio esclusivo delgoverno mentre risulteranno più prossimi al polo del decentramento gli altrimodelli.

Ultimamente si è diffusa largamente la tesi del declino dei parlamenti avantaggio dei partiti o dell’esecutivo.Non si può trascurare il fatto che partiticon apparati organizzativi extraparlamentari hanno acquisito un pesosignificativo nella gestione dei parlamenti ma bisogna anche rilevare che laclasse politica appartenente a questi partiti nati fuori e spesso contrari alparlamento, si è generalmente parlamentarizzata. Quanto all’esecutivo, se èvero che il suo controllo sullo svolgimento dell’attività parlamentare è forte,questa situazione appare proprio il risultato del definitivo affermarsi delparlamento come canale di legittimazione del governo.

Cap.13: i Governi

Il governo è l’unico elemento costante della politica. Si può seguire,nell’analisi la via delle modifiche di tipo quantitativo o qualitativo (funzioni digoverno). Schmitt ha distinto, nell’ambito dell’analisi una direzione politica à ilgovernare ed una amministrazione à condizione per il concreto svolgimentodella prima ovvero esecuzione di scelte già adottate come contenuto. Taledistinzione corrisponde anche, secondo una determinata interpretazione aquella tra sfera del politico e sfera del diritto. I compiti fondamentali dellapolitica sono assolti dalle Funzioni di governo.

Per l’attività di governo si utilizza l’espressione “potere esecutivo” econseguentemente si denomina il governo anche semplicemente come“esecutivo”. Dietro questo linguaggio sta una ben chiara prospettivanormativa, quella della subordinazione del governo alla legge ma anche dovesi può stabilire un rapporto più diretto tra legge ed esecuzione della stessa ilgoverno rimane l’iniziatore delle leggi. La funzione del governo, nei regimidemocratici deve dunque essere vista come “delimitata”, regolamentata dallalegge e, in misura significativa, realizzata tramite la legge. Due“responsabilità” in particolare appaiono universalmente associate allafunzione di governo: quella della tutela della comunità politica verso l’esternoe quella del mantenimento dell’unità della comunità politica verso l’interno.Governare significa essenzialmente assumersi la responsabilità finale dinanzialla comunità politica ed ai suoi problemi. Distinguere su base quantitativa oqualitativa significa essenzialmente domandarsi nel tempo quali sono levariazioni e dove si verifichino tra quantum di governo e contenuti dellafunzione.

Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo lo strumento comunemente usato dimisurazione è il bilancio statale (traduzione in termini di risorse finanziariedella funzione di governo), la principale spia dell’intervento della politica su

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società ed economia. La misura più semplice è l’analisi del rapporto trabilancio statale e reddito nazionale.

Il tema dello sviluppo della funzione di governo tuttavia non può esseremeramente ricondotto solo al dato quantitativo, è necessario prendere inconsiderazione anche quello qualitativo: il mutamento dell’attività di governo.Da questo si fanno derivare i tre modelli di stato: lo stato minimo (limitato alleattività tradizionali di difesa ed ordine interno), lo stato produttore (cheinterviene in economia e servizi) e lo stato sociale o welfare state (si occupadi servizi sociali).

Per spiegare l’andamento della funzione di governo in un arco di temposecolare sono stati proposti modelli economici oppure modelli politico-istituzionali; mentre i primi tendono a considerare le variabili politichedipendenti da quelle economiche adottando un punto di vista limitato e quindidi dubbia accettabilità i secondi tendono a partire da un presupposto diautonomia della sfera politica ed attribuiscono alla variabile economica unruolo di variabile interveniente.

GOVERNABILITA’, SOVRACCARICO E RISCOPERTA DEL MERCATO

A partire dagli anni ’60 è fiorito un settore di studi dedicato al tema dellagovernabilità: si è posta all’ordine del giorno la capacità dei governi di guidaresocietà sempre più complesse e di gestire un crescente accumulo didomande (sovraccarico, overload). La grande ricoperta del mercato e dellesue potenzialità come strumento di regolazione di importanti aspetti della vitasociale può essere interpretata come un meccanismo di assestamento deisistemi politico andati in “sovraccarico”.

ISTITUZIONI DI GOVERNO CONTEMPORANEE DERIVATE DAANTECEDENTI STORICI

Semplificando potremmo dire che il governo è l’insieme composto dal capodel governo e dai ministri, quei soggetti cioè che sono istituzionalmente postia capo di un importante ambito di responsabilità politica e chetendenzialmente hanno, alle proprie dipendenze un ministero cioè unagrande branca dell’amministrazione pubblica. Il processo di affermazione delgoverno come istituzione ha preso le mosse dal processo di accentramentoovvero da quel passaggio dalla monarchia pre-moderna a quella moderna.Fattore chiave di questo passaggio è assolutamente lo sviluppo dei grandiapparati burocratici dello stato moderno: l’unione tra monarchia e burocraziasi

rivela uno strumento molto efficace. Lo sviluppo della macchinaamministrativa consente la specializzazione funzionale progressiva indicasteri; sono i capi di queste strutture burocratiche, denominati ministri osegretari di stato e con il duplice ruolo di consiglieri del sovrano e di esecutoridelle sue decisioni a comporre il nucleo del governo. Il sistema del governo

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assolutistico sarà tuttavia presto messo in discussione con l’emergere deiprimi parlamenti. Con le formule, ormai usate di monarchia costituzionale emonarchia parlamentare si schematizzano due stadi di un processo ditrasformazione della forma di governo (e regime) nel quale continuità ediscontinuità sono variabili mescolate. La fase della monarchia costituzionalesi caratterizza come un sistema marcatamente dualistico, nel qualecoesistono due centri autonomi di legittimazione politica, il governo si trovaconteso tra due forze d’attrazione: il sovrano (che ha potere di nomina) ed ilparlamento (con potere di apporre la fiducia politica necessaria pergovernare). La fase della monarchia parlamentare, a cui si è giunti tramiteuna progressiva influenza da parte del parlamento sui ministri e l’emergeredella figura del premier come figura dirigente del governo, si caratterizza peril superamento del dualismo dei centri di legittimazione politica eparallelamente la dislocazione del governo verso la sfera parlamentare, la cuiprogressiva simbiosi porta ad identificarlo con la maggioranza.

FORME DI GOVERNO NELLA MODELLISTICA COSTITUZIONALE

Si possono analizzare le forme di governo partendo dalla distinzionetradizionale che contrappone quella presidenziale a quella parlamentare. Laprima dimensione da analizzare è quella della loro legittimazionedemocratica: la prima classe è così chiamata perché il governo trae dalparlamento la legittimazione politica mentre la seconda richiama un altroconcetto, quello della preminenza nella compagine governativa della figuramonocratica del presidente che cumula in sé le due cariche di capo delgoverno e dello stato. La legittimazione democratica inerente ai governiparlamentari prevede due tipologie: diretta ed indiretta.

La legittimazione diretta prevede che il governo sia eletto dai cittadini, laseconda che lo sia dal parlamento. La seconda dimensione, quella dellastruttura dell’esecutivo introduce invece una distinzione tra esecutivomonocratico o collegiale.

Legittimazione diretta: la formula pura basata sulla selezione/investitura esulla conferma o non riconferma del suo vertice ad opera dell’elettorato senzal’intermediazione parlamentare risulta confinata al continente americano maproprio il caso statunitense non potrebbe essere annoverato tra casi dilegittimazione diretta a formula pura in quanto i cittadini eleggono un numerodi “grandi elettori” per ogni stato, sarà poi la maggioranza di questi adesignare la figura del Presidente. Ma ciò che oggi autorizza a definire puroquesto sistema è l’assoluta inconsistenza di questo anello intermedio. Unaltro elemento che configura la legittimazione diretta è che l’organo ha ilpotere di conferire legittimità ma non quello di sottrarla; conferimento e ritirosi concentrano solo in un momento istituzionale a scadenza cronologica: lenuove elezioni. La forma di governo presidenziale si caratterizza dunque perstabilità e rigidità istituzionale.

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Legittimazione indiretta (governi parlamentari), il nesso tra governo edelettorato è mediato dal parlamento e quindi esso ha competenze politicheben più estese che la sola scelta dell’esecutivo. La selezione ed ilconferimento della legittimazione a governare non sono più momenticoincidenti del processo istituzionale; la prima funzione è solidamenteattribuita ad un organo esterno al parlamento (monarca o presidente). Ilgoverno tuttavia per essere operativo deve avere la fiducia del parlamento,attribuita in forma esplicita (voto di fiducia o sfiducia) o implicita (soltanto votodi sfiducia). Nella maggioranza dei sistemi parlamentari c’è la possibilità diuno scioglimento anticipato del parlamento e del ricorso a nuove elezioni.

La seconda dimensione da analizzare è quella della struttura interna algoverno: rimanendo sul piano dei modelli costituzionali si trovano acontrapporsi il governo presidenziale e quello collegiale di gabinetto. Il primoè caratterizzato da una struttura a due livelli dell’esecutivo in cui il capodell’esecutivo stesso ha uno status qualitativamente distinto da quello deglialtri componenti e chiaramente superiore. Nel secondo modello inveceministri e capo del governo si collocano sullo stesso livello: il capo èsolamente un primis inter pares.

Il governo presidenziale inoltre vede realizzarsi la fusione delle due cariche dicapo di stato e di capo del governo che non vale altrettanto per il modelloparlamentare.

FORME DI GOVERNO IBRIDE: SEMI-PRESIDENZIALISMO EPREMIERATO

Nell’esperienza europea ha avuto particolare rilievo quella che vienegeneralmente definita la forma semi-presidenziale. In questa il capo dellostato si basa su una investitura popolare, non parlamentare ed inoltre gliviene attribuito un ruolo non solo rappresentativo ma anche di governo. Quiviene mantenuto il legame di fiducia governo/parlamento e di conseguenza lafigura del capo del governo non viene fusa con quella del capo dello stato.Per quanto riguarda la composizione del governo, è duplice la fonte dilegittimazione (quella presidenziale che si realizza attraverso lo strumentodella nomina e dall’altro quella parlamentare che consiste nella possibilità delvoto di sfiducia). L’altra possibilità ibrida è quella del premierato per la qualesi può far riferimento soltanto all’esperienza Israeliana. In questa forma digoverno accanto alla legittimazione parlamentare (assicurata conl’attribuzione all’assemblea rappresentativa della possibilità di votare lasfiducia al governo) si introduce anche la legittimazione popolare del primoministro tramite l’elezione diretta. A differenza del presidenzialismo la caricaesecutiva eletta direttamente non ha, in questo caso il ruolo di capo dellostato.

LE FORME DI GOVERNO NELLA REALTA’ POLITICA

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Fino a qui sono stati tracciati dei modelli sulla base dei loro caratteriistituzionali formali ma nella realtà ci sono livelli molto più “normali” nelladeterminazione delle forme di governo. Nella stragrande maggioranza deicasi l’assetto dualistico che vede da una parte il governo e dall’altra ilparlamento è tributario di un modello ormai superato ed anche il parlare diattori politici come soggetti individuali oggi ha lasciato il posto ad unamaggiore organicità che vede operare nel panorama politico prevalentementeattori collettivi. Per quel che riguarda la dimensione della legittimazione èsoprattutto nei governi parlamentari che l’incidenza della variabile partitica sirivela più significativa. E’ necessario anche ribadire il significato dellamediazione parlamentare: il governo deve godere della fiducia delparlamento e dunque poter contare su una maggioranza favorevole operlomeno non sfavorevole. Il processo di legittimazione politica dei governiparlamentari coincide quindi con quello di mantenimento in vita dellemaggioranze. E’ qui che la variabile partitica esercita la sua influenza nellamisura in cui da luogo, a seconda che si tratti di un partito unico o di unapluralità di partiti, a differenze nella forma di governo. Altre configurazionidella realtà partitica tenderanno a dare significato diverso alla mediazioneparlamentare; può darsi che l’esito delle elezioni non avrà determinato unamaggioranza e dunque sarà necessario uno stadio intermedio di formazionedella maggioranza. Sulla base di queste disquisizioni si può riesaminare ilsignificato della mediazione parlamentare in questa forma di governo estabilire degli assunti validi di fondo:

* la vita e la sopravvivenza del governo sono legate a quelle dellamaggioranza

* le differenze si manifestano invece nelle modalità di funzionamento e didirezione della maggioranza parlamentare

La variabile partitica appare rilevante anche per determinare l’assetto di altritipi di governo ma è soprattutto la forma semi-presidenziale ad illustrare conchiarezza l’importanza decisiva di variabili politiche. La prassipresidenzialistica ovvero la subordinazione del primo ministro al presidentedella repubblica appare legata ad una serie di condizioni che non sonocostituzionali ma politiche:

* in primo luogo è necessaria la corrispondenza tra maggioranzapresidenziale e parlamentare

* una struttura del partito di maggioranza tale da lasciare al presidente unampio margine di azione , in sostanza una sorta di “partito del presidente”

* qualora la base dei governi sia di natura coalizionale allora sarannonecessarie coalizioni deboli, incerte ed instabili

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* il ripetersi di maggioranze parlamentari diverse da quella presidenzialisticae impersonate da partiti possidenti una certa consistenza organizzativatenderà a spingere il governo verso il parlamentarismo.

FUNZIONAMENTO E RENDIMENTO DEI GOVERNI

Nei regimi parlamentari le questioni critiche sono state la stabilità, e laformazione e composizione della maggioranza di governo. Il primo problemaè stato inizialmente alimentato dall’associazione tra la frequenza delle crisi digoverno e dall’assetto instabile del sistema politico nel suo complesso ma inrealtà la causa delle frequenti crisi sarebbe da associare alla scarsa capacitàdi controllo del governo sui soggetti partitici e parlamentari che losostengono. Una valutazione adeguata dei rapporti tra stabilità e funzionalitàdei governi richiede inoltre una più precisa messa a fuoco dei referentiempirici del concetto. Un esame più ravvicinato rivela che esso si scomponein una pluralità di aspetti che vanno dalla durata della compagine governativanel suo complesso o nelle sue singole componenti, a quella della sua identitàpolitica o della sua composizione personale. Le combinazioni dei varielementi possono essere varie: si possono avere mutamenti di governo con osenza mutamenti del capo del governo, con o senza mutamenti dei partiti chelo compongono e della “formula politica” che li contraddistingue, con o senzamutamenti del personale ministeriale. Oppure viceversa si possono averemutamenti nel governo; rispettivamente nel primo caso avremo unasituazione di forte stabilità di governo con una instabilità nel governocaratterizzata da frequenti sostituzioni di ministri, nel secondo caso di unainstabilità di governo con frequenti crisi e sostituzioni dei ministri e unamarcata continuità di una parte del personale ministeriale nei passaggi da ungoverno all’altro.

Ai fini della durata della compagine di governo nel suo complesso sono diparticolare rilevanza i rapporti tra governo e sistema partitico. La riflessionesulla stabilità ha inoltre portato un più approfondito esame delle modalità diformazione e di crisi dei governi. Il punto di partenza di questa discussione èstata l’ipotesi della prevalenza, in termini sia di probabilità di costituzione chedi durata delle cosiddette “coalizioni minime vincenti” cioè caratterizzate dallamisura minima di individui o partiti necessaria per costituire la maggioranza.Queste revisioni delle teorie coalizionali e delle loro premesse consentono difare meglio i conti con due fenomeni empirici particolarmente rilevanti: lecoalizioni minoritarie e le coalizioni sovrabbondanti (oversized). Le modalitàorganizzative delle coalizioni (dai patti coalizionali ai meccanismi diconsultazione tra partiti) e i processi che portano alla loro decomposizione èstata una materia di notevole interesse. Per quanto riguarda le forme digoverno presidenziali e semi-presidenziali l’importanza della figura del capodel governo ha suscitato particolare interesse per lo studio della suapersonalità; tuttavia più rilevanti ai fini della comparazione sia diacronica chesincronica sono stati invece gli studi condotti sulle risorse e sugli strumenti di

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cui gode la presidenza (capacità di utilizzare gli strumenti dellacomunicazione di massa come pulpiti di comunicazione diretta con ilpubblico) ma anche e soprattutto i rapporti con il parlamento. I non numerosistudi sul semi-presidenzialismo se da un lato hanno concentrato la loroattenzione sugli stessi argomenti che si è voluto approfondire sulpresidenzialismo, dall’altro hanno dovuto portare alla luce anche elementiquali i processi di formazione delle coalizione in parlamento ed i rapporti tracapo dello stato e primo ministro.

GOVERNO E “POLICY MAKING”

Per valutare il ruolo dei governi nel sistema politico è necessario ancheesaminare la loro posizione rispetto ai processi di “policy making”. La grandeascesa dei partiti ha attirato l’attenzione sulla dipendenza dei governi daipartiti; gli elementi a sostegno di questa affermazione, denominatageneralemente come “party government” sono stati:

* la progressiva partitizzazione del personale ministeriale

* (sul piano del policy making) gli indirizzi programmatici espressi in positivodai partiti ma anche, in negativo i veti da essi posti

Questo ha portato col passar del tempo a considerare il governo sempre piùuna emanazione dai partiti. Gli studi empirici sul policy making mettono inluce come l’influenza dei partiti possa avere limiti tutt altro che trascurabili el’azione del governo non possa essere ridotta ad una pura e sempliceesecuzione del dettato partitico. I limiti del party government traggono originetanto dai partiti quanto dal governo, sul lato dei partiti vanno segnalati almenodue fattori principali: - il primo fattore è il carattere selettivo degli interessistessi dei partiti per il quale non tutte le politiche sulle quali il

governo è chiamato a decidere sono di interesse per i partiti

* il secondo fattore sono i limiti operativi dei partiti valutati in termini di risorseo anche nel declino delle ideologie che potevano, in passato fornireperennemente delle linee guida programmatiche per l’agire politico.

Ci sono poi importanti fattori sul versante del governo che portano l’esecutivoad assumere un ruolo relativamente autonomo nei processi di polity making:

* il primo fattore nasce dalla responsabilità tipica dell’istituzione

* Il secondo fattore sono gli apparati amministrativi ai quali il governo èpreposto in quanto la burocrazia è anzitutto fonte di risorse conoscitive etecniche per quanto riguarda alcuni ambiti in cui il governo deve deliberare.

Più in generale si può osservare che se il declino dei partiti rende il governopiù autonomo, lo può porre dinanzi a problemi nuovi. Se i partiti perdono ilcarattere di attori dotati di una forte identità unificante tenderà ad aumentarela frammentazione interna ai governi e l’autonomia di sub-governments. Atutto questo si aggiunge poi un’altra importante tendenza che sembra

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caratterizzare gli ultimi decenni, vale a dire la proliferazione dei “governi”:centri istituzionali diversi dal governo (autorità indipendenti, banche centrali,istituzioni sopranazionali) ai quali vengono affidate crescenti funzioni digoverno.

Cap.14: La politica locale

L’idea che il governo locale fosse stato un campo vitale della scienza politicaha cominciato ad affermarsi a partire dalla metà degli anni’60. La crescitadell’attenzione alla politica locale deriva da alcuni sviluppi che hannocaratterizzato le democrazie contemporanee, in primo luogo la crescita dellapartecipazione a livello locale in quanto i cittadini imparano la politica nelleloro iterazioni con il livello di governo ad essi più vicino. Questo, unitamenteall’insorgere dei partiti etnico-regionalisti e dei movimenti ha fatto maturarel’idea che la politica locale potesse generare sentimenti di forteappartenenza. E’ da qui che alla politica locale viene attribuito un grandevalore educativo in quanto terreno di formazione democratica e di una fortecapacità di creare identificazione.

Il potere politico ha visto, nel corso della storia, alternare momenti diaccentramento e di decentramento. Il progresso di costruzione dello Statonazionale è passato attraverso un progressivo accentramento territoriale; lacentralizzazione è stata un processo lento, il potere del sovrano a poco apoco si stabilizzò e la fine del medioevo aprì la strada allo stato assolutistacaratterizzato dalla capacità del sovrano di esercitare controllo sull’interoterritorio. Proprio durante questo processo si sono prodotti e riprodotti conflittirilevanti tra stato e periferia. L’essenza di questo rapporto è stata di volta involta considerata come culturale, legata cioè all’imposizione dei valori delcentro alla periferia; economica cioè fondata sulla dipendenza della periferiadal centro e politica ovvero fondata sulla costruzione di apparati burocraticiche impongono alla periferia le decisioni prese al centro. Tenendo conto diqueste diverse dimensioni il centro può essere definito come “quell’areaprivilegiata di territorio dove i detentori delle principali risorse politiche,economiche e culturali si riuniscono in apposite istituzioni per esercitare illoro potere decisionale”. In modo speculare la periferia può essere definitacome distanza dai luoghi dove si prendono decisioni, dipendenza economicae differenza culturale. In questa immagine la periferia risulta dipendente;spesso essa è una parte di territorio conquistata, scarsamente ricca di risorseminime per difendere la sua diversità, dipendente economicamente eincapace di gestire controllo sul territorio. L’esistenza di queste tensioni haportato in molti casi a rendere i conflitti politicizzati e vari sono stati icatalizzatori della ribellione delle periferie contro il centro: spesso sono statifattori etnici, in particolare una lingua propria, la cultura, le tradizioni.Concentrazione su un territorio, occupazione di una posizione importante dalpunto di vista strategico o militare, tradizione di governo locale, notevoledisponibilità di risorse materiali in sede locale, sono stati invece i motivi che

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hanno portato la periferia all’azione concreta. La prima ondata di protestedelle periferie si ebbe nel corso del XIX sec. Quando emersero lerivendicazioni contro lo stato spagnolo dei Paesi Baschi e in Catalogna. Finda questa fase nacquero partiti regionalisti definibili come partiti la cuiprincipale caratteristica è il tentativo di rappresentare gruppi territorialmenteconcentrati, con una identità specifica basata su una comunanza di lingua,territorio, storia, rivendicando un relativo livello di autogoverno. Il conflittoterritoriale ha come base una certa ideologia, ideologia che è alla radice distrategie apposite di conflitto, che vanno dalla rielaborazione culturale alterrorismo.

MODALITA’ DI ORDINAMENTO TERRITORIALE

L’esito del conflitto si è riflesso storicamente in diversi modelli di ordinamentoterritoriale cioè di distribuzione del potere tra organi centrali ed organidecentrati. Nella tradizione anglosassone in materia il local government èl’insieme delle istituzioni e delle procedure attraverso le quali sono governatearee di piccole dimensioni. La storia del governo locale è lunga e complessae parte anche questa volta nel XIXsec., quando vi fu la creazione di alcuneprime “comunità autogovernantisi” in forza del rafforzamento del governolocale. L’Italia non fa eccezione, alla costituzione del Regno d’Italia, come datradizione, il controllo del centro sulla periferia era esercitato da prefetti esindaci nominati dal re, i consigli comunali e provinciali erano tuttavia elettivi.Successivamente grazie alla crescita di rilevanza delle singole città, chedivennero il centro dell’erogazione dei servizi pubblici anche la carica disindaco divenne elettiva e scomparse il prefetto. Ancora oggi nelledemocrazie occidentali sono presenti due tipi di organi, gli uni legittimati dalloro rapporto con il governo centrale, gli altri dal consenso ottenuto dallacomunità locale (organi periferici dello stato ed enti territoriali). Come organiperiferici ci si riferisce alle burocrazie che dipendono dai diversi ministeri: dalprefetto alla polizia, dagli uffici postali a quelli tributari. Per enti territorialiinvece si suole intendere il vero e proprio “governo locale”: organismi elettiviquali comuni, province, regioni e le burocrazie che da essi dipendono. Lapeculiarità del governo locale moderno è quella di essere legittimato nelle sueistituzioni più significative secondo i principi della democraziarappresentativa.

A proposito degli enti territoriali si parla di decentramento politico.

I tipi di enti territoriali sono molto vari, un primo esempio è il comune: i comunihanno generalmente piccole dimensioni e proprio queste ristrette dimensionisono spesso state viste come un impedimento alla risoluzione dei problemiladdove scarseggiano le risorse per farlo. Proprio con un compito dicoordinamento si è infatti sviluppato un livello intermedio di governo locale, laprovincia. Le province rappresentano l’unità territoriale nella quale sono

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presenti molti organi periferici dello Stato. Le democrazie occidentali sidistinguono in relazione al decentramento territoriale:

- con un forte decentramento vi è una pluralità di centri indipendenti l’unodall’altro, seppure con un certo livello di coordinamento.

- con un forte accentramento invece il potere legislativo ed esecutivonazionale comanda gli organi periferici che sono ad esso subordinati.

Dal punto di vista della legittimazione del potere il primo modello enfatizzapartecipazione, pluralismo e controllo dal basso, il secondo invece privilegiasoprattutto rendimento ed omogeneità di trattamento secondo i dettami di unrigido sistema di coordinamento. Sulla base di questi indicatori l’Inghilterra èstata spesso portata a modello come patria del local government; la Franciainvece è l’esempio più calzante di stato accentrato in quanto in essa è statoelaborato e diffuso il modello napoleonico, basato su un forte controllo delloStato sulle periferie tramite un sistema di prefetti.

STATI UNITARI E STATI FEDERALI

Un ulteriore livello intermedio di governo è quello dei singoli stati checompongono una federazione. Il federalismo è stato definito come unaideologia il cui ideale nasce dall’ipotesi che il buon governo e la stessademocrazia siano possibili esclusivamente in unità di ristrette dimensioni. Ilfederalismo come ideologia quindi sottolinea i valori della libertàdell’individuo, dell’autonomia della società civile, della convivenza pacifica.Secondo Riker il federalismo è un’organizzazione politica nella quale leattività di governo sono divise tra governi regionali ed un governo centrale inmodo tale che ci siano per ogni tipo di governo attività sulle quali esso prendedecisioni finali. Ciò vuol dire – in altre parole – che due livelli di governocomandano sopra lo stesso territorio, che ogni livello ha almeno un’area incui è autonomo tutelato da specifiche garanzie. Le costituzioni federalidevono dunque integrare:

a) il principio di separazione (la ripartizione delle competenze legislative tragoverno federale e governi federati)

b) il principio di autonomia (la sovranità dei due ordini di governo nel lorodominio di giurisdizione)

c) il principio di partecipazione (cioè il diritto delle unità federate di essererappresentate e di partecipare alle decisioni federali)

Sono state riscontrate alcune somiglianze e differenze tra gli stati federali,tanto che si è parlato a proposito di caratteristiche secondarie delfederalismo:

Ricostruendo i vari tipi di federalismo Riker ha distinto un Federalismominimo nel quale chi governa la Federazione può prendere decisioni su unristretto numero di tematiche (almeno una), da un Federalismo massimo in

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cui chi governa decide su un numero ampio di tematiche . Al federalismo siarriva, in genere, attraverso fenomeni di federalizzazione – definita come –processo attraverso il quale un numero di comunità politiche separateaderiscono ad ordinamenti al fine di formulare soluzioni, di adottare politiche,di prendere decisioni comuni su problemi comuni. Tra le cause che hannospinto vari stati a battere la strada del federalismo sono stati spesso citatifattori di natura economica; politica o socioculturale. Per quanto riguarda leconseguenze dell’assetto del potere territoriale, teorici e studiosi avrebberomesso in luce i vantaggi del federalismo fiscale e del federalismo competitivo,in relazione a quest ultimo in particolare affermando che il decentramentoavrebbe effetti benefici legati alla concorrenza dei vari governi, offrendo siapiù livelli di accesso che di risposta. Il federalismo inoltre è spesso stato vistocome pluralismo territoriale, utile a risolvere conflitti etnici laddove le etniesiano particolarmente segregate. Tuttavia ne è anche stata messa in luce ladebole capacità di realizzazione delle decisioni politiche da parte del governofederale.

SOMIGLIANZE

* Presenza di una costituzione scritta

* Diritto degli stati di partecipare ad un eventuale emendamentocostituzionale ma anche di cambiare autonomamente la propria costituzione

* Sovradimensionamento delle unità più piccole in alcuni organi di governo

* Presenza di un sistema bicamerale

COMPETENZE LEGALI E RISORSE POLITICHE

Particolarmente importante è stato considerato il ruolo dei partiti comestrumento di mediazione tra poteri centrali e locali. Si è infatti osservato cheanche nei paesi dove le competenze legali sono più centralizzate, le periferiepossono avere un peso giocando soprattutto sul possesso di risorse di tipopolitico. In particolare nella comparazione tra paesi, due diversi modelli sonostati individuati, a seconda della prevalenza di competenze legali o di risorsepolitiche.

Nel primo modello la periferia dispone di consistenti competenze legali, ilruolo del governo locale è più esteso in termini di campi di competenza matendenzialmente concentrato sulla gestione amministrativa dei servizipubblici.

Nel secondo modello – diffuso soprattutto nell’Europa meridionale – leperiferie utilizzano prevalentemente le risorse politiche legate alla lorocapacità di acquisire consenso, per influenzare le decisioni nazionali.

In Italia, come in altri paesi europei, le riforme del governo locale negli ultimidue decenni si sono orientate verso l’elezione diretta del sindaco e deipresidenti delle regioni, con una crescita dei loro poteri sia all’interno della

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giunta che del consiglio. Alla personalizzazione di queste cariche si èaggiunta anche una depoliticizzazione tendenziale per quanto riguarda lecompetenze tecnico-manageriali.

IL POTERE LOCALE: DUE DIVERSI APPROCCI

L’attenzione al funzionamento reale delle istituzioni periferiche sta dunqueguadagnando terreno anche negli studi sul governo locale in Europa, untempo di taglio prevalentemente giuridico e focalizzati quindi sullecompetenze formali delle istituzioni. L’attenzione alla politica reale ha direttol’attenzione verso un diverso modo di concepire la politica: l’approccio allapolitica come potere ovvero come capacità di un attore A di influenzare ilcomportamento di un attore B. Due principali scuole sono sorte in merito aquesti studi: la scuola élitista e quella pluralista:

Dalla ricerca di Dahl emerge dunque che l’essenza del potere politico è lacapacità di costruire consenso attorno a processi decisionali pubblici. Se inpassato si è parlato di decentramento territoriale delle funzioni comeconseguenza dell’espansione del welfare state, più di recente la crescita deldebito pubblico ha ridotto i trasferimenti dal centro senza però ridurre il ruolodelle politiche locali. Ecco che oggi ci troviamo in una situazione nella quale igoverni locali sono stretti, come in una morsa, tra una riduzione delle risorsefinanziarie ed una aumento delle domande dei cittadini; inoltre le grandi cittàhanno cominciato a competere tra loro per assicurarsi risorse economiche,soprattutto di fonte privata. Si è dunque iniziato a parlare un “nuovoregionalismo” che vede coinvolti attori economici e attori politici, legati daun’alleanza, in vista di programmi di sviluppo dell’economia locale. Le teoriesono state criticate da gruppi di studiosi, in particolare da un gruppo distudiosi marxisti che avrebbe visto in questa (definita tale) “macchina urbanaper lo sviluppo economico”, l’allargamento del conflitto tra una serie di attorisociali e di attori politici.

UNA NUOVA DEMOCRAZIA URBANA

La politica locale dunque è emersa come un campo specifico, ma nonminore, della scienza politica. Sembra che le piccole dimensioni infattistimolino la sperimentazione e l’innovazione; le culture locali si sonodimostrate capaci di vivacizzare e influenzare i processi di regolamentazioneeconomica e più in generale, lo sviluppo della comunità. Tuttavia la crisifiscale ha avuto effetti particolarmente gravi a livello locale, dove avvieneprevalentemente la distribuzione dei servizi, gli enti locali risentono dunqueoggi, di un clima di complessivo ritiro della politica a vantaggio del mercato,con una crescita delle differenze e delle disuguaglianze. E’ comunque ancoraa livello locale che sembrano emergere nuove forme e nuovi modelli didemocrazia. In particolare è sembrata efficace la “democrazia deliberativa”,come alternativa all’imposizione dall’alto delle decisioni pubbliche: ilpassaggio dalla mediazione dei partiti alla partecipazione non mediata

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dovrebbe accrescere gli spazi di intervento per i cittadini. Una deliberazionepubblica di qualità richiede tuttavia delle norme condivise: un processodeliberativo è facilitato dalla condivisione degli obbiettivi e dallafocalizzazione del dibattito sul modo per raggiungere questi obbiettivi. Perquesto processi di cooperazione hanno spesso successo nei patti territorialiche riuniscono attori pubblici e privati accomunati dall’obbiettivo dellosviluppo economico. La definizione delle norme comuni è quindi un momentoindispensabile che non può essere facilmente “devoluto” al negoziato fra gliattori. Il rischio sottolineato è che questa autoregolazione vada a svantaggiodei più deboli ma anche dello stesso potere politico, catturato da interessiparticolaristici.

Cap. 15: Le burocrazie pubbliche

Il concetto di burocrazia pubblica si sovrappone oggi al concetto di “pubblicaamministrazione”, che designa in modo neutrale l’insieme delleorganizzazioni dello stato. La burocrazia pubblica è un elementofondamentale dello stato:

* In termini funzionali o di azione la pubblica amministrazione comprende iprocedimenti di messa in atto di norme

* In termini strutturali la pubblica amministrazione può essere concepita come“l’insieme degli apparati di cui il governo si avvale per esercitare la funzioneprimaria di cui al punto precedente”

* In un terzo significato, più specifico, il concetto di burocrazia pubblica indicauna particolare forma di potere, e quindi amministrazione, tipica delleorganizzazioni complesse nelle società moderne.

Nella definizione di Max Weber il termine burocrazia si riferisce alleorganizzazioni che funzionano secondo il principio delle competenze diautorità attribuite a uffici e specificate attraverso regole impersonali eduniversali. Un primo dato rilevante circa la burocrazia pubblica è il suoemergere in parallelo con lo Stato moderno. In particolare lo stato modernorealizza i seguenti elementi: a) la territorialità del comando che si realizzaattraverso un processo di accentramento territoriale; b) l’obbligazione politicache implica il riconoscimento, allo Stato, del monopolio della forza legittima;c) lo sviluppo di una burocrazia pubblica caratterizzata da un potereimpersonale, vincolato dalla legge al rispetto dello stato di diritto.

La burocrazia nasce in questo processo, come lo specifico strumento delpotere attraverso cui si stabilizza il centralismo della monarchia assoluta. Perdirla con Weber, lo stato moderno si fonda sul potere razionale-legale deisuoi funzionari, le forme di potere sono collegate a specifiche forme diamministrazione. Il potere razionale-legale è alla base del modo diamministrare le moderne società complesse – come la pubblicaamministrazione, ma anche la grande impresa. Lo sviluppo di questo tipo di

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potere è parte di un più ampio processo di razionalizzazione. Una peculiaritàdella burocrazia è la presenza di un potere impersonale, orientatoall’applicazione neutrale di regole astratte. I compiti e i poteri del funzionariopubblico vengono fissati e delimitati dalla legge. Egli si muove “in base acriteri puramente oggettivi” e “senza riguardo alle persone”, sulla base di“regole prevedibili”.

LA CRESCITA DELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE

Questa crescita, non soltanto numerica, della burocrazia pubblica è parte diun complesso sviluppo storico, per spiegare il quale si è fatto riferimento avariabili socioeconomiche e politiche. Storicamente l’affermarsi di unaeconomia monetaria è una precondizione per la nascita della burocraziapoiché è indispensabile una forma di organizzazione che renda possibile ilprocurarsi la tassazione. In una prospettiva di tipo evoluzionista laprogressiva specializzazione degli organi cui viene assegnato lo svolgimentodi specifiche funzioni rende necessaria la creazione di un sistema dicoordinamento cui la burocrazia supplisce perfettamente. Nella crescita dellaburocrazia, hanno giocato un ruolo importante fattori politici internazionaliquali i conflitti militari, la guerra: l’amministrazione statale cresce in parallelo aseguito degli sforzi militari, le attività pubbliche introdotte in tempo di guerraverranno mantenute anche una volta che il conflitto sia terminato, in tempo dipace i cittadini rivendicheranno i diritti loro promessi mentre era in corso laguerra e i debiti di stato in cui esso è incorso porteranno lo stato adaccrescere il suo intervento in economia. Tutto questo a portato ad ampliare icompiti dello stato, in particolare in relazione all’offerta dei servizi tramite losviluppo dello stato del benessere e la promozione di tale sviluppo tramite lostato programmatore. Questa costante espansione dei compiti dello stato si èriflessa in una crescita della burocrazia , sollecitata, almeno in parte, dapressioni provenienti da diversi gruppi sociali. Oggi comunque le spinte versouna crescita dello stato vengono dal suo interno, da interessi propri allaclasse politica e alla burocrazia pubblica.

IL COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO

Si è detto che il modello weberiano afferma in primo luogo il principio dellarazionalità dell’azione come fondamento dell’agire burocratico. L’approcciorazionale, o sinottico, è a lungo stato quello dominante ma esso ha sollevatonumerose critiche che hanno portato all’elaborazione di teorie alternative.Herbert Simon ha sostenuto che il processo decisionale nella pubblicaamministrazione è dominato dall’aspirazione alla razionalità, sottolineandoneperò i limiti. Elementi essenziali del processo decisionale sono dunque lapresenza di scopi ben definiti, la valutazione delle possibili alternative perraggiungere questi scopi, l’opzione per l’alternativa meno costosa. Peresprimere il concetto che in realtà viviamo in un mondo con costanti vincoli alimitare l’agire, Simon elaborerà il modello di razionalità limitata secondo il

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quale il decisore non mira a massimizzare i propri valori ma si accontenta diuna soluzione soddisfacente. Giungendo a conclusioni in parte simili,Lindblom ha proposto invece l’immagine delle comparazioni limitatesuccessive, affermando che il processo decisionale avviene in modoincrementale. Se l’approccio razionale si basa sull’assunto i mezzi sianoscelti in funzione di fini prestabiliti egli sostiene invece che non vi è, nellarealtà, un ordine gerarchico tra mezzi e fini ma questi tendono ad adattarsil’uno all’altro: il processo decisionale avverrebbe attraverso aggiustamenti siaadattivi (di adeguamento a trasformazioni esterne), sia manipolativi (miranti atrasformare l’ambiente). Questo metodo incrementale tuttavia, è statoosservato, rischia di rafforzare il conservatorismo della burocrazia conconseguenze negative laddove sia necessario un intervento riformatore. Aquesto scopo si è proposto il metodo mixed scanning cioè un processobasato sulla distinzione tra decisioni fondamentali, dov’è necessario valutarenumerose opzioni alternative e decisioni di portata limitata che possonoessere prese in modo incrementale.

Anche l’assunto del modello razionale di un attore unico è stato messo indiscussione: in realtà la burocrazia è un sistema complesso, dove siintrecciano, cooperano e configgono vari interessi, individuali e collettivi. Lateoria del garbage can (bidone della spazzatura) ha infatti affermato che lavita delle organizzazioni è dominata da una continua lotta fra diversi attori,ciascuno dotato di propri obbiettivi e strategie, spesso incompatibili. Ledecisioni dunque si affastellerebbero in modo disordinato (come appunto inun cestino della spazzatura) in organizzazioni instabili. Il problema dellamancanza di obbiettivi comuni è stato affrontato sostenendo l’esistenza dinorme che rendono possibile il riferirsi alle organizzazioni come istituzioni.Questa posizione è stata elaborata dal cosiddetta approccio

neoistituzionalista, secondo il quale le istituzioni non sono più da intenderecome organigrammi di funzioni o di funzionari ma piuttosto come tessuto diregole, procedure e valori. Sarebbe dunque l’appropriatezza (rispetto dellenorme) a guidare il comportamento degli individui.

IL POTERE DELLA BUROCRAZIA

Il rapporto tra burocrazia e democrazia è complesso. Osserva Weber che iprincipi di eguaglianza dinanzi alla legge e il reclutamento sulla base dellecompetenze sono coerenti con gli ideali della democrazia. Non solo infattil’organizzazione democratica considera tutti uguali ma inoltre, selezionando iburocrati sulla base delle competenze è socialmente aperta ai diversi gruppi.Il punto debole della burocrazia è comunque l’assenza di una legittimazionerappresentativa. Per la dottrina democratica, data la mancanza di unaresponsabilità diretta rispetto all’elettorato, la burocrazia deve esseresubordinata al potere politico. In una distinzione classica ai politici andrebbe ilcompito di definire l’indirizzo generale delle politiche pubbliche; ai burocrati

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quello di rendere operative le direttive dei politici, mantenendo unorientamento neutrale rispetto ai singoli interessi. Il principio di neutralità èperò un ideale solo parzialmente rispecchiato nelle esperienze concrete. E’stato osservato che raramente l’amministrazione pubblica di un paese operain maniera neutrale. Per quanto riguarda i reciproci controlli tra burocrati epolitici se classe politica può controllare la burocrazia quest’ultima ha unarisorsa fondamentale da sfruttare nel conflitto, il suo sapere. Già Weberaveva osservato che il monopolio del sapere mette la classe politica in unaposizione di soggezione. Il potere della burocrazia è poi assicurato dal fattoche grazie alla più lunga carica di questi rispetto ai politici essi possonogarantire continuità alle istituzioni. Una crescente autonomizzazione dellaburocrazia rispetto al controllo dei politici è derivata anche da un processo diprogressiva trasformazione dei fini e dell’amministrazione pubblica. Si èpassati ad un crescente coinvolgimento della burocrazia in attività diprogrammazione, orientate alla selezione dei mezzi più adatti ad alcunirisultati piuttosto che alla conformità alle leggi. La capacità di un interventoautonomo è poi aumentata insieme alla tendenza a rinviare scelte importantialla fase di implementazione delle politiche pubbliche. La burocrazia ha cosìacquisito un potere sempre più rilevante.

POTERE E INCENTIVI

Anzitutto, organizzazioni diverse possono utilizzare incentivi diversi, che inalcuni casi possono indebolire il principio della gerarchia. A proposito distrategie utilizzate dalle organizzazioni per mobilitare le risorse – tra cui lalealtà dei propri membri – Etzioni ha distinto tre forma di potere:

* Coercitivo: basato sull’applicazione o minaccia di applicazione di sanzioni divario tipo.

* Remunerativo: basato sull’allocazione di risorse materiali.

* Normativo: basato sull’allocazione di ricompense simboliche

A ciascuna di esse corrisponde un tipo di impegno da parte dei membri:impegno alienato (basato sulla paura), impegno calcolato (basato sull’analisidi costi e benefici), impegno morale (basato sulla condivisione di norme).

Il burocrate di base

La discrezionalità dei livelli più bassi della gerarchia è particolarmente forte inalcune burocrazie dove maggiori sono le competenze tecniche ed i contatticon una clientela esterna. E’ il caso degli street level bureaucrats o burocratidi basa cioè dei burocrati a stretto contatto con il pubblico, come la polizia o iservizi sociali. Essi godendo di un ampio potere discrezionale, sviluppanoparticolari criteri detti “criteri guida” che permettono poi loro di organizzare ledecisioni. Aldilà di questo caso, la stessa espansione dello stato e dei suoicompiti ha reso inapplicabile un’immagine della pubblica amministrazionecome di una piramide centralizzata, facendo piuttosto parlare di reticoli

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frammentati. Il principio gerarchico è sempre più stato messo in discussionedai mutamenti intercorsi nella struttura dell’amministrazione pubblica, con unacrescita di enti pubblici di vario tipo e l’intreccio tra strutture piramidaligerarchiche e strutture di coordinamento orizzontali. L’esito di questetrasformazioni è stata una accresciuta frammentazione dei sistemiamministrativi, che perdono quel carattere di macrosistemi relativamentecompatti che possedevano in passato. Questa complessa strutturaorganizzativa ha alimentato la crescita della burocrazia sottraendo moltiorgani al controllo gerarchico tipico del passato.

I LIMITI ALLA COMPETENZA

Se il reclutamento, nel modello weberiano – è basato su criteri dicompetenza, nella realtà delle cose si sono sviluppati vari modelli:

* Il primo modello è quello affermatosi negli stati europei, a partire dalmodello francese in cui Napoleone per primo ristabilì il modello accentrato diburocrazia controllata dal potere esecutivo che era stato indebolito dallarivoluzione. Qui è necessaria una formazione ad hoc, al termine della quale ifunzionari vengono reclutati tramite un concorso pubblico. Le competenzesono generali e i rapporti con l’esterno sono formali ed inclini alla chiusura.Alcuni elementi di questo modello si ritrovano nel caso italiano: il burocrateitaliano nasce come “legalista”, di formazione prevalentemente giuridica.

* Un modello diverso prevale negli USA, dove viene legittimato il principiodello spoils system: l’attribuzione al partito di maggioranza di poter nominarefunzionari pubblici ad esso fedeli. Qui la costruzione di competenzespecifiche avviene nell’ambito delle esperienze professionali, le competenzesono specializzate, la struttura organizzativa è quella delle agenzie, ledecisioni vengono costruite attorno ai vari casi individuali e per quantoriguarda i rapporti con l’esterno, il meccanismo prevalente è quello dellamediazione.

LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: TENDENZEATTUALI

Negli anni più recenti si è assistito ad una riforma della pubblicaamministrazione, sollecitata da una serie di sviluppi in primo luogo in rispostaalla crescita del debito pubblico, alla richiesta di una migliore qualità deiservizi e di maggiore partecipazione alle scelte della pubblicaamministrazione. Il processo di riforma, mosso da esigenze di bilancio e daun aumento delle domande, oltre che dalla disponibilità di nuove tecnologie,ha avuto ultimamente una inversione di tendenza.

Da un lato si è puntato alla “deregolamentazione”, con conseguente riduzionedelle formalità amministrative, ed alla “privatizzazione” come limitazione di finie funzioni del settore pubblico. La dubbia efficacia delle privatizzazioni è stataparticolarmente visibile nella creazione delle cosiddette “autorità indipendenti”

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(o autorità garanti), nate nella maggior parte dei casi come istanze a difesadell’interesse collettivo in relazione alla privatizzazione di beni e servizi untempo gestiti dallo stato.

Dall’altro lato si è affermato il principio della trasparenza dell’azionedell’amministrazione pubblica: di fronte ai cittadini non solo è stato ribadito ildiritto ad essere informati ma si è rafforzato quello di partecipare ad una seriedi decisioni pubbliche attraverso procedure di consultazione e concertazione.Se la tradizione occidentale sosteneva di isolare il processo da spinteesterne, molte riforme recenti hanno mirato a renderlo più trasparentegarantendo ai cittadini l’accesso a atti amministrativi. Ciò è avvenuto inparticolare per i processi decisionali relativi a politiche che, come quelleterritoriali o ambientali, hanno maggiori ricadute sulla vita della società. Gliesperimenti di coinvolgimento vanno dalle giurie di cittadini ai forum, a bilancipartecipativi, a dibattiti pubblici prima dell’attuazione di specifiche decisioni. Siè parlato in questi casi di un policy marketing interattivo.

Cap. 15: Le burocrazie pubbliche

Il concetto di burocrazia pubblica si sovrappone oggi al concetto di “pubblicaamministrazione”, che designa in modo neutrale l’insieme delleorganizzazioni dello stato. La burocrazia pubblica è un elementofondamentale dello stato:

* In termini funzionali o di azione la pubblica amministrazione comprende iprocedimenti di messa in atto di norme

* In termini strutturali la pubblica amministrazione può essere concepita come“l’insieme degli apparati di cui il governo si avvale per esercitare la funzioneprimaria di cui al punto precedente”

* In un terzo significato, più specifico, il concetto di burocrazia pubblica indicauna particolare forma di potere, e quindi amministrazione, tipica delleorganizzazioni complesse nelle società moderne.

Nella definizione di Max Weber il termine burocrazia si riferisce alleorganizzazioni che funzionano secondo il principio delle competenze diautorità attribuite a uffici e specificate attraverso regole impersonali eduniversali. Un primo dato rilevante circa la burocrazia pubblica è il suoemergere in parallelo con lo Stato moderno. In particolare lo stato modernorealizza i seguenti elementi: a) la territorialità del comando che si realizzaattraverso un processo di accentramento territoriale; b) l’obbligazione politicache implica il riconoscimento, allo Stato, del monopolio della forza legittima;c) lo sviluppo di una burocrazia pubblica caratterizzata da un potereimpersonale, vincolato dalla legge al rispetto dello stato di diritto.

La burocrazia nasce in questo processo, come lo specifico strumento delpotere attraverso cui si stabilizza il centralismo della monarchia assoluta. Per

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dirla con Weber, lo stato moderno si fonda sul potere razionale-legale deisuoi funzionari, le forme di potere sono collegate a specifiche forme diamministrazione. Il potere razionale-legale è alla base del modo diamministrare le moderne società complesse – come la pubblicaamministrazione, ma anche la grande impresa. Lo sviluppo di questo tipo dipotere è parte di un più ampio processo di razionalizzazione. Una peculiaritàdella burocrazia è la presenza di un potere impersonale, orientatoall’applicazione neutrale di regole astratte. I compiti e i poteri del funzionariopubblico vengono fissati e delimitati dalla legge. Egli si muove “in base acriteri puramente oggettivi” e “senza riguardo alle persone”, sulla base di“regole prevedibili”.

LA CRESCITA DELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE

Questa crescita, non soltanto numerica, della burocrazia pubblica è parte diun complesso sviluppo storico, per spiegare il quale si è fatto riferimento avariabili socioeconomiche e politiche. Storicamente l’affermarsi di unaeconomia monetaria è una precondizione per la nascita della burocraziapoiché è indispensabile una forma di organizzazione che renda possibile ilprocurarsi la tassazione. In una prospettiva di tipo evoluzionista laprogressiva specializzazione degli organi cui viene assegnato lo svolgimentodi specifiche funzioni rende necessaria la creazione di un sistema dicoordinamento cui la burocrazia supplisce perfettamente. Nella crescita dellaburocrazia, hanno giocato un ruolo importante fattori politici internazionaliquali i conflitti militari, la guerra: l’amministrazione statale cresce in parallelo aseguito degli sforzi militari, le attività pubbliche introdotte in tempo di guerraverranno mantenute anche una volta che il conflitto sia terminato, in tempo dipace i cittadini rivendicheranno i diritti loro promessi mentre era in corso laguerra e i debiti di stato in cui esso è incorso porteranno lo stato adaccrescere il suo intervento in economia. Tutto questo a portato ad ampliare icompiti dello stato, in particolare in relazione all’offerta dei servizi tramite losviluppo dello stato del benessere e la promozione di tale sviluppo tramite lostato programmatore. Questa costante espansione dei compiti dello stato si èriflessa in una crescita della burocrazia , sollecitata, almeno in parte, dapressioni provenienti da diversi gruppi sociali. Oggi comunque le spinte versouna crescita dello stato vengono dal suo interno, da interessi propri allaclasse politica e alla burocrazia pubblica.

IL COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO

Si è detto che il modello weberiano afferma in primo luogo il principio dellarazionalità dell’azione come fondamento dell’agire burocratico. L’approcciorazionale, o sinottico, è a lungo stato quello dominante ma esso ha sollevatonumerose critiche che hanno portato all’elaborazione di teorie alternative.Herbert Simon ha sostenuto che il processo decisionale nella pubblicaamministrazione è dominato dall’aspirazione alla razionalità, sottolineandone

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però i limiti. Elementi essenziali del processo decisionale sono dunque lapresenza di scopi ben definiti, la valutazione delle possibili alternative perraggiungere questi scopi, l’opzione per l’alternativa meno costosa. Peresprimere il concetto che in realtà viviamo in un mondo con costanti vincoli alimitare l’agire, Simon elaborerà il modello di razionalità limitata secondo ilquale il decisore non mira a massimizzare i propri valori ma si accontenta diuna soluzione soddisfacente. Giungendo a conclusioni in parte simili,Lindblom ha proposto invece l’immagine delle comparazioni limitatesuccessive, affermando che il processo decisionale avviene in modoincrementale. Se l’approccio razionale si basa sull’assunto i mezzi sianoscelti in funzione di fini prestabiliti egli sostiene invece che non vi è, nellarealtà, un ordine gerarchico tra mezzi e fini ma questi tendono ad adattarsil’uno all’altro: il processo decisionale avverrebbe attraverso aggiustamenti siaadattivi (di adeguamento a trasformazioni esterne), sia manipolativi (miranti atrasformare l’ambiente). Questo metodo incrementale tuttavia, è statoosservato, rischia di rafforzare il conservatorismo della burocrazia conconseguenze negative laddove sia necessario un intervento riformatore. Aquesto scopo si è proposto il metodo mixed scanning cioè un processobasato sulla distinzione tra decisioni fondamentali, dov’è necessario valutarenumerose opzioni alternative e decisioni di portata limitata che possonoessere prese in modo incrementale.

Anche l’assunto del modello razionale di un attore unico è stato messo indiscussione: in realtà la burocrazia è un sistema complesso, dove siintrecciano, cooperano e configgono vari interessi, individuali e collettivi. Lateoria del garbage can (bidone della spazzatura) ha infatti affermato che lavita delle organizzazioni è dominata da una continua lotta fra diversi attori,ciascuno dotato di propri obbiettivi e strategie, spesso incompatibili. Ledecisioni dunque si affastellerebbero in modo disordinato (come appunto inun cestino della spazzatura) in organizzazioni instabili. Il problema dellamancanza di obbiettivi comuni è stato affrontato sostenendo l’esistenza dinorme che rendono possibile il riferirsi alle organizzazioni come istituzioni.Questa posizione è stata elaborata dal cosiddetta approccio

neoistituzionalista, secondo il quale le istituzioni non sono più da intenderecome organigrammi di funzioni o di funzionari ma piuttosto come tessuto diregole, procedure e valori. Sarebbe dunque l’appropriatezza (rispetto dellenorme) a guidare il comportamento degli individui.

IL POTERE DELLA BUROCRAZIA

Il rapporto tra burocrazia e democrazia è complesso. Osserva Weber che iprincipi di eguaglianza dinanzi alla legge e il reclutamento sulla base dellecompetenze sono coerenti con gli ideali della democrazia. Non solo infattil’organizzazione democratica considera tutti uguali ma inoltre, selezionando iburocrati sulla base delle competenze è socialmente aperta ai diversi gruppi.

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Il punto debole della burocrazia è comunque l’assenza di una legittimazionerappresentativa. Per la dottrina democratica, data la mancanza di unaresponsabilità diretta rispetto all’elettorato, la burocrazia deve esseresubordinata al potere politico. In una distinzione classica ai politici andrebbe ilcompito di definire l’indirizzo generale delle politiche pubbliche; ai burocratiquello di rendere operative le direttive dei politici, mantenendo unorientamento neutrale rispetto ai singoli interessi. Il principio di neutralità èperò un ideale solo parzialmente rispecchiato nelle esperienze concrete. E’stato osservato che raramente l’amministrazione pubblica di un paese operain maniera neutrale. Per quanto riguarda i reciproci controlli tra burocrati epolitici se classe politica può controllare la burocrazia quest’ultima ha unarisorsa fondamentale da sfruttare nel conflitto, il suo sapere. Già Weberaveva osservato che il monopolio del sapere mette la classe politica in unaposizione di soggezione. Il potere della burocrazia è poi assicurato dal fattoche grazie alla più lunga carica di questi rispetto ai politici essi possonogarantire continuità alle istituzioni. Una crescente autonomizzazione dellaburocrazia rispetto al controllo dei politici è derivata anche da un processo diprogressiva trasformazione dei fini e dell’amministrazione pubblica. Si èpassati ad un crescente coinvolgimento della burocrazia in attività diprogrammazione, orientate alla selezione dei mezzi più adatti ad alcunirisultati piuttosto che alla conformità alle leggi. La capacità di un interventoautonomo è poi aumentata insieme alla tendenza a rinviare scelte importantialla fase di implementazione delle politiche pubbliche. La burocrazia ha cosìacquisito un potere sempre più rilevante.

POTERE E INCENTIVI

Anzitutto, organizzazioni diverse possono utilizzare incentivi diversi, che inalcuni casi possono indebolire il principio della gerarchia. A proposito distrategie utilizzate dalle organizzazioni per mobilitare le risorse – tra cui lalealtà dei propri membri – Etzioni ha distinto tre forma di potere:

* Coercitivo: basato sull’applicazione o minaccia di applicazione di sanzioni divario tipo.

* Remunerativo: basato sull’allocazione di risorse materiali.

* Normativo: basato sull’allocazione di ricompense simboliche

A ciascuna di esse corrisponde un tipo di impegno da parte dei membri:impegno alienato (basato sulla paura), impegno calcolato (basato sull’analisidi costi e benefici), impegno morale (basato sulla condivisione di norme).

Il burocrate di base

La discrezionalità dei livelli più bassi della gerarchia è particolarmente forte inalcune burocrazie dove maggiori sono le competenze tecniche ed i contatticon una clientela esterna. E’ il caso degli street level bureaucrats o burocratidi basa cioè dei burocrati a stretto contatto con il pubblico, come la polizia o i

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servizi sociali. Essi godendo di un ampio potere discrezionale, sviluppanoparticolari criteri detti “criteri guida” che permettono poi loro di organizzare ledecisioni. Aldilà di questo caso, la stessa espansione dello stato e dei suoicompiti ha reso inapplicabile un’immagine della pubblica amministrazionecome di una piramide centralizzata, facendo piuttosto parlare di reticoliframmentati. Il principio gerarchico è sempre più stato messo in discussionedai mutamenti intercorsi nella struttura dell’amministrazione pubblica, con unacrescita di enti pubblici di vario tipo e l’intreccio tra strutture piramidaligerarchiche e strutture di coordinamento orizzontali. L’esito di questetrasformazioni è stata una accresciuta frammentazione dei sistemiamministrativi, che perdono quel carattere di macrosistemi relativamentecompatti che possedevano in passato. Questa complessa strutturaorganizzativa ha alimentato la crescita della burocrazia sottraendo moltiorgani al controllo gerarchico tipico del passato.

I LIMITI ALLA COMPETENZA

Se il reclutamento, nel modello weberiano – è basato su criteri dicompetenza, nella realtà delle cose si sono sviluppati vari modelli:

* Il primo modello è quello affermatosi negli stati europei, a partire dalmodello francese in cui Napoleone per primo ristabilì il modello accentrato diburocrazia controllata dal potere esecutivo che era stato indebolito dallarivoluzione. Qui è necessaria una formazione ad hoc, al termine della quale ifunzionari vengono reclutati tramite un concorso pubblico. Le competenzesono generali e i rapporti con l’esterno sono formali ed inclini alla chiusura.Alcuni elementi di questo modello si ritrovano nel caso italiano: il burocrateitaliano nasce come “legalista”, di formazione prevalentemente giuridica.

* Un modello diverso prevale negli USA, dove viene legittimato il principiodello spoils system: l’attribuzione al partito di maggioranza di poter nominarefunzionari pubblici ad esso fedeli. Qui la costruzione di competenzespecifiche avviene nell’ambito delle esperienze professionali, le competenzesono specializzate, la struttura organizzativa è quella delle agenzie, ledecisioni vengono costruite attorno ai vari casi individuali e per quantoriguarda i rapporti con l’esterno, il meccanismo prevalente è quello dellamediazione.

LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: TENDENZEATTUALI

Negli anni più recenti si è assistito ad una riforma della pubblicaamministrazione, sollecitata da una serie di sviluppi in primo luogo in rispostaalla crescita del debito pubblico, alla richiesta di una migliore qualità deiservizi e di maggiore partecipazione alle scelte della pubblicaamministrazione. Il processo di riforma, mosso da esigenze di bilancio e daun aumento delle domande, oltre che dalla disponibilità di nuove tecnologie,ha avuto ultimamente una inversione di tendenza.

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Da un lato si è puntato alla “deregolamentazione”, con conseguente riduzionedelle formalità amministrative, ed alla “privatizzazione” come limitazione di finie funzioni del settore pubblico. La dubbia efficacia delle privatizzazioni è stataparticolarmente visibile nella creazione delle cosiddette “autorità indipendenti”(o autorità garanti), nate nella maggior parte dei casi come istanze a difesadell’interesse collettivo in relazione alla privatizzazione di beni e servizi untempo gestiti dallo stato.

Dall’altro lato si è affermato il principio della trasparenza dell’azionedell’amministrazione pubblica: di fronte ai cittadini non solo è stato ribadito ildiritto ad essere informati ma si è rafforzato quello di partecipare ad una seriedi decisioni pubbliche attraverso procedure di consultazione e concertazione.Se la tradizione occidentale sosteneva di isolare il processo da spinteesterne, molte riforme recenti hanno mirato a renderlo più trasparentegarantendo ai cittadini l’accesso a atti amministrativi. Ciò è avvenuto inparticolare per i processi decisionali relativi a politiche che, come quelleterritoriali o ambientali, hanno maggiori ricadute sulla vita della società. Gliesperimenti di coinvolgimento vanno dalle giurie di cittadini ai forum, a bilancipartecipativi, a dibattiti pubblici prima dell’attuazione di specifiche decisioni. Siè parlato in questi casi di un policy marketing interattivo.

Cap 16: Il potere dei giudici

La democrazia vincola il potere della maggioranza ad un controllocostituzionale, di rispetto della legge e della costituzione. Al primato dellalegge come fondamento in uno stato democratico si collega la funzioneistituzionale della magistratura, come corpo incaricato di sanzionare leviolazioni del diritto. Per poter assolvere queste funzioni la magistratura deveessere indipendente.

A partire da Montesquieu la tripartizione dei poteri in legislativo, esecutivo egiudiziario è stata vista come conditio sine qua non di uno stato moderno.Nonostante l’affermazione di principio tuttavia si è comunque mantenuto uncerto livello di controllo politico sulla magistratura.

Se il legislativo e l’esecutivo mantengono, in generale, strumenti di controllosul potere giudiziario, a partire dagli anni ’80 si è cominciato a parlare diespansione e politicizzazione del potere giudiziario.

L’INDIPENDENZA DEL GIUDICE NELLE DEMOCRAZIE

Le corti di giustizia sono caratterizzate dalla presenza di a)un giudiceindipendente, b) che applica le leggi, c) prendendo una decisione cheavvantaggia una parte e ne penalizza un’altra. Il processo di risoluzione deiconflitti si è andato sempre più professionalizzando. Data la funzione dellagiustizia come “arbitro tra due contendenti” la presenza di giudiciprofessionisti che applicano la legge è stata considerata sempre di più comecondizione necessaria perché anche la terza parte perdente nell’azione di

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arbitrato accettasse il giudizio della terza parte neutrale. Un primo passaggiodell’affermazione dell’autonomia storica della magistratura, nel corso dellastoria, è stata l’introduzione di un giudice superpartes. La legittimazione delgiudice come potere neutrale ha richiesto anche garanzie di autonomia dellamagistratura dal potere politico. Tutti i regimi democratici si sono appellatiall’autonomia del potere giudiziario come garanzia di controllo sul potere deigovernanti. Il potere dei giudici si è però diversificato nei vari paesi, inparticolare nei paesi anglosassoni, detti di common law, rispetto ai paesi delcontinente europeo, detti di civil law. I paesi anglosassoni lasciano maggiorelibertà al giudice nell’applicazione (e nei fatti anche nella formulazione) delleleggi. Il sistema giuridico dei paesi di common law si basa sulla forzavincolante del precedente giudiziario. Nei paesi di civil law invece, la via pergiustificare e limitare il “terzo potere” è stata una concezione dellamagistratura come mera applicatrice delle decisioni prese (o leggi fatte)altrove. La civil law (detta anche legge statutaria romana, o neo-romana) ècostituita infatti da un corpo di leggi scritte promulgate da organi dotati dipotere legislativo. Un elemento rilevante inoltre è la caratteristica delleistituzioni che hanno il compito di reclutare i giudici:

* nei paesi di common law essi vengono reclutati da organi esterni allamagistratura, con procedimenti che rendono la scelta dei giudici compatibilecon i processi della democrazia rappresentativa (in Inghilterra è il Lordcancelliere, in Usa il reclutamento può avvenire sulla base di una nomina maanche per via di una elezione diretta). Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti igiudici tendono ad essere individui con una lunga carriera alle spalle,accumulata nell’ambito di una diversa professione. In entrambi i casi lanomina è a vita.

* Nei paesi di civil law invece, il giudice è selezionato secondo criteriburocratici e la sua carriera è vincolata agli stessi criteri. Il reclutamentoavviene in seguito ad un concorso pubblico dopodichè un tirocinio interno allamagistratura è il primo strumento di socializzazione istituzionale dei giudici.

Le differenze tra paesi di common law e di civil law si ripresentano anche aproposito della carriera dei giudici. Nel primo modello domina un modelloprofessionale di carriera il cui percorso è in parte esterno ed in parte internoalla magistratura e legato idealmente al riconoscimento di capacitàprofessionali spesso acquisite nell’esercizio della professione forense. Ilconcetto di carriera è invece centrale nei paesi di civil law, che seguono infattiun modello burocratico basato su una struttura di tipo piramidale conordinamento gerarchico al suo interno.. In questi sistemi i due principali criteridi selezione sono meriti professionali ed anzianità.

GERARCHIA GIURISDIZIONALE E RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO

Le magistrature di tipo burocratico si differenziano da quelle di tipoprofessionale anche in relazione ad un terzo punto: la gerarchia

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giurisdizionale. Nelle magistrature di tipo burocratico domina un modellogerarchico dove molte delle decisioni prese dalla “base” vengono riesaminatedai livelli gerarchici superiori attraverso procedure di appello. In quelle di tipoprofessionale invece i ricorsi a livelli superiori costituiscono eccezioni. Oltreche sulla carriera dei giudici inoltre, i paesi di common law tendono adifferenziarsi da quelli di civil law in relazione ai ruoli di giudice e pubblicoministero. Il pubblico ministero, attore incaricato di sollecitare al giudicel’applicazione della legge, è presente in tutti i regimi democratici, sebbene isuoi compiti siano diversi nei paesi di common law ed in quelli di civil law: neipaesi anglosassoni il pm è considerato il rappresentante della parte piùdebole (la vittima) mentre in quelli di civil law è definito invece come unsoggetto al di sopra delle parti, che rappresenta lo stato imparziale. In molticasi esso esercita un monopolio pubblico sull’azione penale: avvia l’azionepenale, segue le indagini o ne chiede l’archiviazione, rappresenta la pubblicaaccusa al processo. Il grado di controllo dell’esecutivo sul pubblico ministero,in genere maggiore rispetto a quello esercitato sui giudici, varia comunquesul continente europeo. Le diverse accezioni del ruolo del pm si riflettono suun quarto punto: concezione del processo. Esso può essere:

* Avversariale (nei sistemi anglosassoni): concepisce il processo come unconflitto tra due parti in causa; si configura come una lotta tra due avversari difronte ad un arbitro relativamente passivo.

* Inquisitorio (nei sistemi continentali): - si riferisce tradizionalmente aiprocedimenti avviati in assenza di un’azione di una parte specifica – assegnaal giudice la difesa di un bene superiore rispetto a quello rappresentato dalleparti in causa.

Crescita del potere della magistratura

Una tendenza generalizzata, a prescindere dal modello di common law o civillaw, è una crescita del potere dei giudici - ai quali non si attaglia la definizionedi “bocca della legge”. Sempre più infatti la magistratura deve, non soloapplicare la legge ma anche farla. Molti studi sulla magistratura hanno, direcente, individuato una crescita del potere discrezionale di essa, facendoparlare di “politicizzazione della giustizia – giudizializzazione della politica”.Con queste espressioni ci si riferisce sia all’espansione del potere giudiziarioin campi non soggetti ad esso sia all’estensione delle procedure tipiche delprocesso in molte arene decisionali pubbliche. Della crescita dell’attivismogiudiziario si posso rintracciar almeno 4 forme:

a) la maggiore partecipazione dei giudici all’elaborazione della legge

La Corte costituzionale come organo di controllo della conformità della leggeal dettato costituzionale si afferma inizialmente solo negli Stati Uniti, doveviene sottolineata la necessità di un potere capace di difendere i cittadini dapossibili dispotismi e deviazioni degli organi rappresentativi. Sul continenteeuropeo invece prevale un modello di democrazia dove domina il

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Parlamento, organo considerato come l’unico in grado di fare leggi. Se lafunzione principale delle Corti costituzionali è il controllo di costituzionalitàdelle leggi, il modo di assolvere questo compito varia sul continente aseconda che il controllo sia preventivo (effettuato prima dell’emanazione dellalegge), oppure recessivo (effettuato dopo).

b) l’estensione del raggio di influenza dei giudici

Inizialmente il potere giudiziario aveva il compito di tutelare alcuni dei dirittiinviolabili degli individui rispetto allo stato; le costituzioni avevano questocompito ed i giudici ne erano guardiani. Con il formarsi dei partiti, portatori ditrasformazione sociale, le leggi non sono diventate solo strumentiamministrativi ma “istruzioni” per l’organizzazione della società. Si è cosìavuta non solo l’estensione della quantità di leggi prodotte ma anche delnumero degli organi capaci di legiferare e dei campi di intervento della legge.L’espansione dei compiti dello stato ha ampliato il raggio d’intervento deigiudici. Tendenzialmente nei paesi anglosassoni ai giudici vengono affidateanche competenze relative alla pubblica amministrazione mentre nei paesicontinentali le competenze si esauriscono nelle decisioni relative al codicepenale o a quello civile.

c) la crescente domanda di giustizia

Mentre aumenta il raggio di tematiche coperte dalla legge, si indeboliscono leistituzioni tradizionalmente capaci di esercitare una funzione di mediazionesociale attraverso una soluzione informale dei conflitti (crisi di fiducia neipartiti e nelle istituzioni rappresentative). Cresce la domanda di giustizia chesi rivolge alla magistratura. L’aumento delle richieste d’intervento ai giudici èin buona parte motivato dal declino delle istituzioni un tempo capaci di farrispettare le norme sociali. Rilevante appare qui soprattutto, la capacità diaccesso dei cittadini alla magistratura; non a caso l’accesso alla giustizia èstato al centro di un intervento riformatore volto a ridurre gli ostacolieconomici, organizzativi e processuali. A differenza di quanto detto in Italiasono presenti numerose “barriere all’accesso” ovvero i costi elevati dellagiustizia, le procedure lente ed altri impedimenti hanno fatto si che in Italia lacrescita della domanda non fosse un fenomeno diffuso.

d) l’intervento di controllo giudiziario sui comportamenti degli amministratoripubblici

Una certa legittimazione popolare è invece pervenuta ai giudici dal loroatteggiarsi a custodi delle “pubbliche virtù”. In particolare nel caso italiano ilcontrollo di virtù viene esercitato tramite indagini giudiziarie sulla corruzionepolitica. In molti casi tuttavia i giudici possono disporre di strumentiinsufficienti per controllare la classe politica inoltre vi sono sempre rischi dicollusione tra controllori e controllati e dunque tra giudici ed amministratoricorrotti. A.Pizzorno ha distinto a tal proposito 5 diversi atteggiamenti dellamagistratura nei confronti della politica e della corruzione politica.

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1) collusione di ceto: la posizione sociale di certi magistrati tradizionali licostringe ad assumere certe posizioni ideologiche motivate solo da unavisione unilaterale

2) collusione d’affari: la condotta di giudici, generalmente di alti gradi dellamagistratura, è motivata dalla loro appartenenza ad associazioni o circoli incui sono coinvolti uomini d’affari e/o politici

3) vicinanza ideologica: non potendo partecipare all’attività politica, moltigiudici sono schierati su certe posizioni ideologiche

4) funzione di supplenza: si ha quando, dinanzi alle collusioni evidentiall’interno del sistema politico, alcuni giudici ritengono che un’altra istituzionesupplisca a tale carenza

5) imparzialità istituzionale: prevista dalla legge.

Proprio in relazione al caso italiano si è osservato che il particolare attivismodella magistratura nel “controllo della virtù” è stato permesso dal gradoparticolarmente alto dell’indipendenza non solo della magistratura giudicantema anche di quella inquirente. Inoltre il riferimento all’opinione pubblicasembra essere diventato molto rilevante per i giudici italiani, chepercepiscono la loro azione come un surrogato al mancato intervento dellaclasse politica corrotta.

A proposito di una espansione delle corti internazioni si è palato sempre dipiù di una “globalizzazione giudiziaria”; l’ordine giuridico internazionale inespansione ha comunque caratteristiche particolari, in primo luogo l’area diinfluenza – ancora piuttosto limitata - . La globalizzazione economica inveceè stata più fruttifera in quanto responsabile dello sviluppo di un diritto privatobasato sulla logica privatistica del contratto.

Cap. 17: Le politiche pubbliche

C’è una faccia della politica che tocca più direttamente la maggior parte degliindividui. Si tratta dell’enorme flusso di decisioni, scelte, provvedimenti chevengono prodotti continuamente dalle istituzioni politiche e che direttamente oindirettamente si ripercuotono sulla vita quotidiana degli individui, dellefamiglie, dei gruppi, delle aziende nonché degli altri stati. Innanzi tutto, perquanto riguarda la materia, si va da decisioni che vanno dalla gestionedell’ordine pubblico alla promozione di attività economiche, dall’istruzione, aiservizi sociali, alle relazioni internazionali. Per quanto riguarda la loro portataed importanza si va da decisioni che riguardano macro settori della vitaassociata e interessano gruppi molto cospicui di popolazione a decisioni chetoccano ambiti molto particolari e categorie molto più ristrette. Si può ancherilevare che la natura di questi interventi può essere molto diversa. Questifenomeni, che il linguaggio sistemico ha chiamato emissioni (output) delsistema politico costituiscono un aspetto della realtà politica. Il primo aspettodella politica che abbiamo considerato della politica (competizione ed

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esercizio del potere) trova la sua giustificazione in gran parte di questi output.Accanto ai politici sinceramente interessati ai contenuti programmatici e chequindi a questi subordinano la loro competizione per il potere (politici policy-seeking), ci sono all’opposto politici per le quali le politiche presentano uninteresse soltanto strumentale e il fine nettamente prevalente è quello diraggiungere le posizioni dominanti (politici office-seeking).

COSA SONO LE POLITICHE?

La tradizione dei policy studies, cioè degli studi sulle politiche pubblichesuggerisce che concentrare l’attenzione essenzialmente sulle decisioni puòessere riduttivo, è necessaria una visione più ampia.

Mentre l’osservatore vede la decisione come fase conclusiva dell’azionepolitica in un determinato settore, in realtà il processo si svolge in manieradiversa:

* La fase dell’attuazione (implementation) che in teoria dovrebbe seguireautomaticamente alla decisione ed avere natura essenzialmente burocratico-amministrativa, si rivela assai più aperta e ricca di valenze politiche di quantonon prevedano gli schemi formali. In questa fase le decisioni già presepossono essere, a seconda dei casi, rese inefficaci, ritardate, trasformate, re-interpretate, potenziate sino al punto di assumere il carattere di diversedecisioni. Nuovi attori e nuovi interessi possono sempre entrare in gioco.

* In secondo luogo, mentre la prospettiva centrata sulle decisioni tende afocalizzarsi sul “singolo atto”, occorre prendere in considerazione il fatto che,per lo più, le singole decisioni si inseriscono in un contesto spessocaratterizzato da una “storia” lunga e complessa. Le nuove scelte in un datosettore hanno sostituito vecchie scelte che hanno in misura maggiore ominore predeterminato il terreno. La tradizione suggerisce quindi dianalizzare un iter più complesso di policy making.

Dal concetto di decisione si passa quindi a quello di policy o politica pubblica.Lasswell l’ha definita come “un programma di azione proiettato verso il futuroe che si basa sull’individuazione di obbiettivi di valore e prevede procedure eatti finalizzati al raggiungimento di questi”. Lasswell voleva così sottolineare ilcarattere programmatico e l’intenzionalità di ogni politica pubblica. Lowiinvece richiama l’attenzione al carattere normativo delle politiche pubbliche:“una politica pubblica è una norma formulata da una qualche autoritàgovernativa che esprime un’intenzione di utilizzare il comportamento deicittadini, individualmente o collettivamente, attraverso l’uso di sanzionipositive o negative. Quando parliamo di politica pubblica dunque ci riferiamoad un programma di azione pubblica che:

1. generalmente si compone di una pluralità di provvedimenti; 2. promana daautorità pubbliche; 3. ha valore normativo; 4. si riferisce ad un dato ambito diproblemi sociali.”

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SCIENZA POLITICA E STUDIO DELLE POLITICHE

Il primo e più ovvio punto di vista è quello che guarda alle politiche comeprodotti (output) e conseguenze (outcome) della politica.

Questa prospettiva può essere sintetizzata nell’espressione “politicsdetermines policy”. Il discorso però non si esaurisce qui: l’interesse per lepolicies ha aperto nuove frontiere per la scienza politica. L’attenzione moltopiù ravvicinata per i processi di elaborazione e decisione delle politiche haprodotto un importante arricchimento nel quadro della politica rispetto aquello offerto dall’analisi tradizionale, centrata sul modello tradizionale didemocrazia. L’apporto forse ancora più significativo degli studi politilogici inquesto campo sta nel fatto di aver colto quello che potremmo chiamare “ilpotenziale politico” delle politiche. Riproponendo la formula di Lowi, si puòanche affermare l’inverso: “policy determines politics”.

Se le politiche generano o comunque attivano politicamente dei soggetticapaci di diventare attori nei processi politici, la realtà della politica (politics)ne risulterà mutata. Gli effetti sugli attori possono andare anche molto oltre,sino a riflettersi in modo più profondo sulla struttura del sistema politico.

TIPI DI POLITICHE

Per illustrare la varietà delle politiche pubbliche, Lowi ha proposto unatipologia a quattro voci che distingue tra politiche distributive, redistributive,regolative e costituenti.

* Le politiche distributive, delle quali può essere un buon esempio unprovvedimento di agevolazione alle imprese, sono politiche caratterizzatedalla distribuzione di benefici su basi individuali e particolaristiche. Essedanno qualcosa a tutti i destinatari e non comportano un confronto ravvicinatotra coloro che vengono favoriti e coloro che vengono danneggiati.

* Al polo opposto stanno le politiche redistributive, come la riforma fiscale,tolgono a qualche gruppo per dare ad altri, sono dunque politiche checomportano un confronto diretto tra categorie collettive, classi sociali, gruppibeneficiati, e danneggiati.

* Le politiche regolative (ad esempio standard ecologici, provvedimenti sultraffico, sui rapporti di lavoro) sono politiche che comportano una limitazionedei comportamenti ammissibili in un determinato ambito o prescrivono degliadempimenti specifici.

* Infine ci sono le politiche costituenti (come la costituzione di un’autoritàregolativi quale ad esempio l’Antitrust), sono politiche che hanno al lorocentro norme sui poteri o norme sui governanti; esse tendono a creare nuoveautorità che a sua volta saranno soggetti di policy.

Proponendo questa suddivisione Lowi ha rilevato che alla base si può trovareil rapporto tra politiche e coercizione, elemento che non può essere

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trascurato dal momento che le politiche pubbliche sono , come si è detto,politiche di azione di autorità pubbliche, cioè di autorità che appunto hanno ilcontrollo sugli strumenti di coercizione. Possiamo osservare che nellepolitiche l’impiego della coercizione può essere immediato (la politicacomporta sanzioni dirette) o remoto (la politica non comporta sanzioni oqueste si collegano solo indirettamente ad essa), il suo ambito diapplicazione può riferirsi direttamente all’azione individuale o piuttostoall’ambiente all’interno del quale poi si svolgerà l’azione. Le politichedistributive comportano solo in maniera remota il ricorso alla coercizione e iloro benefici si applicano direttamente agli individui. Le politiche redistributivecomportano condizionamenti sistemici per garantire i quali la coercizione èuna possibilità non remota. Le politiche regolative, come quelle redistributive,si basano su una possibilità immediata di coercizione ma si applicanodirettamente nell’ambito individuale di azione. Infine per quel che riguarda lepolitiche costituenti l’impiego della coercizione ha carattere remoto e siassocia ad un effetto di tipo complessivo sull’ambiente. Per Lowi questidiversi tipi di politiche tendono ad associarsi secondo Lowi con modi diversi difare politica. Tipico delle politiche distributive

sarebbe il log rollig, cioè quella pratica molto frequente nel lavoroparlamentare, in base alla quale ciascun attore, nel settore che non lointeressa da vicino, viene incontro alle richieste di un altro attore sapendo chepotrà contare poi sul suo favore. Le politiche redistributive si associanoinvece allo scontro ideologico tra partiti o fronti contrapposti e la logicadecisionale è quella maggioritaria. Un altro approccio tipologico che merita diessere segnalato è quello proposto da Wilson che ha rivolto la sua attenzionead un aspetto cruciale delle politiche: i loro costi e benefici. Il punto dipartenza è la costatazione che in linea di massima una politica comporta deibenefici (materiali ma anche non materiali) per qualche categoria di cittadini,e accanto a questi dei costi (anche essi sia materiali sia non materiali). Costie benefici non si distribuiscono però in maniera uguale in tutte le politiche; ilpunto più rilevante è il carattere concentrato o diffuso di questa distribuzione.Avremo benefici concentrati quando questi andranno a favore di unacategoria di persone o di enti, ben definita ed abbastanza ristretta, beneficidiffusi quando invece si riferiranno ad una platea ampia. Discorso analogo èfattibile per i costi che fanno da corrispettivo ai benefici. Per esempio quandoun provvedimento va spese di una categoria piuttosto ristretta parliamo dicosti concentrati, scaricando il costo su tutti i cittadini invece si avranno costidiffusi. Incrociando queste due dimensioni avremo quattro tipi di politiche:

* Da benefici concentrati e costi concentrati: (interest groups politics)corrisponderà ad una situazione di conflitto fra due gruppi di interessespecializzati in cui ognuno cerca di accaparrarsi in esclusiva dei vantaggi perscaricare i costi sull’altro.

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* Da benefici concentrati e costi diffusi: (client politics) situazione nella qualeun gruppo di interesse ristretto riesce ad acquisire i vantaggi di una politicascaricando i costi sulla massa indifferenziata dei contribuenti.

* Da benefici diffusi e costi concentrati: (enterpreneurial politics) politicapiuttosto difficile da realizzare perché la massa riesca a prevalere sulla forzaorganizzata.

* Da benefici diffusi e costi diffusi: (majoritarian politics) infine vede unconfronto equilibrato tra destinatari dei costi e benefici.

LE FASI DELLE POLITICHE

I policy studies hanno rilevato una identificazione delle fasi nelle quali sisvolge l’intero processo di una politica. Una classica individuazione delle fasiè quella che prevede la sequenza: identificazione di un problema,formulazione di una politica, decisione, messa in opera, valutazione deirisultati, continuazione o fine della politica.

Identificazione della politica

Questa prima fase si inserisce dunque in quel processo cruciale della vitapolitica che è la definizione dell’agenda (agenda setting) attraverso il qualevengono appunto selezionati i problemi che in un dato momento appaionorilevanti e meritevoli di essere affrontati da parte dei soggetti e delle istituzionipolitiche. E’ importante sottolineare, oltre al fatto che gli stessi problemipossono non risultare oggettivi ma di volta in volta costruiti, soggetti diversitenderanno ad individuare problemi diversi.

Formulazione delle politiche

Una volta che il problema si è imposto, se non si riesce a farlo scompariremagari dirottando l’attenzione su altri temi comincerà la ricerca di soluzioni.Questa è la fase della formulazione di una policy. In questa fase verrannomessi a punto i provvedimenti attraverso i quali le autorità pubbliche pensanodi dare una risposta almeno parziale o temporanea al problema in questione.C’è poi la selezione delle alternative: tra le diverse possibili soluzionibisognerà scegliere quale adottare. Questo movimento comporta sia unadimensione tecnica (individuare sulla base di conoscenze specifiche lasoluzione più adeguata per raggiungere lo scopo prefisso), sia unadimensione politica (qui acquistano rilievo i valori e le finalità).

Decisione

Il passo successivo, la decisione, è il momento nel quale ad un programma diazione viene conferita l’autorità pubblica, con tutte le conseguenze chequesto ha sul piano dell’efficacia di tale programma. L’attribuzione di questaautorità ha in genere, come requisito necessario (anche se non sufficiente insé e per sè), la legittimità del momento decisionale. Il chi inerente a coloroche partecipano alla decisione riguarda soprattutto la natura degli attori,

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politici espressi dalla rappresentanza, scienziati e tecnici, uomini dellapubblica amministrazione, esponenti dei gruppi di interesse. Il dove riguardala sede istituzionale (un’aula parlamentare) oppure un luogo informale eprivato (come un salotto o un ufficio). Il come riguarda le modalità tramite cuisi giunge alla decisione; si procede secondo modalità decisionali “sommazero” che lasciano sul campo vincitori e vinti oppure si adottano tecniche asomma positiva che consentono a tutte le parti in gioco di ottenere unaqualche soddisfazione. Esempio del primo tipo è la decisione a maggioranza,del secondo il bargaining (negoziazione di ampi pacchetti decisionali) ed il logrolling (metodo che si realizza quando ciascuna parte prosegue un propriospecifico interesse autonomo rispetto a quelli di altre e quindi a ciascunoviene dato qualcosa, costruendo così una coalizione positiva di tutti gliinteressi).

Messa in opera

La decisione non conclude il processo bensì apre la porta ad una fase dettamessa in opera o implementazione. Si tratta di un compito affidato allaamministrazione pubblica: il mettere in atto le decisioni prese. Il processo dipolicy scenderebbe quindi dall’alto verso il basso, dall’autorità politica agliuffici burocratici e da questi ai destinatari secondo una logica lineare che puòessere definita “top-down”

Due aspetti sono da sottolineare:

1. quando si passa dalla formulazione astratta di una politica alla suaattuazione è necessario sempre un processo di adattamento

2. l’attuazione di una politica è demandata a soggetti che non sono autonomi;caratterizzati da qualità, capacità, interessi specifici i quali potranno entrare ingioco nel processo di messa in opera di una politica a seconda dei casifacilitandola e potenziandola oppure distorcendola, rallentandola, o addiritturafacendola naufragare.

In sintesi la fase di messa in opera di una politica oltre che essere l’ultimafase di un processo distendente (top-down) è anche momento significativo diun processo ascendente (bottom-up) che può essere di fondamentaleimportanza nel re indirizzare la politica stessa o nel modificarne i contenuti.

Valutazione

Una fase ulteriore del processo di policy è quella della valutazione: si tratta diuna serie di attività conoscitive e di giudizio dirette ad accertare gli effetticonseguiti da una politica ed a vagliarne la bontà. Una prima componente diquesta attività è di natura descrittiva e fattuale: si tratta essenzialmente dirilevare come si è svolta la messa in opera della politica e quali ne sono statigli effetti. Mentre la rilevazione è più semplice, per quanto riguarda gli effetti ildiscorso diventa più complesso: è necessario indagare sull’impatto diretto eda breve termine delle politiche su soggetti e fenomeni previsti come

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destinatari. Si devono anche indagare conseguenze indirette e più estese sualtri aspetti della vita sociale a lungo termine. La seconda componente diquesta attività è quella riguardante le ragioni del funzionamento di unapolitica. Questo tipo di analisi riguarda l’adeguatezza degli apparati prepostialla messa in opera ma anche le risposte dell’”ambiente” ed in primis deidestinatari. La valutazione può anche costituire il punto di partenza per unprocesso di revisione o riformulazione di una politica.

Continuazione, trasformazione o fine

Le politiche, una volta avviate, tendono per lo più a perpetuarsi nel tempo,trasformandosi e spesso estendendosi. L’approvazione significa ovviamenteil successo della coalizione che l’ha promossa. Naturalmente le politiche,oltre ad essere continuate, corrette, reindirizzate, possono anche essereterminate. La fine di una politica può avvenire – per usare una immaginemedica – con una morte rapida o per lenta consunzione.

CHI FA LE POLITICHE?

Per quanto riguarda il processo di policy making è soprattutto il momentodella decisione quello che vede il coinvolgimento di attori, tali attori sonosostanzialmente quelli istituzionali: parlamento, parlamentari, governo eministri ma anche la pubblica amministrazione (attori interni). Per quantoriguarda gli attori esterni si vede il coinvolgimento di sindacati e di partiti.

Il governo

Questa responsabilità ha una duplice matrice: derivando da un lato dal ruolocentrale che il governo assume nel processo democratico, dall’altro dallaposizione del governo al vertice dello stato. E’ abbastanza ovvio anchericordare il ruolo che il governo nell’esercizio della coercizione. Una volta cheil problema è entrato nell’agenda politica il governo ha una responsabilitàprimaria nel formulare le soluzioni, nel promuovere la decisione e poi nelgarantirne la messa in opera attraverso gli apparati della pubblicaamministrazione sui quali sovrintende. Cominciando dai fattori unificantioccorre innanzitutto dire che il governo come istituzione nasce proprio con lafunzione di dare unità di direzione all’azione dello stato e nelle costituzioni èprevisto come organo che esprime una volontà ordinaria. Dall’altro latoabbiamo l’aspetto plurale: il governo si struttura attorno a ministeri cioèessenzialmente attorno ad entità che fanno riferimento a specifiche aree dipolitiche, interessi ed attori distinti. Come suggerisce l’idea della policycommunity gli elementi che accomunano attori diversi che gravitano attornoad una stessa area di politiche spesso sono più forti di interessi condivi daattori simili di aree diverse. Tutto ciò spinge nel senso della frammentazionedel governo, la realtà del governo sotto il profilo del policy making è dunqueanche una realtà di sub-governments, di governi particolari.

Il parlamento

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Responsabile, com’è noto, della funzione legislativa, è visto in posizionecentrale in questo processo, nelle fasi di identificazione dei problemi, didefinizione dell’agenda, di formulazione delle politiche, di valutazione. Saràtendenzialmente tanto più autonomo e incisivo quanto meno stretto è ilcontrollo esercitato dal governo sulla maggioranza. Ancor più di quantovaleva per il governo bisogna considerare il parlamento non solo come unaentità unitaria ma anche come una pluralità di attori. Le commissionipermanenti acquistano inoltre un peso significativo nella decisione dellepolitiche.

I partiti

Hanno acquisito un peso importante per i processi di definizione dell’agendapolitica e di formulazione e decisione delle politiche. Nell’ambito del partygovernment cioè di quella modalità di organizzazione della democrazia chevede appunto nei partiti l’attore centrale, il ruolo dei partiti emerge come unadelle proprietà fondamentali nel policy making. Naturalmente la capacitàd’influire dei partiti sui processi di policy making dipende in misura nonindifferente dalle capacità dei partiti stessi, dai loro rapporti con altri soggetti.

La pubblica amministrazione

Altro soggetto il cui ruolo non si limita alla sola messa in atto ma puòintervenire anche nei momenti della formulazione e della decisione dellepolitiche.

Soggetti privati portatori di interessi specifici

Si tratterà a volte di grandi organizzazioni come i sindacati e le associazioniimprenditoriali oppure gruppi più ristretti come le singole imprese (di grandidimensioni) o i movimenti di opinione. L’influenza di questi soggetti hanotevole importanza nel porre all’ordine del giorno i problemi o indirettamenteinfluendo a sua volta su altri soggetti che hanno potere di definire l’agenda.Ma l’influenza può anche concretizzarsi nella formulazione vera e propriadelle politiche che li riguardano.

Esperti

E’ significativamente aumentata anche la presenza di esperti quali giuristi,economisti, scienziati il cui ruolo è particolarmente importante nella fase diformulazione delle politiche, quando si tratta di definire gli obbiettivi intermedie la strumentazione attraverso la quale gli obbiettivi finali di una politicadevono essere raggiunti. La loro presenza è spesso indispensabile anchenella fase di decisione, quando per costruire una coalizione favorevole alpassaggio di una politica è necessario riformularla almeno parzialmente;infine va segnalato il loro contributo nella fase di valutazione e di revisionedelle politiche.

Modelli di iterazione e logiche del “policy making”

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All’interno di ciascun settore di policy si sviluppano rapporti molto intensi tra idiversi attori. Per descrivere queste iterazioni sono state proposte diversemetafore. Negli Stati Uniti le fortissime relazioni tra le commissioni (e sotto-commissioni) parlamentari, i gruppi di interesse ed i diversi settoridell’amministrazione pubblica hanno indotto a parlare di “triangoli di ferro oiron triangles” per sottolineare la forte integrazione verso l’interno e lachiusura verso l’esterno del sotto sistema. In termini generali si parla di policynetworks, cioè di reti che collegano i diversi attori. Là dove la rete presentauna particolare stabilità si sviluppa una cultura comune e le relazioni tra gliattori sono improntate ad un rapporto di fiducia, si parla di una policycommunity per sottolineare la coesione tra le parti del sotto sistema. Oltre adinterrogarsi su chi siano gli attori delle politiche ci si è interrogati anche suquale logica essi si ispirino. Alcuni modelli (come già illustrato nel cap. sulleburocrazie, 15) sottolineano il rapporto fini-mezzi. Secondo il modello dellarazionalità (assoluta o sinottica) gli attori del policy making dopo aver fissato iloro obbiettivi, procedono ad un esauriente esame comparativo di tutti glistrumenti utilizzabili per conseguirli ed infine scelgono tra questi quelli chegarantiscono il modo più efficiente per ottener il risultato voluto. Seguendo ilmodello dell’incrementalismo revisioni limitate delle politiche già in essere esecondo una logica per la quale mezzi possibili e fini intermedi fanno premionella considerazione degli attori sui mezzi ideali e i fini ultimi. Secondo ilmodello del garbace can disordine e ambiguità sono le caratteristichedominanti della situazione in cui operano gli attori, gli obbiettivi stessi degliattori non sono ben determinati a monte del processo decisionale e non c’èuna sequenza “ordinata” tra individuazione dei problemi e formulazione dellesoluzioni. Nella realtà concreta elementi di questi diversi modelli decisionalipossono coesistere nello stesso processo.

Conclusione

Se guardiamo alla storia politica dell’ultimo secolo troviamo due grandi “cicli”,tra loro interconnessi, di politiche pubbliche. Si tratta di quelli che possiamodefinire il ciclo dell’intervento pubblico nell’economia ed il ciclo del welfarestate. Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una storica inversione delciclo di espansione dell’intervento pubblico nell’economia: le diffuse politichedi privatizzazione e di deregulation sembrano segnalarci proprio l’indebolirsidelle giustificazioni ideali e anche degli attori che avevano sostenuto ilvecchio ciclo.

Cap 18: Stato nazionale e sistema internazionale

Sinora l’attenzione si è concentrata su attori e processi che caratterizzanoquel tipo di polity che normalmente viene chiamato stato nazionale. La realtàdella politica è stata presentata prevalentemente come una realtà delimitatada precisi confini: si è parlato di politica italiana, francese, inglese,statunitense; questo perché la realtà politica è caratterizzata da discontinuità

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che, nell’epoca contemporanea si è presentata sotto forma di confine tra glistati. L’ambito all’interno del quale per lo più si svolge la vita politica è definitosia da una complessa “armatura” giuridico-burocratica e istituzionale, sia daun’articolata identità politico-culturale. Questi due aspetti vengono colti daiconcetti di Stato e Nazione.

SOVRANITA’

La combinazione tra stato e nazione, che mette insieme elementi giuridico-organizzativi e potestativi da un lato, ed elementi di natura affettiva edidentitaria dall’altro ha costituito una miscela molto potente facendo,generalmente, degli stati nazionali delle realtà politiche

Molto coese verso l’interno e fortemente differenziate verso l’esterno. Perdefinire in termini più astratti questa realtà è stato spesso utilizzato il concettodi sovranità, nelle sue versioni di interna ed internazionale. Con la prima ci siriferisce al fatto che all’interno dei confini dello stato esiste un’autorità (o unsistema di autorità) prevalente su tutte le altre; con la seconda al fatto che iconfini nazionali stabiliscono un limite all’autorità di altri stati (principio di noningerenza negli affari interni), che nessuno stato può avanzare una pretesa diautorità su un altro stato(principio di indipendenza) e che tutti gli stati sono,almeno in linea di diritto, su un piano di parità (principio di pari dignità). Sulpiano internazionale i divari enormi di risorse tra gli stati rendono in molti casila parità tra gli stati un principio puramente formale e consentono ampimargini di influenza di alcuni stati su altri. Per non parlare poi dei recentisviluppi nel campo della giustizia internazionale e della tutela dei diritti umaniche tendono a riconoscere crescenti possibilità di “ingerenza umanitaria” daparte di autorità internazionale all’interno dei confini degli stati. Questa realtàdi possibile ingerenza viene designata come “sistema di Westfalia”, dal nomedella pace che nel 1648 concludeva la guerra dei trent’anni e affermava inEuropa i principi della prevalenza dello stato sovrano come forma diorganizzazione politica e della pari dignità tra questi come carattere delsistema internazionale.

I caratteri del sistema internazionale: teorie a confronto

Una delle conseguenze principali del trionfo dello stato nazionale è statasignificativamente la semplificazione della mappa delle autorità politiche. Sisono infatti ridotte grandemente le sovrapposizioni e la competizione trasistemi diversi di autorità. Il sistema di Westfalia è dominato da stati chealmeno in linea di principio non riconoscono autorità superiori. E’ dunque unsistema anarchico cioè letteralmente un sistema nel quale gli attori principalisono gli stati e non esiste altra autorità di fuori di essi che possa valersi diuna legittimità indipendente.

Teorie realiste e liberali

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Le cosiddette teorie realiste hanno sottolineato la centralità del problemadella sicurezza. In un sistema anarchico come quello internazionale gli stativivono in una situazione di “paura hobbesiana”; non essendoci autoritàsuperiori in grado di regolare la convivenza, tutti gli attori nel timore di unattacco da parte degli atri stati, sono portati a porre in primo piano l’obbiettivodel raggiungimento della sicurezza militare. La ricerca della propria sicurezzaattraverso il rafforzamento militare tende però a generare una situazione diinsicurezza per gli altri. Questo porta a una sorta di rincorsa tra gli stati sulpiano delle risorse coercitive. Questa ricorsa agli armamenti può portati da unlato ad una situazione di bilance of power, nella quale esiste un sostanzialeequilibrio di potenza tra i diversi attori; se questa situazione non vieneraggiunta o se, come probabile si “sbagliano i calcoli” la possibilità di eventibellici diventa reale. Le teorie realiste dunque incentrano la loro attenzionesulle risorse a disposizione degli stati, sulla loro distribuzione e sulledinamiche competitive che si sviluppano tra attori internazionali. Le teorieliberali e neoliberali riconoscono il carattere anarchico del sistemainternazionale e il fatto che i singoli stati siano orientati a massimizzare ipropri interessi – ritengono però che gli effetti di queste condizioni di partenzasiano mitigate dall’alto livello di interdipendenza tra gli stati soprattutto sulpiano economico ma anche dal comune interesse di evitare disastriinternazionali. Gli stati sarebbero quindi molto più propensi alla cooperazionedi quanto non pensino le teorie realiste. Queste teorie trovano la confermanell’esistenza di molteplici casi di cooperazione economica tra stati, nellafiducia reciproca che, in effetti, si stabilisce tra alcuni stati interrompendo laspirale della paura reciproca.

Le proprietà del sistema internazionale

Tra le proprietà di questo sistema certamente una delle più rilevanti è ilnumero degli attori ma questa sarà una misura terribilmente imprecisa se nonsi tiene conto delle enormi differenze di peso esistenti fra essi. Un’altraproprietà complessa da calcolare è la misura delle risorse disponibili e dellaloro utilizzabilità sul piano internazionale. Infine non bisognerebbe tralasciarealcuni rilevanti soggetti non statali come le grandi aziende multinazionali, leorganizzazioni non governative, le Chiese, i movimenti che sempre piùintervengono sulla scena mondiale. Il sistema internazionale non è comunquesoltanto la somma indifferenziata di tutti gli stati esistenti: al suo internoesistono disomogeneità e segmentazioni molto pronunciate. Il sistema siarticola fondamentalmente in aree (definite sulla base della prossimitàgeografica, della comunanza delle relazioni commerciali, della religionecomune, di contiguità culturali), all’interno delle quali le relazioni tra gli attorisono più frequenti ed intense. Solo alcuni attori sono veramente attori globalie tendono dunque ad interagire con tutti gli altri. Per capire dunque la realtàinternazionale bisognerà accertare le specifiche proprietà di questi sotto-sistemi. STATO Con questo concetto ci si riferisce essenzialmen te ad una

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costruzione organizzativa attraverso la quale un sistema potestativosufficientemente corrente esercita la sua preminenza su un turrito rio definito.Risultato di un processo in genere lungo e contrastato di costruzione diistituzioni politiche, apparati burocratici e coercitivi, di strumenti giuridici. Sipresenta come un colosso relativamente benigno, minuziosamente regolamentato da norme giuridiche sia nella struttura sia nelle modalità difunzionamento, ed essenzial mente dedito alla cura dei bisogni della popolazione. La faccia più severa della coercizione incombe invece nelle forme nondemocratiche.

CONFLITTO E COOPERAZIONE TRA STATI

La qualità delle interazioni tra gli attori è naturalmente uno dei temi crucialinello studio del sistema internazionale. Data la natura di questo l’attenzione siè concentrata spesso sulla modalità estreme di queste relazioni, cioè laguerra, Mentre all’interno degli stati l’affermarsi di un’autorità o meglio di unsistema di autorità centrale riconosciuto e legittimo ha drasticamente ridottolo spazio per la violenza aperta nelle iterazioni sociali, nel sistemainternazionale, in mancanza di una forte autorità superiore a quella degli stati,la probabilità che le iterazioni superino la soglia della violenza sfociando nellaguerra è rimasta elevata. Per capire la guerra è tuttavia necessarioconsiderare anche il suo opposto, cioè la pace. La sola esistenza di interessicomuni non è sufficiente a produrre cooperazione: è necessario infatti chesiano superati il timore e la sfiducia reciproci tra gli stati che altrimenti liporterebbero a preferire strategie non cooperative. Alleanze più o menoformali e svariate forme di organizzazione internazionale hanno svoltonell’ambito del sistema internazionale un ruolo di grande importanza a questofine.

SISTEMA POLITICO DOMESTICO E SISTEMA INTERNAZIONALE

Una parte cospicua degli studi delle relazioni internazionali, come èabbastanza comprensibile, ha concentrato la sua attenzione sul livellosistemico e, interpretandone le componenti cioè gli stati ha stabilito una nettadifferenza tra politica internazionale e politica interna. Da questa prospettivaquindi restano fuori sia le modalità di svolgimento dei processi decisionaliall’interno degli stati che poi porteranno alle loro azioni sulla scenainternazionale, sia anche le conseguenze che le vicende internazionaliavranno all’interno di essi. Questa immagine della realtà è fortementeriduzionista. Cambiamenti di leader, vicende partitiche, spostamenti di voto,mutamenti di coalizioni, cambiamenti di regime possono riflettersi anchepesantemente sulla condotta di un paese sulla scena internazionale.

Come la politica interna influisce su quella internazionale

In una prospettiva più generale e di lungo periodo gli studi sul “state-” e“nation-building” hanno messo in luce come le trasformazioni delle strutturepolitiche interne cambino in maniera profonda la scena internazionale stessa

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e producano forme di conflitto bellico profondamente diverse dal passato.Altre ricerche hanno suggerito l’esistenza di una relazione significativa tranatura del regime politico e propensione alla guerra: i regimi autoritarimostrerebbero una maggiore propensione al conflitto internazionale di quellidemocratici. Nell’ambito dei regimi democratici altri studi hanno esploratoquale sia il ruolo dell’opinione pubblica nei confronti delle decisioni di politicaestera chiedendosi se questa abbia o meno un’influenza. Ci sono dunquemolti elementi per ritenere significativa l’influenza di fattori interno sia di breveche di lungo periodo sui comportamenti internazionali.

Come la politica internazionale influisce su quella interna

Molti esempi d’altro canto mostrano che eventi e processi internazionalipossono riverberarsi sulle vicende interne. Sconfitte in guerra hanno fattocadere molti regimi autoritari e totalitari o più limitatamente determinatocambiamenti nei partiti e/o nei leader al governo. E, al contrario, vittorie inguerra hanno volta a volta facilitato la formazione di uno stato, rafforzato unpartito o un leader. Lo sviluppo della cooperazione internazionale in materiaeconomica ed i processi di globalizzazione che ne sono derivati hannoesercitato significative influenze sulle politiche sociali, fiscali e di bilanciointerne agli stati. La competizione internazionale tra stati è stataprobabilmente uno dei fattori più importanti nello stimolare lo sviluppo diquelle forti burocrazie centralizzate che costituiscono la struttura portantedegli stati moderni, così come nel promuovere una più precisa e distintivaidentità nazionale. A più riprese è inoltre stata sottolineata la rilevanza deifattori internazionali nello sviluppo del regime democratico. In molti paesieuropei sono state proprio le esigenze straordinarie di uno sforzo bellico o leconseguenze di esso a produrre la prima accettazione di forze prima escluse,come socialisti o cattolici, in posizioni di governo. In conclusione occorrericordare che se politica interna e politica internazionale sono realtà diverse efunzionanti secondo logiche peculiari, non possono essere considerate realtàcompletamente separate. Le iterazioni nei due sensi sono infatti importantiper capire l’una e l’altra realtà.

LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA INTERNAZIONALE DOPO LASECONDA GUERRA MONDIALE

Vanno segnalati i cambiamenti che, dopo la seconda guerra mondiale eancor di più negli ultimi decenni, hanno segnato profondamente i rapportiinternazionali. Un’attenzione speciale meritano da un lato lo sviluppo diorganizzazioni internazionali formalizzate di carattere civile, di portata siaglobale (Onu, Fondo monetario internazionale, Wto o Omc – organizzazionemondiale del commercio) sia regionale (UE, EFTA, Organizzazione per l’unitàafricana ecc..) dall’altro la formazione di grandi e durevoli alleanze militari(Nato e Patto di Varsavia) e sulla base di esse del sistema bipolare, e infinel’ascesa di attori non statali sulla scena mondiale. E’ stato però soprattutto il

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sistema delle due grandi alleanze militari a caratterizzare per circa quattrodecenni il sistema internazionali postbellico. Il sistema dei due blocchi, se conlo sviluppo della minaccia nucleare, quello della sicurezza ha però prodottoanche un equilibrio di potenza rivelatosi assai stabile al quale possono essereaccreditate le condizioni di pace che hanno prevalso nella parte del mondointeressata da esso.. A questo assetto va anche ascritta nei fatti una nettadifferenziazione di status tra i due tipi di attori internazionali, le superpotenzee gli altri stati aderenti alle due alleanze. Se gli assetti postbellicic disicurezza hanno avuto inizialmente un peso predominante nel caratterizzarela realtà internazionale, con il passare del tempo è stato lo sviluppo delleorganizzazioni internazionali “civili”, ad acquistare un rilievo crescente. Alivello globale troviamo l’attivismo crescente delle Nazioni Unite in settoricome il mantenimento o il ristabilimento della pace (peace-keeping, peace-enforcing, ecc.). Va segnalato inoltre lo sviluppo di istituzioni di cooperazioneeconomica come il Fondo monetario e più di recente, l’Organizzazionemondiale del commercio. A livello regionale sono da rimarcare fenomenocome l’Unione europea, Il Mercosur nel cono meridionale dell’America latina,il Nafta nel Nord America, l’Asean nell’Asia sud-orientale. Dal complesso diquesti dati emergono alcuni dati significativi per una valutazione della realtàinternazionale: anzi tutto lo sviluppo di un ambiente internazionale sempre piùdefinito densamente da istituzioni, procedure, regole favorisce lacooperazione tra gli stati e rende il sistema internazionale un po’ meno lascena di un confronto nudo e diretto tra questi. In secondo luogo ilrafforzamento di autorità soprastatali con poteri a volte assai significativi,mette in questione la pretesa di assolutezza della sovranità degli stati. Inquesto contesto si può ragionevolmente parlare di “globalizzazione dellapolitica”, trovano uno spazio di azione sempre più significativo attori nongovernativi di vario tipo e, con cautela, si sta sviluppando una sorta diopinione pubblica mondiale.

Un nuovo assetto sistemico in Europa

L’Europa si presenta oggi all’interno del sistema politico internazionale comeun’area caratterizzata da sviluppi di particolare rilievo nella direzione appenaindicata. Dopo la seconda guerra mondiale ha visto svilupparsi formeparticolarmente innovative di organizzazione interstatale. Risultaparticolarmente interessante il carattere piuttosto peculiare delle istituzioni edelle regole adottate dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, poidalla Comunità economica europea e successivamente dalla ComunitàEuropea e dalla Unione europea. In secondo luogo va sottolineata ladinamica espansiva di questa costruzione sia sotto il profilo dei settori dipolicy sia interessati che dei paesi aderenti. Nell’arco di quarant’anni quellache inizialmente era una modesta comunità di sei paesi si è trasformata inuna organizzazione di 27 membri (2007). Sviluppatasi attraverso lo strumentotipico della cooperazione internazionale tra stati cioè attraversi trattati ratificati

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dai paesi aderenti, L’unione europea ha adottato, sin dai primi passi, formeistituzionali peculiari. Tra queste istituzioni vanno segnalate l’Alta autorità(che poi diventerà la Commissione), un organismo a cavallo tra le autorità digoverno e di alta amministrazione, il Consiglio dei ministri composto daministri di ogni paese membro responsabili per un dato settore di policy, conpoteri legislativi e di alto indirizzo politico, l’Assemblea comune composta daparlamentari nazionali che nel 1962 è stata denominata Parlamento europeo,una Corte di Giustizia con il compito di giudicare i conflitti tra stati, tra questi ela Comunità, tra gli organi della Comunità, il Comitato economico e sociale, laBanca europea degli investimenti, il Coreper (Comitato dei rappresentantipermanenti degli stati), il Consiglio europeo (Organismo nel quale siriuniscono i Capi di Stato dei paesi membri), il Comitato delle regioni, laBanca centrale europea, l’Alto rappresentante per la politica estera e disicurezza comune. Nel corso del tempo oltre alla proliferazione di istituzioni cisono stati: un deciso aumento dei poteri legislativi del Parlamento, lacompresenza di istituzioni costituite sulla base di rappresentanze di organiistituzionali nazionali e di altre che invece hanno una loro esistenzaautonoma.

Espansione territoriale della Comunità

L’aspetto forse più palese di questo dinamismo è dato dall’espansioneterritoriale della comunità. L’’iniziale nucleo di sei paesi si è allargato primaverso il nordo con l’ingresso di Inghilterra, Irlanda e Danimarca, poi verso ilsud con l’adesione di Grecia, Portogallo e Spagna, poi di nuovo a nord conFinlandia e Svezia, ad est con Austria e successivamente i paesi del CentroEuropa. L’allargamento territoriale porta con se un aumento significativodell’eterogeneità interna e dello stress organizzativo, questi due effetti sonostati particolarmente rilevanti ai fini di un altro aspetto del mutamento, quelloche riguarda gli ambiti di intervento della Ue. L’immissione di nuovi paesi conproblemi sempre significativamente diversi da quelli dei paesi già membri èstato spesso uno stimolo importante per il cambiamento delle politicheesistenti e le riforme istituzionali.

Espansione delle competenze comunitarie

E’ il secondo aspetto dello sviluppo europeo che deve essere sottolineato. Lacomunità ha espanso il proprio raggio di azione con il completamentodell’integrazione del mercato interno e poi con l’integrazione comunitaria.Quest’ultima ha attirato una notevole espansione soprattutto a partiredall’introduzione della moneta unica. Ma importante è stato anche il processoche ha condotto all’ammissione dei paesi all’Unione monetaria europea(Ume). Alcuni importanti cambiamenti sono avvenuti anche per visgiurisdizionale grazie all’azione della Corte di giustizia europea e alla sintoniastabilitasi tra questa e le corti nazionali. In particolare deve esseresottolineata l’affermazione della superiorità delle norme europee su quelle

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nazionali. Se si guarda complessivamente a questa cospicua trasformazioneci si rende conto che essa non è stata omogenea, ha toccato molto di piùtutto quello che riguarda la regolamentazione del mercato economico.L’integrazione è stata molto più di carattere negativo che non positivo cioè siè rivelata molto più efficace nell’eliminare le barriere doganali, tariffarie,regolative tra i diversi paesi che non nello stabilire misure positive diriequilibrio delle disparità economiche e sociali. E’ interessante notare come ilsettore della politica estera e della sicurezza sia rimasto fuori dalla portatadell’integrazione europea per gran parte della sua vicenda storica. Ci sonobuone ragioni per ritenere che lo sviluppo dell’integrazione in questo settoresia stato bloccato sostanzialmente da un lato dall’esistenza diun’organizzazione internazionale assai più consolidata e forte nel settoredella difesa (Nato), dall’altro dalla persistente pretesa degli stati nazionali diconservare sotto il proprio controllo uno degli elementi certamente più vistosidella sovranità nazionale. I passi compiuti in questo settore, prima con lacosiddetta cooperazione politica sono stati estremamente prudenti e solonegli ultimi anni si nota qualche sviluppo (la creazione di un responsabiledella Pesc, la costituzione di un corpo comune di difesa). Si tratta di sviluppiche se estesi potrebbero significare una profonda trasformazione dei rapportitra Unione europea e gli altri attori significativi in questo campo (Statinazionali ed organizzazione atlantica).

COME SPIEGARE LO SVILUPPO EUROPEO

Quali fattori e quali teorie possono essere utilizzati per spiegare un fenomenocosì straordinario nella realtà internazionale?

Tra le prime spiegazioni proposte ci sono quelle che vengono chiamatefunsionaliste o neofunzionaliste: queste teorie interpretavano il processo diintegrazione europea come il risultato di un processo continuo di diffusione(spillover) di innovazioni da un settore all’altro, spinto essenzialmente dalleesigenze dello sviluppo economico. Semplificando un po’ lo sviluppoeconomico e la crescente interdipendenza tra gli attori economici attraversole barriere statali avrebbero fornito la spinta per una maggiore collaborazioneinterstatale. Anche per il loro carattere estremamente generale esse nondanno indicazioni molto precise sulle modalità e i tempi con i quali questiprocessi si svilupperebbero. Le teorie funzionaliste inoltre sottovalutanodrasticamente l’importanza dei fattori politici rispetto a quelli economici, inparticolare i margini di azione degli stati nazionali e della loro dirigenzapolitica. Proprio quest’ultimo punto sta alla base della formulazione del filoneopposto di letture del processo europeo. Secondo invece la cosiddettaprospettiva intergovernativa, gli stati nazionali non avrebbero affatto perso ilcontrollo del processo e anzi ne sarebbero stati i veri promotori in manieranon diversa da quello che avviene in altre forme di cooperazioneinternazionale. Gli sviluppi comunitari andrebbero quindi interpretatiessenzialmente in termini di azioni coscienti di cooperazione tra stati che

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perseguono i propri interessi e che attraverso questa via riescono a risolvere ipropri problemi e quindi a consolidarsi. Il limite delle teorie cosiddetteintergovernative è semmai di trascurare il fatto che il fenomeno europeo nonpuò essere ridotto a una mera sequenza di accordi indipendenti tra loro, main misura non trascurabile costituisce anche un processo additivo in base alquale gli sviluppi passati concorrono a predeterminate quelli successivi (pathdependency). Secondo le interpretazioni di quello che a volte viene definitoneoistituzionalismo storico, il ruolo centrale delle preferenze economichedegli stati non esclude tuttavia che la convergenza tra queste, la quale haprodotto i balzi in avanti, sia stata significativamente incentivata dagli sviluppistessi della costruzione comunitaria. A ben vedere le diverse prospettiveteoriche hanno focalizzato la loro attenzione sui processi e soggetti diversidell’integrazione europea. Questa d’altra parte per la sua complessità sipresta bene ad offrire punti di vista diversi e facce assai eterogenee. Se leteorie funzionaliste e neofunzionaliste avevano concentrato la loro attenzionesulle dinamiche intrinseche ai processi di sviluppo economico e sul ruolodelle istituzioni peculiari della Comunità europea, come in particolare laCommissione e sulla loro capacità espansiva, le teorie intergovernativehanno invece riportato al centro dell’interesse i governi nazionali e le lorointerazioni nel Consiglio dei ministri e nelle conferenze intergovernative. Altreanalisi hanno messo in luce il ruolo della Corte di giustizia e del sistemagiudiziario in generale, altre ancora quello dei gruppi di interesse.

VERSO UNA NUOVA ENTITA’ POLITICA

Una nuova entità politica: che cos’è l’Unione europea?

Nient’altro che una organizzazione o un regime internazionale oppure unanuova forma di stato federale o confederale oppure qualcosa di diversoancora?

Negli ultimi anni hanno acquistato crescente importanza le prospettive distudio che ad essa applicano concetti originati nell’ambito della politicacomparata e del diritto costituzionale. Le giustificazioni per la primaprospettiva sembrano ovvie: l’Unione europea nasce nello spazio tipico dellapolitica internazionale e attraverso gli strumenti tipici di questa. Una serie distati hanno dato origine attraverso trattati internazionali ad un’organizzazionediretta a consentire la collaborazione tra di essi in alcuni specifici campi. Ilcarattere internazionale della costruzione europea traspare anche dal fattoche all’interno di essa i governi nazionali hanno mantenuto sin dall’origine unruolo determinante nei processi decisionali. Accanto alla componenteintergovernativa sussistono importanti elementi che fanno dell’Unioneeuropea qualcosa di più prossimo alla politica domestica. In primo luogoalcune istituzioni europee cruciali (Commissione, Parlamento, Corte digiustizia, Banca centrale) sono costituite secondo principi piuttosto diversi daquelli prevalentemente adottati nella cooperazione internazionale. Inoltre il

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processo decisionale funziona, almeno in parte secondo principi e regolediversi da quelli utilizzati sulla scena delle relazioni internazionali. A questo sideve aggiungere che una parte significativa delle decisioni prese dallediverse istituzioni europee ha efficacia diretta all’interno dei paesi membri,aprendo così una cospicua breccia nelle frontiere giuridiche degli statinazionali. Un ulteriore elemento che contribuisce a fare dell’Unione europeauna realtà sui generis è la crescente ampiezza della sua sfera dicompetenza. Si è andata espandendo verso la gestione della moneta quellodella mobilità interna delle persone, quello culturale o quello dellacooperazione in materia di difesa e politica estera. Per capire l’Unioneeuropea come sistema politico occorre piuttosto sviluppare qualche modellodi multi-level governance che sia in grado di spiegare come molteplicidefinizioni della comunità politica (sopranazionale, nazionale e subnazionale),diverso livelli di organizzazione del potere politico e politiche a raggioterritoriale.

QUANTO DEMOCRATICA E’ L’UNIONE EUROPEA?

Va vista in questa prospettiva anche la discussione sul presunto deficitdemocratico dell’Unione. Rispetto all’ideale politico oggi prevalente – quellodemocratico – come può essere valutata la polity europea? Proprio perché lepolitiche della comunità incidono in maniera sempre più significativa in settoriimportanti della vita sociale che gli interrogativi sulla legittimità delle istituzionie delle procedure dalle quali sono derivate si sono fatte più insistenti.

La prospettiva normativa

Questo punto può essere affrontato in una prospettiva normativa (quantodovrebbe diventare democratica) sia in una prospettiva empirica (quanto oggiè o non è democratica) oppure in una prospettiva dinamica e revisionale(quali sono le probabilità che diventi più democratica). Nella sua esigenza difondo – la necessità di democratizzare l’Ue – la prospettiva normativa nonrichiede troppa discussione; da un lato la crescente affermazione a livellodegli Stati nazionali dei principi democratici fa di questi principi dilegittimazione politica oggi nettamente dominanti; dall’altro l’erosione deipoteri degli stati da parte di organizzazioni trasnazionali come la Ue portanecessariamente a trasferire il problema della democrazia dove sempre piùvengono prese le decisioni rilevanti. Com’è ben noto le varie forme didemocrazia degli stati hanno portato un bilanciamento di esigenze diverse.

La prospettiva empirica statica